Conclusioni
e riflessioni:
Il passaggio da un anno all’altro è
scandito da tradizioni che appartengono a
mai estinti «riti di rinnovamento». Il
compimento solstiziale dei cicli, l’attenuarsi
della luce, l’ibernazione della vegetazione
costituiscono lo sfondo ancestrale su cui si
dispiegano moderni festeggiamenti della
luce (i falò di S. Silvestro), attuali
celebrazioni della vita vegetativa (l’albero
di Natale), diffusi riti di prosperità
(l’opulento cenone della Vigilia).
Appartiene a questo complesso di riti
anche la rappresentazione della natività,
che è tema archetipico comune alla storia
di Mithra, Aion, Buddha ed altri.
Tratti singolari accomunano queste nascite:
la grotta buia, la madre vergine, la stella in
cielo, la presenza di animali...
Riecheggiano in esse il contrasto fra luce e
tenebre, l’opposizione fra luogo
sotterraneo e regno celeste, la lotta fra il
vecchio re e il nuovo nato ed è facile
ravvisarvi una descrizione allegorica del
ciclo stagionale che si rinnova e della luce
che rinasce.
Ma la vera nascita che
viene narrata è la nascita della
coscienza. L’eccezionale venuta al
mondo di un figlio di luce parla della
straordinaria nascita di un lume di
consapevolezza nell’esperienza umana.
Così, il presepe rappresenta
plasticamente l’alba della coscienza e
mette in scena gli stati aurorali di un
processo che porta l’individuo a
strutturarsi in maniera consapevole.
Coreografie, scenari, animali,
personaggi, figure del presepe
partecipano a un fitto intreccio di
leggende e di rimandi simbolici ed
illustrano i meccanismi attraverso cui
l’individualità continuamente si rinnova
e si plasma. L’archetipo della nascita si
costella ogni volta che si chiude
un’esperienza di vita e se ne apre
un’altra. La rappresentazione della
natività dice che crescere significa
sapersi rigenerare, riformulare,
riciclare: rinascere alla luce della
coscienza.
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