“HOWARD GARDNER E LA TEORIA
DELLE INTELLIGENZE MULTIPLE -
PARTE PRIMA”
PROF. BARBARA DE CANALE
Università Telematica Pegaso
Howard Gardner e la Teoria delle intelligenze
multiple - Parte prima
Indice
1
LA PLURALITÀ DELLE INTELLIGENZE NELLA DIVERSITÀ DELLE CULTURE ---------------------- 3
2
LA MENTE DEL BAMBINO DI ETÀ PRESCOLARE---------------------------------------------------------------- 7
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Howard Gardner e la Teoria delle intelligenze
multiple - Parte prima
1 La pluralità delle intelligenze nella diversità delle
culture
Howard Gardner definisce l’intelligenza come la capacità di risolvere problemi o di creare
prodotti che sono apprezzati all’interno di uno o più contesti culturali.
Egli ha individuato ben otto modalità attraverso le quali gli individui sono capaci di conoscere il
mondo: intelligenza linguistica, intelligenza logico-matematica; intelligenza visivo-spaziale;
intelligenza corporeo-cinestetica; intelligenza musicale; intelligenza intrapersonale, intelligenza
interpersonale; intelligenza naturalistica1. Attualmente l’autore indaga la possibilità di una nona
intelligenza: l’intelligenza esistenziale.
Oltre ad essere plurale, l’intelletto avrebbe altresì caratteri di contestualità e di distribuzione;
le intelligenze, lungi dall’essere delle entità biologiche o psicologiche, sono delle inclinazioni o dei
potenziali che si realizzano o meno a seconda dei contesti culturali in cui l’individuo viene a
trovarsi. Esse, pertanto, rappresentano il frutto dell’interazione tra inclinazioni biologiche e
possibilità di apprendimento offerte in una data cultura. Già nel venire al mondo, ma si potrebbe
dire addirittura nella vita prenatale, il bambino si confronta con i caratteri, gli assunti, le
consuetudini e le aspettative della cultura materna, ed è da essi influenzato. Diverse culture
privilegiano e, dunque, promuovono tipi di intelligenze differenti a seconda della funzionalità che
esse rivestono nel contesto di vita in questione2.
L’intelligenza, inoltre, non esiste esclusivamente nella mente dell’individuo, ma è
“distribuita” nelle persone con cui egli interagisce e negli strumenti, nelle tecniche, nei sistemi
simbolici di cui egli si avvale all’interno del suo contesto culturale.
La cultura rappresenta, dunque, la chiave interpretativa delle modalità e delle direzioni di sviluppo
delle intelligenze.
Partendo da tali presupposti, Gardner individua una serie di differenze in merito alle varie
intelligenze per come sono impiegate nelle varie culture.
- Intelligenza linguistica. Nella cultura occidentale grande importanza è accordata alla scrittura,
alla capacità di acquisire informazioni attraverso la lettura, all’espressione di sé in forma scritta; in
1
Cfr. H. GARDNER, Formae mentis, tr. it. Feltrinelli, Milano 1987.
Cfr. H. GARDNER, Formae mentis, op. cit.; ID., Intelligenze multiple, tr. it. Anabasi, Milano 1994; ID., Educare al
comprendere, tr. it. Feltrinelli, Milano 1993.
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molte culture tradizionali, invece, l’oralità è ampiamente privilegiata3: proverbi, indovinelli, giochi
di parole sono utilizzati per diffondere informazioni cruciali, è ampiamente apprezzata la capacità di
ricordare grandi quantità di informazioni (si consideri il caso dei cantastorie4 o delle scuole
coraniche), molti leaders politici sono scelti proprio per le loro capacità retoriche.
- Intelligenza logico-matematica. Nelle culture occidentali, si è capaci di manipolare
l’informazione fuori dal contesto in cui è incontrata, utilizzando proposizioni astratte e stabilendo
relazioni su base ipotetica; sono contestate le informazioni non suffragate da prove, si riformulano i
ragionamenti risultati erronei. Nelle culture tradizionali, vi è, al contrario, poco incoraggiamento a
contestare il sapere stabilito, a porsi domande, a mettere in discussione spiegazioni magiche o
mistiche.
Talvolta, però, le differenze, a parere dell’autore, sono state esasperate: quando si rivolge la
propria attenzione alle operazioni basilari della mente su cui si fondano le scienze, ci si rende conto
della fondamentale universalità del pensiero logico-matematico5.
- Intelligenza musicale. Poco valorizzata nella cultura occidentale, essa è al contrario ampiamente
tenuta in considerazione in altri contesti: in alcune culture africane, ad esempio, si dà grande
importanza ai canti, alla ritmica, alla danza, all’uso di strumenti musicali e sin dalla più tenera età i
bambini sono iniziati a tali attività che promuovono la partecipazione ai rituali della comunità e
rafforzano il senso di coesione del gruppo.
- Intelligenza spaziale. Essa è pressoché presente in tutte le culture, nonostante sia particolarmente
affinata in alcuni contesti per esigenze connesse alla caccia, all’orientamento, alla navigazione6; la
3
Si veda in proposito il testo di W. ONG, Oralità e scrittura: le tecnologie della parola, tr. it. Il Mulino, Bologna 1986;
l’autore dimostra come a differenti usi della parola, orale o scritta, sia corrisposta una differente strutturazione del
pensiero, rispettivamente: paratattico vs ipotattico, aggregativo vs analitico, ridondante vs lineare, conservatore vs
innovatore, situazionale vs astratto, partecipativo vs distaccato, ecc..
4
Tali cantori sono capaci di creare immense collezioni di versi, calando, all’interno di schemi che hanno memorizzato,
contenuti specifici e variabili in rapporto alle esigenze del pubblico.
5
I primi ricercatori che cercarono di verificare la presenza del pensiero scientifico in paesi stranieri, conclusero che tale
pensiero era in quelle popolazioni assente. Il loro errore era stato quello di verificare la presenza/assenza sulla base dei
propri metodi di verifica: in situazioni familiari e significative ed all’interno della cultura di appartenenza, le prestazioni
dei cosiddetti popoli primitivi risultarono, in alcuni casi addirittura superiori a quelle degli stessi ricercatori. Si vedano
ad esempio alcuni studi condotti sulle capacità numeriche e di classificazione di bambini africani passati in rassegna in:
A. BABS FAFUNWA, Le développement psychologique de l’enfant et l’acquisition des connaissances entre la naissance
et l’age de six ans, dans les Pays en développement, UNESCO, Parigi 1974.
6
I boscimani gikwe del Kalahari, ad esempio, sono capaci di desumere dalle orme di un’antilope, la sua corporatura, il
suo sesso, le sue dimensioni; gli eschimesi sono in grado di cogliere il significato di piccole crepe nel ghiaccio; il
cacciatore della tundra ritrova la via del ritorno osservando le caratteristiche di piccoli tumuli di neve; gli abitanti delle
Puluwat (isole del Pacifico) navigano seguendo la posizione delle stelle.
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capacità di cogliere piccole informazioni dall’ambiente circostante conferisce in alcuni contesti
grande prestigio e si rivela in taluni casi fondamentale ai fini della sopravvivenza.
- Intelligenza corporeo-cinestetica. Nella cultura occidentale è ancora diffusa una separazione tra
mente e corpo ed una minore considerazione delle attività di quest’ultimo; tali atteggiamenti sono
totalmente sconosciuti in molte culture tradizionali in cui grande importanza è accordata allo
sviluppo di un corpo forte ed agile adatto alla danza, alle abilità motorie ed alle attività lavorative
diffuse nella comunità.
- Intelligenze personali. In quest’area si rilevano le maggiori differenze tra le varie culture;
l’Occidente si caratterizza per una chiara esaltazione del Sé (intelligenza intrapersonale) che viene
considerato una sorta di regolatore di secondo livello che modula le altre capacità dell’individuo.
Grande importanza è infatti attribuita al successo personale ed alla competizione.
Nelle culture tradizionali, in particolare in quella africana, la collettività ha il primato
sull’individuo; grande importanza è attribuita al rispetto degli anziani, all’ospitalità nei confronti
dello straniero, al lavoro comunitario. Ciò che conta sono i rapporti interpersonali ed il posto, il
ruolo, la funzione del singolo all’interno del gruppo (intelligenza interpersonale)7. La stessa
educazione del bambino è un compito di cui si fa carico l’intera comunità e che ha come obiettivo
quello di formare un individuo integrato e accettato dal gruppo.
Relativamente all’educazione in ciascuna cultura, dunque, si possono individuare una serie di
questioni che ricevono differenti soluzioni a seconda dei contesti:
1. Il tipo di intelligenze usate in una situazione educativa, considerato che un’intelligenza può
essere sia un mezzo per acquisire informazione, sia un ambito all’interno del quale ricade il
contenuto da padroneggiare.
2. I modi di apprendimento utilizzati nei vari contesti, distinguendo tra apprendimento diretto in cui
molto forte è la componente partecipativa (osservazione, imitazione, identificazione, cooperazione)
e apprendimento mediato che si verifica al di fuori del contesto avvalendosi di vari strumenti (libri,
tecnologie, ecc.).
7
“Chi è intelligente si comporta secondo le norme morali della comunità, perché fare altrimenti significherebbe mettersi
contro coloro ai quali si è permanentemente legati, cosa che nessun adulto intelligente desidererebbe fare…Coloro che
si comportano in armonia con le convenzioni sociali sono ritenuti intelligenti nell’accezione più importante del termine,
e cioè capaci di mantenere i legami sociali che garantiscono sicurezza a lungo termine, sebbene ciò implichi
un’intelligenza normale piuttosto che eccezionale.” LeVine e White (1986), citati da H. GARDNER, Intelligenze multiple,
op, cit., p. 112.
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3. I luoghi in cui avviene la formazione se sul posto (per effetto di osservazione, imitazione o
apprendistato) o all’interno di istituzioni specializzate per l’insegnamento (in cui problemi e
compiti sono spesso presentati fuori da un contesto concreto).
4. Gli agenti che trasmettono la conoscenza: gli stessi membri della comunità o un personale
appositamente addetto a tale scopo.
5. La natura delle conoscenze da acquisire: padroneggiate da tutti i membri di una comunità
perché funzionali alla sopravvivenza o suddivise in molteplici settori ciascuno di competenza di un
gruppo specializzato8.
Ogni cultura, pertanto, possiede specifiche concezioni e prassi riguardo lo sviluppo del
bambino e la sua educazione. Prescindere da tale bagaglio di conoscenze e di tradizioni significa
sprecare un vasto patrimonio di risorse e di potenzialità, come anche proporre degli interventi che
inevitabilmente saranno avvertiti come estranei dai loro destinatari.
8
Cfr. H. GARDNER, Formae mentis, op. cit.; ID., Intelligenze multiple, op. cit.
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La mente del bambino di età prescolare
Sin dalla nascita, i bambini di ogni cultura imparano a padroneggiare i sistemi simbolici ed
elaborano tutta una serie di conoscenze intuitive. Essi mettono a punto: delle teorie ontologiche che
manifestano il loro modo di vedere le diverse entità e di operare distinzioni al loro interno; delle
teorie aritmetiche grazie alle quali trattano le cose in termini matematici e come appartenenti a
insiemi di varie dimensioni; delle teorie meccaniche con cui fanno previsioni sul comportamento
della materia; delle teorie sul mondo dei viventi utilizzate per tracciare distinzioni tra ciò che è vivo
e ciò che è morto, e per operare confronti e individuare specificità di organi e funzioni; delle teorie
della mente, in virtù delle quali il bambino sviluppa un forte senso di sé radicato nel corpo e
dimostra di essere consapevole che ciascun individuo con cui interagisce ha le proprie credenze, i
propri desideri, aspirazioni, paure, intenzioni.
In tale fase di vita, inoltre, i bambini costruiscono dei copioni relativi allo svolgimento di
eventi o situazioni, sono capaci di tutta una serie di prestazioni (comprendere e raccontare storie,
cantare, mettere in scena sequenze drammatiche, ecc.), acquisiscono criteri estetici e valori morali,
consolidano il loro temperamento e manifestano una loro personalità individuabile nei modi di
affrontare i problemi, negli interessi manifestati, nella carica di energia presente e nelle attività cui
viene destinata, nelle modalità di apprendimento e di approccio a situazioni nuove.
È evidente come tali sorprendenti acquisizioni e progressi realizzati dai bambini in età
prescolare siano fortemente influenzati dal contesto familiare e culturale in cui si trovano a crescere;
è all’interno della famiglia, a sua volta espressione di una cultura più vasta, che ciascun bambino
acquisisce conoscenze, elabora teorie, si appropria di valori, di gusti, di preferenze e di criteri di
comportamento che rappresenteranno quel retroterra esperienziale che avrà caratterizzato la sua
personalità e con il quale la scuola sarà chiamata a fare i conti.
Nel momento in cui un bambino fa il suo ingresso a scuola, infatti, sono presenti, secondo Gardner,
tutta una serie di vincoli già manifestatisi:
- vincoli kantiano-einsteinaini: risiedono nella necessità di concettualizzare il mondo in termini di
oggetti, spazio, tempo e causalità;
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- vincoli ontologici: sono evidenti nelle modalità di definire gli oggetti, e di raggrupparli e
confrontarli sulla base dell’appartenenza a particolari categorie (tangibile e intangibile, vivente e
non vivente, senziente e non senziente, ecc.);
- vincoli teorici: derivanti dalle teorie ingenue e intuitive che il bambino ha elaborato
relativamente al mondo fisico e sociale;
- forze, tendenze e stili: visibili nei differenti tipi, combinazioni e gradi di intelligenza posseduti e
manifestati;
- vincoli derivanti dal contesto: consistono in tutte quelle differenze riscontrabili nei modi di
apprendere e di comportarsi frutto dell’appartenenza ad un particolare gruppo etnico o classe
sociale, degli stili parentali e dei valori tipici della famiglia di appartenenza9.
9
Cfr. H. GARDNER, The unschooled mind: how children think and how schools should teach, Basic Books, New York
1991, tr. it., R. RINI (a cura di), Educare al comprendere: Stereotipi infantili e apprendimento scolastico, Feltrinelli,
Milano 1993.
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