UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE Facoltà di Medicina e Chirurgia VALUTAZIONE DEGLI AUTOANTICORPI CONTRO IL RECETTORE DEL PDGF IN PAZIENTI CON PRE-SCLERODERMIA E DELLA LORO RELAZIONE CON L’ATTIVITA’ E LA SEVERITA’ DI MALATTIA Tesi di dottorato di: Chiara Paolini Tutor: Prof. Armando Gabrielli Co-tutor: Dott. Gianluca Moroncini Scuola di Dottorato di Ricerca della Facoltà di Medicina e Chirurgia Curriculum: Biotecnologie Biomediche X ciclo Io non so come il mondo mi vedrà un giorno. Per quanto mi riguarda, mi sembra di essere un ragazzo che gioca sulla spiaggia e trova di tanto in tanto una pietra o una conchiglia, più belli del solito, mentre il grande oceano della verità resta sconosciuto davanti a me. PRINCIPIA Isaac Newton INDICE Indice 1. INTRODUZIONE pag. 1 1.1 Sclerosi sistemica …………………………………………………………..pag. 2 1.1.1 Varianti cliniche ……………………………………………………….pag. 3 1.1.2 Manifestazioni cliniche ……………………………………………….pag. 5 1.1.3 Aspetti patogenetici …………………………………………………...pag. 9 1.1.4 Diagnosi ……………………………………………………………….pag. 13 1.1.5 Terapia ………………………………………………………………...pag. 13 1.2 Anticorpi e sclerosi sistemica …………………………………………..pag. 16 1.2.1 Anticorpi anti-nucleo (ANA) ………………………………………..pag. 16 1.2.2 Anticorpi anti-nucleolo (ANoA) …………………………………….pag. 17 1.2.3 Anticorpi anti-fosfolipidi (aPL) e anti-cardiolipina (aCL) ……..pag. 19 1.2.4 Anticorpi anti-cellule endoteliali (AECA) ………………………..pag. 20 1.2.5 Anticorpi anti-fibroblasti (AFA) …………………………………...pag. 20 1.2.6 Anticorpi anti-recettore del PDGF ………………………………..pag. 21 2. SCOPO DELLA RICERCA pag. 26 3. MATERIALI E METODI pag. 28 3.1 Analisi del repertorio immunoglobulinico di pazienti affetti da sclerosi sistemica …………………………………………………………………...pag. 29 3.1.1 Pazienti sclerodermici ……………………………………………….pag. 29 3.1.2 Isolamento dei linfociti B memoria dal sangue periferico ……..pag. 29 3.1.3 Isolamento dei linfociti B memoria IgG positivi ………………...pag. 29 3.1.4 Immortalizzazione dei linfociti B memoria IgG positivi ……….pag. 30 3.1.5 Clonaggio dei linfociti immortalizzati …………………………….pag. 30 I Indice 3.1.6 Analisi dell’isotipo delle immunoglobuline prodotte dai cloni linfocitari immortalizzati …………………………………………...pag. 30 3.1.7 Screening dei cloni linfocitari immortalizzati mediante immunofluorescenza indiretta ……………………………………..pag. 31 3.1.8 Screening dei cloni linfocitari immortalizzati mediante citofluorimetria di superficie ……………………………………….pag. 31 3.1.9 Screening dei cloni linfocitari immortalizzati mediante saggio biologico per la produzione di ROS ………………………………..pag. 32 3.1.10 Limiting dilution dei cloni linfocitari selezionati ……………...pag. 33 3.1.11 Analisi del repertorio immunoglobulinico dei cloni linfocitari selezionati ……………………………………………………………pag. 33 3.2 Produzione di IgG monoclonali umane ricombinanti anti-recettore del PDGF ……………………………………………………………………….pag. 36 3.2.1 Clonaggio dei geni immunoglobulinici nel vettore di espressione pDR12 ………………………………………………………………….pag. 36 3.2.2 Espressione transiente di IgG monoclonali umane ricombinanti in cellule eucariotiche …………………………………………………..pag. 40 3.2.3 Espressione stabile di IgG monoclonali umane ricombinanti in cellule eucariotiche …………………………………………………………...pag. 40 3.2.4 Saggio ELISA Anti-Human IgG …………………………………...pag. 41 3.2.5 Purificazione degli anticorpi dai sopranatanti di coltura ……...pag. 43 3.3 Caratterizzazione funzionale delle IgG monoclonali umane ricombinanti anti-recettore del PDGF …………………………………………………pag. 44 3.3.1 Immunoprecipitazione del PDGFR umano …………………….pag. 44 3.3.2 Saggio biologico per la determinazione di ROS …………………pag. 45 3.3.3 Valutazione del livello di espressione dei geni del collageno mediante Real-Time PCR ……………………………………………………….pag. 46 3.3.4 Saggio di legame degli anticorpi su fase solida ………………….pag. 49 II Indice 3.4 Modellazione per omologia del PDGFR umano e delle IgG monoclonali umane ricombinanti anti-recettore del PDGF ……………………….pag. 52 3.5 Docking molecolare dei complessi PDGFR - IgG monoclonali umane ricombinanti ……………………………………………………………….pag. 53 3.6 Costruzione e screening di una library peptidica del PDGFR umano ...... ……………………………………………………………………………….pag. 54 3.7 Analisi dei CDR3 mediante Real-Time PCR …………………………pag. 55 4. RISULTATI pag. 58 4.1 Analisi del repertorio immunoglobulinico di pazienti affetti da sclerosi sistemica …………………………………………………………………...pag. 59 4.1.1 Isolamento e immortalizzazione di cloni linfocitari B memoria autoreattivi nei confronti del PDGFR umano ………………….pag. 59 4.1.2 Isotipo delle immunoglobuline prodotte dai cloni linfocitari B memoria selezionati …………………………………………………pag. 59 4.1.3 Reattività nei confronti del PDGFR umano degli anticorpi prodotti dai cloni linfocitari B memoria selezionati ………………………pag. 59 4.1.4 Sequenziamento delle regioni variabili delle catene pesanti e leggere precedentemente isolate …………………………………………….pag. 62 4.2 Produzione di IgG monoclonali umane ricombinanti anti-recettore del PDGF ……………………………………………………………………….pag. 64 4.3 Caratterizzazione funzionale delle IgG monoclonali umane ricombinanti anti-recettore del PDGF …………………………………………………pag. 66 III Indice 4.4 Studio dell’interazione tra le IgG monoclonali ricombinanti e il PDGFR umano ………………………………………………………………………pag. 69 4.5 Epitope mapping del PDGFR umano ………………………………..pag. 74 4.6 Identificazione di peptidi inibitori delle IgG monoclonali umane ricombinanti anti-recettore del PDGF ………………………………...pag. 76 4.7 Indagine epidemiologica …………………………………………………pag. 78 5. DISCUSSIONE pag. 80 6. BIBLIOGRAFIA pag. 86 IV 1. INTRODUZIONE 1. Introduzione 1.1 Sclerosi sistemica La sclerosi sistemica o sclerodermia (SSc) è una malattia sistemica cronica caratterizzata da: progressivo ispessimento e fibrosi della cute e variabile coinvolgimento viscerale, causati da un’eccessiva deposizione di collageno e di altri costituenti della matrice extracellulare nel tessuto connettivo del derma e a livello di altri organi interni, quali tratto gastrointestinale, polmoni, cuore e reni, vasculopatia obliterativa del microcircolo e delle arterie muscolari di piccolo calibro, fenomeni autoimmunitari. La sclerosi sistemica è una patologia rara ma presente in tutto il mondo, sebbene la sua diffusione mostri una certa eterogeneità nelle diverse etnie1. Colpisce in una fascia d’età compresa tra i 30 e i 50 anni, con maggiore frequenza nel sesso femminile rispetto a quello maschile (rapporto femmine:maschi variabile da 3:1 a 14:1). I dati più recenti indicano una prevalenza di 50-300 casi per 1 milione di abitanti ed un’incidenza compresa tra 2,3 e 22,8 casi per 1 milione di abitanti all’anno 2. La sua eziologia resta ancora sconosciuta. La maggiore incidenza nelle donne, il clustering familiare della malattia e la sua frequente associazione con altri disturbi autoimmunitari, le differenze nella prevalenza e nelle manifestazioni cliniche osservabili in diverse razze e gruppi etnici suggeriscono l’esistenza di una componente genetica alla base della patogenesi della sclerodermia3. E’ stato dimostrato che esistono aplotipi HLA di tipo II in grado di aumentare la suscettibilità a sviluppare la malattia4, mentre la presenza di alcuni polimorfismi genetici sembra correlare con alcune coorti di pazienti, influenzando la gravità dei sintomi e l’esito della malattia5. 2 1. Introduzione Si ritiene tuttavia che la suscettibilità genetica sia associata all’esposizione a fattori di rischio ambientali, quali agenti infettivi, solventi organici ed altre sostanze tossiche6. 1.1.1 Varianti cliniche A seconda dell’estensione del coinvolgimento cutaneo, valutata secondo lo score cutaneo di Rodnan, si distinguono tre forme di sclerosi sistemica 7: Sclerosi sistemica limitata, che si presenta con sclerosi cutanea simmetrica, distalmente ai gomiti e alle ginocchia, e presenza del fenomeno di Raynaud, che precede anche di molti anni la comparsa di un variabile coinvolgimento viscerale. Dal punto di vista sierologico si caratterizza per una positività degli anticorpi anti-centromero nel 70-80% dei pazienti, mentre alla capillaroscopia si evidenziano dilatazioni delle anse capillari, i cosiddetti “megacapillari”, in assenza di perdita degli stessi. Generalmente questa forma ha una prognosi migliore, salvo una piccola percentuale di casi, compresa tra il 10% e il 15%, che dopo un periodo di tempo variabile sviluppa ipertensione arteriosa polmonare, in associazione o meno a pneumopatia interstiziale diffusa. All’interno della forma ad interessamento cutaneo limitato veniva in passato compresa la sindrome CREST (acronimo per calcinosi, fenomeno di Raynaud, disfunzione della motilità esofagea, sclerodattilia, teleangectasie), sebbene questo termine sia ormai in disuso, vista la difficoltà nell’inquadrare tale sindrome all’interno di questo o di altri sottogruppi8. Sclerosi sistemica diffusa, caratterizzata da un coinvolgimento rapido e simmetrico della cute del tronco e degli arti prossimalmente ai gomiti e alle ginocchia, con precoce e grave interessamento viscerale. In questa forma, diversamente che in quella limitata, la comparsa del fenomeno di Raynaud è generalmente contemporanea alle altre manifestazioni cliniche e la prognosi è peggiore. Caratteristica è la presenza di positività degli anticorpi antitopoisomerasi I ed il riscontro capillaroscopico di dilatazione e rarefazione dei capillari periungueali. 3 1. Introduzione Sclerosi sistemica sine scleroderma, caratterizzata da un variabile coinvolgimento viscerale in assenza di sclerosi cutanea 9. In tale variante il fenomeno di Raynaud può essere più o meno presente e la sierologia immunitaria può risultare positiva sia per gli anticorpi anti-topoisomerasi I che per gli anticorpi anti-centromero. Negli ultimi anni è stato inoltre introdotto il concetto di pre-sclerodermia o early scleroderma, che riconosce i seguenti criteri diagnostici10: presenza del fenomeno di Raynaud, presenza di puffy fingers, assenza di coinvolgimento d’organo, presenza o meno di alterazioni capillaroscopiche compatibili con scleroderma pattern, presenza di positività per almeno uno degli anticorpi marcatori (anti-centromero o anti-topoisomerasi I). Numerose sono le condizioni simil-sclerodermiche che entrano in diagnosi differenziale con la sclerosi sistemica. Esistono forme localizzate come la morfea, che si presenta con aree sparse di indurimento cutaneo, o come la sclerodermia localizzata, nella quale vi è un’unica area interessata al volto o ad un arto (lesione a colpo di sciabola). Altre lesioni simil-sclerodermiche sono conseguenza dell’esposizione a sostanze chimiche quali polvere di silicio, cloruro di vinile, silicone, paraffina, o a farmaci come la bleomicina. Anche la Graft Versus Host Disease (GVHD) cronica può comparire con aspetto sclerodermico. Infine sono presenti altre forme, ad eziologia per lo più sconosciuta, come la sindrome eosinofilia-mialgia, la fascite eosinofila e lo scleroderma postinfettivo di Bùschke. 4 1. Introduzione 1.1.2 Manifestazioni cliniche L’esordio clinico della sclerosi sistemica è nella maggior parte dei casi subdolo, generalmente preceduto o accompagnato dal fenomeno di Raynaud, cui fanno seguito edema e progressiva fibrosi cutanea, insieme ai primi sintomi di fibrosi degli organi interni. Più raramente la prima manifestazione è data dal coinvolgimento viscerale, con comparsa di dispnea da sforzo e disturbi esofagei. Il coinvolgimento degli organi interni è un fattore determinante nel definire la prognosi della malattia. Fenomeno di Raynaud Il fenomeno di Raynaud è un evento vasospastico parossistico delle arteriole delle mani e dei piedi, scatenato dal freddo, dal contatto con l’acqua, dalle vibrazioni o da particolari stati emotivi. Riscontrabile anche nel 3% della popolazione sana, come condizione benigna e transiente in molte giovani donne, è tuttavia presente nel 95% dei pazienti affetti da sclerosi sistemica, spesso come sintomo di esordio della malattia. La sua manifestazione clinica è trifasica, caratterizzata da pallore da vasospasmo, seguito da cianosi da ischemia e da rossore da iperemia, dovuto alla successiva rivascolarizzazione. Possono coesistere dolore, torpore e parestesie. Oltre alle dita delle mani, che rappresentano la sede più frequentemente colpita, il fenomeno può interessare altre zone generalmente esposte, come le dita dei piedi, la punta del naso e i padiglioni auricolari. Nel lungo periodo il fenomeno di Raynaud può determinare la comparsa di ulcere acrali e necrosi cutanea, fino all’amputazione. Cute Nella storia naturale della sclerosi sistemica si distinguono classicamente tre fasi, sebbene spesso dai limiti sfumati e non necessariamente tutte presenti. Nelle fasi precoci della malattia la cute delle mani e degli avambracci è colpita da un edema simmetrico, duro, talvolta associato ad eritema. Tale 5 1. Introduzione fenomeno prende il nome di “puffy fingers”, a causa dell’aspetto particolarmente tozzo assunto dalle dita delle mani. Dopo un periodo di settimane o di mesi, l’iniziale fase di scleredema lascia spazio ad una fase intermedia fibrotica, caratterizzata da un progressivo ispessimento cutaneo. La cute diventa lucida, tesa, intensamente pigmentata e strettamente aderente al sottocute, compromettendo la mobilità di muscoli, tendini ed articolazioni. Il paziente assume la tipica “facies sclerodermica”, caratterizzata da microstomia, labbra fini e raggrinzite, cute tesa ed anelastica, perdita delle rughe e della mimica facciale, possibile presenza di teleangectasie al volto. Si assiste alla progressiva scomparsa dei peli, delle secrezioni sebacee e della sudorazione. Sono inoltre osservabili tipiche discromie o aree di depigmentazione. Poiché nelle zone perifollicolari la perdita di pigmento è risparmiata, la cute assume un aspetto a “sale e pepe”. Più spesso compare una iperpigmentazione che conferisce una tipica abbronzatura simil-addisoniana. Le dita assumono un caratteristico atteggiamento in flessione (dita ad artiglio). Frequente è la formazione di ulcere cutanee, soprattutto a livello acrale e delle prominenze ossee sulle superfici estensorie degli arti. Possono inoltre comparire calcificazioni intra e sottocutanee, che si localizzano preferibilmente a livello dei polpastrelli delle dita, lungo la superficie estensoria degli avambracci, a livello della borsa olecranica e nell’area attorno alla patella. A distanza di anni dall’esordio, nella fase terminale della malattia, la cute può tornare ad ammorbidirsi e assume un aspetto sottile e atrofico. Apparato osteo-articolare L’alterazione ossea più caratteristica nel paziente sclerodermico è l’osteolisi della falange distale delle dita delle mani. Possono comparire artromialgie secondarie all’atteggiamento viziato in flessione delle dita e all’incarceramento di tendini e legamenti da parte del tessuto fibroso sottocutaneo, apprezzabile clinicamente come sfregamenti tendinei. Raramente si sviluppa una franca artrite, prevalente nei pazienti con connettivite da overlap (sclerosi sistemica + artrite reumatoide). 6 1. Introduzione Apparato gastroenterico E’ uno dei più frequentemente interessati in corso di malattia, con progressiva fibrosi e atrofia dei muscoli lisci dalla bocca all’ano. In particolare, circa il 90% dei pazienti affetti da sclerosi sistemica presenta un interessamento esofageo, che si manifesta principalmente con rigurgito e pirosi retrosternale, secondari a reflusso gastro-esofageo, e con disfagia da rallentata motilità, in particolare per i cibi solidi. La principale alterazione alla base dei disturbi esofagei è la riduzione o la scomparsa della peristalsi del terzo distale dell’esofago, causata da un deficit nella trasmissione neuromuscolare e da una progressiva perdita di tono dello sfintere esofageo inferiore, con conseguente acalasia dello stesso. Tali alterazioni possono essere evidenziate mediante esofagogastroduodenoscopia (EGDS), studio radiologico delle prime vie digestive e manometria esofagea. L’intestino rappresenta una localizzazione di malattia più rara, ma spesso difficilmente trattabile. L’interessamento del tenue è causa di gonfiore, dolore addominale e della comparsa di una sindrome da malassorbimento. Ciò è dovuto ad un’eccessiva crescita batterica secondaria al rallentato transito nell’intestino atonico e all’ostruzione dei vasi linfatici in seguito a progressiva fibrosi di parete. Ne conseguono uno stato di malnutrizione e diarrea. A livello dell’intestino crasso i disturbi principali possono essere stipsi cronica e formazione di fecalomi, con episodi di ostruzione intestinale e diverticolosi. Può comparire infine uno stato di disfunzione anorettale, con conseguente incontinenza. Apparato respiratorio La localizzazione polmonare di malattia è una delle più frequenti in corso di sclerosi sistemica, presente in più del 70% dei casi, e si è dimostrata essere la principale causa di morte in questi pazienti. Il sintomo più comunemente lamentato è una dispnea da sforzo, spesso accompagnata da tosse cronica stizzosa. Tipico è il riscontro di rantoli crepitanti teleinspiratori alle basi polmonari. La spirometria evidenzia un 7 1. Introduzione quadro respiratorio di tipo restrittivo e una ridotta diffusione del monossido di carbonio. Il coinvolgimento polmonare può essere osservato anche mediante imaging, tramite High Resolution Computed Tomography (HRCT) del torace. Il segno radiologico classico è dato da una pneumopatia infiltrativa diffusa prevalente alle basi, con successiva evoluzione in fibrosi diffusa. Nelle fasi precoci della malattia, ancora reversibili, si evidenzia un quadro “ground glass”, con aree “a vetro smerigliato”, indicativo di alveolite. Il lavaggio broncoalveolare (BAL) rivela un elevato numero di cellule, rappresentate da macrofagi alveolari, neutrofili ed eosinofili. Tale condizione può essere seguita, dopo un periodo di tempo variabile, da una fase terminale irreversibile di fibrosi polmonare, evidenziabile come “honey combing” o “polmone a nido d’ape”. Non sempre gli aspetti descritti si succedono in maniera ordinata, sovrapponendosi il più delle volte nello stesso paziente. Un’entità clinica distinta dalla precedente, ad esclusivo appannaggio della forma limitata (meno del 10% dei casi dopo un periodo di tempo variabile dalla diagnosi), è rappresentata dall’ipertensione polmonare con cuore polmonare cronico e insufficienza cardiaca destra finale, anche in assenza di fibrosi polmonare. Questi pazienti presentano un rapido peggioramento della dispnea e della qualità di vita, con elevata mortalità e necessità, in fase terminale, di trapianto di polmone. Cuore Studi bioptici dimostrano che il cuore è frequentemente interessato in corso di sclerosi sistemica. Patogeneticamente bisogna distinguere tra un coinvolgimento primitivo del pericardio, del miocardio o delle arterie coronariche intramiocardiche, progressivamente invasi da tessuto fibrotico, e un coinvolgimento cardiaco secondario a pneumopatia infiltrativa diffusa o a ipertensione arteriosa polmonare. La sostituzione del tessuto miocardico e/o del tessuto di conduzione da parte di tessuto fibroso può determinare cardiomiopatia di tipo restrittivo, blocchi di conduzione e aritmie. La cardiomiopatia sclerodermica si associa ad una elevata mortalità. 8 1. Introduzione Reni Il coinvolgimento renale è raro in corso di sclerosi sistemica ed è quasi esclusivo dei pazienti con malattia diffusa e con una rapida progressione cutanea. Il 20% di questi soggetti viene colpito da una complicanza molto grave, denominata crisi renale sclerodermica, caratterizzata dal rapido instaurarsi di un’emergenza ipertensiva seguita immediatamente da un’insufficienza renale rapidamente progressiva. Fattori predittivi sono la forma diffusa di malattia, un rapido peggioramento dell’ispessimento cutaneo, un’anemizzazione di recente insorgenza e manifestazioni cardiovascolari quali insufficienza cardiaca o versamento pericardico. Il quadro clinico e laboratoristico è caratterizzato da un incremento notevole della pressione arteriosa (il 10% circa delle crisi renali sono però normotensive), dalla comparsa di un’insufficienza renale acuta, dal raddoppio dell’attività reninica plasmatica, da anemia emolitica microangiopatica, da piastrinopenia e da insufficienza cardiaca. Altre manifestazioni Nei pazienti affetti da sclerosi sistemica è possibile riscontrare xerostomia e/o xeroftalmia, insieme ad altre manifestazioni autoimmunitarie come l’ipotiroidismo e la cirrosi biliare primitiva. Da un punto di vista laboratoristico è presente una sindrome biologica da flogosi con aumento della VES, anemia iporigenerativa e ipergammaglobulinemia policlonale. 1.1.3 Aspetti patogenetici I meccanismi responsabili della patogenesi della sclerosi sistemica non sono ancora del tutto noti. I tre aspetti fino ad oggi considerati patogenetici della malattia sono: ▪ il danno endoteliale ▪ l’eccessiva produzione e deposizione di collageno da parte dei fibroblasti ▪ l’attivazione del sistema immunitario. 9 1. Introduzione Si ritiene infatti che l’attivazione reciproca delle cellule endoteliali, dei fibroblasti e dei linfociti, e la comunicazione che si stabilisce fra essi mediante la produzione di citochine e di prodotti del metabolismo cellulare siano alla base del meccanismo che conduce alla malattia. Danno endotelio-vascolare Nella sclerosi sistemica l’insulto iniziale sembra interessare l’endotelio vasale11. Il danno endotelio-vascolare è infatti un evento precoce, presente sin dalle prime fasi della malattia, e precede la fibrosi. Esso coinvolge il tratto microvascolare, in particolare le arteriole12, e interessa virtualmente tutti gli organi. Apoptosi e modificazioni del fenotipo endoteliale sono rilevabili già nella fase preclinica della malattia. Si determinano, dapprima, fenomeni di vasospasmo e, successivamente, alterazioni ischemiche permanenti. La principale manifestazione clinica di questo danno microvascolare è il fenomeno di Raynaud. Successivamente, con l’evoluzione della malattia, si assiste ad una fase transitoria in cui il citoplasma si vacuolizza e le cellule endoteliali perdono il contatto tra loro. Ne consegue un aumento di permeabilità dell’endotelio vasale e la comparsa di un infiltrato infiammatorio perivascolare, costituito da linfociti T, macrofagi, linfociti B e mastcellule, che giustifica la fase edematosa della malattia, clinicamente evidente con il fenomeno delle “dita a salsicciotto”13. A questa prima fase fa seguito una seconda fase fibrotica, che si caratterizza per un’eccessiva deposizione di matrice extracellulare, proliferazione concentrica dell’intima, iperplasia della media, stenosi ed occlusione trombotica o fibrotica del lume vascolare14, progressiva rarefazione e perdita delle strutture capillari. La progressiva regressione dei capillari fino alla loro completa scomparsa è verosimilmente giustificata da un’aumentata apoptosi delle cellule endoteliali sclerodermiche. I fattori chiamati in causa per spiegare il danno a carico dell’endotelio vasale sono molteplici, di natura immunologica e non. 10 1. Introduzione La possibilità che anticorpi anti-endotelio possano contribuire al danno è stata prospettata ma non confermata15. Nella sclerosi sistemica è stata tuttavia dimostrata una iper-reattività immunitaria nei confronti della membrana basale, soprattutto verso il collageno IV16 e la laminina17. Anticorpi o cellule effettrici potrebbero dunque interferire con la normale proliferazione delle cellule endoteliali. Nel siero dei pazienti sclerodermici è stata inoltre riscontrata la presenza di elevate quantità di citochine (PDGF, IL-1, IL-2, TNF , leucotriene B4, endotelina 1 e TGFβ18) potenzialmente in grado di danneggiare, direttamente o indirettamente, il microcircolo. Tra i meccanismi non immunologici di danno endoteliale stata rivolta una particolare attenzione ai radicali liberi dell’ossigeno (Reactive Oxygen Species, ROS). E’ stato infatti dimostrato che ripetuti eventi di ischemiariperfusione secondari al fenomeno di Raynaud determinano la liberazione di ROS nei tessuti, in particolare di perossido di idrogeno (H2O2)19. Le cellule endoteliali, essendo prive di catalasi, enzima chiave nel sistema antiossidante intracellulare, sono particolarmente sensibili all’azione tossica di questo radicale libero dell’ossigeno20. Eccessiva produzione e deposizione di collageno da parte dei fibroblasti L’elemento maggiormente caratterizzante la sclerodermia è l’aumentata produzione di matrice extracellulare da parte dei fibroblasti. Si è visto che, in colture cellulari primarie, i fibroblasti ottenuti da biopsie cutanee di pazienti affetti da sclerosi sistemica, pur in assenza di stimoli esogeni, hanno una capacità di produrre collageno da 2 a 4 volte maggiore rispetto ai fibroblasti ottenuti da biopsie di cute sana21,22. I dati raccolti in vitro sembrano indicare che i fibroblasti sclerodermici sono inoltre dotati di un’aumentata capacità proliferativa, ma non si conoscono i meccanismi alla base di questo fenomeno. Tali cellule presentano dunque alterazioni strutturali e funzionali che conferiscono loro un fenotipo miofibroblastico pro-fibrotico, caratterizzato da un’aumentata espressione dell’RNA messaggero per l’ -actina del muscolo liscio e per il collageno. Tuttavia non è chiaro se ciò dipenda da un difetto 11 1. Introduzione intrinseco dei fibroblasti, da una reazione a stimoli esterni o da una combinazione dei due fenomeni. I fibroblasti sclerodermici sono certamente dotati di una spiccata sensibilità alla stimolazione citochinica. Ciò nonostante il significato patogenetico di tali citochine rimane oscuro; è infatti estremamente difficile attribuire a qualsiasi citochina un ruolo patogenetico preponderante, così come è improbabile che una soltanto di esse sia responsabile dell’insorgenza della malattia. Attivazione del sistema immunitario Diverse osservazioni hanno suggerito un ruolo patogenetico del sistema immunitario nella sclerosi sistemica e numerosi studi sono stati condotti per definire quali siano le cellule del sistema immunitario coinvolte nella malattia. Particolare attenzione è stata rivolta ai linfociti T. Nella cute e nel liquido di lavaggio bronco-alveolare (BAL) dei pazienti sclerodermici sono presenti sia linfociti T CD4+ che linfociti T CD8+23. L’attività di queste cellule potrebbe essere responsabile del danno endoteliale e della fibrosi nei pazienti con sclerosi sistemica, mediante effetti citotossici o attraverso la produzione di mediatori solubili. E’ noto che, in condizioni normali, i linfociti Th1 producono IFN- , IL-2 e TNF- , responsabili della risposta immunitaria cellulo-mediata, mentre i linfociti Th2 secernono IL-4, IL-5, IL-6, IL-9, IL-10 e IL-13, che promuovono una risposta immunitaria di tipo umorale24,25. Nella sclerosi sistemica è stata dimostrata una produzione citochinica prevalentemente di tipo Th2, con un aumento significativo di IL-426,27. Lo studio dei TCR ha inoltre evidenziato nei pazienti sclerodermici una restrizione oligoclonale dei linfociti T, suggerendo l’esistenza di un fattore antigenico attivatorio che potrebbe essere alla base della malattia 28. Numerosi agenti infettivi sono stati presi in considerazione per spiegare questa attivazione oligoclonale dei linfociti T, ma per nessuno di essi è stato dimostrato un legame diretto con il fenotipo sclerodermico. Anche i linfociti B sono coinvolti nella patogenesi della sclerosi sistemica, come dimostrato dalla presenza nel siero dei pazienti sclerodermici di vari 12 1. Introduzione tipi di autoanticorpi, tra cui quelli anti-topoisomerasi I, anti-centromero e anti-proteine nucleolari. Non essendo mai stata dimostrata una loro attività biologica, tali autoanticorpi sembrerebbero rappresentare un epifenomeno, cioè il prodotto di eventi che si verificano in corso di malattia, quali il danno cellulare, piuttosto che l’evento patogenetico iniziale29. A conferma del fatto che questi autoanticorpi non sono direttamente coinvolti nell’attività di malattia vi è il fatto che il loro titolo nei pazienti sclerodermici tende a rimanere relativamente stabile per anni. E’ stato anche dimostrato che i radicali liberi dell’ossigeno, in presenza di metalli pesanti come ferro e rame, sarebbero in grado di liberare autoantigeni nucleari, inducendo così una risposta di tipo autoimmune30. 1.1.4 Diagnosi La diagnosi di sclerosi sistemica è clinica. Essa risulta solitamente agevole, soprattutto quando supportata da molteplici strumenti, come anamnesi ed esame obiettivo, indagini di laboratorio (ricerca degli autoanticorpi marcatori di malattia) ed esami strumentali (capillaroscopia ed esami specificamente atti a valutare il coinvolgimento dei vari organi interni). Difficoltà nella diagnosi si possono riscontrare nelle fasi precoci della malattia, quando la sclerosi sistemica si può manifestare unicamente con il fenomeno di Raynaud. In questi casi la diagnosi differenziale è piuttosto ampia, per via dell’elevato numero di cause che possono provocare tale fenomeno. 1.1.5 Terapia Al momento attuale non esiste una terapia eziopatogenetica in grado di curare la sclerosi sistemica, ma soltanto farmaci sintomatici in grado di tenere sotto controllo i disturbi più comuni della malattia. Al momento attuale i farmaci generalmente utilizzati nel trattamento della sclerosi sistemica sono: 13 1. Introduzione Farmaci immunosoppressori I farmaci immunosoppressori (farmaci antinfiammatori non sterodei, corticosteroidi ad alto dosaggio, ciclofosfamide in associazione con steroidi, ciclosporina) hanno una scarsa efficacia e il loro uso è razionalmente limitato alle forme di sclerodermia caratterizzate da una forte componente flogistica, per controllare i dolori articolari, muscolari e tendinei. La spiegazione della loro scarsa efficacia come terapia di fondo della sclerosi sistemica va ricercata nell’attuale concezione patogenetica della malattia: l’attivazione immunologica e la conseguente produzione di citochine e di fattori di crescita creano un circuito autocrino che si perpetua anche in assenza dello stimolo immunitario iniziale. Farmaci antifibrotici Un farmaco antifibrotico ideale dovrebbe essere in grado di rimuovere l’eccesso insolubile di fibre collagene senza danneggiare la struttura dell’organo. Un farmaco antifibrotico con queste caratteristiche al momento non esiste. Gli interferoni sono le sostanze dotate della maggiore efficacia nell’inibire la sintesi del collageno e la proliferazione dei fibroblasti. La lunga durata della malattia in rapporto ai loro numerosi effetti collaterali ne rendono tuttavia difficile l’impiego nella pratica clinica. Terapie sintomatiche organo-specifiche I singoli pazienti sclerodermici presentano un coinvolgimento d’organo variabile e di diversa intensità. Questo fa sì che il trattamento debba essere personalizzato, per ridurre al minimo i sintomi e per preservare il più possibile la funzionalità di ciascun organo. Alcuni esempi paradigmatici di terapia sintomatica organo-specifica sono: gli analoghi della prostaciclina, ad azione vasoattiva, nel trattamento delle ulcere acrali e nell’ipertensione polmonare, gli inibitori della pompa protonica e i procinetici nell’esofagite da reflusso, gli inibitori dell’angiotensina convertasi (ACE-inibitori) nella crisi renale. 14 1. Introduzione Grazie ai progressi fatti nella ricerca, negli ultimi anni sono state inoltre adottate nuove terapie sperimentali, che hanno notevolmente contribuito a migliorare la qualità e l’aspettativa di vita dei pazienti sclerodermici. Tra i farmaci più efficaci citiamo il Rituximab, un anticorpo anti-CD20 in grado di ridurre l’ispessimento cutaneo. 15 1. Introduzione 1.2 Anticorpi e sclerosi sistemica La sclerosi sistemica è associata alla presenza, nel siero dei pazienti, di numerosi autoanticorpi, alcuni dei quali sono specifici, individuano particolari sottotipi di malattia e sono utili nel definirne la diagnosi e determinarne la prognosi, mentre altri sono stati recentemente associati ad un ruolo patogenetico31. 1.2.1 Anticorpi anti-nucleo (ANA) Presenti in oltre il 90% dei pazienti sclerodermici, la produzione degli anticorpi anti-nucleo è specifica ed esclusiva, spesso indicativa delle caratteristiche cliniche, del decorso e della severità della malattia. Tra di essi, gli anticorpi anti-centromero (ACA) e gli anticorpi antitopoisomerasi I (precedentemente definiti come anticorpi anti-Scl 70), in particolare, rappresentano i marker più utilizzati nella pratica clinica, perché in grado di differenziare i pazienti sclerodermici da quelli affetti da altre connettiviti e dai soggetti sani. Anticorpi anti-centromero (ACA) Gli anticorpi anti-centromero comprendono autoanticorpi specifici per sei diverse proteine centromeriche, CENP A-F. La loro presenza nel siero è rivelata dal tipico pattern di colorazione che essi assumono in immunofluorescenza indiretta su cellule HEp-2, mediante Western Blotting o, più recentemente, mediante test ELISA. Il loro titolo è stabile nel tempo e non dipende dall’attività di malattia. La loro frequenza nei pazienti sclerodermici è compresa tra il 20% e il 30%, con variazioni all’interno delle varie popolazioni etniche e a seconda delle caratteristiche genotipiche. Gli anticorpi anti-centromero sono generalmente associati ad un coinvolgimento cutaneo limitato accompagnato da ulcere digitali e calcinosi, a fibrosi polmonare assente o poco importante ma ad un aumentato rischio di sviluppare ipertensione arteriosa polmonare, correlando in definitiva con una prognosi migliore e con un minor tasso di mortalità. 16 1. Introduzione Anticorpi anti-topoisomerasi I Mutuamente esclusiva con la presenza degli anticorpi anti-centromero, la positività agli anticorpi anti-topoisomerasi I viene riscontrata in circa il 40% dei pazienti sclerodermici, con variazioni nella prevalenza influenzate dalle differenze etniche e dal genotipo. Gli anticorpi anti-topoisomerasi I vengono determinati mediante immunodiffusione doppia, immunoprecipitazione, Western Blotting o test ELISA, effettuati utilizzando come antigene la topoisomerasi I estratta dal timo di vitello o proteine ricombinanti di fusione. Essi caratterizzano la variante diffusa della sclerosi sistemica e correlano con una prognosi peggiore della malattia, con una più estesa trasformazione fibrotica polmonare e con un più elevato rischio di crisi renale. Studi recenti attribuiscono agli anticorpi anti-topoisomerasi I un potenziale ruolo patogenetico. La topoisomerasi I liberata dalle cellule endoteliali apoptotiche sarebbe infatti in grado di legarsi specificamente alla superficie dei fibroblasti, fungendo così da antigene per la produzione di autoanticorpi. Il riconoscimento da parte degli autoanticorpi anti-topoisomerasi I indurrebbe quindi l’adesione e l’attivazione dei monociti, portando allo sviluppo della malattia32. 1.2.2 Gli Anticorpi anti-nucleolo (ANoA) anticorpi anti-nucleolo comprendono una serie di autoanticorpi specificamente diretti contro diverse proteine nucleolari, la cui presenza nel siero dei pazienti sclerodermici, piuttosto rara, risulta mutualmente esclusiva e individua particolari sottogruppi di malattia. Anticorpi anti-RNA polimerasi I, II e III Presenti in circa il 20% dei pazienti sclerodermici, in associazione o meno con gli anticorpi anti-RNA polimerasi II, gli anticorpi anti-RNA polimerasi I e III generalmente coesistono, rappresentando dei marcatori specifici di sclerosi sistemica. Essi correlano con la forma diffusa della malattia, con una bassa probabilità di sviluppare fibrosi polmonare ma con un elevato rischio di crisi renale. 17 1. Introduzione Anticorpi anti-Th/To Gli anticorpi anti-Th/To sono autoanticorpi specificamente diretti contro ribonucleoproteine associate rispettivamente all’RNA degli enzimi RNase P e RNase MRP. La loro presenza nel siero, riscontrata nel 2-5% dei pazienti sclerodermici e generalmente associata a sclerosi cutanea limitata, è tuttavia indicativa di un elevato rischio di sviluppare un serio coinvolgimento degli organi interni, caratterizzato da fibrosi polmonare e crisi renale, con prognosi infausta. Anticorpi anti-U3-RNP Il principale autoantigene bersaglio degli anticorpi anti-U3-RNP è la fibrillarina, un componente del complesso ribonucleoproteico nucleolare U3. Mutuamente esclusiva con la presenza degli anticorpi anti-nucleo e degli anticorpi anti-RNA polimerasi, la positività agli anticorpi anti-U3-RNP viene riscontrata nel 4-10% dei pazienti sclerodermici, ma anche in alcuni pazienti affetti da lupus eritematoso sistemico. Gli anticorpi anti-U3-RNP sono generalmente associati alla variante diffusa della malattia, ma con caratteristiche cliniche fortemente influenzate dal gruppo etnico di appartenenza. Anticorpi anti-hUBF Marcatori non specifici di sclerosi sistemica, presenti anche in altre patologie del tessuto connettivo, gli anticorpi anti-human upstream binding factor, (precedentemente identificati come anticorpi anti-nucleolus organizing region NOR 90) correlano con sclerosi cutanea limitata e debole coinvolgimento viscerale, con prognosi favorevole. Anticorpi anti-U11/U12-RNP Specificamente diretti contro ribonucleoproteine dello spliceosoma, gli anticorpi anti-U11/U12-RNP si associano a fenomeno coinvolgimento gastro-intestinale e fibrosi polmonare. 18 di Raynaud, 1. Introduzione Anticorpi anti-U1-RNP Specificamente diretti contro una ribonucleoproteina coinvolta nello splicing degli hnRNA, gli anticorpi anti-U1-RNP sono diffusi nel 90% dei soggetti con patologie autoimmunitarie a carico del tessuto connettivo, ma solo nel 6% dei soggetti con sclerosi sistemica. I pazienti sclerodermici positivi agli anticorpi anti-U1-RNP presentano generalmente fenomeno di Raynaud e puffy fingers, artrite e disfunzione esofagea, ma in genere rispondono positivamente alle terapie con farmaci corticosteroidei, con conseguente prognosi finale favorevole. Anticorpi anti-PM-Scl Inizialmente scoperti nei soggetti con sindrome da overlap polimiosite-sclerosi sistemica, gli anticorpi anti-PM-Scl sono presenti nel 4-11% dei pazienti sclerodermici, predittivi di una forma limitata di malattia, spesso ottimamente trattabile con terapia corticosteroidea. Anticorpi anti-Ku Originariamente ritenuti specifici di sclerosi sistemica, gli anticorpi anti-Ku sono presenti nel siero di soggetti affetti anche da altre patologie del tessuto connettivo, spesso con sindromi da overlap, e sono oggi considerati indicativi di miosite. 1.2.3 Anticorpi anti-fosfolipidi (aPL) e anti-cardiolipina (aCL) Presenti rispettivamente nel 20-25% e nel 10% dei pazienti sclerodermici, tali autoanticorpi sono associati a trombosi e ipertensione polmonare. Gli anticorpi anti-cardiolipina sono diffusi anche nel 70% dei soggetti con morfea. 19 1. Introduzione 1.2.4 Anticorpi anti-cellule endoteliali (AECA) Inizialmente identificati grazie alla loro capacità di reagire contro antigeni di membrana di cellule HUVEC (Human Umbilical Vascular Endothelial Cells), gli anticorpi anti-cellule endoteliali sono indicativi dell’entità del danno vascolare e dell’estensione del coinvolgimento viscerale, essendo presenti nel 23% dei soggetti con fenomeno di Raynaud, nel 44% dei pazienti con sclerosi sistemica limitata e nell’85% dei pazienti con variante diffusa di malattia 15. Tali autoanticorpi sono in grado di indurre nelle cellule endoteliali un’aumentata espressione di citochine infiammatorie (IL-1, IL-6 e MCP-1) e di molecole di adesione (ICAM-1, ICAM-2, ICAM-3 e VCAM-1) coinvolte nella chemotassi dei monociti e dei linfociti T, con attivazione di reazioni di citotossicità anticorpo-mediata e conseguente apoptosi delle cellule stesse. Il ruolo degli anticorpi anti-cellule endoteliali nella patogenesi della sclerosi sistemica non è stato tuttavia ancora chiarito: non è noto infatti se la loro produzione derivi dall’esposizione, in seguito al danno vascolare, di neoantigeni cellulari di superficie o se sia una sua diretta conseguenza. 1.2.5 Anticorpi anti-fibroblasti (AFA) Gli anticorpi anti-fibroblasti, presenti nel siero sia come IgG che come IgM, sono stati rinvenuti rispettivamente nel 58% e nel 48% dei pazienti affetti da sclerosi sistemica diffusa. Tali anticorpi inducono nei fibroblasti umani un aumento dose-dipendente dell’espressione di interleuchina-1, di interleuchina-6 e della molecola di adesione ICAM-1, favorendo un fenotipo pro-infiammatorio e pro-adesivo32. Attraverso il legame con il recettore di membrana TLR-4, essi sono inoltre in grado di stimolare l’espressione di chemochine a nota azione pro-fibrotica come MCP-1/CCL2, con conseguente metalloproteinasi 133. 20 sintesi di collageno e di 1. Introduzione 1.2.6 Anticorpi anti-recettore del PDGF La citochina PDGF Il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF) è un potente mitogeno per le cellule di origine mesenchimale, in particolare per i fibroblasti e per le cellule muscolari lisce del tessuto connettivo. Il PDGF umano è un eterodimero costituito da quattro catene polipeptidiche A, B, C e D, legate tra loro da ponti disolfuro a formare cinque isoforme biologicamente attive: AA, BB, AB, CC e DD. Lo studio della sequenza amminoacidica della catena polipeptidica B ha evidenziato un’elevata omologia con il prodotto dell’oncogene retrovirale v-sis del Simian Sarcoma Virus (SSV), suggerendo un potenziale potere trasformante del PDGF35. Il recettore del PDGF Le diverse isoforme del PDGF esercitano la loro azione attraverso recettori tirosina-chinasici dotati di elevata affinità per la loro citochina naturale 36. Ciascun recettore si compone di due catene, e/o , lunghe rispettivamente 1089 amminoacidi e 1106 amminoacidi, che dimerizzano tra loro in seguito al legame con il proprio ligando, dando origine a tre isoforme biologicamente attive: , ,e . Le diverse isoforme del recettore condividono la stessa organizzazione strutturale, essendo costituite da: • una porzione extracellulare, all’estremità N-terminale, ricca di residui di cisteina e organizzata in cinque domini immunoglobulinici, responsabile dell’interazione con il PDGF, • un dominio transmembrana, formato da 25-30 amminoacidi idrofobici, • una regione intracellulare, all’estremità C-terminale, organizzata in due domini tirosina-chinasici separati tra loro da una sequenza di circa 100 amminoacidi. 21 1. Introduzione L’analisi della sequenza amminoacidica del PDGFR e del PDGFR umani ha evidenziato una forte omologia tra i due, pari al 44%, con regioni molto conservate, lunghe più di 5 amminoacidi, nella porzione extracellulare, con un’identità di sequenza del 74%-87% nel dominio chinasico e con un numero variabile di residui di tirosina, 4 nella catena e 6 nella catena , in posizioni identiche all’estremità C-terminale, che rappresentano probabilmente i siti di autofosforilazione del recettore37. I due recettori differiscono per la loro affinità di legame nei confronti dei diversi ligandi: il PDGFR lega le isoforme AA, BB, AB e CC del PDGF, mentre il PDGFR lega le isoforme BB, DD e, con minore affinità, l’isoforma AB. I pattern di espressione delle varie isoforme del PDGF e del PDGFR sono diversi nei vari tessuti e i loro livelli di espressione risultano spazio-tempo regolati durante lo sviluppo, in risposta ad una serie di stimoli, in corso di infiammazione e in altre condizioni fisiopatologiche38. Segnali attivati dal PDGFR La dimerizzazione è il primo evento nell’attivazione del PDGFR ad opera del proprio ligando naturale, seguita dall’autofosforilazione dei residui di tirosina nel dominio intracellulare. Conseguentemente si ha un aumento dell’attività catalitica all’interno della regione chinasica, mentre in vari punti del dominio citoplasmatico si creano i siti di attacco per le diverse molecole coinvolte nella via di trasduzione intracellulare del segnale39. Extracellular signal-regulated kinase 1/2 (ERK1/2) L’attivazione del recettore del PDGF porta alla fosforilazione di chinasi citosoliche, tipicamente delle serina/treonina chinasi, appartenenti alla via di trasduzione intracellulare delle MAP chinasi. Ne risulta una cascata di eventi di fosforilazione che esita, in ultimo, nel reclutamento di fattori di trascrizione coinvolti nella crescita e nel differenziamento cellulare. 22 1. Introduzione L’innesco della via MAP chinasica ad opera del PDGFR richiede l’attivazione di RAS, una proteina monomerica con intrinseca capacità GTPasica. La conversione del nucleotide guaninico di RAS dalla forma inattiva GDP alla forma attiva GTP porta al suo legame con la serina-treonina chinasi RAF. All’attivazione di RAF seguono la fosforilazione e l’attivazione di MEK. L’enzima MEK, dotato di una doppia specificità, a sua volta fosforila la MAP chinasi ERK1/2 nei suoi due residui di treonina e di tirosina, con conseguente traslocazione nel nucleo e attivazione di diversi fattori di trascrizione. Quindi, mentre l’evento iniziale ha luogo sulla superficie cellulare, l’effetto finale di questa via di trasduzione del segnale si evidenzia nel nucleo, con un cambiamento nella trascrizione. Fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K) Attraverso il proprio dominio SH2, la fosfatidilinositolo 3-chinasi lega la tirosina fosforilata in posizione 751 del PDGFR. L’attivazione dell’enzima porta alla fosforilazione di fosfoinositidi presenti a livello della membrana cellulare, con produzione di fosfatidilinositolo 3,4,5-trifosfato (PIP3) che, fungendo da secondo messaggero, è a sua volta in grado di attivare una serie di serina-treonina chinasi, fosfochinasi e GTPasi. L’attivazione del pathway della fosfatidilinositolo 3-chinasi da parte del recettore del PDGF promuove la riorganizzazione dell’actina favorendo la mobilità cellulare, stimola la crescita delle cellule e ne inibisce l’apoptosi. Fosfolipasi C (PLC) La fosfolipasi C lega la tirosina fosforilata in posizione 1009 del PDGFR, divenendo così in grado di idrolizzare il fosfatidilinositolo 4,5-bifosfato (PIP2) in 1,2-diacilglicerolo (DAG) e in inositolo 1,4,5-trifosfato (IP3) che, fungendo da secondi messaggeri, inducono il rilascio degli ioni calcio dai compartimenti intracellulari. Attraverso l’attivazione della fosfochinasi C (PKC), l’enzima fosfolipasi C influenza inoltre la crescita e la mobilità cellulare. 23 1. Introduzione Anticorpi anti-PDGFR umano Recentemente il gruppo di ricerca del prof. Armando Gabrielli ha dimostrato la presenza nel siero dei pazienti sclerodermici di autoanticorpi anti-recettore del PDGF40 che, a differenza degli autoanticorpi precedentemente descritti, sono dotati di attività biologica, potendo così contribuire alla patogenesi della malattia. Tali anticorpi, legando il PDGFR presente sulla superficie cellulare dei fibroblasti, sono in grado di innescare una cascata intracellulare che, attraverso l’attivazione delle proteine Ha-Ras, ERK1/2 e NADPH ossidasi, induce un’iperproduzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) e, successivamente, un aumento della sintesi di collageno di tipo I e di -actina del muscolo liscio (figura 1)41. Il circuito sembra essere in grado di automantenersi anche in assenza dello stimolo immunitario che l’ha generato42. Questo meccanismo può spiegare l’eccessivo stress ossidativo e l’eccessiva produzione di collageno, caratteristiche salienti del fenotipo dei fibroblasti in corso di malattia sclerodermica. L’accumulo intracellulare di elevate quantità di ROS condurrebbe infatti a modificazioni tali da indurre nel fibroblasto sclerodermico uno stato profibrotico caratterizzato da una vivace attività proliferativa, da un’aumentata attività trascrizionale dei geni del collageno, da danno al DNA e da un’aumentata senescenza cellulare. I ROS agirebbero come secondi messaggeri, stimolando l’attivazione dei promotori dei geni del collageno di tipo I e dell’ -actina del muscolo liscio e automantenendo il circuito intracellulare che porta alla loro produzione indipendentemente dallo stimolo esogeno che li ha generati. 24 1. Introduzione Anticorpi anti-PDGFR P P P P P P PDGFR Ha-Ras ROS ERK1/2 NOX1 Collageno Figura 1 Segnale intracellulare indotto dagli anticorpi anti-recettore del PDGF rinvenuti nel siero dei pazienti sclerodermici. Il legame di tali autoanticorpi al PDGFR attiva il recettore, innescando nei fibroblasti umani l’attivazione a cascata delle proteine Ha-Ras, Erk1/2 e NADPH ossidasi (NOX1), con conseguente produzione di elevate quantità di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) e, successivamente, di collageno. 25 2. SCOPO DELLA RICERCA 2. Scopo della ricerca La sclerosi sistemica è una malattia devastante dal punto di vista clinico e psicologico, con un forte impatto sulla qualità e sulle prospettive di vita delle persone colpite. La diagnosi di sclerodermia è ancora oggi basata prevalentemente sulla clinica e, sebbene implementata da riscontri strumentali e laboratoristici, si incentra sul riconoscimento delle tipiche lesioni cutanee e viscerali, le quali compaiono però quando la malattia è già avanzata e sono dunque meno aggredibili con le terapie attualmente disponibili. La diagnosi precoce della malattia assume quindi una notevole rilevanza. La possibilità di identificare precocemente i pazienti che svilupperanno nel tempo gravi vasculopatie e lesioni fibrotiche permetterebbe di intervenire tempestivamente con farmaci potenzialmente in grado di bloccare o attenuare la cascata di eventi molecolari che conduce alle alterazioni sclerodermiche, con il risultato di prevenirne lo sviluppo. In questo contesto, le caratteristiche funzionali e patogenetiche degli anticorpi anti-recettore del PDGF rinvenuti nel siero dei pazienti sclerodermici fanno di essi un biomarker candidato sia per la diagnosi precoce che per il monitoraggio dell’attività di malattia e della risposta alle terapie. Scopo di questo progetto di ricerca è stato innanzitutto quello di analizzare il repertorio immunoglobulinico della risposta autoimmunitaria nei confronti del recettore del PDGF in alcuni pazienti sclerodermici. Sulla base delle sequenze geniche individuate sono stati quindi generati in vitro anticorpi monoclonali umani ricombinanti, con finalità di studio, diagnosi e terapia. La caratterizzazione degli stessi, in termini di struttura, di attività biologica e di espressione, ci ha infatti permesso di approfondire la nostra conoscenza dei meccanismi molecolari alla base della patogenesi della sclerodermia. In particolare, è in corso la ricerca delle sequenze nucleotidiche codificanti le regioni ipervariabili di tali autoanticorpi in una coorte di pazienti sclerodermici confrontata con coorti di soggetti normali, di soggetti con fenomeno di Raynaud o in fase di early scleroderma, al fine di verificare la presenza di differenze statisticamente significative nell’espressione dei geni codificanti alcune delle sequenze immunoglobuliniche d’interesse. 27 3. MATERIALI E METODI 3. Materiali e metodi 3.1 Analisi del repertorio immunoglobulinico di pazienti affetti da sclerosi sistemica 3.1.1 Pazienti sclerodermici Due soggetti con diagnosi di sclerosi sistemica, secondo i criteri dell’American College of Rheumatology, sono stati selezionati tra i pazienti afferenti alla S.O.D. Clinica Medica degli Ospedali Riuniti di Ancona. Dopo ottenimento del consenso informato, a ciascuno di essi sono stati prelevati 10 ml di sangue intero periferico in eparina. 3.1.2 Isolamento dei linfociti B memoria dal sangue periferico I campioni di sangue periferico dei due pazienti sclerodermici sono stati sottoposti a separazione su gradiente di densità (Ficoll-Hypaque – GE Healthcare) per ottenere una popolazione purificata di cellule mononucleate (Peripheral Blood Mononuclear Cells, PBMC). I PBMC sono stati quindi incubati per 15 minuti, ad una temperatura di 4°C, con microsfere magnetiche coniugate con anticorpi monoclonali anti-CD22 e la frazione linfocitaria B memoria, CD22+, separata in colonna magnetica mediante MAgnetic Cell Sorting (protocollo MACS – Miltenyi Biotec). 3.1.3 Isolamento dei linfociti B memoria IgG positivi Dai linfociti B memoria precedentemente ottenuti è stata poi isolata la sottopopolazione caratterizzata dall’espressione di immunoglobuline di classe G alla superficie cellulare. Ciò è stato realizzato con due metodiche alternative: una selezione positiva, mediante MACS con microsfere magnetiche coniugate ad anticorpi anti-IgG umane (Miltenyi Biotec), e una selezione negativa, mediante Fluorescence Activated Cell Sorting (FACS) con eliminazione dei linfociti B IgM+. La scelta della metodica da utilizzare si è basata sulla conta dei linfociti, privilegiando la selezione in positivo nei casi di basso numero di cellule e la selezione in negativo nei casi di alto numero di cellule. 29 3. Materiali e metodi 3.1.4 Immortalizzazione dei linfociti B memoria IgG positivi I linfociti B memoria IgG+ precedentemente selezionati sono stati immortalizzati, in collaborazione con il gruppo di ricerca della prof.ssa Ada Funaro dell’Università degli Studi di Torino, mediante infezione con virus di Epstein-Barr (EBV) ottenuto dal sopranatante di coltura di cellule di scimmia B95-8 (50% del volume della sospensione cellulare)43. Dopo circa 16 ore di incubazione ad una temperatura di 37°C e in atmosfera al 95% CO2, le cellule B sono state lavate in terreno per rimuovere il virus in eccesso e seminate in piastre da 24 pozzetti (Sarstedt), in terreno RPMI 1640 (Gibco) + 10% FBS (Gibco), con aggiunta di 1 μg/ml di CpG ODN 2006 (Coley Pharmaceutical Group) e di 200 U/ml di IL-2 (Roche) come attivatori policlonali. 3.1.5 Clonaggio dei linfociti immortalizzati Raggiunto un livello di confluenza soddisfacente, dopo circa 15 giorni di coltura, le cellule immortalizzate sono state staccate mediante tripsina-EDTA (Gibco), contate mediante camera di Bürker e seminate in piastre da 96 pozzetti (Sarstedt) ad una concentrazione di 10 cellule/pozzetto e 5 cellule/pozzetto, in terreno RPMI 1640 (Gibco) + 10% FBS (Gibco) e in presenza di un feeder layer (50.000 cellule/pozzetto) di PBMC allogenici ottenuti da sacche ematiche di donazione del Centro Trasfusionale di Ancona, inattivati mitoticamente mediante irraggiamento a dose subletale (30 Gy). 3.1.6 Analisi dell’isotipo delle immunoglobuline prodotte dai cloni linfocitari immortalizzati L’isotipo delle immunoglobuline secrete dai diversi cloni linfocitari immortalizzati nei rispettivi sopranatanti di coltura è stato determinato mediante saggio di immunodiffusione radiale di Ouchterlony, con anticorpi anti-IgG1, anti-IgG2, anti-IgM e anti-Ig totali (Cappel). I risultati ottenuti sono stati quindi confermati mediante Human IgG ELISA Kit (ZeptoMetrix Corporation). 30 3. Materiali e metodi 3.1.7 Screening dei cloni linfocitari immortalizzati mediante immunofluorescenza indiretta Per valutare la presenza di anticorpi specificamente diretti contro il PDGFR umano nei sopranatanti di coltura dei cloni linfocitari immortalizzati è stato effettuato un saggio di immunofluorescenza indiretta su cellule F (fibroblasti embrionali murini esprimenti il PDGFR umano, gentile dono del prof. Andrius Kazlauskas, Harvard Medical School, Boston). A tale scopo le cellule sono state staccate mediante tripsina-EDTA (Gibco), contate mediante camera di Bürker e risospese in PBS (50.000 cellule in 50 μl di PBS), quindi seminate su vetrini Lab-Tek (Nalge Nunc International) e poste a 4°C, per 1 ora, con 100 μl di ciascun sopranatante di coltura. Dopo due lavaggi in PBS (Gibco), le cellule sono state incubate per 40 minuti, ad una temperatura di 4°C, con un anticorpo secondario Rabbit Anti-Human IgG marcato con fluoresceina isotiocianato (Jackson ImmunoResearch Laboratories) e la positività della reazione immunologica è stata analizzata al microscopio a fluorescenza. I sopranatanti risultati positivi sono stati poi testati anche su cellule F-/(fibroblasti embrionali murini privi del PDGFR, gentile dono del prof. Andrius Kazlauskas, Harvard Medical School, Boston), così da escludere i cloni linfocitari produttori di IgG non specifiche nei confronti del PDGFR umano. 3.1.8 Screening dei cloni linfocitari immortalizzati mediante citofluorimetria di superficie La positività dei cloni linfocitari immortalizzati per IgG anti-PDGFR umano è stata confermata mediante analisi citofluorimetriche condotte su cellule F e cellule F-/- al FACSCalibur Flow Cytometer (Becton Dickinson), utilizzando i software CellQuest e WinMDI 2.9. 31 3. Materiali e metodi 3.1.9 Screening dei cloni linfocitari immortalizzati mediante saggio biologico per la produzione di ROS Per saggiare l’attività biologica delle IgG anti-PDGFR umano prodotte dai cloni linfocitari immortalizzati selezionati attraverso le fasi precedenti, i sopranatanti dei cloni positivi in immunofluorescenza indiretta e in citofluorimetria sono stati testati mediante un saggio per la determinazione della produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS). A tale scopo, cellule F (fibroblasti embrionali murini esprimenti il PDGFR umano, gentile dono del prof. Andrius Kazlauskas, Harvard Medical School, Boston) e cellule F-/- (fibroblasti embrionali murini privi del recettore, gentile dono del prof. Andrius Kazlauskas, Harvard Medical School, Boston) sono state seminate in duplicato, in piastre da 24 pozzetti (Nunc), ad una concentrazione di 3 × 104 cellule/pozzetto e coltivate per 24 ore in terreno DMEM (Gibco) + 10% FBS (Gibco), ad una temperatura di 37°C e in atmosfera al 5% di CO2. Il terreno è stato quindi sostituito con DMEM (Gibco) + 0,2% FBS (Gibco) e le cellule lasciate crescere per ulteriori 24 ore. Le cellule di ciascun duplicato sono state poi incubate per 15 minuti, a 37°C e in atmosfera al 5% di CO2, con 1 ml di ciascun sopranatante, lavate in PBS (Gibco) e poste nuovamente in DMEM (Gibco) + 0,2% FBS (Gibco). La produzione dei radicali liberi dell’ossigeno è stata rivelata aggiungendo al terreno 2’7’-diclorofluoresceina diacetato 10 μM (Invitrogen) e incubando le cellule per 10 minuti a 37°C e in atmosfera al 5% di CO 2. La diclorofluoresceina è una molecola permeabile alla membrana plasmatica, in grado quindi di diffondere passivamente all’interno delle cellule dove, in presenza di ROS, dà origine ad un addotto fluorescente che è stato rivelato e quantificato, dopo lavaggio delle cellule in PBS (Gibco), mediante fluorimetro a piastra (VICTOR2 – Wallac), ad una lunghezza d’onda di eccitazione di 495 nm e di emissione di 530 nm. 32 3. Materiali e metodi L’intensità di fluorescenza è stata misurata attraverso 25 letture effettuate dalla macchina in altrettanti punti diversi di ciascun pozzetto, dalle quali si è ricavato il valore medio di ogni campione. Il valore assoluto X, espresso come indice di stimolazione (S.I.), è stato poi calcolato grazie alla proporzione: A : X = B : 100 dove il valore di A è dato dalla differenza tra l’intensità di fluorescenza media del campione e l’intensità di fluorescenza media del controllo negativo (cellule incubate con un sopranatante negativo), mentre il valore di B è dato dalla differenza tra l’intensità di fluorescenza media del controllo positivo (cellule stimolate con 15 ng/ml di PDGF-BB) e l’intensità di fluorescenza media del controllo negativo. Il campione è stato considerato positivo quando la fluorescenza è risultata superiore almeno del 95% rispetto a quella del controllo negativo e i valori ottenuti sono stati considerati attendibili per variazioni tra i duplicati inferiori al 3%. Per confermare che la produzione di ROS fosse specificamente legata all’attivazione del recettore del PDGF, i sopranatanti risultati positivi sono stati testati una seconda volta, previa incubazione delle cellule per 2 ore, a 37°C e in atmosfera al 5% di CO2, in presenza di un inibitore dell’attività tirosin-chinasica del PDGFR (AG1296 – Calbiochem) e di un inibitore dell’attività tirosin-chinasica dell’EGFR (AG1478 – Calbiochem). 3.1.10 Limiting dilution dei cloni linfocitari selezionati Le colture linfocitarie positive al triplice test con le cellule F e negative con le cellule F-/- sono state sottoposte ad ulteriore diluizione progressiva, fino ad 1 cellula/pozzetto, con l’obiettivo di raggiungere la monoclonalità, per poi essere nuovamente saggiate come descritto in precedenza. 33 3. Materiali e metodi 3.1.11 Analisi del repertorio immunoglobulinico dei cloni linfocitari selezionati Dai pellet linfocitari dei singoli cloni B autoreattivi nei confronti del PDGFR precedentemente isolati è stato estratto l’RNA totale, con l’RNeasy Micro Kit (Qiagen). L’RNA è stato retrotrascritto in cDNA mediante l’Omniscript RT Kit (Qiagen). Il DNA complementare è stato quindi analizzato in PCR, utilizzando la Platinum Taq DNA Polymerase High Fidelity (Invitrogen) e un set di primer disegnati per amplificare l’intero repertorio immunoglobulinico umano44 (tabella 1). IgG ConG1-3 CHG × × × × × × × Conkfw IgG1 Regioni costanti delle catene pesanti IgG2 Regioni costanti delle catene leggere kappa e lambda Regioni variabili delle catene leggere kappa × ConM VH1 CHM VH1 VH2 CHM VH3 CHM × × × × Conkrev Conkfw × Conkrev Con fw × Con rev Con fw × Con rev Ck × × × × × × × × × Vk1/4 Ck Vk1/4 Vk2 Ck Vk3 Ck V 1 C V 2/5 C V 3 C V 4a C V 4b C V 6 C × × × × × × × × × CHG CHG Ck Ck C C Regioni variabili delle catene leggere lambda ConG1-3 IgM IgG3 IgG4 Regioni variabili delle catene pesanti IgM C C C C ConG1-3 ConG4 VH2 VH3 Vk2 Vk3 V 1 V 2/5 V 3 V 4a V 4b V 6 Tabella 1 Coppie di primer utilizzate in PCR per amplificare i geni codificanti le regioni costanti e variabili delle catene pesanti e leggere di tutti gli anticorpi umani e così definire l’esatta composizione del repertorio immunoglobulinico dei cloni linfocitari B autoreattivi nei confronti del PDGFR umano precedentemente selezionati. 34 3. Materiali e metodi I prodotti di PCR sono stati analizzati mediante corsa elettroforetica in gel di agarosio all’1,5% (Sigma-Aldrich) addizionato con GelRed Nucleid Acid Gel Stain 1× (Biotium), in tampone TBE 1×. Gli amplificati ottenuti sono stati infine sequenziati, previo clonaggio in un apposito vettore commerciale (TOPO TA Cloning Kit – Invitrogen, figura 2), avvalendosi del servizio fornito dalla ditta BMR Genomics. Figura 2 Mappa del vettore utilizzato per il sequenziamento dei geni immunoglobulinici amplificati mediante PCR a partire dal cDNA dei cloni linfocitari autoreattivi nei confronti del PDGFR umano precedentemente selezionati. 35 3. Materiali e metodi 3.2 Produzione di IgG monoclonali umane ricombinanti anti-recettore del PDGF 3.2.1 Clonaggio dei geni immunoglobulinici nel vettore di espressione pDR12 Le sequenze codificanti le regioni variabili delle catene pesanti e leggere delle immunoglobuline isolate dai cloni linfocitari selezionati sono state amplificate mediante PCR e sub-clonate all’interno del vettore di espressione pDR12 (gentile dono del dr. Dennis Burton, The Scripps Research Institute, La Jolla, California), al fine di produrre in vitro IgG monoclonali umane ricombinanti anti-PDGFR (figura 3). HindIII 12.486 EcoRI 13.204 VL + CL promotore HCMV promotore HCMV XbaI 2390 VH SacI 2840 GS cDNA promotore SVE IgG1 CH AmpR SalI 5944 Figura 3 Mappa del vettore di espressione plasmidico utilizzato per il sub-clonaggio delle sequenze codificanti le regioni variabili degli autoanticorpi anti-PDGFR precedentemente identificate e per la successiva produzione di IgG monoclonali umane ricombinanti. 36 3. Materiali e metodi Le regioni variabili delle catene pesanti (VH) e leggere (VL) sono state inserite sotto il controllo del promotore immediato dei geni precoci del Citomegalovirus umano (HCMV), rispettivamente all’interno dei siti di restrizione XbaI-SacI e Hind3-EcoRI, a sostituire le sequenze geniche dell’anticorpo b12 originariamente presenti nel vettore. Ad esse sono state aggiunte, mediante tre reazioni di PCR consecutive eseguite con coppie di primer parzialmente sovrapposte, le sequenze codificanti il leader peptide (LP), necessario a veicolare la secrezione post-traduzionale del prodotto proteico. Il frammento variabile delle catene pesanti è stato fuso con il frammento costante (CH) dell’IgG1 già presente nel vettore immediatamente a valle del sito SacI, mentre il frammento costante delle catene leggere (CL) è stato amplificato a parte con opportune coppie di primer e aggiunto al frammento variabile mediante PCR overlap (figura 4). XbaI ● SacI F3 F2 F1 LP VH IgG1 CH ● STOP R Hind3 ● EcoRI F3 F2 F1 LP F VL CL ● R1 R STOP Figura 4 Rappresentazione schematica delle PCR preparative effettuate per il subclonaggio nel vettore di espressione pDR12 delle sequenze codificanti le regioni variabili degli autoanticorpi anti-PDGFR precedentemente identificate. 37 3. Materiali e metodi Di seguito è riportata la descrizione delle PCR preparative, con appaiamento dei primer e templato utilizzato, eseguite per amplificare le sequenze geniche relative alle diverse regioni immunoglobuliniche. I prodotti di ciascuna reazione di PCR sono stati analizzati mediante corsa elettroforetica in gel di agarosio low melting point allo 0,8% (Sigma-Aldrich) addizionato con GelRed Nucleid Acid Gel Stain 1× (Biotium), in tampone TBE 1×. Gli amplificati ottenuti sono stati quindi isolati mediante taglio della relativa banda del gel e purificati mediante QIAquick Gel Extraction Kit (Qiagen), per poter essere poi utilizzati come DNA stampo negli step successivi. Regione variabile delle catene pesanti (VH) + Leader Peptide (LP) 1) F1 × R Templato: DNA del gene VH contenuto nel vettore pCR2.1-TOPO 2) F2 × R Templato: prodotto purificato PCR 1) 3) F3 × R Templato: prodotto purificato PCR 2) Regione variabile delle catene leggere (VL) + Leader Peptide (LP) 4) F1 × R1 Templato: DNA del gene Vk o V contenuto nel vettore pCR2.1-TOPO 5) F2 × R1 Templato: prodotto purificato PCR 4) 6) F3 × R1 Templato: prodotto purificato PCR 5) Regione costante delle catene leggere (CL) 7) F×R Templato: pDR12 Overlap tra regione variabile (VL) e regione costante (CL) delle catene leggere 8) NO primer Templato: prodotto purificato PCR 6) + prodotto purificato PCR 7) 9) F3 × R Templato: prodotto purificato PCR 8) 38 3. Materiali e metodi Le reazioni di amplificazione sono state eseguite in termociclatore iCycler – Bio-Rad utilizzando i seguenti materiali e condizioni: 50 ng DNA stampo 1 μl primer FW 10 M 1 μl primer REV 10 M 5 μl High Fidelity PCR Buffer 10× 2 μl MgSO4 50 mM 1 μl dNTP 10 mM 2 U Platinum Taq DNA Polymerase High Fidelity – Invitrogen x μl H2O fino ad un volume finale di reazione di 50 μl 95°C 5 minuti 95°C 1 minuto touchdown* 68°C 1 minuto ogni 1000 nucleotidi di DNA stampo 68°C 10 minuti 4°C 1 minuto 25 cicli * appaiamento in touchdown, con temperatura iniziale adeguata alla T m dei primer utilizzati, poi innalzata di un grado ad ogni ciclo, fino ad un massimo di 60°C. Una volta completato il clonaggio, il vettore pDR12 è stato opportunamente sequenziato, avvalendosi del servizio fornito dalla ditta BMR Genomics, per verificare la corretta sequenza nucleotidica delle regioni immunoglobuliniche inserite. 39 3. Materiali e metodi 3.2.2 Espressione transiente di IgG monoclonali umane ricombinanti in cellule eucariotiche Verificata la corretta sequenza dei costrutti IgG montati nel vettore di espressione pDR12 si è proceduto alla transfezione transiente in cellule eucariotiche CHO-K1 (ICLC). Le cellule sono state coltivate in fiasche T75 (Cellstar), in terreno RPMI 1640 (Gibco) + 10% FBS (Gibco), fino a raggiungere un livello di confluenza pari a circa il 60% e quindi transfettate mediante Lipofectamine LTX and PLUS Reagents (Invitrogen) in terreno Opti-MEM I (Gibco). Dopo 5 ore di incubazione si è cambiato il terreno di coltura, ponendo nuovamente le cellule in RPMI 1640 (Gibco) con l’aggiunta di 10% Ultra Low IgG FBS (Gibco). A distanza di 48 ore dalla transfezione è stato raccolto il sopranatante di coltura, da cui sono state successivamente purificate le IgG monoclonali umane ricombinanti. 3.2.3 Espressione stabile di IgG monoclonali umane ricombinanti in cellule eucariotiche Dopo una prima fase di produzione transiente si è proceduto alla transfezione stabile dei costrutti IgG in cellule eucariotiche CHO-K1 (ICLC), al fine di ottenere una quantità di anticorpi sufficiente per le successive caratterizzazioni. Il vettore di espressione pDR12 è stato in questo caso linearizzato mediante digestione enzimatica con SalI (New England BioLabs), purificato con glicogeno e isopropanolo, e transfettato mediante Lipofectamine LTX and PLUS Reagents (Invitrogen) in terreno Opti-MEM I (Gibco). Dopo 24 ore di incubazione si è cambiato il terreno di coltura, ponendo le cellule in RPMI 1640 (Gibco) + 10% Ultra Low IgG FBS (Gibco). Trascorse ulteriori 24 ore le cellule sono state sottoposte a selezione, in terreno GMEM (Sigma) + 10% Ultra Low IgG FBS (Gibco) con l’aggiunta di LMethionine Sulfoximine (MSX – Sigma-Aldrich) a sei diverse concentrazioni (da 60 μM a 160 μM), per poter distinguere le cellule transfettate, resistenti 40 3. Materiali e metodi all’MSX, da quelle non transfettate. Le colture cellulari sono state osservate quotidianamente, sostituendo il terreno per rimuovere le cellule morte. Dopo circa 15 giorni di selezione le cellule sono state staccate mediante tripsina-EDTA (Gibco), contate mediante camera di Bürker e sottoposte a limiting dilution, mediante semina in piastre da 96 pozzetti (Sarstedt) ad una concentrazione di 20 cellule/pozzetto, 10 cellule/pozzetto, 5 cellule/pozzetto e 2,5 cellule/pozzetto. Le cellule sono state osservate quotidianamente, sostituendo il terreno quando necessario, e coltivate in selezione fino alla comparsa di colonie resistenti. Raggiunto un livello di confluenza sufficiente le cellule sono state testate per la presenza di IgG nel sopranatante, mediante specifico saggio ELISA. I cloni positivi sono stati quindi ulteriormente e progressivamente espansi per la successiva purificazione di IgG monoclonali umane ricombinanti. Parte delle cellule sono state congelate in DMSO (ICN Biomedicals) e conservate a -80°C. 3.2.4 Saggio ELISA Anti-Human IgG I sopranatanti di coltura raccolti dalle singole colonie di cellule resistenti ottenute mediante limiting dilution sono stati testati con uno specifico saggio ELISA Anti-Human IgG, al fine di verificare la produzione di immunoglobuline da parte dei diversi transfettanti stabili. La piastra ELISA (Nunc) è stata ricoperta con 100 μl/pozzetto di un antisiero di capra immunizzata con IgG umane, molecola intera (MP Biomedicals), ad una concentrazione di 5 μg/ml. Dopo incubazione o/n ad una temperatura di 4°C la piastra è stata lavata per due volte, in agitazione, con 200 μl/pozzetto di PBST (PBS + 0,05% Tween 20), bloccata con 200 μl/pozzetto di PBST + 1% Non-Fat Dry Milk (Santa Cruz Biotecnology) e lasciata in incubazione a 37°C per 1 ora. Dopo quattro lavaggi con 200 μl/pozzetto di PBST, in agitazione, sono stati aggiunti 100 μl/pozzetto dei singoli sopranatanti di coltura. 41 3. Materiali e metodi Al fine di poter quantificare la produzione anticorpale dei singoli cloni cellulari è stata inoltre costruita una curva standard di riferimento (figura 5), utilizzando concentrazioni note di immunoglobuline umane per soluzioni iniettabili. 3,5 3,0 OD405 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 2048 1024 512 256 128 64 32 16 8 4 2 1 0,5 0,25 0,0 Human IgG (ng/ml) Figura 5 Curva standard di riferimento utilizzata nel saggio ELISA anti-human IgG per determinare la quantità di immunoglobuline presente nei sopranatanti di coltura delle singole colonie cellulari. E’ stata ottenuta dai valori di densità ottica (OD) misurati ad una lunghezza d’onda di 405 nm per concentrazioni crescenti di IgG umane. Dopo incubazione a temperatura ambiente per 2 ore la piastra è stata lavata per quattro volte, in agitazione, con 200 μl/pozzetto di PBST. Sono stati quindi aggiunti 100 μl/pozzetto di un anticorpo secondario Goat Anti-Human IgG coniugato con fosfatasi alcalina (Sigma-Aldrich), diluito 1:1000 in PBST. La piastra è stata incubata a temperatura ambiente per 1 ora, lavata per quattro volte, in agitazione, con 200 μl/pozzetto di PBST, poi addizionata con 100 μl/pozzetto del substrato della fosfatasi alcalina (1 mg/ml di p-NPP in 10% dietanolamina pH 9.8 + MgCl2 0,5 mM), preparato fresco ogni volta e mantenuto al buio, evitando la formazione di bolle che potrebbero interferire con la successiva lettura dei campioni. 42 3. Materiali e metodi Dopo circa 20 minuti di incubazione a temperatura ambiente, al buio, si è osservato lo sviluppo della reazione colorimetrica e l’intensità di fluorescenza è stata misurata mediante fluorimetro a piastra (VICTOR2 – Wallac), ad una lunghezza d’onda di 405 nm. I valori di densità ottica così ottenuti, sottratti del bianco (cioè del valore di densità ottica dato dal solo terreno di coltura delle cellule), sono stati quindi interpolati sulla curva standard di riferimento e utilizzati per calcolare la concentrazione immunoglobulinica dei singoli campioni. 3.2.5 Purificazione degli anticorpi dai sopranatanti di coltura I cloni cellulari selezionati attraverso le fasi precedenti sono stati progressivamente espansi e adattati a crescere in terreno Hybridoma-SFM (Gibco) senza aggiunta di siero, in maniera tale da ottenere un quantitativo sufficiente di anticorpi monoclonali umani non contaminati da fattori sierici, in particolare da IgG bovine o da PDGF sierico. Le IgG monoclonali umane ricombinanti prodotte dai singoli transfettanti nei rispettivi sopranatanti di coltura (di volta in volta raccolti e conservati a 4°C) sono state purificate mediante cromatografia di affinità in colonne di polipropilene (Pierce) contenenti proteina A (Pierce), quindi sottoposte a dialisi in PBS (Gibco) e contemporaneamente concentrate mediante colonnine Amicon Ultra-4 30K (Millipore). La concentrazione proteica di ciascun preparato immunoglobulinico è stata determinata allo spettrofotometro NanoDrop 2000 (ThermoSCIENTIFIC) mediante lettura dell’assorbanza ad una lunghezza d’onda di 280 nm. Un’aliquota di ciascun campione è stata denaturata a 100°C, per 10 minuti, in buffer di Laemmli e corsa su gel di poliacrilammide all’8% (MiniPROTEAN 3 – Bio-Rad), poi colorato con blu di Coomassie (LKB Bromma), per verificarne la purezza. 43 3. Materiali e metodi 3.3 Caratterizzazione funzionale delle IgG monoclonali umane ricombinanti anti-recettore del PDGF 3.3.1 Immunoprecipitazione del PDGFR umano La capacità delle IgG monoclonali prodotte di riconoscere specificamente il PDGFR umano nella sua forma nativa è stata testata in vitro mediante un saggio di legame condotto su lisato di fibroblasti umani normali ottenuti da biopsia cutanea. Il saggio è stato realizzato mediante esperimenti di immunoprecipitazione, utilizzando 200 μg di lisato proteico totale e 10 μg/ml di ciascun anticorpo monoclonale purificato, in un volume finale di 500 μl di PBS (Gibco). Come controllo positivo è stato impiegato un anticorpo monoclonale murino commerciale anti-PDGFR umano (MAB1264 – R&D Systems) ad una concentrazione di 20 μg/ml. Dopo incubazione o/n ad una temperatura di 4°C, in agitazione, ciascuna mistura è stata addizionata con 20 μl di Protein A/G PLUS-Agarose (Santa Cruz Biotecnology) e lasciata per ulteriori 4 ore, in agitazione, a 4°C. I campioni sono stati poi centrifugati a 3500 rpm e ad una temperatura di 4°C per 5 minuti, e successivamente sottoposti a 4 lavaggi in RIPA buffer e ad un ultimo lavaggio in PBS (Gibco). Per staccare gli immunocomplessi dalla matrice di agarosio la resina è stata denaturata a 100°C, per circa 10 minuti, in 20 μl di buffer di Laemmli 6×, poi centrifugata a velocità massima per 1 minuto. I sopranatanti sono stati quindi analizzati con metodica Western Blot, mediante separazione elettroforetica delle proteine in gel di poliacrilammide al 7% (Mini-PROTEAN 3 – Bio-Rad) e trasferimento su membrana di nitrocellulosa Hybond ECL (Amersham Biosciences). Il PDGFR umano immunoprecipitato è stato rivelato mediante un anticorpo primario Rabbit Polyclonal IgG Anti-Human PDGFR (Santa Cruz Biotecnology) diluito 1:1000 in TBS, seguito da un anticorpo secondario Goat Anti-Rabbit IgG coniugato con perossidasi Biotecnology) diluito 1:1000 in TBS. 44 di rafano (Santa Cruz 3. Materiali e metodi La membrana è stata sviluppata mediante aggiunta di un substrato chemiluminescente della perossidasi (Pierce ECL Western Blotting Substrate) e il segnale luminoso prodotto analizzato al ChemiDoc (Bio-Rad) mediante software Quantity One. 3.3.2 Saggio biologico per la determinazione di ROS Per saggiare l’attività biologica delle IgG monoclonali anti-PDGFR umano prodotte le immunoglobuline purificate dai rispettivi sopranatanti di coltura sono state testate mediante un saggio per la determinazione della produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS). A tale scopo, cellule F e cellule F-/- sono state seminate in duplicato, in piastre da 24 pozzetti (Nunc), ad una concentrazione di 3 × 10 4 cellule/pozzetto e coltivate per 24 ore in terreno DMEM (Gibco) + 10% FBS (Gibco). Il terreno è stato quindi sostituito con DMEM (Gibco) + 0,2% FBS (Gibco) e le cellule lasciate crescere per ulteriori 24 ore. Le cellule di ciascun duplicato sono state poi incubate per 15 minuti, a 37°C e in atmosfera al 5% di CO2, in presenza dei seguenti stimoli: IgG monoclonali purificate, ad una concentrazione di 10 μg/ml, PDGF-BB (R&D Systems), ad una concentrazione di 15 ng/ml, come controllo positivo. La produzione di radicali liberi dell’ossigeno è stata rivelata aggiungendo al terreno 2’7’-diclorofluoresceina diacetato 10 μM (Invitrogen) e incubando le cellule per 10 minuti a 37°C e in atmosfera al 5% di CO 2. La diclorofluoresceina è una molecola permeabile alla membrana plasmatica, in grado quindi di diffondere passivamente all’interno delle cellule dove, in presenza di ROS, dà origine ad un addotto fluorescente che è stato rivelato e quantificato, dopo lavaggio delle cellule in PBS (Gibco), mediante fluorimetro a piastra (VICTOR2 – Wallac), ad una lunghezza d’onda di eccitazione di 495 nm e di emissione di 530 nm. 45 3. Materiali e metodi L’intensità di fluorescenza è stata misurata attraverso 25 letture effettuate dalla macchina in altrettanti punti diversi di ciascun pozzetto, dalle quali si è ricavato il valore medio di ogni campione. Il valore assoluto X, espresso come indice di stimolazione (S.I.), è stato poi calcolato grazie alla proporzione: A : X = B : 100 dove il valore di A è dato dalla differenza tra l’intensità di fluorescenza media del campione e l’intensità di fluorescenza media basale (ossia di quei pozzetti in cui le cellule non sono state stimolate), mentre il valore di B è dato dalla differenza tra l’intensità di fluorescenza media del controllo positivo (cellule stimolate con il PDGF) e l’intensità di fluorescenza media basale. Il campione è stato considerato positivo quando la fluorescenza è risultata superiore almeno del 95% rispetto a quella ottenuta nel controllo negativo e i valori sono stati considerati attendibili per variazioni tra i duplicati inferiori al 3%. 3.3.3 Valutazione del livello di espressione dei geni del collageno mediante Real-Time PCR La capacità delle IgG monoclonali purificate di indurre, in seguito al legame con il PDGFR umano, l’espressione dei geni del collageno è stata valutata mediante Real-Time PCR dopo stimolazione in vitro di cellule HDF (Human Dermal Fibroblasts – Gibco). A tale scopo, le cellule sono state seminate in duplicato, in piastre da 35 mm di diametro (Greiner Bio-One), ad una densità di 60.000 cellule/piastra e coltivate per 24 ore in terreno DMEM (Gibco) + 10% FBS (Gibco). Il terreno è stato quindi sostituito con DMEM (Gibco) + 0,2% FBS (Gibco) e le cellule lasciate crescere per ulteriori 24 ore. Le cellule di ciascun duplicato sono state poi incubate per 1 ora, a 37°C e in atmosfera al 5% di CO2, in presenza dei seguenti stimoli: 46 3. Materiali e metodi IgG monoclonali purificate, ad una concentrazione di 10 μg/ml, PDGF-BB (R&D Systems), ad una concentrazione di 30 ng/ml, come controllo positivo, TGF (R&D Systems), ad una concentrazione di 15 ng/ml. Dopo un lavaggio in PBS, le cellule sono state lisate mediante l’Aurum Total RNA Mini Kit (Bio-Rad) per estrarne l’RNA totale. L’RNA ottenuto è stato quantificato allo spettrofotometro NanoDrop 2000 (ThermoSCIENTIFIC) e 500 ng retrotrascritti in cDNA grazie all’iScript cDNA Synthesis Kit (Bio-Rad). Si è quindi proceduto a testare i diversi campioni in Real-Time PCR, utilizzando due coppie di primer opportunamente disegnate per amplificare i geni delle catene 1 e 2 del collageno di tipo I. Col1A1-fw 5’-AGGGCCAAGACGAAGACATC-3’ Col1A1-rev 5’-AGATCACGTCATCGCACAACA-3’ Col1A2-fw 5’-AGGTCAAACAGGAGCCCGTGGG-3’ Col1A2-rev 5’-GCACCTGGGAAGCCTGGAGGG-3’ Le condizioni di amplificazione sono state messe a punto, per ciascuna coppia di primer, sia mediante la costruzione di una curva di titolazione sia mediante l’utilizzo di un gradiente di temperatura. La specificità degli amplificati ottenuti è stata quindi esaminata mediante analisi delle curve di melting (software iQ5 – Bio-Rad) e successiva corsa elettroforetica dei prodotti di PCR in gel di agarosio al 2% addizionato con GelRed Nucleid Acid Gel Stain 1× (Biotium), in buffer TBE 1×. I geni della gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi (GAPDH) e della subunità ribosomiale 18S sono stati utilizzati come geni housekeeping per la normalizzazione dei campioni. 47 3. Materiali e metodi GAPDH-fw GAPDH-rev 18S-fw 5’-TGCACCACCAACTGCTTAGC-3’ 5’-TGGGATTTCCATTGATGACAAGC-3’ 5’-TCCCCATGAACGAGGAATTC-3’ 18S-rev 5’-GTGTACAAAGGGCAGGGACTT-3’ Le reazioni di amplificazione sono state eseguite in termociclatore iCycler – Bio-Rad, in duplicato per ogni campione, utilizzando i seguenti materiali e condizioni: 2 μl (50 ng) cDNA 1 μl primer FW 10 μM 1 μl primer REV 10 μM 12,5 μl iQ SYBR Green Supermix – Bio-Rad 8,5 μl H2O 95°C 3 minuti 95°C 15 secondi 58°C 1 minuto 57°C 96°C 4°C 45 cicli 10 secondi 80 cicli 48 3. Materiali e metodi 3.3.4 Saggio di legame degli anticorpi su fase solida La dinamica dell’interazione anticorpi-recettore e la forza di legame delle IgG monoclonali ricombinanti al PDGFR umano sono state studiate e misurate mediante tecnica di Surface Binding Resonance (SBR), attraverso esperimenti di legame competitivo su fase solida condotti, in collaborazione con il gruppo di ricerca del prof. Mauro Angeletti dell’Università degli Studi di Camerino, al biosensore IAsys Plus – Thermo Finnigan (figura 6). Figura 6 Rappresentazione schematica del biosensore ottico IAsys Plus. Esso consta di: i) un prisma con un sottile (circa 50 nm) strato metallico (interfaccia) depositato sul fondo della microcuvetta, ii) una sorgente luminosa polarizzata, come un laser o un LED, iii) un detector che misuri l’intensità della luce totalmente riflessa, iv) un volume che contenga il mezzo nel quale è presente l’analita. L’interfaccia è costituita da due mezzi con costanti dielettriche di segno opposto, come un metallo ed un dielettrico. Il PDGFR ricombinante viene legato alla superficie metallica dell’interfaccia, dal lato del mezzo acquoso, quindi viene aggiunta la soluzione contenente l’analita. 49 3. Materiali e metodi A tal fine è stata utilizzata una molecola recettoriale, prodotta in cellule HeLa (cellule tumorali immortalizzate isolate dal cancro della cervice uterina umana), costituita dai primi 834 amminoacidi del PDGFR umano fusi al Cterminale con un epitopo composto da 6 residui di istidina. Tale coda di poliistidina ha il doppio scopo di facilitare la purificazione della proteina (mediante cromatografia di affinità in colonne HiTrap Chelating HP – GE Healthcare) e di introdurre un’ancora chimica funzionale all’immobilizzazione del recettore alla fase solida. La superficie metallica sul fondo della microcuvetta del biosensore è stata lavata con PBST (PBS + 0,05% Tween 20) e successivamente equilibrata con PBS (Gibco) ad una temperatura di 25°C. Il recettore ricombinante, precedentemente dializzato in tampone CH3COONa 10 mM pH 6, è stato quindi bloccato alla superficie in modo covalente grazie alla formazione, in presenza della miscela di attivazione EDC/NHS (figura 7), di un legame carboammidico tra il gruppo amminico terminale della coda di poli-istidina e i gruppi carbossilici sulla superficie del sensore. Figura 7 Reazione di immobilizzazione del recettore poli-istidinato sulla superficie metallica del biosensore. La frazione di recettore non efficacemente immobilizzata è stata rimossa mediante lavaggio con PBS (Gibco) e i gruppi carbossilici ancora liberi sulla superficie del sensore sono stati disattivati con etanolammina 1 M. 50 3. Materiali e metodi Il ligando naturale PDGF e due distinti anticorpi monoclonali murini commerciali diretti contro epitopi conformazionali del PDGFR umano (MAB1264 e MAB322 – R&D Systems) sono stati impiegati come controlli positivi per verificare il corretto folding del recettore istidinato alla superficie del sensore. La formazione del complesso anticorpo-recettore all’aggiunta delle diverse IgG monoclonali purificate modifica le proprietà e l’indice di rifrazione del mezzo alla superficie dello strumento e la conseguente variazione dell’angolo di risonanza è direttamente proporzionale alla quantità di anticorpo legato. Tale cambiamento dell’angolo al quale la luce si propaga nella guida d’onda viene registrato da un detector che trasforma la variazione luminosa in una curva di associazione, nella quale l’intensità della luce totalmente riflessa viene espressa in arc/sec (figura 7). 51 3. Materiali e metodi 3.4 Modellazione per omologia del PDGFR umano e delle IgG monoclonali umane ricombinanti antirecettore del PDGF La modellazione per omologia prevede la costruzione di un modello tridimensionale rappresentante gli atomi di una macromolecola, in particolare di una proteina, essendo noti la sua sequenza amminoacidica e le strutture tridimensionali di proteine ad essa omologhe. Generalmente si considerano omologhe proteine che presentano un’identità di sequenza superiore al 25%. Proteine con un’identità di sequenza superiore al 50% produrranno una struttura ad altissima accuratezza. Nel nostro caso la struttura tridimensionale della regione extracellulare del PDGFR umano e del frammento Fab (antigen-binding Fragment) di alcune delle IgG monoclonali ricombinanti anti-PDGFR prodotte è stata modellata sottomettendo al server SWISS-MODEL le sequenze amminoacidiche ottenute, rispettivamente, consultando il database UniProt e grazie al sequenziamento dei geni immunoglobulinici precedentemente effettuato. In particolare, utilizzando il software Swiss Pdb-Viewer abbiamo costruito i file progetto da sottomettere al server, considerando i parametri sperimentali di base e selezionando i file PDB 2e9wA, 2e9wB e 2ec8A come omologhi per il recettore (36,43% di identità) e 1hzh come omologo per gli anticorpi (55,21% di identità). 52 3. Materiali e metodi 3.5 Docking molecolare dei complessi PDGFR - IgG monoclonali umane ricombinanti Le possibili geometrie di legame della citochina naturale PDGF-BB e di alcune delle IgG monoclonali umane ricombinanti precedentemente descritte al PDGFR , insieme agli stati conformazionali e alle energie libere di legame relative all’interazione di ciascun ligando con il recettore umano, sono state valutate attraverso una serie di simulazioni in silico con metodi ed algoritmi di docking molecolare automatizzati. I file ottenuti dalla modellazione per omologia sono stati sottomessi al server ClusPro 2.0 e utilizzati per produrre una serie di modelli biostatistici in grado di predire con elevata probabilità la formazione dei diversi complessi molecolari e gli epitopi coinvolti nel legame. Il software DOT 1.0 è stato impiegato come programma di docking molecolare rigido, indicando il PDGFR umano come “recettore” e gli anticorpi monoclonali come “ligando” e impostando i seguenti parametri: un raggio per il cluster di 5Å e un computo elettrostatico di 1.500 e 20 strutture risultanti finali. 53 3. Materiali e metodi 3.6 Costruzione e screening di una library peptidica del PDGFR umano Una library peptidica comprendente i primi tre domini immunoglobulinici della porzione extracellulare del PDGFR umano è stata generata grazie al servizio fornito dalla Pepscan Presto, Lelystad, Olanda. Circa 500 diversi peptidi della lunghezza massima di 35 amminoacidi ciascuno, 250 dei quali single-looped e 250 double-looped, sono stati sintetizzati su scaffold chimici, mediante tecnologia Chemically Linked Peptides on Scaffolds (CLIPS)45, così da ottenere il numero massimo possibile di epitopi conformazionali del recettore. Sono stati inoltre sintetizzati anche peptidi con singole sostituzioni amminoacidiche ad opera di residui di alanina (alanin scan). Il legame della citochina PDGF-BB umana e delle IgG monoclonali umane ricombinanti prodotte a ciascun peptide è stato quindi testato mediante uno specifico saggio PEPSCAN-based ELISA46. 54 3. Materiali e metodi 3.7 Analisi dei CDR3 mediante Real-Time PCR Piccole coorti di pazienti con diagnosi di sclerosi sistemica, in fase di presclerodermia, con fenomeno di Raynaud, di soggetti affetti da altre patologie a carattere autoimmunitario del tessuto connettivo e di controlli sani sono state selezionate per la ricerca delle sequenze ipervariabili delle catene pesanti e leggere PAM e ROM precedentemente identificate. La coorte sclerodermica è stata composta in maniera tale da includere pazienti con variante limitata e diffusa di malattia, sia ad esordio precoce che tardivo. I componenti delle altre coorti sono stati selezionati in base all’età e al sesso dei pazienti sclerodermici. Dopo ottenimento del consenso informato, ciascun soggetto è stato sottoposto al prelievo di 5 ml di sangue intero periferico, conservato in EDTA, per la successiva estrazione dell’RNA totale, mediante QIAamp RNA Blood Mini Kit (Qiagen). L’RNA ottenuto è stato quantificato allo spettrofotometro NanoDrop 2000 (ThermoSCIENTIFIC) e 1 g retrotrascritto in cDNA mediante l’iScript cDNA Synthesis Kit (Bio-Rad). Si è quindi proceduto a testare i diversi campioni in Real-Time PCR, utilizzando una serie di primer (tabella 2) opportunamente disegnati per l’amplificazione dei singoli CDR3 (Complementarity Determining Region 3). Rt-VH-PAM-fw Catene pesanti Rt-VH1-ROM-fw Rt-VH2-ROM-fw Catene leggere kappa Rt-Vk13B8-fw Rt-Vk16F4-fw Rt-V 13B8-fw Catene leggere lambda Rt-V 16F4-fw Rt-V -ROM-fw × × × × × × × × Rt-VH-PAM-rev Rt-VH1-ROM-rev Rt-VH2-ROM-rev Rt-Vk13B8-rev Rt-Vk16F4-rev Rt-V 13B8-rev Rt-V 16F4-rev Rt-V -ROM-rev Tabella 2 Coppie di primer utilizzate in Real-Time PCR per amplificare le sequenze ipervariabili delle catene pesanti e leggere precedentemente identificate. 55 3. Materiali e metodi Le condizioni di amplificazione sono state messe a punto, per ciascuna coppia di primer, sia mediante la costruzione di una curva di titolazione sia mediante l’utilizzo di un gradiente di temperatura. La specificità degli amplificati ottenuti è stata quindi esaminata mediante analisi delle curve di melting (software iQ5 – Bio-Rad). Il gene della gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi (GAPDH) e quelli codificanti le regioni costanti delle catene leggere kappa e lambda sono stati utilizzati come geni housekeeping per la normalizzazione dei campioni. GAPDH-fw 5’-TGCACCACCAACTGCTTAGC-3’ GAPDH-rev Costk-fw Costk-rev Cost -fw Cost -rev 5’-TGGGATTTCCATTGATGACAAGC-3’ 5’-TGGCTGCACCATCTGTCTTC-3’ 5’-CTATCCCAGAGAGGCCAAAG-3’ 5’-TCGGTCACTCTGTTCCCG-3’ 5’-ATCTGCCTTCCAGGCCAC-3’ Le reazioni di amplificazione sono state eseguite in termociclatore iCycler – Bio-Rad, in duplicato per ogni campione, utilizzando i seguenti materiali e condizioni: 2 μl (100 ng) cDNA 1 μl primer FW 10 μM 1 μl primer REV 10 μM 12,5 μl iQ SYBR Green Supermix – Bio-Rad 8,5 μl H2O 95°C 3 minuti 95°C 15 secondi 58°C 1 minuto 57°C 96°C 4°C 45 cicli 10 secondi 80 cicli 56 4. RISULTATI 4. Risultati 4.1 Analisi del repertorio immunoglobulinico di pazienti affetti da sclerosi sistemica 4.1.1 Isolamento e immortalizzazione di cloni linfocitari B memoria autoreattivi nei confronti del PDGFR umano Sono stati ottenuti cinque distinti cloni linfocitari B memoria immortalizzati, autoreattivi nei confronti del PDGFR umano: tre (13B8, 16F4, 17H8) isolati dal paziente PAM, gli altri due (1F5, 4G11) dal paziente ROM. 4.1.2 Isotipo delle immunoglobuline prodotte dai cloni linfocitari B memoria selezionati Le immunoglobuline prodotte dai cloni PAM 13B8, 16F4 e 17H8 sono risultate essere di classe IgG, mentre quelle prodotte dai cloni ROM 1F5 e 4G11 sono risultate essere di classe IgM. 4.1.3 Reattività nei confronti del PDGFR umano degli anticorpi prodotti dai cloni linfocitari B memoria selezionati Tutti e cinque i cloni linfocitari isolati producono anticorpi reattivi nei confronti del PDGFR umano, come dimostrato nei saggi di legame effettuati (§ 3.1.8 – figure 8 e 9). Tuttavia solo quattro di essi hanno mostrato capacità di stimolare la produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) nel saggio biologico effettuato (§ 3.1.9 – figura 10). L’induzione di ROS è dipendente dalla presenza del PDGFR . La concentrazione necessaria e sufficiente a determinare la produzione di ROS è risultata pari a 20 μg/ml di immunoglobuline, laddove le IgG purificate dal siero in toto dei pazienti sclerodermici hanno attività stimolatoria solo se utilizzate ad una concentrazione di 200 μg/ml. . 58 4. Risultati Cellule F-/- Cellule F PAM 13B8 PAM 16F4 PAM 17H8 Figura 8 Reattività delle IgG prodotte dai cloni linfocitari immortalizzati PAM 13B8, 16F4 e 17H8 in citofluorimetria su cellule F ed F-/- non permeabilizzate. In nero: profilo di legame ottenuto utilizzando 20 μg/ml di IgG purificate da ciascun clone linfocitario PAM. In grigio: profilo di legame ottenuto utilizzando, come controllo negativo, un anticorpo commerciale anti-human IgG coniugato con fluoresceina isotiocianato. In verde: profilo di legame ottenuto utilizzando, come controllo positivo, un anticorpo commerciale murino specificamente diretto contro il PDGFR umano. 59 4. Risultati Cellule F-/- Cellule F ROM 1F5 ROM 4G11 Figura 9 Reattività delle IgM prodotte dai cloni linfocitari immortalizzati ROM 1F5 e 4G11 in citofluorimetria su cellule F ed F-/- non permeabilizzate. In nero: profilo di legame ottenuto utilizzando 20 μg/ml di IgM purificate da ciascun clone linfocitario PAM. In grigio: profilo di legame ottenuto utilizzando, come controllo negativo, un anticorpo commerciale anti-human IgM coniugato con fluoresceina isotiocianato. Figura 10 Capacità delle immunoglobuline prodotte dai cinque cloni linfocitari B autoreattivi nei confronti del PDGFR umano selezionati di stimolare la produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) in cellule F ma non in cellule F-/-. 60 4. Risultati 4.1.4 Sequenziamento delle regioni variabili delle catene pesanti e leggere precedentemente isolate Dal sequenziamento delle regioni variabili delle catene pesanti e leggere precedentemente isolate (§ 3.1.11) è emerso che i cinque cloni linfocitari autoreattivi nei confronti del PDGFR umano selezionati sono oligocloni, in quanto ciascuno esprime sequenze codificanti più di una singola molecola immunoglobulinica. In particolare, il repertorio anticorpale degli oligocloni PAM 13B8 e 17H8 è risultato essere il medesimo, in quanto essi contengono sequenze identiche tra loro, codificanti due distinte IgG. Il repertorio anticorpale dell’oligoclone PAM 16F4 contiene una sequenza condivisa con 13B8 e 17H8, ma presenta sequenze aggiuntive codificanti due ulteriori distinte IgG (tabella 3). Il repertorio anticorpale degli oligocloni ROM 1F5 e 4G11 è risultato essere composto da due differenti sequenze per la regione variabile delle catene pesanti, entrambe distinte da quella espressa dai tre oligocloni PAM, e da due differenti sequenze per la regione variabile delle catene leggere, una delle quali condivisa con gli oligocloni PAM 13B8 e 17H8 (tabella 4). Nel complesso l’analisi del repertorio immunoglobulinico dei cinque oligocloni ha evidenziato tre distinte regioni variabili di catene pesanti VH (una per le IgG e due per le IgM) e cinque distinte regioni variabili di catene leggere VL (quattro per le IgG e una per le IgM). Tali sequenze geniche sono state confrontate con quelle depositate in banca dati codificanti l’intero repertorio di immunoglobuline umane già noto. Ne è emerso che alcune di esse sono originali e dunque potenzialmente caratteristiche dei pazienti affetti da sclerosi sistemica. 61 4. Risultati PAM 13B8 IgG 16F4 17H8 VH2 Y VH3 Y V 1/4 Y V 3 Y V Y V 3 Y V 4a Y V 6 Y VH2 Y V 1/4 Y V 1 Y V 2/5 Y V 3 Y V 4a Y VH2 Y VH3 Y V 1/4 Y V 1 Y V 2/5 Y V 3 Y V 4a Y 2 anticorpi: YY e YY 3 anticorpi: YY, YY e YY 2 anticorpi: YY e YY Tabella 3 Rappresentazione schematica del repertorio immunoglobulinico dei tre oligocloni linfocitari B autoreattivi nei confronti del PDGFR umano isolati dal paziente PAM. Le sequenze geniche identiche tra loro sono evidenziate con colori uguali. ROM IgM 1F5 e 4G11 VH1 Y VH2 Y VH3 Y V 1/4 Y 4 anticorpi: YY e YY YY e YY Y V Tabella 4 Rappresentazione schematica del repertorio immunoglobulinico dei due oligocloni linfocitari B autoreattivi nei confronti del PDGFR umano isolati dal paziente ROM. Le sequenze geniche identiche tra loro sono evidenziate con colori uguali. 62 4. Risultati 4.2 Produzione di IgG monoclonali umane ricombinanti anti-recettore del PDGF Le sequenze codificanti le regioni variabili delle catene pesanti e leggere isolate dai cinque oligocloni linfocitari selezionati sono state sub-clonate in un apposito vettore plasmidico per essere espresse come IgG monoclonali umane intere in cellule eucariotiche (§ 3.2.1). Sono stati effettuati tutti i possibili appaiamenti tra catene pesanti e leggere (quattro per il paziente PAM, quattro per il paziente ROM) al fine di ottenere tutti i possibili anticorpi prodotti in vivo dai due pazienti sclerodermici (figura 11). Anticorpo V 13B8 V 1/4 PAM 13B8 e 17H8 ROM 1F5 e 4G11 VH2 PAM 13B8, 16F4 e 17H8 V 1/4 PAM 16F4 Anticorpo V 16F4 Anticorpo V 13B8 Anticorpo V 16F4 VH1 ROM 1F5 e 4G11 VH2 ROM 1F5 e 4G11 V 1 PAM 13B8, 16F4 e 17H8 V 2/5 PAM 16F4 V 1 ROM 1F5 e 4G11 Anticorpo VH1-V 13B8 Anticorpo VH2-V 13B8 Anticorpo VH1-V 1 Anticorpo VH2-V 1 Figura 11 Rappresentazione schematica degli appaiamenti tra catene pesanti e leggere effettuati all’interno del vettore di espressione pDR12 per ottenere gli otto anticorpi antiPDGFR umano prodotti in vivo dai due pazienti sclerodermici PAM e ROM. 63 4. Risultati Per i quattro anticorpi umani ricombinanti PAM sono state poi selezionate linee cellulari caratterizzate da una produzione stabile di IgG monoclonali, con una resa di almeno 1 μg/ml di ciascun anticorpo. La produzione stabile delle quattro IgG monoclonali ROM è invece ancora in corso d’opera. 64 4. Risultati 4.3 Caratterizzazione funzionale delle IgG monoclonali umane ricombinanti anti-recettore del PDGF Tre dei quattro anticorpi monoclonali PAM hanno mostrato capacità in vitro di riconoscere specificamente il PDGFR umano, mentre solo uno di essi (V 13B8) non è in grado di immunoprecipitare il recettore (figura 12 A). Ciò dimostra come le IgG umane prodotte attraverso la ricombinazione delle sequenze geniche codificanti le regioni variabili delle catene pesanti e leggere precedentemente identificate abbiano ritenuto la reattività nei confronti del recettore propria dei cloni linfocitari sclerodermici anti-PDGFR umano dai quali sono state originariamente isolate (figura 12 B). Lisato fibroblasti umani MAB 1264 PAM V 13B8 PAM V 13B8 PAM V 16F4 PAM V 16F4 A PDGFR Lisato fibroblasti umani B MAB 1264 PAM 13B8 PAM 16F4 PAM 17H8 PAM IgG totali IgG normali PDGFR Figura 12 Immunoprecipitazione del PDGFR , da lisato totale di fibroblasti umani normali, ad pera delle diverse IgG monoclonali PAM (pannello A) a confronto con le IgG oligoclonali purificate dai tre cloni linfocitari PAM 13B8, 16F4 e 17H8 (pannello B). Un anticorpo monoclonale murino commerciale specifico per il PDGFR umano (MAB1264) è stato utilizzato come controllo positivo. PAM IgG totali: IgG totali (200 μg/ml) purificate dal siero del paziente PAM. IgG normali: IgG totali (200 μg/ml) purificate dal siero di un controllo sano. Dai saggi effettuati (§ 3.3) si evince inoltre come due dei tre anticorpi monoclonali PAM reattivi nei confronti del PDGFR dotati di attività biologica. 65 umano siano anche 4. Risultati In particolare, gli autoanticorpi V 16F4 e V 16F4 inducono nei fibroblasti umani un aumento della fosforilazione della proteina ERK1/2 (figura 13) e sono in grado di generare nelle cellule F uno stato di stress ossidativo caratterizzato da un incremento significativo della produzione intracellulare di ROS (figura 14). Basale PDGF PAM PAM PAM PAM V 13B8 V 13B8 V 16F4 V 16F4 pERK1/2 ERK1/2 Figura 13 Analisi Western Blot dei livelli di fosforilazione della proteina ERK1/2, in seguito a stimolazione, per 15 minuti, di fibroblasti umani normali con 10 μg/ml di ciascuna IgG monoclonale purificata e con 15 ng/ml di PDGF-BB, utilizzato come controllo positivo. Figura 14 Valutazione, mediante saggio biologico, della produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) in cellule F stimolate con 10 μg/ml di ciascuna IgG monoclonale purificata e con 15 ng/ml di PDGF-BB, utilizzato come controllo positivo. Gli istogrammi rappresentano la media dei valori ottenuti, con i relativi errori standard. La significatività degli incrementi rispetto al livello di produzione basale delle cellule è stata valutata mediante test t di Student e indicata con un asterisco (P 0,05). 66 4. Risultati L’autoanticorpo V 16F4 stimola inoltre nei fibroblasti umani la trascrizione dei geni del collageno di tipo I (figura 15), promuovendone il differenziamento in senso miofibroblastico. Figura 15 Valutazione, mediante Real-Time PCR, dell’aumento della trascrizione dei geni del collageno di tipo I, in rapporto al livello di espressione basale, in cellule HDF stimolate con 10 μg/ml di ciascuna IgG monoclonale purificata. Come controlli positivi sono stati utilizzati 30 ng/ml di PDGF-BB e 15 ng/ml di TGF . Il PBS è stato utilizzato come controllo negativo. Gli istogrammi rappresentano la media dei valori ottenuti, con i relativi errori standard. La significatività degli incrementi rispetto al livello di produzione basale delle cellule è stata valutata mediante test t di Student e indicata con gli asterischi (P 0,05). Tre sono in definitiva gli anticorpi monoclonali PAM degni di particolare attenzione: il V 13B8, incapace sia di legare che di stimolare il PDGFR, il V 16F4, capace sia di legare che di stimolare il PDGFR, il V 13B8, capace di legare il recettore ma privo di attività stimolatoria. E’ interessante notare come essi, pur possedendo caratteristiche funzionali diverse, strutturalmente differiscano tra loro unicamente per la regione variabile delle catene leggere. 67 4. Risultati 4.4 Studio dell’interazione tra le IgG monoclonali ricombinanti e il PDGFR umano La dinamica dell’interazione dei diversi anticorpi monoclonali PAM con il PDGFR umano è stata approfondita attraverso esperimenti di legame competitivo su fase solida (§ 3.3.4). Dalla diretta lettura della variazione dell’angolo di risonanza della luce ( R = 600 arcsec) è stato innanzitutto possibile calcolare la densità superficiale del PDGFR -His immobilizzato alla superficie metallica dell’interfaccia, pari a 1 ng/mm2, corrispondente ad una concentrazione di circa 5 mg/ml (figura 16). Figura 16 Immobilizzazione del PDGFR -His sulla superficie metallica attivata del biosensore. Il sensorgramma descrive le variazioni di risonanza della luce determinate dalle varie fasi della procedura. La conformazione nativa del recettore è stata quindi confermata dall’ottimo profilo di legame ottenuto con il ligando naturale PDGF-BB e con due distinti anticorpi monoclonali murini commerciali (MAB1264 e MAB322) diretti contro epitopi conformazionali del PDGFR umano (figura 17). 68 4. Risultati Figura 17 Curve di legame al PDGFR -His della citochina PDGF-BB e di due diversi anticorpi monoclonali murini commerciali, il MAB322 (specificamente diretto contro un epitopo conformazionale all’estremità N-terminale del recettore umano) e il MAB1264. L’utilizzo del PDGF-BB e dei singoli anticorpi monoclonali PAM a diverse concentrazioni ha permesso di calcolare, per ciascuno di essi, la costante di dissociazione (Kd) e di stimarne quindi la forza di legame al PDGFR umano (figura 18). Si è così confermato il legame ad alta affinità della citochina al proprio recettore, poi dimostrato che anche gli autoanticorpi PAM sono dotati di notevole affinità, seppur inferiore a quella del PDGF-BB, per il PDGFR umano. L’unica eccezione è rappresentata dal V 13B8, incapace di legare il recettore, come già evidenziato negli esperimenti di immunoprecipitazione (figure 12 e 18). 69 4. Risultati Figura 18 Curve di legame al PDGFR -His per concentrazioni crescenti della citochina PDGF-BB e dei quattro anticorpi monoclonali PAM. L’anticorpo monoclonale V 13B8 non è in grado di legare il recettore ed è stato quindi utilizzato come controllo negativo. 70 4. Risultati L’aggiunta dell’autoanticorpo V 16F4 al complesso già formato PDGFR -HisV 13B8 ha determinato comunque un sensorgramma positivo, indicante il legame di V 16F4 ad una regione del PDGFR umano non occupata dal legame di V 13B8 (figura 19). Figura 19 Curve di legame al PDGFR -His dell’anticorpo monoclonale V 16F4. L’autoanticorpo è stato aggiunto, alla stessa concentrazione (10 nM), al recettore immobilizzato da solo e previa parziale saturazione del PDGFR -His con la citochina PDGF-BB o con l’anticorpo monoclonale V 13B8. L’aggiunta degli autoanticorpi V 13B8 e V 16F4 al recettore immobilizzato parzialmente saturato con il PDGF-BB ha poi confermato come i due anticorpi monoclonali PAM riconoscano epitopi conformazionali del PDGFR umano diversi tra loro. Il V 16F4 non è infatti in grado di legarsi al recettore in presenza del PDGF-BB (figura 19), a dimostrazione che ligando fisiologico e patologico condividono lo stesso epitopo, mentre il V 13B8 conserva la sua capacità di legame nonostante la presenza della citochina nella sua tasca recettoriale (figura 20). 71 4. Risultati Figura 20 Curve di legame al PDGFR -His dell’anticorpo monoclonale V 13B8. L’autoanticorpo è stato aggiunto, alla stessa concentrazione (10 nM), al recettore immobilizzato da solo e previa parziale saturazione del PDGFR -His con la citochina PDGF-BB. 72 4. Risultati 4.5 Epitope mapping del PDGFR umano Grazie ai dati sperimentali raccolti e alle informazioni ottenute dallo studio della letteratura scientifica abbiamo ricostruito, mediante modellazione per omologia, la struttura tridimensionale della regione extracellulare del PDGFR umano e del frammento legante l’antigene delle diverse IgG monoclonali ricombinanti prodotte (§ 3.4) e chiesto ad un software dedicato di ultima generazione di predire la possibilità statistica di tali complessi macromolecolari di interagire tra loro e con quali epitopi (§3.5). Il docking molecolare dei complessi PDGFR umano-anticorpi monoclonali PAM ha prodotto una serie di modelli biostatistici (figura 21) che predicono l’interazione, con un’elevata probabilità, tra: il ligando naturale PDGF-BB e un epitopo compreso tra il secondo e il terzo dominio extracellulare del PDGFR umano, come preannunciato dalla letteratura scientifica, l’autoanticorpo V 13B8 e un epitopo compreso tra il primo e il secondo dominio extracellulare del PDGFR umano, l’autoanticorpo V 16F4 e un epitopo del PDGFR umano sovrapponibile a quello del PDGF-BB, l’autoanticorpo V 16F4 e un epitopo compreso tra il primo e il secondo dominio extracellulare del PDGFR riconosciuto dal V 13B8. 73 umano, distinto da quello 4. Risultati Figura 21 Docking molecolare dei complessi PDGFR umano - IgG monoclonali ricombinanti PAM. I numeri romani (I, II, III, IV e V) indicano i cinque domini Ig-like della porzione extracellulare del recettore. La citochina PDGF e i tre autoanticorpi V 13B8, V 16F4 e V 16F4 sono rappresentati, rispettivamente, in rosa, in giallo, in verde e in blu. 74 4. Risultati 4.6 Identificazione di peptidi inibitori delle IgG monoclonali umane ricombinanti anti-recettore del PDGF L’identificazione delle regioni del recettore specificamente coinvolte nel legame con i diversi autoanticorpi ci ha condotto alla creazione di una library peptidica comprendente i primi tre domini immunoglobulinici della porzione extracellulare del PDGFR umano (§ 3.6). Tale library peptidica è stata poi testata con i tre anticorpi monoclonali PAM reattivi nei confronti del recettore, al fine di determinare con precisione gli epitopi conformazionali bersaglio della risposta autoimmunitaria in corso di sclerodermia e in particolare quali, tra di essi, fossero responsabili degli eventi cellulari prodromici al fenotipo sclerodermico. In totale sono stati individuati sei diversi peptidi in grado di legare i tre autoanticorpi V 13B8, V 16F4 e V 16F4. Tali peptidi sono stati quindi utilizzati in una serie di esperimenti preliminari volti a verificare la loro capacità di bloccare la reattività dei diversi autoanticorpi nei confronti del PDGFR umano. I risultati ottenuti dimostrano come tre di essi siano, in particolare, in grado di inibire la capacità del V 16F4 di stimolare la trascrizione dei geni del collageno di tipo I nei fibroblasti umani normali (figura 22), aprendo la possibilità ad un loro futuro utilizzo come agenti terapeutici. 75 4. Risultati Figura 22 Valutazione, mediante Real-Time PCR, dell’aumento della trascrizione dei geni del collageno di tipo I, in rapporto al livello di espressione basale, in cellule HDF stimolate con 10 μg/ml dell’anticorpo monoclonale V 16F4. Le cellule sono state stimolate, per 1 ora, con l’anticorpo monoclonale V 16F4 da solo o preincubato, per 1 ora, con 1 mg/ml di ciascun peptide inibitore. Gli istogrammi rappresentano la media dei valori ottenuti, con i relativi errori standard. La significatività degli incrementi rispetto al livello di produzione basale delle cellule è stata valutata mediante test t di Student e indicata con gli asterischi (P 0,05). 76 4. Risultati 4.7 Indagine epidemiologica Per comprendere se gli autoanticorpi anti-recettore del PDGF isolati nel corso del nostro studio fossero esclusivi dei due pazienti in esame o fossero piuttosto condivisi da altri sclerodermici ed, eventualmente, anche dai soggetti normali, l’espressione delle sequenze geniche codificanti le regioni ipervariabili delle catene pesanti e leggere PAM e ROM è stata valutata, mediante Real-Time PCR (§ 3.7), nel repertorio immunoglobulinico di una piccola coorte di pazienti sclerodermici e di controlli sani. In totale sono state disegnate otto diverse coppie di primer (tabella 2), corrispondenti ad altrettanti CDR3 (Complementarity Determining Region 3) ipoteticamente specifici di sclerodermia. Poiché le sequenze target differiscono solo per alcuni codon dai geni immunoglobulinici generalmente rappresentati nel normale repertorio immunitario umano si è reso necessario mettere a punto, per ciascuna coppia di oligonucleotidi, le condizioni ottimali di reazione, sia in termini di specificità che in termini di sensibilità. Il lavoro svolto fino ad ora ci ha permesso di evidenziare, come atteso, un repertorio immunoglobulinico piuttosto eterogeneo. Tutti i campioni analizzati hanno infatti mostrato picchi di amplificazione multipli e le diverse condizioni di reazione testate hanno dato luogo a profili di amplificazione leggermente differenti tra loro. Ciò nonostante in ciascun esperimento effettuato è stato sempre possibile apprezzare una differenza qualitativa tra la coorte sclerodermica e la coorte normale. La figura 23 mostra, in particolare, i diversi profili di amplificazione ottenuti utilizzando la coppia di primer Rt-VH-PAM: i pazienti sclerodermici presentano infatti un picco alla temperatura di melting di 80°C del tutto assente nei controlli sani. Tale sequenza immunoglobulinica risulta dunque potenziale specifica dei soggetti sclerodermici. 77 4. Risultati Sclerodermici C+ C- Controlli sani C+ C- Figura 23 Profili di amplificazione dei geni immunoglobulinici per le catene pesanti ottenuti in Real-Time PCR, con la coppia di primer Rt-VH-PAM, a partire dal cDNA di 11 diversi pazienti sclerodermici (pannello superiore) e di 11 controlli sani (pannello inferiore). C+: profilo di amplificazione ottenuto a partire dal cDNA estratto dai linfociti B memoria autoreattivi nei confronti del PDGFR del paziente PAM, utilizzato come controllo positivo. C-: profilo di amplificazione ottenuto in assenza di cDNA (controllo negativo). I profili di amplificazione dei pazienti sclerodermici sono caratterizzati da un picco principale corrispondente ad una temperatura di melting di 83°C e da un picco minore corrispondente ad una temperatura di melting di 80°C. I profili di amplificazione dei controlli sani sono invece caratterizzati da un picco principale corrispondente ad una temperatura di melting di 83°C, analogo a quello presente nei pazienti sclerodermici, ma sono privi del picco ad 80°C, espressione dei trascritti immunoglobulinici specifici di sclerosi sistemica. Il marcatore ovoidale compreso tra le 300 e le 800 unità di fluorescenza (asse delle ordinate) evidenzia il differente profilo dei controlli sani rispetto a quello dei pazienti sclerodermici a questa temperatura. 78 4. Risultati Per verificare la bontà dei risultati ottenuti, tale indagine epidemiologica andrà sicuramente estesa ad un campione più numeroso di individui. E’ ancora in corso, in particolare, la ricerca di alcune delle sequenze immunoglobuliniche di interesse in una coorte di pazienti sclerodermici con forma limitata e diffusa di malattia, confrontata con coorti di soggetti in fase di pre-sclerodermia, con fenomeno di Raynaud e di soggetti affetti da altre patologie a carattere autoimmunitario del tessuto connettivo, al fine di evidenziare la presenza di differenze statisticamente significative nella loro espressione, di stabilire una correlazione con l’attività e la severità di malattia e di individuare dei marker di sclerosi sistemica utilizzabili per la diagnosi precoce. 79 5. DISCUSSIONE 5. Discussione Questo studio è stato ispirato dalla recente scoperta della presenza di anticorpi anti-recettore del PDGF nel siero di pazienti affetti da sclerosi sistemica. L’importanza di tali autoanticorpi risiede nella loro attività stimolatoria nei confronti del recettore: essi sono infatti in grado di innescare nei fibroblasti una cascata intracellulare che, attraverso l’attivazione delle proteine Ha-Ras, ERK1/2 e NADPH ossidasi, induce una iper-produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) e, successivamente, un aumento della trascrizione dei geni del collageno di tipo I e di -actina del muscolo liscio. Al fine di caratterizzare la risposta autoimmune nei confronti del PDGFR presente nei pazienti sclerodermici, abbiamo isolato dal complesso delle immunoglobuline sieriche quelle specifiche per il recettore, così da poter disporre di reagenti puri atti a confermare e approfondire tale nuovo meccanismo patogenetico della malattia. Per fare ciò è stata adattata43 una metodica precedentemente messa a punto dal gruppo di ricerca di Antonio Lanzavecchia47, che prevede l’immortalizzazione dei linfociti B memoria del sangue periferico mediante infezione con il virus di Epstein-Barr (EBV). Tale metodica offre la possibilità di isolare, qualora si disponga di un adeguato sistema di screening, i cloni linfocitari reattivi verso un determinato antigene, con il vantaggio di poter individuare l’anticorpo nativo responsabile del legame con l’antigene di interesse e, al tempo stesso, di poter analizzare i geni immunoglobulinici codificanti le catene pesanti e leggere dello stesso anticorpo. Partendo dal sangue periferico di due differenti pazienti affetti da sclerosi sistemica abbiamo cercato di restringere la nostra ricerca ai soli linfociti B memoria caratterizzati dall’espressione di immunoglobuline di classe G alla superficie cellulare, essendo le IgM spesso responsabili, a causa della loro conformazione pentavalente, di reattività crociata non specifica nei confronti di vari antigeni. Per mirare il più possibile ad anticorpi diretti contro epitopi conformazionali del PDGFR umano, tipicamente legati a fenomeni biologici in vivo, abbiamo poi impiegato come sistema di screening una linea cellulare fibroblastica murina priva del recettore autologo ma esprimente l’intero 81 5. Discussione PDGFR umano nei suoi tre domini intracitoplasmatico, transmembrana ed extracellulare. L’ottenimento dei pochi cloni linfocitari B memoria immortalizzati producenti anticorpi conformazionali reattivi nei confronti del PDGFR umano ha richiesto lo screening di circa 1000 colture linfocitarie per donatore nella fase policlonale e di ulteriori 1000 per raggiungere la monoclonalità. Sulla base di questi numeri si può stimare che nell’ambito del pool linfocitario B memoria di un paziente sclerodermico i cloni autoreattivi verso il PDGFR siano verosimilmente 2-3 su 10.000. Non sorprende il ritrovamento nel paziente ROM di due cloni linfocitari produttori di IgM e di nessun clone produttore di IgG, ascrivibile alla fase metodologica di immortalizzazione delle colture linfocitarie policlonali mediante infezione con EBV. La selezione in negativo dei linfociti IgM positivi non è infatti un processo caratterizzato dal 100% di efficienza e il virus di Epstein-Barr possiede uno spiccato tropismo per le cellule B esprimenti, accanto al recettore CD21, immunoglobuline di classe M, che egli riconosce quali molecole co-recettoriali. Piuttosto interessante è invece il caso del paziente PAM, dal quale sono stati isolati tre distinti cloni autoreattivi nei confronti del PDGFR, di cui solo due hanno mostrato attività stimolatoria in vitro. Il sequenziamento dei geni codificanti le catene pesanti e leggere degli anticorpi anti-recettore del PDGF prodotti dai cinque cloni linfocitari PAM e ROM selezionati e il loro confronto con i geni immunoglobulinici umani già presenti in banca dati ha portato all’individuazione di sequenze originali, potenzialmente specifiche di sclerosi sistemica e dunque utili nell’approfondire la natura della risposta autoimmunitaria in corso di malattia. Il clonaggio di tali sequenze immunoglobuliniche in un apposito vettore di espressione plasmidico e la transfezione stabile in cellule eucariotiche ci ha quindi permesso di ottenere un pannello di otto diverse IgG monoclonali umane intere ricombinanti, corrispondenti a quelle prodotte in vivo dai due 82 5. Discussione pazienti PAM e ROM, in quantità sufficienti per una successiva caratterizzazione, in termini sia di struttura che di attività biologica. Per meglio definire il segnale patologico intracellulare dipendente dal PDGFR responsabile del fenotipo sclerodermico dei fibroblasti in corso di malattia, le IgG monoclonali prodotte sono state impiegate, singolarmente o in pool, in esperimenti di stimolo cellulare, dimostrando la loro capacità di riprodurre in vitro la complessità delle immunoglobuline presenti nel siero in toto dei pazienti sclerodermici. I saggi di legame effettuati e le analisi condotte in silico hanno poi reso possibile determinare l’epitopo del PDGFR umano riconosciuto da ciascuno di essi, mettendo in luce le differenze tra anticorpi stimolanti e non stimolanti. Attraverso la definizione delle regioni del recettore coinvolte nell’innesco dei circuiti di segnale intracellulari in conseguenza del legame ad esse di fattori fisiologicamente presenti (la citochina PDGF) o di fattori presenti in un processo patologico come la sclerodermia (autoanticorpi anti-recettore del PDGF), abbiamo costruito una prima mappa funzionale della regione extracellulare del PDGFR umano. Appare rilevante il fatto che l’epitopo del PDGF e del V 16F4, l’autoanticorpo induttore di stress ossidativo e aumentata espressione dei geni del collageno, siano in larga misura coincidenti: ciò indica chiaramente che la regione compresa tra il secondo e il terzo dominio extracellulare del PDGFR umano è cruciale ai fini dell’attivazione del recettore, sia durante le risposte fisiologiche che durante quelle patologiche. Di notevole interesse anche il fatto che gli epitopi riconosciuti dall’anticorpo non stimolante V 13B8 e dall’anticorpo stimolante V 16F4 siano diversi tra loro, come atteso in base al risultato degli esperimenti di stimolo cellulare. Questo conferma la nozione che in corso di malattie autoimmunitarie solo alcuni autoanticorpi sono dotati di attività biologica, mentre gli altri sono da considerarsi epifenomeni. Va notato che i due autoanticorpi in questione differiscono tra loro solo per la regione variabile della catena leggera, condividendo la stessa regione variabile della catena pesante. Ulteriori indagini chiariranno la genesi di questa diversificazione della risposta autoimmunitaria nei confronti del 83 5. Discussione PDGFR e il suo significato ai fini della patogenesi della sclerosi sistemica. In particolare, è in corso la ricerca delle sequenze nucleotidiche codificanti le regioni ipervariabili dei diversi autoanticorpi stimolanti e non stimolanti in una coorte di pazienti sclerodermici confrontata con coorti di controlli sani, di soggetti con fenomeno di Raynaud, in fase di pre-sclerodermia e affetti da altre patologie a carattere autoimmunitario del tessuto connettivo, al fine di verificare la presenza di differenze statisticamente significative nell’espressione dei geni immunoglobulinici di interesse, di stabilire una correlazione con l’attività e la severità di malattia e di individuare dei marker specifici di sclerosi sistemica. Oltre agli aspetti speculativi, i risultati del nostro studio hanno implicazioni fondamentali sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico. Per quanto riguarda il primo, la sintesi di peptidi inibitori ad azione antagonista nei confronti degli autoanticorpi anti-recettore del PDGF in grado di stimolare eventi cellulari prodromici al fenotipo sclerodermico ha come diretta conseguenza il loro utilizzo in vitro come molecole di cattura per gli autoanticorpi patogeni presenti nel siero dei pazienti sclerodermici. Questo potrebbe costituire la base per lo sviluppo di un saggio di legame in fase solida utile nella diagnosi precoce, nella migliore caratterizzazione dei vari sottogruppi classificativi della sclerodermia e nel monitoraggio clinico dei pazienti in corso di terapie immunosoppressive. Da un punto di vista terapeutico, bloccare in vivo l’epitopo funzionale del PDGFR umano potrebbe rappresentare una valida strategia per arrestare il meccanismo responsabile dello stress ossidativo e della fibrosi in corso di sclerodermia. Tale porzione del recettore, opportunamente ingegnerizzata, potrebbe ad esempio costituire un inibitore solubile degli autoanticorpi patogeni, analogamente al recettore solubile del TNF nell’artrite reumatoide. In alternativa potrebbero essere utilizzati come inibitori selettivi i peptidi agonisti precedentemente descritti. In conclusione possiamo affermare che questo lavoro rappresenta il primo esempio di uno studio del genere nell’ambito delle malattie autoimmunitarie, non solo da un punto di vista metodologico, ma soprattutto per il suo impatto 84 5. Discussione sulla comprensione della patogenesi della sclerosi sistemica e per le sue applicazioni diagnostiche e terapeutiche. 85 6. BIBLIOGRAFIA 6. Bibliografia 1. Reveille J.D. Ethnicity and race and systemic sclerosis: how it affects susceptibility, severity, antibody genetics, and clinical manifestations. Current Rheumatology Reports 2003; 5: 160-167. 2. Chifflot H., Fautrel B., Sordet C., Chatelus E. and Sibilia J. 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Ai tesisti e agli specializzandi che hanno frequentato più o meno assiduamente il laboratorio. A Valentina, la mia prima tesista … e poi a Silvia, Eleonora, Francesca C., Francesca D., Lorenzo N., Colomba, Lorenzo F., Lisa, Massimo… Perché con la vostra curiosità e con il vostro entusiasmo, con la voglia di mettersi in gioco e con la paura di sbagliare, con la vostra forza di volontà avete contribuito a mantenere vivi in me l’amore per la conoscenza e la passione per il mio lavoro. Spero di essere riuscita anch’io a fare la mia parte e di avervi trasmesso solo il meglio. Un ringraziamento particolare va a Simone, il mio apprendista stregone. Per la sua immancabile presenza e per il suo prezioso aiuto. Per gli innumerevoli pomeriggi trascorsi insieme fino a tardi, a lavorare, al bancone, sotto cappa o seduti di fronte al computer, a ragionare di risultati e di esperimenti, a studiare, a discutere di scienza e non solo. E perché riesce sempre a strapparmi un sorriso. A Matteo, l’unico fiducioso nel fatto che, un giorno, io possa vincere il premio Nobel. Per la pazienza con cui, ogni volta, ascolta i miei racconti di laboratorio. E per avermi sempre accompagnata, nelle scelte difficili, nei miei traguardi e nei miei insuccessi.