Sulla natura della cultura Raccolgo qui alcune considerazioni, in parte sviluppate a lezione e in parte approfondite nel mio libro “Dieci parole indispensabili per capire il mondo”. La lettura di queste pagine può essere d’aiuto nella comprensione di questo tema, così importante per il nostro corso. I riferimenti bibliografici verranno segnalati durante le prossime lezioni. Milano, 11.03.09 lp La cultura è quello che rimane quando si è dimenticato tutto Edouard Herriot Noi dobbiamo ricordare che ciò che osserviamo non è la natura in se stessa ma la natura esposta ai nostri metodi d’indagine Werner Heisenberg La scienza c’insegna che il pianeta Terra si è formato 4,7 miliardi di anni fa. La vita sul pianeta è il risultato di una evoluzione. Questa evoluzione ha avuto un timido inizio circa 4,2 miliardi di anni fa, grazie a LUCA, ed è improvvisamente esplosa circa 530 milioni di anni fa, quando in pochi milioni di anni è stata capace di generare tutte le phila che ancora oggi esistono. Circa due milioni di anni fa questa evoluzione ha raggiunto il suo stadio temporaneamente culminante in un essere che sa camminare eretto su due piedi, sa muovere agevolmente la testa, ha denti forti, mano prensile e cervello fino. Per la paleontologia, l’essere umano-certamente-umano possiede 5 caratteristiche fisiche, magistralmente sintetizzate da Leroi-Gourhan, che descrive l’uomo preistorico come un animale • capace di camminare sugli arti inferiori in posizione eretta, • il cui cranio è sospeso al culmine della sua colonna vertebrale, • i cui denti gli consentono di rendere commestibili numerosi alimenti naturali senza l’impiego degli arti superiori, • la cui mano è nelle condizioni di afferrare e manipolare oggetti, • il cui cervello gli offre l’opportunità di coordinare azioni e deliberazioni. Bene. E la cultura? In quella scimmia che è stata generata dal processo evolutivo, si è prodotta una evenienza che l’ha trasformata in essere umano. Come è potuto accadere questo fenomeno? Come è nata la cultura? Nel porsi tale quesito, i pensatori hanno offerto le più diverse risposte, che altri pensatori hanno cercato di raggruppare in insiemi omogenei, in modo che fosse più facile confrontarle e cercare di capire chi avesse visto meglio. Sebbene alcune risposte godano di un credito ben maggiore di altre, non si è affatto raggiunta l’unanimità. In merito alle origini della cultura, come, del resto, in merito a qualsiasi altra faccenda, gli uomini non si sono mai messi tutti d’accordo. Tuttavia, è possibile trovare un elemento che accomuna la totalità delle risposte. I pensatori sono del parere che la cultura sia un fatto umano. Il linguaggio denuncia alla perfezione questa concordanza: la frase “cultura umana” è una pura tautologia. Non esiste cultura che non sia umana. Questo è il primo dato, indiscutibile: qualunque cosa sia la cultura, essa riguarda esclusivamente gli esseri umani. C’è poi un secondo dato, forse meno evidente ma altrettanto certo: non esiste elemento che, meglio della cultura, caratterizzi l’essere umano. La cultura è lo specifico dell’uomo. Ma su questi due dati la comunanza di pareri dei pensatori è tanto salda quanto sottile. Non appena si cerca appoggio su questa piattaforma comune – la stretta coappartenenza di uomo e cultura – per interrogarsi ulteriormente, ecco che si scatenano nuovi conflitti. Alcuni sostengono che la cultura sia un dono proveniente dalla generosità di un essere superiore. Altri argomentano che la cultura sia una conquista della vigorosa mano dell’uomo, armata dal naturale divenire delle leggi biologiche. Altri ancora cercano di sfilarsi dalla contrapposizione tra religiosi e scienziati, e negano che la cultura abbia una provenienza, divina o umana che sia. Costoro si installano sulla piattaforma comune e cercano di ampliarne la superficie, per ricavarne lo spazio necessario ad allargare il consenso. Gli argomenti di cui servono questi ultimi pensatori – li chiameremo, per convenzione e simpatia, gli equilibristi – danno luogo a una concezione di cultura che potrebbe essere condensata in uno slogan: “La cultura è ciò che resta quando si è dimenticato tutto”. Questa espressione è talmente bella che vale la pena saperne un po’ di più. La definizione è attribuita a Edouard Herriot, politico francese molto in vista nella prima metà del XX secolo, da Hans Blumenberg, uno dei più vivaci pensatori della metafora, strumento cardinale della cultura. Cosa vuole dire questa frase? Quando si è dimenticato tutto, qualcosa rimane. Quello che rimane, evidentemente, c’era anche quando si ricordava ogni cosa. Ma quando si poteva ricordare, non era necessario soffermarvisi. Quando si ricordava ogni cosa, non c’era bisogno di osservare la cultura, non c’era bisogno che di scorgere altro. La cultura è qualcosa che offre un contributo invisibile, che mostra la propria importanza solo in condizioni eccezionali, quando la dimenticanza diviene totale. È anzi la cultura a rendere impossibile la dimenticanza assoluta, poiché essa resiste a qualsiasi oblio. Possiamo liberarci di qualsiasi conoscenza, ma rimarremo dotati di cultura. Anche quando ci saremo scrollati di dosso ogni ricordo, saremo costretti a fare i conti con la cultura. Se la cultura rimane quando si è dimenticato tutto, allora la cultura non è qualcosa che si apprende. Se è impossibile scordarla è forse perché non è necessario ricordarla. La cultura s’insinua da sé, sta in piedi da sola. È un elemento autoportante che precede la conoscenza e che resiste alla perdita di ogni memoria. La cultura è la base eterna su cui appoggiamo, in modo contingente, tutto quello che impariamo, come un trampolino inossidabile da cui decolla ogni nostro sapere temporaneo. La cultura, insomma, c’era prima di noi e continuerà a esserci dopo di noi. Eppure la cultura, in quanto fenomeno eminentemente umano, non può essere eterna. Essa deve pur principiare in qualche dove. Ha da esistere, necessariamente, un’ora nella quale la cultura fa il suo esordio sulla scena. Benché sia necessario postulare l’origine di un fatto che, in quanto umano, non può essere eterno, a nessun essere umano è consentito posare lo sguardo su questa nascita. Poiché la cultura è il fondamento di ogni sapere, nessun sapere potrebbe risultare artefice della cultura. Qualsiasi conoscenza umana prende le mosse dalla cultura, la quale dunque precede ogni conoscenza. Non esiste uomo che abbia potuto assistere alla nascita della cultura. Da quando l’uomo esiste, esiste la cultura. Tuttavia, di nuovo, la cultura, da qualche parte e in qualche tempo, è nata. Questa è una aporia della nostra razionalità, che non può issarsi su stessa per osservare oltre il confine al quale è incatenata, quasi a volersi afferrare per i capelli e trascinarsi sufficientemente in alto. Questo paradosso di una antecedenza che è insieme mancata e necessaria, va compreso e rispettato. Il paradosso potrebbe essere espresso nei termini seguenti. In principio, essere umano e cultura coesistono, ovvero vengono al mondo insieme; ma questa simultaneità è tutt’altro che cristallina, si tratta di una concomitanza sporca. Se la cultura è il contrassegno dell’umano, nessun umano può precedere la cultura; quindi, sebbene non potesse esservi cultura alcuna prima del primo uomo (giacché nessun altro animale, oltre all’uomo, è capace di cultura), il primo uomo non è l’artefice di alcuna cultura, ne è piuttosto il risultato. Nel suo venire al mondo come animale culturale, l’uomo è costretto a riconoscere la precedenza culturale. La cultura è fatta dall’uomo, ma l’uomo è a sua volta fatto dalla cultura. L’uomo è un prodotto della propria cultura e, insieme, egli produce la cultura che gli è necessaria per divenire uomo. “Le prove che gli esseri umani siano effettivamente in possesso di forme specie-specifiche di trasmissione culturale sono schiaccianti.” “La cosa più notevole è che nelle tradizioni e negli artefatti della cultura umana, col passare del tempo, si accumulano cambiamenti in un modo che è sconosciuto alle altre specie animali – ciò che va sotto il nome di evoluzione culturale cumulativa” “Il dato fondamentale è dunque che gli esseri umani sono in grado di mettere in comune le proprie risorse cognitive in modi sconosciuti alle altre specie animali” (Tomasello, pagg. 22 e 23). Mettere in comune le risorse cognitive di cui si dispone, attraverso modalità specie-specifiche: cultura, conoscenza e rappresentazione sono qui accomunate. A differenza di ogni altro essere vivente, scimpanzé compresi, gli uomini sono capaci di un particolare tipo di conoscenza, la conoscenza sociale. E sono capaci di questa preziosa tipologia di conoscenza perché sono dei raffinatissimi rappresentatori. La condivisone delle conoscenze che Tomasello indica come la più spiccata caratteristica della specie umana, chiama infatti in causa la rappresentazione. Se ci si mette a ragionare di geni quando si è alla ricerca della cifra umana, diventa facile fare confusione. Eri al corrente, per esempio, che il tuo patrimonio genetico equivale a circa la metà del patrimonio genetico che possiede una pianta di riso? La biologia sta rapidamente realizzando che concentrarsi sui geni è stata una buona idea soprattutto per scoprire che i geni servono a poco, quando vogliamo comprendere come funziona la vita. Il segreto della esistenza risiede nelle relazioni che i geni attivano tra di loro, come l’avvio del progetto proteoma (ben più recente e assai meno finanziato del progetto genoma) sta mostrando. “La complessità del genoma non dipende solo dal numero dei geni ma anche dalle loro interazioni: i caratteri non sono legati ai geni in quanto tali ma alla loro espressione” (Sarà, pag. 67). In fatto di evoluzione, insomma, le connessioni paiono più importanti degli enti. “Non sono più i geni in quanto tali a essere protagonisti ma le reti regolatrici che ne governano l’espressione. Le nuove definizioni di epigenoma, il sistema che controlla i geni, e di proteoma, il complesso delle proteine, fra cui quelle regolatrici dei geni, indicano che non si deve guardare agli oggetti ma ai processi biologici, non alle parti ma all’organismo nella sua interezza. […] l’ambiente forma con l’organismo un’unità che non può essere trascurata” (Sarà, pag. 4). Questo invito a considerare le connessioni invece degli atomi e i sistemi aperti invece di quelli chiusi, è perentorio nella scienza contemporanea, ovunque ci si volga. Questo invito ci risulterà particolarmente utile, ora che stiamo per prestare finalmente attenzione al discrimine ultimo, l’elemento in nome del quale molti uomini rifiutano l’idea di essere considerati animali, la cultura.