INSEGNAMENTO DI FILOSOFIA DEL DIRITTO LEZIONE II “IL DIRITTO COME ORGANIZZAZIONE DELLA FORZA” PROF. CATERINA BORRAZZO Filosofia del diritto Lezione II Indice 1 Mutamento Di Prospettive Nel Problema Diritto-Forza. --------------------------------------------------------------- 3 2 Hans Kelsen E La Coercitività Degli Ordinamenti ---------------------------------------------------------------------- 8 3 Karl Olivecrona E Le Motivazioni Del Comportamento -------------------------------------------------------------- 10 4 Alf Ross: Il Giudice E Il Sentimento Di Obbligatorietà ---------------------------------------------------------------- 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 2 di 13 Filosofia del diritto Lezione II 1 Mutamento di prospettive nel problema diritto-forza. Nell’ambito delle teoriche pre-kelseniane, il rapporto tra il diritto e la forza è inteso come relazione tra norma giuridica e forza fisica: il diritto vuole la realizzazione di determinati comportamenti, qualificati come giuridicamente obbligatori nella misura in cui vengono disciplinate le ipotesi di deviazione, attraverso la previsione dell’applicazione di sanzioni. Il diritto è, dunque, un “dover essere” e l’elemento della forza è fuori dal giuridico. Persino in Jhering, che privilegia l’elemento sanzionatorio, la forza è vista come strumento, come un mezzo per la realizzazione ed il trionfo del diritto. Jhering ritiene, infatti, che la forza sia uno strumento indispensabile al diritto e che quest’ultimo sia soltanto un mezzo diretto al fine dell’esistenza della società. E’ questo rapporto strumentale che fa scorgere nell’autore quasi un precursore di Kelsen, che considera il diritto “una tecnica per il controllo sociale”. Però, in Jhering il rapporto mezzo-fine si svolge attraverso la tricotomia forza-dirittosocietà con l’introduzione dell’ulteriore fondamentale elemento dello Stato, viceversa, in Kelsen, che identifica lo Stato con l’ordinamento giuridico e qualifica il diritto come forza organizzata, tale rapporto si svolge solo tra il diritto e la società, nella misura in cui il diritto è mezzo per il controllo del comportamento sociale. Jhering ritiene che solo lo Stato, da lui considerato come la più efficiente organizzazione del potere, sia in grado di realizzare le sue norme, che saranno norme giuridiche proprio grazie alla protezione offerta dallo Stato. L’elemento della coercizione, derivante dal potere statale, rimane esterno alla norma: esistono certamente organizzazioni societarie a struttura coercitiva, associazioni vietate, bande di briganti a struttura normativa, ma la differenza risiede nel fatto che le norme giuridiche hanno la protezione statale. Abbiamo detto che Jhering privilegia l’elemento sanzionatorio: egli, infatti, evidenzia il carattere sanzionatorio delle norme giuridiche e considera destinatari di esse gli organi statali, non i consociati. Testualmente Jhering: “la norma giuridica contiene un imperativo astratto rivolto agli organi del potere statale e pertanto la sua efficacia esterna, cioè la sua osservanza da Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 3 di 13 Filosofia del diritto Lezione II parte del popolo, dal punto di vista puramente giuridico formale deve essere considerata secondaria rispetto all’altro aspetto primario. Tutti gli imperativi giuridici, senza eccezione, si rivolgono anzitutto agli organi statali”. La forza, però, resta sempre un elemento esterno al fenomeno giuridico, in ragione del fatto che in Jhering non si assiste alla riduzione della sanzione a mera coazione fisica, come, invece, avviene in Kelsen. Secondo Jhering, mentre la forza può esistere senza il diritto, quest’ultimo non può esistere senza la forza, che costituisce, dunque, lo strumento indispensabile per l’attuazione del diritto stesso, in quanto, “soltanto la forza, realizzando le norme del diritto, fa del diritto ciò che esso è e deve essere”. A Kelsen va riconosciuto il merito di aver mutato la concezione del rapporto diritto-forza: il diritto, cioè l’ordinamento giuridico, è inteso come organizzazione della forza, dunque, la forza non è più strumento del diritto. Kelsen ritiene che il diritto si distingua dagli altri ordinamenti sociali per essere un ordinamento di tipo coercitivo nel quale “l’atto stabilito dall’ordinamento come conseguenza di un atto considerato socialmente dannoso deve essere eseguito anche contro la volontà del destinatario e, in caso di resistenza, con l’uso della forza fisica”. Quando Kelsen parla di “forza” vuole intendere, appunto, la forza fisica, che va ad identificarsi totalmente con la violenza. L’autore praghese non considera, come, invece, fa Jherig, la forza come un elemento che resta al di fuori del fenomeno giuridico, bensì considera la forza stessa materia del diritto. Per comprendere il mutamento di prospettiva nel problema diritto-forza operato da Kelsen bisogna partire dal concetto di organizzazione o ordinamento e, anzitutto, considerare che, essendo l’organizzazione un’esperienza fenomenica, in tale concetto è insito il riferimento ad un fatto determinato, ad una situazione concreta. Se è vero che il diritto non può coincidere con la realtà, cioè con il fatto (Sein), perché si pone dinanzi alla realtà per modificarla, altrettanto vero è che il diritto non può essere totalmente disgiunto dal Sein, altrimenti non differirebbe affatto, per esempio, da un ordinamento di tipo morale. Per ciò che concerne il rapporto intercorrente tra il diritto come organizzazione della forza e la norma fondamentale, va detto che quest’ultima, la Grundnorm, è un’ipotesi scientifica, una norma presupposta, che deve essere adoperata da alcuni consociati: i funzionari ed i giudici. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 4 di 13 Filosofia del diritto Lezione II Considerata, però, la possibilità che tali figure si rintraccino, in qualche misura, anche in altri ordinamenti coercitivi, ma non giuridici, va rilevato che, se si sostiene che il fondamento e l’esistenza dell’ordinamento giuridico dipendono dal consenso o approvazione di un gruppo determinato di consociati, se contasse, dunque, solo il riconoscimento da parte di un gruppo determinato di essi, non dovrebbe esser negata la qualifica di giuridico, per esempio, ad una organizzazione di briganti, in cui tali figure possono ritrovarsi; oltretutto, essendo tale gruppo costituito da un numero certamente limitato di consociati, non sarebbe neppure possibile l’ipotesi di contrasto tra individuo ed ordinamento giuridico, ciò in ragione del fatto che quest’ultimo viene quasi ad identificarsi con le volontà di determinati individui. Questa tesi che individua la forza dell’ordinamento giuridico nel consenso dei giuristi, dunque, non è affatto soddisfacente. Ritornando alla formula kelseniana “il diritto è organizzazione della forza”, è possibile affermare che il diritto è costituito da norme che disciplinano l’uso della forza, l’esercizio cioè del potere coattivo; comunque, una tale definizione non basta a distinguere il fenomeno giuridico dalle associazioni vietate, che, pur essendo organizzazioni coercitive, diritto non sono affatto. Prima di analizzare la teoria sul rapporto tra il diritto e la forza in tre specifici autori come Hans Kelsen, Karl Olivecrona e Alf Ross, diciamo sin d’ora che un importante merito della teoria è quello dell’inserimento dell’elemento della forza nell’ambito del sistema giuridico. I tre gli autori adottano una concezione riduzionistica in fatto di norme e tutti e tre ribaltano il rapporto tra le norme precettive e le norme sanzionatorie. Un’ulteriore riduzione da essi operata è, poi, quella di intendere la sanzione giuridica come coazione fisica. Sappiamo che, in realtà, è possibile intendere pienamente il significato di efficacia giuridica solo privilegiando il comportamento dei “privati cittadini”, volendo utilizzare la terminologia hartiana; non è, dunque, assolutamente possibile la riduzione dell’efficacia giuridica all’applicazione delle norme sanzionatorie da parte dei tribunali, considerare, cioè, l’ordinamento giuridico come composto esclusivamente da norme di tipo sanzionatorio. Va, però, detto che nessuno dei tre autori considerati si spinge fino a tal punto. Per quanto riguarda Kelsen, se, in un primo momento, egli ritiene che l’efficacia, in quanto qualificazione del comportamento, non costituisca un problema giuridico, ma sia oggetto della sociologia del diritto, successivamente Kelsen accoglie il criterio dell’effettività nel giuridico. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 13 Filosofia del diritto Lezione II Egli ritiene che l’effettività di un ordinamento non possa risiedere nel comportamento degli organi giudiziari, ma risieda, piuttosto, primariamente nel comportamento di tutti i consociati. I comportamenti degli organi giudiziari possono solo provare l’efficacia dell’ordinamento giuridico. Per quanto riguarda Olivecrona, indipendentemente dalla questione relativa alla validità e all’efficacia delle norme, egli studia il modo di operare di esse nella psiche degli uomini, studia, dunque, l’esistenza delle norme. Quanto a Ross, egli risolve le cosiddette norme precettive in un aspetto delle norme di condotta intese come direttive per i giudici; Ross, più di tutti, risolve il problema dei destinatari delle norme indicandoli negli organi giudiziari: “la direttiva al privato è implicita nel fatto che egli conosce quali reazioni può aspettarsi da parte delle corti in certe circostanze”. Se l’effettività dell’ordinamento giuridico risiede, come abbiamo detto per Kelsen, innanzitutto nel comportamento dei consociati messo in relazione alle norme precettive (vale a dire, con terminologia hartiana, norme che impongono obblighi), una concezione dualistica del diritto appare come una rappresentazione senz’altro più precisa ed appropriata dell’ordinamento giuridico. Se è possibile individuare nell’ambito dell’ordinamento giuridico due tipi di norme, come Hart suggerisce, vale a dire le norme che impongono modelli di condotta e le norme secondarie intese come norme relative a norme, si può risolvere la questione dei destinatari dell’ordinamento giuridico nel senso di indicare nei privati cittadini i destinatari delle norme precettive e negli organi giudiziari e nei funzionari i destinatari delle norme secondarie. Alla nuova teoria va certamente riconosciuto il merito di aver condotto la forza fisica nell’ambito del sistema giuridico, ma va respinta la radicalizzazione che Kelsen, Olivecrona e Ross operano: se è vero che nell’ambito dell’ordinamento giuridico vi sono norme che disciplinano l’uso della forza, non è detto che tutte le norme debbano essere forzate in tale schema, cioè, non è possibile ridurre l’intero fenomeno giuridico nelle norme che disciplinano l’uso della forza. Si potrà, piuttosto, riconoscere la particolare importanza di tali norme ai fini della esatta comprensione dell’ordinamento giuridico e, in generale, degli ordinamenti di tipo coercitivo, ma mai si dovrà giungere a considerare le norme che disciplinano l’uso della forza fisica come l’essenza stessa del diritto. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 6 di 13 Filosofia del diritto Lezione II Se, infatti, la presenza di tale tipo di norme nell’ambito di un sistema vale certamente a distinguere l’ordinamento giuridico da altri ordinamenti sociali, tale presenza non è assolutamente sufficiente per caratterizzare l’ordinamento giuridico rispetto agli altri ordinamenti coercitivi. In termini diversi, la presenza di norme che regolano l’esercizio della forza fisica permette di classificare l’ordinamento giuridico come ordinamento coercitivo, ma esistono altri ordinamenti di tipo coercitivo oltre a quello giuridico. Inoltre, non si può ritenere che un ordinamento coercitivo possa essere costituito solo di norme sull’uso della forza fisica. Nell’ambito, per esempio, di una banda di briganti, esistono regole che disciplinano e limitano l’uso della forza tra i componenti della banda stessa ed esistono norme che prevedono e disciplinano i casi di deviazione da determinati comportamenti. I modelli di condotta, che i componenti della banda sono tenuti ad osservare, sono costituiti proprio da questi comportamenti e la mancanza di un organo autorizzato a dirimere le controversie, rende, nell’ambito della banda, ancora più importanti le norme primarie, di quanto esse non lo siano in un ordinamento giuridico. La constatazione che negli ordinamenti giuridici moderni vi siano organi giudiziari particolarmente sviluppati non significa affatto che le vere norme giuridiche siano soltanto quelle che in qualche modo, direttamente o indirettamente, sono inerenti ai tribunali. In conclusione, la presenza non esclusiva delle norme che regolano l’esercizio della forza fisica consente di classificare l’ordinamento giuridico come ordinamento di tipo coercitivo. Ma resta il problema di distinguere e caratterizzare l’ordinamento giuridico dagli altri ordinamenti coercitivi. Va detto che la formula “il diritto è organizzazione della forza” inerisce alla struttura interna degli ordinamenti coercitivi: rimane aperto il problema se questa effettività risieda in un atteggiamento psicologico dei consociati o di alcuni di essi (i giudici), in una situazione di vero e proprio consenso, o semplicemente nei comportamenti esteriori dei consociati. Passiamo ora ad un esame specifico della teoria sul rapporto tra il diritto e la forza in Hans Kelsen, Karl Olivecrona e Alf Ross, relazionando la teoria stessa alle più generali concezioni dei singoli autori. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 7 di 13 Filosofia del diritto Lezione II 2 Hans Kelsen e la coercitività degli ordinamenti. In Hans Kelsen l’elemento essenziale del fenomeno giuridico è la sanzione intesa come atto coercitivo, e le norme giuridicamente rilevanti sono solo quelle che stabiliscono una sanzione come conseguenza di un determinato comportamento illecito; tutte le altre norme, dunque, o sono giuridicamente irrilevanti oppure sono, in qualche modo, riconducibili o comunque collegate alle norme sanzionatorie. La giuridicità della norma non si identifica, quindi, con la sua validità, intesa come specifica esistenza della norma: la giuridicità della norma è determinata dall’elemento sanzionatorio; la validità della norma, invece, si risolve in base ai criteri di appartenenza all’ordinamento giuridico. In altri termini, la norma è valida ed esistente se appartiene ad un dato ordinamento giuridico; tale norma è giuridica, però, solo ed esclusivamente se mira a regolare il comportamento umano attraverso l’esercizio di un atto coercitivo, applicando, cioè, le sanzioni L’ordinamento kelseniano, che è punto centrale del pensiero dell’autore praghese, è coercitivo, in quanto costituito da norme che stabiliscono atti coercitivi, cioè sanzioni, ed è giuridico se è effettivo, vale a dire se la maggior parte delle norme dell’ordinamento stesso sono efficaci, nel senso che il comportamento prescritto da tali norme (di condotta) coincide con quello realmente assunto dai soggetti. L’effettività dell’ordinamento giuridico non può, però, coincidere soltanto con il comportamento dei giudici e dei funzionari: se si considera la singola norma, è giusto dire che i giudici applicano la sanzione quando è risultata inefficace la norma precettiva; se, invece, si considera l’ordinamento giuridico nel suo complesso, intanto è possibile l’applicazione, e quindi l’efficacia, delle norme sanzionatorie (secondarie) da parte dei giudici, in quanto sono normalmente efficaci le norme precettive (primarie), in quanto, cioè, normalmente i cittadini osservano le norme che prescrivono una certa condotta e sono, dunque, sporadiche le deviazioni dal comportamento prescritto e sanzionato. In altri termini, l’ordinamento è effettivo se, prima di tutto, il comportamento degli uomini risulta conforme a quanto prescritto dalle norme che prescrivono la condotta, non Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 13 Filosofia del diritto Lezione II essendo possibile ridurre l’effettività dell’ordinamento alla normale applicazione delle norme sanzionatorie. L’effettività dell’ordinamento nel suo complesso non è colta pienamente da Kelsen: l’ordinamento è giuridico in quanto efficace, ma l’effettività deriva dall’efficacia, soprattutto, delle norme indirizzate ai consociati. Se, dice Kelsen, al termine efficacia sostituiamo quello di forza, il rapporto validitàefficacia diventa rapporto diritto-forza: il diritto non si identifica con la forza ma non esiste senza di essa essendo il diritto organizzazione della forza stessa. L’ordinamento è giuridico, cioè efficace, se è costituito da norme che regolano l’esercizio della forza fisica (norme sanzionatorie) e se sussiste un certo grado di osservanza delle norme di condotta, se sono cioè efficaci le sue norme precettive. La dottrina pura del diritto di Kelsen non può limitarsi a definire l’ordinamento giuridico come ordinamento coercitivo costituito da norme che disciplinano l’uso della forza, in quanto anche una banda di briganti può costituire un ordinamento coercitivo nel quale è disciplinato l’uso della forza. Kelsen ritiene che la differenza tra l’ordinamento giuridico e gli altri ordinamenti coercitivi risiede nel fatto che in questi ultimi non viene presupposta una norma fondamentale, la Grundnorm, in base alla quale ci si deve comportare conformemente all’ordinamento. La norma fondamentale non viene presupposta negli altri ordinamenti coercitivi essendo essi privi di efficacia continua. Alla norma fondamentale si ricorre per dare un senso normativo alla situazione reale costituita dal fatto che le norme sono normalmente osservate dagli uomini, la Grundnorm “significa…, in un certo senso, la trasformazione del potere in diritto”. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 9 di 13 Filosofia del diritto Lezione II 3 Karl Olivecrona e le motivazioni del comportamento. L’autore scandinavo Karl Olivecrona dedica molto spazio al rapporto tra il diritto e la forza. Nella sua teoria sul rapporto diritto-forza emergono numerosi punti di contatto con Kelsen: in primis, la concezione del diritto come composto principalmente da norme sull’uso della forza, quindi il considerarlo come forza organizzata; in secundis, l’intendere il diritto non come singola norma bensì come ordinamento, data l’impossibilità, secondo Olivecrona, di considerare una norma isolatamente, ma soltanto in rapporto ad altre norme. Anche l’autore scandinavo, come Kelsen, ritiene, inoltre, che la norma giuridica sia solo quella che stabilisce la sanzione, essendo la norma di condotta un mero aspetto secondario di essa, ed anche egli identifica il diritto con l’organizzazione statale, non potendo lo Stato esistere senza di esso. Per Olivecrona il diritto è un insieme di fatti sociali e l’analisi da egli svolta sul fenomeno giuridico si basa e mira a cogliere il momento applicativo del diritto; nell’autore il diritto è inteso come “essere” e non come “dover essere”: l’obbligo non esiste, esiste solo l’idea dell’obbligo rinvenibile nella psiche umana. Il diritto è un fenomeno psicologico e i fatti sociali da analizzare sono rappresentati da ciò che gli uomini pensano essere diritto. Gli uomini, sin dal momento in cui vengono al mondo, subiscono l’influenza del diritto vigente nell’organizzazione statale e le nuove leggi, da essi introdotte nel corso della loro esistenza, danno origine ad imperativi detti indipendenti a causa della mancanza di un determinato soggetto attivo che le abbia comandate e volute; essendo, nelle nuove leggi, implicate molte persone, esse non originano, dunque, imperativi ascrivibili a determinati soggetti. Karl Olivecrona assegna notevole importanza all’indagine psicologica relativa alla rappresentazione del diritto da parte degli uomini ed alle motivazioni che li spingono ad assumere un comportamento conforme alla prescrizione normativa. Anche nell’ambito della teoria del rapporto diritto-forza Olivecrona spiega le ragioni per cui gli uomini accettano e si sottomettono alla monopolizzazione dell’uso della forza da parte dell’organizzazione statale; tali ragioni sono rinvenibili nella paura e nella diffidenza reciproca: Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 10 di 13 Filosofia del diritto Lezione II “le riserve latenti di odio, di sete di vendetta e di illimitato egoismo presenti negli uomini esploderebbero immediatamente in maniera distruttiva, se non fossero tenute a freno dalla presenza di una concentrazione di forza di gran lunga superiore a quella di qualsiasi singolo individuo o associazione privata. Gli uomini hanno bisogno della coercizione per vivere insieme pacificamente: ma la coercizione su di una scala così grande presuppone una forza invincibile”. Emerge un’adesione da parte dell’Olivecrona al pensiero hobbesiano, però, Hobbes identifica lo Stato con il sovrano assoluto e ritiene che il diritto sia il “comando” del sovrano; viceversa, Olivecrona identifica lo Stato con l’ordinamento giuridico e ritiene che il diritto sia un insieme di imperativi indipendenti, non ascrivibili, cioè, a determinati soggetti attivi. Ma Olivecrona, nel rapporto tra diritto e forza, non riesce a considerare fino in fondo il diritto come indipendente ed impersonale: alle spalle, per esempio, delle leggi volte ad una più equa distribuzione della ricchezza, egli rinviene, infatti, un gruppo sociale determinato, che è la classe dominante, che, attraverso il diritto, opera delle concessioni parziali a favore dei dominati. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 11 di 13 Filosofia del diritto Lezione II 4 Alf Ross: il giudice e il sentimento di obbligatorietà. Come avviene per Kelsen e per Olivecrona, così anche per Ross il rapporto diritto-forza va inteso nel senso di chiarire il ruolo svolto dalla forza fisica nell’ambito dell’ordinamento giuridico nel suo complesso. Anche quella dello scrittore danese è una concezione riduzionistica in fatto di norme. Infatti, sia le norme di condotta che quelle di competenza sono aspetti della medesima norma che va intesa come direttiva alle corti circa l’uso della forza fisica. Testualmente Ross: “…un sistema giuridico nazionale è un sistema individuale di norme la cui unità può essere riscontrata nel fatto che tutte, direttamente o indirettamente, sono direttive concernenti l’esercizio della forza da parte della pubblica autorità”. La posizione di Ross in merito alla teoria sui rapporti tra diritto e forza, risulta analoga alla posizione assunta da Hans Kelsen sul punto, resta, dunque, il problema di chiarire dove la teoria trovi il suo sviluppo più organico, in considerazione del fatto che profonda è la differenza sussistente tra di essi in merito al concetto di diritto, ed i particolare al concetto di validità giuridica. Ross, considerando il concetto kelseniano di validità giuridica, oltre che superfluo, addirittura fuorviante per la comprensione del diritto, cerca di liberarsi del concetto stesso. Ross ritiene che il fenomeno giuridico vada individuato nel Sein, nel mondo dei fatti, nell’azione, vale a dire nel momento applicativo del diritto. A rendere effettivo il diritto sono i giudici per mezzo del loro operato: infatti, prima che i giudici si pronuncino su di una norma, non è assolutamente possibile affermare se essa sia valida o meno; ed anche a seguito di una regolare ed uniforme applicazione della norma stessa, potrà, al più, affermarsi che è altamente probabile la successiva applicazione di essa da parte dei tribunali. E’ chiaro come per Ross dire che una norma è valida significhi prevederne la futura applicazione da parte dei tribunali; tale previsione risulta poi più o meno fondata a seconda del grado di probabilità. Lo scrittore danese privilegia, dunque, l’attività del giudice nel fenomeno giuridico. Praticamente, per comprendere cosa sia il diritto, è necessario guardare al comportamento passato, presente e, soprattutto, al prevedibile comportamento futuro degli organi giudiziari. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 12 di 13 Filosofia del diritto Lezione II Ross trova priva di alcun senso la discussione relativa alla validità delle norme se non si fa riferimento all’attività del giudice la cui figura è, dunque, il perno di tutto il sistema rossiano. Validità ed effettività si identificano e la doverosità consiste nel sentirsi obbligati inteso come esperienza interiore, psicoemotiva dei consociati. Il sentimento di obbligatorietà non poggia esclusivamente sul timore delle sanzioni, dal momento che l’obbedienza alla legge può dipendere da svariati motivi. Se ne potrebbe dedurre che l’obbligatorietà, intesa come esperienza psicoemotiva dei consociati, non possa avere alcun ruolo nell’ambito del diritto considerato che esso si forma solo per mezzo dell’attività dei giudici. Ross ritiene che a spingere i giudici ad intervenire nel momento in cui si verificano delle deviazioni dalle norme, non sia il timore delle sanzioni o altri motivi particolari, bensì il senso di rispetto e di obbedienza alla ideologia giuridica tradizionale, ciò soprattutto nei giudici della Corte Suprema. Un ruolo fondamentale è qui svolto dall’obbligatorietà, considerato che i giudici si sentono obbligati ad intervenire ed agire perché spinti da “un vivo e disinteressato senso di rispetto e di obbedienza” ; e poiché l’obbligatorietà è un sentire, il rischio è che il diritto esista solo nella misura in cui sussiste, nei giudici, questo sentimento di obbligatorietà. La concezione di Ross sul diritto non è autenticamente realistica visto che per lui l’effettività del diritto dipende dall’attività dei giudici e quest’ultima dipende a sua volta dal sentimento di obbligatorietà: in altri termini, i giudici credono erroneamente di essere obbligati ad applicare le leggi. Ross finisce con l’essere attirato nella morsa del realismo psicologico che, invece, vorrebbe combattere. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 13 di 13