Ornella Piazza Carmen Papaianni Rosalba Tufano Le infezioni nosocomiali in terapia intensiva ARACNE Copyright © MMVIII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–1625–1 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: febbraio 2008 Indice 1. Definizione di infezione ospedaliera ............................. 1 2. Epidemiologia delle infezioni ospedaliere .................... 3 2.1 Premessa ....................................................................................3 2.2 Frequenza e gravità delle infezioni ospedaliere nei reparti di terapia intensiva ..............................................................................5 3. Le principali localizzazioni delle infezioni nosocomiali .............................................................................................. 7 3.1 Infezione delle vie urinarie .......................................................7 3.1.1 Definizione e classificazione................................................8 3.1.2 Incidenza ..............................................................................9 3.1.3 Eziologia e patogenesi .........................................................9 3.1.4 Fattori di rischio ................................................................10 3.1.5 Diagnosi e protocolli terapeutici .......................................10 3.1.6 Prevenzione delle infezioni urinarie ..................................11 3.2 Infezioni associate a dispositivi intravascolari .....................13 3.2.1 Definizione .........................................................................14 3.2.2 Patogenesi..........................................................................15 3.2.3 Cateteri: materiali e proprietà...........................................16 3.2.3.1 Cateteri centrali inseriti perifericamente ............................. 17 3.2.3.2 Cateteri inseriti per via centrale........................................... 18 3.2.4 Rischio infettivo..................................................................18 3.2.4.1 Microrganismi implicati ...................................................... 20 3.2.4.2 Fattori causali favorenti....................................................... 20 3.2.4.3 Composizione chimica e caratteristiche di superficie del catetere............................................................................................. 21 3.2.4.4 Cateteri trattati con sostanze antimicrobiche....................... 22 3.2.4.5 Scelta del sito di inserzione del catetere .............................. 25 3.2.5 Prevenzione delle infezioni associate a catetere venoso centrale........................................................................................26 3.2.6 Diagnosi clinica e trattamento delle infezioni correlate a catetere venoso centrale..............................................................28 3.3 Infezioni respiratorie ..............................................................33 3.3.1 Definizione .........................................................................35 3.3.2 Incidenza ............................................................................35 I II 3.3.3 Mortalità............................................................................ 36 3.3.4 Eziologia e patogenesi....................................................... 36 3.3.5 Fattori di rischio................................................................ 37 3.3.6 Diagnosi-tecniche di prelievo del campione .................... 38 3.3.7 Classificazione early VAP/ late VAP................................. 41 3.3.8 Protocolli terapeutici........................................................ 44 3.4 Candidiasi................................................................................ 49 3.4.1 Definizione......................................................................... 49 3.4.2 Incidenza e mortalità ......................................................... 51 3.4.3 Fattori di rischio................................................................ 51 3.4.4 Diagnosi ............................................................................ 52 3.4.5 Protocolli terapeutici......................................................... 53 3.5 Sepsi di origine addominale ................................................... 57 3.5.1 Definizione e classificazione ............................................. 57 3.5.2 Eziologia e patogenesi....................................................... 59 3.5.3 Fattori di rischio................................................................ 63 3.5.4 Diagnosi ............................................................................ 64 3.5.5 Protocolli terapeutici......................................................... 70 4. SIRS E SEPSI ................................................................74 4.1 Definizione............................................................................... 75 4.2 Citochine e CVVH .................................................................. 82 5. Antibioticoresistenza.....................................................87 5.1 Definizione di germe multiresistente..................................... 87 5.2 Concetto di de-escalation farmacologica .............................. 88 5.3 Importanza della conoscenza dell’epidemiologia locale ..... 89 Appendice 1........................................................................91 Appendice 2........................................................................92 1. Definizione di infezione ospedaliera Carmen Papaianni, Ornella Piazza Per infezione nosocomiale o intraospedaliera si intende qualsiasi malattia di origine infettiva, a genesi microbica o virale, clinicamente riconoscibile, non presente o in incubazione al momento del ricovero, che sia acquisita dai pazienti durante la degenza in ospedale. La definizione comprende anche le infezioni successive alla dimissione, che si manifestino dopo un periodo di incubazione variabile. Tutte le infezioni già presenti al momento del ricovero (con un quadro clinico manifesto o in incubazione) vengono, invece, considerate acquisite in comunità (infezioni comunitarie). L’insorgenza di una complicanza infettiva in un soggetto ricoverato in ospedale comporta un aumento dei costi sia in termini umani che economici per il paziente e per l’ospedale. Per il paziente, significa dover sopportare una patologia infettiva aggiunta, le eventuali conseguenze di questa in termini di disabilità temporanea o permanente, le eventuali spese di una cura domiciliare, la perdita di giornate di lavoro, o, nella peggiore delle ipotesi, il decesso. Per l’ospedale, comporta l’aumento del costo della degenza per gli ulteriori esami diagnostici e degli interventi terapeutici. Le infezioni ospedaliere sono, almeno in parte, prevenibili. È stato dimostrato che l’adozione di pratiche assistenziali considerate ‘‘sicure’’, è, da sola, in grado di prevenire o controllare la trasmissione di infezioni, con una riduzione del 35% almeno della frequenza di queste complicanze. Per questo motivo, le infezioni ospedaliere rappresentano un indicatore della qualità dell’assistenza prestata in ospedale. Gli agenti esogeni responsabili di un’infezione hanno bisogno di un mezzo per entrare in contatto col paziente: il veicolo più frequentemente implicato sono le mani del personale sanitario, sulle quali colonizzano un numero e una varietà non indifferente di agenti potenzialmente patogeni. 1 2 Le misure più efficaci per il controllo delle infezioni nosocomiali fin ora attuate si basano sull’aumento della frequenza e dell’accuratezza del lavaggio delle mani nei presidi ospedalieri. 3 2. Epidemiologia delle infezioni ospedaliere 2.1 Premessa L’insorgenza di una infezione è conseguenza della interazione tra un agente infettivo ed un ospite suscettibile. Tale interazione può verificarsi anche senza necessariamente dar luogo a malattia: l’infezione insorge solo se si rompe l’equilibrio esistente tra ospite e patogeno per particolari caratteristiche del microrganismo (patogenicità, virulenza, invasività, dose infettante, variante antigenica, resistenza al trattamento), per una condizione di maggiore suscettibilità dell’ospite oppure per particolari modalità di trasmissione che fanno si che i microrganismi abbiano accesso diretto ad aree del corpo normalmente sterili. Si tratta di infezioni che risultano essere sia esogene che endogene. In quelle esogene la fonte di infezione è al di fuori del paziente: si ritrova negli ambienti di degenza, nel cibo, nei presidi diagnostici o terapeutici. Può essere trasmesso durante procedure di routine, attraverso il personale ospedaliero, in particolar modo attraverso le mani: moltissimi microrganismi sia Gram-positivi (Staphylococcus aureus, Staphylococcus epidermidis) che Gram-negativi (Escherichia coli, Serratia, Enterobacter spp., Acinetobacter spp., Pseudomonas spp.) sono in grado di colonizzarle. Anche tutti i liquidi (farmaci, apparecchiature contenenti liquidi, ecc.) rappresentano un buon serbatoio per i microrganismi ed, in particolare, per le Enterobacteriaceae, che per questo motivo sono molto frequentemente causa di infezioni ospedaliere. L’ambiente ospedaliero (inteso come sistemi idrici, sistemi di ventilazione, superfici ambientali in prossimità dei pazienti) gioca, al contrario di quanto si credeva alcuni anni fa, un ruolo nella trasmissione solo di alcune ben determinate infezioni: alcune infezioni di origine comunitaria (tubercolosi, varicella, morbillo) che si trasmettono per via aerea, lo Staphylococcus aureus e lo Streptococcus di gruppo A in sala operatoria, gli Aspergillus spp. (trasmessi per via aerea), la Legionella spp. (trasmessa attraverso i sistemi idrici e gli impianti di condizionamento dell’aria), il Clostridium difficile, il Virus 3 4 dell’Epatite B e il Virus Respiratorio Sinciziale (per i quali è stata dimostrata una contaminazione ambientale in caso di epidemia). Le infezioni endogene sono invece causate da componenti della stessa microflora del soggetto, posti in condizione di svolgere ruolo patogeno. Dopo un ricovero sufficientemente prolungato, la microflora endogena talvolta acquisisce specie o ceppi della flora nosocomiale; in tal caso, anche l’infezione endogena viene provocata da microrganismi ambientali: ciò costituisce un elemento sfavorevole in quanto la flora nosocomiale risulta frequentemente rappresentata da stipiti multiresistenti. Le infezioni ospedaliere si distribuiscono in quattro principali localizzazioni, che rappresentano l'80% circa di tutte le infezioni osservate: il tratto urinario, le ferite chirurgiche, l’apparato respiratorio, le infezioni sistemiche (sepsi, batteriemie). Tra queste le più frequenti sono le infezioni urinarie, che da sole rappresentano il 35-40% di tutte le infezioni ospedaliere. L’importanza relativa di ciascuna localizzazione di infezione varia nel tempo, in diversi reparti e in diversi sottogruppi di pazienti. Il NNIS (National Nosocomial Infections Surveillance system) ha rilevato, negli ultimi venti anni, un cambiamento nella frequenza relativa delle localizzazioni di infezioni e della loro incidenza: all’inizio degli anni 80 le infezioni urinarie rappresentavano il 40% delle infezioni ospedaliere rilevate, le infezioni della ferita chirurgica il 20%, le polmoniti il 16% e le batteriemie il 6%. Nel 1990, la distribuzione di queste infezioni era, invece, la seguente: infezioni urinarie 35%, infezioni della ferita chirurgica 18%, polmoniti 16%, batteriemie 11%. Le infezioni sistemiche stanno diventando sempre più frequenti, come conseguenza di un graduale aumento dei fattori di rischio responsabili di queste infezioni, quali le condizioni di rischio intrinseco del paziente, l’uso di antibiotici e di cateterismi intravascolari (presidi usati sempre con più regolarità). 4 5 2.2 Frequenza e gravità delle infezioni ospedaliere nei reparti di terapia intensiva L’incidenza delle infezioni nosocomiali è variabile da un ospedale all’altro ed anche tra diversi reparti del medesimo nosocomio in funzione di vari fattori fra loro interdipendenti: l’affollamento, l’organizzazione e la strutturazione degli ambienti; la patologia ospitata; la frequenza delle pratiche cruente o invasive, l’impiego di farmaci immunodepressori e citostatici. Ogni luogo di cura ospita una flora peculiare, sia come composizione che come spettro di sensibilità agli antibiotici. Le specie nosocomiali sono rappresentate da stipiti sempre più resistenti, e lo spettro di resistenza appare correlato al tipo e alla modalità di chemioterapia condotta nel reparto. Mentre nelle corsie di medicina generale le infezioni ospedaliere sono rare, con un’incidenza valutabile attorno al 5-10%, nei reparti di rianimazione, di chirurgia d’urgenza, per grandi ustionati o politraumatizzati, nelle divisioni di emodialisi, oncologia, ematologia, divengono assai più frequenti e l’incidenza può raggiungere il 40-50%. I reparti nei quali si osserva una frequenza più elevata di infezioni ospedaliere quindi sono quelli che ricoverano pazienti gravi e nei quali si effettuano interventi assistenziali invasivi: in particolare, i reparti di Terapia Intensiva e i reparti chirurgici. I reparti di Terapia Intensiva rappresentano in assoluto le aree ospedaliere in cui la frequenza di infezioni ospedaliere è più elevata; infatti i pazienti ricoverati in Terapia Intensiva rappresentano in media il 5-19% dei pazienti ricoverati in ospedale ma sviluppano un quarto circa di tutte le infezioni acquisite nell’ambito di un determinato presidio ospedaliero. Inoltre il 90% degli eventi epidemici che si verifica in ospedale interessa pazienti ricoverati in terapia intensiva, e la mortalità attribuibile a tali infezioni è altissima. L’elevata frequenza di infezioni ospedaliere osservata in questi reparti dipende da numerosi fattori: I pazienti ricoverati in UTI (Unità di Terapia Intensiva) presentano condizioni cliniche che riducono le difese immunitarie e li rendono più suscettibili alle infezioni (trasfusioni, farmaci ad azione sul sistema immunitario, traumi, ecc.). L’esposizione a procedure invasive 6 rappresenta uno dei fattori di rischio più forti per l’insorgenza di complicanze infettive. Ciò è dovuto a: 1 accesso diretto dei microrganismi ad aree del corpo normalmente sterili; 2 moltiplicazione dei microrganismi per le condizioni favorevoli che si determinano (presenza di materiali plastici, di liquidi, creazione di nicchie dove i microrganismi possono crescere); 3 contaminazione dei presidi stessi durante la produzione o al momento dell’uso (mani del personale). La frequenza di infezioni sostenute da ceppi resistenti è molto più elevata in UTI che in altri reparti. Ciò è conseguenza del frequente ricovero in questi reparti di pazienti colonizzati con patogeni resistenti, del diffuso utilizzo in UTI di terapia antibiotica empirica ad ampio spettro e dell’elevata frequenza di contatti assistenziali. Il pattern epidemiologico di queste infezioni deve essere interpretato come un segnale precoce di allarme, poichè alcuni problemi si manifestano prima in UTI per diventare poi evidenti negli altri reparti dell’ospedale. Letture consigliate 1.Vincent JL, Bihari DJ, Suter PM, Bruining HA, White J, NicolasChanoin MH, Wolff M, Spencer RC, Hemmer M. The prevalence of nosocomial infection in intensive care units in Europe. Results of the European Prevalence of Infection in Intensive Care (EPIC) Study. EPIC International Advisory Committee. JAMA 1995; 274: 639-644. 2.National Nosocomial Infections Surveillance System (NNIS) System Report: data Summary from January 1992 through June 2004, iussed October 2004. 7 3. Le principali localizzazioni delle infezioni nosocomiali Carmen Papaianni, Saverio Maietta 3.1 Infezione delle vie urinarie Caso clinico Un paziente di 78 anni viene ricoverato nel reparto di Terapia Intensiva dopo un episodio di dispnea importante che si è manifestata durante il ricovero nel reparto di Chirurgia Generale dello stesso ospedale. Il paziente è affetto da broncopatia cronico-ostruttiva (BPCO), fumatore, cateterizzato, operato quattro giorni prima di carcinoma del colon. Arrivato in reparto, viene monitorizzato (pressione arteriosa incruenta, saturazione periferica, ECG continuo), viene sottoposto a prelievi routinari di sangue per eseguire emocromo, analisi degli elettroliti, glicemia, emogasanalisi (EGA). Si presenta piretico, disidratato, emodinamicamente stabile. L’ipossiemia, dopo adeguato trattamento con ossigenoterapia (Maschera di Venturi al 50%, terapia broncodilatatrice, infusione di liquidi), regredisce gradualmente, come dimostrato dai dati ottenuti da emogasanalisi seriati. Si procede anche alla raccolta di campioni biologici da analizzare: sangue, aspirato bronchiale, raccolta delle urine da catetere vescicale già presente. Si inviano i campioni ai laboratori. Durante il giorno si visionano i risultati delle analisi, che non evidenziano alterazioni importanti per quanto riguarda la formula dell’emocromo; si riscontra aumento della Proteina C reattiva. Dopo due giorni di permanenza nella UTI, il paziente viene trasferito nuovamente al reparto di Chirurgia di appartenenza, a seguito del miglioramento conseguito. Dopo tre giorni vengono visionati i risultati delle raccolte biologiche e l’antibiogramma corrispondente. 7 8 Il paziente presenta batteriuria significativa (>1.000.000 u.i. di E.Coli, sensibile ai fluorochilononi). Gli altri reperti risultano negativi. Si consiglia pertanto ai colleghi del reparto di Chirurgia di instaurare una terapia antibiotica mirata, eventualmente modificando quella in corso. Questo caso clinico dimostra come le infezioni urinarie debbano sempre essere sospettate nei pazienti con un tempo di degenza (e di cateterizzazione) superiore ai 6 giorni, nonostante i dati di laboratorio non indichino alterazioni in atto o siano aspecifici, nei casi in cui il paziente, per lo stato di degenza, non possa esprimere disagio, dolore alla minzione o un qualsiasi altro sintomo di Infezione Urinaria Nosocomiale (N.U.I.), e che le colture su campioni di urine debbano essere sempre effettuate al ricovero e prima dell’inizio di un trattamento antibiotico. 3.1.1 Definizione e classificazione Ogni qualvolta si abbiano segni di un’infezione in un paziente cateterizzato in un reparto ospedaliero, il primo sospetto dovrebbe sempre ricadere sulle vie urinarie inferiori come focolaio infettivo. Le infezioni nosocomiali a carico dell’apparato urinario infatti sono le più frequenti nelle strutture ospedaliere. L’elevata proporzione dei pazienti sottoposti a cateterismo uretrale tra i lungodegenti e i pazienti nel periodo post-operatorio è uno dei motivi principali dell’elevata incidenza di questo tipo di patologia, che si presenta spesso in maniera asintomatica. L’evento infettivo è quindi sottostimato, e l’infezione è individuata casualmente durante controlli colturali di routine. Solo una percentuale inferiore dei pazienti presenta i sintomi tipici di un evento infettivo: febbre, leucocitosi, pollachiuria, disuria, associata a batteriuria significativa (> 1.000.000 u.i.). Altri indici di laboratorio (leucocituria, microematuria) possono essere utili nell’individuazione del focolaio in quei pazienti con scarsa risposta immunitaria e con segni aspecifici di infezione. 9 3.1.2 Incidenza Le infezioni urinarie nosocomiali (N. U. I.) sono le infezioni più frequenti nei reparti ospedalieri, di cui il 75%-80% sono dovute all’utilizzo del catetere vescicale, e la restante quota a manovre di manipolazione delle vie escretrici basse (es. cistoscopie). La loro incidenza si assesta al 40% di tutte le infezioni nosocomiali, con una frequenza che oscilla tra il 20% e il 50% nei reparti di Terapia Intensiva. La variazione dell’incidenza dipende dall’attenzione posta dal reparto e dalla capacità del personale infermieristico di mantenere un’ottima asepsi nelle manovre di posizionamento e nella manutenzione ordinaria del catetere. 3.1.3 Eziologia e patogenesi I principali imputati nel causare N. U. I. sono i germi patogeni normalmente implicati nelle infezioni urinarie non associate a cateteri: Escherichia coli, Candida spp., Enterobactes spp.. Altri batteri implicati sono i Gram-negativi (es. Pseudomonas ae.), responsabili di infezioni più resistenti ai trattamenti a causa della loro capacità di creare uno strato di “biofilm”, glicocalice batterico, che permette loro di aderire alla superficie di plastica del catetere e formare nicchie impenetrabili agli agenti antibiotici. Sebbene l’utilizzo di tecniche per la manutenzione del catetere possa ridurre drasticamente il numero di infezioni urinarie, la sterilità dell’apparato urinario è comunque alterata dalla presenza di un presidio che lo mette in comunicazione con un’area, quella perineale, normalmente colonizzata da batteri saprofiti. I batteri, raggiunta la vescica, riescono a colonizzarla e a raggiungere elevate cariche batteriche. Il sistema di drenaggio urinario può essere soggetto a contaminazioni a livello del rubinetto di drenaggio della sacca di raccolta (mani colonizzate, contatto con contenitori di raccolta contaminati), oppure quando il catetere viene disconnesso dalla sacca di raccolta, il che comporta la risalita di microrganismi in vescica trasportati dalle urine. Anche quando il ciclo chiuso viene gestito correttamente, si possono verificare infezioni urinarie, perchè i microrganismi presenti a livello uretrale possono risalire all’esterno del catetere, lungo lo spazio esi- 10 stente tra catetere e mucosa uretrale, ciò può essere conseguenza di una permanenza per lunghi periodi di tempo di sistemi di sondaggio urinario a ciclo chiuso. 3.1.4 Fattori di rischio Quattro sono i principali fattori di rischio che individuano i pazienti più esposti al rischio di sviluppare infezioni urinarie: il sesso (le donne sono più colpite a causa della brevità dell’uretra), la durata della cateterizzazione urinaria, la mancata somministrazione di antibiotici per via sistemica nel periodo dell’allettamento, la scarsa attenzione alle misure igieniche per la manutenzione del catetere stesso. Bisogna ricordare che la copertura antibiotica sistemica ha risultati positivi solo per un periodo breve: le infezioni urinarie tornano a presentarsi con un’incidenza normale al sesto giorno di cateterizzazione. A questi vanno aggiunti i fattori dipendenti da patologie di base (diabete mellito, neoplasie, insufficienza renale cronica, ecc.), oltre a condizioni di immunodepressione (patologica, iatrogena) che spesso caratterizzano i pazienti ricoverati nei reparti di Terapia Intensiva. 3.1.5 Diagnosi e protocolli terapeutici Il trattamento farmacologico, lì dove diagnosticata clinicamente un’infezione urinaria, deve essere diretto verso i patogeni più frequentemente coinvolti, e contro quelli più frequentemente riscontrati nel reparto di appartenenza: all’arrivo dell’urinocoltura, la conferma della diagnosi deve essere accompagnata all’aggiustamento terapeutico: di predisporre quindi l’utilizzo dei farmaci a cui i patogeni sono sensibili. Il prelievo del campione di urine deve essere fatto al momento del sospetto clinico e prima dell’inizio del trattamento antibiotico. La presenza di due o più batteri individuati nella coltura deve fare sorgere il sospetto di una contaminazione dell’urina. In questi casi è opportuno comunque ripetere il prelievo prima dell’inizio della somministrazione dei farmaci. 11 3.1.6 Prevenzione delle infezioni urinarie La prevenzione delle infezioni urinarie e la gestione del catetere vescicale a permanenza in Terapia Intensiva vengono effettuate seguendo linee guida codificate che prevedono la collaborazione del personale medico e del personale infermieristico, e che, da sole, sono in grado si abbatterne l’incidenza del 40% circa. I CDC (Centers for Disease Control di Atleta, USA) già nel 1981 hanno pubblicato le “Guidelines for Prevention of Catheter-associated Urinary Tract Infections”, individuando interventi di prevenzione divisi su tre livelli di priorità: I livello. Fortemente raccomandati 1 Formazione del personale sulle tecniche corrette di inserimento e gestione del catetere. 2 Uso della cateterizzazione solo se necessario. 3 Promozione ed enfatizzazione del lavaggio delle mani. 4 Inserimento del catetere in completa asepsi ed utilizzo di strumenti sterili. 5 Fissaggio del catetere. 6 Mantenimento del drenaggio chiuso e sterile, senza ostacoli al deflusso. 7 Prelievo in asepsi dei campioni di urine. II livello. Moderatamente raccomandati 1 Formazione permanente del personale. 2 Uso di cateteri di piccolo calibro. 3 Evitare le irrigazioni, salvo quando necessario per risolvere ostruzioni. 4 Cura giornaliera del meato urinario. 5 Non sostituire il catetere ad intervalli prefissati in assenza di segni di infezione. III livello. Blandamente raccomandati 1 Considerare l’uso di tecniche alternative di drenaggio urinario. 2 Sostituire il sistema di raccolta quando il circuito chiuso è stato alterato. 12 3 Attivare il sistema di monitoraggio batteriologico di routine. Per i cateteri a permanenza, nei reparti di Terapia Intensiva, a questi interventi vanno aggiunti alcuni specifici: 1 Fissazione scrupolosa del catetere alla coscia del paziente per evitare trazioni o inquinamento con le feci. 2 Attento lavaggio della regione perianale e disinfezione del meato uretrale tre volte al giorno. 3 In presenza di sospetto o segni clinici di infezione, rimozione e sostituzione del catetere. La manovra va effettuata dopo 30-60 minuti dalla somministrazione di una dose di antibiotico (ciprofloxacina o norfloxacina) per ridurre i rischi di batteriemia. Inviare la punta del catetere urinario al laboratorio per coltura e antibiogramma unitamente a un campione di urine. 4 Il sistema chiuso di deflusso urinario non deve essere mai deconnesso ed il deflusso dell’urina non deve mai essere ostacolato. Letture consigliate 1.C. D. C.:“Guidelines for Prevention of Catheter-associated Urinary Tract Infections” Atlanta-U.S. Department of Health and Human Services, CDC, 1981.