LA DIGNITÀ DELLA PROCREAZIONE UMANA E LE TECNOLOGIE RIPRODUTTIVE. ASPETTI ANTROPOLOGICI ED ETICI ATTI DELLA DECIMA ASSEMBLEA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA Città del Vaticano, 20-22 Febbraio 2004 A cura di : JUAN DE DIOS VIAL CORREA ELIO SGRECCIA LIBRERIA EDITRICE VATICANA 2005 Presentazione (Prof. JUAN DE DIOS VIAL CORREA e S.E.R. Mons. ELIO SGRECCIA) Discorso del Santo Padre GIOVANNI PAOLO II Comunicato Finale CONTRIBUTI DELLA TASK-FORCE S.E.R. Il Card. JAVIER LOZANO BARRAGÁN, Alcuni cenni biblici sulla procreazione umana Dr. HELEN WATT, Genitorialità e nuove tecnologie riproduttive: considerazioni antropologiche Prof. ADRIANO BOMPIANI, The Historical DevelopmentT Of Technologies And Their Impact On The Processes Of Human Procreation Mons. Prof. LIVIO MELINA, La logica intrinseca agli interventi di procreazione artificiale umana. Aspetti etici Rev. Prof. ANGELO SERRA, Le prospettive eugeniche della riproduzione tecnicamente assistita. La diagnosi genetica preimpianto Dr. MÓNICA LÓPEZ BARAHONA, L'embrione umano nelle applicazioni delle tecniche riproduttive artificiali Prof. GONZALO HERRANZ, L'uso delle tecniche di riproduzione artificiale: effetti sugli scopi e i doveri della medicina 1 Prof. PETER PETERSEN, La ripercussione psicologica e spirituale della procreazione artificiale per le donne/famiglie relativamente agli atteggiamenti antropologici e spirituali Prof. ALICIJA GRZESKOWIAK, Gli aspetti giuridici nell'elaborazione delle leggi nella società pluralistica per il diritto alla vita Mons. Prof. ÁNGEL RODRÍGUEZ LUÑO, I legislatori cattolici di fronte alle proposte migliorative delle leggi ingiuste in tema di procreazione artificiale INTERVENTI NELLA TAVOLA ROTONDA "Le prospettive e le alternative alla procreazione artificiale: terapie medico-chirurgiche e tecniche di aiuto, prevenzione e adozione" Prof. MARIA LUISA DI PIETRO, Prof. ANTONIO GIOACCHINO SPAGNOLO, La consulenza etica con la coppia sterile Prof. RICCARDO MARANA, Le terapie chirurgiche della sterilità femminile Prof. ALDO ISIDORI, Prevenzione dell'infertilità maschile Prof. SALVATORE MANCUSO, Prof. ANTONIO LANZONE, Prevenzione dell'infertilità e sterilità nella donna Prof. JOSÉ M. SERRANO RUIZ-CALDERON, L'adozione come alternativa alla FIVET Prof. THOMAS HILGERS, Naprotechnology® nella valutazione e nel trattamento dell'infertilità 2 JUAN DE DIOS VIAL CORREA, ELIO SGRECCIA PRESENTAZIONE La formulazione del tema posto all'attenzione della X° Assemblea Generale della PAV, nel titolo e nel sottotitolo, indica il taglio specifico della riflessione che la Pontificia Accademia per la Vita ha inteso condurre sulla procreazione artificiale. Quasi sempre la letteratura "scientifica" quella divulgativa porta l'attenzione sugli effetti e i risultati di questo tipo di tecnologia; gli effetti stessi o i risultati sono considerati spesso in modo parziale limitandosi all'osservazione dei dati clinici ed epidemiologici, solo raramente prendendo in conto anche gli aspetti psicologici. L'etica, che in questi argomenti dovrebbe ricevere la principale attenzione, viene "ridotta" all'etica utilitaristica e in termini di percentuale. L'aspetto che la PAV ha voluto considerare è quello antropologico nel suo significato profondo, spirituale e morale, per vedere quale concezione dell'uomo, del genere umano, della genitorialità, della relazione parentale (figlio-‐genitori) si configurano quando si realizza tecnologicamente la separazione del momento procreativo dall'atto coniugale, per rimettere l'inizio della vita di un individuo umano al tecnologo e alla sua strumentazione. Questo esame va condotto, al di sopra delle ragioni di laboratorio, che pure possono avere un peso già di per sé allarmante. Molte delle relazioni riportate in questo volume portano l'approfondita analisi su questi aspetti che fanno riferimentoall'essere delle persone coinvolte, al di là degli aspetti di fattività e di making tecnologico. Ciò può costituire un apporto valutativo e culturale. Un'altra caratteristica che ha suscitato interesse durante i lavori e che può servire da stimolo ai ricercatori ed agli operatori consiste nel fatto che c'è stata un'ampia attenzione ai temi della prevenzione, dell'infertilità, alla possibilità di terapie vere e proprie di alcune situazioni di infertilità e ad alcuni "aiuti" al successo di un processo procreativo posto in atto nel modo naturale. Anche l'adozione è stata ripresa in considerazione come prospettiva per una fecondità spirituale ed affettiva di tipo sociale. Infine non bisogna dimenticare l'interesse suscitato dalle relazioni di tipo giuridico sulla responsabilità dei legislatori, nella fase del biodiritto: i parlamentari favorevoli al rispetto alla vita si trovano spesso in minoranza; se non viene accettata una legge buona si trovano nella scomoda situazione di dovere scegliere tra le soluzioni quella che può "limitare il danno" facendo attenzione di non cadere nel compromesso o nella contraddizione. Su questo tema la Chiesa ha dato delle indicazioni nella Enciclica Evangelium Vitae e successivamente, nel 2003, in un ulteriore documento denominato: "Nota Dottrinale circa alcune Questioni Riguardanti l'Impegno e il Comportamento dei Cattolici nella Vita Politica", segno evidente di un argomento vivo e dibattuto. 3 GIOVANNI PAOLO II Messaggio AI MEMBRI DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA 17 febbraio 2004 (10. anniversatio dell'Accademia) Venerati Fratelli, illustri Signori e gentili Signore! 1. Con gioia vi invio questo mio Messaggio in occasione della Giornata commemorativa del Decennale di fondazione della Pontificia Accademia per la Vita. A ciascuno rinnovo l'espressione della mia riconoscenza per il qualificato servizio che l'Accademia rende alla diffusione del "Vangelo della vita". Saluto in modo speciale il Presidente, Prof. Juan de Dios Vial Correa, come pure il Vice Presidente, Mons. Elio Sgreccia, e l'intero Consiglio Direttivo. Insieme con voi, rendo grazie anzitutto al Signore per la vostra provvida Istituzione, che, dieci anni or sono, è venuta ad aggiungersi ad altre create dopo il Concilio. Gli Organismi dottrinali e pastorali della Sede Apostolica sono i primi a beneficiare della vostra collaborazione per quanto concerne conoscenze e dati necessari per le decisioni da assumere nell'ambito della norma morale concernente la vita. Così avviene con i Pontifici Consigli della Famiglia e per la Pastorale della Salute, come pure in risposta a sollecitazioni della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato e della Congregazione per la Dottrina della Fede. E ciò può allargarsi anche ad altri Dicasteri ed Uffici. 2. Col passare degli anni diventa sempre più evidente l'importanza della Pontificia Accademia per la Vita. I progressi delle scienze biomediche, infatti, mentre fanno intravedere prospettive promettenti per il bene dell'umanità e la cura di malattie gravi ed affliggenti, non di rado però presentano seri problemi in relazione al rispetto della vita umana e della dignità della persona. Il dominio crescente della tecnologia medica sui processi della procreazione umana, le scoperte nel campo della genetica e della biologia molecolare, i cambiamenti intervenuti nella gestione terapeutica dei pazienti gravi, insieme al diffondersi di correnti di pensiero di ispirazione utilitarista ed edonista, sono fattori che possono portare a condotte aberranti, nonché alla stesura di leggi ingiuste in relazione alla dignità della persona e al rispetto esigito dalla inviolabilità della vita innocente. 3. Il vostro apporto è poi prezioso per gli intellettuali, specialmente cattolici, "chiamati a rendersi attivamente presenti nelle sedi privilegiate dell'elaborazione culturale, nel mondo della scuola e delle università, negli ambienti della ricerca scientifica e tecnica" (Lett. enc. Evangelium vitae, 98). Proprio in questa prospettiva è stata istituita la Pontificia Accademia per la Vita, con il compito di "studiare, informare e formare circa i principali problemi di biomedicina e di diritto, relativi alla promozione e alla difesa della vita, soprattutto nel diretto rapporto che essi hanno con la morale cristiana e le direttive del Magistero della Chiesa" (Motu proprio Vitae mysterium, in: AAS 86 [1994], 386-‐387). In una parola, rientra nel vostro compito di alta responsabilità la complessa materia oggi denominata "bioetica". Vi ringrazio per l'impegno che ponete nell'esaminare questioni specifiche di alto interesse, ed ugualmente nel favorire il dialogo tra l'investigazione scientifica e la riflessione filosofica e teologica guidata dal Magistero. E' necessario sensibilizzare sempre più i ricercatori, specie quelli dell'ambito biomedico, sul benefico arricchimento che può scaturire dal coniugare il rigore scientifico con le istanze dell'antropologia e dell'etica cristiane. 4 4. Carissimi Fratelli e Sorelle! Possa il vostro servizio ormai decennale proseguire sempre più apprezzato e sostenuto, dando i frutti sperati nel campo dell'umanizzazione della scienza biomedica e dell'incontro fra la ricerca scientifica e la fede. A tal fine, invoco sull'Accademia per la Vita, auspice la Vergine Maria, la continua assistenza divina e, mentre assicuro a ciascuno il mio ricordo nella preghiera, imparto a tutti voi una speciale Benedizione Apostolica, che estendo volentieri ai vostri collaboratori e alle persone care. Dal Vaticano, 17 Febbraio 2004 GIOVANNI PAOLO II (pubblicato su "L'Osservatore Romano" di Sabato 21 febbraio, p. 6) 5 GIOVANNI PAOLO II Discorso ai partecipanti alla X Assemblea Generale della PAV Carissimi Fratelli e Sorelle! 1. Sono molto lieto di poter incontrare personalmente tutti voi, membri della Pontificia Accademia per la Vita, in questa speciale circostanza in cui avete ricordato il X Anniversario di Fondazione dell'Accademia stessa e state svolgendo due "Giornate di studio" dedicate al delicato problema della procreazione artificiale. Ringrazio il Presidente, Prof. Juan de Dios Vial Correa, per le amabili parole che mi ha rivolto e saluto anche il Vice Presidente Mons. Elio Sgreccia e i membri del Consiglio Direttivo, a tutti esprimendo sentito apprezzamento per l'intensa dedizione con cui sostengono l'attività dell'Accademia. 2. Il tema che state trattando si rivela carico di gravi problemi ed implicazioni, che meritano un attento esame. Sono in gioco valori essenziali non soltanto per il fedele cristiano, ma anche per l'essere umano come tale. Sempre di più emerge l'imprescindibile legame della procreazione di una nuova creatura con l'unione sponsale, per la quale lo sposo diventa padre attraverso l'unione coniugale con la sposa e la sposa diventa madre attraverso l'unione coniugale con lo sposo. Questo disegno del Creatore è inscritto nella natura stessa fisica e spirituale dell'uomo e della donna e, come tale, ha valore universale. L'atto in cui lo sposo e la sposa diventano padre e madre attraverso il reciproco dono totale li rende cooperatori del Creatore nel mettere al mondo un nuovo essere umano, chiamato alla vita per l'eternità. Un gesto così ricco, che trascende la stessa vita dei genitori, non può essere sostituito da un mero intervento tecnologico, impoverito di valore umano e sottoposto ai determinismi dell'attività tecnica e strumentale. 3. Compito dello scienziato è piuttosto quello di investigare sulle cause della infertilità maschile e femminile, per poter prevenire questa situazione di sofferenza negli sposi desiderosi di trovare "nel figlio una conferma e un completamento della loro donazione reciproca" (Donum vitae, II, 2). Proprio per questo, desidero incoraggiare le ricerche scientifiche volte al superamento naturale della sterilità nei coniugi, così come desidero esortare gli specialisti a mettere a punto quegli interventi che possono risultare utili a tale scopo. L'auspicio è che sulla strada della vera prevenzione e dell'autentica terapia la comunità scientifica -‐ l'appello va in particolare agli scienziati credenti -‐ possa ottenere confortanti progressi. 4. La Pontificia Accademia per la Vita non mancherà di fare quanto è in suo potere per incoraggiare ogni valida iniziativa volta ad evitare le pericolose manipolazioni che accompagnano i processi di procreazione artificiale. La stessa comunità dei fedeli si impegni a sostenere gli autentici percorsi della ricerca, resistendo nei momenti decisionali alle suggestioni di una tecnologia sostitutiva della vera paternità e maternità e per ciò stesso lesiva della dignità sia dei genitori che dei figli. A conforto di questi voti, di cuore imparto a tutti voi la mia Benedizione, che volentieri estendo a tutte le persone care. (pubblicato su "L'Osservatore Romano" di Domenica 22 febbraio 2004, p. 5) 6 COMUNICATO FINALE 1. Quest'anno, nella ricorrenza del X anniversario della sua istituzione, la Pontificia Accademia per la Vita (PAV) ha dedicato i lavori della sua Assemblea Generale ad un tema di grandissima attualità e di forte impatto sociale, che il titolo del convegno ben esprime: "La dignità della procreazione umana e le tecnologie riproduttive. Aspetti antropologici ed etici". 2. Sono ormai passati più di venticinque anni dalla nascita della prima bambina, originata da un procedimento di fecondazione in vitro. Si calcola che dopo di lei, fino ad oggi, siano nati in tutto il mondo più di un milione di bambini ottenuti con le medesime procedure. Durante questi anni, infatti, il ricorso alle tecniche di riproduzione assistita ha conosciuto una progressiva diffusione in diversi Paesi del mondo, spingendo in molti casi i governi nazionali ad elaborare norme legislative specifiche, per regolare le complesse procedure connesse all'impiego di queste metodiche. Anche la ricerca scientifica in questo settore ha investito crescenti risorse, umane ed economiche, per cercare di rendere più "efficaci" le ART (Artificial Reproductive Technologies), senza riuscire, per altro, ad ottenere un sostanziale innalzamento del tasso globale di nascite per ciclo di trattamento; tale tasso permane così basso che, se si verificasse in altri trattamenti medici, sarebbe senza dubbio interpretato come chiaro segno di un sostanziale fallimento tecnico. Per di più, nel caso della riproduzione artificiale, un così basso tasso di riuscita, oltre a rappresentare un dato statistico di fallimento tecnico, ha spesso come triste conseguenza tanta sofferenza e delusione da parte delle coppie che vedono così, per questa via, frustrate le loro speranze di genitorialità. Purtroppo, questo dato statistico negativo ha una tragica corrispondenza fattuale nella enorme perdita di embrioni umani, dal momento che le maggiori difficoltà operative ancora presenti nelle ART riguardano proprio il momento dell'impianto e lo sviluppo successivo dell'embrione. 3. Va anche notato come l'intervento della medicina nell'ambito della procreazione sia iniziata sotto l'egida di una benefica "cura della sterilità", in molte coppie afflitte da questa condizione, a fronte di un sincero desiderio di genitorialità. I dati oggi disponibili, per altro, dimostrano come la percentuale di sterilità di coppia sia in aumento, soprattutto nelle società occidentali, sollecitando la scienza all'impegnativo compito di individuarne le cause reali e di trovarne i rimedi. Questa finalità originaria, però, nel tempo è in parte mutata. Da un lato, essa si manifesta talvolta in un atteggiamento per così dire autocompiacente che, di fronte ad un gran numero di casi di sterilità da causa indeterminata, senza preoccuparsi di espletare ulteriori indagini diagnostiche e cliniche, individua nello sbrigativo ricorso alle ART l'unica forma di trattamento utile; dall'altro lato, si intravede all'orizzonte un fenomeno ancor più inquietante: ci riferiamo all'emergere progressivo di una mentalità nuova, secondo la quale il ricorso alle tecniche di riproduzione artificiale potrebbe rappresentare addirittura una via preferenziale, rispetto a quella "naturale", per mettere al mondo un figlio, poiché attraverso queste tecniche è possibile esercitare un più efficace "controllo" sulle qualità del concepito, in relazione ai desideri di chi lo richiede. Tutto ciò contribuisce a considerare il figlio ottenuto mediante le ART alla stregua di un "prodotto", il cui valore in realtà dipende in gran parte dalla sua "buona qualità", sottoposta a severi controlli ed accuratamente selezionata. La drammatica conseguenza è l'eliminazione sistematica di quegli embrioni umani che risultino mancanti della qualità ritenuta sufficiente, per di più secondo parametri e criteri inevitabilmente opinabili. Non mancano, purtroppo, iniziative scientifiche e legislative miranti alla produzione, mediante le ART, di embrioni umani da "utilizzare" esclusivamente a fini di ricerca -‐ il che coincide con la loro 7 distruzione -‐, trasformandoli così in oggetti da laboratorio, vittime sacrificali predestinate ad essere immolate sull'altare di un progresso scientifico da perseguire "a tutti i costi". 4. Alla luce di tutto ciò, la PAV, in coerenza alle sue finalità istitutive, sente il desiderio ed insieme la responsabilità di offrire alla comunità ecclesiale ed alla società civile il suo contributo di riflessione, per riproporre all'attenzione di ogni persona di buona volontà l'altissima dignità della procreazione umana e dei suoi significati intrinseci. 5. La venuta all'esistenza di un nuovo essere umano, considerata in se stessa, è sempre un dono e una benedizione: " Ecco, dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo" (Sal. 126,3). Ogni uomo, infatti, fin dal primo momento della sua vita , è il segno tangibile dell'amore fedele di Dio per l'umanità, è l'icona vivente del "sì" del Creatore alla storia degli uomini, una storia di salvezza che si compirà nella piena comunione con Lui, nella gioia della vita eterna. Ciascun essere umano, infatti, fin dal suo concepimento, è un'unità di corpo ed anima, possiede in se stesso il principio vitale che lo porterà a sviluppare tutte le sue potenzialità, non solo biologiche, ma anche antropologiche. Perciò, la dignità -‐che è dignità di persona umana -‐ di un figlio, di ogni figlio, indipendentemente dalle circostanze concrete in cui ha inizio la sua vita, resta un bene intangibile ed immutabile, che richiede di essere riconosciuto e tutelato, tanto dai singoli quanto dalla società nel suo insieme. Tra tutti i diritti fondamentali che ogni essere umano possiede fin dal momento del suo concepimento, il diritto alla vita rappresenta certamente quello primario, in quanto costituisce la condizione di possibilità per la sussistenza di tutti gli altri diritti. In base ad esso, ogni essere umano, soprattutto se debole o non autosufficiente, deve ricevere un'adeguata tutela sociale da ogni forma di offesa o violazione sostanziale della sua integrità fisico/ psichica. 6. Proprio questa inalienabile dignità di persona, che appartiene ad ogni essere umano fin dal primo momento della sua esistenza, esige che la sua origine sia la conseguenza diretta di un adeguato gesto umano personale: solo il reciproco dono d'amore sponsale di un uomo e di una donna, espresso e realizzato nell'atto coniugale, nel rispetto dell'unità inscindibile dei suoi significati unitivo e procreativo, rappresenta il contesto degno per il sorgere di una nuova vita umana. Questa verità, da sempre insegnata dalla Chiesa, trova piena corrispondenza nel cuore di ogni uomo, come sottolineano le recenti parole di Giovanni Paolo II: "Sempre di più emerge l'imprescindibile legame della procreazione di una nuova creatura con l'unione sponsale, per la quale lo sposo diventa padre attraverso l'unione coniugale con la sposa e la sposa diventa madre attraverso l'unione coniugale con lo sposo. Questo disegno del Creatore è inscritto nella natura stessa fisica e spirituale dell'uomo e della donna e, come tale, ha valore universale." (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla X Assemblea Generale della PAV, 21/2/2004, n. 2). 7. Ribadiamo pertanto la ferma convinzione che le tecniche di riproduzione artificiale, lungi dall'essere una reale terapia per la sterilità di coppia, rappresentano una modalità non degna del sorgere di una nuova vita umana, il cui inizio, dipenderebbe così in gran parte dall'azione tecnica di terze persone esterne alla coppia e si realizzerebbe in un contesto totalmente avulso dall'amore coniugale. Nel ricorso alle ART, infatti, gli sposi non partecipano in alcun modo al concepimento del figlio col dono reciproco, insieme corporeo e spirituale, delle loro persone, attraverso l'atto coniugale. Anche il Papa ha voluto richiamare questa verità, con le seguenti parole: "L'atto in cui lo sposo e la sposa diventano padre e madre attraverso il reciproco dono totale li rende cooperatori del Creatore nel mettere al mondo un nuovo essere umano, chiamato 8 alla vita per l'eternità. Un gesto così ricco, che trascende la stessa vita dei genitori, non può essere sostituito da un mero intervento tecnologico, impoverito di valore umano e sottoposto ai determinismi dell'attività tecnica e strumentale" (Giovanni Paolo II, Discorso..., n.2). 8. Oltre a queste ragioni di principio, sono poi alcune circostanze concrete nella applicazione delle ART, alla luce delle attuali possibilità tecniche, ad aggravare il giudizio etico negativo su di esse. Tra queste, vogliamo ricordare soprattutto l'enorme numero di embrioni umani persi o distrutti in seguito a queste procedure, una vera "strage degli innocenti" dei nostri tempi: nessuna guerra o catastrofe ha mai causato tante vittime. Accanto ad essi, vi sono anche gli embrioni che, per varie ragioni, finiscono per essere crioconservati; essi, se rifiutati dai committenti, "rimangono esposti a una sorte assurda, senza possibilità di offrire loro sicure vie di sopravvivenza lecitamente perseguibili" (CDF, Donum Vitae I,5). Ogni ulteriore riflessione su questo punto, ed in particolare circa la questione della possibilità (teorica e reale) di una eventuale adozione pre-‐natale di questi embrioni "soprannumerari", richiederebbe tra l'altro l'analisi approfondita di dati scientifici e statistici pertinenti, di fatto non ancora disponibili in letteratura. Pertanto, la PAV ha ritenuto prematuro, durante questa Assemblea, affrontare direttamente la questione. Ancora, va sottolineato come l'attuazione e il miglioramento delle tecniche di riproduzione artificiale, il cui tasso di efficacia è oggettivamente molto basso, richiedano l'investimento di notevoli risorse sanitarie ed economiche, così sottratte alla necessità di cura di altre patologie ben più gravi e diffuse, dalle quali spesso dipende la sopravvivenza stessa di interi gruppi umani. Nel caso, poi, della modalità "eterologa" delle ART (cioè, in caso di ricorso alla donazione di gameti da parte di un soggetto esterno alla coppia), siamo in presenza di un ulteriore elemento che aggrava il giudizio etico già negativo. L'unità coniugale della coppia, infatti, viene offesa e violata dalla presenza di una terza persona (talvolta anche di una quarta), che sarà poi uno dei veri genitori biologici del figlio richiesto. In più, viene sostanzialmente violato il diritto del neoconcepito ad avere come genitori un uomo ed una donna, da cui abbia origine la sua struttura biologica e che si prendano stabilmente cura della sua crescita e della sua educazione. Riteniamo, invece, moralmente lecita la messa in atto, qualora ve ne sia la effettiva necessità, di eventuali interventi tecnici che, senza sostituirsi ad esso, siano destinati a facilitare l'atto coniugale naturalmente compiuto o ad aiutarlo a raggiungere i suoi obiettivi naturali (cfr. CDF, Donum Vitae, II,6). 9. L'eventuale sterilità, per una coppia di sposi desiderosi di trovare "nel figlio una conferma e un completamento della loro donazione reciproca" (CDF, Donum vitae, II, 1), indubbiamente può costituire un reale motivo di grande sofferenza ed essere fonte per loro di ulteriori problemi. Non v'è dubbio che un tale desiderio sia, in se stesso, più che legittimo e segno positivo di un amore coniugale che vuole crescere e compiersi in ogni sua espressione. Tuttavia, occorre ribadire che un più che comprensibile e lecito "desiderio del figlio" non può mai trasformarsi in un pretenzioso "diritto al figlio" e, per di più, "a tutti i costi". Nessuno uomo può vantare il diritto all'esistenza di un altro uomo, altrimenti quest'ultimo sarebbe posto su un piano di inferiorità valoriale rispetto a colui che vanta il diritto. In realtà, un figlio non può mai essere inteso come un "oggetto del desiderio" da avere ad ogni costo, bensì come un preziosissimo dono da accogliere con amore, qualora giunga. Gli sposi sono chiamati a creare tutte le condizioni necessarie, attraverso il loro reciproco dono d'amore coniugale, perché possa iniziare una nuova vita, ma non possono lecitamente determinarne il sorgere fino a commissionarne la "produzione" in laboratorio, ad opera di tecnici che nulla hanno a che vedere con la coppia stessa. 9 Ci sembra piuttosto che debbano essere accolti con grande favore ed incoraggiati tutti gli sforzi che la medicina moderna può produrre nel tentativo di curare le forme di sterilità coniugale, come lo stesso Pontefice ha ricordato: “desidero incoraggiare le ricerche scientifiche volte al superamento naturale della sterilità nei coniugi, così come desidero esortare gli specialisti a mettere a punto quegli interventi che possono risultare utili a tale scopo. L’auspicio è che sulla strada della vera prevenzione e dell'autentica terapia la comunità scientifica -‐ l’appello va in particolare agli scienziati credenti -‐ possa ottenere confortanti progressi” (Giovanni Paolo II, Discorso…, n. 3). A conferma della sincerità di questi auspici, vogliamo ricordare che, durante questa Assemblea Generale della PAV, sono stati presentati alcuni programmi concreti, di notevole interesse scientifico, per la cura ed il trattamento di alcune forme di sterilità di coppia. Il dono della fecondità coniugale, comunque, va concepito in maniera ben più ampia della sola dimensione della fertilità biologica. L'amore sponsale, come concreta manifestazione dell'amore di Dio per l'umanità, sempre è chiamato ad amare, servire, difendere e promuovere la vita umana (cfr. Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 29) in tutte le sue dimensioni, anche quando di fatto non può generarla biologicamente. Perciò, sentendoci profondamente vicini alle coppie di sposi, che ancora non riescono a trovare nella medicina una soluzione alla loro condizione di sterilità, fraternamente le incoraggiamo ad esprimere e realizzare ugualmente la loro fecondità coniugale, ponendosi con generosità a servizio delle molteplici situazioni umane bisognose di amore e di condivisione. Fra queste meritano una particolare menzione gli istituti sociali dell'adozione e dell'affidamento familiare, per i quali auspichiamo normative giuridiche sempre più in grado di assicurare le dovute garanzie ed, allo stesso tempo, dei tempi rapidi per gli adempimenti burocratici. 10. Un ultima notazione, infine, vogliamo riservare alla questione del ruolo dei parlamentari cattolici di fronte alle leggi ingiuste, nel campo della riproduzione artificiale umana. Ci dichiariamo in piena sintonia con la norma morale generale, affermata dalla dottrina cattolica, secondo cui una legge intrinsecamente ingiusta, che viola palesemente la dignità della vita umana-‐ come ad es. nel caso della legalizzazione dell'aborto o dell'eutanasia -‐, deve trovare da parte dei credenti una ferma opposizione, mediante l'istituto dell'obiezione di coscienza. Per un cattolico non è mai lecito "né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto" (Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, 73). Tuttavia, la stessa ratio della norma spinge ad interrogarsi su quali modalità d'azione possano essere considerate moralmente lecite, nel caso in cui il voto parlamentare di uno o più cattolici risultasse determinante per abrogare (totalmente o parzialmente) una legge ingiusta già in vigore, oppure per sostenere una nuova formulazione di essa che ne limiti gli aspetti iniqui. In un tale contesto, dare il proprio suffragio -‐ dopo aver manifestato pubblicamente la propria ferma disapprovazione per gli aspetti iniqui della legge stessa -‐ risulta giustificabile eticamente, nell'ottica dell'ottenimento del maggior bene possibile e della massima riduzione del danno in quel momento ottenibile. Il parlamentare cattolico, infatti, in simili circostanze, sarebbe moralmente responsabile solo degli effetti derivanti dall'abrogazione (totale o parziale) di detta legge, mentre la permanenza degli elementi iniqui sarebbe imputabile unicamente a chi li ha voluti e sostenuti. Del resto, occorre ricordare come esista per ciascuna persona, hic et nunc, il preciso dovere morale di fare tutto il bene concretamente possibile e non si può negare che eliminare o diminuire un male costituisce, di per sé, un bene. 11. In conclusione, la PAV desidera ancora una volta richiamare ogni uomo di buona volontà alla considerazione della dignità altissima e peculiare della procreazione umana, nella quale si 10 esprime al livello più alto l'amore creativo di Dio e si realizza compiutamente la comunione interpersonale degli sposi. L'ingegno dell'uomo e le capacità tecnico-‐scientifiche siano, dunque, poste al suo servizio, per il bene degli sposi e dei loro figli, senza mai pretendere, però, di surrogarla o di soppiantarla. (pubblicato in "L'Osservatore Romano" di Mercoledì 17 Marzo 2004, p.5 ) 11 JAVIER LOZANO BARRAGÁN ALCUNI ACCENNI BIBLICI SULLA PROCREAZIONE UMANA Ringrazio la Pontificia Accademia per la Vita per avermi invitato ad inaugurare la sua Assemblea Generale, suggerito di riflettere sul significato biblico teologico della procreazione umana. Due anni fa infatti, in un'occasione analoga ho riflettuto sulla vita umana in se stessa, ed oggi, come continuazione, il mio pensiero si dirige sull’origine prossima di essa. Mi soffermerò sul primo capitolo della Genesi come inizio, per poi accennare sul tema in altri libri del Vecchio Testamento, e concludere riferendomi al Nuovo Testamento, con la menzione sul mistero del matrimonio in San Paolo. Il filo conduttore che mi guiderànella interpretazione dei testi sacri, sarà il Magistero di Giovanni Paolo II, che proprio all’ inizio del suo Pontificato, specialmente nelle catechesi dei Mercoledì, ha sviluppato ampiamente il tema [1]. ALCUNE RIFLESSIONI SU GN 1 La creazione come dono fondamentale Come presupposto notiamo che nel versetto che narra la creazione dell’essere umano si ripete tre volte la parola "creò"[2]. Dio si rivela fondamentalmente come Creatore, ma anche come colui che «è amore» (1 Gv 4, 8), perché «soltanto l’amore infatti dà inizio al bene e si compiace del bene (cf. 1 Cor 13)»[3]. È l’amore divino il motivo della creazione e come la sua sorgente. Di fronte a un pessimismo diffuso in tanti settori della nostra società moderna, che non di rado vede con timore la procreazione di un nuovo essere umano come un fardello, è urgente proclamare la gioia della creazione. Il senso più profondo della nostra esistenza è che al ‘principio’ di essa c’è l’atto di amore creativo di Dio. All’iniziofu l’Amore di Dio per noi ad elargirci il dono più grande, il nostro essere[4]. La desacralizzazione della sessualità e della procreazione La creazione è frutto dell’amore divino, non un’emanazione panteistica di Dio; ma proprio perché è una la creazione, la creatura si distingue infinitamente dal Creatore e in questo senso si desacralizza. Nell’antico oriente la sessualità e la procreazione erano fortemente divinizzate. I diversi racconti della creazione di quelle civiltà narrano i matrimoni divini, prototipi del matrimonio umano: un dio-‐padre e una dea-‐madre generano degli dei. La sessualità umana, fonte di vita, trova la sua origine nella sessualità e fecondità divine ed è un modo di unirsi alla divinità (si pensi, per esempio, alla prostituzione sacra). La religione d’Israele è un caso sorprendente ed unico. Dio non è sessuato ed è uno. Dio non si sposa per essere fecondo e non esiste qualcosa come una dea madre. La divinità è riservata a Dio. Tutto ciò che non è Dio («il cielo e la terra») è creato. Nell’affermare che è buona e opera di Dio, il testo sacro desacralizza la sessualità, testimoniando la sua realtà creata. In Israele non ci sono miti sulla sessualità né riti di fecondità, e la prostituzione sacra costituirà un atto d’idolatria. L’uomo e la donna, l’amore, il matrimonio, la procreazione sono realtà create e buone, ma distinte del Creatore[5]. Il sacro nel creato è tale soltanto come somiglianza alla parola e all’azione di Dio Creatore e nella misura in cui rispecchia questa somiglianza. In questo senso la rivelazione di Dio desacralizza la sessualità —non è una partecipazione ad un’attività divina—, ma allo stesso tempo la santifica, rendendola parte e condizione del modo in cui l’uomo è immagine di Dio e oggetto della sua benedizione. 12 L’uomo, maschio e femmina, immagine di Dio Nella creazione dell’uomo c’è una rottura della struttura ripetitiva del racconto (‘Dio disse… e così si fa’), come se Dio meditasse prima: "Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (Gn 1, 26)[6]. L’uomo è creatura, tuttavia questo racconto gli attribuisce una somiglianza non con le creature, ma con Dio. L’uomo è pensato dal primo momento come un interlocutore di Dio e come amministratore e custode del creato[7]. A lui, la cui esistenza è un dono, Dio ha affidato l’universo come dono[8]. È stato oggetto d’un amore speciale. Soltanto dopo averlo creato «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn 1, 31). È in questo contesto della creazione —personale e dell’universo— come dono, che la Sacra Scrittura ci spiega che quest’immagine di Dio che è l’uomo è un’immagine duale: «maschio e femmina li creò» (Gn 1, 27). L’uomo è dono e immagine di Dio nella sua mascolinità e nella sua femminilità. Dio non è sessuato, ma la sua immagine lo è. La differenza sessuale significa che nessun essere umano contiene in sé tutto ciò che è umano, ma che l’immagine completa è formata da entrambi, uomo e donna. Per scoprire integralmente l’immagine di Dio debbono farlo insieme, collaborare e guardare l’uno all’altro. Deve essere molto importante il significato della differenza sessuale quando Dio ha voluto che sia oggetto della sua rivelazione. L’immagine di Dio nella procreazione Grazie a che l’essere umano esiste come uomo e donna, l’immagine non riguarda soltanto ogni persona, ma anche la procreazione, l’essere fecondi[9]. La fecondità dell’unione sessuale dell’uomo e della donna fa parte dell’essere immagine di Dio. È segno della fecondità dell’infinito amore di Dio Creatore. È legata addirittura a una sua speciale benedizione. La discendenza è segno di questa benedizione e della fedeltà di Dio al suo disegno originario. Anche in questo campo, e in maniera radicale, l’uomo e la donna sono complementari. Nel contesto della creazione come dono fondamentale, la pro-‐creazione diventa il moltiplicarsi di questo dono tramite l’uomo e la donna. Essi nella loro mascolinità e femminilità diventano segni tangibili dell’amore infinito di Dio per ogni nuova persona umana. Implicitamente il testo sacro ci presenta l’uomo e la donna come cooperatori di Dio Creatore nel suscitare nuove vite umane. Dio plasma l’uomo dalla terra; è il suo "vasaio". L’uomo non nasce da una matrice divina. Appartiene anche al creato. È creatura è Adamah, "il terroso". Ma il Creatore soffia in lui un alito di vita che lo fa essere vivente ed anche persona. L’essere umano non soltanto è un dono da Dio, ma anche un dono per altri. È un dono per donarsi. Per questo «non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2, 18). Ha bisogno di un altro che "gli sia simile" (Gn 2, 18). Senza il suo simile, l’uomo è incompleto perché non può vivere il suo essere dono. Ha bisogno di un altro uguale in dignità, "carne dalla sua carne e osso delle sue ossa" (cf. Gn 2, 23) che lo aiuti. La solitudine primordiale dell’uomo nella sua umanità, nell’esperienza di ‘non trovare un aiuto che gli somigli[10] (Gn 2, 20), è "apertura e attesa di una comunione delle persone”[11]. L’essere umano si rivela come un essere per la comunione, come colui che può essere persona in pienezza solo "soltanto esistendo con qualcuno —e ancor più profondamente e più completamente: esistendo per qualcuno”. Infatti "comunione di persone significa esistere in reciproco per, in una relazione di reciproco dono"[12]. Infatti Adamo non ha creato Eva ne Eva Adamo, ma il Signore li ha creati come un dono per l’altro o per l’altra. "Sono stati dati dal Creatore, in modo particolare, l'uno all'altro"[13]. Questo secondo racconto rivela che la creazione dell’essere umano è creazione allo stesso tempo di "quella communio personarum che l’uomo e la donna formano". In altre parole "l’uomo è divenuto immagine e somiglianza di Dio non soltanto attraverso la propria umanità, ma anche 13 attraverso la comunione delle persone, che l'uomo e la donna formano sin dall'inizio", diventando così "immagine di una imperscrutabile divina comunione di Persone"[14]. Non per caso l’aiuto di qualcuno simile è per l’uomo (‘ish) la donna (’ishshah) e per la donna l’uomo. Non si tratta di un aiuto limitato al lavoro o alla riproduzione, ma un aiuto reciproco in tutti i campi dell’esistenza[15]. Si tratta di una reciproca complementarietà proprio per la diversa sessualità maschile e femminile. Attraverso la mascolinità e la femminilità essi diventano dono l’uno per l’altra[16]. Nel testo sacro sembra che questa solitudine abbia dunque due significati: il primo riferito al suo essere uomo, alla sua umanità, e il secondo che deriva dall’essere maschio e femmina[17]. "Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne" (Gn 2, 24). L’essere umano non è creato per se stesso. È creato per vivere in comunione, e in particolare in quella speciale comunione di vita e amore che formano l’uomo e la donna, e che li fa procreativamente fecondi. La relazione uomo-‐donna non è anzitutto e soltanto la relazione sessuale. "L’uomo e la donna, prima di diventare marito e moglie […], emergono dal mistero della creazione prima di tutto come fratello e sorella nella stessa umanità"[18]. Ciascuno di loro esperimenta che l’altro "è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa" (Gn 1, 23). La procreazione come dono nel dono Il matrimonio, la procreazione e la nascita dei figli si inseriscono dunque in questo contesto di reciproca complementarietà e donazione. La procreazione è dono nel dono. È il donare la vita a una nuova persona nel donarsi l’uno all’altro con tutta la propria persona, con la propria mascolinità e femminilità. Le conseguenze per l’ethos dell’uomo sono rilevanti e quasi evidenti. La sessualità è vissuta bene soltanto quando testimonia il significato sponsale del corpo e di tutta la persona, "cioè la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-‐persona diventa dono e —mediante questo dono— attua il senso stesso del suo essere ed esistere"[19]. Solo così la sessualità diventa luogo privilegiato per la comunione, come esprime in modo molto pertinente il termine biblico conoscere quando significa avere relazione sessuali[20]. Solo "conservando la caratteristica interiore (cioè appunto l’innocenza) della donazione di sé e dell’accettazione dell'altro come dono"[21] il diventare una sola carne (cf. Gn 2, 24) è veramente conoscenza dell’altro come persona e "mutua realizzazione di sé"[22]. Nel contesto del dono di sé "la procreazione fa sí che l’uomo e la donna (sua moglie) si conoscano reciprocamente nel terzo, originato da ambedue"; che riconoscano "la loro umanità, la loro viva immagine"[23]. La procreazione è procreazione veramente umana quando è frutto di un amore sponsale. Il matrimonio, come comunione di persone, rafforza ancora di più l’essere immagine della Trinità, dove lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, come personificazione divina del loro reciproco amore. Nel procreare una nuova vita gli sposi esperimentano lo stupore iniziale dell’incontro con un altro simile: "essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa" (Gn 1, 23). Nella procreazione Dio chiama gli sposi "ad una speciale partecipazione del suo amore ed insieme del suo potere di Creatore e di Padre", a "realizzare lungo la storia la benedizione originaria del Creatore, trasmettendo nella generazione l’immagine divina da uomo a uomo"[24]. I figli sono un dono di Dio, come rivelano le parole di Eva alla nascita del primogenito: "Ho acquistato un uomo dal Signore" (Gn 4, 1). "L’esclamazione di Eva, madre di tutti i viventi, si ripete ogni volta che viene al mondo un nuovo uomo ed esprime la gioia e la consapevolezza della donna di partecipare al grande mistero dell’eterno generare. Gli sposi partecipano della potenza creatrice di Dio!"[25]. Queste parole esprimono la "piena consapevolezza del mistero della creazione, che si rinnova nella generazione umana […] e della partecipazione creativa che Dio ha nella generazione umana"[26]. Nel diventare una sola carne con l’atto che origina l’essere, "ogni volta entrambi, 14 uomo e donna, riprendono, per così dire, questa immagine dal mistero della creazione e la trasmettono con l’aiuto di Dio-‐Jahve”[27]. Gli sposi non sono l’origine ultima dell’immagine divina, però sono responsabili della loro trasmissione. ALCUNI ACCENNI SULLA PROCREAZIONE IN ALTRI TESTI DELL’ANTICO TESTAMENTO L’analisi dei primi due capitoli del libro della Genesi è stato ampio perché troviamo in essi un testimone privilegiato per conoscere il disegno originario di Dio sull’uomo e sul matrimonio e dunque, come abbiamo esaminato, anche sulla procreazione. Infatti grazie a quei racconti della creazione possiamo tornare al principio, allo stato d’innocenza dell’uomo prima del peccato originale[28]. Anche nel resto della Scrittura possiamo trovare questa testimonianza del piano di Dio sulla procreazione, benché a volte oscurata dalla durezza del cuore umano. La storia sacra è ricca di racconti sulle coppie, come Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe e Rachele e Lia. La sessualità è sempre legata alla fecondità, la quale è al centro delle preoccupazioni, al punto che una sposa sterile può legittimamente consegnare al marito una schiava concubina per avere figli tramite quest’ultima[29]. Mai nella Bibbia la fecondità è considerata in modo negativo, come un pericolo da evitare, se non in periodi di grandi catastrofi, in cui la madre deve subire la prova della sofferenza e della morte dei suoi bambini. La legge del levirato rafforza il legame tra sessualità e discendenza[30]. La sterilità è un dramma per la donna[31]. È infatti la peggiore disgrazia che le possa capitare. Se la procreazione dei figli è collegata alla benedizione di Dio, la sterilità veniva considerata come una maledizione[32]. Il Signore benedice Abramo promettendoli una discendenza molto numerosa (cf. Gn 22, 15-‐18)[33], Isacco (cf. Gn 26, 4.24) e Giacobbe (cf. Gn 28, 13-‐14)[34]. Molti figli sono la ricompensa del giusto. Questa preoccupazione per la procreazione e la discendenza lascia però spazio all’amore sponsale. Dalla fecondità poteva dipendere anche l’amore del marito per la sposa[35], ma anche troviamo che l’amore dello sposo è oblativo, gratuito e non soltanto in funzione della discendenza[36]. In modo significativo l’uomo era esentato dal servizio militare durante il primo anno del matrimonio "per allietare la donna che ha sposato" (Dt 24, 5). Nella presentazione di marito e moglie come uguali in dignità e nella comune umanità, il libro di Tobia rappresenta uno dei vertici più alti della morale vetero-‐testamentaria. Gli sposi vengono chiamati frequentemente fratello e sorella[37]. Nella tradizione dei profeti la relazione di Dio con Israele è descritta col ricorso alla metafora coniugale e alle nozze per esprimere la relazione d’Alleanza, che è relazione d’amore e fedeltà. Anche le infedeltà di Israele —in modo speciale l’idolatria—, la rottura dell’Alleanza sono comparate alla infedeltà di una sposa, come una prostituzione[38]. Questo indica l’importanza dell’amore e dell’intimità coniugale, almeno come ideale, ma ideale da essere accolto e vissuto come rivelazione di Dio, anche se la realtà storica doveva essere molte volte diversa, soprattutto in un’epoca di matrimoni combinati dai genitori e di subordinazione della donna all’uomo. La relazione di Dio con Israele diventa modello esemplare delle relazioni dell’uomo e la donna nel matrimonio, il prototipo sacro della storia umana[39]. Il Cantico dei Cantici è il libro dell’amore per eccellenza[40], quasi fosse uno sviluppo dell’inno del primo uomo nel paradiso davanti alla donna, ma lo supera perché qui non è soltanto l’uomo che si esprime, ma anche la donna. Tra le varie letture che permette questo libro, una è quella del canto alla bontà e alla bellezza dell’amore umano, che sarà come il simbolo dell’amore di Jahve per il suo popolo. 15 ALCUNI ACCENNI SULLA PROCREAZIONE NEL NUOVO TESTAMENTO “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1, 15). Il Regno di Dio è gia presente nella persona di Gesù, che porta a compimento le profezie. Le guarigioni e in modo speciale il perdono dei peccati mostrano che il Regno di Dio è un evento di salvezza. Gesù è il Dio con noi che salva l’uomo, che lo sana totalmente e lo restaura nella sua dignità, quella del principio. Questa salvezza, guarigione e restaurazione si applica anche alla sessualità, al matrimonio e alla procreazione. Non troveremo lunghi discorsi su questi temi. Soltanto il richiamo di Gesù alle esigenze del Decalogo (cf. Mt 5, 27; 19, 18) e al disegno originario di Dio sull’uomo da principio (cf. Mt 19, 3-‐9). Ma è soprattutto nell’incontro con uomini e donne feriti nella loro sessualità che Gesù manifesta che l’amore umano e la sessualità sono guariti da Lui, dall’avvento del Regno. Così inaugura una vita nuova dove la relazione dell’uomo e della donna —e dunque anche la procreazione— è compiuta nella sua bellezza e verità originaria. Cristo è lo Sposo che ci rivela la verità dell’amore e che ci mostra il cammino. Da questo avvento di grazia nascono due realtà nuove: il matrimonio sacramentale indissolubile —la cui indissolubilità come matrimonio naturale era oscurato dalla durezza del cuore umano— e il celibato per il Regno dei cieli (cf. Mt 19, 11-‐12), realtà chiamate ad essere entrambe feconde, ma con una fecondità diversa[41]. Anche nel Nuovo Testamento la relazione di Dio con gli uomini e con la Chiesa è raccontata sotto la metafora del matrimonio, delle feste di nozze[42]. Capitolo quinto della Lettera agli Efesini Tutto ciò appare chiaramente nella Lettera agli Efesini, nel capitolo quinto. Capitolo nel quale il tema è lo svolgimento della vita cristiana, incomincia con la esortazione di S. Paolo perché la vita sia una imitazione di Dio, e finisce parlando della famiglia e in concreto del matrimonio come partecipazione al mistero di Dio. Sulla cornice del Matrimonio così concepito, la procreazione appare come una imitazione della fecondità misteriosa di Dio. Il mistero è il mistero di Dio, il mistero trinitario ed il mistero dell’Incarnazione redentrice del Figlio di Dio. Così si arriva all’apice della Rivelazione sulla Procreazione. Come imitazione della fecondità divina, significa che la procreazione deve partecipare della vera vita piena di amore che è Dio Trino: Dio Padre, sorgente della vita, nella Verità del suo Figlio, pieno dell’Amore, che è lo Spirito. La procreazione entra così nella partecipazione del Mistero trinitario che porta la luce definitiva alla presentazione biblica dove essa si concepiva come una apertura di una persona verso l’altra in una terza ricevuta come dono, cioè, nel figlio. Il dono della procreazione umana ha la sua autenticità nella partecipazione del dono della fecondità trinitaria: Il Padre nella sua infinità, tutto quanto, si dona nel suo Figlio, suo Verbo, il quale così è originato da tutta l’eternità; e il Padre e il Figlio si trovano nella donazione amorosa totale che è lo Spirito Santo. La fecondità trinitaria consiste nel dono mutuo infinito. Così il mistero della procreazione umana si percepisce nella sua più intima realtà: dono totale ed assoluto. Ma questa meraviglia che è l’origine assoluta di tutta vita, arriva ai coniugi soltanto nella partecipazione delle Nozze di Dio con l’umanità, cioè, nell’Incarnazione del Verbo di Dio. Così il Mistero fecondo di Dio si fa Storia. Ma in queste Nozze, come ben sappiamo, il dono sponsale di Dio all’umanità si fa solo attraverso la croce. Allora, perché veramente la procreazione umana sia feconda, deve passare per la croce. Affinché la procreazione umana arrivi alla felicità trinitaria, questa deve avere il segno della risurrezione, e questo segno è impossibile se prima non è passato attraverso la morte di Cristo. 16 Proprio dentro questo mistero di unione feconda pasquale, nella quale consiste il Regno dei Cieli, si può comprendere perché il celibato e la verginità come unione diretta a Cristo morto e risorto, possano essere ancora più fecondi e degni che la già tanto sublime procreazione dei coniugi cristiani. Capire e vivere, specialmente, questa dimensione neotestamentaria della fecondità supera le nostre forze, ed è impossibile all’uomo e alla donna di averla se non gli viene concesso comeun dono molto speciale[43]. Questo dono speciale di Cristo "è il suo Spirito, il cui primo frutto (cf. Gal 5,22) è la carità"[44]. Nel mio modesto apporto di due anni fa, concludevo che la vita non era altro che dono. Allora avevo tentato di presentare alcune idee desunte dalla differenza logica tra contraddizione e contrarietà, applicate al Mistero insondabile di Dio. Oggi, dando una occhiata ai testi biblici, sono arrivato alla stessa conclusione: la vita è dare e ricevere, benché come dice il Signore, “rende più felice dare che ricevere”[45]. [1] Percorrendo la S. Scrittura ho trovato soltanto 4 volte dove si parla di procreare: Gn 30,1; 44,27;De.21,15; 32,18. Voci simili sono molte: Generare, generazioni: 221; Unirsi alla moglie: 10; Partorire, parto: 193; Incinta: 18; Nascere:48; Grembo: 36, ecc. [2] «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gn 1, 27). [3] Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Città Nuova Editrice – Libreria Editrice Vaticana, Roma – Città del Vaticano 1985 (4ª ed. 1995), p. 73 (catechesi n. 13, 2 gennaio 1980); cfr. p. 81 (catechesi n. 16, 6 febbraio 1980). Sono state tolte in questo lavoro le sottolineature del testo originale. «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn 1, 31). [4] «La creazione perciò, come azione di Dio, significa non soltanto il chiamare dal nulla all’esistenza e lo stabilire l’esistenza del mondo e dell’uomo nel mondo, ma significa anche, secondo la prima narrazione “beresit bara”, donazione; una donazione fondamentale e “radicale”, vale a dire, una donazione in cui il dono sorge proprio dal nulla» (Ibidem). [5] «Bisogna però notare che il potere di generare non è qui inteso come un riflesso e una manifestazione della somiglianza dell’uomo con Dio. La mitologia pagana enunciò in svariate forme il mistero della procreazione […]. In tal modo sembrava all’uomo essersi acquistato un accesso e una partecipazione al mondo della divinità […]. È pertanto significativo che la capacità di procreare venga accuratamente distinta dalla somiglianza con Dio e venga enunciata in una speciale forma di benedizione» (G. von Rad, Genesi. Traduzione e commento, Paideia Editrice, Brescia 1978 [2ª ed.], pp. 71-‐72). [6] Le interpretazioni sul significato di questa somiglianza sono molteplici: la sua esistenza, la sua razionalità, l’essere capace d’amore, il dominio sulla creazione, l’essere interlocutore di Dio, ecc. Penso che non si escludano a vicenda ma che debbano considerarsi complementari, benché si sottolinei la capacità di relazione, soprattutto con Dio. Sul termine somiglianza si è scritto molto. I santi padri hanno visto nell’immagine più la valenza ontologica e nella somiglianza più il piano etico e della figliolanza divina. [7] «Soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra» (Gn 1, 28). [8] «In tutta l’opera della creazione, solo di lui si può dire che è stato gratificato di un dono: il mondo visibile è stato creato “per lui” […]: la creazione è un dono, perché in essa appare l’uomo 17 che, come “immagine di Dio”, è capace di comprendere il senso stesso del dono nella chiamata dal nulla all’esistenza» (Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò..., p. 73 [catechesi n. 13, 2 gennaio 1980]). [9] «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra”» (Gn 1, 28). L’immagine di Dio esiste anche nell’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio, il «sacramento primordiale». Giovanni Paolo II sviluppa questo tema nel suo commento di Ef 5, 21-‐ 23 (cfr. Ibid., pp. 343-‐388 [catechesi nn. 87-‐100, dal 28 luglio al 24 novembre 1982]). Il tema del matrimonio è sottinteso in Gn 1. Compare invece esplicitamente in Gn 2: «Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gn 2, 24). [10] Cfr. Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò..., pp. 44-‐47 (catechesi n. 5, 10 ottobre 1979). [11] Ibid., p. 59 (catechesi n. 9, 14 novembre 1979). [12] Ibid., p. 74 (catechesi n. 14, 9 gennaio 1980). [13] Ibid., p. 88 (catechesi n. 18, 13 febbraio 1980). [14] Ibid., p. 59 (catechesi n. 9, 14 novembre 1979). [15] Cfr. C. Westermann, Genesi, Commentario, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999, p. 34. [16] Cfr. Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò..., p. 71 (catechesi n. 13, 2 gennaio 1980). [17] Cfr. Ibid., p. 45 (catechesi n. 5, 10 ottobre 1979); cf. p. 64 (catechesi n. 10, 10 ottobre 1979). «Si potrebbe anche rischiare di dire che la profondità e la forza di questa prima e «originaria» emozione dell’uomo-‐maschio dinanzi all’umanità della donna, e insieme dinanzi alla femminilità dell’altro essere umano, sembra qualcosa di unico ed irrepetibile» (Ibid., p. 58 [catechesi n. 9, 14 novembre 1979]). «Così come già dimostra Gen 2, 23, la femminilità ritrova, in certo senso, se stessa di fronte alla mascolinità, mentre la mascolinità si conforma attraverso la femminilità. Proprio la funzione del sesso, che è, in un certo senso, “costitutivo della persona” (non soltanto “attributo della persona”), dimostra quanto profondamente l’uomo, con tutta la sua solitudine spirituale, con la unicità ed irripetibilità propria della persona, sia costituito dal corpo come “lui” o “lei”. La presenza dell’elemento femminile, accanto a quello maschile ed insieme con esso, ha il significato di un arricchimento per l’uomo in tutta la prospettiva della sua storia, ivi compresa la storia della salvezza. Tutto questo insegnamento sull’unità è già stato espresso originariamente in Gen 2, 23» (Ibid., p. 62 [catechesi n. 10, 21 novembre 1979]). [18] Ibid., p. 89 (catechesi n. 18, 13 febbraio 1980). «Forse quindi l’analogia del sonno indica qui non tanto un passare dalla coscienza alla subcoscienza, quanto uno specifico ritorno al non-‐ essere (il sonno ha in se una componente di annientamento dell’esistenza cosciente dell'uomo) ossia al momento antecedente alla creazione, affinché da esso, per iniziativa creatrice di Dio, l’“uomo” solitario possa riemergere nella sua duplice unità di maschio e femmina […]. In questo modo, il cerchio della solitudine dell’uomo-‐persona si rompe, perché il primo “uomo” si risveglia dal suo sonno come “maschio e femmina” (cfr. pp. 55-‐56 [catechesi n. 8, 7 novembre 1979]). «La descrizione della donna dalla costola dell’uomo non è intesa come una descrizione realistica e non va compresa così. Con essa il narratore vuole fondare l’unione di uomo e donna nello stesso processo di creazione […]. L’essere-‐uomo comprende l’uomo e la donna con pari importanza e pari valore» (C. Westermann, Genesi, Commentario, pp. 34-‐35). [19] Ibid., p. 77 (catechesi n. 15, 16 gennaio 1980). Il significato sponsale del corpo è uno dei cardini delle catechesi del Santo Padre sull’amore umano. Si vedano specialmente: Ibid., pp. 74-‐89 (catechesi nn. 14-‐17, 9 gennaio – 6 febbraio 1980). [20] «“Adamo si uní a Eva, sua moglie” […] Se connettiamo alla “conoscenza” quel primo fatto della nascita di un uomo sulla terra, lo facciamo in base alla traduzione letterale del testo, secondo cui l’“unione” coniugale viene definita appunto come “conoscenza”. Difatti, la traduzione citata suona cosí: “Adamo si unì a Eva sua moglie”, mentre alla lettera si dovrebbe tradurre: 18 “conobbe sua moglie”, il che sembra corrispondere più adeguatamente al termine semitico jada‘» (Ibid., pp. 93-‐94 [catechesi n. 20, 5 marzo 1980). [21] Ibid., p. 85 (catechesi n. 17, 6 febbraio 1980). [22] Ibid., p. 98 (catechesi n. 21, 12 marzo 1980). [23] Ibidem. [24] Giovanni Paolo II, Esort. Ap. post-‐sinodaleFamiliaris consortio (22 novembre 1981), 28 (AAS 74 [1982], 81-‐191). [25] Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 18 (AAS 80 [1988] 1553-‐ 1729). [26]Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò..., p. 99 (catechesi n. 21, 12 marzo 1980). [27] Ibidem. [28] «Ed è anche significativo che, riferendosi a Gen 2, 24, Cristo non soltanto collega il “principio” col mistero della creazione, ma anche ci conduce, per così dire, al confine della primitiva innocenzadell’uomo e del peccato originale» (Ibid., p. 37 (catechesi n. 3, 19 settembre 1979). [29] Così Sara con Abramo (cfr. Gn 16, 1-‐4) e Rachele e Lia con Giacobbe (cfr. Gn 30, 1-‐13). Anche il desiderio di una discendenza porta alle figlie di Lot a unirsi al suo padre: «Così faremo sussistere una discendenza da nostro padre» (Gn19, 34), e agli israeliti a proporzionare delle donne vergini ai beniaminiti (cfr. Gdc 21, 8-‐14), e a questi di rapire dopo altre donne (cfr. Gdc 21, 15-‐23). [30] È emblematico la morte di Onan (cfr. Gn 38, 8-‐10) e il caso di Tamar, che si traveste da prostituta per garantire la discendenza al marito defunto (cfr. Gn 38, 12-‐30). [31] Così per Rachele, moglie di Giacobbe, in Gn 3,1 («“Dammi dei figli, se no io muoio!”»); e per Anna, moglie di Elkana, in 1 Sam 1, 5-‐16. [32] Istruttiva in questo senso è la cerimonia in caso di gelosia da parte dello sposo: «Allora il sacerdote farà giurare alla donna con un’imprecazione; poi dirà alla donna: “Il Signore faccia di te un oggetto di maledizione e di imprecazione in mezzo al tuo popolo, facendoti avvizzire i fianchi e gonfiare il ventre; quest’acqua che porta maledizione ti entri nelle viscere per farti gonfiare il ventre e avvizzire i fianchi!” […] Ma se la donna non si è contaminata ed è pura, sarà riconosciuta innocente e avrà figli» (Nm 5, 21-‐28). [33] Anche cfr. Gn 13, 16; 15, 5; 17, 3-‐8.15-‐16.20; Sir 44, 21. [34] Anche cfr. Gn 32, 13; 48, 4. Riguardo altri personaggi e occasioni: cfr. Gn 48, 16-‐20; Tb 4, 12; Sal 45, 17; 113, 9; 115, 14; 127, 3; 128, 3; Os 2, 1; Ger 33, 22; Is 48, 19; 55, 8-‐9; At 3, 25; Rm 9, 29. [35] Come presuppone Lia riguardo a Giacobbe: «Il Signore ha visto la mia umiliazione; certo, ora mio marito mi amerà […]. Questa volta mio marito mi si affezionerà, perché gli ho partorito tre figli» (Gn 29, 32.34; cfr. 30, 20). [36] Come nel caso di Abramo e Sara, e di Elkana ed Anna: «Ma egli amava Anna, sebbene il Signore ne avesse reso sterile il grembo […]. Anna dunque si mise a piangere e non voleva prendere cibo. Elkana suo marito le disse: “Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?”» (1 Sam 1, 5-‐10). «Così Giacobbe servì sette anni per Rachele: gli sembrarono pochi giorni tanto era il suo amore per lei […]. Egli si unì anche a Rachele e amò Rachele più di Lia» (Gn 29, 20.30). Anche Gn 24, 67 su Isacco e Rebecca. Data la mentalità dell’epoca, troviamo espressioni dell’amore del marito per la moglie ma mai al inverso. [37] «Prendi dunque tua cugina, d’ora in poi tu sei suo fratello e lei tua sorella. Ti viene concessa da oggi per sempre» (Tb7, 12). Cfr. Tb 5, 22; 7, 15; 8, 4-‐5.21; 10, 6.13. [38] Cfr. Os 2, 4-‐25; Ger 2, 2.20-‐25.32-‐33; 3, 1-‐13; 31, 3-‐4; Ez 16, 3-‐63; Is 54 1-‐8. 19 [39] Cfr. P. Grelot, Le Coupe humain dans l’Écriture, Cerf, Paris 1969, pp. 47; 54-‐55. [40] Karl Barth lo ha collegato al testo di Gn 2, il racconto yahvista della creazione dell’uomo e della donna. [41] «“Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”» (Mt 19, 29). «“In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto […].Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga”» (Gv 15, 8.16). [42] Cfr. Mt 19, 15; 22, 1-‐14; Gv 3, 29; Ef 5, 21-‐33; Ap 19, 7-‐9; 21, 2. [43] «Imitare e rivivere l’amore di Cristo non è possibile all’uomo con le sole sue forze. Egli diventa capace di questo amore soltanto in virtù di un dono ricevuto» (Ibid., n. 22). «L’amore e la vita secondo il Vangelo non possano essere pensati prima di tutto nella forma del precetto, perché ciò che essi domandano va al di là delle forze dell'uomo: essi sono possibili solo come frutto di un dono di Dio, che risana e guarisce e trasforma il cuore dell’uomo per mezzo della sua grazia» (Ibid., n. 23). Cf. Ibid., nn. 102-‐105. [44] Ibid., n. 22. [45] “Beatius est dare quam accipere” (Makavriovnejstinma'llondidovnaih^lambavnein). (Act20,35) 20 HELEN WATT GENITORIALITÀ E NUOVE TECNOLOGIE RIPRODUTTIVE: CONSIDERAZIONI ANTROPOLOGICHE GENITORIALITA E ATTO SESSUALE Il concepimento per via sessuale nel matrimonio dà ai genitori l’esperienza di un coinvolgimento causale e reale, seppure parziale, nella creazione dei figli.I figli dovrebbero essere vissuti come creazione derivante in parte da un atto di donazione di sé all’altro all’interno della coppia e, in parte, come dono ricevuto da Dio che completa il processo iniziato dai genitori. Come giustamente osservato da Mons. Livio Melina[1], il fatto che la coppia non determini direttamente la nascita di un bambino, ma piuttosto riceva un bambino come qualcosa in più rispetto al suo specifico atto di donare-‐ricevere fisico, in un certo senso protegge i genitori da un sentimento di eccessiva responsabilità verso il bambino, che è proprio invece di Dio. D’altro canto, il concepimento non-‐sessuale[2] favorisce l’esercizio di un potere e un controllo eccessivi sul nascituro, anche se tale potere e controllo sono in pratica esercitati dai medici in vece dei genitori. Paradossalmente, il concepimento non-‐sessuale può dare ai genitori anche la sensazione di una perdita di potere causale, in quanto essi giustamente percepiscono il concepimento come processo che li esclude come coppia. Questo è particolarmente vero per il padre che non è coinvolto nella gravidanza così come invece è, o potrebbe essere[3], la madre. Anche nel caso del concepimento sessuale gli uomini sono ben più a rischio delle donne di sentirsi meno coinvolti nella nascita di un bambino derivante dal loro contributo genetico necessariamente espresso. Tale rischio risulta maggiore nel caso in cui il contributo dell’uomo non derivi da un atto interpersonale con una sua propria dignità intrinseca, ma piuttosto da un atto solitario, spersonalizzato, con lo scopo di fornire il seme per il processo di produzione. Questo atto è finalizzato al concepimento, ma non ha alcun significato in relazione al matrimonio che è indipendente da quell’obbiettivo attuale e temporaneo. L’atto di ottenere il seme, e gli atti successivi, esprimono semplicemente un’intenzione a partecipare alla produzione di un bambino. La separazione che ne deriva e alla quale fa riferimento Mons. Melina, tra l’atto d’amore dei genitori e il dono del bambino come coronamento di questo atto, in questo caso è rappresentata da una sequenza di eventi utilitaristici totalmente indirizzati verso il figlio progettato come risultato di un procedimento tecnico. La GIFT dopo un rapporto sessuale IVF e GIFT sono tanto condannate dagli eticisti cattolici quanto praticate negli ambienti secolari. Spenderò qualche parola su una questione molto difficile e dibattuta tra i moralisti cattolici: se il bambino possa ancora essere inteso come frutto dell’amore coniugale quando il rapporto è associato a pratiche come la GIFT o l’inseminazione artificiale, pratiche in cui lo sperma viene raccolto dopo il rapporto e iniettato all’interno del corpo della donna. Mi riferisco, in particolare, ai casi in cui lo sperma è prodotto attraverso un rapporto che usa un preservativo perforato. In questo caso il padre conserva ancora l’esperienza di una responsabilità causale per il concepimento del bambino come risultato diretto del rapporto tra lui e la moglie? O abbiamo piuttosto il caso del concepimento di un bambino che segue due effetti paralleli del rapporto: 21 l’unione parziale della coppia e la produzione non completamente unitiva dello sperma che è stato intenzionalmente sottratto? Cosa si intende col dire che un bambino dovrebbe essere ‘il frutto dell’atto coniugale?’[4]. Per citare ancora la Donum Vitae[5], qual è il ‘fine proprio’ dell’atto coniugale che un medico dovrebbe favorire? Il fine è sicuramente che i gametisiano fatti incontrare attraverso l’atto. Non è sufficiente tuttavia che l’atto renda lo sperma disponibile per qualche progetto riproduttivo ritardato. Invece, lo sperma dovrebbe essere ricevuto direttamente dalla donna e l’atto del ricevere dovrebbe esso stesso contribuire all’eventuale unione tra sperma e ovulo. Il rapporto deve unire la coppia completamente e questa unione a sua volta deve unire i gameti o almeno portarli a uno stretto contatto, anche se la tecnologia deve completare il processo. Il bambino dovrebbe essere il frutto dell’atto sessuale ‘realizzato in maniera normale’[6], non il frutto di un atto di trattenimento dall’unione della coppia[7], seguito dal prelievo e dal reinserimento dello sperma. Non è rispettoso dell’atto sessuale il considerare l’atto stesso come un mezzo per rendere il seme disponibile, seme che non risulta così essere coinvolto nell’unione sessuale, anche se lo stesso atto sessuale produce indipendentemente una unione parziale. La donna dovrebbe ricevere il proprio marito in senso totale; usare un atto sessuale come mezzo per raccogliere il seme che viene deliberatamente separato dal corpo della donna non rispetta né il ruolo della donna né quello del marito. Un’unione dovrebbe essere causa di un’altra unione: il bambino dovrebbe essere il frutto dell’amore coniugale. Anche nel caso in cui non sia stato usato il preservativo, in modo che il donarsi coniugale non sia compromesso dal trattenere intenzionalmente lo sperma, la sottrazione dello sperma dal corpo della donna renderebbe nullo l’effetto del rapporto di avvicinare e unire tra loro il seme e l’ovulo. In questo caso il padre sarebbe giustificato dal fatto che egli non ha causato, neanche parzialmente, l’unione dei gameti: egli ha semplicemente reso disponibile lo sperma che è stato iniettato nell’ovulo in un secondo momento con un procedimento tecnico. Al contrario se lo sperma fosse meramente assistito durante il suo percorso verso l’ovulo, l’uomo saprebbe di aver contribuito a causare quel viaggio e quindi a causare il concepimento. Non è necessario che l’intero viaggio del seme sia provocato dal marito e dalla moglie: dopotutto nessun atto sessuale potrebbe portare al concepimento se non ci fosse l’atto finale di Dio che crea una nuova anima. Il rapporto unisce la coppia e questa stessa unione avvicina e unisce lo sperma e l’ovulo in un modo che non può essere condizionato dalla successiva rimozione dello sperma[8], il bambino deve la sua origine ad un atto che ha caratteristiche inerenti la dignità umana richiesta dalla sua stessa dignità di uomo. E’ il bambino, non semplicemente lo sperma, che deve risultare dall’unione dei genitori. Per proteggere il ruolo del padre, che più della madre è il ‘donatore’ in relazione all’atto coniugale[9], deve essere necessariamente protetto il legame tra il dono di se stesso alla moglie -‐ incluso il dono del suo sperma – e il concepimento[10]. Mancare in questo equivale a rischiare la stessa dissociazione dal senso proprio della responsabilità per il bambino che vediamo altrove nella riproduzione assistita. Per l’uomo la paternità è dono di se stesso in senso pieno, in relazione non solo al suo apporto di sperma che porta al concepimento, ma al suo apporto di sperma come parte immediata del dono di se stesso a sua moglie[11]. Il suo ruolo nel donare, quello della moglie nel ricevere e il ruolo di entrambi nel creare le condizioni fisiche per il dono della vita non possono essere sostituiti, anche se possono essere surrogati da un procedimento tecnico. 22 GENITORIALITÀ E SOSTITUZIONE DI MATERIALE RIPRODUTTIVO Quali sono gli altri problemi legati alla genitorialità e alle nuove tecnologie? Bisognerebbe cominciare col notare la necessità di rispettare la paternità e la maternità anche in relazione alle tecniche che non portano direttamente al concepimento. La fecondazione di uova animali con sperma umano è irrispettosa della paternità umana, anche se nella realtà non esiste il rischio di generare esseri umani – o piuttosto animali non-‐umani. Allo stesso modo, anche se potessimo garantire che la ‘partenogenesi’ non produrrebbe un vero e proprio embrione umano, la stimolazione di un ovulo per produrre uno sviluppo simile a quello embrionale sembra essere troppo vicino al concepimento umano per essere moralmente accettabile. L’uomo dovrebbe considerare il suo potere riproduttivo come qualcosa di speciale, riservato al contesto coniugale. Bisogna avere rispetto per l’obbiettivo più importante dei poteri riproduttivi di ciascuno: il concepimento, la nascita e l’educazione di un bambino. Questo obbiettivo deve essere onorato, anche in relazione ad attività in cui tale obbiettivo non appare direttamente. Per un essere umano contribuire in maniera sostanziale a ciò che assomiglia – ma non è – a un embrione umano o animale equivale a non riconoscere la dignità dei bambini e dell’essere genitori. Certamente, anche se lo scienziato non usa i poteri riproduttivi umani veri e propri, ma usa un nucleo cellulare umano, non spermatico, per attivare un ovulo animale, è moralmente rilevante che il nucleo umano sia usato per surrogare il potere riproduttivo di due animali o di due esseri umani. Quando prendiamo parte ad attività che sono o troppo vicine o troppo lontane dal concepimento coniugale, manchiamo di rispetto al significato della genitorialità umana. Tuttavia a volte risulta difficile definire quando si è avuta una intrusione significativa nel concepimento coniugale, diversa da un legittimo intervento sanitario. Quando l’obbiettivo è quello di determinare un concepimento, è importante, per il senso di identità del bambino e per il senso di responsabilità causale e morale dei genitori verso il bambino, che non ci siano ambiguità su chi siano i genitori. Tuttavia, alcune forme di contributo genetico al concepimento, a parte il contributo dei genitori genetici veri e propri, sembrano moralmente accettabili in principio, anche se non in pratica a causa di problemi legati alla sicurezza[12]. Se la terapia della linea-‐ germinale è moralmente sbagliata, ciò è dovuto all’uso della IVF e ai rischi per le generazioni future, non perché lo scienziato contribuisca, forse in maniera così piccola come potrebbe fare un gene, alla formazione delle generazioni future. Di certo, c’è una ragione per cui si ritiene che lo scienziato si sostituisca ai genitori nel formare il corpo del loro bambino. Anche la terapia genica somatica, in un certo senso, sostituisce ciò che fanno i genitori: cioè contribuisce geneticamente alla formazione di una certa parte del corpo del loro bambino. Nessuno direbbe che la terapia genica somatica rappresenta un sostituto immorale del contributo genitoriale alla costituzione genetica del bambino. Altre tecniche mediche contribuiscono non-‐geneticamente, in un dato momento, alla formazione di una persona. Fecondazione di ovuli ‘combinati’ (‘combination’ ova) Il contributo materiale all’immediata formazione di un bambino rimane, comunque, una funzione genitoriale per eccellenza. Cosa bisognerebbe dire sulla proposta di curare una malattia mitocondriale creando una cellula-‐uovo da una combinazione per essere usata nella IVF?[13] In questa tecnica il nucleo della cellula-‐uovo viene prelevato dall’ovulo di una donna con malattia mitocondriale e inserito nell’ovulo denuclearizzato di una donatrice. L’ovulo derivante da tale combinazione viene poi sottoposto a fecondazione in vitro da cui nasce (o dovrebbe) il bambino. Lasciando da parte la considerazione che la IVF in nessun caso è moralmente accettabile[14], ci si chiede se questa procedura non sia ancora meno accettabile in quanto gravata dal fatto che crea 23 due “madri parziali” per il bambino. Nonostante il fatto che nei mitocondri siano contenuti pochissimi geni, tale procedura sembra differente dalla terapia sulla linea germinale come normalmente si immagina – cioè, la terapia sulla linea germinale che coinvolge un solo gene che non deriva da un gamete. Nel caso del trasferimento nucleare, la donna che fornisce i geni mitocondriali insieme alla parte restante dell'ovulo fa in parte, anche se solo in parte, ciò che fa una madre nel concepire un bambino. Allo stesso modo, la donna che fornisce il nucleo del suo ovulo è madre in maniera parziale e frammentaria. Un ovulo è più del suo nucleo e creare un ovulo combinato da due donne equivale a introdurre una vera e propria ambiguità nella parentela di un bambino nato da quell’ovulo. È interessante paragonare questa tecnica con una tecnica di fertilità in cui l’ooplasma dell’ovulo di una donna sterile è fornito da una donatrice prima della fecondazione. Quando questa tecnica fu messa in atto per la prima volta, si scoprì che i mitocondri della donatrice venivano rimpiazzati dai mitocondri nativi durante la gestazione[15]. Comunque, tests effettuati su due bambini di un anno concepiti in questo modo hanno rivelato un apporto genetico da parte della donatrice così come dai genitori biologici[16]. La donatrice ha contribuito così sia al concepimento del bambino sia alla sua successiva formazione genetica alla quale in parte contribuisce anche la madre al momento del concepimento – cioè con i miticondri del suo ovulo. Non c’è ancora accordo unanime sulla liceità morale di tale contributo anche indipendentemente dalle questioni sollevate dall’IVF e dagli effetti sulla linea germinale. Tuttavia è interessante riflettere sulla possibilità che la situazione cambi, nel senso di una maggiore accettabilità, se l’ooplasma donato non derivasse dall’ovulo di un’altra donna, ma fosse prodotto in laboratorio. Si potrebbe ipotizzare che ciò sia moralmente preferibile dato che in questo modo almeno non vi sarebbe un candidato antagonista al ruolo di madre del bambino[17]. Questo non significa tuttavia che non ci siano limiti alla quantità di materiale sintetico che può essere introdotta senza pregiudizio per il ruolo di genitore. Il trasferimento nucleare appare più difficile da difendere dell’iniezione dell’ooplasma da donatrice nell’ovulo della madre biologica. Infatti il trasferimento nucleare implica una sottrazione, e non meramente un’aggiunta, dall’ovulo della madre biologica; inoltre il contributo della donatrice non è meramente un supplemento di ooplasma – sebbene contenete mitocondri – ma di un’ampia porzione dell’ovulo che diventerà il corpo dello zigote. Se un bambino concepito con tale procedimento concludesse che ha due madri non gli si potrebbe dare torto. Allo stesso modo se la donatrice dell’ovulo sentisse di avere una responsabilità materna verso il bambino sarebbe difficile affermare che sia completamente in errore. Per esempio se il bambino ad un’età più avanzata volesse incontrare la donatrice, questa dovrebbe avere l’obbligo di acconsentire – e forse anche di prendersi cura del bambino nel caso in cui fosse orfano o abbandonato[18]. L’ADOZIONE DELL’EMBRIONE È questo un altro ambito in cui non vi è ancora chiarezza è cioè la determinazione delle circostanze in cui una madre potenziale possa ricevere un bambino che già esiste. Idealmente la maternità dovrebbe essere insieme genetica, gestazionale e sociale: non bisognerebbe pianificare, prima del concepimento, di separare questi aspetti della maternità[19]. Tuttavia l’adozione dopo la nascita è moralmente accettabile almeno in alcune circostanze sebbene sia sbagliato concepire un bambino deliberatamente con l’obbiettivo di darlo in adozione. Ancora più problematica è la questione della ‘adozione’ o del ‘salvare’ un embrione in vitro. Dato per scontato che sia illecito concepire un bambino deliberatamente con l’intenzione di farlo partorire ed allevare da un’altra donna, esistono circostanze in cui un embrione congelato, abbandonato -‐ 24 oppure un embrione che la madre genetica non sia in grado di portare in grembo -‐ possa essere trasferito nel grembo di una donna che programma di farlo nascere ed allevarlo come figlio proprio? È certamente un problema di non facile soluzione e in cui ci sarebbe molto da dire a favore e contro. Bisognerebbe iniziare col porre l’accento sul significato particolare della gravidanza in relazione alla genitorialità. La gravidanza non è solo una forma di nutrimento e allevamento come (ad esempio) l’allattamento al seno. La cura per il bambino dopo la nascita è normalmente un processo a cui prendono parte anche altre persone, almeno in una certa misura, e anche l’allattamento al seno può essere interpretato come fatto condiviso nei casi in cui ci siano buone ragioni per farlo. Invece la gravidanza è una relazione più privata ed esclusiva che stabilisce un legame tra i genitori e il bambino prima della sua esistenza sociale. Tuttavia bisognerebbe ricordare che l’adozione dell’embrione non avrebbe a che fare con una surrogazione nel senso comune del termine in quanto la donna che adotta l’embrione programmerebbe di essere e agire come madre anche dopo la nascita. La gravidanza quindi manterrebbe il suo significato come segno dell’unicità della relazione genitore-‐bambino e anche il successivo impegno dei genitori nei confronti del bambino sebbene si perderebbe il suo significato normale rispetto alle origini del bambino. Mentre nell’adozione successiva alla nascita la gravidanza mantiene il suo significato rispetto alle origini, ma perde il suo significato nei confronti dell’educazione successiva del bambino, nell’adozione dell’embrione, invece, la gravidanza significherebbe un impegno permanente verso il bambino anche se perderebbe significato, in questo caso prima che la gravidanza inizi, in relazione all’ origine del bambino. Si potrebbe obbiettare che la separazione della maternità genetica da quella gestazionale nell’adozione dell’embrione sia più grave della separazione tra maternità gestazionale e sociale nell’adozione dopo la nascita. L’adozione dell’embrione, potrebbe dire qualcuno, falsifica ciò che è sempre stato l’unico segno attendibile dell’origine del bambino: la gravidanzae il parto. Inoltre per favorire l’impegno materno potrebbe essere più importante far iniziare precocemente la relazione madre-‐bambino piuttosto che dopo che la madre ha già creato legami col bambino in modo che qualsiasi indicazione a trasferire tale impegno ad un’altra donna potrebbe andare contro il senso di responsabilità verso il bambino da parte della madre genetica. In alternativa (o in aggiunta) si potrebbe dire che la gravidanza dovrebbe sempre essere il risultato di un rapporto coniugale (non considerando il caso delle gravidanze gemellari e la circostanza particolare dell’Incarnazione[20]). In ogni caso credo che tale argomentazione debba essere rifiutata in quanto conduce a conclusioni contro-‐intuitive. Se è immorale ottenere una gravidanza per via non sessuale, allora neanche una madre genetica che si rivolga alla IVF può lecitamente chiedere il trasferimento dei suoi embrioni nel proprio grembo. Inoltre sarà anche immorale che a una donna con una gravidanza ectopica sia trasferito l’embrione nella sede adatta – ad esempio dopo la rimozione delle tube di Falloppio contenenti l’embrione. Ogni tentativo di reimpiantare l’embrione ectopico dopo la sua rimozione implica necessariamente l’inizio di una gravidanza per via non sessuale. La donna non risulta più incinta dopo che l’embrione è stato rimosso, indipendentemente dalle sue intenzioni successive: teoricamente potrebbe ottenere il congelamento dell’embrione per molti anni e anche partorire altri bambini prima che l’embrione sia reimpiantato. Almeno nei casi in cui esiste già una relazione materna con il bambino – genetica e/o gestazionale – non sembra essere sbagliato, in linea di principio, cercare una gravidanza attraverso un procedimento tecnico. Naturalmente se già esiste una relazione genetica con il bambino, il significato della nascita in relazione all’origine genetica del bambino non sarebbe compromesso dal trasferimento di quell’embrione. Anche una donna che porta avanti una gravidanza con un embrione geneticamente non suo ha sicuramente il diritto – e forse anche l’obbligo – di far reimpiantare l’embrione ectopico. Anzi, se si riconosce un valore al 25 rispetto dell’impegno preso di accudire il nascituro, allora bisogna riconoscere alla donna gli stessi diritti e doveri, ora più importanti di qualsiasi altro diritto o dovere, della madre genetica di quell’embrione. La maternità non deve essere ‘riframmentata’ col trasferimento del bambino dal grembo di una donna – che potrebbe continuare la gravidanza – a quello di un’altra donna. Sebbene la madre gestazionale non sia gravida finchè e a meno che l’embrione sia reimpiantato, ella è stata comunque interrotta nel compito di portare avanti la sua gravidanza in modo che riconoscere il suo attuale dovere di prendersi cura non sembra assurdo. Tra quelli che hanno preso decisamente posizione contro la legittimità dell’adozione come modo di salvare gli embrioni si annovera il filosofo Mary Geach. La dottoressa Geach fonda la sua argomentazione sul fatto che, a suo modo di vedere, il ruolo della donna in un normale rapporto coniugale sia quello di acconsentire ad una sorta di intromissione esterna al fine di diventare gravida. In questo senso per una donna acconsentire al trasferimento di un embrione rappresenta una scelta allo stesso tempo troppo vicina e troppo lontana dall’atto coniugale. La dottoressa Geach nutre comunque dei dubbi sulla possibilità di permettere il trasferimento di embrione del proprio figlio genetico dopo IVF o dopo gravidanza ectopica, notando giustamente che in questi casi la donna ha già iniziato una relazione con il bambino da trasferire. Comunque se è ritenuto permissibile trasferire un embrione geneticamente proprio -‐ come pensa la dottoressa Geach – allora un atto fecondativo esterno deve esprimere una relazione coniugale. Non solo l’intromissione del trasferimento d’embrione non è mai sessuale, ma la donna potrebbe anche non essere sposata con il padre del proprio bambino. L’argomentazione della dottoressa Geach sarebbe notevolmente rafforzata se si riconoscesse l’intenzione di un mal agire insita nel desiderio didiventare madre attraverso un’interferenza o qualsiasi altro procedimento simile ad un’interferenza[21], a parte il rapporto coniugale, piuttosto che l’ottenere una gravidanza attraverso tale procedimento. L’intenzione del mal agire insita nella IVF risiede, secondo questa teoria, nel fatto di diventare madre (cioè attraverso il concepimento stesso) con un procedimento tecnico piuttosto che permettere il trasferimento nel corpo di un’altra donna di un embrione creato in questo modo. Dato che una donna diventa madre anche ricevendo un embrione da una persona con cui non aveva precedenti rapporti, forse anche l’adozione di un embrione appare troppo vicina e troppo lontana dall’atto coniugale per essere moralmente permissibile. 26 [1] MELINA L., La logica intrinseca agli interventi di procreazione artificiale umana. Aspetti etici, in questo stesso volume. [2] Si può immaginare il caso in cui un deliberato concepimento sessuale, ad esempio per effetto di uno stupro, ha un effetto simile perché l’altra persona, sebbene non lo sia nei fatti, è trattata come strumento o oggetto. In questo caso non c’è un atto di relazione, in senso carnale, con un altro essere umano come persona e quindi non c’è un rapporto umano tra l’agente (in questo caso lo stupratore) e l’effetto dell’azione, cioè il concepimento. Tuttavia nella maggior parte dei casi il concepimento sessuale, anche al di fuori del matrimonio, è superiore alla IVF nel focalizzare l’attenzione sulle persone, piuttosto che sulle parti o sugli strumenti (o gli esseri umani visti come parti o strumenti). [3] Mi riferisco alla madre genetica che può essere sostituita da una madre ‘surrogata’ – anche lei con diritti e doveri propri della madre – nella gestazione del bambino. [4] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione – Donum Vitae, 1987: II A 4. [5] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Donum Vitae II B 7. Qui la stessa Donum Vitae cita Papa Pio XII nel suo Discorso ai partecipanti al IV Congresso Internazionale dei Medici Cattolici, 29 Settembre 1949: AAS 41 (1949), 560. [6] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Donum Vitae II A 7. [7] Si potrebbe obbiettare che in questo caso lo sperma non è sottratto per motivi di contraccezione. Tuttavia ciò non è sufficiente per salvaguardare la struttura dell’atto sessuale che dovrebbe essere un atto di donazione incondizionata di sé. Apertura alla vita significa apertura a ciò che, nel rapporto durante il periodo fertile, produce la vita; non la mera intenzione che il rapporto sia seguito in qualche modo dalla vita. Se quest’ultima fosse sufficiente, il rapporto con un normale profilattico seguita da IVF o GIFT sarebbe moralmente permissibile. [8] Si potrebbe fare un’analogia con una persona che intraprende un viaggio – per esempio da Roma a Milano. Se io iniziassi a camminare verso Milano e mi fosse dato un passaggio in macchina ad un certo punto del mio viaggio, la persona che mi prende in macchina ‘mi starebbe aiutando’ a raggiungere Milano. Al contrario, se prendessi un passaggio in macchina che prima di raggiungere Milano tornasse indietro verso Roma non sarei ‘aiutato’ a raggiungere Milano, ma sarei ‘portato’ a Milano. [9] Dal punto di vista teologico, il ruolo più attivo dell’uomo rappresenta il ruolo di Cristo nel rapporto con la Chiesa che è recettiva e fertile nel rispondere alla grazia che viene da Dio. [10] È importante per l’integrità della paternità che lo stesso atto che ‘ha prodotto il dono’ – nel senso che il seme ha lasciato il corpo dell’uomo come parte del dono di sé del marito – sia anche responsabile, o parzialmente responsabile, del concepimento. Pertanto sarebbe sbagliato se il seme ottenuto da un atto sessuale (per esempio prima che l’uomo intraprenda untrattamento anti cancro che produca sterilità) fosse separatamente trasferito nel corpo di una donna per mezzo di un altro atto sessuale. Ringrazio Anthony McCarthy per questo punto e per altri apprezzabili commenti su questa relazione. [11] Al contrario, la presenza di un ovulo nel luogo adatto perché avvenga il concepimento, non è legata al rapporto e può quindi essere completamente trasportato con un procedimento tecnico. [12] Presumo in questo caso che lo scienziato contribuisca, e non sostituisca, alla formazione del bambino attraverso la fecondazione. Altrimenti, se il bambino fosse prodotto aggiungendo geni ad una entità non umana derivante da una fecondazione imperfetta, ciò non sarebbe moralmente accettabile. In questo caso non si assisterebbero la madre e il padre nel provocare la fecondazione come risultato finale del loro atto sessuale. Piuttosto staremmo producendo un 27 bambino con mezzi diversi da quello sessuale – sebbene con materiale che potrebbe in teoria essere creato per via sessuale. [13] RUBENSTEIN D.S., THOMASMA D.C., SCHON E.A., ZINAMAN M.J., Germ-‐line therapy to cure mitochondrial disease: protocol and ethics of in vitro ovum nuclear transplantation, Cambridge Quarterly of Healthcare Ethics 1995, 4:316-‐339.Si veda anche WATT H., Germ-‐line therapy for mitochondrial disease:some ethical objections, Cambridge Quarterly of Healthcare Ethics 1999, 8: 88-‐96. [14] Anche se il trasferimento nucleare dell’ovulo fosse associato al concepimento sessuale, non sarebbe ancora accettabile in quanto il bambino non sarebbe il risultato di una donazione di sé integrale del marito e della moglie, del loro donare la propria fertilità senza riserve. Dopotutto la donna non darebbe il suo ovulo col dare il nucleo del suo ovulo: il suo contributo sarebbe limitato al solo nucleo. Nonostante il fatto che la coppia desideri un figlio e stia cercando di concepirlo attraverso un rapporto sessuale, di fatto la loro unione sessuale non è aperta alla vita, nel senso di essere completamente aperti alla fertilità propria della donna. La donna in questo caso dà solo parte di quello che dovrebbe, insieme a qualcosa che non ha il diritto di dare: una gran parte dell’ovulo di un’altra donna. [15] COHEN J., SCOTT R., SCHIMMEL T., LEVRON J., WILLADSEN S., Birth of infant after transfer of anucleate donor oocyte cytoplasm into recipient eggs, Lancet 1997, 350:186-‐187. [16] Si veda il documeto della BBC, Genetically altered babies born, sul sitowww.bbc.co.uk/hi/english/sci/tech/newsid_1312000/1312708.stm [17] Si potrebbe fare un’analogia con l’uso degli incubatori o uteri artificiali per bambini nati prematuramente: ciò non solleva gli stessi problemi etici del trasferimento di un bambino prematuro nel corpo di una donna che non è sua madre. [18] Allo stesso modo se la donna che ha fornito il nucleo rifiutasse di portare in seno il frutto del concepimento, la donna che ha fornito il resto dell’ovulo potrebbe avere il dovere di portare avanti la gravidanza. [19] In questo caso presumo che l’intenzione sia quella di concepire e poi cedere/abbandonare un bambino che si è in grado di allevare. Un’altra questione è se sia permissibile concepire deliberatamente un bambino – contrariamente a considerarla una chance – che una donna non sarà fisicamente in grado di portare in grembo e/o allevare (ad esempio a causa di una condizione terminale). Si potrebbe obbiettare che una donna ha la responsabilità di non concepire un bambino deliberatamente a meno che ella sia in grado di allevarlo almeno nella prima infanzia – un periodo in cui la madre è particolarmente importante – e a meno che il padre non sia capace, ad uno stadio dello sviluppo più avanzato, di prendersi cura del bambino non potendolo fare la donna. [20] Mary Geach vede il caso dell’Incarnazione paragonabile a ciò che lei ritiene un requisito morale per una donna che acconsente ad essere fecondata, in quanto Maria col suo consenso (‘fiat’) esprime ‘una relazione permanente ed esclusiva, dal punto di vista sessuale, con il padre di suo figlio’ (GEACH M.C., Rescuing frozen embryos, in FURTON E.J. and MITCHELL L.A. (Eds), What is man, O Lord?,Boston:The National Catholic Bioethics Center, 2002:217-‐230). La dottoressa Geach osserva che Maria ‘non sta consentendo ad una interferenza spaziale, quindi non sta facendo una sorta di atto coniugale sebbene nella sua relazione con Dio esista la stessa motivazione dell’esclusività sessuale (per eccellenza) come nel caso della relazione maritale (p. 222). L’adozione come soccorso dell’embrione è stata inizialmente discussa dalla dottoressa Geach e da me in GEACH M., WATT H., Are there any circumstances in which it would be morally admirable for a woman to seek to have an orphan embryo implanted in her womb?, in GORMALLY L. (Ed.),Issues for a Catholic bioethic, London:The Linacre Centre, 1999:341-‐352. Si veda anche 28 WATT H., A brief defense of frozen embryo adoption, National Catholic Bioethics Quarterly 2001, 1:151-‐154. [21] GEACH, Rescuing frozen embryos…p.222. 29 ADRIANO BOMPIANI THE HISTORICAL DEVELOPMENT OF TECHNOLOGIES AND THEIR IMPACT ON THE PROCESSES OF HUMAN PROCREATION PRELIMINARY CONSIDERATIONS Document’s subject This report intends to explain “technical-‐operational” aspects of the in vitro procreation’s technologies, as an introduction to the whole anthropological, ethical and juridical considerations other speakers will deal with. The opinions expressed in this text derive from the analysis of literature and not from a direct personal experience. The author does not put into practice any of the techniques included in the generic denomination of ART (Artificial Reproductive Technologies).This can be considered from some a “weakness”, from others an “advantage” for the reliability of the same text. Since these techniques have been introduced in the clinic of human fertility and sterility, it cannot be denied that there have been continuous researches to improve their results in laboratories and schools with suitable biological preparation. Nevertheless it was also in pursuit of priorities, “sensational” results and there were improvisations by some adventurers as well. During the exposition, we will try to emphasize the “historical” evolution of the deepening of various problems and the reasons of the selected solutions. The field of analysis is, obviously, very wide and it cannot be reported here but with short indications to the essential lines and, as far as possible, with a “not specialistic language”. As everybody knows, there are three principal methodologies in the development of the technology denominated “assisted procreation” in proper sense (ART): a) the IVF-‐ET (In Vitro Fertilisation-‐Embryo Transfer), or FIVET (IVF); b) the Gamete Intrafalloppian Transfer (or GIFT); c) the direct injection of the sperm inside the cytoplasm of the oocyte (or ICSI, Intra Cytosplasmic Sperm Injection): A short notice must be made, moreover, also to the Intrauterine Artificial Insemination that -‐ for many years -‐ has preceded the advent of the ART and that is still used in clinical practice. Of course, as years go by, several variations to the above mentioned ART “basic” techniques have been realized, even if they maintain still now a notable experimental component despite their wide use in the past and in the present as well. One more note: in order to well understand the reasons that have brought to the different attempts of solution of the problems set by the ART, it is necessary to know the fundamental events of the mammal reproduction’s biology and in particular the human’s one: from the gamete preparation in the two organisms that will be reproduced -‐ male and female -‐, to the events under the control of the ART that will develop mostly during the first 48 -‐ 72 hours of life of the embryo (maximum to the 5th day). This time is very short per se, but so important for the future development. To this purpose the reading of the whole report presented here by Professors A. Serra and R. Colombo, “Identity and statute of the human embryo: the contribution of biology”, will be very useful. 30 A general look at the diffusion of the ART techniques These techniques, in fact, spread quickly in many countries, in the west and in the extreme east, where favourable economic and sanitary conditions exist. The outcome of several treatments were notified in many publications, by groups or single operational departments, and also in far-‐reaching statistics: for Australia-‐New Zealand by Hurst et al. (1997); for Latin America by Zegers-‐Hochshild and Galdames (1997), for USA and Canada by the Society for Assisted Reproductive Technology SART (1999). Finally five world reports were written by the World Collaborative Report (1997). In Europe, after the constitution of the Gruppo Consortile ESHRE (European Society for the Human Reproduction), that gathered data of 22 European countries in 1999 (Nygren and Andersen, 2002), over 200.000 cycles of treatment IVF/ICSI/GIFT are reported, that is equivalent to 500-‐1500 cycles per million of inhabitants. In 1998, according to the ESHRE report quoted by Land and Evers (2003), the rate of clinical pregnancies for transfer is 27%, the total one of multiple pregnancies 26% (with 24% of twins). Children born with assisted reproduction (ART) are from 1 to 3% of all born alive in European Countries (Nygren and Andersen, 2001): this shows the amplitude of the phenomenon. The situation of the treatments started in 1999, showed in the third ESHRE report by Nygren and Andersen (2002), can be reassumed as follows: 22 countries with 258.460 cycles of treatment, allotted in this way: IVF=125.370, ICSI=95.221; transfer of frozen embryos (FER) = 34.002; oocyte donations (OD)=3867. About the number of the embryos transferred after IVF and ICSI (summation) we have the following: 1 embryo transfer=11.9%; 2 embryo transfer=39.2%; 3 embryo transfer=39.6%; 4 embryo transfer (and over) =9.3%. Results in “clinical pregnancies” IVF (compared to the number of oocytes sucked up and subjected to direct IVF) = 24.2%; per number of transfer (embryos cryopreserved included) = 27.7%; ICSI = from suction and direct ICSI = 26.1; from transfer = 27.9. The number of born is 36.135, allotted in single, twin and multi-‐twining as follows (from IVF and ICSI added together): single = 73.7%; twin = 24.0%; trigeminous = 2.2%; quadruplet (and over) = 0.1. %. The increase of the activity of ART is 11% in the period between 1998 and 1999 and 25% if assessed from 1997 to 1999. In comparison with the data of 1998, it can be noted an increase in 1999, from 27.0 to 27.7% of the “clinical pregnancies” after IVF, and from 26.8 at 27.9% after ICSI. In 1999, in order to have a pregnancy, it was necessary to move, on average, 7.8 embryos (from 5.6 to 13.5 in the 22 considered European countries): in fact, on a total of 343.162 transferred embryos, 44.026 pregnancies were obtained. Therefore several attempts: the matter of the number of the embryos that nowadays is thought to be necessary to transfer, will be examined later. Some “historical” aspects of the in vitro reproduction The modern techniques of assisted reproduction come from experiences that date back, for the mammals, to 1878, when Shenk tried to fertilize in vitro oocytes directly withdrawn from the ovary with no success.As did not have success Pincus and Enzman (1934, 1935) and Pincus (1939), probably for the immaturity of the same oocytes or the brief time of in vitro maturation. Rock and Menkin (1944) and Menkin and Rock (1948) tried with human oocytes cultivated short time before the insemination based on the studies by Pincus and Saunder on the in vitro 31 maturation speed of the oocyte (1939). Edwards finally judged this time inadequate only in 1965, and he brought it at 24-‐36 hours. While these attempts were also developed in the human kind, the phenomenon of the spontaneous in vitro activation of the oocyte were specified for several stimuli, with parthenogenesis in rabbit that could simulate the happened spermatic penetration (Pincus 1936; Thibault 1949; Chang 1954; Dauzier and Thibault 1956; Austin 1956). Today also the results reported by Shettles in 1953 regarding the happened in vitro fertilisation of 5 human oocytes due to the presence of sperm in the pre-‐yolk space are considered photographic artifice (due to the defective microscopic technologies of that period). In the same years, the phenomenon of the “capacitation” was defined. Austin (1951, 1952 and Chang, 1951) disclosed that the result of the in vivo insemination of the rabbit, as to fertilized oocytes, was dependent from the length of the contact between the sperm [just ejaculated (or withdrawn) and put in the fallopian duct] and the genital tissues. It was quickly revealed that this phenomenon is spread to a lot of kinds of mammals, man included. In the latter, nevertheless, also the contact with the serum of blood, or the washing and recovery for centrifugation of the spermatic cellular phase produces the same effect. After the discovery of the capacitation and its artificial induction, the goal of the in vitro fertilization of the rabbit oocyte (Chang, 1959) was quickly achieved and the normal embryo development before and after his transfer in uterus, was proved. Since then, a period that Bavister (2002) calls the gold epoch of the IVF began; in this period the research was spread in nearly all kinds of mammals. This led to the collection of a surprisingly numerous information on the biological phases of the fertilization -‐ from the acrosomal sperm reaction to the kinetics of the penetration, to the mechanisms of the spermatic motility, to the oocytary reaction against the polyspermia, etc. -‐, on the early embryonic development and on technical conditions for the success of the in vitro experiments. Recently Edwards (2001) described his attempts, in the 60s, to get the in vitro fertilization of the human oocyte. The first failed with too short time incubations (18 hours), then succeeded with incubations of 24 hours: in the Glasgow laboratory he gets the first human oocyte matured in vitro to the metaphase 2 with polar globule at 37 hours. In the following months he sets the cultivation conditions, the control of the pH etc., on the few oocytes which he was furnished with by the gynaecologist Molly Rose after surgical interventions. The collaboration with Dr. Patrick Steptoe, one of the first that used the diagnostic-‐operative laparoscopy, allowed him, in 1968, to have an experience of in vitro fertilization on a notably greater number of oocytes. They were obtained from ovarian stimulation with human menopausal and chorionic gonadotropin (Hmg) and from urine of pregnant woman (Hcg). So in 1972 he tried the transfer of the embryo (reached the 4-‐5th day development) in the female uterus. At first the attempts failed, due to ignorance of the “corpus luteum failure” that occurs in the production cycle of oocytes. It was treated -‐ Edwards points out – during 2 years with a “progestinic” preparation that subsequently it has been shown to have opposite effects to the support of luteal activity. The attempts lead anyway to get 4-‐5 clinical pregnancies that are precociously stopped, as long as – changing the conditions of support of the ground of implantation (the endometrium) – the first well-‐known positive result occurs with Louise Brown birth on 26 July 1978. But at the end of the description of this unusual, personal experience, Edwards recognizes that the achievement of 4-‐5 pregnancies on 32 embryo transfers using techniques of in vitro fertilization in natural cycles, made him aware of “weakness” (precariousness) of the implantation ability of the embryo in the human kind in comparison with other species. This experience showed him practical difficulties that the application of IVF would have met in the future. 32 ACTUAL DEVELOPMENT AND PROBLEMS OF THE ART TECHNIQUES: GOALS, METHODOLOGIES, RESULTS CONCERNING THE GAMETES We think necessary to distinguish, to the goals of the present work, two sectors: research and interventions on the gametes. Research and interventions on the embryo. RESEARCH AND INTERVENTIONS ON THE FEMALE GAMETE The induction of ovulation and the superovulation As it is often recalled, history of the assisted procreation began with a letter to the editor published in the Lancet, August 12th 1978, where Steptoe and Edwards announced the birth of Louise from an oocyte withdrawn by a spontaneous cycle and fertilized in vitro (FIV). Their precedent attempts yielded two abortions and an extrauterine pregnancy. They mourned, however, the excessively long time and the precariousness of the collection of the oocyte from each menstrual cycle. In those years a therapy for the ipogonadotrop ipogonadism, condition combined with amenorrhea, anovulation and sterility was been searching for. Furthermore it seemed necessary to favour a more frequent and abundant follicular maturation and multiple ovulation in a still greater number of women with spaced out cycles, but ovulatory, who were trying to become pregnant. It was thought, finally, that the multiple ovulation would have favoured the results of the intrauterine insemination (IUI) (see chapter 2.3, The intrauterine insemination). Australian researchers got -‐ in those years -‐ the induction of the multiple ovulation with Clomifene Citrate (CC), 100-‐150 mg/dies for five days from about the 3rd day of the cycle. But they came to the conclusion that the increase of oocyte production with this drug (2.5 oocytes on average) was inadequate to the demands of the FIV. They obtained best results with extractive hypophysarian Gonadotropin(HPG), finding a most elevated number of matured follicles and collected oocytes, but also an insufficiency of the following luteal phase. In 1981 a drug produced by Serono (Italy) was made available, the Pergonal, that allowed the group of Lopata and that of Trounson (University of Monash) to get encouraging results with the combination of clomifene and human menopausal gonadotropin (HMG) (exactly the Pergonal). Analogous results were obtained by several teams of researchers in the following years with combinations of Gn (gonadotropin) either hypophysial or menopausal, or pulled out from urine of pregnant woman (HCG) (Garcea et al., 1983; Navot et al., 1988). The ovarian reaction to pharmacological stimulus with gonadotropines is known in the woman but also in many other species (rabbit, cow, etc.). There can be a lot of ovulatory follicles (till 20 per woman), but at present it cannot be exactly foretold the number of the follicles that will mature and of the oocytes that can be collected. This is important especially for the remarkable number of women with ovarian polycystosis, that are part of the case history of oligomenorrhea and infertility with unbalanced rates of LH, FSH, estrogens and androgens -‐ and with polyendocrine syndromes even more complex. Our school pointed out the importance of these syndromes (Lanzone et al., 1990; 1992; 1999; Fulghesu et al., 1999) susceptible to the treatment stimulating the ovulation (Lanzone et al., 1987; Caruso et al. 1989; Fulghesu et al., 1992; 2001), also with the risk of the ovarian hyperstimulation syndrome (see below). 33 The attitude of the gynaecologist is ambivalent. On one hand he/she tries to induce the ovulation in several follicles (to avoid to repeat more times the induction), on the other hand he/she should avoid serious risks of superovulation connected with the wellbeing and sometimes the life of the woman. In the past hormones either from human hypophysis or urine (women in menopause and pregnant women) or from pregnant cow blood, were largely used. Now, instead, hormones purified from in vitro cellular systems (recombinant hormones) are available and they have the advantage to not expose to the risks of contamination. Furthermore they have greater action specificity. By now the techniques of ovarian stimulation are a lot and diversified, also in relation with the specific indications required by the therapy of different pathologies. The recent review by Homburg R. and Insler V. (2002) can be useful to a complete information. Restricting our analysis to the induction of multiple ovulation -‐ that it is one of the purposes of the healthcare plan in order to face the ART safely and with available oocytes -‐ it is necessary to admit that, even using the system of the subject’s hypophysis rest, a greater homogeneity in the ovaric response has been now obtained, even if the risk of dangerous syndromes characterized by diffuse dropsy from superovulation is not avoided. The use of the GnRH Analogouses (GnRH-‐A) Due to the difficulties of the direct use of drugs from human gonadotropins, namely the high and acute estrogenic increase, another way of ovaric stimulation has been devised, in order to obtain, as far as possible, a linear oophorogenous response proportional to the stimulus with Gn (gonadotropins). This can be realized desensitizing hypophysis with GnRH-‐A (A means Analogous) by resetting that share of endogenous gonadotropins, which is not easily defined. After the first uncertain attempts of some pioneers in the years 1986-‐1987, this practice has gradually grown to around 80% of the cycles of assisted procreation carried out in the USA and 92% of the italian ones. Currently almost all ART's cycles (Assisted Reproductive Technology) are conducted in this way (Garcea, 1999). Using the analogous, any type, it is necessary to sustain the luteal phase to avoid possible lacks of the luteal body (administration of progesterone, chorionic gonadotropin HCG, etc.). As far as it concerns the depot form of the analogous and the Hgn, there are doubts about the harmlessness for the embryo transferred after in vitro fertilization. This is because today a formulation with daily doses of antagonists is preferred that allow the sharp interruption of the drug’s biological effectiveness when HCG is administered. A recent review of an experienced author as Frydman points out that in the international statistics from 1995 to now no meaningful increases in the “output” of the ovaric stimulation techniques were found that combine Gn-‐RH antagonists and gonadotropin to increase probabilities to get pregnancies after the transfer of several embryos with ART procedures. The number of transferred embryos is still high to offset the low number of implantation’s per each attempt (cycle), that however has been slowly increased during these years. Its consequences are, on one side, multiple pregnancies; on the other side the overstimulation syndrome that is still reported in the literature even if more seldom. The possibilities of minimal ovarium stimulation should be better make clear, eventually repeated, up to get normal ovulation of single and mature oocyte, as it happens in physiological conditions. This is also the very wise conclusion reached by Homburg and Insler (2002). 34 The matter of the oocyte maturation It appeared evident that to obtain in vitro fertilization, the oocyte must have reached a suitable maturation degree, as it happens in vivo. The oocyte maturation, parallel to the follicle growth and to its eventual “enlistment” for single monthly ovulation (in general), is a very complex process – from different point of view clarified, by now, at the level of molecular biology -‐ that cannot be described here: on this subject it would be useful to read the work by Salha et al. (1998). To our purpose it is sufficient to recall that in normal in vivo situation a follicle named “dominant” (Hodgen, 1982) is identified (through complex hormonal balance and local metabolites) that is destined to the ovulation. The oocyte of that follicle, with its nucleus stopped at the stage of diplotene since the beginning of the meiosis occurred in foetal period, has progressively increased its volume (from 35 µms of the original follicle, to 120 µms of the mature oocyte: phase defined as germinative vesicle (Gosden and Bonnes 1995; Gougeon and Chainy 1987) and has synthesized large amounts of mRNA and r RNA, with accumulation of proteins essential in the last phases of maturation, fertilization and of the early embryo development. The mature oocytes are called “competent” (to the purpose of fertilization). When a woman undergoes hyperstimulation, the growth/maturation of several follicles is accelerated and not all the sucked up oocytes have reached a suitable maturation. The “yield” of these immature oocytes, as to fertilizability and embryonic development, is very reduced if not absent. The in vitro oocyte maturation In order to avoid to repeat several times a controlled “stimulation” till the optimum conditions of the mature oocyte suction from the follicle (that is an heavy procedure for a woman) considering the subsequent fertilization, it has been attempted to let mature in vitro the oocytes. Consider that many immature follicles with their oocytes are lost in each stimulation cycle due to the follicular atresia. These “no competent” oocytes were cultivated in some laboratories in the last 30 years, and led to about 70% of maturation in some kinds of mammals: for example in the cattle, where there are commercial interests to obtain prized stock, this kind of research is fairly developed. In the human kind the culture conditions are not still perfect (see Sutton et al. 2003), and the rate of development of oocytes matured in vitro -‐ after fertilization -‐ doesn't reach the 50% of that obtainable from oocytes matured in vivo. Nevertheless, notably modifying the usual conditions of culture of the mature oocyte to the purpose of fertilization, maturation and then implantation were obtained also with immature oocytes. When implanted, they showed to be viable by Cha et al. (1991), Thomson et al. (1994), Barnes et al. (1995), Nagy et al. (1996), etc. These results have paved the way for cryopreservation attempts of mature and immature oocytes and of sections (fragments) of ovarium to be stored in “tissue banks” for a following use by the owners or – after donation – by others. We will discuss this subject later (see chapter 4). Now the results are uncertain: only a few pregnancies have been reported after insemination and transfer of embryos coming from frozen oocytes. It concerns the Chen report (1986); Al -‐Hasani and collaborators (1987) and, in Italy, Porcu and collaborators (1997); but researches go on (see Coticchio et al. 2001; Fabbri et al. 2001, etc.). It is necessary to make clear that the collection and the cryopreservation of oocytes either mature (rather sensitive to the damages of the actual cryopreservatives) or immature is different from the cryopreservation of fertilized oocytes that at the 20th hour are at two pronucleuses 35 stage. In this stage the damage from cryopreservation of the meiotic fusus is very small and such fertilized oocytes (already embryos) have more chance for development and implantation. Use of other’s oocyte (oocyte donation) This procedure began in 1986 with Navot, picking oocytes from donors undergone gonadotropic stimulation. These oocytes produced embryos that were implanted in women with precocious menopause, surgical castration, gonadic dysgenesia, Turner syndrome or natural menopause. The “technical” difficulty of such decision, is the optimal preparation of the genital ducts of the receiver through oestroprogestinic therapy in order to have optimal conditions of the so-‐called “implant-‐window” (see below, chapter 3.4). The micromanipulation of not fertilized oocyte In 1988 Gordon used in human a technique that he had previously set up in rat in order to favour the “spermatic penetration” in the mature oocyte within the processes of in vitro fertilization: the chemical dissociation of the zona pellucida with dripping of Tyrode with acid pH or other substances that digest this glicoproteic layer such as trypsin, pronase, etc. The goal was to do some holes on the zona pellucida to make the passage of the sperm of individuals with seminal motorial pathology easier. This technique is called “drilling zone”. Nevertheless the results were not encouraging so that, with the advent of ICSI (Intracytoplasmic Sperm Injection), other methodologies have overcome this one. The verification of the “oocyte quality” to the goals of the fertilization In conclusion of this section, it could be said that, from a technical point of view, it is very important in the research to identify the quality of the oocyte, either at the molecular structure (cytoskeleton and chromosomes) and metabolic capability level (Sutton et al. 2003), to the goals of the yield, in terms of fertilization, and of the following development of the embryo, without damaging the oocyte itself and without resorting to the judgement “ex-‐post” of the occurred fertilization and of the early embryonic development ability. The morphology (even submicroscopic) is well known but it is not fit for a prognosis because it would cause the oocyte suppression, nevertheless possible metabolic-‐functional test to be carried out at the pick-‐up or during the maturative in vitro culture, could be helpful. Beyond the current morphological criteria attainable with no risk observation, at present there are no tests to determine the ability of the taken oocyte to develop normally when fertilized. The oocyte contains some hundreds of “messages” that -‐ accumulated during the maturation process that slowly develops during many weeks or perhaps months, as it has been estimated (Gosden and Bownes, 1995, Gougeon, 1996) – as already recalled – are necessary to the beginning of embryonic development. Despite the work is on several species (rabbit, mouse, cattle, etc.), many of these messages are not yet identified. In order to determine the action of each of them, it would be necessary to deprive the oocyte of the identified substance and verify if it is still able to produce embryos. Besides, in the last years they discovered that some of these “message-‐substances” -‐ elaborated by active genes in the oocyte – act during the time, not only immediately after the fertilization, in the cleavage phase, but even after the implantation of the blastocyst. In so doing their absence would provoke the interruption of embryonic development at different following stages (see Tong et al. 2000). 36 The knowledge of the dynamics of this phenomenon, however, would be important to the understanding of the clinical syndrome of the “empty oocyte”. Some conditions of risk Even if shortly, it seems rightful to expose some “conditions of risk” connected with the discussed subject, namely the production and recovery of numerous oocytes in the woman through induced stimulation. Putting aside in this context the matter of the twinship and especially of the multitwinship (that is a maternal and embryo-‐fetal risk factor and that will be discussed in chapter IV, par. 7), the following are identified: the syndrome of the ovarian hyperstimulation; the matter of the neoplastic risk for the breast and the ovarium due to the repeated gonadotropic hyperstimolation; Since it was mentioned the prevailing strategy to obtain an high number of oocytes per every therapeutic cycle, it is right to refer to the risk of the transmission of genetic defects with the oocyte donation. The syndrome of the ovarian hyperstimulation It represents, when it is at an advanced stage, the most serious complication of the ovulation, that rises up when the simultaneous development of numerous follicles produces excessive quantity of peptides that regulate growth and the permeability of the blood vessels (Insler and Lunenfeld, 1997). This involves a massive escape of fluids from intravascular compartment towards intercellular spaces, with hydrotorax, hydrocardia and tissue oedema, ascites, hypovolaemia and thrombotic phenomenon, that worsen (up to the death, if not immediately treated) the conditions of the cardiac, renal and liver functions. The incidence of the syndrome is esteemed, in literature, from 0,25 to 6% of the inductions practiced in the early times of the massive use of human extractive gonadotropins; now it is established at around 0,5-‐2% (Grudzinskas and Egbase, 1998). Currently, having the clinicians reached the conclusion that forced superovulations do not correspond to a “good quality” neither of the oocytes, nor of the embryos, one is more careful in the stimulation. The fact remains that -‐ especially in patients with oophorogenous micro-‐polycystosis -‐ the risk is always present during the stimulation (Delvigne and Rozenberg, 2003). Some proposed preventive measures are: deferring the administration of HCG (generally used as trigger for the ovulation) if following the stimulation, the growth run-‐up of the estrogens is too quick (Sher et al., 1993, Waldenstrom et al., 1999); checking, during the time, the echographic and hormonal parameters (Levinsomn et al., 2003). In such way that stimulation cycle could be counterbalanced without serious risks. Leaving that stimulation cycle and repeating the procedure with bigger cautions after a waiting period. Combining to the administration of HCG also the administration of human albumin, to prevent the hypovolaemia (Asch et al., 1993) An even more effective prophylaxis is done replacing the HCG with recombinant LH (European Rlh study group, 2001). However, in many recent publications is stated that during last years too much superstimulation was carried out. This is a very frequent cause of multiple pregnancies even where no in vitro 37 fertilization (FIV) or ICSI techniques were used, but especially in the second ones due to the high number of transferred embryos (Jones, 2003). At the moment it is not enough evident that the cryopreservation of all the embryos (in order to be transferred in uterus in following cycles) or the albumin administration offer real advantages in comparison with the transfer of fresh embryos in the management of the treatment of the syndrome (D’Angelo and Amso, 2002). The ideal goal to prevent every risk should be to pick the single mature oocyte normally ovulated during the month or – at least – to make milder stimulation (as already stated: see for example Homburg and Insel, 2002). Obviously no all the authors accept this proposal. As we will better clarify below (see chapter 4), in USA the indication to transfer no more than three embryos is in force (what is also true in other Countries, with the trend to the reduction to two embryos: see the opinion of the ESHRE European Group at p.79, as well) to decrease the remarkable risks both fetal and maternal correlated to the multiple pregnancies, that currently are too often faced with the inauspicious practice of the “embryonic reduction” in the case of superovulation followed by multiple pregnancy. This practice is ethically unacceptable (see discussion in Bompiani et al., 1995; Bompiani, 1997). The matter of the risk of mammary and ovarian neoplasms By now the question about the possibility that repeated administration of hypophysarian stimulants of the ovaric activity could be a risk factor in breast (Collaborative Group etc., 1997; Burkman et al. 2003; Healy and Venn, 2003, etc.) and ovaric cancer onset, is under discussion. The conclusions are uncertain, considering the scanty surveys available at the moment. This risk in the breast cancer would increase by 2-‐3 times due to the use of HMG for more than 6 month (or, at least, 6 administrations) (Burkman et al. 2003) and it would not be revealed with the use of clomifene or of chorionic gonadotropin. The elevated estrogens and ovarian progesterone production would mediate the effect. Nevertheless Healy and Venn (2003) -‐ commenting the results -‐ assume a casual effect in the selection of small survey undergone such prolonged and repeated treatments. For any conclusion, cases in which familiarity with the tumour of the breast exists are to be considered with the greatest care. As concerns the ovary it has been assumed (not without reasonableness) that the repeated stimulation with the repeated trauma provoked on the ovarian surface can cause an increased incidence of epithelial ovarian tumours (linking to the so-‐called theory of the “never-‐ending ovulation” by Fathalla, 1971). Certainly the epithelium of the ovary surface play a definite role in the ovulation process, through proteolithic substances processing that reduce the albuginea tunic and the theca below weakening the consistence of the follicular apical wall (Biersjing and Cajander, 1975). Such phenomenon are subject to a complex hormonal regulation (see Murdoch and McDonnel, 2002). The stigma restoration from the surrounding epithelium – locally controlled by the progesterone action -‐ can lead to epithelial invagination with forming of small harmless cysts. Nevertheless defects in the epithelial DNA restoration mechanism could happen with mutagenesis phenomenon, especially in subjects that show familiarity with the ovarian tumour (Aunoble et al. 2000). Some epidemiological studies would have confirmed the risk increase (between 2.5 and 2.8) in some survey of several times stimulated patients (with clomifene c/o gonadotropins) (for 38 example Whittemore et al. 1992; Rossing et al., 1994, etc.). Nevertheless that risk is not reported by others (Potashnik et al., 1999; Venn et al, 1995; Modan, 1988; Parazzini et al, 1998) etc. Great variability of therapies does not allow to draw certain conclusions, requiring long duration perspective studies. Patients that undergo such repeated stimulation should be periodically and systematically monitored in their interest (Franceschi et al., 1994, Franco et al., 2000; Walkeley and Grendys, 2000). The genetic screening of the oocyte donor Apart from the moral judgement (the genetic screening of the oocyte donor in some countries developed a lot, due to the fact that it is remunerated), we want to insist on the heavy responsibility that the donors assume for the transmission of hereditary diseases and/or of genetic orders that can favour the illness also at a late stage. The matter is not different from that of the sperm donors; physicians that did not make needed checks before the donors enrolment assume an even heavier responsibility. The guidelines of the American Society for Fertility (1990; 1993) fix, as a minimal condition for the donation of masculine gametes, the check of the absence of any remarkable mendelian defect in the donor or well-‐known organic malformations. They also suggest the check for recessive genetic disorders (a-‐thalassemia; b-‐thalassemia; sickle cell disease; Tay-‐Sachs disease) and recently of the most frequent mutations for the cystic fibrosis. Only 14% of the oocyte donors underwent genetic test (Mechanik Braveman et al, 1993). We do not know the result of these practices in born from these donations; yet a different following study by Wallerstein et al. (1998), showed that in 11% of the oocytes donor candidates, there are genetic conditions that advise against the withdrawal enlistment. We will examine below (see chapter 4, paragraph 5-‐6), the so-‐called “indications” to the ooplasm portions donation and the “de novo” “oocytes hybrids” structuring, absolutely experimental techniques now rising. THE FERTILIZING ABILITY OF THE MASCULINE SEED Especially in the last decades of the XX century, the clinical and biological research paid an increasing attention to the spermatozoons fertilizing ability with remarkable advancement progress that have also had consequences in the in vitro fertilization techniques, at least till the ICSI (1992). Since it is not possible to expose here this wide subject -‐ that is the specific object of disciplines like andrology and spermiology -‐ it seems yet to be worthy of a brief reference examining just what concerns the artificial procreation techniques. The capability phenomenon Adding further information to what expressed in chapter 1, paragraph 4, it is convenient to underline that the just ejaculated mammals spermatozoon is not able to fertilize the oocyte: it must undergo a series of biochemical and biophysic transformations of the plasmatic membrane, of the ionic concentration, of the oxidative metabolism, etc. that are called capability. As a result the spermatozoon develops (for phosphorilation of the proteins tyrosinic residual, and particularly of the protein AKA -‐ 82 located in the scourge) a hypercynetic motility -‐ that not only bring it near the oocyte but makes it adherent to the oocyte itself -‐ and it is able to express the 39 acrosomal exocytosis reaction that is necessary in order to clear a way through the pellucid membrane thickness (or zone). These modifications are temperature dependent, nearly negligible to temperatures of 20° (room temperature) but important to bodily temperature (37°) (Marin -‐ Briggiler et al., 2002). The modifications of the plasmatic membrane -‐ that covers the head of the spermatozoon -‐ are the diminution of density for changes of the equilibrium of the lipidic components. This leads to permeability, tackiness and then fusibility variations (the latter will verify in the following time of the acrosomal reaction). They are important phenomenon of this phase. These processes are altered in some masculine infertilities and/or severe oligospermia (Ambrosini et al., 2001). To the goals of the employment of the IVFs, GIFT and ICSI techniques, the capability is obtained with the in vitro seed “preparation” phase itself, that is an integral part of the ART procedure (see description in GARCEA, 1999). The total ejaculated quantity and the spermatic motility In the literature remarkable divergences about the best formalities to measure the (alive) spermatozoon quantity present in the ejaculated hold on still now, in spite of the carried out work to exactly esteem the in vitro motility and, above all, about the relationship between degree and characteristics of mobility and fertilizing ability’s favourable or unfavourable “prognosis”. Different methodologies (special calculation rooms) (see, for example, Tomlinson et al., 2001) and WHO guidelines (1999) to reduce several variability and bias factors of these estimates, have been elaborated. The trend is towards the standard use of graduated and known depth (20 µms) rooms that allow simultaneous calculation and measurement of the spermatic motility that is however affected by the characteristics of the material itself (Kraemer 1998). Methods have been described of automatized spermatic analysis, assisted by computer (for example Farrel et al., 1996; Menchini Fabris et al., 1988, etc.) or by flow citometry (Evenson et al., 1993), but because of the cost of the equipment they had a small diffusion in the laboratories. Obviously, these researches have not only interest in the definition of the normality parameters of the masculine population in a determined territorial-‐ecological area and in defined life conditions. They have interest also in the clinical context, to express the judgement about the masculine origin of the infertility and to quantify -‐ as far as possible – the probability to obtain, with the use of that hypofertile seed, the in vitro oocyte fertilization (Coetzee et al. 1998; Gunalp et al., 2000) or in vivo programs of endouterine insemination (Lindheim et al., 1996; Ombelet et al., 1997; Mountain Gauci et al., 2000). A best knowledge of the probability to spontaneously obtain pregnancy with hypofertile seed or through IVF, would have an evident impact on the decision, often “automatic”, to have immediately recourse to ICSI in case of masculine subfertility -‐ as nowadays laboratories and ambulatory recommend. It would increase prudence in sight of the current debate on the still unknown long-‐term effects on the children born with ICSI technique (Devroey et al., 1998; Repping et al., 2002 etc.). We will broadly discuss these effects below (see chapter 4, par.3). However it is not possible to neglect the fact that big part of the literature has esteemed that to get the in vitro fertilization in an oocyte, 10.000 mobile spermatozoon are needed, while (at least in theory) one is enough (and no mobile) to ICSI! This broadly influences the researchers and clinicians choices. The Total Motile Sperm Count (TMC), that combines the volume of ejaculated, the spermatic concentration and the motility (expressing the total mobile sperms number in the ejaculated) would have predictable value for the IVF results, accepting a threshold value between the 500.000 mobile sperms (Devroey et al., 1998) and a minimum of 200.000 (Repping et al., 2002). 40 The acrosomial reaction The penetration of the sperm in the oocyte occurs in several phases: the interaction of the sperm with the radiated crown, the adhesion to the zona pellucida of the oocyte (ZP), the exocytosis with emission of the acrosomial enzymatic content, the fusion of the oocyte plasmatic membrane and the spermatic membrane. The techniques of IVF in the animals -‐ but also in man -‐ have clarified many aspects of the complex molecular biology of this phenomenon (Evans, 2002). Many categories of cellular adhesion molecules are involved like integrines, proteins of the extracellular matrix, cadesines and specific immunoglobulins; multi-‐enzymatic proteases called “proteasoma complex” with spermatic acrosomic origin, participate (Morales et al. 2003); protein substances of testicular, other epididymal,(Laserre et al. 2003); still others -‐ like the protein ZP3 -‐ deriving from the zona pellucida itself (Wassarman et al. 1999). The importance of genetic mutations that preventing the synthesis of some of these proteins, cause the sterility for fusion lack of the sperm – oocyte membranes can be glimpsed: it is the case of the female mice CD 9 Knockhouts (Kaji et al., 2000). In the IVF procedure the acrosomial reaction is important. To make it happens it is necessary that the adhesion of the sperm to the oocyte membrane occur with spermatozoon with any mobility, even if reduced (Yanagimachi, 1988). As soon as the sperm-‐oocyte fusion has happened, the movements of the spermatic tail (Wolf and Armstrong, 1978) stop as well. In other words, an appropriate interaction gamete/zona pellucida is necessary to put in the oocyte, in a right way, the physiological one, the father DNA, the spermatic centriole and prospective factors of oocyte activation, what does not occur with the ICSI (Evans, 2002) (see also chapter 4, paragraph 3). The morphology exploitation According to the classical WHO criteria (1999), men are fertile if at least 15% of ejaculated sperms shows a normal morphology (Kruger et al. 1998), but if the percentage of normalcy goes down to less than 5%, there is teratospermia that can be associated with oligospermatism or asthenospermia: all of these are subfertility conditions (Baker, 2001). The efficacy of IVF, in such cases, is low because of the sperm difficulty to develop an appropriate reaction with the zona pellucida and to penetrate it (Liu and Baker, 2000) or because of anomalies of the acrosomic (Cross et al. 1988), or because of functional mechanisms of scarce answer to the induction by the zone of acrosomial reaction (Liu and Baker, 2003). It is considered important -‐ in the future -‐ to develop these studies to better graduate teratospermia condition also to the goals of the choice between IVF and ICSI. The spermatic penetration test This test (SPA) analyses the ability of the sperm to directly penetrate the oocyte of the hamster deprived of the zona pellucida and it gives a global evaluation of the four functions of this ability: capability, acrosomial reaction, fusion of the spermatic membrane with the oolemma, decondensation of the spermatic head inside the oocyte, namely in the cytoplasm (Yanagimachi, 1984). It has been found a meaningful correlation between the normal morphology of the sperm, according to the Kruger’s parameters, and the test results, that – without false negatives -‐ can 41 express the probability that the spermatic pattern determines the in vitro fertilization (FIV) of the human oocyte (Soffer et al., 1992). According to Zahalski et al. (2003) the correlation with morphology is not proven, but rather the correlation with the sperms number of the specimen counts. The test of the hamster is currently small practiced and tends to be replaced by the analysis of the bond, in vitro, between sperm and solubilized specimens of human zona pellucida seeking the percentage of acrosomial induced reactions (number of tied sperms). There would be a positive correlation with the result of the IVF (Bastiaan et al., 2003). The described tests, that represent -‐ however -‐ the “second level” of the diagnostic deepening, are considered useful and to be further developed -‐ in a next future -‐ to help the clinician choosing IVF or ICSI. Concluding this main chapter it seems to be possible to point out that -‐ while the standards of the first level spermatic examinations don't seem to have suffered substantial modifications, but only “revaluations” of their reliability in order to better foretell the ART techniques results – the so-‐ called second level sector has been developed for the search of more sophisticated techniques, specific of particular aspects of the biology of the sperm with clinical interest. We will shortly deal with matters of genetics when discussing ICSI; here we just recall -‐ besides the already quoted test -‐ the possibility to define spermatic viability with the migrosin test (Björndahl et al. 2003); the test of crossed reactivity with antibodies against a peptidic marker, the ubiquitina (Sutovsky et al. 2001); the determination of the a6b1 spermaticintegrine for the quality measure (ability to bond with the zona pellucida) (Ramik et al. 2003); the bond with the jaluronic acid as indicator of the complete spermatic maturation of the spermiogenetic processes of the membrane (Huszar coll., 2003); the relationships between clinical conditions (as varicocele, results of spermatic ricanalization, idiopathic infertility etc. ) and degree of cromatine condensation (Molina et al., 2001); rapid determination of the antisperm antibodies (Kipersztock et al., 2003). According to the literature, these and other parameters could technically direct the choice between IVF and ICSI, by now it represents one of the most important problems for the centres of artificial insemination. IN UTERUS MASCULINE SEED TRANSFER: THE INTRAUTERINE ARTIFICIAL INSEMINATION This technique, characterized by sperm introduction (opportunely prepared) in uterine cavity through the cervical duct (I.U.I.), it is not considered -‐ in a narrow sense from the current classification -‐ as ART (artificial reproductive technology), but like a distinct technique, or like a “minor ART”. Obviously it also implies ethical problems (that will be examined by others), more or less remarkable depending on the way of the seed collection: from a direct conjugal act or not. From the clinical point of view, the I.U.I. represented the only treatment, for many years, of that condition defined as inexplicable infertility, known as incapability of the couple to conceive despite the verified normalcy of the explorable biological and clinical parameters (Moghissi and Wallack, 1983) and persistent after three years of free sexual intercourses (Hull, 1985). Other indications for the IUI were the reduced spermatic motility, moderate oligospermia, and the presence of antibodies antisperm in cervical mucus, etc. (see also Garcea, 1999). These indications have found some documentation of effectiveness in the verifications carried out with the criterion of Cohcrane (Cohlen et al, 2003; Johnson et al., 2003). 42 When the ovarian stimulation was introduced in order to obtain more ovulations in the same cycle (see chapter 2.1 “induction of the ovulation”), the technique of the administration of gonadotropin FSH and then of the injection of LH (HCG) spread, followed by just one place of masculine seed (opportunely prepared) in uterus 34-‐36 hours after the injection (Hughes, 1997; Nulsen et al., 1993, etc.). The blandest and less risky stimulation in terms of ovarian over exposition, can be obtained – as clarified elsewhere -‐ also with the clomiphene although the results are less evident. The double insemination after stimulation (between 12-‐18 and 34-‐42 hours) (Ragni et al., 1999; Huang et al., 2000) was tested as well, but this variant would not offer sensitively different results (superior) to the only introduction of the seed (Alborzi et al., 2003; Catineau and Heineman, 2003). It should be thought that success (in terms of induction of pregnancy) is above all proportional to the number of the matured ovulated follicles, although at the cost of a remarkable number of multiple pregnancies, with all the inherent complications elsewhere discussed (see chapter IV, paragraph 1) (Stewart, 2003). Countercheck was given: a careful revision of the literature concerning ovarian stimulation followed by sexual intercourses at controlled time (without I.U.I) shows that cyclical fertility is 0.11 against 0.02 that is the spontaneous fertility of intercourses at controlled time in the natural cycles (not stimulated) (Zikopoulos et al., 1993). In the most recent years, many authors have considered the ovarian stimulation followed by I.U.Ilike a first employment technique of “low technology” -‐ to go then to the IVFET or to the ICSI; but it must be remembered that in the ESHRE Group trial two cycles of gonadotropin/I.U.I and the treatment IVF offer the same results approximately: 24.5% and 22.9% respectively of “baby in arm” rates (Crosignani et al., 1992) The transfer of the gametes in the tube As it is known the GIFT (and some of its variants) provides for the transfer of the gametes in the Falloppio's duct, leaving to the nature its time for fertilization, for embryo development in his natural environment and for spontaneous migration towards the uterus. Certainly, the GIFT technique – elaborated by ASH and coll. (1984) – seemed very useful in the first times of its experimentation, also because used in relatively young women (or, in the elderly, with oocyte donation from young women) it resulted effective in the types of sterility of unknown origin. Nevertheless, on one hands, it presupposes tubal integrity and, on the other hand, the execution of a laparoscopy for the transfer of the gametes, with the woman's hospitalization, even if during a short period. With ICSI a lot of interest to this technique was lost, although it was tried to eliminate laparoscopy and hospitalization placing gametes in the tubas through the vagina and the uterus, obviously after having effected the aspiration of the oocytes (transvaginal via), with ultrasound scan. The first ones to try the transvaginal GIFT with ultrasound scan were Bustillo and his collaborators who have gotten a pregnancy in a 42 year-‐old woman in 1988, unfortunately ended in abortion. In the same year, in Germany, Wurfel obtained a pregnancy realizing the transfer with hysteroscopic guide in a 33 year-‐old woman. In the following years, yet, the results have been very scarce (see for example Ranieri et al., 1995), although some good Italian schools have gotten encouraging successes adopting the hysteroscopic technique or operating relatively rashly (Ferraiolo et al., 1991; Possati et al., 1991;Seracchioli et al., 1995). Besides there was a certain difficulty to achieve repeatable and 43 constant results, so that the transvaginal GIFT had not followers (Garcea, 1999),, and the GIFT in its complex from 35% of its employment in 1985 passed -‐ in USA -‐ to less than 3% of the ART procedures (Toner, 2002) It should be said, however, that the interest for GIFT techniques remains unchanged in some ethical aspects, because -‐ operating with homologous and rigorously separated gametes till the transfer in the duct -‐ there is not the human direct interference in the fertilization and in the embryo development. However it is necessary to distinguish it from the ZIFT (this confusion is often made) that works with the replacement in the salpinx of in vitro produced embryos. ACTUAL DEVELOPMENT AND PROBLEMS OF THE ART TECHNIQUES: GOALS, METHODOLOGIES AND RESULTS REGARDING EMBRYO Apart from the discussion about researches on human embryo that have been performed, or that are in progress, for theoretical knowledge of the processes of differentiation and development, as well as for the matter of the nucleuses “reprogrammation”, the “therapeutic cloning” etc. -‐ researches that have their own physiognomy and that will be discussed, as such, by other speakers – for the analysis completeness it is necessary to illustrate the results of the researches on the embryo to the goals of the ART improvement. In this field, different researches continue: in some (those on cattle, ovine, species in extinction, etc.) for productive reasons; in the human kind for clinical interest: knowledge of the technical factors that intervene in different ART procedures allows the correction or the very substitution of whole operational phases, with improvement of the final results (“baby in arm”). Techniques of oocyte surgical micromanipulation: the microsurgical fertilization with direct injection of the sperm in the citoplasma (ICSI) In this paragraph some information will be provided about some techniques used to overcoming particular obstacles to fertilization: these techniques use microsurgical procedures (made possible by the precision of the cellular in vitro micromanipulation tools available today). They are the “subzonal injection” (SUZI) by Metka (1985), Laws-‐King (1987) and Fishel et al. (1990) and especially the ICSI (intracytoplasmic sperm injection). The latter superseded the former since the microsurgical sperm injection in the perivitelline space was not so good due to the persistent difficulty of many sperms to penetrate into the oocyte membrane (oolemma). The ICSI is a micro manipulative technique that leads more directly, in comparison with the others, to the embryo creation. Also for this reason it found many followers in some laboratories, for shortening times (with the trend to reduce costs connected to this factor), even if with expenses of great operational complexity under other aspects. Furthermore ICSI has specific indications in some kinds of masculine sterility (asthenospermia etc.: see chapter 2); but there are also other indications, for instance for the treatment of oocyte membrane factors (because of a presumed abnormal thickness or rigidity of the membrane for ageing oocyte, etc.) that would hinder the spontaneous fertilization, even with a normal spermatic acrosomic functionality (Shilom and Dinfeld, 2000). At the beginning the ICSI technique was experimented, among others, by Lanzedorf and coll. (1988) in the eighties, getting seven embryos to the stage of two pronucleuses, directly injecting a sperm in 20 oocytes, held back with a pipette with bland suction. The clinical application by Palermo et al. (1992) and then the rapid world diffusion followed. 44 As we will better clarify later (see chapter 4), this technique sets the problem of the eventual chromosomal anomalies in the transferred sperm, either eterochromosomes or sexual chromosomes that are directly transmitted to the progeny. There is still not a method to previously appreciate if the selected sperm is a vector of such anomalies without damaging the sperm itself. It can be affirmed that a scarce attention has been paid to this source of danger in choosing such technique, at least till now. All the more reason, it seems that further and more frequent anomalies occur when spermatids are moved in absence of mature sperms. In this decade of often-‐rash employment of ICSI, such data were collected that are more and more utilized by international literature, raising controversies (see below). Further information about ICSI technique can be found in the good description by Garcea (1999). In the “technical” general matter of surgical formality, in case of azoospermia the sperms collecting procedures should also be considered for aspiration from the epididymis (indicated with the acronym MESA) in case of obstructive malformation of the vas deferens (associated to the mutation of the cystic fibrosis gene), and procedures used for not obstructive azoospermia, often associated with chromosomal anomalies (Reijo et al., 1996; Girardi et al., 1997, etc.), that involve direct extraction of spermatic germinal cells (to different degrees of development) from the testicle, through biopsy. Positive outcome in these conditions are reported by many authors (for instance Palermo et al. (1999); Shulman et al. (1999); Baraky et al. (1998); Tournaye et al. (1999); Vernavee et al. (2003); Olivius (2002); De Vos (2003), etc. Meseguer et al. (2003) put in evidence the possibility to withdraw germinal elements with testicular collecting (TESE), also in patient with permanent azoospermia after chemotherapy. The problem of the risk connected with the growth of children born with ICSI technique will be examined later (see chapter 4, paragraph 3). Analysis of the development conditions of the early embryo in the in vitro cultures By now, the research carried out in this phase of the embryonic development is very ample. Its importance (we have already recalled it) was stressed by the researchers that, since the beginnings, worked on the problem of the in vitro reproduction. At least in theory, the research can be conducted whether with the observation of the events that spontaneously occur to the embryo in the fertilized oocyte culture, or with the observation of the development, of the implant capacity and of the following evolution of the embryo after induced modifications in a determined cultural mean. The more and more deepened knowledge reached during the years about these embryonic reactions to the development environment, allowed to recognize “epigenetic factors” that, operating on the progressive genic activation -‐ deactivation, can be invoked in the origin of following structural anomalies (see below, chapter 4, paragraph 2). Here, setting a limit to the examination of the matters that more directly concern the knowledge of the phenomenon that are involved in the application of ART techniques, we will consider: 1) The “field of culture”. It has been rightly observed that at the beginnings it was consideredmore important the general knowledge of the in vitro cellular culture fields to choose the culture field of the oocyte before and the embryo then, rather than the precise knowledge of the respective metabolic needs. The improvement of the outcome (in terms of fertilized oocytes in the first case, and of embryos of normal early development in the second) was slow, but showed concrete results when it was thought to seek the tubal fluid chemical composition (that, 45 as it is known, is the first environment in which the segmentation and the morulation occur). It led to more suitable culture means (see Menezo and the SOFT), the fertilized oocyte culture in presence of tubal cells (so-‐called co-‐cultures); and above all the limitation to 48-‐72 hours of the time of in vitro embryo maintenance (between fertilization and transfer in uterus) because it is considered that the oxygenated radicals that form and tend to accumulate in vitro (not being drained, like it happens in vivo, outside from the blood circulation and from the presence of erythrocyte that absorb them) damages the embryo in case of prolongation of the in vitro phase. Currently, many laboratories (see Wiemer, 1989; Bongso, 1989; Menezo, 1990) adopted this technique of the brief co-‐culture, either for the in vitro fertilizations (FIV) or after the embryonic micromanipulation of the zona pellucida, especially in cases of sterility of the couple with evident masculine pathology (for the blastocyst culture, see below, par. 4). 2) Individuation of the morphological characteristics of embryo maturation (in relation with development capacity). The observation at the microscope of the initial embryo development process (segmentation) today is the standard method used to determine the “normalcy” of such process and to draw a prognosis on the embryo growth ability (Puissant et al., 1987; Sulman et al., 1993, Roseboom and Vermeiden, 1995, Giorgetti et al., 1995). In general, embryos are classified in 4 groups, as follows: Group I: normal aspect, with regular and equal dimensions blastomeres, cytoplasmic fragments absent. They correspond to an average of the 70% of incidence of the fertilized oocytes. Group II: normal aspect, regular blastomeres, but the presence of cytoplasmic fragments begins. Incidence: 15% of the total. Group III: not normal aspect, with blastomeres partly irregular and numerous cytoplasmic fragments. The 10% of the total. Group IV: very irregular aspect, cytoplasmic fragments in more than 50% of the blastomeres, possible polynucleate blastomeres. The 15% of the total. The embryos of the group IV are not able to continue the development; others are able to, but they can have cardiologic anomalies proven by polynuclearity during the development. Many of them, therefore, are stopped in the development, others continue (giving place however to malformations). Some authors insist on pointing out that morphologically optimal embryos at the second day of culture do not develop to blastocyst and have many chromosomic anomalies (Plachot et al., 1987; Munné e Cohen, 1998), whereas embryos that seem to be unsuitable to be transferred, develop and catch on. (Rijnders e Jansen, 1998). In order to have a more reliable preimplantation prognostic evaluation to the goals of the following development, it would be necessary to continue the in vitro culture at least to the stage of blastocyst (this provokes other problems for the prolongation of the culture and for possible effects of the development manipulation: see below). As a matter of fact, a positive connection between blastocyst quality and success of the in uterus transfer is proved easier (Gardner et al. 2000). Moreover, since now caution is recommended in the accelerated ovulation induction -‐ that would be responsible of the incomplete oocyte maturation and consequently of the irregular fertilization and of the correct embryonic development (see below, chapter IV/2) -‐ and however it is required not to transfer multinucleated embryos. The speed of development is also considered as a further prognostic factor to the mere morphologic inspection, to facilitate the embryonic selection. Some authors haveput in evidence that the transfer of only embryos that show faster development ability is positively associated to more elevated pregnancies rates (Shoukir et al., 1997 Sakkas et al., 1998; Lundin et al., 2001; Salumets et al., 2003); it more easily allows the “politics” of the transfer of an only embryo and reduction of twin pregnancies, wished by many (see below, chapter 4, paragraph 7). 46 But this strongly set the ethical problem of “eugenic” selection of the embryos. 3)Eliminations of masculine pronucleuses surplus. Some techniques of in vitro procreation can give the polyspermia (5%): this occur particularly following the zona pellucida micromanipulations where polyspermia is higher and practically inevitable, producing the intracytoplasmic transfer of a lot of sperms because of the suppression of the barrier effect (not only mechanic, but also biochemical) produced by such protective shell. To avoid the interruption of embryo development that is consequential to the polyspermia, it would be necessary to destroy the surplus of masculine pronucleuses. The technique has been set and improved in the years 1988 and 1989 and it consists in thinning the zona pellucida with Tyrode in acid solution and then with a micro needle to intake the surplus of masculine pronucleuses. This is because, unlike some animal species in which the dimensions of the masculine pronucleus are bigger than the female one, in the human kind it is practically impossible to distinguish them, because they have the same dimensions, and the nearest one to the polar globule is considered the female pronucleus (Garcea, 1999),. As a matter of fact, the polyspermic embryo is not used. 4) Search of the best transfer time: morula or blastocyst transfer? As we have mentioned, the laboratories in general have adopted the transfer between 48 and 76 hours from the fertilization. Besides, at the stage of 4-‐8 cells which is reached by at 48 hours of life (morula), the transfer of the so early embryo does not guarantee its survival. Furthermore it is proven that numerous embryos to the preimplant stage are mosaics, that is composed by cells with and without chromosomal anomalies, and this phenomenon sometimes tends to persist up to the stage of blastocyst: the embryos that show a more elevated balance between normal and abnormal cells (Bialanska et al., 2000), that are gradually eliminated, continue to develop. The aneuploids lead to a strong embryonic “selection” even before the implant. Finally it is worth recalling that an analytical work by Spanos et al. (2002) put in evidence phenomenon of apoptosis that occurs in the blastocyst culture, after the conclusion of embryonic compacting and differentiation stages, in which the genes that regulate the family of BCL-‐2 proteins, responsible of caspase activities are inhibited. This phenomenon, in their selves physiological in every cellular cycle, in sub optimal culture conditions can become important and jeopardize the embryonic development. For that reason it has been hypothesized that the embryo transfer in the fifth day, at the stage of blastocyst, because it allows to verify worsening stages of embryonic development, it could improve the obtainable results with the transfer at the stage of morula. Recall that Steptoe and Edwards obtained the first pregnancy with blastocyst transfer in 1976, but it ended up in a tubal pregnancy. Only more recently it has been possible to get an evolutionary pregnancy from blastocyst (Cohen et al., 1985; Menezo et al., 1990; Bolton et al., 1991). May be in the next years this problem will be better examined, also because it is correlated to that of the practicability at large of the “preimplant diagnosis”, previous to the blastocyst transfer in uterus. Till now, however, it is still doubtful if the blastocyst implant offers substantial advantages regarding the “yield” of FIVET practices, except the important minor risk of trigeminous pregnancies. With blastocyst transfer high rates of implants and pregnancies have been reported by Gardner et al., 1998; Marek et al., 1999; Langley et al., 2001, but not confirmed by other authors (Sholtes and Zeilmaker, 1996; Coskun et al., 2000; Huisman et al., 2000; Lundqvist et al., 2002). The first studies on bigger survey would point out yet for the blastocyst an implantation rate higher than 40-‐60% in comparison to the morula. If confirmed -‐ this would have an applicative meaning to settle the matter. From the experiences done till now, it should be deduced that some of the advantages of cultivating the embryo up to the blastocyst stage, before moving it to uterus, would consist in a 47 higher synchronization of the embryonic development with the cycle of the endometrial mucous and in the diminution of the number of the embryos to transfer (Simon and Pellicer, 2000); besides, as it has been showed that the simple morphological investigation is not able to select with certainty the 2 days embryos endowed of the greatest development capacity to the goals of the preferential transfer -‐ this could be obtained instead with a rigorous verification of development speed (beyond the normalcy) between the third and the fifth day and also with the search of particular metabolic activities of the blastocyst that attests its vitality (Bavister, 2000). Indeed it seems that already prolonging the in vitro culture up to the third day, equivalent prognostic evaluations to those extending the culture to the stage of blastocyst (Rienzi et al., 2002) could be obtained. However, the problem is strongly still tied up to safety (quality) of the employed means of culture. The lines of actual approach try several mean modifications, but also the co-‐culture with other tissues. The blastocyst can be still implanted if transferred at 6th day of development but without further advantages, while there are scarce or no results with the transfer of blastocyst of 7 days and over. There is therefore a transfer “optimal time” tied up to the blastocyst biology (the so-‐called “implant window”) (see the paragraph on the embryo transfer, chapter 3, paragraph 4). There is a last consideration to do: the blastocyst development seems to be better in co-‐cultures, but in these it is not always possible to exclude the transfer of viral diseases from the donor of the co-‐ cultivated cells to the embryo. Finally, some reports would point out that the frequency of the monozygotic twin is great in the transfer of the embryo at the stage of blastocyst rather than at the stage of morula in the 2nd day (48 hours) (Scheiner et al., 2001; From Coast et al., 2001; Miki et al., 2003). Embryo cryopreservation Due to its importance from the juridical and ethical operational point of view, this strategy requires an appropriate illustration, also under the historical profile. The embryos cryopreservation (at the stage of morula or blastocyst) is a criterion – as known – broadly followed on a rational basis that goes back to the first experiences of the methods of active assistance to the procreation (ART). At the beginning of the eighties the Australian school of Trounston (see Trounston and Mohr, 1983) attempted to realize the cryopreservation of the embryos with the purpose to increase the yield of pregnancies of the IVF-‐ET globally considered. In fact with the same cycle of induction of the multiple ovulation it was possible to carry out two or more transfers, one immediately (embryo of 48-‐72 hours) and one later, during a physiological ovulatory cycle following the stimulated one and therefore with great probabilities of success, using the cryopreserved embryos. The birth of the first child “coming from the cold” was announced in 1984 (Zeilmaker et al., 1984). On the basis of the above-‐mentioned indications for the embryo freezing, embryo banks have also been founded, likewise to the banks of the seed. In the same period, in 1985, the freezing of human blastocyst has been realized and subsequently survey of many pregnancies obtained with such method were presented. Going into details, the reasons alleged for the embryo cryopreservation are the followings (see Fauser et al., 2002): the ovarian stimulation provides an elevated number of fertilizable oocytes. In order to reduce the rate of multiple births, in most cases it is convenient to transfer no more than 2-‐3 embryos of “good quality”. If the exceeding embryos are preserved through cryopreservation, they can be 48 used later -‐if the implant or the development of the “fresh” embryos installed directly at the end of the stimulation cycle is not possible -‐ without need of further ovarian stimulation. If there are conditions for an evolution toward the hyperstimulation syndrome, so that the embryo transfer in uterus is not convenient, the produced embryos can be used later, when the crisis is overcome, only if they have been cryopreserved. The synchronization with the “implant window” (especially in the case of embryo donation) can be facilitated and, in the case of donation, one can wait for the confirmation by the laboratory that there are no risks of viral transmission between the oocyte donor and the embryo receiver. As it appears evident, it concerns “pragmatic” and “technical” elements (which the possibility of the “preimplant diagnosis” has been recently added to) that put aside moral considerations of more elevated and ontological value concerning the embryo. Two are the models of strategies adopted for the embryo in the very early stages: to select, before being able to have morphological evaluations on the embryonic development (48-‐76 hours), the embryos to transfer and those to cryopreservate. It is an operation to do at the stage of 2PN (two pronucleuses), that coincides with the mitotic division interphase because this procedure would not damage further embryonic evolution. The disadvantage of such criterion would be -‐according to Fauser et al. (2002) -‐ that it is not possible to select with reliability the embryos that could be the best ones for the immediate transfer (neither it is possible to have the certainty that the other ones develop correctly), to verify -‐ leaving in culture all the produced embryos -‐ the two or three embryos that present the best evolutions (dynamics and morphological), transferring these ones, cryopreservate the others (generally reached different stages, between 2 and 8 blastomeres). The “advantage” of the selection of the fresh embryos is counterbalanced by the great difficulty to effectively preserve the others through cryopreservation. This second hypothesis is the most followed one. A very important issue is the exact determination of the embryo damage provoked by freeze when embryo is thawed and put in culture again in order to be transferred. As regards embryos that – after thawing – show 50% of damaged blastomeres, there are conflicting information; in any case the damage is frequent. El-‐Toukhy T. et al. (2003) proved that even freezing classified “fresh” embryos in the I and II groups, after thawing 50% of the embryos shows the damage of 1 blastomere at least. But the normal ones had the same development ability than that of the fresh embryos. Therefore it is known that the success (pregnancy) percentage with cryopreserved embryos is of course lower than that with “fresh” embryos. Cryopreservation of the blastocyst is also under discussion. This last strategy, besides to be connected to the possibility of widening the goals of the “preimplant diagnosis”, would be connected to the better synchronization of the embryonic development with the receptive endometrial stage, when the embryo transfer had to be postponed to a following cycle. In fact, at the 5th day from fertilization the blastocyst is physiologically placed in uterine cavity. In this period the uterine susceptibility is at maximum level and the mesometrium contractions have reduced frequency and ampleness because of the high rate of progesterone (Leasny et al., 1999; Franchin et al., 1998, etc.). Nevertheless perplexities about this solution still remain. This is due to the fact that different blastocyst culture systems would provide different results (Menezo et al., 1992; 2000); furthermore reliable criteria on the development of children born from cryopreserved blastocyst do not exist. The blastocyst to be frozen have often been obtained in co-‐culture (Fehilly et al., 1985; Cohen et al., 1985; Troup et al., 1990, etc.) 49 In these last years, however, a remarkable increase of the searches about cryopreservation of embryo at the third day of life and also of the blastocyst (4-‐5 day) in function of the preimplant diagnosis is reported. At such stage of development it could have greater extension. The embryo transfer It represents the final part of the ART procedures examined here, particularly of the FIV and ICSI. In fact, in the intrauterine insemination (I.U.I.) it concerns the transfer in uterus of the masculine gametes only; in the GIFT it concerns the transfer of both types of gamete and not of embryos (see chapter 2, paragraphs 3 and 4). The standard transcervical embryo transfer The purpose of the transfer is to position the embryo (the embryos) in the uterine cavity. It is a delicate operation, practically remained unchanged from the first applications by Edwards and its group that in 1984 analyzed its characteristics, difficulties and yields. It is necessary to add to the genetic factors that govern (epigenetically) the first embryonic development and to the factors correlated to the “uterine receptivity” (that allow or prevent the blastocyst implant), those connected to the transfer (that is an eminently operational procedure by the gynaecologist and that can influence the final result of the ART). A recent review by Schoolcraft et al. (2001) – following the analysis by Meldrun et al. (1987), Englert et al. (1986); Mansour et al. (1990), Wood et al. (2000) etc. -‐ has enumerated the factors that (from an accurate literature review) seemed to be important in favouring or in hindering the transfer technique. The transmesometrium embryo transfer In cases of strong stenosis of the cervical duct, with acutangular bending of the body on the uterine neck (eventually not corrected by a precedent instrumental expansion of the cervical duct with temporary application of a tutor) the transmesometrium introduction of the embryos has been proposed (the so-‐called Towako method: Kato and coll. 1993). It is a rarely suitable procedure. The transvaginal embryo tubal replacement In the 1988 Jansen and Anderson have published their first transvaginal transfers of an embryo in the tuba, with correct premise that the tubal fluid constitutes the first environment of embryo development. This technique performed under ultrasound guide was used after many experiences, by the same authors, with intratubal insemination with cryopreserved donor seed. In the following years, some researchers followed their example and suggestions, but -‐ according to Garcea (1999) -‐ it seems that there was not yet a real and constant interest for these transfers of embryos by transvaginal via in the salpinx (that obviously require anatomical and functional normalcy of the salpinx itself). 50 Methods of implant facilitation: assisted hatching In 1989 Malter and Cohen proposed to do some “holes” on the gelatinous wall that still wraps at this stage the 4-‐8 cells embryo (called zona pellucida or membrane) with acid solution of Tyrode (like already seen in the oocyte for the zona pellucida drilling technique to favour the spermatic penetration), to favour -‐ in this second case -‐ the (enzymatic) dissolution of the zone and the implant. The cold laser can replace the acid. This technique seems to be useful in conditions of difficult development of the in vitro embryos and when -‐ for instance for elderly woman (that is oocyte age) -‐ difficulties are suspected in the enzymatic phenomenon of the zona pellucida opening. A great aid to the increase of the plant in uterus also seems to be given by the use of immunodepressive substances, like methylprednisolone administered to the woman beginning from the evening of the oocyte collecting (together with tetracyclines) (16 or 40 or 60 mg/die for 4 days). These techniques of assisted implant, that some years ago seemed to be very useful when there were difficulties in the FIVET (or – as we recalled for the oocyte fertilization – in case of pathology of the seed) have been supplanted by the ICSI, that destabilizes the membrane itself before the spermatic penetration (and it also allows the maintenance of a certain brittleness of the zona pellucida even during the phase of the in vitro development of the embryo). Mentions of the factorsinvolved in the implant If the above-‐mentioned researches try to facilitate the implant, acting on the gelatinous capsule that winds the embryo in a mechanical sense, others are addressed to better establish the biochemical and receptorial phenomenon that occur either at embryonic or at the uterine mucous level. The need of a suitable hormonal preparation of the mucous is long time known, but recently the interest of the research is rather addressed to the “active abilities” of the primitive trophoblast to create -‐ in the interaction with local chemical and receptorial factors – the way of penetration in the endometrium synchronized to positive reactivity of this tissue (see the synthesis in Tabibzadeh, 1998; Beier, 1998, Giorlandino, 2000, Loverro and coll., 2000, Taylor, 2000, Lindhart et al., 2002, Daftary and Taylor, 2001, etc.). Although the matter -‐ in its extension and complexity – is the subject of autonomous discussions (and such opinion is to be accepted, in narrow sense, even in this discussion), it seems to be convenient to do at least a mention in the following terms: 1. Since long time the hormonal and morphological variations of the uterine epithelium in correspondence with the phases of the menstrual cycle and the characteristics that these two balanced parameters must have at the moment of the implant, are known. 2. The embryo transfer techniques provided new experimental and statistical occasions to study the relations between the degree of the transferred embryo maturation and the morphology and biochemistry of the uterine mucous at the moment of the transfer. 3. Above all the dynamics of the process have been better clarified with the embryo transfer (ET) and with the demonstration of a regulated and subsequent intervention of many tissutal proteins and cytokines that would be produced in the implant phenomenon. The phases are described as mirror-‐like: the endometrium receptive ability, that last only for a limited period of time (so-‐called “receptivity window”) must coincide with the ability of: apposition of the blastocyst to the place of implant; adhesion of the cellular external wall of the blastocyst with the place of implant. It is necessary the intervention of specific proteins, among which the integrin, whose action is modulated by the cytokines and by growth factors probably of 51 trophoblastic origin. The integrin is a protein that belongs to a class of adhesion molecules that is found in every cell, and its secretion would be excited at level of the decidual cells of the stroma of the uterine mucous and of the glands of the impending uterine epithelium. In such way tightened junctions between mucous and trophoblast develop; invasion or penetration of the basal lamina, by the primitive trophoblastic cells adhered to the mucous that -‐ following the previously established narrow junctions -‐ penetrate in the endometrium for the action of proteolytic enzymes of the metalloproteins family, being modulated, in their action, by systems of cytokines and enzymes of the collagenase IV type, which act on the collagen that constitutes the basal lamina of the uterine epithelium;interaction with the stroma; overcome the basal lamina, the blastocyst, that “sinks” actively creating its place in the stroma with the trophoblast typed expansions, searches the stroma blood vessels (besides strongly imbibed and rich in glycogen) and the trophoblast demolishes the perivascular structures, develop many gaps in which maternal blood comes into contact with those that are by now the villuses. In this way the particular immunologic relation, conflicting but balanced, between mother and embryo, begins. From the practical point of view, and for the direct application of the transfer after FIV of the embryos, two are the criteria to consider: “concordance” between endometrium progestagen maturation and transfer results as number of pregnancies; the previous evaluation of the “endometrial thickness” as index of the uterine receptivity (Noyes et al., 1995; Friedler et al., 1996, Rinaldi et al., 1996; etc.) through echography. The former criterion is founded on the existence of an optimal stadium of endometrium preparation, even if within the “implant window”. At the moment of ovulation, during secretory transformation (due to the small quantities of progesterone produced by follicle), it stabilizes itself in a clearer secretory phase, (even if sometimes zonal) between the 16th and the 17th day of the cycle (when the ovulation is at the 14th-‐15th day), when a morular embryo at the 2nd day of fertilization is transferred. A secretory or a mixed endometrium is suitable for implant (Chetckowski et al. 1997); but if the secretory transformation is excessive (after the 19th day) the results of ET, as implants and pregnancies, are reduced (Schoolcraft et al.1991; Silverberg et al. 1991, Navot et al. 1991, etc.); Franchin (1993). In order to have an estimate case by case an endometrial biopsy in the day of the transfer would be necessary, but this could have negative consequences on the results. The latter criterion (ecographical evaluation) is not invading, but rather summary. The evaluation of the subendometrial arterial flow (spiral arterioles) has also been taken into consideration, but data provided by Schild et al. (2001) don't convince on the concrete utility of the test. Research on circulating “markers” -‐ that certainly will be developed in the next years -‐ more specific of the uterine receptivity, provides better prospects. “FORECASTS OF THE ART RESEARCH DEVELOPMENT” The review that we have done about “times” and procedures of the artificial procreation techniques in the true sense of the word (ART) has aroused a lot of questions, which the research activities are attempting to find an answer to. The most important seems to be the followings: Which is the “safety” degree that each of these techniques offers to the children? Can the in vitro culture of the early embryo (in general 48-‐72 hours) that unites FIVET and ICSI and above all the manipulations of ICSI have an “epigenetic effect” on the embryonic development? 52 Obviously the two questions are complementary; but the analysis of the problems that they set is generally done separately, with “epidemiological” methodology in the first question, of molecular biology methodology for the second one. A third question pertains to the perspectives of the oocyte cryopreservation (especially with the technique of the “vitrification”). A fourth question concerns the effect and the risks of the so-‐called “ooplasm donation” (or mitochondrial transfer) from an oocyte to the other and the possibilities of the so-‐called “semicloning”. A fifth question concerns the real possibility to avoid multiple pregnancies, through the transfer of one only embryo, even maintaining high the percentages of success of the ART techniques. Of course, other questions could be asked, but these listed here seem to be susceptible of greater development in the research on the ART techniques in the next years and are the specific subject of our discussion. Do those born with assisted procreation techniques run a more important risk for their health in comparison with those born with natural procreation? The question doesn't have an univocal answer yet, but starting from 2002 data pro a higher risk is being gathered (Lambert, 2003). In the 80s some first limited retrospective researches gave encouraging results for children born with FIV (Lancaster, 1987; Cohen, 1988; Beral and Doyle, 1990; Olivennes et al., 1993). Nevertheless it has been noted that these observational studies, don't overcome the difficulties of all the epidemiological longitudinal retrospective studies connected with the survey selection, the control groups, the monitoring biases and the observation period (in this case, the time since the birth, that has been in general very short) and the difficulty connected with the small size of each survey considered and sometimes with the lack of a control group (Kovalevsky et al., 2003). Neither can be excluded -‐ in the global judgment that has been provided – factors connected to the maternal conditions at the moment of the conception, as the age (generally high), the causes of the infertility, the possible effect of the “fetal reduction” (if any), and above all -‐ as we have remembered -‐ the culture conditions of the early embryo and finally the selective effect eventually coming from prenatal diagnosis (usually carried out in these circumstances), or from the very early or early spontaneous abortivity. The effect of such factors have been rarely reported in the first survey. Sure further and more recent studies would have questioned the so encouraging initial results, deepening several “components” that can interfere with the global judgment also in relation with used methodology (FIV or ICSI), and that can be reassumed as follows: many authors, Friedler et al., 1992; Balen, 1993; Gissiler, 1995; Berg, 1999; Buitendik, 1999; Koivurova et al., 2002 and others, have proven that between those born by FIV there are an higher rate of “low weight at the birth”, longer hospitalization and around the double rates of perinatal mortality and morbidity in comparison with general population, with the same maternal age, number of sons and social status conditions. These effects would be especially correlated to the multitwinship, but “organic” factors connected to the first phases of the development cannot be excluded. According to some authors it would not seem that among those born by FIV there is substantial differences in the rate of malformations in comparison with the rate of the general population (MCR Working Party, 1990; Ritz, 1991; Friedler, 1992; FIVNAT, 1995; Palermo et al., 1996; Addor, 1998; Westergaard, 1999). Other Authors -‐ however -‐ have reported small differences in the cardiac malformations frequency in children born by FIV, that yet they attribute to the 53 maternal characteristics (in general, advanced reproductive age) rather than to the FIV procedure (St. Antony et al., 2002). In order to settle these doubts, connected with the multitwinship, children born “single” from the transfer either of an only embryo (still very rare) or from the implant/development of one only embryo after a multiple transfer, were studied. The available survey, still small, show, however, that the frequency of the children with low or very low birth weight for the gestational age would be higher -‐ in comparison with that observed in the general population – both in the FIV and ICSI conceptions (Doyle et al., 1992; Buitendijk, 1999; Sutcliffe et al., 2001; Bonduelle et al., 2002; Schieve et al. 2002)). Nevertheless, Olivennes et al. (1993) and Schieve et al. (2003) attribute the phenomenon to different factors from the IVF technique (i.e. maternal age, factors of masculin infertility, etc.). According to Wennerholm (2000), the embryonic cryopreservation processes would not affect, by their selves, in a negative way the conditions of the newborn in comparison with those born from directly transferred embryos (but it is not clear how many embryos are implanted): the 50% of the cryopreserved embryos is lost after thawing, El-‐Toukhy et al. (2003). In the weight at the birth, differences would not be shown between those born from IVF embryos transferred at 48-‐72 hours and those born from blastocyst transfer, although also in this case the weight at the birth is lower in comparison with the general population (Menezo et al., 1999; Krauscke et al., 2001). These evaluations -‐ still relatively reassuring for the IVF -‐ could be different for the use of the ICSI technique. When ICSI technique started to be used, either with ejaculated sperm or with sperm surgically withdrawn from male individuals with sub fertility problems, further potential sources of variability and genetic error were added like, for instance, possible fatherly genetic anomalies directly transmitted by the sperm or by the immature spermatic elements withdrawn from the epididymis or testicle. Some initial researches would have not put in evidence the lot differences in those born from ICSI in comparison with those born from FIV (for instance, Bonduelle et al., 1994-‐1998); but more recent analyses call the attention to possible higher frequency, in those born by ICSI, of conditions like the low weight at the birth (Schieve et al., 2002), the higher rate of congenital anomalies (Handen, 2002); possible anomalies of the sexual chromosomes (Bonduelle et al., 2002); disorders in the imprinting (Olivennes, 2001) and also cases of cerebral paralysis (Stromberg, 2002). Such differences could derive, according to some, from the minor genetic homogeneity of the unfertile couples that resort to the ICSI in comparison with those that resort to the FIV. The chromosomal anomalies would be distributed without preference between autosomes and sexual chromosome according to some (Van Steirteghem et al., 2002; Aboulgar et al., 2001; Macas et al., 2001) but according to others, instead, the frequency of anomalies in the sexual chromosomes would be higher and it would reflect the frequency of the same problem in the fatherly seed (Bonduelle et al., 2002). Since one of the most frequent causes of masculine infertility (for the overcoming of which ICSI is used) is the Y deletions (Silber J. and Repping, 2002), it is developing, in the literature, the idea that it is necessary to carry out a preventive analysis, genetic as well, of the seed to use in the ICSI to verify the presence of Y anomalies transmissible to the child, in order to inform the couple of that risk. In every case the prenatal diagnosis is strongly recommended. 54 In conclusion it is still necessary to maintain a lot of reservations about the harmlessness of these techniques for the conceived (and above all about the harmlessness of the ICSI) (Barlow P., 2002). The role of the three most important and possible sources of “risk” for the unborn child is to be further specified: the in vitro procedures; the drugs used for ovaric stimulation; the infertility as a maternal or paternal anomalies index. Some of these aspects will be closely examined in the following paragraphs. The reduction of the number of embryos to be transferred today is surely the better available preventive provision for the user of these techniques to reduce the risk of multitwinship. It has been proven partially effective – at least to control phenomenon of prematurity and of low weight at the birth (that represent, already in their selves, an high risk for the newborn) -‐ comparing recent statistics with the relatively older ones by the same Centre (Klemetti et al., 2002). However, the long-‐term newborn health result, as concerns eventual light development retardation and behaviour difficulty, remains undetermined (also because hardly explorable). Are there “epigenetic effects” on the early embryo, correlated to the in vitro culture? This second question, originated in the fact that also those born “single” from FIV or ICSI have a lower birth weight in comparison with general population, has been answered, in a way, according to what is nowadays known as “genetic reprogramming” phenomenon that embryo suffers in those very early phases that coincide in the development with those that the embryo from FIV or ICSI lives in vitro culture. The working hypothesis (that we are going to discuss in this paragraph) bears in mind the fact that the oocyte and “early embryo” (no matter how produced, with FIV or ICSI) go through an in vitro culture phase, and it foresees that the used culture mean interferes with the epigenetic modifications that occur in the embryo preimplant stage (Deryke et al., 2001). It seems therefore convenient to clarify that, as epigenetic modifications several effects are meant: the DNA methylation; the phenomenon of the genetic imprinting; the suspension of new production of RNA of the oocyte (RNA silencing) immediately after the fertilization, the co-‐valent histones modifications and the remodelling, by other complexes associated to chromatin, in the oocyte just fertilized. All these effects involve regulation mechanisms of genic expression, prearranged in the genoma during differentiation, through specific genetic programs: the result implies that the cell -‐ with these epigenetic behaviours -‐ can adapt to the environmental factors modifying the gene expression level without having to modify the DNA genetic code. The critical moments in which the epigenetic reprogrammation occurs are the gametogenesis and the preimplant period of the embryonic development that -‐ physiologically -‐ the embryo spends especially in the oviduct, in transit toward the uterine cavity. An in vitro culture liquid has been then predisposed (as we have already mentioned above) as similar as possible to the composition of the tubal fluid, but has also risen the doubt that some of the epigenetic effects, that usually occur in this development period, are not efficaciously checked in the in vitro culture (for instance, for lacking of some not yet specified tubal factor, etc.). That being stated, it seems convenient to deepen this phenomenon with further observations: the gametogenesis reprogrammation is essential for the imprinting phenomenon that regulates the differential expression of the genes of maternal and paternal derivation, being otherwise established at level of sperm and oocyte.It is considered that in the embryo the epigenetic reprogrammation, that occurs in the preimplant period, is important for a regular and correct 55 development, because it regulates times like the initial expression of the embryonic genes, the embryonic segmentation (cleavage) and the cellular determination. In the adult tissues, the genes that start operating during the early embryogenesis phase are repressed, while genes tissue-‐specific are activated. The genes regulated by imprinting maintain their acquired methylation marking since their gamete stadium and don't suffer the general demethylation process that occurs in the preimplant stage. Disorders of the epigenetic reprogrammation can affect the phenotype genic expression; besides the epigenetic modifications that occur after the fertilization -‐ and before the germinal line is settled -‐ can concern either the somatic cells or the germinal ones, and can lead to the hereditariness of the epigenetic lines in the phenotypes of the future generations. On the basis of these considerations it has been hypothesized that -‐ within the techniques of assisted reproduction -‐ three are the “risk factors”: the use of immature spermatic cells in which the reprogrammation is not completed. The in vitro maturation of oocytes taken in a too early phase (anteale) – it is still to be considered as an experimental technique whose safety is not proven (Sinclair et al., 2000), because it could cause abnormal fetal development (Young et al., 2001). The procedures of the in vitro embryonic culture (that are performed during the period of epigenetic reprogrammation) if unsuitable to favour the phenomenon. By now, as concerns these factors, we have only indirect indications of the “risk” reliability, based on the existence of clinical syndromes correlated to the methylation defects, present in the general population with very low frequency. They are the immunodeficiency syndrome from centromeric instability and facial anomalies (Robertson and Wolfe, 2000; the Rett syndrome (Amir and Zoghbi, 2000) and some forms of mental retardation, among which the X fragile syndrome (Oberlé et al., 1991; Verkerk et al., 1991). A common factor of these phenotypic anomalies is the mental retardation, so it is deduced the DNA promoter methylation is an important mechanism of the transcriptional regulation in the neural cells. Other methylation disorders may come from the epigenetic deregulation of the methyltransferase, occurred during the in vitro culture (Robertson et al., 2000), and of the proteins that regulate the cromatina (Legrouy et al., 1998; Voncken et al., 1999). These proteins act correlating themselves to the cellular cycle and they show the greatest alterations of their expression during the preimplant development (Khosla et., 2001). Finally, Leese et al. (1998) maintain that ART techniques (with culture and/or manipulation phases) are sufficient conditions to induce the ubiquitous cellular answer to the stress, that in its turn change the expression of the first acting genes. In this reaction it should not be considered only the modifications induced on the methylation equilibrium, but also the effects on the transcriptional regulation induced by cellular apoptosis or abnormal methabolic local conditions. In fact it is known that changes of the Redox state inside the cell provoke alterations of the genic expression (Harvey et al., 2002). From all these reflections it is argued the convenience to pay more attention – after birth – to the result especially of cerebral development of children born from IVF and ICSI. It is true that survey at two years would not show noticeable differences in comparison with “spontaneous” population (Bonduelle et al., 1998; Sutcliffe et al. 2001), but it would be interesting to know, also at more prolonged development time, the evolution, especially mental, of two years-‐old children. The authors begin to ask why the long-‐term epidemiological studies are so few. J.Thompson et al. (2002) answer:“Why? There is no doubt that such studies are expensive and logistically difficult. 56 Patient identity and confidentiality also pose significant ethical challenges. However, an additional reason may be lack of commitment to provide an evidence-‐based analysis. This position is becoming increasingly untenable” (pag.2.783). 3) Does ICSI technique in particular alter the phases of the early embryonic development? In this paragraph, it seems convenient to pay attention to specific problems set by ICSI technique, on which C.Williams (2002) has also recalled the attention in a review on the “signals mechanisms” of the oocytes activation. As we have already remembered (see chapter 3, paragraph 1), the ICSI technique (intracytoplasmic sperm injection), used the first time in hamster (Uehara and Yanagimachi, 1976), has been introduced in human by Palermo et al. (1992) and since then it has spread broadly. This technique overcomes the normal interactions between sperm and oocyte at the level of plasmatic membrane and it suggests that the deriving oocyte activation is connected with a factor directly transferred from the injected sperm (Fissore et al., 2002). There are, however, differences in the development of oocyte activation events that may have importance in the “quality” of the process. I list the followings for the ICSI:differences in the calcium oscillations timing (delayed of around 30 minutes in comparison with what occur physiologically: Tesarik et al. 1994, Nakano, 1997, Yanigida et al., 2001). Delay and great variability in the emission time of the polar globule and in the formation of the pronucleuses (Nagy et al., 1994). This phenomenon is may be due to the time necessary for the digestion of the spermatic plasmatic membrane and the acrosome by the cytoplasm of the oocyte. Normally the oocyte corticolar cytoskeleton participates in the active removal of the spermatic plasmatic membrane and it is not known the influence that such digestion can have on the future evolution, since spermatic proteins -‐ that normally do not transit and do not come into contact with the oocyte protoplasm -‐ can leave in loco residual whose effects are not known. These processes stopping “time”, in comparison with the ovulation period, can make the oocyte “older” before the oscillations of calcium start. Besides, a delay has been observed in the decondensation of the spermatic chromatin, particularly in the anterior zone of the spermatic head where sexual chromosomes are preferably located (Luetjens et al., 1999; Sbracia et al., 2002, Ramalmo-‐Santos et al., 2002). This could explain the greatest frequency of sexual chromosomes anomalies in those born from ICSI (Bonduelle, 1998). Consequent delay in the DNA decondensation and synthesis required before the first syngamy and the first cleavage (Ramalmo-‐Santos et al., 2000) Finally, Rienzi et al. (2003) proved that ICSI conducted in oocytes that -‐ during the manipulation necessary to the removal of the oophorus cumulus and radiated crown have suffered a polar globule placing out higher than 90 degrees -‐ is associated to a reduced development ability and to higher anomalies frequencies due to formation irregularity of the meiotic fusus. Currently it is possible to verify the presence and the position of the meiotic fusus with suitable tools and to choose the oocytes that are more suitable to the goals of the ICSI. From all these elements, the question, that is more and more debated in the literature on the “specific” effect of risk provoked by ICSI technique for the embryonic development that could then become a “risk” for the health of the child, is justified. 57 The oocytes cryopreservation The embryonic cryopreservation raises so troubling ethical and legal questions as to make the proposal, by some -‐ also by those who accept the embryonic freezing as “provisional solution” waiting for a different one – of the oocytes freezing. This can be studied and realized in two conditions: mature enough oocyte, isolated from the context of the radiated crown cells and of the granulose (hypothetically, spontaneously ovulated as well, but especially produced in many examples by the ovarian stimulation); oocytes at different degree of maturity, contained in ovarian tissue (cortical) thin sections (fragments) containing primary follicles, primordial and secondary at different degree of development. The indications in the literature are not always so “angelic” as indicated: everyone agrees the at least partial maintenance of the oocyte inheritance of a young woman, that has to undergo, for instance, to chemotherapy because of a carcinoma, is useful at least for her prospective future maternity. But it is also stated that having an oocyte bank will make more easy (at least on the juridical plan) every donation or different transaction as concerns gametes donation; it will allow the quarantine of the risk assessment toward the possible transmission of viral diseases without imposing embryo production; it can provide, to the countries that forbid the embryonic cryopreservation, oocyte materials necessary to the research and to the in vitro procreation itself deferred in time (Boldi et al., 2003). The mature oocytes cryopreservation, after the pioneering experiences carried out in oocytes at different maturity degree by Chen(1988), Van Uem et al. (1987), Tucker et al. (1988), has been recently (Gook and Edgar, 1999, Paynter, 2000; Coticchio et al., 2001, Fabbri et al., 2001) more seriously evaluated in terms of results (proportional rate of pregnancies per 100 oocytes) documenting outcome that don't have, by now, allowed a “routinization” of the procedure (from 1 to 2 % of pregnancies) but that can be encouraging for the future. It appeared clear that the congealment/freezing mechanism in the two versions normally used (either very slow or very rapid) could cause formation of intracellular snowflakes that provoke notable alterations of the oocyte thin structure (like, for instance, irregularity of the mitotic fusus, or early release of the cortical granules at the level of the zonal membrane, etc.) (Al-‐Hasani et al., 1987; Sathananthan et al., 1987, 1988; Pickering et al., 1990; Van Bierkom and Davis, 1994). From further studies appeared evident that either regulation (independent) of the congealment and thaw speed or the use of different cryoprotectors and the concentrations which they are used with and other factors, are critical in determining great or small protections of the oocyte thin structure in presence of intracellular ice (and other alterations). It allows to observe more favourable and constant rates of fertilization and implant (Gook et al., 1999; Porcu et al., 1997, 2000, 2002; Yang et al., 1998, 1999, 2002; Winslow et al., 2001). Even better perspectives would be provided by the method of the “vitrification”, that consists in a state transition in which the solutions characterized by a very high concentrations of cryoprotectors pass to a solid state in absence of formation of a crystalline organization because of an extremely rapid cooling (direct immersion of the patterns in liquid nitrogen). Positive reports have come from Hong et al., 1999; Kuleshova et al., 1999; 2002; Yoon et al., 2000; Chung et al., 2000; while -‐ in veterinary field -‐ the method offers more substantial results in the researches by Paynter and coll. (1999); Le Gals and Massip (1999); De La Pena et al. (2001); Kuleshova et al. (1999); Hochi et al. (2001), Vieira et al. (2002). In Italy, the school of Bologna (Flamigni and coll., 2003) carries out researches with this promising methodology as well. The ovarian tissue cryopreservation, containing several follicular apparatuses at different development degree and oocytes necessarily at different maturation degree as well, is still considered a subject of “experimental” research to be organized -‐ if a clinical/applicative profile 58 will be ever reached -‐ within the tissue transplantation. Difficulties of the unhomogeneous “maturity” of oocytes in the tissue to be preserved are added to the cryopreservation ones -‐ increased by the fragments dimension. Although the immature oocyte is regarded, from some points of view, as less sensitive to the endocellular risks of cryopreservation, after unfreezing greater difficulties would be found in “maturing” the oocyte cytoplasm in time to the goals of the fertilization capacity. In nature, it happens slowly and several ovulatory cycles elapsed between the follicle “recruitment” and the achievement of the follicle-‐oocyte maturity useful to the fertilization (review by Van Bierkom and Davis, 1994). Nevertheless recently Amorin and coll. (2003) -‐ working with prenatal follicles isolated and cryopreserved through vitrification of mouse and sheep -‐ have obtained, after thaw and in vitro culture, oocyte maturation and “ovulation”; and comparable results are reported for the bovine oophoron by Paynter et al. (1999). Also in this sector future developments are predictable, above all for the maintenance of ovarian “potentiality” in very early age in the case of anti-‐neoplastic treatments. (Poirot et al., 2002). The enrichment of the oocyte cytoplasmic potential with “mitochondrial donation” A new technique being recently evaluated, that will be probably subjected to in-‐depth researches during the next years, is that known as “cytoplasmic transfer” or “mitochondrial donation” from an oocyte to another. This technique has been planned to respond to particular demands like those that occur when the oocytes of a patient in many occasions have shown not to activate during the IVF, especially after the fertilization. Cohen et al. (1997) have proposed to transfer cytoplasm from oocytes of young and fertile women to such oocytes, which show to be deficient in ATP (Van Blerkom et al., 1995,). The rationale of this proposal derives from the fact that a positive correlation has been proved between mtDNA content and FIV result (Reynier et al., 2001). And since a susceptibility of the mtDNA exists to the aging processes, it has been deduced that “old” oocytes have lower probabilities of correct development for that reason (St.John et al., 1997). Besides it is known that for the synthesis of mtDNA in the mitochondrions, transcriptions factors codified by the nuclear genome are needed, that migrate from the mitochondrions nucleus (Clayton, 1998); the beginning time of this process in the new embryonic organism is critical, since it occurs at the stage of blastocyst (Piko and Taylor, 1987). So in the cleavage, the existing provision of oocytes mitochondrions is necessarily diluted being shared out in the blastomeres: because of the minimal thresholds overcoming, syndromes described in human pathology can occur (if the development is not stopped spontaneously) like the mitochondrial myopathia (Poulton et al., 1994); liver disease mtDNA associated with familiar character(Spelbrink et al., 1998); fatal infantile myopathia by Larson et al. (1994); disorders of the skeletal musculature associated to mitochondrial encefalomyopathia by Siciliano and coll. (2000). In conclusion, an insufficient number of active mitochondrions after the fertilization can jeopardize the embryonic development. Against the reasons that would lead to the enrichment of the oocytes mitochondrions through cytoplasm “extravasation” from another oocyte, there are the unknown factors of the global result, since the compatibility reactions between two mitochondrial populations and between the nucleus and the new mitochondrial population are not known. The few cases actually available show, however, that donor mitochondrions have been confiscated in the receiver (Brenner et al., 2000; Barritt et al., 2001) violating, with this biparietal 59 transmission, the natural rule of a narrow maternal transmission of the mtDNA that occurs in the physiology of the human procreation (Giles et al., 1980). It must be underlined that not only “isolated” mitochondrions are transmitted, but also other cytoplasmic organelles, mRNAS and proteins. Actual clinical experience would include about 30 children after transfer of fresh ooplasm or cryopreserved in just produced zygotes (Cohen et al., 1998; Huang et al., 1999; Lazendorf et al. 1999). A slightly higher rate of chromosomal anomalies in comparison with the normal one is reported. In conclusion it is not still possible to set which technique beetwen those employed to get out of serious lacks of the oocyte biology, has to be developed, but the results would go however correlated to the conditions of the particular infertile population considered. By some, more experimental research on the animal is invoked before going on in this direction; others think that suitable animal models do not exist to represent the embryonic debit developments of the type correlated to the human pathology, and they entrust better knowledge of mitochondrial function, control of possible mutations and correlated inheritance with possible deepenings. However, the matter is part of the “reservations” about possible embryo epigenetic modification (Barritt et al., 2001; St.John, 2002) Is it possible to rejuvenate the elderly women’s oocytes and reduce the aneuploidy risks? The subtended problem to this question is the known oocyte “aging” phenomenon parallel to the age of the woman. It is the principal cause of the reduction of the fertility rates observed after the 40 years (Tietze, 1957), and of the parallel increase of chromosomal anomalies in the conceived fetuses (6.5% between 35 and 39 years; 50% around to 45 years and over) (Hassold and Chiu, 1985) and, probably, it is also the cause of the incidence of spontaneous abortions in the first quarter correlated to the age (of the oocyte) of the woman (Anderson et al., 2000) and slightly superior -‐ on these basis -‐ in the pregnancies from IVF (Ezra and Schenker, 1995; Simon et al., 1999). It has been proved that the oocyte aging interferes with not disjunction at the meiosis of the bivalent chromosomes (Dailey et al., 1986; Battaglia et al., 1996; Volarcik et al., 1998; Pellestor et al., 2003). The causes are probably to be sought in the modified and more difficult prefollicular circulation (Gaulden, 1992; Van Blerkom et al., 1997), that interferes with the efficiency of the oocytes mitochondrions (Bergmann et al., 1998), probably due to the production of oxidizing radicals that damage the latter (Tarin et al., 1995) and the molecular mechanisms that sustain the correct disjunction. Strategy to overcome this situation -‐ that has certainly a remarkable clinical importance in the evaluation of the “risk” of the pregnancy in ripe old age and that interests the ART techniques as well -‐ is multiple: the transfer of only those embryos that -‐ at the preimplant diagnosis -‐ don't show aneuploidy (Gianaroli et al., 1997, 1999; Munné et al., 1999; Verlinski et al., 1999; etc.); the cryopreservation of mature “fresh” oocytes withdrawn from young woman (Van Uem et al., 1987; Porcu et al., 1997) or cryopreservation of cortical oocytes fragments, even if withdrawn in juvenile age (Golden et al., 1994; Oktay et al., 1998), to be used (fertilized) when woman wants to procreate. Another hypothesis was added (experimental at all): the oocyte nucleus transfer withdrawn at the stage of the germinal vesicle from elderly oocyte of the woman interested in pregnancy in the cytoplasm of young denucleate oocyte (Zhang et al., 1999; Palermo et al., 2002), obviously “donated” by a young woman. This technique would differ -‐ according to the authors -‐ from the transfer for cloning of somatic nucleus in denucleated oocyte not only in the indications but also in the results and it would have 60 documented embryonic developments, in the experimental field, (up to 72 hours in vitro) regular in 64% of the “reconstituted” oocytes and fertilized with ICSI technique (Palermo et al., 2002). It is likely that in the next years these researches will be developed to clarify the role of the oocyte protoplasm aging in the aneuploidies genesis. Is it possible to avoid twin and multiple pregnancies? Which prospects for the transfer of one only embryo? As the ART techniques spread and new Centres practicing them were founded, it appeared more and more evident that the high obstetric morbidity and the high fetus-‐neonatal morbidity/mortality, correlated to the number of the implants with following development (multiple pregnancies), constituted the main problems to be solved (Gonen et al., 1990; Friedler et al. 1992, Seoud et al., 1992; Fivnat, 1995, etc.). The ovarian hyperstimulation in itself not followed by ART techniques had main responsibility, but also the ART techniques contributed a lot to the pluritwinship with the transfer in uterus -‐ made necessary – of several embryos, because of the implant uncertainty(Derom et al., 1993; Doyle, 1996). Above all the increase of the triplettes and over was worrying, reported in all the surveys in 90s(SART, 1993; FIVNAT, 1995; HFEA, 1996; Italian survey of the Istituto Superiore di Sanità, and the recent authoritative contribution of the ESHRE Group, 2003). Relation between multiple pregnancies and ART In the first decade of application of the ART techniques, an analysis of the relationship between pregnancy rate and number of transferred embryos had shown the highest rate after the transfer of three embryos (Wood et al., 1985; Sharma et al., 1988; Fiunat 1995). However, it appeared difficult to use more cautious measures. In fact since the achievement of the pregnancy was, on average, not superior than 10% of the transfer cycles, psychological, technical and economical reasons made inclined not to reduce the risk of the multitwinship and correlated prematurity (the evaluation by Evans and coll. was between 9 and 22.9% of children born before the 24th week), but rather to concentrate efforts on tangible results. While in the United Kingdom and in Spain a regulation by the law was provided to the number of transferable embryos (no more than three: Lieberman et al., 1994) and in Germany as well it was not permitted to fertilize and transfer more than three oocytes after aspiration from the follicles (Beier and Beckman et al. 1994), in other European Countries and in USA law did not fix any rule but “guidelines” and discussions among experts were promoted. Gradually, however, with the techniques improving, the possibility to transfer no more than two embryos, made its way -‐ like prudential measure but able to still assure good “yields” to the ART procedures; it provided that in the first 48-‐72 hours of the culture the embryos had shown morphological normalcy and good dynamic conditions of development. This orientation caused the multiple pregnancies decrease (Staessen et al. 1992,1993,1995; Englert et al., 1993; Nijs et al., 1993; Waterstone et al., 1993; Devreker et al., 1999, etc.), without however lower them to the natural frequency. However, the “guidelines” prepared in 1994 by the American Fertility Society (AFZJ; then becomeASRM) were still very “liberal” up to 1999, when -‐ also following the debate of 1997 (Bronson, 1997) -‐ the new guidelines established that two were preferably the number of embryos to transfer in the women younger than 35 in good health, three embryos for age 61 included between 35 and 59 and four embryos for the age of 40 and over or when there have been previous implant difficulties (ASRM, 2000). Jones (2003) doubts that such instructions have been followed, also for the physicians reluctance to provide too precise information on the risks of the multiple pregnancies to patient that passionately desires to solve her infertility problem, and finally for the “competition” among laboratories to boast the highest number of successes. In USA a new debate has been opened, with the “inaction” accusation by competent authorities to the goals of the prevention of the multiple pregnancies (see Dickey, 2003). Also recognizing that the “wild inductions” of the ovulation are the principal cause of multiple pregnancies (and on the educational ground little has been done for reducing the risk), Fritze Steven (2003); Dickey (2003); Rosenwarks and Park Chung (2003); Daya (2003) re-‐open the debate wishing, however, a more congruous use of the ART. The matter of the transfer of the only embryo eventually derived from the natural ovulatory cycle In Europe, Land and Evers (2003) have prepared a report for the ESHRE (coming from a Consensus Conference held in Maastricht in 2002) that denounces the negative consequences of the twinship under evaluation (above all the pluritwinship) still persistent in the operators, and asks for the transfer of one only embryo (elective single embryo transfer, acronym eSET). This solution, introduced by Vilska et al. (1999), would offer the same result in selected groups of patients (pregnancy rate) than the transfer of two embryos [(Gerriset et al. 1999; Martikainen et al. (2001)] and it would be suitable in young patients (less than 36 years) and with embryos of “good quality”. It is required to widen experience on the subject, but the importance of this perspective is so notable that it is worthy of some further analysis. First of all, this strategy would be favoured by a common interest by operators and patients to make the ART techniques more and more patient-‐friendly (Edward et al. 1996; Olivennes and Friedman 1998; Olivennes 2000; Templeton 2000; Jones and Schorr 2001). In other words they should require less commitment, trouble and interference with private/working life of the woman, as it happens today. Even the regimen of ovarian “minimal stimulation” for the IVF, would act in this way, abolishing practically the risk of the hyperstimulation, and maintaining good “yields” in terms of success rate (pregnancy rate 17-‐33% for recovered oocytes), but still with 5-‐14% of multitwinship (Fauser et al., 1999; Branigan and Estes, 2000); De Jong et al., 2000; Macklon, Fauser, 2000; Ingerslev et al. 2001). It is necessary, however, to make a distinction at least on the moral and juridical ground among the transfer of one only embryo after the productionof several embryosin the same stimulation cycle and the transfer of that only embryo which comes from that oocyte which spontaneously “matured” in the dominant follicle in the woman ovary, in that precise menstrual cycle. In the first case what is practiced is the selection of the embryo apparently more suitable to the procreative goals; in the second case, instead, the possibilities of the FIV or ICSI are used to get a fertilization that experience has shown not to verify in natural conditions without interfering with the natural selection of the same oocyte that is spontaneously matured. Positive results would have been obtained in the first case, that would however require an “expert eye” in the selection of the embryo (however the criterion of the fragmentation absence, absence of multinucleated blastomeres and a rapid process of cleavage are used: for instance between 25-‐27 hours from the insemination: Salumets et al. (2003) (see ESHRE Course Report 2001; Tiitinen et al., 2003). 62 In the second case, the possibility offered by the improvement of the technique of “pickup” of the oocyte from the follicle spontaneously matured during the menstrual cycle -‐ monitored with echography and hormonal parameters to identify the ovulation with enough approximation – has certainly offered the possibility to practice a single FIV (or a ICSI) followed by embryo transfer with endometrial more physiological implant, because not disturbed from the interference with the techniques of gonadotropic repression/ovarian stimulation common in collecting many oocytes. Analysis of about twenty works carried out with this criterion (see Pellinck et al. 2002) would prove a fair result on the transfer of 819 embryos (deriving from 1800 cycles: 45.5% per cycle) with 120 pregnancies (7.2% per cycle and 15.8 per transfer), however (by now) lower than that obtainable with two embryos transfer. The effectiveness of the criterion is reduced, in fact, by the “surprise” ovulation (anticipated). However, it would require less commitment of time for woman and of work for the team, it doesn't allow to select the embryo (that is an ethically positive factor for some, but discussed by others), it is more easily to fit for the repetition of the experiment -‐ in case of failure –and it costs less than the “standard” ART. EPILOGUE I concluded the “descriptive” exposition of the techniques and the criteria of their use, as it had been asked me by the Presidency. I have tried to narrate in a truthful way how the ART techniques developed during the 25 years history of the medically assisted procreation -‐ not missing to put in evidence the “critical state” of the selected solutions also from merely biological and clinical aspects. It seems to me that such critical state is sufficiently documented for all the procedures of the assisted reproductive techniques (ART), where -‐ despite the progressive technological refinement -‐ very high-‐risk conditions for the human embryo still remain. It appears evident that – in general -‐ there is no intention to put off the ART techniques, but rather the opposite attitude prevails: to continue in their use to achieve great experience and more important results. * The problem is that the experiment is carried out directly on human beings. However in some recent works, a certain sign of criticism and second thoughts start showing, especially as concerns use of artificial tecniques in the wide and not enough in-‐depth field of the “inexplicable sterility” where the ART tecniques are widely used. The matter of the real ART tecniques efficacy in comparison with traditional methods of suitable wait and natural treatment (natural clinical conditions restoration), was dealt with by Pandian et al.(2003) through Cochrane investigation methods. It was already well known, in the literature, that couples with inexplicable sterility have an high chance of conceiving (Lenton et al. 1997; Collins e Rowe 1989; Snick et al.1997). Cases spontaneously cleared up with a sufficient "wait” (it does not mean inactivity, but rather optimal natural conditions restoration) were pointed out by Eimers et al.(1994); Collins et al.(1995). The “wait” success iscertainly determined by several biological factors (age of the woman, precision in searching for “fertile window”, reclamation of the genital system’s local conditions, etc.). Furthermore, quite bland treatments like the use of clomiphene and the endouterin insemination – for a long time numbered among treatment instruments – have produced remarkable results (Hughes et al., 2000, etc.). 63 The question is if, from the literature, in this particular record of cases on inexplicable sterility, a substancial advantage from the use of FIV-‐ET and ICSI is shown. Pandian et al.(2003) do not find a substancial difference between endouterin insemination (with or without ovaric stimulation) and FIVET in the born alive rates. But it is true that with FIVET there are higher twinship rates in comparison with GIFT. Finally -‐ what surprises – there is no substancial difference between FIVET and “wait therapy” results that Soliman et al. (1993) and other authors had already pointed out. Nevertheless Pandian et al. (2003) rightly put in evidence that there is a considerable heterogeneity in the case histories that deal with this subject. This makes the conclusions still provisional. Johnson et al. (2003), with Cochrane method applied in the “subfertility” survey, find positive effect evidence -‐ as regards the expectetions -‐ using clomiphene and salpingography with oily mean in the inexplicable infertility. Again, positive effect in the use of clomiphene and of gonadotrophic treatments in the anovulatory infertility; they report positive results in infertility for slight spermatic defect with insemination at the ovulation time; positive results with recombinant FSH and ICSI as regards ART tecniques (but only in the case of borderline seed). On the whole, also these authors suggest more uniform protocols in the research and larger in order to provide unexceptionable documentation about the role of ART in the modern fertility medicine, appears yet very problematic, as regards clinical aspects as well, despite the long use of ART. 64 LIVIO MELINA La logica intrinseca agli interventi di procreazione artificiale umana. Aspetti etici 1. L’intreccio di biologia e persona nella procreazione Nell’espressione “procreazione artificiale”, spesso usata e percepita come neutrale, quando essa viene riferita all’uomo, l’aggettivo è in tensione col sostantivo. E in realtà quando l’artificio viene introdotto alla sorgente della vita, fino a sostituire il gesto personalissimo dell’unione corporea e spirituale dei genitori, siverifica una deformazione della dignità del procreare, come partecipazione umana all’iniziativa creatrice divina, e si oscura la presenza di Dio all’origine del soggetto personale. Allora sarebbe forse meglio togliere l’ipocrisia e parlare più francamente solo di “riproduzione” artificiale. Quando la scienza biomedica interviene negli aspetti propriamente umani della vita non può limitarsi a considerare solo le dimensioni tecniche di efficienza dell’atto, ma anche quelle personali che ne determinano la sostanza etica. Altrimenti, essa a poco a poco si fa vettore di una logica che deforma l’umano, al di là delle intenzioni originarie che l’avevano motivata. «Ho acquistato un uomo dal Signore!» (Gn 4, 1). Con questo grido di giubilo la prima donna accolse il primo uomo che fu generato. E nel suo grido trovano espressione tanto la consapevolezza grata di un dono ricevuto “dall’alto”, quanto la fierezza di aver contribuito, insieme ad Adamo al sorgere di quella nuova vita. L’attribuzione a Dio di quel primo “lieto evento” non intende minimamente oscurare il gesto umano dell’unione sessuale, da cui ha avuto origine il figlio. Ne eleva invece il significato al livello di una “pro – creazione”: «Adamo si unì ad Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: “Ho acquistato un uomo dal Signore!”» (Gn 4, 1). L’uomo e la donna, nel generare, hanno veramente collaborato con Dio, dalla cui inziativa creatrice –come crede la Chiesa[1]-‐ha immediatamente origine l’anima spirituale di ogni persona umana, creata a sua immagine e chiamata in Cristo a partecipare gratuitamente alla sua vita divina. Proprio per questo motivo, invece che di semplice “riproduzione” dell’esemplare di una specie, si deve parlare di “procreazione” di una persona unica e irripetibile, chiamata ad un rapporto singolare con Dio[2]. Dentro il fenomeno biologico della fecondazione e dentro le dinamiche istintuali e fisiologiche della sessualità, da cui essa deriva, si segnala un fattore che va “oltre”, che supera gli stessi genitori umani. La Sacra Scrittura non nega il fatto materiale: l’uomo proviene dalla terra. Ma in esso vede sorgere il nuovo: per il soffio divino la persona è costituita a somiglianza di Dio. Questo, che è vero per Adamo, è vero per ogni uomo. All’origine di ogni vita umana, ogni volta che nel buio intimo del ventre materno sorge la vita, è Dio che dice, ancora una volta: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gn 1, 26). Nel suo grido di gioia Eva manifesta dunque la «piena consapevolezza del mistero della creazione, che si rinnova nella generazione umana»[3]. «Nella biologia della generazione è iscritta la genealogia della persona» afferma sinteticamente Giovanni Paolo II[4]. Va anche subito precisato che quando si afferma che i coniugi umani sono collaboratori con Dio nella generazione di un nuovo essere umano, non si intende restringere il loro ruolo alla mera sfera biologica. La generazione di una persona, “corpore et anima unus”[5], è un evento unitario, nel quale il livello spirituale accade in simultanea unità con il livello corporeo. Se l’immagine e somiglianza può provenire solo da Dio, dal suo “soffio”, come è avvenuto nella prima creazione dell’Adamo 65 originario, con ciò non si vuole limitare alla dimensione corporea la funzione generativa dei coniugi, ma piuttosto «sottolineare che nella paternità e maternità umane Dio stesso è presente in modo diverso da come avviene in ogni altra generazione sulla terra»[6]. Infatti il frutto dell’umana procreazione è «un nuovo uomo, che porta con sé nel mondo una particolare immagine e somiglianza di Dio stesso», che può provenire solo da Dio. La radice ultima della dignità della persona umana, la sua irriducibile singolarità, che la rende indeducibile e indisponibile, si trova precisamente in questa immediatezza di rapporto con Dio Creatore, che «ha voluto l’uomo, ogni uomo, sin da principio e lo “vuole" in ogni concepimento e nascita umana. Dio “vuole” l’uomo come un essere simile a sé, come persona»[7]. Su questa certezza di essere voluti si radica la consistenza della dignità personale di ciascuno. E’ stato rilevato che se nella Sacra Scrittura non è possibile trovare un vocabolo che sia equivalente alla nozione di persona, è mediante la realtà dell’elezione, che viene espressa l’unicità e la singolarità dell’individuo[8]. «Si dimentica forse una donna del suo bambino (…)? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49, 15). Il dramma di una cultura che rifiuta Dio come Padre è quello di finire poi inevitabilmente per perdere anche l’evidenza del valore della persona umana[9]. La procreazione umana implica dunque un intreccio delicato e prezioso di biologia e persona, il cui rispetto nell’agire è condizione dell’adeguata considerazione del nascituro (nella sua dignità di persona voluta per se stessa), dei genitori (riconosciuti come soggetti protagonisti responsabili della generazione), dei medici (rispettati nel valore e nei limiti del loro intervento), e ultimamente di Dio stesso (Creatore diretto della vita personale umana). La dimensione etica deve necessariamente fondarsi in un’antropologia adeguata, che riconosca la dignità singolare della persona umana sin dalla sua origine e il valore personalistico della sessualità umana, come ambito nel quale il linguaggio dei corpi è chiamato ad esprimere la logica dell’amore tra le persone. Il momento etico è infatti quello in cui il dono originario dell’essere è affidato alla responsabilità dell’umana libertà, affinché lo porti a compimento. Il presente contributo cercherà di delineare, nella luce dei principi etici fondamentali e delle norme relative, i tratti di due logiche alternative a livello antropologico. 2. Una mutazione antropologica L'intervento della medicina nell'ambito della procreazione è iniziato sotto l'egida di una benefica "cura della sterilità". Di fronte a carenze fisiologiche dell'apparato sessuale o riproduttivo, le risorse della medicina si sono prodigate per superare gli ostacoli e permettere la soddisfazione della naturale aspirazione dei coniugi ad avere un figlio. Tra desiderio e sua soddisfazione impedita, la tecnica medica si è inserita ottenendo risultati sorprendenti. Essa è riuscita non solo a colmare le lacune di organismi che non riuscivano a realizzare l'unione sessuale, il concepimento o la gestazione, ma è arrivata al punto da predisporre metodiche in varia forma sostitutive delle relazioni biologiche di paternità e maternità. Se in molti casi si è riusciti a curare, ripristinando la funzionalità degli organi interessati, la medicina della procreazione non si è voluta fermare davanti a situazioni irrisolvibili a livello puramente terapeutico. Dove la procreazione non era possibile mediante un atto coniugale, si è proceduto all'inseminazione e alla fecondazione artificiali omologhe. Dove le cellule germinali erano compromesse, si è usciti dalla coppia sposata per praticare l'inseminazione e la fecondazione artificiali eterologhe, oppure la donazione di ovulo, quando non addirittura di 66 embrione; dove l'apparato genitale era incapace di gestazione, si è passati all'"affitto di utero". Ora, con la clonazione, si tenta di applicare anche all’uomo tecniche di produzione di embrioni, a prescindere dall’unione di gameti sessuali e quindi addirittura dal contributo di due persone di sesso diverso. La genialità tecnica nell'elaborare soluzioni per superare ogni difficoltà e dare comunque possibilità di avere un figlio a chi lo desidera, si è scatenata, moltiplicando le metodiche e complicando a dismisura le casistiche etiche. La logica del risultato ad ogni costo, dell'efficienza di ciò che si produce, ha fatto passare in secondo piano la considerazione non solo delle relazioni personali implicate, ma anche del valore delle vite umane incipienti sacrificate. L’originaria intenzione di cura della sterilità è ormai così remota e improponibile che si deve ricorrere ad una futuribile utilizzazione terapeutica per giustificare queste sperimentazioni e nasconderne l’hubris prometeica che le ispira. L'intervento tecnico sempre più massiccio ed esorbitante dalla terapia della sterilità, ha provocato una vera mutazione antropologica nel fenomeno. Sta qui il nucleo del problema della riproduzione artificiale. A poco a poco la dimensione corporea della procreazione umana è stata considerata puramente accidentale rispetto alla volontà di avere un figlio. L'essenza della paternità si è fatta consistere nella decisione di procreare, indipendentemente dalle condizioni corporee mediante le quali si attua. Di conseguenza queste ultime, private di significati simbolici e relazionali, sono lasciate in balìa della manipolazione tecnica e della sostituzione contrattuale. Ma così anche il naturale desiderio della paternità, associato al potere dell'artificio, cambia significato: non è più attesa implorante del figlio, che può essere donato a seguito dell’unione sessuale e che va accolto comunque, ma diventa scelta e progetto di una paternità totale. Si delineano i contorni di una radicale transignificazione dei contenuti antropologici della paternità e della figliolanza. 3. I principi basilari della dottrina cattolica Con l'Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede Donum vitae, del 22 febbraio 1987, la Chiesa cattolica ha riproposto non solo delle risposte etiche a livello di casistica, ma anche, nel contempo, una visione dell'uomo e in particolare della sua misteriosa vocazione alla paternità. I capisaldi di questa visione si possono enucleare in alcuni principi basilari, che comandano poi la soluzione delle problematiche morali connesse: 1) L’intervento medico nella procreazione umana esige innanzitutto il rispetto della vita umana nascente fin dal momento del suo concepimento: l’embrione umano va trattato come una persona che esige di essere affermata come valore assoluto per se stessa e non come un materiale biologico, da utilizzare per altri scopi, per quanto nobili essi possano sembrare (cf. Donum vitae, I, 1.). 2) La procreazione umana deve aver luogo nel matrimonio tra un uomo e una donna, nel rispetto del diritto/dovere degli sposi a diventare padre e madre solo l’uno mediante l’altro (cf. Donum vitae, II, A., 1). 3) La procreazione umana è rettamente perseguita quando è voluta come frutto dell'atto coniugale, e cioè del gesto specifico dell'unione, insieme corporea e spirituale, degli sposi (cf. Donum vitae, II, B., 4, a.). 67 4) L'intervento biomedico è rispettoso della dignità delle persone quando mira ad aiutare l'atto coniugale sia per facilitarne il compimento sia per consentirgli di raggiungere il suo fine, una volta che sia stato normalmente compiuto. Qualora l'intervento medico si sostituisca tecnicamente all'atto coniugale per ottenere una procreazione che non è né il suo risultato né il suo frutto, esso allora si appropria indebitamente della funzione procreatrice e così contraddice alla dignità e ai diritti inalienabili degli sposi e del nascituro (cf. Donum vitae, II, B., 7.). Esso sarà tanto più arbitrario quanto più sostituirà non solo l’atto coniugale, ma anche il contributo corporeo-‐personale dei coniugi (fecondazione eterologa, maternità surrogata, ecc.) e addirittura la presenza della dimensione sessuale come tale (clonazione). 5) La progressione della negatività etica in questi interventi, corrispondente al grado sempre maggiore di sostituzione dell’atto coniugale e della presenza personale dei coniugi nella procreazione, implica una differenziazione del giudizio etico ed anche, in particolare, sul piano legislativo e politico, una differente valutazione della loro contraddittorietà col bene comune. 4. Il nesso tra sessualità e generazione, condizione della dignità personale della procreazione umana La dignità della procreazione è custodita nella sua originalità dall’avere il suo principio proprio in un atto d’amore, insieme spirituale e corporeo, di un uomo e una donna legati dal vincolo nuziale. L’apertura alla generazione di una nuova vita, che avviene in connessione con la congiunzione sessuale dei corpi maschile e femminile, non è un dato meramente biologico o un fatto puramente casuale. Essa indica piuttosto un significato profondo della sessualità a livello personale: proprio quando i coniugi si donano reciprocamente nel segno del corpo, e così esprimono il loro essere a immagine e somiglianza del Dio creatore, che è amore, proprio allora essi possono anche diventare i collaboratori di Dio nel chiamare alla vita una nuova persona, che nasce quindi come dono nuovo dal dono sponsale reciproco dei coniugi. Generare un figlio non significa quindi in nessun modo causare la sua esistenza: come dice il filosofo Gabriel Marcel, egli, il figlio, non è mai “qui per me”, non dipende da me e non mi appartiene, così come io stesso non appartengo a me stesso e non ho la possibilità di donarmi l’esistenza[10]. Si può volere un figlio solo “piegando le ginocchia” (cf. Ef 3, 14), cioè riconoscendo l’iniziativa preveniente, imprevista e indisponibile di un Altro, da cui il figlio viene, come un ospite che arriva da lontano. Il volere umano, che auspica e persegue la procreazione di un figlio, è giusto quando riconosce, con umiltà e fiducia, che c’è una grazia, una specie di «vincolo nuziale tra l’uomo e la vita»[11]. Così l’autorità divina non autorizza dall’esterno l’autorità paterna e materna dei genitori umani, ma diventa il limite che la fonda dall’interno e che, fondandola, ne regola l’esercizio. La paternità ha la forma di un “voto”, cioè dell’impegno con cui, lungo tutta una vita, si corrisponde ad un dono gratuitamente ricevuto e quindi ci si apre a trasmetterlo. Il nesso tra sessualità e generazione si rivela, da questo punto di vista, come un’evidenza di senso da rispettare per la verità dell’agire umano in un tale ambito[12]. L’intima unità della dimensione unitiva e della dimensione procreativa della sessualità umana, lungi dall’essere un’indebita sacralizzazione dei processi fisiologici, tutela ad un tempo la dignità personalistica della sessualità umana e quella del figlio, che da essa può sorgere. In tale intima connessione la volontà umana si esprime piuttosto nella forma di un consenso, nel quale si aderisce in forma 68 responsoriale al disegno di un Altro e l’azione dell’uomo e della donna ha la qualità di un “agire” responsabile e non di un semplice “fare” tecnico. La crisi della paternità nella mentalità contemporanea ha la sua radice ultima proprio nell’oscuramento di queste dimensioni. Per l’uomo della nostra civiltà occidentale sviluppata, quella di procreare si configura sempre più solo come una decisione, da potersi prendere solo con grande ponderazione[13]. Un tempo andava da sé che chi si sposava avesse figli. Paternità e maternità erano considerate un compito naturale e ineluttabile da assumere, insieme con tante altre incombenze connesse all’esistenza. La procreazione non era una scelta, ma la conseguenza ovvia della vita coniugale, che si prolungava poi nella responsabilità educativa paterna e materna. Mediante l’intervento della tecnica medica nell’ambito della sessualità si è arrivati da oltre cinquant’anni a separare la sessualità dalla procreazione, e da più di vent’anni ad ottenere una procreazione indipendentemente dall’esercizio della sessualità. Di conseguenza la sessualità è ricaduta nell’ambito dell’irresponsabilità : essa è concepita come uno spazio libero per l’espressione dell’istinto e del sentimento, per il gioco. Al contrario, la procreazione è stata gravata di un peso esorbitante di responsabilità. Procreare appare oggi una responsabilità pesante, grave, anzi : troppo grave per un uomo e per una donna, che si sentono soli e indecisi nell’affrontare questo compito. La decisione di procreare è infatti collegata direttamente ed esclusivamente con una ragione autonoma, che prevede e progetta, che calcola e programma, bilanciando vantaggi e svantaggi, opportunità e risorse, per il bene proprio e degli eventuali figli. Come si vede, affrontare il tema della paternità e della maternità anzitutto in termini di progetto e di decisione da realizzare non è affatto neutro. Quando l’atto del procreare diventa l’iniziativa ponderata di mettere al mondo un essere umano, il padre e la madre hanno la sensazione, molto pertinente, di sobbarcarsi una responsabilità diretta e totale nei confronti del figlio. Questi potrà chiedergliene conto, imputando eventuali limiti e sventure, che la vita dovesse poi riservargli. Un simile carico di responsabilità non può che far paura. Il filosofo Robert Spaemann, nel corso di un dibattito sulla procreazione artificiale, osservò che egli non avrebbe mai potuto tollerare di stare di fronte alle domande di un figlio che un giorno, sopraffatto dalle prove di un’esistenza particolarmente difficile, potesse imputare direttamente e solamente a lui e alla moglie la decisione di averlo messo al mondo[14]. Il corto circuito, da cui deriva questo intollerabile sovraccarico di responsabilità, dipende appunto dal fare della paternità e della maternità essenzialmente un progetto della ragione ed una decisione della volontà, realizzabile attraverso atti, che vengono considerati solo come mezzi tecnici per raggiungere questo fine. Ciò diventa drammaticamente evidente quando si ricorre alla procreazione artificiale : il “progetto procreativo” è realizzato dai medici, mentre il corpo serve solo a fornire, nella misura in cui è possibile, la materia per l’intervento. La procreazione realizzata per intervento medico esprime, in un certo senso, l’ideale razionale di come dovrebbe avvenire una responsabile riproduzione umana oggi. 5. L’atto coniugale come atto procreativo Possiamo così precisare ulteriormente il principio etico fondamentale. La procreazione responsabile, così com'è concepita nella visione cattolica dell'amore umano, è il giusto atteggiamento di risposta dell'uomo e della donna alla dimensione procreativa insita nella sessualità umana[15].Nella prospettiva della dottrina cattolica, la responsabilità procreativa si 69 esprime a livello etico come rispetto dell’inscindibile unità dei due significati inscritti nell’atto coniugale: quello unitivo e quello procreativo[16]. Per illuminare il valore di questo fondamentale principio è utile cogliere il senso dell’atto coniugale nella luce della teologia del corpo, che Giovanni Paolo II ha delineato nella sue Catechesi sull’amore umano nel piano divino. «Il corpo umano, con il suo sesso e la sua mascolinità e femminilità, visto nel mistero stesso della creazione, è non soltanto sorgente di fecondità e procreazione, come in tutto l’ordine naturale, ma racchiude ‘fin dal principio’ l’attributosponsale, cioè la capacità di esprimere l’amore : quell’amore appunto nel quale l’uomo persona diventa dono e -‐ mediante questo dono -‐ attua il senso del suo essere ed esistere»[17]. Emerge qui l’importanza decisiva delle precedenti considerazioni : infatti il carattere sponsale del corpo umano si può capire solo in riferimento alla persona,in quanto voluta da Dio per se stessa, e alla sua chiamata al dono di sé nell’amore. Questo tipo unico di relazione di intimità personale, che ha il suo aspetto distintivo nella comunione genitale dei corpi,comporta una serie di caratteristiche. Si parla di “atto coniugale” per eccellenza, come dell’atto di unione genitale nel quale si realizza la comunione personale degli sposi. Quali sono dunque le esigenze personalistiche dell’atto coniugale? Dev’essere anzitutto un incontro a livello di persone : il corpo è permeato dalla persona e l’incontro dei corpi è chiamato ad essere “sacramento” dell’incontro delle persone, segno espressivo ed efficace del dono e dell’accoglienza dell’altro. Il “primato di ciò che è personale” nell’incontro implica che solo quando vi è un impegno definitivo e pubblico a livello di persone, il gesto della donazione nel corpo è veritiero. L’affidamento reciproco della propria corporeità esprime infatti una dedizione personale definitiva, una totale accoglienza dell’altro e un dono irrevocabile di sé. L’atto coniugale, per collocarsi al livello di autentico dono delle persone, dev’esserelibero ed esclusivo. Solo nella libertà vi può essere dono e solo nell’impegno totale e definitivo quel dono è “sincero”, dice cioè effettivamente quello che oggettivamente significa. L’espressione genitale non può rimanere confinata al corpo, separata dal significato di dono delle persone. In tale contesto essa trova il suo significato reale : né disprezzata come qualcosa di meramente fisico e inferiore, né idolatrata quasi fosse un valore in sé. Ma il senso compiuto dell’amore sponsale dell’uomo e della donna va oltre la loro stessa unione fisica.La finalità intrinsecamente connessa con l’espressione corporea della coniugalità indica una dimensione nuova dell’amore. E’ la fecondità, per cui l’amore va sempre oltre se stesso e si esprime nella generazione di nuove vite. La sessualità esercitata a livello genitale è intrinsecamente finalizzata alla comunicazione della vita: si compie nel figlio, che nasce dalla donazione fisica e spirituale degli sposi. La generazione non è solo una conseguenza possibile di un atto fisico: è dimensione intrinseca dell’atto di amore coniugale. In tal modo è anche autentica “pro-‐creazione” responsabile, in quanto trae origine da un atto umano di amore interpersonale, che si prolunga nel compito educativo. Il figlio nasce come “dono da dono”. Non essendo una caratteristica solo biologica, l’unità nell’amore è comunque sempre feconda; la fecondità del corpo che, nell’incontro sessuale, si apre alla possibilità di trasmettere la vita, è segno della fecondità spirituale dell’incontro sponsale. Nella prospettiva personalista, che abbiamo fin qui seguito, possiamo ora comprendere quale sia l’oggetto proprio dell’atto coniugale e quale rilevanza etica assuma in esso la dimensione procreativa. E’ chiaro che sarebbe sbagliato considerare l’atto coniugale come un semplice mezzo 70 per raggiungere la procreazione. L’atto coniugale non è lo strumento per ottenere un fine ad esso ulteriore, sulla base del quale solamente verrebbe “scusato” sul piano morale. Il linguaggio dei “fini”, applicato alla morale sessuale matrimoniale, si prestava ad equivoci e fraintendimenti deleteri[18]. Se si intende l’azione umana sulla base di un modello tecnico di efficienza, lo schema interpretativo “mezzo per un fine” vede il valore dell’atto coniugale solo nel raggiungimento di un fine procreativo ad esso estrinseco. Invece l’atto coniugale, come atto umano, ha prima di tutto un valore intrinseco e immanente al soggetto : è espressione e realizzazione del dono di sé. Allora il fine procreativo non è affatto una conseguenza biologica possibile sul piano esteriore degli eventi, ma un “bene” immanente, una perfezione intrinseca dell’azione stessa. Quello procreativo, così come quello unitivo sono due “significati” essenziali dell’atto coniugale. L’oggetto di un atto umano è il suo contenuto intenzionale, colto nella prospettiva del soggetto che agisce[19]. Ora nell’atto coniugale l’aspetto fondamentale e l’oggetto primario è l’unione di amore tra gli sposi, realizzata secondo tutta la ricchezza emotiva, corporea e spirituale di due persone che diventano “una sola carne” (“una caro”: cf. Gn 2, 24)[20]. L’apertura alla procreazione si rivela come una dimensione intenzionale costitutiva, una condizione necessaria affinché l’atto coniugale sia veramente un atto di amore. E’ questo il senso profondo della dottrina di Humanae vitae e diFamiliaris consortio : tra i due “significati” dell’atto coniugale, unitivo e procreativo vi è una reciproca coimplicazione : non c’è vera unità senza apertura alla procreazione ; non c’è vera responsabilità procreativa senza donazione integra degli sposi a livello corporale e spirituale. Ciò significa che non è vera procreazione responsabile quella che non deriva da un autentico amore sponsale e dall’atto corporeo e spirituale, che lo qualifica. A tutela della dignità della procreazione di una persona umana è richiesto che alla sua origine vi sia una vera donazione, tanto nella dimensione spirituale (libera donazione reciproca nel contesto coniugale), quanto nella dimensione corporea[21]. D’altra parte l’apertura alla procreazione è aspetto costitutivo di un vero atto di amore coniugale. Staccato dal contesto di amore coniugale un atto riproduttivo perde la dignità di una procreazione, in cui gli sposi sono collaboratori con Dio al sorgere di una nuova vita umana[22]. Strappato dal significato procreativo, l’atto sessuale non è più lo stesso : non ha più la dignità della dimensione pienamente sponsale di un dono totale reciproco. 6. Due logiche alternative Ecco allora profilarsi due logiche alternative dal punto di vista antropologico circa la procreazione umana, che possono essere descritte mediante alcune contrapposizioni, rispettivamente in relazione alla figura del figlio e del padre. Il figlio va considerato come un dono da accogliere e non come unprogetto da costruire: in effetti quando il bambino è esito di una produzione tecnica e non di un gesto umano di donazione, si nega la sua condizione di pari dignità rispetto ai genitori e ai medici. Come "prodotto" egli deve corrispondere alle richieste, che ne hanno comandato la programmazione. Egli rientra in un piano, che ne verifica e controlla la qualità. I fenomeni di rifiuto di bambini nati mediante fecondazioni artificiali con malattie o handicapnon sono appena spiacevoli episodi, ma piuttosto conseguenze coerenti di una logica, che in partenza non riconosce la piena dignità di persona del figlio. Per non parlare poi della selezione di embrioni e dei feti abortiti, di quelli procreati solo per fini di sperimentazione, di cui troppo spesso non si dà notizia e per i quali non si solleva problema etico alcuno. 71 La paternità umana non è una decisione carica di responsabilità tremende, ma il consenso ad un compito: infatti il sovraccarico di responsabilità implicato nel prendere la decisione diretta e totale di mettere in vita un figlio è tolto quando all’origine della procreazione sta l’atto dell’unione coniugale. La mediazione corporea interrompe la connessione diretta tra decisione procreativa e origine della vita del figlio: apre simbolicamente al mistero, il mistero cioè di una presenza ulteriore rispetto a quella dei genitori, che più radicalmente fonda la dignità assoluta della persona, in quanto chiamata ad una rapporto singolare con Dio. Quando il concepimento scaturisce dall'unione dei corpi, solitamente determinato dall'attrattiva sessuale, allora la dimensione corporea alla quale è affidato il generare, rimanda ad un precedente disegno. La scelta di avere un figlio non è diretta. La disponibilità a procreare si configura come consenso ad un progetto che precede quello dell'uomo e della donna: un progetto al quale essi si affidano ed entro il quale entrano, certo responsabilmente, ma non arbitrariamente. 7. Il mito di una paternità totale Dalla paternità ad ogni costo, la logica della riproduzione artificiale conduce ineluttabilmente al mito di una paternità totale, che non rispetta più né la dignità personale del figlio, né il protagonismo dei genitori nel loro amore intimo, né la presenza ultima di Dio Creatore. Alla fine dell’itinerario i poteri anonimi della società pretenderanno di sostituire la coppia umana nella decisione di procreare e l’uomo sarà riprodotto a immagine del Potere, che rivendicherà su di lui un dominio completo. Invece, il figlio accolto come un dono richiama un'origine, comune a genitori e figli, costitutiva di entrambi, fondativa della paternità e della maternità. Solo nella dimenticanza dell'origine si può equivocare la paternità, pretendendola totale e riducendola in realtà a una decisione condizionata. Quando l'artificio prende il sopravvento e si sostituisce alla mediazione simbolica del corpo, allora si oscura l'origine da Dio e si deforma la paternità umana. "Per questo, piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome" (Ef 3, 14-‐15). Solo piegando le ginocchia in riconoscente e umile adorazione dell'origine di ogni paternità, la paternità umana è reale. Si può dare la vita degnamente ad un figlio non come si decide di creare qualcosa di nostro, ma come si accetta di trasmettere un dono, dal quale per primi siamo stati gratificati e sorpresi. 72 [1] Cf. Pio XII, Enc. Humani generis: AAS 42 (1950) 575; Paolo VI, Professio fidei: AAS 60 (1968) 436. [2] Cf. J. Ratzinger, „Der Mensch zwischen Reproduktion und Schöpfung. Theologische Fragen zum Ursprung des menschlichen Lebens“, in Internationale katholische Zeitschrift Communio 18/1 (1989), 61-‐71. [3] Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Città nuova – Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1985, cat. XXI, 96-‐100; Enc. Evangelium vitae, n. 43. [4] Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie Gratissimum sane, 2 febbraio 1994, n. 9. [5] Conc. Ec. Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 14. [6] Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie Gratissimum sane, 2 febbraio 1994, n. 9. [7] Ibidem. [8] P. Beauchamp, “Persona, elezione e universalità nella Bibbia”, in V. Melchiorre (a cura di), L’idea di persona, Vita e pensiero, Milano 1996, 33-‐50. [9] Cf. Conc. Ec. Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 36 : «La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce». [10] Si veda: G. Marcel, Homo viator, Borla, Roma, 1980: “Il voto creatore come essenza della paternità”, 117-‐156. [11] Ibidem, 139. [12] Al riguardo: M. Chiodi,Il figlio come sé e come altro. La questione dell’aborto nella storia della teologia morale e nel dibattito bioetico contemporaneo, Glossa, Milano 2001, 350. [13] Si leggano le preziose osservazioni sulla generazione e sulla figliolanza esposte in: G. Angelini, Il figlio. Una benedizione, un compito, Vita e Pensiero, Milano 1991. [14] Cf. R. Spaemann, Felicità e benevolenza, Vita e Pensiero, Milano 1998, 216. [15] Cf. Paolo VI, Enc. Humanae vitae, n. 10. [16] Ibidem,n. 12. [17] Giovanni Paolo II, Uomo e donna, cit., XV, 77. [18] In proposito:A. Mattheeuws, Union et procréation. Développements de la doctrine des fins du mariage, Du Cerf, Paris 1989 ; G. Angelini, La teologia morale e la questione sessuale. Per intendere la situazione presente, in AA.VV., Uomo-‐donna. Progetto di vita, a cura del C.I.F., UECI, Roma 1985, 47-‐102. [19] Cf. Veritatis splendor, nn. 78-‐79. Cf. E.G.M. Anscombe, Intention, 2 ed., Blackwell, Oxford 1963. In merito all’oggetto dell’atto coniugale è illuminante l’analisi di M. Rhonheimer, Sexualität und Verantwortung.Empfängnisverhütung als ethisches Problem, Imabe-‐Studie, Wien 1995,64-‐73. [20] Cf. M. Gilbert, « Une seule chair » (Gn 2, 24), in Nouvelle Revue Théologique 110/1 (1978), 66-‐89. [21] Nel caso singolare dell’Incarnazione del Figlio di Dio è la sua stessa dignità di persona divina che esclude la possibilità di parlare di procreazione umana. [22] Cf. J. Ratzinger, Uno sguardo teologico sulla procreazione umana, in “Medicina e Morale” 38 (1988), 507-‐521. 73 ANGELO SERRA LE PROSPETTIVE EUGENICHE DELLA RIPRODUZIONE TECNICAMENTE ASSISTITA LA DIAGNOSI GENETICA PREIMPIANTO Una premessa La prospettiva della «selezione eugenica» si è presentata con tutta la sua forza con il crescere delle conquiste nel campo della Genetica. Il piano esecutivo era stato lanciato al 3° Congresso Internazionale di Genetica Umana dal Nobel Laureate Herman Muller[1] che invitò tutti i circa 2000 partecipanti “a impegnarsi in una forte offensiva per il controllo dell’evoluzione umana”. E ne dava le ragioni: “La cultura moderna, salvando al massimo vita e fertilità, non accompagnata da una pianificazione cosciente che tenga conto degli effetti genetici che ne conseguono, favorisce mutazioni dannose al vigore fisico, all’intelligenza o a predisposizioni sociali.[…] Se si dovesse permettere in modo illimitato l’accumulo di difetti genetici tra noi, come sembra stia accadendo ora, si potrebbe anche giungere a una condizione in cui ciascuna persona potrebbe presentare un immenso e specifico complesso di problemi di diagnosi e cura”. Egli stesso tracciò le direttrici di questa offensiva. La prima, la selezione germinale, avrebbe dovuto condurre alla «produzione» di un soggetto umano della «qualità desiderata»; la seconda, la selezione genotipica, avrebbe implicato, a seguito di una diagnosi precoce in gravidanza, la eliminazione, mediante «aborto» su domanda o imposto, di un soggetto a rischio di manifestare una seria malattia; la terza, la selezione genica, appena i progressi nella conoscenza del genoma umano avessero aperto le strade, avrebbe dovuto portare al miglioramento della specie umana. Il primo obiettivo, la «produzione di un soggetto umano», è stato in parte raggiunto con la preparazione di embrioni umani in vitro[2]. Gravi problemi tecnici, tuttavia, ancora oggi persistenti dopo 25 anni dalla nascita della prima bambina concepita in vitro, non lasciano prevedere un facile raggiungimento di una data «qualità desiderata», e neppure se sarà possibile. Il secondo obiettivo, la «selezione genotipica», prosegue con un crescendo vertiginoso senza accenno a un ritorno. Frutto dei grandi progressi scientifici nel campo della citogenetica e della genomica, ha preso ampia diffusione la «Diagnosi Genetica Prenatale» (PND) di sindromi causate da alterazione dell’informazione genetica, osservabili a livello cromosomico (sindromi cromosomiche) o analizzabili a livello molecolare (malattie genetiche monogeniche o polifattoriali). Purtroppo, però, poiché per la massima parte di esse permangono impossibilità o difficoltà di prevenzione o cura, si è sviluppata una forte pressione sociale -‐ diventata ormai un fatto culturale -‐ alla non accettazione della responsabilità di conservare in vita un soggetto dotato di una «qualità di vita» ritenuta non degna della persona umana. Da qui l’orientamento all’«aborto selettivo», diventato ormai prassi legalmente riconosciuta e spesso, raccomandata, estensibile in alcune nazioni anche al terzo mese di gravidanza e persino al parto. Nel 1990, anno in cui A. H. Handyside[3] e collaboratori pubblicarono la prima nascita di gemelli, il cui sesso era stato identificato su cellule prelevate da embrioni prima dell’impianto,fu introdotta la nuova tecnica di «selezione genetica», indicata come Diagnosi Genetica Preimpianto (PGD). Tecnica, che si è ormai imposta non solo come misura precauzionale nella pratica medica della fecondazione in vitro, ma come effettiva misura eugenica negativa da applicare in tutte le famiglie dove è presente il rischio di avere figli affetti da serie malattie a causa di alterazioni cromosomiche o geniche presenti nei genitori. Dal gennaio 1999 alla fine di agosto 2003 la Medline censiva 578 lavori scientifici in merito, intesi sia al miglioramento della tecnica in se 74 stessa e sia alla valorizzazione della tecnica quale certa garanzia del «figlio sano» attraverso la tecnica della fecondazione in vitro. Una stimolante, ma riduttiva, visione della situazione attuale di questa nuova tecnologia e del suo futuro era presentata, nel dicembre 2002, da A. Kuliev e Y. Verlinski[4] del Reproductive Genetics Institutedi Chicago, che da anni operano in questo campo. Scrivevano: “Sono stati eseguiti finora oltre 4000 cicli di diagnosi genetica preimpianto (PGD); ciò suggerisce che la PGD non può più essere considerata un’attività di ricerca. Un aspetto attuale importante della PGD è la sua estensione a una varietà di condizioni che non erano state prese in considerazione finora, come l’ indicazione di diagnosi prenatale.[…] La PGD è diventato anche uno strumento utile per il miglioramento dell’efficienza della IVF,evitando il trasferimento di embrioni con anomalie cromosomiche, che rappresentano più della metà degli embrioni ordinariamente trasferiti in soggetti di età avanzata o di debole prognosi.La PGD dà particolare speranza ai portatori di traslocazioni cromosomiche bilanciate, poichè permette una pre-‐selezione di embrioni normali o bilanciati.[…] La PGD potrà presto essere eseguita per l’esame contemporaneo di alterazioni cromosomichee geniche usando lo stesso globulo polare o blastmero biopsiato. Inoltre i dati disponibili di oltre 3000 embioni trasferitisuggerisce un accettabile tasso di gravidanza e la sicurezza del procedimento, come è dimostrato dalle informazioni disponibili su oltre 500 bambini nati in seguito a trasferimento dopo PGD”. Di fronte a questo ottimismo, un esame degli aspetti e risultati di questa nuova tecnologia permetterà di valutarla nella sua vera realtà. La Diagnosi Genetica Pre-‐impianto (PGD) La PGD consiste nell’analisi genetica di una o due cellule prelevate dall’embrione al fine di definire l’esistenza o meno diaberrazioni cromosomiche e di mutazioni geniche che, ovviamente, ne impedirebbero lo sviluppo normale. Ilprotocollo generalepuòessereschematizzatoneiseguentimomenti:1) stimolazione ovarica seguita da aspirazione degli ovociti; loro fertilizzazione in vitro secondo il processo ordinario o per iniezione intracellulare dello spermatozoo (ICSI);messa in coltura;2) a 72 ore dalla fertilizzazione -‐ “il momento migliore per l’uomo”[5] -‐ biopsia embrionale per il prelievo di uno o due blastomeri (dai 7-‐8) per puntura diretta, o per dissezione meccanica della zona pellucida, o per perforazione chimica della stessa con soluzione Tyrode acida, o per apertura della zona mediante laser; 3)cariotipizzazione o ricerca del gene sospetto; 4) trasferimento inutero di embrioni «sani». Due osservazioni meritano particolare rilievo. La prima osservazione riguarda il numero delle cellule da prelevare dall’embrione al fine di ottenere una diagnosi attendibile sulla sua normalità e, quindi, sulla sua trasferibilità in utero. Un accurato studio[6] di 188 cicli, in cui erano stati trasferiti in utero soltanto embrioni dai quali erano stati prelevati rispettivamente 1 o 2 o 3 blastomeri e che, in base all’esame,dovevano essere ritenuti«normali», indusse gli autori a consigliare di analizzare 2 cellule in embrioni di 7 o più cellule, in modo da rendere la diagnosi più accurata e sicura. Indicazione confermata dallo sviluppo di un modello matematico elaborato al fine di trovare strategie per aumentare l’accuratezza di questa tecnica[7]. Da questi dati emergerebbe anche che, nonostante la manipolazione che gli embrioni subiscono durante il processo della PGD, i tassi di gravidanza raggiunti appaiono comparabili con quelli che si ottengono nella ordinaria fecondazione in vitro (IVF):i risultati riportati nel lavoro ricordato indicano, infatti, untasso digravidanze iniziate per ciclo del 29,1% (55); un tasso diimpianto del 18,6% (35); e un tasso di nascite del 14,2% (27).Tuttavia A. De Vos e A. VanSteirteghem nel concludere il loro lavoro sottolineano con tutta chiarezza: “Più dati sono necessari al fine di accertare che nessuno dei procedimenti di biopsia 75 utilizzati interferisca con il tasso di impianto, sul tasso di gravidanze che proseguono, permettendo la nascita di bambini sani”[8]. La seconda osservazione riguarda i metodi di diagnosi. Due sono essenzialmente gli scopi da raggiungere. Il primo, stabilire, nelle cellule prelevate, la presenza di aberrazioni cromosomiche -‐ aneuploidie, delezioni, inversionie traslocationi -‐attraverso l’applicazione della tecnica denominata FISH[9] (Fluorescence In Situ Hybridization) la quale, con tutti gli ampi sviluppi ormai raggiunti, permette di definire in una singola cellula le anomalie numeriche e strutturali dei cromosomi. Il secondo, definire la presenza di mutazioni geniche attraverso il processo denominato PCR (PolimeraseChain Reaction)[10], il qualepermette di ottenere, partendo dal DNA di una singola cellula, una efficiente e rapida amplificazione del frammento interessato in una data malattia e un’accurata definizione della sua alterazione. Ovviamente, non mancano errori, sia pure rari, dovuti in notevole parte alla mancata amplificazione dell’allele specifico o «allele dropout» (ADO)[11]. E’ stato calcolato che per malattie recessive sono richieste due genotipizzazioni, cioè genotipi derivati da due blastomeri,per assicurare un rischio minimo (< 1%) di trasferire in utero un embrione affetto[12]. Un’altra possibile tecnica di analisi, è offerta dalla utilizzazione dei polar bodies[13]. Essa ha il grande limite che può dare informazioni soltanto sul contributo genetico dalla madre. Le possibilità di questo esame sono due: esame del solo primo corpuscolo polare (polar body) e esamedei due corpuscoli polari (polar bodies). Nel primo caso, l’ovocita maturo potrà essere utilizzato per la fecondazione quando nel globulo polare è dimostrata la presenza certa dell’alterazione cromosomica o genica attesa, essendo allora sicura la bontà dell’informazione rimasta nell’ovocita. A causa della possibilità del cosiddetto allele dropout (ADO), il dubbio potrà essere risolto con l’esame di uno o due altri oociti maturi. Nel secondo caso, l’estrazione dei due globuli polari (polar bodies), può avvenire soltanto dopo l’avvenuta fusione dei gameti. Essa, secondo S. Rechitsky e collaboratori[14], pare assolutamente necessaria nel caso di diagnosi di disordini monogenici, al fine di evitare le notevoli difficoltà che si incontrano nell’analisi del DNA di una singola cellula, tra cui contaminazione del DNA, mancata rivelazione di dropout allele, e amplificazione preferenziale, che possono condurre a errori di diagnosi. I risultati della PGD applicata all’uomo Di fronte a questo nuovo passo delle biotecnologie, accolto dalla medicina quale ulteriore strumento per ridurre il numero di nati affetti da serie o gravi patologie, si pone immediatamente la domanda quali siano i risultati raggiunti in seguito all’applicazione di questa nuova tecnologia nei circa 14 anni dall’inizio della sua applicazione Pochi sono i dati relativi all’impiego e ai risultati della PGD mediante la tecnica della remozione sequenziale dei globuli polari (PBR). Dal lavoro di S. Rechitsky e collaboratori, appena citato, si rileva che su 529 ovociti prelevati in 48 cicli clinici di 26 pazienti, soltanto 106 embrioni erano stati trasferiti in 44 cicli clinici, a cui erano seguite 17 (38.6%) gravidanze sane. E C.M. Strom[15] e collaboratori, riportando i risultati -‐soprattutto lo stato di salute alla nascita e nei seguenti sei mesi -‐ dei primi 109 bambini nati in seguito all’applicazione della stessa tecnica per la diagnosi di malattie mendeliane e aneuploidi, concludevano: “I dati presentati dimostrano che la PGD mediante la PBR è una tecnica sicura e accurataper coppie ad alto rischio genetico al fine di evitare di avere figli con anomalie genetiche, senza l’ansietà di attendere la diagnosi prenatale e la possibilità di dover uccidere i feti affetti”. Una risposta più ampia e più completa emerge dall’analisi di un ormai notevole numero di dati ottenuti utilizzando la tecnica della biopsia dei blastomeri. Nella Tabella 1 sono riportati i dati, tra i più rappresentativi, pubblicati dal 1999 ad oggi. 76 La prima osservazione che emerge dall’analisi di tutti questi dati è l’enorme quantità di embrioni, soggetti umani anch’essi all’inizio della loro vita, che vengono sacrificati, cioè letteralmente uccisi. Nella Tabella 2 è indicata la somma dei dati di cinque lavori nei quali-‐come si osserva nella Tabella 1 -‐ erano riportati rispettivamente: 1) il totale degliembrioni biopsiati; 2) il numero di quelli anormali per la presenza di aberrazioni cromosomiche -‐ che sono gli errori frequenti -‐ tutti scartati, cioè direttamente «uccisi»;3) il numero di quelli trasferiti in utero; e 4) il numero dei nati. Il numero dei nati può, ovviamente, essere riferito al numero degli embrioni biopsiati, cioè di tutti gli embrioni prodotti e usati,e a quello degli embrioni trasferiti. E’ evidente che, essendo il numero dei nati 2.9% (39:1347),il 97,1% degli embrioni prodotto è andato perduto: 761 (56,6%) direttamente uccisi perché con corredo cromosomico anormale; 544 (40,5%) scientemente esposti a morte prevista e voluta. Questasituazioneèconfermatadal confronto tra il numero degli embrioni trasferiti e dei nati in due gruppi, riportati nellaTabella 3: il gruppo A, che raccoglie i dati di altritre lavori -‐ anche’essi riportati nella Tabella 1 -‐ nei quali vengono riferiti soltanto ilnumerodiembrionitrasferitieilnumerodeinati; e il gruppo B, che riporta i corrispondenti dati del campione sopra esaminato. E’ evidente, dal valore del X(2), che la differenza tra il numero dei nati nei due gruppi non è significativa. Ne segue che, data la notevole informazione proveniente dal vastissimo campione europeo, la frequenza dei nati -‐nonostante l’altissima selezione ottenuta attraverso la PGD -‐ sarebbe da ritenere sensibilmente inferiore a quella ottenuta nei processi ordinari della FIVET e della ICSI, nei quali non è fatta la selezione attraverso la PGD. Questa differenza potrebbe essere ascritta a varie cause. Resta però il fatto che, in realtà, gli embrioni, anche seapparentemente selezionati in seguito alla PGD, si trovano nella stessa situazione di alta precarietà, anzi forse peggiore, degli embrioni prodotti e utilizzati nei processi ordinari nei quali la selezione avviene spontaneamente. Di fronte a questi dati, raccolti con serio impegno da quanti intendevano e intendono portare un contributo di sollievo umano a tante situazioni di sofferenza e di dolore, ma che indicano anche una mancanza di comprensione della vera realtà dell’embrione umano, ridotto invece a puro strumento tecnologico, mi è parsa quanto mai corretta e di forte richiamo l’ affermazione di un pioniere e protagonista in questo campo, R. L.M. Winston[16]. Nell’ottobre del 2002, concludeva una sua recentissima analisi sullo stato delle tecnologie della riproduzione tecnicamente assistita così: “Non si dovrebbe permettere che la disperazione dei pazienti, l’arroganza dei medici e le pressioni commerciali siano gli aspetti chiave determinanti in questa produzione di esseri umani. Portare un bambino nel mondo è la più seria responsabilità umana. Non possiamo ignorare le nubi che gravano su queste apprezzabili terapie. Ignorarle potrebbe avere grave influsso sul progresso della scienza medica”. La prospettiva etica della PGD in campo medico Dopo l’accenno alle tecniche della Diagnosi Genetica Preimpianto e l’analisi degli effetti e dei risultati conseguenti all’applicazione di questa recentemente nuova tecnologia, è non soltanto utile ma doverosa una riflessione sulle ragioni che hanno indotto a questo nuovo passo della diagnostica medica non soltanto nel campo della Tecnologia Riproduttiva Assistita (ART), ma anche in quello della patologia genetica e di altri che si stanno aprendo. Alcune affermazioni, raccolte dagli scritti di ricercatori nel campo e di operatori nella sanità pubblica, permettono di comprendere i principi che, si ritiene, dovrebbero giustificare la Diagnosi Genetica Preimpianto: principi ormai ampiamente accettati sia nei campi scientifico e medico sianella società. 77 J. Savulescu[17] nota: “La selezione eugenica degli embrioni è ora possibile utilizzando la fecondazione in vitro (IVF) e la diagnosi genetica preimpianto (PGD).[…] Io voglio difendere un principio che chiamo Beneficenza Procreativa: le coppie (o produttori singoli) dovrebbero scegliere, tra i possibili figli che potrebbero avere, il figlio che si attende abbia la vita migliore o almeno buona come la vita degli altri”. C. Camero e R. Williamson[18] sostengono: “che laPGD e l’impianto di un embrione sano è una scelta etica più accettabile della diagnosi prenatale (PND) seguita dall’aborto, per le seguenti ragioni: la scelta dopo laPGD è vista come eticamente neutrale perché un esito positivo (“una gravidanza sana”) bilancia una risultato negativo (“la distruzione di un embrione malato”) simultaneamente”. J. A. Robertson[19], in un ampio lavoro sugli aspetti etici dell’applicazione della PGD in diverse situazioni, afferma: “Pur riconoscendo le forti obiezioni di alcuni alla PGD […], la discussione che segue fa ritenere che l’uso della PGD per ricercare aneuploidie o seri errori mendeliani è eticamente e legalmente accettabile”. E dopo aver discusso su nuovi usi della PGD al fine di esaminare embrioni per la suscettibilità al cancro, a malattie a tarda manifestazione e in vista di compatibilità HLA per altri figli, e del genere conclude: “Eccetto per la selezione del sesso del primo bambino, molte estensioni correnti della PGD sono eticamente accettabili e offrono una base per valutare estensioni future per scopi non medici che sono ancora speculativi”. La perplessità lasciata da J. A. Robertson riguardo alla selezione del sesso viene superata da E. Dahl[20] che sostiene:“Dopo aver considerato cinque potenziali obiezioni, concludo che si dovrebbe permettere ai genitori di usare la PGD per scegliere l’orientamento sessuale dei loro figli”. Una simile apertura alla giustificazione della PGD è stata verificata, in ambito sociale, attraverso una indagine conoscitiva condotta da M. G. Katz[21]e collaboratori mediante opportuni questionari su 121 soggetti dopo unapreviaaccurata consulenza. Di questi: 41 si erano presentati per una PGD a causa di patologia genica; 48 per patologia cromosomica; e 32 che stavano per iniziare il primo ciclo di IVF, come gruppo di controllo. Essi concludevano: “Tutti i gruppi trovarono la PGD come un trattamento ampiamente accettabile. Essi espressero debole interesse relativamente all’estensione dei testi a stati di non malattia come il sesso, e furono fortemente in favore di un modello condiviso di decisione in cui le coppie abbiano una considerevole autonomia circa gli embrioni da trasferire”. Tuttavia sottolineavano: “Mentre la nostra società sostiene l’autonomia riproduttiva c’è pure ua preoccupazione circa l’impatto della manipolazione genetica e delmiglioramento genetico degli embrioni. Non ci sarebbe lo stesso sostegno della società se il miglioramento si spostasse verso il miglioramento degli embrioni, l’eugenica e anche la compatibilità HLA”. A queste posizioni, caratteristichediunaconcezioneeugenistica negativaoggiprevalente e fortemente sostenuta[22], non mancarono obiezioni e resistenze. La prima, la più forte, è l’evidente grave abuso dell’embrione umano, ridotto a mero strumento tecnologico. L’obiezione era già stata formulata nel 1984 da tre membri del Comitato Warnock, e il loro parere era stato incluso nel Rapporto finale come Expression of Dissent[23]. Leggeva così: “Nella nostra opinione è errato creare qualche cosa che ha la potenzialità di diventare una persona umana e poi distruggerla deliberatamente. Noi perciò raccomandiamo che non si dovrebbe fare nulla che possa ridurre la possibilità di un felice impianto dell’embrione”.Posizione che è stata accolta, riconosciuta e sottolineata apertamente al n.17 del Rapporto del Comitato Donaldson[24], istituito nel 1999 dal Governo Inglese per la regolazione della ricerca sulle cellule staminali embrionali, dove si affermache “Una significativacorrente di pensiero ritiene che come principio morale l’uso di ogni embrione per scopi di ricerca non è etico ed è inaccettabile, posto che ad ogni embrione dovrebbe essere accordato lo stato umano dal momento della sua creazione”. La seconda obiezione, sottolineata dallo stesso J.A. Robertson[25], “sorge dal fatto della selezione stessa, e dai rischi in futuro di una estesa selezione di embrioni e bambini.[…] Ogni forma di 78 selezione o manipolazione trasforma il bambino in un «manufatto».[…] Aumentare la frequenza e lo scopo della selezione genetica dei futuri bambini ci spingerà verso un mondo eugenico in cuii bambini sono valutati più per il loro genotipo che per le loro caratteristiche essenziali, aprendo la via a un mondo di bambini-‐disegno in cui l’ingegnerizzazione dei figli diventa routine”. Da queste brevi note, raccolte dal vivo della letteratura scientifica, appare con tutta evidenza il netto contrasto tra le due posizioni etiche: una pienamente favorevole all’impiego della PGD non solo per qualsiasi trattamento di fecondazione in vitro, ma anche per ogni caso in cui esista una seria probabilità di patologia pre-‐ o post-‐natale per un figlio desiderato; l’altra nettamente contraria. Contraria non per capriccio, ma per la semplice e chiararagione checon tale procedimento si cerca un«bene», sia pure giustamente desiderato, ma attraverso un’azione che implica un «grave male»: la soppressione intenzionale, per ogni singolo caso selezionato, di uno o più soggetti umani che hanno iniziato la loro propria vita. Chi conosce la verità scientifica sull’embrione umano, non può non riconoscere che egli è un reale soggetto umano e, quindi il valore morale e la correttezza di questa posizione. J. Habermas[26], noto filosofo della scuola di Francoforte,si è soffermato abbastanza a lungo su questo tema nella sua recente piccola opera «Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale». Alcune espressioni della prefazione circoscrivono il tema:”Da anni la discussione sulla ricerca e sull’ingegneria genetica continua a girare inutilmente intorno al problema dello status morale della vita umana prepersonale. Perciò io assumo la prospettiva di un presente immaginario, proiettato nel futuro, a partire dal quale le pratiche oggi in discussione potrebbero retrospettivamente apparirici come lo scivolamento in una genetica liberale, vale a dire in una genetica regolata dalla legge della domanda e dell’offerta. La ricerca sugli embrioni e la diagnosi di preimpianto turbano gli animi soprattutto perché esemplificano i pericoli evocati dalla metafora di una «eugenetica selettiva» nella razza umana”. E più avanti nella sua analisi precisa il suo pensiero: “Supponiamo che l’uso sperimentale degli embrioni generalizzi una prassi per cui la tutela della vita umana prepersonale venga considerata come secondaria rispetto ad altri possibili fini (incluso l’auspicabile sviluppo di nobili «beni collettivi», per esempio nuovi metodi di cura). La diffusa accettazione di questa prassi renderebbe meno sensibile la nostra visione della natura umana e aprirebbe le porte a una genetica liberale. In ciò possiamo già ora vedere quello che in futuro ci apparirà come un fait accompli del passato, cui i fautori della genetica liberale faranno appello come un Rubicone da noi già effettivamente oltrepassato”. Si deve ammettere che, di fatto, con questo nuovo passo della Diagnosi Genetica Preimpianto è stato raggiunto l’apice della prepotenza di una falsa scienza, la quale ha voluto misconoscere la vera realtà dell’embrione umano, degradandolo per i primi quindici giorni della sua esistenza a “pre-‐embrione”[27]: un mucchio di cellule senza una legge che le sintetizza in un tutto organizzato, un cumulo di cellule disponibili per ogni tipo di uso scientifico o tecnologico Di fronte a questa situazione lo stesso J. Testart[28], il padre tecnico della prima bambina concepita in vitro in Francia, con evidente preoccupazione già nel 1995 scriveva: “Ciò che sta avvenendo è un vera rivoluzione dell’etica che sorpassa le frontiere di ogni nazione”, e con senso di responsabilità concludeva: “Al di là dell’esecuzione tecnica, dell’interesse individuale e di un ingenuo desiderio, i problemi sono più complessi di quanto siamo portati a credere. Noi dovremmo avvicinarci a questi problemi con uno sforzo cosciente e umiltà determinata a sostenere la dimensione etica della vita umana”. Si deve onestamente riconoscere che le grandi aspettative che il progresso della scienza e della medicina sembravano aver aperto nel campo vitale della procreazione si stanno trasformando in seria minaccia in una società, dove «valori»e «aspetti etici» stanno perdendo il loro significato. La ragione appare evidente: nel prevalente sistema scientifico-‐tecnologico è stato seriamente alterato -‐ se non completamente annullato -‐ il valore della costante «Uomo», indispensabile per 79 conservare l’equilibrio dell’intero sistema. E’ urgente ritornare a riconoscerne il vero valore e, di conseguenza, la suadignità e i suoi diritti. Ma, scienza e tecnologia non possono calcolare o stimare il valore di questa costante attraverso la loro propria metodologia. E’ perciò necessario che scienziati e tecnologi, i quali oggi hanno un notevole potere nell’orientamento e nella realizzazione dello sviluppo sociale, non rimangano chiusi nel loro riduttivo sistema assiomatico, ma si aprano -‐ pur rispettando le proprie prerogative -‐ e accolgano gli stimoli di un sistema «sapienziale» che riflette un pensiero e una luce che provengono dal profondo di noi stessi, criticamente sondato, esaminato ed assimilato. Soltanto da questa ricerca si può ricavare il valore della costante «Uomo» e, di conseguenza, riscoprire il senso dei limitie dedurre da questo la nostra responsabilità nei suoi riguardi. E’ l’uomo nella sua realtà integrata che deve dettare, dalla sua interiorità, la norma della sua azione, base di ogni comportamento responsabile. Ciò che si richiede è cercare questanorma e la volontà di non rifiutarla. E’ necessario trasformare il sistema scientifico-‐tecnologico chiuso, oggi prevalente, in un sistema aperto, in cui il vero valore «Uomo» è riconosciuto e, quindi la sua dignità e i suoi diritti, ma anche le sueresponsabilità e i suoi doveri. Soltanto in questo modo la scienza, la tecnologiae la medicina in particolarepossono trovare il modo di rispondere alle esigenze di ogni persona umana, decidendo quando e in quale forma questo o quel comportamento è eticamente corretto, e creare così un vero progresso sociale. Precisamente su questo aspetto insisteva Giovanni Paolo II[29] rivolgendosi ai membri dell’Accademia Pontificia delle Scienze: “Non bisogna lasciarsi affascinare dal mito del progresso, come se la possibilità di realizzare una ricerca o di mettere in opera una tecnica permettesse di qualificarle immediatamente come moralmente buone. La bontà morale si misura dal bene autentico che procura all’uomo considerato secondola dupplice dimensione corporale e spirituale; in questo modo si rende giustizia a ciò che è l’uomo; non correlando il bene all’uomo, che deve esserne il beneficiario, ci sarebbe da temere per l’umanità. La comunità scientifica è insistentemente chiamata a mantenere l’ordine dei fattori, situando gli aspetti scientifici nel quadro di un umanesimo integrale; terrà perciò conto delle questioni metafisiche, etiche, sociali e giuridiche che si pongono alla coscienza e che i principi della ragione sono in grado di chiarire” (n.5). 80 [1] H.J. 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[29] GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, 28 Ottobre 1994, inInsegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII, 2, Libreria Editrice Vaticana 1996, 562-‐569. 82 MÓNICA LÓPEZ BARAHONA L'Embrione Umano nelle Applicazioni delle Tecniche Riproduttive Artificiali Intendiamo per Tecniche Riproduttive Assistite (ART) tutti i metodi biomedici che facilitano o sostituiscono il processo biologico naturale nel corso della riproduzione umana, come l'introduzione dello sperma nella vagina, l'avanzamento degli spermatozoi attraverso l'apparato genitale, la capacitazione degli spermatozoi una volta eiaculati e la fecondazione dell'ovocita da parte dello spermatozoo[1]. Le ART non sono comunemente considerate metodi terapeutici poichè esse non possono curare l'infertilità: il paziente sterile che ha un problema come una alterazione del testicolo o le tube di fallopio occluse avrà ancora lo stesso problema organico dopo l'uso delle ART. Le ART sono classificate relativamente al luogo in cui avviene la fecondazione: • all'interno del corpo • fuori dal corpo Le ART all'interno del corpo sono quelle che vengono praticate all'interno del sistema riproduttivo femminile e possono essere classificate come segue: AI: Inseminazione Artificiale DIUI: Inseminazione Intrauterina Diretta IPP: Inseminazione Intraperitoneale ESIPT: Trasferimento Intraperitoneale dell'Ovocita e dgli Spermatozoi GIFT: Trasferimento nelle tube di fallopio dei Gameti L'AI consiste nell'introduzione degli spermatozoi per mezzo di un catetere nella vagina della donna, attraverso il canale cervicale, e nell'utero. Quindi l'arrivo degli spermatozoi e la fecondazione avviene come avverrebbe in un normale processo biologico. La GIFT può essere considerata la più interessante da un punto di vista bioetico: è stato indicata come una alternativa all'IVFE e la sua metodologia può essere riassunta come segue: Induzione di ovocita attraverso iperstimolazione ovarica e ricupero degli ovociti via transvaginale. Quando menzioniamo l'IVFE sottolineeremo questo passo che è cruciale per il successo di questa tecnica. Esso consiste nel ricupero di una grande quantità di ovociti attraverso un'adeguato trattamento ormonale. Le donne in un normale processo fisiologico producono un ovocita ogni 28 giorni. Raccolta e capacitazione degli spermatozoi in mezzi appropriati. Trasferimento. Un catetere contenente l'ovocita e gli spermatozoi raggiunge il segmento ampollare delle tube di fallopio attraverso la vagina, l'ovocita e gli spermatozoi sono separati da una bolla d’aria per evitare la fecondazione all'interno del catetere. Essi sono liberati nella ampolla così che la fecondazione possa avvenire spontaneamente nel sito fisiologico proprio. Nelle ART fuori del corpo, la fecondazione è compiutaal di fuori del sistema riproduttivofemminile: da un punto di vista metodologico, le ART fuori dal corpo possono essere classificate come segue: Tecniche dove non ricorre la micromanipolazione dei gameti: IVFET (FIVET) Fecondazione In-‐Vitro con Trasferimento di Embrione. Tecniche dove ricorre la micromanipolazione dei gameti ICSI Iniezione Intra-‐Citoplasmatica dello spermatozoo Tutte queste tecniche praticate fuori del corpo contemplano la fecondazione in-‐vitro perciò, in ognuna di esse, c'è la possibilità di manipolare o l'inizio di una nuova vita umana o il suo primo stadio di sviluppo[2]. 83 Il ricupero dell'ovocita con una sonda (guidata ad ultrasuoni) attraverso la vagina. L'iperstimolazione ovarica è mirata all'ottenimento del maggior numero possibile di ovociti e implica un precedente trattamento ormonale per indurre una ovulazione multipla. Questo trattamento non è sicuro e possono sopravvenire complicazioni tali che la condizione endocrina della donna deve essere presa sotto stretto riguardo. Inoltre, il trattamento non può essere ripetuto indiscriminatamente. La Laparoscopia non è più usata per il recupero dell'ovocita perché la procedura è invasiva e crea disturbi; essa implica una puntura addominale per accedere alla cavità peritoneale. Nella nuova tecnica un catetere è guidato con ultra suoni al raggiungimento del follicolo ovarico e ella rimozione di alcuni degli ovociti contenuti nell'ovaio. Maturazione in mezzi di coltura degli ovociti estratti. Raccolta e capacitazione degli spermatozoi (processi similari a quelli nelle ART). Co-‐coltura degli ovociti e degli spermatozoi (fecondazione in-‐vitro). Verifica, sotto microscopio, della fecondazione e della segmentazione dello zigote. Selezione degli embrioni più vitali. Questa selezione degli embrioni implica l'applicazione di criteri morfologici quindi, le implicazioni bioetiche sono ovvie. Trasferimento intrauterino di tre embrioni più adatti dopo 2 giorni di coltura. Congelamento e immagazzinamento (crioconservazione) degli embrioni in eccesso nel caso in cui siano necessari per un successivo uso se la procedura non ha avuto buon esito. L'IVFET stimola alcune considerazioni etiche: Nel momento in cui si usa questa tecnica ci sono situazioni in cui gli embrioni umani sono eliminati o scartati invariabilmente. Poiché l'impianto di tre o più embrioni è necessario per raggiungere la maggiore efficacia (è risaputo che sia estremamente improbabile che un solo embrione abbia successo) il destino degli embrioni impiantati che non si sviluppano è la morte. Diverse pubblicazioni dimostrano che è importante per la riuscita dell'impianto dell'embrione nell'endometrio materno una previa identificazione delle molecole di adesione. La formazione di una blastocisti pienamente differenziata, capace di impianto richiede l'espressione di un complesso repertorio di molecole[3]. Dalla fase di pronucleo a quella di blastocisti l'embrione presenta un pattern (una tipologia) di espressione temporale di molecole di adesione cellulare pensate per giocare un ruolo chiave nello sviluppo dell'embrione. Tra queste molecole ci sono la b-‐actina, la b1 e l'a-‐6 integrina, la ZO-‐1 E L'E-‐ Caderina[3]. Queste molecole di adesione della cellula e altri fattori come le citochine giocano un importante ruolo nel sincronizzare lo sviluppo dell'embrione[4]. In un processo di IVFET nel primo stadio di sviluppo dell'embrione può non ricorrere l'identificazione delle molecole descritta sopra dalla madre che avrà in gestazione l'embrione. La mancanza di controllo dell'impianto rimane come maggiore ostacolo alla riuscita della gravidanza. Durante la finestra d'impianto l'endometrio è altamente ricettivo all'embrione[5]. Comunque, se l'embrione è stato generato al di fuori del corpo della donna, il processo di riconoscimento e più difficile e perciò più di un embrione dovrebbe essere trasferito nell'utero al fine di ottenere almeno un impianto. In diverse occasioni, due su tre embrioni trasferiti muore. Una delle ragioni del basso successo dell'impianto nel caso di trasferimento di un solo embrione è l'assenza di riconoscimento dalla madre delle molecole di adesione cellulare che l'embrione manifesta dalla fase di pronucleo. In fine, il congelamento degli embrioni eccedenti implica, nel caso in cui essi non siano stati impiantati, una situazione che si verifica con tutta probabilità, o la loro distruzione o il loro uso sperimentale. L'ICSI consiste in un ulteriore sviluppo dell'IVFET ed è praticata attraverso la inserzione meccanica degli spermatozoi, il loro nucleo o le cellule spermatiche immature (spermatidi) all'interno dell'ovocita. 84 Per la manipolazione dei gameti sono necessari pipette e aghi molto sottili. Questi mezzi sono maneggiati da strumenti che permettono movimenti nella sfera di micron (micromanipolazione). Questi strumenti facilitano la più profonda penetrazione dello spermatozoo all'interno dell'ovocita. Nella ICSI, la fecondazione è ottenuta per mezzo di una maggiore manipolazione rispetto alla IVFET tradizionale poiché lo spermatozoo è direttamente introdotto nell'ovocita attraverso una microiniezione intracitoplasmatica; in questo modo spermatozoi che non avrebbero mai dato origine ad una fecondazione, a causa delle loro deficienze, sono forzati a penetrare l'ovocita. L'ovocita da fecondare galleggia in un mezzo di coltura. Attraverso una leggera aspirazione viene immobilizzato e tenuto fermo al centro della coltura; per evitare danni alla cellula viene utilizzata una micropipetta smussata. Dopo, e sotto microscopio, il solo spermatozoo contenuto in una micropipetta capillare è microiniettato e introdotto perforando attraverso la zona pellucida dell'ovocita. Il gamete maschile è posizionato nel citoplasma dove i rimanenti passi della fecondazione (formazione dei pronuclei maschile e femminile, singamia ecc.) avverrà spontaneamente. Una volta che è stata effettuata la micromanipolazione, gli ovociti fecondati sono coltivati per alcune ore e i rimanenti passaggi dell'IVFET sono completati (verifica della segmentazione, selezione degli zigoti…), allora, diversi embrioni vengono trasferiti nell'utero e il resto vengono congelati e conservati. Questa metodologia nell'IVFET è usata negli uomini che hanno un deficit nella produzione degli spermatozoi (oligospermia) e quelli con un disturbo della mobilità degli spermatozoi. Il primo buon esito si è avuto nel 1988. Al giorno d'oggi, la microiniezione è praticata anche su cellule più immature (spermatidi) quando la patologia riproduttiva non permette una normale maturazione dello spermatozoo. Per ottenere gli spermatidi è necessaria una biopsia del testicolo, poiché queste cellule non lasciano mai il testicolo. Nell'ICSI, l'efficienza del processo è intorno al 12-‐14%, vale a dire, molto simile all'IVFET convenzionale. In entrambi i tipi di tecniche si può distinguere: -‐La fecondazione omologa se entrambi i gameti vengono dal marito e dalla moglie o da una copia che decide di sottoporsi ad un processo di IVFET. -‐La fecondazione eterologa quando, alla fine, almeno, uno dei gameti proviene da un donatore diverso dagli sposi o dalla copia. Ci concentreremo sulle considerazioni bioetiche delle tecniche che sono effettuate al di fuori del corpo. Tutte le considerazioni etiche devono essere date sotto un certo sistema di riferimento e tre significativi campi di riferimento[6]: Le caratteristiche sessuali umane La famiglia Lo statuto ontologico dell'embrione umano Non analizzeremo il primo campo ma possiamo dire che nella pratica della fecondazione in vitro due aspetti della sessualità umana sono separati (il rapporto sessuale e la fecondazione) perciò, conseguono alcune considerazioni etiche. Non guarderemo alla materia del secondo campo, comunque, il fatto che il bambino sia inserito all'interno di una famiglia dall'esterno necessita un'attenta considerazione. Quando il bambino proviene da una fecondazione eterologa è anche peggio perché egli è privato della conoscenza delle sue origini. Nell'attuare queste ultime tecniche è data una considerazione assai ridotta all'embrione umano e al suo statuto antropologico[7]. 85 L'embrione umano va dall'essere un dono all'essere considerato come un prodotto. La selezione naturale dello spermatozoo che feconderà l'ovocita non avviene. Sia gli ovociti che gli spermatozoi sono selezionati. In alcune occasioni, l'ovocita è fecondato da spermatozoi immobili, situazione che non si verifica mai in un normale processo fisiologico. Questo può causare più tardi patologie sul bambino,come sterilità o malattie genetiche. Fondamentalmente, questo processo implica una più grande aggressione nella manipolazione della fecondazione. Usare spermatozoi anomali per fecondare ovociti è una via di manipolazione del processo di selezione biologica, e facilita la persistenza e la trasmissione di caratteri ereditari negativi, tra gli altri, anomalie germinali responsabili dell'infertilità che si sta cercando di superare. Inoltre, ciò mette le basi psicologiche per la perdita della sensibilità sociale e individuale nei confronti della sperimentazione sull'embrione umano, e futuri esperimenti sulla clonazione, partenogenesi, esperimenti chimerici, ecc. possono diventare una realtà. • L'embrione non è concepito come un risultato di un sublime atto d'amore e di donazione privato ma come un sublime atto tecnologico[8]. • Poiché l'embrione generato in vitro non si trova nel suo ambiente adatto: l'utero di sua madre, egli è facilmente non protetto e suscettibile di ogni sorta di manipolazione. • Nelle differenti fasi del processo di fecondazione in vitro c'è, indubbiamente, una dannosa interferenza nell’integrità organica dell'embrione: la selezione degli embrioni più vitali implica la distruzione degli altri; il trasferimento di 3 o 4 embrioni implica l'eliminazione o il congelamento dei rimanenti. Diverse volte nel caso di gravidanze multiple, tutti gli embrioni eccetto uno sono strategicamente abortiti (un processo noto con l'eufemismo di "riduzione embrionaria"). Non si può dimenticare la significativa percentuale più alta di aborti spontanei nell'IVFET paragonata a quella delle normali gravidanze. • Sugli ultimi trent'anni, alcuni studi eseguiti e relazioni su molteplici casi hanno valutato la sicurezza dei farmaci per l'induzione dell'ovulazione e i rischi associati al loro uso[9]. Questi comprendono una più alta percentuale di malformazioni[10] congenite, ed effetti potenzialmente cancerogeni nelle donne più di quanto ci si aspetti[11]. Diversi casi di patologie maligne associati all'IVFET sono stati riportati nella letteratura. Riguardo ai disturbi congeniti osservati nei bambini che sono stati concepiti con l'IVFET è interessante prendere in considerazione che tre recenti studi riportano una alta incidenza della Sindrome Beckwin-‐Wredemann (BWS) nei bambini concepiti attraverso le ARTs. Sei casi su dieci sono stati riportati da un registro BWS inglese. Gli stessi numeri sono stati registrati in un registro Francese e altri sette bambini sono stati riportati negli USA[12]. Questa frequenza è straordinariamente alta per una tale rara condizione congenita e tale scoperta che richiama alla mente le relazioni di casi sporadici di disordine dell'imprinting. Anche la Sindrome d'Angelo è stata collegata alle ARTs. Cos'altro ancora? Sono necessari ulteriori studi eseguiti su bambini concepiti con le ARTs, compreso il controllo dei difetti di nascita, di sviluppo e il cancro. Saranno necessari studi che riguardino il futuro e siano multicentrici, e dovrebbero comprendere la caratterizzazione molecolare delle anomalie epigenetiche, compreso lo stato di metilazione delle regioni di controllo dell’imprinting all’interno dei clusters dei geni imprinted. Riguardo l'incidenza del cancro nei bambini nati dopo una fecondazione in vitro è necessario ricordare che c'è un numero di casi registrati di neuroblastoma in bambini concepiti dove sono stati necessari farmaci per la fertilità. Un recente studio nei Paesi Bassi (dove ogni anno 3000 donne sono trattate con l'IVFET) suggerisce che un rischio relativo di sviluppo di neuroblastoma in bambini concepiti con l'IVFET è significativamente aumentato[13]. Nella letteratura possiamo trovare anche casi di tumore cerebrale congenito in bambini nati in seguito all'IVFET (i tumori cerebrali congeniti sono assai rari)[14]. • • 86 Comunque, la letteratura mostra anche pubblicazioni che affermano che i bambini concepiti usando l'IVFET e le relative procedure non hanno una incidenza di cancro significativamente aumentata (es. 4.33 casi supposti e sei osservati) in confronto con la popolazione generale[15]. La valutazione della salute a lungo termine dei bambini nati attraverso l'IVFET fornirà importanti informazioni ed è assai necessario promuovere la ricerca in quest'area della medicina. • Una drammatica conseguenza della fecondazione in vitro è il congelamento degli embrioni in sovrannumero. Questa tecnologia ferma il metabolismo dell'embrione per un periodo di tempo indeterminato, condannandolo a rimanere in una fiala di plastica all'interno del freezer fino a quando è scongelato per la distruzione o impiantato nell'utero. Oggigiorno, c'è un crescente interesse nel dibattito sul futuro degli embrioni congelati dovuto al fatto che le loro cellule integrate (cellule staminali embrionali pluripotenti) possono essere usate per la ricerca sulla loro differenziazione in diversi tipi di cellule tessutali. d) Dal 1998 vediamo differenti pubblicazioni che mostrano che addizionando diversi fattori di differenziazione e crescita alle cellule staminali pluripotenti che integrano la massa interna della blastocisti queste cellule possono essere differenziate in vari tipi di tessuto[16]. Questo fatto apre la porta alla possibilità di scongelare gli embrioni umani congelati con lo scopo di ottenere le loro cellule staminali embrionali per la ricerca. Poiché le cellule staminali embrionali sono parti costitutive dell'embrione, la procedura usata per ottenerle si risolve nella morte dell'embrione. La soluzione del dilemma sul futuro degli embrioni congelati non è facile, ed in ogni caso non sarà eticamente corretta poiché un serio disordine morale è stato già fatto. Il processo di congelamento è ovviamente dannoso per l'embrione: il congelamento e lo scongelamento possono danneggiarlo e anche ucciderlo. Nondimeno, è impossibile stabilire un periodo di tempo della sopravvivenza dell'embrione in un freezer. È possibile conoscere lo stato dell'embrione solo una volta che viene scongelato. Da un lato, l'embrione non può vivere al di fuori dell'utero oltre il suo stadio di blastocisti. Questo è il motivo per cui lo scongelamento dell'embrione senza il successivo trasferimento nell'utero della madre è un deliberato atto di eliminazione. Sullo scongelamento dell'embrione, tre situazione possono presentarsi: L'embrione è morto o muore nel processo di scongelamento. L'embrione non è vitale o non ha una vita integrata. L'embrione è vivo e vitale. Gli embrioni nel terzo caso, hanno la possibilità di sviluppo solo se essi vengono trasferiti nell'utero. Questa realtà apre la porta all'adozione prenatale (o donazione dell'embrione) come una alternativa per assicurare lo sviluppo della vita "sospesa" degli embrioni congelati[17]. • La diagnosi pre-‐impianto, che è stata affermata per gli embrioni di cui si sospetta una patologia genetica, implica una aggressione contro l'embrione che può provocare la sua morte, e conseguentemente l'eugenetica di quegli embrioni che non superano "l'esame di qualità". • Le modalità eterologhe praticate al di fuori del corpo hanno anche una più negativa implicazione bioetica rispetto alle omologhe, poiché nel primo il diritto del figlio di conoscere i suoi genitori biologici non è considerata. La situazione può anche diventare peggiore quando le tecniche al di fuori del corpo contemplano la possibilità di impiantare l'embrione in una madre surrogata. Le implicazioni psicologiche non sono meno importanti di quelle etiche: l'anonimato dei genitori biologici e perciò la "segretezza" sull'origine del figlio, possono minare l'intera relazione 87 familiare. I figli possono sentirsi traditi dai loro genitori o anche sentire che questi non sono i suoi veri genitori. • C'è una relazione tra le diverse tecniche di clonazione e quelle di riproduzioneassistita al di fuori del corpo. Poiché la fecondazione in vitro ha luogo al di fuori del corpo della madre, ciò permette la manipolazione dello zigote al fine di ottenere una sua moltiplicazione asessuata. Ci sono diverse ragioni perché la clonazionepossa essere inclusa in alcuni dei protocolli dell'IVFET; vediamone alcuni tra i più rilevanti: • Una potenziale applicazione della clonazione con la bipartizione potrebbe essere la generazione di embrioni multipli per il loro successivo impianto dopo l'IVF. Al fine di migliorare il successo dell'IVFET, solitamente 3 o 5 embrioni sono impiantati. Clonando solo il necessario numero degli embrioni, solo gli embrioni esatti sarebbero generati, potremmo evitare il congelamento degli embrioni e anche la ripetizione dell'iperstimolazione nel caso che un’iniziale fase dell'IVFET fallisca. • Un'altra probabile applicazione sarebbe la possibilità di ottenere una parte di materiale che è geneticamente identico all'embrione al fine di studiare dei possibili difetti genetici. Sarebbe come ottenere copie di un originale. Queste copie hanno anche i possibili difetti. Perciò, lo studio e la diagnosi sarebbe condotta "facilmente"[18]. • Soddisfare il desiderio di quei genitori che vogliono un bambino gemello di uno avuto in precedenza ottenuto attraverso la IVFET istituendo una banca di bambini clonati in cui i genitori possono scegliere le caratteristiche genetiche desiderate dei loro figli. In conclusione, e prendendo in considerazione tutte le prove oggettive e scientifiche, si è mostrato che le tecniche di IVF compiute sull'embrione producono conseguenze negative; l'embrione umano è ridotto ad un prodotto e non ha più una finalità in se stesso corrispondente al suo statuto personale. L'embrione umano è senza protezione e vulnerabile alle pratiche di aborto, sperimentazione, congelamento e manipolazione. 88 [1] JONES, H.W. Y SCHRADER, C., “In-‐Vitro Fertilization and Other Assisted Reproduction”, Annals of The New YorkAcademy of Sciences, (1988) vol. 541, Nueva York. [2] SANTAMARÍA, L., “Técnicas de reproducción asistida: reproducción sexual”, Curso de educación para la salud: vida humana y bioética. PEREA QUESADA, R., (1997) cap.9, pp.293-‐318. Universidad Nacional de Educación a Distancia y Fundación Universidad-‐Empresa. Madrid, España, 1ª ed. 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Nelle riviste mediche la fertilizzazione in vitro, e le tecniche e le procedure ad essa associate (congelamento di gamete ed embrione, diagnosi genetica ed impianto, donazione di gameti ed embrioni, maternità surrogata), sono presentate come il risultato di una ricerca audace e come la forza motrice che aprirà nuovi orizzonti scientifici. Al contrario si parla assai meno degli aspetti negativi delle ART. Nella letteratura medica non è facile trovare dati sui fallimenti – biologici, psicologici o familiari-‐ prodotti dalle ART. Solo occasionalmente sono pubblicate notizie sui danni emozionali e sul disagio finanziario delle coppie. Praticamente non si parla mai della perdita di significato sofferta da istituzioni di importanza fondamentale, come la famiglia o la genitorialità, o del modo in cui gli embrioni umani sono stati ridotti, dalla condizione di figli amati, a quella di oggetti dei quali si può disporre. Purtroppo gli effetti preoccupanti delle ART non sono confinati al campo della medicina riproduttiva. Le ART esercitano un'influenza inquietante su tutta la medicina e stanno modificando gli obiettivi e i doveri generali dei medici. Alcune tra le tradizioni e i valori professionali più importanti della medicina sono incrinati dalle richieste più svariate dei clienti e dall’ossequiosa sottomissione dei medici. La pratica delle ART sta sfumando i confini tra altruismo e commercio, sana emulazione e rivalità aggressiva, doverosa competenza e arrogante virtuosismo, bisogni sociali e capricci individuali. In questo scritto proverò ad offrire un elenco provvisorio delle conseguenze delle ART sugli obiettivi della medicina e sui doveri dei medici. Ritengo più consono al carattere introduttivo di questo contributo seguire un approccio descrittivo ed enumerativo, piuttosto che sistematico. La ragione è semplice: la critica professionale nei confronti delle ART è ancora ad uno stadio iniziale di sviluppo. Devono passare altri anni prima di comprendere l'estensione e la varietà delle deviazioni e delle conseguenze negative che possono derivare da un uso pragmatista delle ART. Conformemente alla sua enfasi sugli aspetti professionali ed etici del problema, questa trattazione si baserà quasi esclusivamente sulla bibliografia medica. Gli argomenti affrontati corrispondono a situazioni reali, non a scenari immaginari. GLI OBIETTIVI E I DOVERI DELLA MEDICINA Non è un compito facile sintetizzare in poche righe il giudizio standard sugli obiettivi e i doveri della medicina. Le difficoltà sono anche maggiori in un'epoca in cui quasi tutti gli aspetti della vita umana sonomedicalizzati e la linea divisoria tra salute e malattia sembra cancellata sotto le pressioni del consumismo e della dialettica del potere del paziente. Già 20 anni fa, Kass[1] poteva affermare che "tutti i tipi di problemi bussano alla porta del dottore, dai corpi umani che si curvano ai suicidi, dalla sterilità non voluta alle gravidanze indesiderate, dalle difficoltà 91 matrimoniali alle difficoltà di apprendimento, dal consultorio genetico all'uso di stupefacenti, dalla pigrizia al crimine". Una situazione così strana deve essere affrontata per provare ad identificare gli elementi principali della vocazione medica. Per raggiungere questo scopo possono essere seguiti differenti approcci. Il primo parte dalla normativa medica e, in particolare, dai codici di etica medica e delle associazioni mediche nazionali, i quali tradizionalmente hanno definito molti degli obiettivi e dei doveri dei medici. In quasi ogni codice di etica medica è usualmente offerta una descrizione dei principali aspetti della vocazione medica come votata a curare la malattia, sollevare il dolore e la sofferenza, promuovere e mantenere la salute, preservare la vita. Tutti questi elementi sono sostenuti dal rispetto della dignità di ogni essere umano, senza discriminazione, in tempo di pace come in tempo di guerra[2]. Il secondo definisce gli scopi e doveri dei medici come il risultato dell'esercizio dell’autonomia e dell’autodeterminazione in base al concetto di professione. Negli anni recenti e specialmente nel campo della medicina interna, è stato portato avanti un chiaro sforzo per recuperare gli antichi e permanenti valori della medicina ed adattarli ai nuovi tempi. E’ impressionante lo sforzo di numerosi gruppi indipendenti di recuperare il senso e lo spirito della professionalità medica[3]. Nel terzo gli obiettivi della medicina e i doveri del medico possono essere dedotti dalla moralità intrinseca della medicina, fondata su un incontro clinico tra medico e paziente[4]. Dalla struttura di questo incontro Pellegrino ritiene possibile far derivare la comprensione dell’essenza dei doveri professionali, libera da sovrastrutture esterne. Sebbene alcuni abbiano criticato questo approccio, esso permette di offrire e di sviluppare un'etica che informa e fortifica i doveri, le virtù e gli obblighi dei medici qua medici. In medicina, si applica in pieno il primum principium di tutta l'etica (fare il bene ed evitare il male). Secondo Pellegrino, nella dovuta considerazione degli elementi particolari presenti nell'incontro clinico, si scopre che il bene del paziente è "un bene quadripartito, un’interrelazione complessa tra il bene medico, personale, umano e spirituale, gerarchicamente ordinati". Dal mio punto di vista, con l’aiuto di questi elementi basilari derivati dalla moralità intrinseca della medicina, è possibile tentare un’analisi critica del nostro problema. LA RESA DELLA MORALITÀ PROFESSIONALE ALLE IDEOLOGIE La normativa sull’etica professionale, i classici codici di comportamento o i recenti manifesti professionali si esprimono in modo vario sulle ART. Nel complesso non sembrano adatti per la nostra analisi. La ragione principale di tale inadeguatezza non è legata solo al modo estremamente vario con cui trattano la materia (si va dal silenzio alle norme contraddittorie contenute all’interno dello stesso documento). Dipende piuttosto dal fatto che esse sono sottomesse all’opinione sociale più in voga o alla visione politica dominante. In queste norme reali considerazioni etiche sono veramente scarse o completamente assenti. La ragione del vuoto etico risiede forse nel fatto che tali norme sono il risultato delle discussioni necessarie per raggiungere un consenso, nelle quali solide convinzioni etiche devono essere sacrificate all’opinione della maggioranza. Sotto gli imperativi dell'ideologia scientista, delle richieste di mercato e del profitto finanziario, le ART, permissive e scarsamente regolamentate, hanno ricevuto un’approvazione entusiasta da parte di molte istituzioni mediche. Frequentemente sono state dichiarate un servizio medico importante per alleviare la sofferenza delle coppie sterili, ovvero uno strumento efficiente per prevenire disordini genetici. Particolarmente inquietante, in virtù della sua autorevole e ampia influenza, è la dichiarazione sulle ART da parte della Associazione Medica Mondiale[5]. 92 In alcuni Paesi la normativa deontologica professionale si è sottomessa come serva obbediente alla legislazione generale dello Stato[6]. In altri, come in Italia, durante i molti anni di assenza di una regolamentazione legislativa, il codice di deontologia medica ha rappresentato il solo indicatore morale per la pratica delle ART[7]. Solo poche organizzazioni mediche hanno espresso una critica di tipo etico nei confronti delle ART e ristretto il loro uso a limitate indicazioni[8]. In nessun codice o regolamentazione nazionale o sovranazionale ho potuto trovare norme etiche congruenti con la dottrina espressa dall'Istruzione Donum Vitae della Congregazione per la Dottrina della Fede. Una scoperta sconcertante in molti documenti è l'incoerenza tra il principio di rispetto per la vita umana e dignità delle persone, proclamato nelle righe introduttive, e il modo distorto con cui viene approvata, con un linguaggio attentamente scelto e politicamente corretto, l'intera gamma delle ART. Il perenne imperativo medico -‐ cura la malattia e allevia la sofferenza nel rispetto della vita e della dignità umana, senza discriminazione -‐ è stato snaturato con il proposito di metterlo al servizio del forte e del potente e a disprezzo del debole. Tre fattori sono stati responsabili di tale regressione. Primo, il ruolo maggiore giocato dalla legislazione nazionale o dalle linee guida professionali internazionali nella produzione di regolamentazioni nazionali o locali in materia di ART. Secondo, l'influenza esercitata da pressioni ideologiche ed emotive esercitate dai media, che hanno trasformato la mentalità e il cuore della società e, purtroppo, anche di molti medici. Terzo, il fatto che i membri delle commissioni, consultive o legislative, incaricate di redigere le linee guida etiche o le proposte di legge, sono spesso di parte[9]. Ne è derivato che dalla metà degli anni ‘80 numerose linee guida professionali sulleART hanno abbandonato l'etica intrinseca alla medicina per conformarsi servilmente ad una visione utilitaristica. I temi cruciali del rispetto assoluto dovuto all'embrione umano vivente e ai valori fondamentali della famiglia e del matrimonio, sono stati vittime di una resa etica senza precedenti. PRIMUM NON NOCERE: IL PRIMO MANDATO PROFESSIONALE TRASGREDITO Si dice che il mandato "non nocere", incluso nel principio di non maleficenza, sia il più basilare dei principi di bioetica applicati alla medicina. E’ anche il primo e il più antico precetto deontologico per il medico. Esso impone il dovere di non infliggere deliberatamente un danno al paziente e di prevenire un danno ad altri. Nel giuramento ippocratico il dovere di preservare i malati dal danno e dall'ingiustizia è strettamente legato al dovere di mettere in atto misure mediche per il loro beneficio, di fare loro il bene sempre. Questo dovere generale di non maleficenza verso il malato si concretizza in regole più specifiche ed immediate, tra le quali è facile identificare quelle di non uccidere, non causare dolore, non mutilare, non ferire, non privare gli altri dei beni e delle gioie della vita. E, non meno importante, l’ultimo di questi precetti, non privare chi è debole ed abbandonato della sua dignità di uomo. In contrasto con precetti tanto elementari ed essenziali per la moralità della relazione medico-‐ paziente, troviamo spesso che il rapporto dei medici con gli embrioni umani mostra una mancanza di rispetto quasi completa. La considerazione per l’individuo embrione umano è così bassa che di fatto è rifiutato come privo di senso il pensiero di considerare la morte dell'embrione umano in vitro come una vergogna dal punto di vista etico. Questa è un’ottusa condotta priva di professionalità Le persone che praticano le ART agiscono come se avessero dimenticato la forte connessione che esiste tra il principio medico base di non nuocere e la morte o la perdita degli embrioni che essi producono e manipolano. Pertanto, sono ritenuti materia di poco conto, materia di tutti i giorni, 93 comportamenti come la produzione intenzionale di embrioni soprannumerari per il semplice profitto tecnico, il dramma dell’abbandono da parte dei loro produttori o progenitori, la loro distruzione in ricerche più o meno interessanti e la sconvolgente immolazione annuale di embrioni scaduti ordinata dalla legge. Osserviamo alcuni esempi di tale perdita di interesse per l'embrione umano in fase iniziale di vita. Negli anni recenti è maturato ovunque in medicina un sincero interesse a prevenire il danno evitabile ai pazienti. Uno sforzo coordinato è stato portato avanti dagli ospedali per ridurre il danno iatrogeno ai malati. È evidente oramai che le condizioni di coltura in vitro, e specificamente il difetto nella regolazione epigenetica, possono indurre un grave danno all'embrione. Alcuni dati mostrano che la perdita di embrioni e l'intensità del danno epigenetico aumentano con la durata del periodo di incubazione in vitro. Nessuna ricerca seria è stata fatta per identificare i fattori responsabili di queste alterazioni dello sviluppo in funzione della durata della coltura in vitro degli embrioni umani. Il danno indotto è visto o come un evento inevitabile o come una sorta di selezione darwiniana, con la sua ineluttabile perdita degli embrioni più deboli e la sopravvivenza di quelli più forti. Con una calma olimpica è stato detto che tutte queste perdite e danni sono compensati da una frequenza più alta di impianti di blastocisti rispetto al distacco degli embrioni. C'è bisogno di considerare con seria professionalità i danni inflitti agli embrioni umani a causa delle ART. Gli enormi danni a livello fisico, psicologico, o sociale generati nei bambini così concepiti dovrebbero essere studiati più accuratamente di quanto non avvenga attualmente[10]. Un campo di estremo interesse è quello delle alterazioni della riprogrammazione dell'imprinting genitoriale che si verifica durante le fasi precoci dello sviluppo embrionale[11], quando ci può essere un’interferenza a causa delle anormali condizioni in vitro o di un’ insufficiente regolazione epigenetica. Un primo allarme si sta diffondendo a motivo di un’aumentata prevalenza di casi di sindrome di Beckwith-‐Wiedemann[12] e di sindrome di Angelman[13] in bambini concepiti tramite fertilizzazione in vitro o iniezione intracitoplasmatica di sperma. IL DISDEGNO PER LA VITA UMANA IN FASE INIZIALE C'è un enorme contrasto tra l'amore e la gioia per ogni nuovo e singolo essere umano, espresso nella prima pagina dell'Enciclica Evangelium Vitae, e l’atteggiamento indifferentemente verso la vita umana così ampiamente diffuso tra coloro che lavorano nell'industria delle ART. Nelle ART le procedure formalizzate di ispezione, conteggio, attribuzione di un punteggio e selezione degli embrioni umani sono il surrogato dell’amore incondizionato verso ogni essere umano. L'applicazione di standards quantitativi per misurare caratteristiche biologiche al fine di un eventuale rigetto di embrioni umani defettivi, si scontra frontalmente con l'idea del valore incomparabile e dell'accettazione di ogni essere umano dall’inizio della propria esistenza. Il punteggio secondo scale di marcatori morfologici o biochimici più intuitive che testate scientificamente, è ritenuto sufficiente per classificare gli embrioni umani in lotti legati a destini spaventosamente differenti, alla vita o alla morte. Lo scarto di esseri umani fa parte della routine giornaliera delle ART. Con il passare del tempo, la selezione e la disposizione degli embrioni è divenuta per medici e tecnici un'abitudine priva di interesse e ripetitiva, una fredda routine. 94 LA FINE DEL RISPETTO DOVUTO ALL'EMBRIONE UMANO. Nello spirito di molti medici che esercitano le ART non sembra rimanere traccia della promessa nella quale si sono impegnati al momento dell’ammissione a membri della professione, di conservare il massimo rispetto per la vita umana[14]. Questa affermazione è espressa nella Dichiarazione di Ginevra, la moderna versione del Giuramento di Ippocrate, adottata dall’Associazione Medica Mondiale successivamente alla seconda guerra mondiale. La professione medica ha assunto la Dichiarazione come il proprio riferimento etico, per proclamare pubblicamente che la medicina è fondata sul rispetto della vita umana e dei pazienti umani. Secondo la Dichiarazione, l'embrione umano ha diritto allo stesso rispetto etico assoluto sin dalla sua origine. La stessa affermazione che l’embrione umano deve essere rispettato come una persona sin dal reale inizio della sua esistenza è stata reiterata più d'una volta nei documenti del Magistero che trattano lo statuto morale dell'embrione e il rapporto embrione/genitori ed embrione/dottore[15]. Tuttavia rincresce osservare che praticamente tutte le direttive etiche provenienti da istituzioni governative o scientifiche hanno insistito sul concetto che l'embrione umano è degno solo di un rispetto relativo o di seconda classe. La diminuzione del valore morale dell'embrione umano non è stata opera dei proponenti delle ART.Nei primi anni ‘60 alcuni medici e teologi di mentalità pragmatica sentirono il bisogno di rendere neutro dal punto di vista etico l'embrione di pochi giorni, al fine di liberare la contraccezione intercettiva di ogni responsabilità morale. Tale pretesa richiese la ridefinizione del concepimento come differente dalla fertilizzazione e lo spostamento dell'inizio della gravidanza dal momento della fertilizzazione al completamento dell'impianto. Anni dopo, i sostenitori delle ART e della ricerca sull'embrione umano, trovarono rifugio nella concezione di valore minore dell'embrione durante le prime due settimane di vita, per giustificare la perdita di innumerevoli embrioni umani in procedure cliniche o sperimentali collegate alle ART. In molti ambienti è ritenuto assiomatico che l'embrione umano acquisisca umanità e diritti in modo graduale. L'ampia accettazione di un'idea tanto deviante è stata facilitata dall'introduzione del neologismo "pre-‐embrione", una nozione applicata solo all'embrione umano, ed a nessun’altra specie. Questo termine inventato pretende di diffondere che durante il periodo pre-‐ embrionale di quattordici giorni, l'embrione umano molto precoce non ha diritto al massimo rispetto etico ma ad un indeterminato "profondo rispetto"[16] o ad "un certo rispetto".[17] Nei Paesi in cui legge nazionale non condanna la produzione illimitata di embrioni per usi clinici o la distruzione del surplus di embrioni per fini sperimentali molte associazioni mediche hanno accettato la divisione ontologica del genere umano in due categorie. Una formata da quelli degni del massimo rispetto; l'altra costituita da quelli che possono essere uccisi con profondo rispetto. Tale comportamento è stato considerato un caso paradigmatico di profondo auto-‐inganno[18] ed è stato rifiutato da altre associazioni mediche. Per esempio il Codice di Etica dell'Organizzazione Medica Spagnola afferma che "l'individuo umano embrione o feto deve essere trattato secondo le stesse linee guida etiche che vengono applicate agli altri pazienti " [19]. L’abolizione del rispetto dovuto all’embrione umano o la riduzione ad un rispetto vagamente profondo o misurato, costituisce un duro colpo ai valori morali della professione medica. Un gran numero di associazioni mediche nazionali ha rinunciato all’impegno di rispetto assoluto ed incondizionato per ogni essere umano, come rivela una review dei loro codici di etica. Questo cambiamento del rispetto dovuto all’embrione umano, da assoluto a relativo, sta giocando un ruolo negativo importante nel modo in cui sono considerati gli embrioni umani. La gente comune li considera più come oggetti che come simili; i genitori li giudicano più come cose che come figli. Ciò non rappresenta un sottile cambiamento privo di significato. Dovrebbe ricordarci piuttosto 95 quel sottile cambiamento nella posizione dei medici riguardo la dignità della vita umana che, come afferma Alexander, ha preceduto il movimento dell’eutanasia in Germania. [20]. L'EMBRIONE UMANO: UNA COSA, NON UN FIGLIO DEI SUOI GENITORI Il nucleo centrale della professione medica, ciò che definisce il carattere e la professionalità dei medici, risiede nel fatto che i medici hanno a che fare con uomini e donne, non oggetti o animali. Una caratteristica peculiare delle ART è questa: il primo incontro tra genitori e dottori è pieno di tensione umana. Non inizia mai con i genitori che dicono: dottore ci produca alcuni embrioni, ci faccia un mucchio di embrioni! Piuttosto comincia quasi sempre con una supplica dei genitori al medico, che dicono: dottore noi vogliamo un bambino! Per favore ci aiuti! In una relazione veramente professionale, una richiesta così veemente dovrebbe determinare il comportamento del dottore, e demarcare i limiti etici del suo intervento. Il medico non dovrebbe dimenticare che ognuno degli embrioni prodotti nella pratica delle ART è un bambino dei suoi genitori, non una sua creatura o una sua proprietà. Questo concetto aiuta a comprendere che nelle ART c'è un modo realmente umano di esercitare la paternità responsabile se, e solo se, la decisione di quanti embrioni creare e la responsabilità del destino di ognuno di loro appartiene ai genitori e non al medico[21]. Troppo frequentemente genitori e medici dimenticano che ogni embrione è un bambino da ricevere come un figlio o una figlia amati e accettati. Non deve mai essere trattato come informe materiale riproduttivo, come un precursore di valore ma amorfo ed intercambiabile, o come qualcosa di disponibile e provvisorio, che può essere accettato o rifiutato in vaghe circostanze giuridiche. All’origine delle centinaia di migliaia di embrioni soprannumerari superflui c’è il deciso rifiuto da parte dei coloro che fanno affari nel campo delle ART del fatto che ogni embrione è la progenie di un uomo e di una donna, che gli embrioni umani sono essenzialmente figli. Si deve affermare in modo chiaro che è eticamente brutale e professionalmente irresponsabile portare a questo mondo persone il cui destino non conduce da nessuna parte, la cui esistenza è troncata sin dalla sua reale origine, deliberatamente tradite nella promessa di una vita che fiorisce nella relazione con Dio e gli uomini. Nessuna area della medicina è piagata da una mancanza di responsabilità professionale così schiacciante come la sfrenata produzione di embrioni soprannumerari. E’ una beffa crudele il proclamare gli embrioni umani degni di profondo rispetto e contemporaneamente sostenere come conciliabile con l'etica professionale la decisione di produrli in eccesso. I medici che praticano le ART non si riferiscono mai agli embrioni umani come a figli e figlie. Li considerano campioni biologici di loro proprietà. Nascondono ostinatamente ai progenitori ogni diretta relazione genitoriale con i loro embrioni. Alcune madri vogliono dare un nome agli embrioni quando stanno per essere trasferiti nel loro grembo, ma i medici, per impedire un legame troppo forte tra madre ed embrioni in vitro, scoraggiano una dichiarazione tanto umana. Che gli embrioni umani siano trattati come oggetti è paradigmaticamente reso evidente dai discorsi di un avvocato in un noto caso di scambio di embrioni. Insensibile agli aspetti profondamente umani, professionali e simbolici, l’avvocato ha ridotto il caso ad un semplice problema di natura economica, in cui bisogna negoziare soluzioni per tirare su i bambini, risolvere i conflitti tra i genitori gestazionali e i genitori genetici, garantire i risarcimenti[22]. 96 UNA DISCRIMINAZIONE ARBITRARIA TRA FRATELLI Una delle pratiche più dolorose dal punto di vista etico è la riduzione embrionale. In alcuni centri ART, per ottenere un riconoscimento di efficienza da parte della società, erano usualmente trasferiti un alto numero di embrioni, in modo da ottenere l'impianto di almeno uno. A tale comportamento opinabile ed egoistico, condannato oggi da molte organizzazioni mediche, seguono sfortunatamente un alto numero di gravidanze gemellari con i ben noti rischi associati, (alta frequenza di perdita fetale, ritardo di crescita intrauterina, nascita prematura, malformazioni congenite, basso peso neonatale e morbilità respiratoria e del sistema nervoso centrale). Per impedire i reali pericoli legati alla gravidanza multiembrionaria è stata raccomandata la riduzione embrionale non selettiva. Tale procedura viene eseguita prima della fine del primo trimestre per mettere fine alla vita di uno più embrioni, così da aumentare le possibilità di sopravvivenza degli embrioni rimanenti e proteggere la salute della madre. Una Dichiarazione pubblicata dal Pontificio Consiglio per la Famiglia nel luglio 2000 ha sottolineato un fatto morale veramente fondamentale: poiché ogni embrione deve essere considerato una persona umana e trattato con il rispetto dovuto alla sua eminente dignità, la riduzione embrionale è di fatto l’uccisione di un essere umano innocente. Di conseguenza la riduzione embrionale eseguita per il benessere degli embrioni rimanenti implica un'altra dimensione etica di considerevole importanza psicologica. Quando il medico esegue una riduzione non selettiva, sta distruggendo vite umane guidato da indizi occasionali, quali la posizione più favorevole degli embrioni nell'utero per proseguire la gravidanza, oppure la migliore accessibilità di un fratello rispetto ad un altro a seconda se il medico sia destri mano o mancino. Sulla base di ragioni molto futili decide arbitrariamente chi sopravvive e chi viene sacrificato. Si tratta certamente dell’esercizio di un potere terribile e realmente un giocare ad essere Dio. Queste terribili azioni sono giudicate irrilevanti nelle dichiarazioni sulla riduzione embrionaria pubblicate da alcune associazioni professionali[23]. Le gravidanze multifetali dovrebbero essere dichiarate un comportamento non professionale. Sono motivate dalla mitomania di un alto tasso di gravidanze per ciclo; idolo al quale vengono sacrificati altissimi valori professionali. La brama di salire al primo posto nella classifica dei concorrenti per la notorietà e il guadagno, è considerata una ragione sufficiente per giustificare un comportamento tanto crudele. Recentemente è sorto un movimento per promuovere l'uso del ciclo naturale per l’applicazione delle ART, procedura che potrebbe eliminare non solo i problemi insolubili di embrioni soprannumerari e la e la riduzione embrionaria, ma anche ridurre l'alto costo di cicli stimolati[24]. Questa procedura evita la stimolazione ovarica e i rischi ad essa legati (sindrome da iperstimolazione, multiple gravidanze e nascita prematura). Differenti gruppi di studiosi hanno dimostrato che la fecondazione in vitro (IVF) con ciclo naturale ha un’alta probabilità di gravidanza e un tasso di nati vivi accettabile, tanto da risultare un’alternativa terapeutica efficace e potenzialmente costo-‐efficace per alcuni gruppi di coppie sterili. La IVF con ciclo naturale è meno costosa rispetto al trattamento convenzionale che richiede la stimolazione. Usare i cicli naturali può portare anche a rimpiazzare meno embrioni. L’attuale tendenza ritenere come la migliore procedura il rimpiazzare due embrioni potrebbe preannunciare una tendenza futura a rimpiazzare un solo embrione, fatto che potrebbe avvicinare la IVF a una forma di medicina più ragionevole. 97 LA COMMERCIALIZZAZIONE DELLE ART Esempi non edificanti di avidità e di abuso economico sono stati sempre presenti nella storia della medicina. Tuttavia è tipico dell'ethos medico rifiutare l'idea di medicina come attività a scopo di lucro. Molti Codici Etici di Associazioni mediche europee e latino-‐americane stabiliscono chiaramente che la medicina è una professione dotta che non può essere praticata come un commercio. Negli anni recenti, molte direttive di associazioni mediche hanno ammonito sui rischi per la professione medica di un cambiamento dell’ethos tradizionale di moderati rapporti finanziari con i pazienti, con l’adozione di principi competitivi da piazza del mercato. Tale cambiamento avrebbe effetti devastanti sulle tradizionali consuetudini che, sin dai tempi di Ippocrate, hanno preservato dall’avarizia e dall’egoismo i membri della professione. Deplorevolmente, a causa della particolare situazione emozionale delle coppie che si rivolgono ai servizi di riproduzione e che desiderano un figlio ad ogni costo, le ART sono viste come una specializzazionelucrosa da molti dei medici che le esercitano. La prevalenza degli interessi finanziari nel campo delle ART è dimostrata ovunque dallo scarso sviluppo dell’offerta di questo tipo di servizi da parte di istituzioni no-‐profit pubbliche o private, in contrasto con la fiorente espansione di esercizi a scopo di lucro; dal modo aggressivo e seducente con cui le ART sono pubblicizzate e dalla varietà di tecniche concepite per attirare i clienti e soddisfare i desideri. Il modo in cui le ART sono oggi promosse da alcuni professionisti e da alcune istituzioni è un indice importante della direzione in cui andrà in futuro questa specialità. C'è una diffusa convinzione tra i bioeticisti che il tipo e lo stile della pubblicità promosso da ogni professione determina il modo in cui essa è percepita dai membri di tutta la società. La medicina può essere vista come una vera professione o come un mero commercio. Come afferma un Position Statement dell'Associazione Medica Australiana sulla pubblicità: "la promozione dei servizi medici, come se il provvedere a tali servizi non fosse di più che un prodotto o un’attività commerciale, sta probabilmente minacciando la fiducia pubblica nella professione medica". La pubblicità aggressiva sta corrodendo l'ethos della medicina e trasformando una vocazione votata al servizio del malato in un’attività commerciale guidata dalle regole del mercato, se non dalla sacra auri fames. Oggi la pubblicità non si riduce alla reale e verificabile informazione necessaria ai pazienti per una decisione informata. Essa mostra frequentemente una tendenza consumistica, include dichiarazioni sulla qualità dei servizi offerti e infonde nel pubblico un sentimento di urgenza o di necessità dei servizi promossi. Visitare le pagine di Internet che trattano la fecondazione in vitro è una finestra su un mercato seducente e competitivo. Una pubblicità competitiva è frequente perché è importante che la gente possa scegliere un medico o un centro con credenziali di alta efficienza. Essere ai primi posti nelle classifiche pubblicate da organizzazioni ufficiali o private è la chiave del successo, un’aspirazione che ha un costo molto caro in termini di valori professionali ed etici. Per essere in grado di ottenere alte performance è necessario escludere dai servizi delle ART i candidati non ideali. L'esclusione di pazienti con prognosi scarsa, ignorati o messi da parte al fine di mantenere alti indici di successo, è particolarmente ingiusta. Un altro espediente arrischiarsi in un alto tasso di gravidanze gemellari con la conseguente riduzione embrionale, avvicinarsi al limite della stimolazione ovarica ed estendere il concetto di sterilità per attrarre verso le ART coppie che potrebbero concepire naturalmente[25]. C'è un frequente rifiuto di casi con prognosi peggiore, sebbene vi siano anche centri ART specializzati nel trattamento di casi con una prospettiva riproduttiva assai ridotta. Un fenomeno che si registrava ordinariamente nei primi anni delle ART era la pubblicazione di percentuali di successo gonfiate o l’utilizzo di parametri di scarso significato, ma che erano le 98 esche per i clienti, particolarmente se questi dati erano accompagnati da autodichiarazioni soddisfatte di eccellenza. Questa mancanza di onestà professionale ha costretto i direttori della American Society of Reproductive Medicine a pubblicare un richiamo alla rettitudine e all'integrità[26]. L'altra mancanza di integrità professionale ampiamente accettata deriva dall’abitudine eticamente scorretta di garantire risultati, associati a compensi medici imprevisti, programmi di condivisione dei rischi o offerte di rimborso.Tutte queste pratiche sono contro l'etica tradizionale della medicina e riflettono un atteggiamento volgarmente commerciale in coloro che le promuovono e le usano. Ciò che preoccupa è la tiepida risposta delle organizzazioni professionali di fronte a queste pratiche aberranti[27]. Altre pratiche come la condivisione degli ovociti, un espediente con cui si offre la fecondazione assistita alla donna gratuitamente o a costo ridotto, in cambio di ovociti per il trattamento di un'altra donna[28], possono essere viste come un modo per aggirare la proibizione legale di vendere gameti. Essa è praticata ovunque, ma non può resistere alla critica di essere una forma di sfruttamento, ingannevole e contraria al principio di non commercializzazione del corpo umano. La “sensibilità” imprenditoriale di alcuni promotori delle ART non conosce limiti. I gameti umani sono venduti al migliore offerente. Dicono: "non c'è niente di sbagliato nel fare un'offerta per le uova umane". In conseguenza dello sconfinamento nella pratica tradizionale da parte di imprese commerciali e di gruppi guidati da medicisi è verificato un aumento del costo del compenso del donatore del 500% nell'ultima decade[29]. CONCLUSIONI Nel campo delle ART lavorano persone caratterizzate da sensibilità e modi di pensare molto differenti tra loro. Ciononostante, praticamente tutti sono dominati da un ethos di discriminazione. Appaiono pieni di compassione verso la sofferenza delle coppie sterili, e al tempo stesso mostrano, nella applicazione delle tecniche, una posizione fredda e dura nei confronti della vita umana nascente. Tale disposizione della mente rende praticamente impossibile perseguire i valori peculiari della vocazione medica. Nonostante l'apparenza contraria, in diversi modi, questi individui agiscono senza i valori professionali, umani e spirituali della medicina. Le ART sono un triste ed interessante paradigma del destino problematico della medicina, quando i medici assumono a principi ispiratori del loro lavoro la raffinatezza tecnica, l’abilità commerciale, la lotta spietata per il riconoscimento, ed un’alta remunerazione finanziaria per il loro lavoro. La deviazione dai costumi tradizionali incarnati nel profondo senso di genuina professionalità medica, sta portando gli specialisti delle ART ad una progressiva perdita di impegno etico e, inevitabilmente, di fiducia da parte del paziente. Io sono sicuro che i medici reagiranno contro questa tendenza commercializzante e contro la manipolazione dei sentimenti così profondamente radicata in molti dei medici promotori delle ART. Forse non è lontano il tempo in cui sarà riconosciuta la saggezza della dottrina della Donum Vitae e sarà accettato il suo invito alla speranza: "per comprendere l'incompatibilità tra il riconoscimento della dignità della persona umana e il disprezzo per la vita e l'amore, tra la fede nel Dio vivente e la pretesa di decidere arbitrariamente l'origine e il destino dell'essere umano ".[30] 99 [1] KASS LR. Toward a More Natural Science, New York: Free Press, 1985: 157 [2] CONFERENCE INTERNATIONALE DES ORDRES. Principles d’éthique médicale europèenne, Paris, 1987. http://www.conseil-‐national.medecin.fr/CNOM/. Il Codice della Camera dei Medici Tedeschi (2003) è più esplicito, aggiungendo alcuni punti interessanti: per sua natura, la professione medica è libera, ma non è mai un’attività commerciale, servendo la salute dell'individuo così come quella della società. Essa deve cooperare alla preservazione delle condizioni di vita naturali in vista del loro contributo verso la salute umana. BUNDESÄRZTEKAMMER. (Muster-‐)Berufsordnung, http://www. bundesaerztekammer.de/30/ Berufsordnung/10Mbo/index.html [3] Sono qui riportati i riferimenti solo ad un piccolo campione di queste dichiarazioni, soprattutto per mostrare come siano varie nel loro carattere e scopo. Alcune di esse sono offerte da associazioni mediche nazionali per ravvivare la responsabilità professionale dei loro membri: CANADIAN MEDICAL ASSOCIATION. CMA Policy Statement on Medical Professionalism. http://www.cma.ca/inside/policybase. AMERICAN MEDICAL ASSOCIATION, Declaration of Professional Responsibility: Medicine’s Social Contract with Humanity:http://ama-‐ assn.org/ama/upload/mm/369/decofprofessional.pdf. Altre provano ad incoraggiare l'insegnamento agli studenti di medicina di una moralità comune delle professioni dedicate alla cura della salute, intrisa di un sincero interesse per i diritti dei pazienti: TAVISTOCK GROUP. A shared statement of ethical principles for those who shape and give health care: BMJ 1999;318: 249-‐251. Altre invitano a salvaguardare i valori etici in tempi di dominio tecnologico: CALLAHAN D., ed. The International Project of the HastingsCenter: The Goals of Medicine. Setting New Priorities:HastingsCenter Report, 1996; 26 (6, Suppl.): S1-‐S26. Altre, infine, propongono alcuni ideali globali per il futuro: ABIM FOUNDATION, ACP-‐ASIM FOUNDATION, EUROPEAN FEDERATION OF INTERNAL MEDICINE. Medical Professionalism in the New Millennium: A Physician Charter: Ann Intern Med 2002; 136: 243-‐246. [4] PELLEGRINO E.D., The Internal Morality of Clinical Medicine: A paradigm for the Ethics of the Helping and Healing Professions. J Med Philos 2001; 26: 559-‐579 [5] L'Associazione Medica Mondiale ha adottato il proprio Codice sulla Fertilizzazione In Vitro ed Embrio Transfer nel 1987 a Madrid. Esso contiene un’approvazione quasi incondizionata delle ART, in virtù della loro capacità di alleviare l’infertilità, del loro ruolo nell'evitare alterazioni genetiche, e del loro potenziale nell’avanzamento della ricerca sulla riproduzione umana e della contraccezione. Tutti i possibili usi delle ART (ricerca, donazione, surrogati) sono accettati a condizione di ottenere un consenso informato e libero dalle parti e di rispettare le leggi dello Stato e gli standard della professione. Viene nominato un dovere simbolico di agire sempre nel migliore interesse del bambino che deve nascere. Una seconda disposizione, sugli aspetti etici della riduzione embrionale (Bali, 1995), dopo avere ricordato i pericoli di un alto numero di gravidanze e raccomandato ai medici di prendere tutte le possibili misure per evitare il loro emergere, accetta la riduzione embrionale e fetale come una procedura accettabile in caso di gravidanza che coinvolge più di tre feti quando la prognosi è sfavorevole. Il testo di entrambe le disposizioni può essere visto su Internet all'indirizzo:http://www.wma.net/e/policy/. [6] Questo è il caso paradigmatico della Francia. Qui, l'articolo 17 del codice di deontologia medica (DECRET 95-‐1000, datato 6 settembre 1995) dichiara: "ai medici è consentita la pratica delle ART solo alle condizioni previste dalla legge". [7] Il Codice Italiano di Deontologia presenta come unico obiettivo delle ART la soluzione della sterilità. Nel migliore interesse del bambino, esso proibisce ogni tipo di surrogato o la fecondazione post mortem, l'applicazione alle coppie non eterosessuali e non stabili o alle donne 100 in post menopausa, lo sfruttamento commerciale di gameti, embrioni e tessuti di origine embrionale o fetale, la produzione di embrioni a fini di ricerca. [8] Per esempio, il Codice di Condotta Professionale del Comitato Nazionale di Bioetica (Mexico, 2001) limita la fertilizzazione in-‐vitro al trattamento delle copie infertili sposate. L'uso di embrioni umani soprannumerari per propositi diversi dal loro trasferimento nell'utero è dichiarato un crimine contro i diritti umani. La produzione di embrioni umani per intenti non riproduttivi è giudicata non etica. [9] Un esempio impressionante: l'embriologo C.W. Kisher ha studiato la composizione delle varie commissioni incaricate dalle autorità americane della preparazione di Reports e Linee Guida sulla ricerca sugli embrioni umani. In nessuno di questi comitati e panels è stato mai chiamato un embriologo umano. Secondo Kisher questa circostanza ha impedito che l'opinione qualificata di tali inestimabili esperti fosse conosciuta. KISHER C.W., The Beginning of Life and the Establishment of the Continuum. The Linacre Quarterly 1996; 63 (3): 73-‐78. [10] COHEN C.B., Give Me Children or I Shall Die! New Reproductive Technologies and Harm to Children.HastingsCenter Report 1996; 26 (2): 19-‐27. [11] CLAYTON-‐SMITH J., Genomic Imprintingas a cause of disease. Is increasingly recognised, especially after assisted reproduction. BMJ 2003; 327: 1121-‐1122. [12] MAHER E.R., BRUETON L.A., Bowdin S.C., et al., Beckwith-‐Wiedemann syndrome and assisted reproduction technology (ART), J Med Genet 2003; 40: 62-‐64 . [13] COX G.F., BURGER J., LIP V., et al, Intracytoplasmatic sperm injection may increase the risk of imprinting defects.Am J Hum Genet 2002; 71:162-‐164 [14] ASSOCIAZIONE MEDICA MONDIALE, Dichiarazione di Ginevra. http://www.wma.net/e/policy/c8.htm [15] Alla questione fondamentale su quale rispetto sia dovuto all'embrione umano, in considerazione della sua natura ed entità, l'Istruzione “Donum Vitae” risponde: "l'essere umano deve essere rispettato come una persona fin dal primo istante della sua esistenza". CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE. Istruzione circa il Rispetto della Vita Umana Nascente e la Dignità della Procreazione: Risposte a Certe Questioni Moderne. Parte I. Rispetto per gli Embrioni Umani. L'Enciclica Evangelium Vitae (60) ribadisce: "la Chiesa ha sempre insegnato, e tuttora insegna, che al frutto della generazione umana, dal primo momento della sua esistenza, va garantito il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all’essere umano nella sua totalità e unità corporale e spirituale". Anni prima il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, 24, affermava in modo particolarmente solenne che " dal momento del concepimento, la vita di ogni essere umano deve essere rispettata in modo assoluto perché l'uomo è la sola creatura sulla terra che Dio ha "voluto per sé stesso". [16] L’ETHICS ADVISORY BOARD del Dipartimento della Salute, Educazione e Benessere ha dichiarato nel capitolo 6, Sommario e Conclusioni del Report "Ricerca sulla fertilizzazione in vitro" che "dopo lunga analisi e discussione riguardo ai dati scientifici e allo statuto morale dell'embrione, il Board è d'accordo che l'embrione umano ha diritto a un profondo rispetto; ma questo rispetto non include necessariamente i pieni diritti legali e morali attribuiti alla persona." (Tratto DA JONSEN A.R., VEATCH R.M., WALTERS L., Source Book in bioethics. A documentary history, Washington, D.C.: Georgetown University Press, 1998: 96). [17] La Commissione Warnock ha sostenuto "che la posizione tenuta più generalmente, comunque, è che, sebbene l'embrione umano sia titolare di una certa misura di rispetto in più di quanto accordato agli altri soggetti animali, questo rispetto non può essere assoluto e può essere valutato in relazione ai benefici che derivano dalla ricerca". DEPARTMENT OF HEALTH & SOCIAL SECURITY, Report of the Committee of Inquiry into Human Fertilisation and Embriology,London: Her Majesty’s Stationery Office, 1984: 62. 101 [18] CALLAHAN D., The puzzle of profound respect, Hastings Centre Report 1995; 25(1); 39-‐40. [19] ORGANIZATIÓN MÉDICA COLEGIAL DE ESPAÑA. Código de Ética y deontología Médica, Madrid, OMC, 1999: Artículo 24.1 [20] ALEXANDER L., Medical Science under Dictatorship, N Engl J Med 1949; 241: 39-‐47. [21] HERRANS G., Investigatión sobre embriones y deontología médica. in VILLAPALOS G., HERRANS G., LOPEZ-‐MORATALLA N., et al., El destino de los embriones congelados, Madrid: Fundación Universitaria Espanõla, 2003: 63-‐80. [22] ROBERTSON J.A., The case of Switched Embryos, Hastings Center Report 1995; 25 (6): 13-‐19. [23] Per esempio, dall’American College of Obstetricians and Gynecologists in Committee Opinion on Ethics in Obstetrics and Gynecology: Non selective embryo Reduction: ethical Guidance for the Obstetrician-‐Gynecologist, 2003, (http://www.acog.org/from_home/publications/ethics/ethics53.cfm); o dalla Direttiva dell'Associazione Medica Mondiale sugli Aspetti Etici e della Riduzione Embrionaria, adottato dalla XLVII Assemblea Generale a Bali, Indonesia, 1995 (http://www.wma.net/e/policy/e4.htm) [24] NARGUND G., WATERSTONE J., BLAND J.M., et al, Cumulative conception and live bith rates in natural (unstimulated) IVF cycles, Human Reproduction 2001; 16: 259-‐262 [25] E’ stato riportato un caso in letteratura di una gravidanza quadrupla dopo il trasferimento di solo due blastocisti attraverso IVF, suggerendo che in concomitanza è avvenuto un concepimento spontaneo. (MILKI A.A., HINCKLEY M.D., GRUMET F.C., CHITKARA U., Concurrent IVF and spontaneous conception resulting in a quadruplet pregnancy. Hum Repr 2001; 16: 2324-‐2326) . Gli autori, invece di riconoscere la loro diagnosi errata di infertilità e l'inutilità del trattamento somministrato, raccomandano che "le pazienti con tube di falloppio pervie che si sottopongono alla fecondazione in vitro dovrebbero evitare di avere rapporti sessuali in prossimità della stimolazione ovarica controllata, specialmente se intenzionate a rifiutare la riduzione multifetale." Certamente non è facile trovare un caso così chiaro di uso distorto della tecnologia. [26] SOULES M.R., The in vitro fertilisation pregnancy rate: let’s be honest with one another. Fertility and Sterility. 1985; 43:511-‐513. [27] ETHICS COMMETTEE OF THE AMERICAN SOCIETY FOR REPRODUCTIVE MEDICINE. Shared risk or refund programs in assisted reproduction. Fertility and Sterility 1998; 70: 414-‐415. [28] BLYTH E., Subsidized IVF: the development of „egg sharing“ in theUK. Hum Reprod 2002; 17: 3254-‐3259. [29] Vedi lo scambio di opinioni sul giusto compenso ai donatori di ovociti: SAUER M.V., Indecent Proposal: $5,000 is not a “reasonable compensation” for oocyte donors, Fertility and Sterility 1999; 71: 7-‐8 e BERGH P.A., Indecent proposal: $ 5,000 is not a “reasonable compensation” for oocyte donors – a reply, Fertility and Sterility 1999; 71: 9-‐10 [30] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE. Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione. Conclusioni. 102 ETER PETERSEN La ripercussione Psicologica e Spirituale della Procreazione Artificiale per le Donne/Famiglie relativamente agli Atteggiamenti Antropologici, Spirituali Una sfida all’Antropologia Psicosomatica e Pneumatologica LE TECNOLOGIE RIPRODUTTIVE E LA DIGNITA DELLA PROCREAZIONE UMANA: ASPETTI ANTROPOLOGICI ED ETICI Parlo solo dal mio punto di vista riguardo la mia personale esperienza come medico e come psicoanalista/ psicoterapista / medico psicosomatico in una clinica femminile di una normale università nel nord della Germania. Prima del mio ritiro avvenuto nel 1998, ho lavorato per 22 anni come psicoterapista nella clinica femminile e ho fondato nel nord della Germania la psicosomatica ginecologica. In questa clinica abbiamo praticato aborti procurati e fecondazione in vitro -‐ io ho accompagnato i miei colleghi e le pazienti. Non sono contrario all'aborto procurato e non sono contrario alla fecondazione in vitro, perché ho a cuore le mie pazienti e i miei colleghi ginecologi. Prima di tutto, presenterò questo argomento dal punto di vista della ginecologia psicosomatica, poiché è pressoché solo questa scienza nella medicina che si occupa in particolare delle questioni che qui discuteremo. Discuterò l’argomento in riferimento alla fecondazione in vitro omologa, per cui l’inseminazione omologa in vitro servirà a rappresentare altre tecniche di fecondazione. La prima parte di questo discorso si occupa di alcuni dei più evidenti danni e sintomi. La seconda parte riguarda l’antropologia sovrasemplificata, che sta alla base delle tecnologie di fecondazione medica, e la sfida risultante per una nuova antropologia psicosomatica, che diviene più evidente considerando l’arrivo di un bambino. Non posso nascondervi come mi sento a disagio ogni volta che mi confronto con questo argomento estremamente esistenziale – è un sentimento non facile che secondo me è bene espresso dalle parole dell’autore di satire polacco Stanislaw Lec: ‘La tecnologia è sulla buona strada per ottenere tale grado di perfezione che l’essere umano passerà senza se stesso’. EVIDENTI DANNI E SINTOMI DELLA TECNOLOGIA-‐FERTILITÀ La Psicosomatica nella prima metà del ventesimo secolo ha tentato di arrivare a una nuovavisione olistica dell’uomo nella salute e nella malattia (Heyer, Mitscherlich, 1946; v. Weizsacker, 1947, 1948). Corpo, anima e spirito appartengono ad ambiti scientifici separati e questi ambiti esigono dagli scienziati e dai dottori vari atteggiamenti di percezione loro propri. Un senso dell’estetica e della responsabilità medica-‐etica universale sono inseparabili da tale approccio olistico. Eppure mi sembra che una certa direzione psicosomatica attualmente corra il pericolo di assumere il ruolo di un assistente cieco nei confronti di una tecnologia della fertilità meramente manipolativa e alienata. Questo tipo di tecnologia della fertilità, alla quale concerne parlando in generale anche la diagnosi prenatale, l’interruzione di gravidanza e la contraccezione malponderata, è lì per assicurare una medicina di consapevole qualità, che garantirà di produrre solo un ridotto numero di bambini belli, sani, che possono lottare con successo e andare avanti nella vita. Vista dalla prospettiva della storia della medicina, questa è una tendenza, nota sino dall’antichità greca, supportata da due motivi: la paura arcaica dell’uomo per la sua deformità e il 103 desiderio di ottenere la perfezione con l’aiuto di una manipolazione medica esterna (Seidler). Vorrei nominare alcuni sintomi di questo approccio psicosomatico, e riguardo all’IVF. EFFETTI MENTALI E PSICOSOCIALI DELLE TECNOLOGIE RIPRODUTTIVE SULLA DONNA/FAMIGLIA E LE LORO CONSEGUENZE A LUNGO TERMINE Negli ultimi vent’anni nella medicina psicosomatica, ciò che segue è stato riconosciuto e accettato: la medicina riproduttiva implica un peso considerevole e importante per la donna, l’uomo e la successiva famiglia (Berger, Brähler, Kentenich). Cliniche e ospedali con un senso di responsabilità perciò forniscono consulti più o meno intensi prima, durante e dopo l’intervento (Strauß 1998, Kentenich 1998, Kowalcek 1998). Si noti che tale pratica di consulto è esistente nel dipartimento psicosomatico dell’ospedale ginecologico dell’Università Cattolica di Leuven (Prof. Dr Piet Nijs) al più tardi dal 1990. Come tale, occorre sottolineare che questo modo di pensare e procedere psicosomatico è completamente in minoranza: davvero pochi centri di medicina riproduttiva hanno forme di consulto psicosomatico a loro disposizione. I dottori di medicina riproduttiva che lavorano e pensano solamente in un modo esclusivamente somatico (e questi sono in assoluta maggioranza) negano i problemi mentali e psicosomatici che vengono con i metodi riproduttivi in medicina. La biografia individuale e della famiglia è soppressa (Kowalcek). Non di meno, ci sono molte opinioni e risultati assai diversi che vengono dalla ricerca sulle conseguenze psicosociali della medicina riproduttiva per la famiglia (compresi i bambini concepiti attraverso l'inseminazione artificiale). Queste differenze di opinioni sono, soprattutto, causate da differenti modi di indagine: gli studi che sono anzitutto quantitativi (basati sulle statistiche) parlano di 'significante insignificanza' (conspicuous inconspicuousness) delle famiglie (Gagel; Laster): le coppie possono essere distinte per la loro armonia, stabilità mentale, e dal loro accontentarsi. Comunque, gli studi statistici sono noti per il loro alto livello di superficialità. Il maggior numero dei pazienti esaminati, il minore avvicinamento di questi studi con la realtà -‐ il loro indice di verità decresce come il numero di quelli esaminati cresce. Gli studi psicologici qualitativi/profondità d'altronde svelano danni assai considerevoli (Berger): -‐ Il contentarsi delle famiglie con l'intervento soprattutto riflette il loro bisogno di giustificare il loro sacrificio -‐ L'"abilità sociale" delle famiglie diminuisce. Ad esempio, il loro isolamento da altre persone aumenta; la relazione madre bambino come la relazione tra i genitori è difficile; le madri evitano di chiedere aiuto per problemi psicologici; i genitori hanno pochi amici; hanno una avversione per gruppi di auto-‐aiuto, e un senso di responsabilità pressoché compulsivo o ossessivo per dedicarsi alla famiglia. -‐ Le coppie lottano per essere riconosciute come "normali". Tengono segrete le informazioni sulla inseminazione artificiale, e nascondono queste informazioni anche al bambino concepito in tal modo. -‐ Le madri sono emotivamente indifferenti e soffrono di depressione (è necessaria una terapia psichiatrica con farmaci psichiatrici). -‐ Difficoltà psicologiche sono più comuni in questi gruppi in confronto con genitori normali; paura repressa, disfunzione sessuale e anorgasmia; problemi nervosi; disturbi fisici/psicosomatici; tendenze a presentare se stessi sotto una buona luce; una disposizione d'animo particolarmente stabile psicologicamente (robustezza); problemi col bambino dal punto di vista dei genitori nel primo anno (disordini del sonno, attacchi di pianto e di urla, paura degli estranei, auto-‐lesionismo, i genitori hanno troppe cose a cui far fronte, i genitori si sentono 'estranei'). -‐ Nel caso delle donna disturbi psicologici fondamentali: l'essenziale processo di sviluppo femminile è evitato attraverso la realizzazione del desiderio imperativo, ossessivo di un bambino; 104 il sentimento di identità femminile e la relazione eterosessuale sono ostacolati; la medicina riproduttiva è uno strumento di potere allettante che non solo asservisce il corpo ma anche lo stato d'animo di una donna. (b) La fecondazione in vitro si risolve in una percentuale sproporzionatamente alta di gravidanze multipare (Maas, Berger): 37.1% nascite multiple in totale (aumentate di 17 volte); proporzione normale di gemelli 1.2%, 10 volte più attraverso l'IVF circa il 10%; nati da parto trigemino dal normale 0.013% a 100 volte la frequenza 1.3%; e quattro nati da un solo parto cresciuta 1000 volte nella frequenza dallo 0.0001% allo 0.2% usando l'IVF. Pediatri e psichiatri pediatrici sono ben consapevoli che le madri sono considerevolmente messe alla prova emotivamente nell'educare dei gemelli, e nei parti con tre o quattro nati ancora di più. In concomitanza con ciò c'è una difficoltà per questi bambini sia nel trovare il proprio ego sia nel processo di individualizzazione. Una ulteriore causa di interesse può essere trovata nelle cifre del 20% di aborti prematuri, del 26% di aborti clinici, e l'avvenimento di gravidanze altamente complicate appena sotto il 50% (Lehmann) (vedi Petersen 1984, 1985). Diviene evidente che i disturbi e i disordini psicosomatici sono coscientemente e deliberatamente accettati come il prezzo da pagare per ciò che per me è un discutibile scopo. Il passo tra il correre un rischio deliberato e una incauta e arrogante sicurezza di sé è breve. Percentuale di tagli cesarei: 44-‐58% (3-‐4 volte più delle normali percentuali); ulteriori conseguenze allarmanti per le madri: nascite premature 18-‐29% (percentuale normale: 7%; 4 volte più alta del normale). Nel caso di nascite premature: il 28% di tutti i bambini nati prima della 32a settimana di gravidanza sono sordi, ciechi, hanno presto danni fetali o un QI al di sotto del 70% (Kentenich 1998; Berger). Mortalità prenatale: 6%; nei parti trigemini: 17% (parecchie volte la percentuale normale, Berger). (c) Osservato dal punto di vista della responsabilità medica globale, ci troviamo di fronte ad un eccesso e ad una dissolutezza riguardo al finanziamento dell'IVF: il costo per bambino vivente fecondato artificialmente ammonta intorno a qualcosa come 35,000€. Questo è lusso su un livello altamente individuale, poiché dobbiamo convincerci che per i costi incorsi in 20 nascite di questo tipo per anno, è più di mezzo milione di Euro, sarebbe possibile -‐ per contrasto -‐ finanziare un centro terapeutico sociale completo con uno staff di 20 terapisti qualificati per un intero anno, che permetterebbe, per esempio, la cura di 200 bambini con la sindrome di Down (che sarebbero altrimenti abortiti). In modo simile, diverse migliaia di donne afflitte dal cancro potrebbero ricevere un counselling nelle loro crisi emotive derivanti dalle operazioni del cancro -‐ un gruppo al quale attualmente non si provvede e che deve fare a meno di una terapia urgentemente necessaria. Uno sguardo al terzo mondo rivela che ogni giorno 47,000 persone muoiono di fame. Se è possibile istruire oltremare lavoratori d'aiuto per lo sviluppo per mezzo milione di Euro, sicuramente i soldi spesi qui significherebbero centinaia di vite salvate. (d) Riguardo alla scelta delle coppie per l'IVF, i dottori spesso si trovano in una posizione assurda. ( Per una raccolta su simili assurdità, vedi: R.Low ‘Leben aus dem Labor’ – p.179). Oppure egli agisce ciecamente – in tal caso egli può mettere in grado una donna con un matrimonio rovinato a causa dell'alcolismo di avere un bambino artificialmente – ma allora egli/lei affronterebbe il biasimo di aver agito senza alcuna informazione riguardo il background psicosomatico – o, d'altra parte, se il dottore sceglie solo coppie in base a criteri psicosomatici, il metodo confina con la procreazione selettiva. Se la possibilità dell'inseminazione artificiale è rifiutata a una coppia per motivi di problemi d'alcool o per tendenze altamente narcisistiche, come può un dottore stabilire criteri validi? Egli/lei assume per sé il ruolo del destino, eppure manca della saggezza del fato. È un fatto noto che Beethoven proveniva da una famiglia con problemi d'alcool e il padre di Mozart potrebbe essere visto come un esempio perfetto di persona narcisista. Beethoven e Mozart, operando 105 puramente sulla base della selezione psicosomatica, molto probabilmente oggi avrebbero poche possibilità di essere nati. Questo corso di pensiero non è una mera congettura – serve d'altra parte nella sua assurdità a illustrare il problema fondamentale: il limite tra l'aspetto utile, responsabile, scientificamente possibile dell'attività del medico è stato oltrepassato in direzione del caos irrazionale. Il problema delle vite "degne" o "indegne" è stato posto ancora una volta. (e) Invece della responsabilità personale ora noi abbiamo una dissipazione di responsabilità, che corrisponde a ciò che nella terapia familiare è noto come meccanismo psicosociale di delegazione (Stierlin): cioè, la responsabilità è inconsapevolmente rifilata da una parte all'altra. In questa struttura di anonimato, il concepimento è svuotato del suo significato (Seidler). I meccanismi psicopatologici sono incoraggiati e non analizzati dal medico psicosomatico, che potrebbe aiutare a risolverli. Il medico è l'architetto del destino senza essere in grado di prendersi la responsabilità di ciò. Un esempio del rendere la responsabilità anonima: i nati da parto trigemino erano la conseguenza dell'IVF in una prestigiosa clinica di medicina riproduttiva tedesca. Il padre, finanziariamente non agiato, ritornò dalla dottoressa e, in collera, la accusò: "Al massimo io avevo ordinato dei gemelli! Chiedo che lei paghi il sostentamento!" La dottoressa respinse le accuse, ricordandogli che lei lo aveva informato del rischio in anticipo. (f) Non è un grave affronto al nostro senso spirituale e estetico se una donna è soggetta alla grossa spiacevolezza di una pratica, che inevitabilmente dura settimane o mesi, nel difficile processo di fecondazione in vitro? Per riuscire lei è sotto una costante pressione. Questo, in una donna sensibile, può portare a crisi depressive -‐ affatto a prescindere dal suo dover sopportare continui check-‐ups e frequenti cure mediche (ad es. laparoscopie). Tutto ciò può portare a disturbi psicosomatici e a una completa mancanza di sensibilità sia spirituale che emozionale. Sembra quasi che solo donne di una particolare natura forte possono sopportare tale procedura. Una donna non è vista qui nel ruolo di una macchina della fertilità? Un uomo poi non meramente un fornitore di sperma con la masturbazione? Nella totale assenza di estetica della sensibilità fino a qual punto siamo giustificati nel parlare di forti legami d'amore e di una relazione intima personale (Bockle, Eibach)? L'associazione d'amore che procrea e concepisce può essere ottenuta in assenza di estetica fisica? Io non intendo queste questioni in modo metaforico -‐ queste sono questioni reali. Perché io ne ho fatto esperienza: queste coppie, infatti, hanno un fortissimo amore spirituale -‐ ma: un amore spirituale senza sentimenti fisici ed emozionali: l'anestesia psicosomatica. È questo il problema. E questaè la mia domanda alla vostra onorevole Accademia: Cosa pensate di questo amore così forte di queste coppie senza i loro sentimenti estetici? Io chiamo ciò sindrome di 'anestesia psicosomatica', cioè, un processo fisico-‐mantale dell'istupidirsi. Gli esempi seguenti illustrano come anche i teologi più quotati guardano in modo cieco questo danneggiamento dell'identità cooperativa. Durante una discussione radiofonica con un dottore di medicina riproduttiva e il principale teologo morale tedesco nell'ambito della medicina riproduttiva, ho proposto, come spesso prima, l'argomento dell'anestesia psicosomatica. In risposta, il teologo morale ha fatto la seguente proposta: la coppia dovrebbe dormire insieme prima dell'IVF nel laboratorio e quindi aspirare lo sperma dalla vagina della donna. In questo modo, l'intimità, la tenerezza e la santità del matrimonio e della procreazione basata sull'unione sarebbe salvata. Il ginecologo lo ha corretto immediatamente: questo è impossibile poiché lo sperma non sarebbe più sterile. Personalmente ho soltanto scrollato il capo, poiché il cinismo e la completa perdita di spiritualità era ovviamente un concetto estraneo per il teologo morale. Egli era interessato semplicemente al principio dell'argomento: Il fine giustifica i mezzi, il fine essendo la riproduzione(non la procreazione e il concepimento) di un essere umano; i teologi morali trascurano il fatto che mezzi perversi pervertono anche il senso del fine, cioè, la procreazione e il concepimento umano. 106 Ricapitolando, può dirsi quanto segue: ho solo nominato un aspetto dei disordini e dei danni della salute somato-‐psicosociale. Quest'aspetto, comunque, è sufficiente per sostenere che la medicina riproduttiva causa danni alla salute a breve e a lungo termine. Secondo me, i danni non possono essere giustificati eticamente. Il risultato è un estraniamento psicosomatico intenso -‐ una sindrome che, dovuta alle influenze civilizzanti, è in ogni caso una tendenza. ANTROPOLOGIA SOVRASEMPLIFICATA:SFIDA PER UNA ANTROPOLOGIA PSICOSOMATICA COMPRESA PIÙ PROFONDAMENTE Sono stati già citati alcuni sintomi e alcuni disturbi dalla IVF omologa: ibridi e avventatezza sono predominanti; è stato coltivato il lusso dell'individualismo; ciò che era assurdo viene affermato sotto la maschera della procreazione psicosomatica; la responsabilità personale sta venendo distrutta dal processo di delegazione anonima; l'estetica psicosomatica sta venendo svalutata. Questi sintomi possono essere fatti risalire ad una sovrasemplificata visione dell'uomo con i seguenti dogmi fondamentali: L'uomo è una macchina – in questo caso una macchina psicologica-‐ anatomica complicata della fertilità con una componente psicosociale. L'ethos del fare l'impossibile. L'ethos dalla natura malleabile della vita umana è fondata sul concetto dell'uomo come una macchina -‐ l'ethos esemplifica il progresso finché afferma: 'tutto ciò che ancora non è possibile deve essere reso possibile-‐ anche se questo significa usare metodi psicosociali' L'ethos del desiderio di un bambino e del soddisfacimento di questo desiderio: il desiderio di avere un bambino non soddisfatto è di per sé la legittimazione importantissima per l'inseminazione. Estenderò i tre aspetti del concetto sovrasemplificato di uomo già citati e, allo stesso tempo, proverò a mostrare che possibili punti di partenza vedo attraverso un'antropologia e una spiritualità psicosomatica compresa più profondamente. 1. Il concetto antropologico di una macchina della fertilitàbio-‐psicosociale altamente sofisticata, che comprende la psicologia libidinosa come l'automatismo dello stimolo-‐reazione sessuale tra uomo e donna risalente a Rene Descartes (1596-‐1650) il cui successore creò l'idea del ‘homme machine’ (J.O de la Mattries, 1748). Un importante strumento metodologico per controllare la macchina umana è il concetto di causalità meccanica (Specht). Tutti i procedimenti governati dalla causalità meccanica possono essere misurati e anche predetti usando la media statistica (il principio di prognosi calcolativa contrapposta alla prognosi intuitiva). I critici di questa medicina 'senza cuore' cinici parlano della somiglianza che gli umani hanno coi topi come essere la definizione medico-‐scientifica dell'umano, laddove la somiglianza a Dio è una definizione teologica. La singolarità di una persona con la sua individualità biografica è dimenticata nel processo. Di conseguenza l'individuo non è considerato prima dell'IVF o la microchirurgia è effettuata, un danno funzionale alle tube di falloppio può accadere come conseguenza di un aborto.Agli uomini migliori è concessa una sorta di vita interiore, che, comunque, secondo il sistema dualistico di Cartesio comprende l'anima senziente che si autodetermina, ragiona. Un approccio scientifico del tipo richiesto prenderebbe in considerazione prima di tutto e principalmentela biografia della coppia nel caso di ostruzione delle tube di falloppio dopo l'aborto, piuttosto che incoraggiare ciecamente il processo di regressione arcaica nel paziente attraverso l'uso della microchirurgia o dell'IVF. Una cosa appare evidente da queste osservazioni: il desiderio di avere un bambino (o la sua negazione nella forma della contraccezione) né naturale né motivato neuropaticamente né la composizione psicosomatica solida o non sana di una coppia può fornire adeguate spiegazioni scientifiche per il concepimento di un bambino in ogni caso individuale. Le forze apparentemente 107 più intense sono strumenti nel concepimento, forze che possono essere percepite solo possibilmente attraverso una sensibilità accresciuta. 2. L'ethos del fare l'impossibile, della manipolazione è ampiamente motivata da parte dei dottori che la praticano dal mero fascino di ciò che è possibile; nel caso della ricerca la curiosità degli scienziati gioca uno speciale ruolo di stimolo. Questo ethos vede la sua legittimazione primariamente nella eliminazione della sofferenza: le donne (gli uomini in minor grado) soffrono in conseguenza del non avere bambini. E’ legittimato secondariamente nel principio che il fine santifica i mezzi; anche se i mezzi manipolativi sembrano discutibili il motivo di rendere possibili nuove vite sembra in ogni caso ottenere valore. Certamente il dottore trascura volontariamente il fatto che, mentre secondo il suo Giuramento d'Ippocrate, è suo dovere salvare la vita umana e curare o ridurre la sofferenza, in nessun luogo dice che egli/lei dovrebbe essere uno strumento nel creare una nuova vita. C'è un'allusione alla creazione della vita umana, comunque, nella scena del laboratorio nel Faust di Goethe (Part 2, Act 1) in cui Homunculus è condotto all'esistenza in una provetta sotto la supervisione di Wagner – è significativo che questo avvenga alla presenza del diavolo: Mefistofele dietro la fecondazione in vitro. Il medico o lo scienziato manipolatore è dominato da una ignoranza auto-‐imposta: lui/lei nega i processi o i fattori, che vanno al di là del concetto di macchina della fertilità (dettagliatamente, Petersen 1985). Guardiamo ora più da vicino ai mezzi, che vengono detti santificati dal fine, dal punto di vista delle donne (vedi riquadro). La donna è sottoposta ad un programma psico-‐fisiologico della pratica dell'IVF (con stimolazione ormonale, laparoscopia, lo stress dell'attesa della fecondazione, annidamento, ecc.) la si ritiene ignorare i suoi sentimenti di ansia; la fecondazione volta verso il partner, sensuale e compiuta consapevolmente è sostituita dalla fecondazione nell'atmosfera sterile, neutrale di un laboratorio. L'oggetto desiderato è soggetto alla volontà di un altro e questo perché il desiderio di avere un bambino spesso dice molto sulla (eventualmente neurotica) personalità della coppia con questo desiderio, ma quasi niente sulle qualità materne e paterne presenti, o, in altre parole, sul rapporto attuale col bambino.Ecco perché è comprensibile uno studio catamnesticodi coppie sterili che hanno avuto dei bambini dopo aver ricevuto un trattamento medico constatò dure reazioni di frustrazione accompagnate da disordini psicosomatici (Becker, vedi anche Petersen, 1984). L'ethos del desiderio di un bambino appartiene ad un codice etico antico: vi è in ciò il legittimare il dominio dell'uomo sull'uomo. Comunque, un nuovo codice etico, basato sul paradigma sulla venuta di un bambino può solo essere applicabile nell'assenza cosciente di un desiderio assoluto di un bambino. Questa etica corrisponde, casualmente, al principio dell'astinenza in psicoanalisi. Il paradigma della venuta di un bambino pone l'emancipazione e la funzione dell'auto-‐determinazione del bambino in prima linea, proprio dopo il momento del concepimento. Lo sviluppo del bambino dopo il concepimento è accreditato alla struttura del suo tempo, che egli può scegliere per sé: egli può venire quando desidera. Non sono più i genitori che determinano la data del concepimento, ma lo stesso bambino che sceglie il tempo in cui arrivare. La venuta del bambino è un evento spontaneo e non qualcosa che è controllata esternamente, come attraverso il desiderio dei genitori. Così al bambino che si sviluppa, visto come individuo spirituale, è concessa la dignità umana, che è accettata oggi come diritto di nascita. Come essere spirituale, il bambino non è visto prima di tutto e principalmente dal punto di vista della riproduzione medica, non è qualcosa riprodotto dai genitori ma un prodotto del suo sviluppo spirituale. Parlando filosoficamente è parte del 'fondamento categorico' (Low, p. 153 108 f)che l'essere umano non è essere umano solo dopo il concepimento ma è essere umano anche durante il concepimento, anche se lui/lei rimane un essere in sviluppo. Il desiderio di un bambino da parte dei genitori può, attraverso il rifiuto cosciente e talvolta doloroso, trasformarsi in una consapevolezza sensibile e approfondita, una consapevolezza del bambino come essere spirituale. L'ambivalenza non impegnativa del desiderio diviene una lealtà impegnata e un sentimento forte di responsabilità per un essere umano. È la lealtà verso un essere fino ad ora non visto (il principio della prognosi intuitiva). Nella sua stessa non invisibilità 'ciò che manca è fortemente presente' (Max Picard), la sua esistenza è sentita potentemente. I ginecologi conoscono bene il potere di percezione che alcune donne hanno che, al momento del concepimento fisico, ricevono la reale conferma emozionale e spirituale che un bambino è sulla via verso loro -‐ ma sono certificati tali relazione di consapevolezza intuitiva dell'arrivo di un bambino anche negli uomini (Petersen, 1983, 1984b). Questi fenomeni della venuta del bambino non sono spiegabili psicologicamente; appartengono all'ambito dello spirito. Perciò io li considero essere non più parte della psicologia, ma come appartenenti alla pneumatologia che deve essere ancora stabilita. Anche se i risultati di questo concetto di antropologia psicosomatica sono simili alle affermazioni contenute nel documento Vaticano 'IL RISPETTO DELLA VITA UMANA (Donum Vitae) Congregazione per la Dottrina della Fede -‐ Istruzione su il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione' pubblicata il 22 Febbraio 1987, la psicosomatica è sempre legata all'empirismo e al dialogo tra dottore e paziente. Nonostante l'empirismo psicosomatico, l'empirismo che comprende la psicologia e la pneumatologia si occupa di questo caso (Petersen 1986, 1987). Alla fine, vorrei dire qualcosa con l'intenzione di opposizione rassegnazione crescente e diffusa spesso avvertita nei confronti del progresso sempre crescente della medicina manipolativa. Penso che questo tipo di progresso si estenderà per includere la gene-‐tecnologica procreazione di un nuovo essere umano -‐ l'IVF omologa e le sue variazioni tecnologiche come le madri surrogate, ecc. sono solo l'avanguardia innocua della gene-‐tecnologia umana. Tanto più urgente perciò, come contrappeso alla medicina manipolativa, è la sfida di una antropologia psicosomatica più profondamente compresa con il suo apparato corrispondente. Questa non è una osservazione puramente accademica e non impegnativa, ma una questione di decisioni giorno per giorno e della condotta esistenziale di ogni dottore e scienziato. Più assurdo è il mondo, più la nave della medicina si dirige verso la collisione con l'iceberg, più dipende da ognuno di noi, come pensiamo, parliamo agiamo (Weizenbaum). La domanda per noi dottori è: vogliamo aiutare ad esaudire il desiderio di un bambino, e rendere possibile la gioia senza dolore? O vogliamo assistere i nostri pazienti nella loro sofferenza? Vogliamo esporci al ridicolo per breve tempo -‐ perché assistiamo a questo tipo di progresso medico e rifiutiamo di aderirvi – o vogliamo ridere della funzione dell'etica e dell'antropologia spirituale in medicina? Non si può smentire che la fecondazione in vitro e la futura gene-‐tecnologia costituiscono la corrente principale e potente del presente – e ciò nondimeno (per citare Solzhenitsyn) i pesci vivi nuotano contro la corrente, i pesci morti galleggiano meramente in essa. 109 Reazione emozionale alla fertilità individuale e la venuta di un bambino in relazione a Manipolazione (ad es. IVF) Passività “Switch-‐off” emozionale Estraniamento dal corpo Dipendenza dal modello di controllo esterno Isolamento (narcisismo patologico) Obbligo ossessivo – “Devo concepire un bambino ad ogni costo” Modello di pensiero chiuso, orientato ad uno scopo Terapia (ad es. psicoanalisi) Aumentata consapevolezza, attività Accresciuta sensibilità per i processi emozionali Relazione col corpo (e la sessualità) intensificata Identificazione con la motivazione individuale interiore Accresciuta apertura verso il partner e il potenziale bambino Atteggiamento rilassato – “Potrà venire, se e quando vorrà” Apertura di pensiero, non orientato à intuizione precisa Becker, R., Schwangerschaftsverlauf, Geburt und postpartale Entwicklung bei Sterilitätspatientinnen mit schließlich erfülltem Kinderwunsch Dissertation: Med. Fachbereich, Freie Universität Berlin, 1980. 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Ciò significa che ciascuno può realizzare la propria identità personale e culturale secondo il modo che sceglie. La democrazia, come viene indicato nei suoi principi, deve basarsi sui diritti dell’uomo e sull’attuazione della legge: deve essere pluralista, allora, nella sua organizzazione, nelle sue istituzioni, nelle sue attività e nei suoi mezzi, che utilizza per arrivare allo scopo; deve considerare quindi la varietà della società. Tale pluralismo della società dovrebbe basarsi sul sistema assiologico compatibile che dovrebbe costituire il fondamento e l’elemento unificante della comunità statale. La democrazia viene valutata secondo il rispetto che ha per i diritti dell’uomo,che sono inalienabili, inerenti ed universali;appartengono ad ogni persona e non dipendono dalla razza, dall’età, dal sesso, dalle opinioni, dalle altre caratteristiche della persona stessa oppure dalle circostanze in cui essa si trova. Tali diritti sono dell’uomo grazie alla sua umanità, sono radicati nella sua inalienabile dignità; sono fondamentali, uguali per tutti e nella misura uguale per ciascuno. L’uomo ha tali diritti dalla nascita perché nasce già con essi; ha tali diritti dalla sua natura,sono essi inerenti dunque; nessuno dà tali diritti all’uomo e nessuno può privarlo di essi. E’ sbagliata la concezione della legge che ammette che lo Stato è l’autore della legge naturale, che può manipolarla e che afferma che alcuni gruppi delle persone hanno un certo diritto naturale edaltri non lo hanno.Non si può accettare l’opinione che nella società pluralista, lo Stato, i gruppi sociali e ogni uomo, nel riferimento ai diritti umani, soprattutto quando si tratta del diritto alla vita, possano fare quello che vogliono, cioè fare, abrogare, limitare il contenuto di tali diritti secondo qualità, circostanze personali o situazioni in cui la persona si trova oppure secondo lo statuto giuridico delle persone. I diritti dell’uomo non sono a disposizione, neanche egli stesso può disporli, non può rinunciare ad essi perché essi sono inerenti alla sua umanità e sono inalienabili. Tale caratteristica, in riferimento per esempio al diritto alla vita è stata sottolineata nella sentenza della Corte Costituzionale Polacca del 28 maggio 1997, dove si afferma che il carattere inerente del diritto non dipende dal legislatore, per cui tale caratteristica non può essere abrogata dalla legge. Non è la competenza del legislatore a fare o ad abrogare il diritto alla vita[1]. Tra i diritti dell’uomo il più importante è il diritto alla vita. Il diritto alla vita dà senso agli altri diritti, perché per averediritti ed usufruirne, l’uomodeve prima avere la vita. 2. Nel fare le leggi riguardanti il diritto alla vita, rileviamo due tendenze contrastanti. La prima indica la necessità di riconoscere giuridicamente e tutelare i diritti naturali, il diritto alla vita innanzitutto, e di osservarli secondo i principi dell’uguaglianza, dell’inalienabilità e dell’universalità. La seconda tendenza si basa sul principio del pluralismo dei valori e delle opinioni circa l’origine, il contenuto, il significato e la tutela dei diritti dell’uomo, incluso il diritto alla vita. Tale considerazione del diritto alla vita viene legata spesso a quella che sancisce il diritto alla vita comediritto privato, a cui si può rinunciare, oppure all’altra che lo nega ad alcuni gruppi di esseri umani. Nel concepire leggi circa il diritto alla vita, non può esistere unposto per il pluralismo delle opinioni riguardante la vita umana ed il suo valore. Il pluralismo in tale questione causerebbe danno al bene comune misurato con il bene dell’uomo[2]. La società pluralista dovrebbe allora accettare ed esprimere nel diritto positivo la verità sull’uomo, sui suoi diritti naturali e sulla vita umana. Tale diritto deve riconoscere e difendere il diritto alla vita di 112 ogni essere umano dal momento del concepimento fino alla morte naturale.Il dovere di tutelare il diritto alla vita significa perlo Stato l’obbligo di introdurre leggi che direttamente tutelino la vita umana dal momento del concepimento fino alla morte naturale, ma anche l’obbligo di respingere qualsiasi forma di legalizzazione di uccisione dell’uomo. La legge che non rispetta il diritto alla vita di ogni essere umano o che è contro di lui o comunque lo danneggia, è una legge ingiusta. Qualora ingiusta è sempre la legge, legalizza gli attentati contro il diritto alla vita; è sempre la legge anche quando non realizza l’obbligo di tutelare legalmente la vita incluso la punizione nel caso della violazione dei diritti fondamentali dell’uomo. Tale legge non è vera legge[3], è lex imperfecta[4]. In tale contesto, la legge ingiusta è anche la legge che offre la tutela parziale del diritto alla vitae rimane ingiusta anche se garantisce qualcosa di più delle altre leggi già esistenti oppure da votare.[5] 3. Nelle società pluraliste il legiferare sul diritto alla vita esige da parte del legislatore di risolvere alcune questioni. La questione più importante è il riconoscimento e la garanzia, propri delle leggi stabilite, da parte del legislatore che il diritto alla vita è il diritto di ogni essere umano. Si tratta di inserire nelle norme le formule che garantiscono sia il diritto alla vita per ogni essere umano dal momento del concepimento fino alla morte naturale, sia l’inviolabilità di tale diritto. Proprio perché si tratta di legge naturale, tale garanzie devono essere date nella Costituzione, alla quale sono subordinate le altre leggi. Le Costituzioni, soprattutto quelle recenti, di solito garantiscono il diritto alla vita, affermando che ogni uomo, (persona, essere umano) ha il diritto alla vita (articolo 27 della Costituzione dell’Ucraina) aggiungendo però, come per esempio nella Costituzione ungherese, che tale diritto è naturale ed inviolabile oppure che lo Stato garantisce il diritto alla vita oppure che il diritto alla vita o la vita stessa è inviolabile oppure la vita viene protetta dalla legge. in tal caso si presume che il diritto alla vita sia stato riconosciuto come diritto dell’uomo. Di solito nelle Costituzioni non si introducono gli elementi più specifici e dettagliati circa il contenuto del diritto alla vita. Solo in alcune Costituzioni si è messo expressis verbis il diritto alla vita dal concepimento e l’obbligo da parte dello Stato di tutelare il bambino concepito. Così fanno per esempio le Costituzioni di Cile, Guatemala, Perú ed Irlanda. Nelle Costituzioni capitano anchenorme ambigue che riconoscono il diritto alla vita però indicano che si potrebbe tutelare la vita dal momento del concepimento; in tal modo offrono la possibilità dilegalizzare attentati contro la vita. Se si accetta tale soluzione allora già nella stessa Costituzione si ammette che possono esistere i casi in cui il diritto alla vita non sarà tutelato giuridicamente. Tali norme sono state introdotte nelle Costituzioni per esempio della Repubblica Ceca, della Slovacchia,del Paraguay. Negli Stati dove esistono le norme costituzionali che affermano il diritto alla vita di ogni uomo dal concepimento, anche la vita dal concepimento viene protetta legalmente[6]. Così è nel diritto irlandese oppure nelle legislazioni di alcuni paesi dell’America Latina. Però di solito le nuove Costituzioni o i nuovi cambiamenti costituzionali aggiunti non contengono le norme che riconoscono in modo chiaro che ogni uomo ha il diritto alla vita dal momento del concepimento fino alla morte naturale e non indicano l’obbligo della tutela legale della vita tra questi due momenti. Le soluzioni giuridiche contenute nelle leggi circa il diritto alla vita diventano relative e spesso sono oggetto delle sentenze della Corte Costituzionale[7] e tali sentenze talvolta decidono sull’ultimo contenuto delle leggi riguardanti la vita. Così è stato per esempio in Polonia, dove la Corte Costituzionale, nella sua sentenza del 28 maggio 1997, ha riconosciuto non conforme al principio costituzionale dello stato democratico le leggi che legalizzavano l’aborto a causa delle difficili condizioni della madre oppure della sua difficile situazione personale. Tale sentenza fino ad oggi è l’unica sentenza di questo tipo nelle decisioni costituzionali degli Stati della democrazia pluralista. La maggior parte delle sentenze delle Corti Costituzionali afferma che l’aborto non è in conflitto con il diritto alla 113 vita[8]: ciò in pratica significa la legalizzazione degli attentati contro la vita umana nella sua prima fase dello sviluppo. Di solito le Costituzioni rimandano le questioni riguardanti la tutela del diritto alla vita alle leggi ordinarie. Esiste però la garanzia giuridica, espressa anche negli atti internazionali dei diritti dell’uomo, la quale esige che le soluzioni giuridiche riguardanti i diritti dell’uomo incluso il diritto alla vita, dovrebbero essere regolati da leggi. Ciò significa che non si possono stabilire le norme giuridiche al riguardo come avviene per i decreti del governo. In Slovacchia nel 1986 un decreto del ministro per la salute ha prolungato, fino alla 24esima settimana l’aborto legale a causa dei motivi eugenici[9]; tale decreto è stato poi trasformato dal parlamento inlegge. Il presidente ha posto il suo veto edun gruppo di parlamentari ha chiesto alla corte costituzionale di esprimersi se tale legge fosse da ritenersi conforme alla Costituzione[10]. Nel legiferare circa il diritto alla vita, il legislatore dimostra grande volontarismo. Di solito l’universalità del diritto alla vita è messa in dubbio quando si escludono da tale diritto alcune categorie di esseri umani. Nella maggior parte delle leggi circa la vita umana si accetta, se non direttamente almeno indirettamente, che l’essere umano nella sua fase iniziale dello sviluppo non abbia il diritto alla vita[11]. Spesso si ammette nel diritto che “per poter avere il diritto inviolabile alla vita non bastaessere un essere umano, ma si devono realizzare anche le altre condizioni (come per esempio essere voluto oppure avere la salute fisica)”[12]. 4. Analizzando la legislazione sul diritto alla vita si nota che il riconoscimento giuridico del diritto alla vita oppure la mancanza della negazione di tale diritto non significa affatto che il sistema giuridico difenda tale diritto. Il problema della tutela del diritto alla vita viene risolto in modi diversi. Nell’elaborazione delle leggi che si riferiscono al diritto alla vita si rilevano tre posizioni, che rappresentano il pluralismo delle opinioni circa tale diritto umano e la necessità di tutelarlo. Sulla tutela giuridica del diritto alla vita si possono distinguere, nel diritto, tre modelli Il primo modello, raramente accettato nel processo legislativo, che trova però il suo fondamento nella biologia, nella medicina, nella moralità, nella natura, è quellosecondo il quale il diritto alla vita è il diritto inerente, appartiene all’uomo, proviene “dalla sua natura”, esiste dal momento in cui incomincia la vita umana, dal concepimento quindiperché da tale momento l’uomo incomincia la sua vita. Se si accetta tale posizione allora la legge deve proteggere il diritto alla vita. Il secondo modello accetta che il diritto alla vita appartiene ad ogni essere umano dal concepimento, però la legge non tutela la vita umana nella sua fase iniziale di sviluppo. Il terzo modello accetta che il bambino concepito nella prima fase della sua vita non ha il diritto alla vita, perché non è ancora l’uomo che sarà per cuinon può avere la stessa tutela della vita che spetta all’uomo. In alcuni casi si può stabilire la tutela giuridica dell’embrione o del feto: ciò si verifica soprattutto quando si tratta delle leggi che regolano le ricerche sugli esseri umani. Tali leggi però, se tutelano, tutelano piuttosto la dignità dell’essere vivente non riconosciuto come l’uomo, più che il diritto alla vita. 5. Una questione molto importante, quando si tratta di leggi in riferimento al diritto alla vita, sono i mezzi che devono proteggere tale diritto. In primo luogo il legislatore decide se la legge è il mezzo adatto per tutelare la vita umana oppure se essa potrebbe essere tutelata conmezzi sociali o a carattere preventivo. Nelle società pluralistiche diverse sono le opinioni sul ruolo della legge nella tutela del diritto alla vita. Le opinioni si scontrano quando si tratta della tutela della vita umana nella sua fase iniziale e da qualche tempo anche nella sua fase finale soprattutto delle persone gravemente malate o terminali. Nel primo caso si discute sulla possibilità di eliminare la tutela della vita che spetta all’uomo nato e talvolta si propone la tutela del bambino concepito con i mezzi non giuridici. Di solito i legislatori sono del parere che si debba rinunciare alla tutela giuridica in favore dei mezzi preventivi: accettando tale opinione ne scaturisce che nelle leggi 114 circa la vita umana nella sua fase iniziale i mezzi legali sono secondari. In tante leggi si indica direttamente che la vita umana dal concepimento ad un certo periodo non dovrebbe essere tutelata dalla legge o soltanto quando la madre accetterà il bambino. Nella legislazione è apparso il termine bambino voluto e non voluto dalla madre[13]. Il bambino voluto ha il diritto alla vita[14] ed è il valore protetto giuridicamente. Il bambino non voluto dalla madre non costituisce il valore per la legge. Il valore giuridico del bambino è il risultato della decisione presa dalla madre. Le leggi che lasciano la decisione, sulla vita o sulla morte del bambino concepito in un certo periodo prenatale, alla madre legalizzano sempre di più il cosiddetto “modello dell’aborto con il termine” secondo il quale la madre può chiedere l’aborto fino ad un certo termine stabilito dalla legge. La vita di tale bambino è esclusa dalla tutela giuridica: potrebbe essere tutelata, eventualmente in modo indiretto, attraverso sia l’aiuto dato alla donna incinta che attraverso i mezzi non giuridici,per esempio amministrativi, sociali ritenendo chepossano influire sulla decisione della madre per mantenere in vita il bambino concepito. Secondo alcune leggi abortiste, la vita del bambino concepito deve essere garantita per mezzo della consulenza di esperti durante la quale si presentanoalla madre le informazioni sullo sviluppo del bambino concepito, sui pericoli dell’aborto e si indicano i mezzi d’aiuto e di cura sia per la madre cheper il bambino. Dopo tale consulenza però la legge garantisce alla madre la libertà di prendere la decisione sull’aborto: ella decide in realtà sulla vita o sulla morte del suo bambino concepito. Le leggi prevedono consulenze obbligatorie e facoltative, che sostituiscono la tutela legale del bambino concepito nel periodo in cui legalmente si può abortire, ma in realtà esse non proteggono il bambino dalla morte; aiutano la madre a prendere la decisione. Dopo qualche riflessione, fanno sì che tale decisione sia ripensata. Le istituzioni di questo tipo creano una falsità giuridica riguardante la tutela della vita del bambino concepito, nascondono una realtà, cioè il rifiuto di unpaese democratico da parte della legge della assoluta tutela legale della vita dell’uomo dal concepimento. L’idea della consulenza introdotta in Germania al posto della tutela legale della vita dal concepimento, come viene indicato, “non è collegata all’idea della tutela della vita, ma serve ad abolire la pena”[15]. Non c’è dubbio che nel caso della tutela del diritto alla vita esiste la necessità di far riferimento alla legge positiva. Non esiste la tutela della vita senza la sua tutela giuridica. La questione del ruolo del diritto nella tutela della vita è stata presentata in modo molto chiaro nell’Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione,Donum vitae, della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il compito del diritto civile, come viene indicato in tale documento, è di garantire il bene comune anche attraverso il riconoscimento e la tutela dei diritti fondamentali. Tale diritto, per il bene dell’ordine pubblico, dovrebbe tollerare ciò che causerebbe più danni se fosse proibito.I diritti inalienabili della persona, tra cui il diritto alla vita, devono essere,però, sempre riconosciuti e rispettati da parte delle autorità civili e politiche[16]. Se tale punto di vista viene accettato, allora i legislatori dovrebbero riconoscere la necessità di fare leggi che tutelino la vita umana dal concepimento fino alla morte. 6. Se il legislatore accetta che il diritto è il mezzo adeguato per difendere la vita dell’uomo dal concepimento, allora si dovrebbe scegliere quell’adeguata parte del diritto ed i suoi adeguati mezzi. Oggi nelle società pluraliste la questione più discutibile è il riferimento al diritto penale circa la tutela della vita umana nella sua fase prenatale e, da qualche tempo, anche nella sua fase finale. Il diritto penale in tale caso viene trattato comeestrema ratio oppure si rinuncia ad esso al riguardo[17]. Il diritto civile ha accettato senza grandi problemi la tutela degli interessi del bambino non nato, che possono essere tutelati da un curatore speciale. Tale bambino ha ricevuto già diversi diritti, per esempio il diritto all’eredità ,sotto la condizione che nascerà vivo. 115 Il riconoscimento da parte del legislatore del diritto alla vita come valore, lacui tutela è preziosa per la società, di solito conduce a garantire la tutela giuridico -‐ penale della vita umana. Il diritto penale tutela in modo diretto la vita dell’uomo nato. L’omicidio di tale persona è riconosciuto come crimine grave in tutte le legislazioni degli stati democratici. Però il diritto penale sempre di più si ritira dalla funzione della protezione della vita umana quando si tratta del suo inizioe, negli ultimi anni ,anche quando si tratta della sua fine. Si riconosce che l’intervento del diritto non è adeguato perché la vita in tal caso non dovrebbe essere tutelata giuridicamente. Di tale fenomeno ha trattato Giovanni Paolo II: “..le legislazioni di molti paesi…hanno acconsentito a non punire o addirittura a riconoscere la piena legittimità di tali pratiche contro la vita”[18]. Tale posizione si riflette nella maggioranza delle leggi abortiste le quali escludono, per principio, il diritto penale come mezzo per la tutela della vita nella sua prima fase dello sviluppo del bambino concepito. Alcune legislazioni hanno introdotto delle eccezioni, garantendo, sotto certe condizioni, la tutela della vita di tale bambino, che è comunque più debole di quella dell’uomo nato. Nello stesso tempo in alcuni paesi si riconosce il diritto penale come mezzo adeguato per la tutela della libertà della realizzazione, da parte della donna ,del cosiddetto diritto all’aborto. Per esempio, nella legislazione francese esistono leggi ben sviluppate che riconoscono come crimine l’ostacolare l’aborto per esempio attraverso il rendere difficile l’accesso alle informazioni sull’aborto, sui servizi abortisti oppure sui luoghi dove si può abortire[19]. Il ruolo del diritto viene negato anche per quanto riguarda la tutela della vita del bambino concepito in vitro. Tale tutela è necessaria se veramente si vuole proteggere il diritto inerente alla vita. L’istruzione Donum vitae tratta di tale problema indicando che il diritto dovrebbe prevedere le sanzioni penali per la violazione dei diritti del bambino concepito. “La legge non potrà tollerare – anzi dovrà espressamente proibire – che degli esseri umani, sia pure allo stadio embrionale, siano trattati come oggetto di sperimentazione, mutilati o distrutti, con il pretesto che risulterebbero superflui o incapaci di svilupparsi normalmente”[20]. Analizzando il ruolo della tutela del diritto penale in riferimento alla vita del bambino concepito in vitro si nota nelle leggi una tendenza contraria cioè si inseriscono le norme che obbligano a distruggere,dopo un certo periodo, la vita attraverso la distruzione dell’embrione. Tale norma si trova nella legge spagnola numero 35/1988 del 22 novembre 1988 sulle tecniche della fecondazione assistita. Nelle società pluraliste si vede sempre di più il processo di indebolimento della tutela giuridico -‐ penale della vita del bambino durante il parto e subito dopo. Nel 1981 in Gran Bretagna si è proposto di rinunciare a soccorrere e curare il bambino nato ammalato fino al 28esimo giorno della sua vita; né il medico, che non ha cercato di salvare il bambino ,né altre persone sarebbero responsabili della sua eventuale morte. Già nel 1960 Williams scriveva sulla prassi dei medici e delle infermiere nei confronti del neonato “molto anormale” che essi non tentano di mantenerlo in vita, anche se non fanno niente per ucciderlo[21]. Nel 1987 in Francia la “Federazione della Prevenzione alla Infanzia Handicappata” ha inviato al parlamento un progetto di legge che prevedeva che non commette crimine il medico che non presta la cura necessaria per la vita del bambino fino al terzo giorno della sua vita nel caso in cui il bambino sarà infermo in modonon guaribile ed in un grado che si può prevedere che la sua vita non sarà degna della sopravivenza. In tale progetto si prevedeva il consenso dei genitori per l’uccisionedel bambino che dovrebbe essere considerato come bambino nato, ma non capace di vivere[22]. Come motivazione a tale comportamento si affermava che la diagnosi prenatale non sempre rivela tutte le malattie, per cui si possa uccidere il bambino a causa delle sue patologie procedendo alcosiddetto aborto eugenetico. Se tali malattie possono essere viste soltanto dopo la nascita, allora si deve prolungare il diritto ad uccidere anche dopo la sua nascita nel periodo indicato dalla legge. Tali progetti dimostrano come nelle società in cui il diritto alla vita è diventato relativo la sua negazione diventa sempre più ampia e lo stesso diritto che proteggeva la vita diventa sempre di 116 più il diritto che permette di uccidere l’uomo e di selezionare gli uomini secondo la qualità, garantendo la non punibilità per il reo. Tale tendenza è stata denunciata dal Santo Padre il quale indica che “la mentalità che accoglie la vita solo a certe condizioni e che rifiuta il limite, l’handicap, l’infermità” conduce “a negare le cureordinarie più elementari, e perfino l’alimentazione, a bambini nati con gravi handicap o malattie”. Il Papa ha osservato inoltre che “lo scenario contemporaneo… si fa ancora più sconcertante a motivo delle proposte, avanzate qua e là, di legittimare, nella stessa linea del diritto all’aborto, persino l’infanticidio”[23]. I legislatori sempre più formulano leggi che permettono di uccidere l’uomo infermo. Il loro contenuto è la legalizzazione degli attentati contro la vita ciò significa la rinuncia della tutela giuridico -‐ penale della vita nei limiti stabiliti dalla legge[24]. Nel preambolo della legge olandese “sul privare della vita sul desiderio, sul suicidio assistito, sui cambiamenti del codice penale esulla legge circa la sepoltura e la cremazione” si è scritto in modo molto chiaro tra l’altro: “Noi Beatrix, per grazia divina abbiamo considerato utile escludere dalla responsabilità penale il medico che osservando le esigenze stabilite dalla legge priva la vita sul desiderio oppure aiuta alla persona a suicidarsi”[25]. Nell’articolo 293, 2 del codice penale vigente in Olanda si stabilisce che il crimine dell’eutanasia, della determinazione altri al suicidarsi e dell’aiuto al suicidio non è punibile se è stato fatto dal medico che ha soodisfatto le esigenze. Anche nella legge delBelgio si è stabilito che il medico che commette l’eutanasia non commette crimine se il paziente dal punto di vista clinico si trova in una situazione senza uscita, è ammalato inguaribilmente oppure si trova in uno stato di insopportabili sofferenze psichiche o fisiche[26]. Fino qualche tempo fa nella società non esisteva minimo dubbio che la vita umana doveva essere tutelata sino alla morte naturale. L’eutanasia è un atto proibito, simile all’infanticidio, anche se dal momento dell’ introduzione del principio soggettivo della responsabilità penale, viene punito con una pena inferiore rispetto agli altri omicidi. Dal momento in cui nelle società pluraliste la vita umana è diventata nella legge un valore relativo, una parte della società si è espressa in favore di escludere dalla protezione legale della vita i malati gravi o non guaribili, motivando tale posizione con il diritto alla libertà, alla vita degna ed alla cosiddetta morte degna. Di nuovo si è riconosciuto che il diritto alla vita non è inviolabile ed inalienabile. In modo simile all’eutanasia si permette di aiutare alla persona ammalata di suicidarsi ciò fino ad oggi costituiva un crimine punito con una pena. Tale situazione significa che come si è depenalizzato tali atti così il diritto penale e anche il diritto in generale sono stati riconosciuti come mezzo inutile per la tutela della vita dell’uomo. Giovanni Paolo II ritiene che in tal modo si ritornerebbe ad uno stadio di barbarie[27]. Giustamente si ritiene che “non sono giuste le leggi che danno allo stato la possibilità di violare qualsiasi diritto dell’uomo come non lo sono quelle che danno allo Stato la possibilità di non realizzare l’obbligo di proibire e punire in modo razionale e proporzionale gli atti che violano i diritti fondamentali dell’uomo da parte delle singole persone. E’ ovvio che lo stato deve prevedere certe pene affinché il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo diventi nello stato la realtà”[28]. 7. In riferimento alla vita dell’uomo, cioè dell’essere umano nato (così come accetta il diritto penale), le leggi prevedono la tutela della vita, prescindendo dalle tendenze degli ultimi anni circa l’eutanasia. Diversa è la posizione di maggior parte dei legislatori sulla tutela della vita del bambino concepito. Di solito tale problema viene escluso dalla generale tutela giuridico -‐ penale e viene trattato separatamente nelle leggi speciali oppure nei codici penali. Nel fare le leggi riguardanti la vita umana nella sua fase iniziale, rileviamo una nota specifica: in esse manca la norma che direttamente e in modo chiaro difende la vita del bambino concepito. I legislatori di solito non fanno le leggi speciali che tutelano la vita del bambino concepito ma piuttosto le leggi 117 abortiste, in cui si indicano le condizioni che permettono di abortire legalmente senza responsabilità giuridica. Il bambino concepito, la vittima dell’aborto, viene escluso dalla protezione del diritto perché il diritto garantisce la non punibilità a colui che compie l’aborto, cioè alla madre del bambino oppure al medico. Quando si fanno tali leggi la cosa più importante è di stabilire le condizioni che permettono di abortire; un posto secondario occupa la sollecitudine per il diritto alla vita del bambino. Soltanto conoscendo tali condizioni si può sapere quale sia la tutela giuridica dell’uomo nella sua fase prenatale. E qui proprio si trova la peculiarità delle leggi che si riferiscono alla vita nella fase prenatale. La questione della tutela della vita del bambino concepito non esiste in se stessa ma sempre nel contesto dell’aborto. La vita del bambino concepito viene protetta in quanto l’aborto è proibito. Dunque la tutela della vita del bambino concepito è secondaria, non esiste per se stessa, dipende dai limiti dell’aborto legale e il suo campo è, al inverso proporzionale al campo dell’aborto legale. Analizzando le leggi abortiste, si nota la tendenza ad allargare sempre di più il diritto all’uccisione del bambino per mezzo dell’aborto; ciò significa in realtà limitare la tutela della vita del bambino concepito, vittima dell’aborto. Cresce sempre di più l’aborto di volontà , perché si prolunga il termine in cui si può abortire oppure perché si accettano i nuovi motivi. Tali motivi spesso non vengono precisati affinché si possa interpretarli in modo più ampio e praticamente permettono di uccidere il bambino su ogni desiderio della madre[29]. Basta dare un’occhiata all’elenco delle motivazioni per l’aborto nelle diverse legislazioni[30], per poter notare come aumenti,per mezzo della legge, l’aborto legale e diminuisce la tutela giuridica della vita del nascituro. La Corte Costituzionale polacca, nella sua storica sentenza del 28 maggio 1997, si è opposta alla tendenza di allargare sempre di più l’aborto legale. In tale sentenza si affermava che l’aborto è necessariamente collegato con l’uccisione del feto in sviluppo. La proposta di abortire motivata dalle difficili condizioni della vita o dalla difficile situazione personale della madre è stata valutata nel contesto del valore della vita e si è riconosciuto che nel caso del conflitto di tali beni con il valore della vita umana, quest’ultima costituisca il valore più prezioso; ciò nega la legalizzazione dell’aborto per tali motivi. Tale sentenza costituiva una breccia nelle mondiali tendenze legislative e costituzionali degli ultimi decenni in riferimento sempre al problema dell’aborto[31]. Osservazioni simili si possono fare per quanto riguarda le norme che si riferiscono alla vita dell’uomo nella sua fase iniziale e finale,che non vengono stabilite per proteggere la vita, ma per fare breccia in tale tutela e si possono estendere anche alle norme circa la fecondazione in vitro. Anche nelle leggi sulla procreazione assistita non si tratta della tutela della vita, perché si dovrebbe proibire la fecondazione assistita in quanto la manipolazione della procreazione umana è collegata con gli attentati contro la vita. Per motivi di tempo tralascio in questa sede le altre questioni e valutazioni morali sulla fecondazione assistita. L’altro punto di vista al riguardo è dato dal legislatore tedesco, il quale ha proibito in certi casi la fecondazione assistita sotto la pena cambiando così la posizione presa dagli altri legislatori al riguardo[32]. 8. Quando si elaborano leggi relative al diritto alla vita davanti al legislatore nasce il problema di definire il soggetto di tale diritto. Sembrerebbe che tale questione non dovrebbe costituire per il diritto nessun problema. Si tratta del diritto dell’uomo alla vita, quindi dell’uomo e della sua vita. L’uomo è il soggetto del diritto alla vita. Ciò dovrebbe significare che secondo il principio dell’uguaglianza, la legge dovrebbe riconoscere e tutelare il diritto alla vita di ogni uomo. Nelle leggi delle società pluralistiche però non è così. Si verifica tra i legislatori una grande libertà perdefinire il termine “uomo” e i diversi termini per significare l’uomo. Inoltre la parola stessa “uomo” ha diversi significati e di solito tale termine non abbraccia l’uomo nella sua fase prenatale; ciò si vede soprattutto nelle leggi abortiste. Sul livello biologico e medico ci sono pochi 118 che affermano che l’uomo non esiste dal concepimento; invece nel diritto raramente il legislatore usa i termini uomo, il bambino concepito, il feto, l’embrione oppure essere umano concepito. Si constata che nella legislazione di uno stato l’essere umano venga riconosciuto come uomo e come tale protetto, invece in un altro Stato non abbia tale riconoscimento e tale tutela. Il concetto “uomo”ha diversi significati negli atti internazionali circa i diritti dell’uomo e nelle legislazioni dei diversi paesi. Capita anche che nella legislazione dello stesso stato, nei diversi campi del diritto esistano norme che usano il termine “uomo” con i diversi significati e succede che in un campo del diritto uno è l’uomo ma non in un altro. Tale contrarietà si nota soprattutto paragonando il diritto civile e familiare con il diritto penale. Nel diritto penale, in cui non ciascun essere umano viene considerato come uomo si fanno le leggi che differenziano le categorie degli esseri umani come soggetti del diritto e che creano i diversi statuti per loro, da cui dipende la loro tutela legale. I legislatori facendo le leggi riguardanti il diritto penale decidono chi è per tale diritto l’uomo e chi non lo è, e in conseguenza decidono a chi spetta la diretta tutela legale della vita. Il diritto penale anche se spesso usa il termine “uomo” non dà la definizione legale di esso. Come risulta dalle sentenze e dai commentari la norma fondamentale del diritto penale “non uccidere” garantisce soltanto la tutela all’uomo nato. E di solito soltanto a lui si riferisce il termine “uomo”. Tale fatto significa che il diritto in modo assoluto difende la vita dell’uomo dopo la sua nascita. Però alcuni giuristi avevano il dubbio se i bambini nati con le gravi malformazioni del corpo, che venivano chiamati da loro “esseri mostruosi”, erano uomini per il diritto. Williams scriveva che “un essere che è in modo chiaro mostro… poteva essere ucciso senza dolore” . In tal modo si opponeva all’opinione che l’essere mostruoso è uomo[33]. 9. Nelle legislazioni circa il diritto alla vita si nota la diversità dei termini usati per descrivere l’uomo come soggetto del diritto; non sempre tali termini sono però sinonimi. Di conseguenza tale strategia linguistica differenzia lo statuto giuridico di ciascuno dei soggetti ed a ciascuno garantisce la diversa tutela giuridica. La diversità dei termini circa l’uomo si vede soprattutto nella legislazione sulla vita umana non nata. Lo scopo è evidente: si tratta di non garantire ad essa lo statuto giuridico dell’uomo ed in conseguenza di escluderla dalla diretta e piena tutela giuridica. Per definire l’uomo nelle diverse fasi della vita prenatale si introducono nella legislazione i diversi concetti come zigote, embrione, feto, essere umano, raramente “uomo”, “bambino concepito” oppure “bambino non nato”. Di solito il diritto dà a tali soggetti i diversi statuti giuridici. La situazione giuridica al riguardo dipende spesso dagli interessi economici ma anche dalle ideologie, dalle manipolazioni dei fatti e dalla conoscenza[34]. Il legislatore non prende in considerazione ciò che viene sottolineato nella Donum vitae cioè che “zigote”, “pre-‐embrione”, “embrione”, “feto” possono indicare nel vocabolario della biologia stadi successivi dello sviluppo dell’essere umano[35]. Nelle legislazioni di alcuni paesi si introduce un gruppo degli esseri umani chiamati “pre-‐embrioni”[36], ai quali si nega qualsiasi statuto umano[37]. Il grande numero dei termini che descrivono l’uomo nelle sue diverse tappe dello sviluppo prenatale e il riconoscimento di tale categorie degli esseri umani come soggetti separati con diversi statuti giuridici sono la prova dell’arbitrarietà che esiste nel diritto circa la vita, quando si devono decidere le questioni molto importanti cioè chi è per il diritto l’uomo che ha il diritto alla vita. Con lo sviluppo della fecondazione in vitro è nato nel diritto un altro problema, come cioè il trattamento degli esseri frutto della fecondazione assistita. Di solito il diritto tratta in modo diverso l’embrione in vitro da quello in utero, soprattutto quando sono cosiddetti pre-‐embrioni oppure embrioni soprannumerari. Essi possono essere messi nei depositi, congelati distrutti, manipolati perché non esiste il motivo giuridico per la loro tutela[38]. Analizzando le leggi in 119 vigore nei diversi paesi circa gli sperimenti sugli embrioni oppure circa la fecondazione assistita si possono distinguere tre modelli che descrivono il valore giuridico dell’embrione in vitro. Il primo modello è quello della persona, cioè si ritiene che dal concepimento esiste l’essere umano, la persona umana oppure l’uomo ed il modo in cui è avvenuto il concepimento non influisce sullo statuto dell’embrione. In tale modello la tutela dell’embrione corrisponde a quella del bambino nato. Inoltre la tutela giuridica dovrebbe abbracciare tutti gli embrioni in vitro e anche quelli sopran numerari. Il secondo modello è quello della cosa o dell’oggetto, cioè l’embrione in vitro viene considerato come una cosa, come un oggetto, pertanto non possiede la tutela giuridica, che potrebbe incominciare dal momento dell’annidamento oppure del suo trasferimento in utero. Si presume che gli embrioni soprannumerari, che non sono destinati alla sopravvivenzaed allo sviluppo in utero non siano esseri umani. Secondo tale modello gli embrioni in vitro possono essere trattati come cose e la loro tutela dipende dal significato e dall’interesse che conferisce l’uomo, e non è ispirata da ciò che costituisce il bene per la cosa tutelata. Il terzo modello cosiddetto”modello del rispetto” stabilisce che il diritto non dovrebbe trattare l’embrione in vitro né come cosa, senza il diritto alla particolare tutela, né come persona, che ha il diritto alla tutela come il bambino nato. In tale modello si accetta che la vita umana deve essere rispettata già dal primo stadio del suo sviluppo e la sua tutela aumenta secondo il suo sviluppo. L’embrione in vitro anche se non ha lo stesso valore come l’uomo però ha il proprio valore. Per questo merita il rispetto. Tale convinzione non esclude però che l’embrione possa essere usato per scopi esterni, quindi anche per gli sperimenti. Tale comportamento non è contrario al principio del rispetto, se viene fatto per i motivi importanti. Si deve allora valutare gli interessi, cioè paragonare i valori tra la tutela dell’embrione in vitro e gli altri valori morali[39]. Le basi dei tre modelli sopra menzionati costituiscono le due opposte tendenze legislative: la prima secondo la quale si deve proteggere la vita dell’uomo nella sua fase prenatale da qualsiasi attentato, anche da quelli che lo sviluppo della biomedicina può comportare; la seconda, secondo la quale si preferisce lo sviluppo della tecnica e della scienza, mentre la tutela dell’embrione umano diventa secondaria[40]. Come esempio per la prima tendenza si può citare la legislazione tedesca considerata come restrittiva; per la seconda tendenza l’esempio si trova nella legislazione anglosassone, inclusa la britannica, la canadese e l’americana, che è permissiva nella sua sostanza. Le legislazioni che danno le preferenze per lo sviluppo della bioemedicina vengono caratterizzate dal fatto che non hanno il rispetto dovuto alla vita umana di solito fino al 14esimo giorno dal concepimento. Di conseguenza esiste la vasta possibilità di manipolazioni sugli embrioni e di creare gli embrioni sopra numerari che possono essere congelati, usati per le ricerche oppure distrutti[41]. Si nota facilmente quanti sforzi compia il diritto degli stati moderni per negare l’umanità al bambino concepito, soprattutto nella sua prima fase della vita dopo il concepimento. Si deve sottolineare che tali sforzi si verificano perché si possa aumentare l’aborto legale, la fecondazione assistita oppure le ricerche. Per i sostenitori di tale manipolazione circa il termine “uomo” esiste ancora uno scopo ben nascosto. Di solito quando si infrange la legge penale la società condanna tale atto e soprattutto quando si tratta dell’uccisione dell’uomo. Però se la legge nega l’umanità all’uomo, questo non è possibile secondo la verità sull’uomo, mentre lo è per la legge, allora tale atto trova nella società solo una piccola disapprovazione o addirittura dopo qualche tempo non viene neanche più disapprovato. Tale prassi viene usata spesso per elaborare leggi abortiste, sulla fecondazione assistita oppure sulle ricerche sugli embrioni umani. Tale prassi viene indicata anche da Giovanni Paolo II: “Alcuni tentano di giustificare l’aborto sostenendo che il frutto del concepimento, almeno fino ad un certo numero di giorni, non può essere ancora considerato una vita umana personale”[42]. I legislatori quando fanno le leggi circa la vita umana sempre di più differenziano le fasi della vita prenatale, danno i diversi nomi ai soggetti che vengono distinti dall’uomo ed in alcuni casi non riconosciuti come esseri umani e riconoscono a tali soggetti le 120 diverse tutele legali. Allora possiamo dire che la società ha pluralizzato la tutela giuridica della vita ed il suo campo, rendendola dipendente dallo statuto che viene riconosciuto dalla legge stabilita all’essere umano, nelle sue diverse fasi dello sviluppo, dal concepimento alla nascita. 10. L’altro aspetto giuridico per quanto riguarda la legislazione circa la vita umana è la questione di precisare i limiti della vita umana. Il diritto dovrebbe indicare l’inizio e la fine della vita. La vita umana incomincia con il concepimento e finisce con la morte. Il problema non sembraessere troppo complicato, soprattutto nell’epoca moderna dove lo sviluppo della biologia, della medicina e della tecnica è notevole. Il diritto potrebbe far riferimento ai risultati di tali scienze ed indicare con precisione il momento del concepimento e della morte. Però il diritto in modi diversi indica quando incomincia la vita dell’uomo[43]. Alcuni seguendo il legislatore tedesco accettano che la vita umana incomincia non dal concepimento, ma dopo qualche tempo cioè dal momento dell’individualizzazione oppure dell’annidamento. La situazione è diversa per quanto riguarda il fissare il momento della fine della vita cioè la morte dell’uomo. Per poter stabilire tale momento il diritto accetta quello che suggerisce la medicina, il momento della morte cerebrale. Tale questione è molto importante soprattutto per quanto riguarda i trapianti degli organi e dei tessuti che possono essere prelevati dal cadavere e non dall’uomo vivente. Giovanni Paolo II indica che l’eutanasia nascosta potrebbe verificarsi quando “si procedesse all’espianto degli stessi organi senza rispettare i criteri oggettivi e adeguati di accertamento della morte del donatore”[44]. 11. Il legislatore, quando elabora le leggi circa la vita, deve indicare in modo chiaro che in esse l’oggetto della tutela è la vita stessa e che essa deve essere il bene da proteggere. Anche se oggi esistono le leggi circa la vita, non significa che la vita umana venga riconosciuta dal legislatore come valore da lui apprezzato. L’oggetto protetto in tali leggi è diverso da quello della vita. Le leggi sempre di più proteggono come bene la libertà, la vita privata della donna oppure il cosiddettodiritto all’aborto che nelle società pluraliste viene sempre di più riconosciuto come il diritto fondamentale[45]. Anche la dignità dell’essere umano potrebbe essere uno di tali beni; ciò non esclude che in alcune situazioni la legge permetterà di uccidere tale essere, situazioni in cui esiste spesso un conflitto tra i diversi beni, per cui i legislatori scelgono l’oggetto della tutela accettando, come nelle leggi abortiste che la vita del bambino concepito è il bene meno prezioso e deve dare la precedenza alla tutela degli altri beni legali. 12. Nel legiferare circa la vita umana, esiste un aspetto che sembra formale, ma in realtà si riferisce al merito della questione,cioè i termini del linguaggio giuridico,usato dai legislatori. Ogni legge con il suo linguaggio esprime un certo contenuto del diritto. Per tale motivo sono importanti il linguaggio, l’adeguata scelta dei termini, delle espressioni che vengono usati dal legislatore per esprimere la norma giuridica per la materia da loro scelta. Possiamo notare una cosa interessante per quanto riguarda le leggi che si riferiscono al diritto alla vita, cioè i concetti che vengono usati nei testi legislativi di solito non rispecchiano il vero contenuto della norma. Nella Lettera alle famiglie Giovanni Paolo II scriveva che la nostra epoca é un’epoca di grande crisi della verità, che in primo luogo significa crisi di concetti[46]. Tra i cosiddetti nuovi diritti dell’uomo, viene introdotto il diritto all’aborto, celato dietro i termini diversi, come per esempio “il diritto alla libera scelta”, “il diritto alla libera scelta della gravidanza”, “libera decisione sull’interruzione della gravidanza”, “il diritto alla scelta di terminare la gravidanza”, “il diritto alle libere scelte personali”, “il diritto all’integralità personale includendo la gravidanza”, “il diritto a disporre del proprio corpo” oppure “il diritto alla libertà della maternità”[47]. I legislatori formulano leggi circa l’aborto, la fecondazione assistita, le ricerche sugli embrioni umani spesso 121 manipolano il linguaggio per nascondere il vero contenuto della legge[48].E’ per questo che nelle leggi troviamo le espressioni come “l’intervento”, “l’interruzione della gravidanza”, “terminare in modo artificiale la gravidanza” oppure “l’aborto”. Tali manipolazioni devono nascondere la vera sostanza dell’atto che consiste nell’uccisione del bambino concepito. Tali manipolazioni hanno anche come scopo quello di mitigare le reazioni della società causate dall’uccisione dell’uomo nella fase iniziale della sua vita. Giovanni Paolo II notando tale fenomeno nel contesto dell’aborto scriveva: “Forse questo fenomeno linguistico è esso stesso sinonimo di un disagio delle coscienze. Ma nessuna parola vale a cambiare la realtà delle cose: l’aborto procurato è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita”[49]. L’uso da parte dei legislatori dei termini scelti nelle leggi circa le ricerche sugli embrioni e la clonazione non è altro che la manipolazione del linguaggio. 13. Se nella società pluralista si accetta che ciascuno possa liberamente stabilire che cosa ha per lui un valore, allora alcuni ritengono che dovrebbe essere riconosciuta ad ogni persona piena autonomia di disporre anche della propria vita e della vita di chi non è ancora nato[50]. Si ritiene che attraverso l’approvazione della maggioranza oppure attraverso il consenso si dovrebbe stabilire ogni volta nella legge ciò che ha un valore, cioé il bene che deve essere tutelato dalla legge, allora in primo luogo tali decisioni dovrebbero riferirsi alla vita umana[51]. Il consenso della società pluralista dovrebbe decidere in una concreta situazione che cosa è un bene oppure un male, che cosa è un valore per la legge, che cosa la legge deve proibire o consentire e se l’uccisione dell’uomo è un bene o un male. Il consenso sulle soluzioni giuridiche circa la vita non darebbe le garanzie che in tale legge la vita sia riconosciuta come un valore inviolabile. Mettere insieme il valore della vita, che dovrebbe essere tutelato dalla legge con il pluralismo della società e con le soluzioni dei conflitti sulla vita umana per mezzo del compromesso e del consenso sempre mette in dubbio da parte della legge il valore assoluto del diritto alla vita e lo relativizza[52]. In tal modo il diritto dell’uomo che è inviolabile, inalienabile dipende dalle disposizioni della maggioranza che potrebbe negarlo nelle leggi che fa. La vita umana diventa l’oggetto dei patti e dei negoziati. Si arriva a discutere su chi dovrebbe avere il diritto alla vita e chi no, si ammette la discussione nel parlamento oppure nella società per mezzo anche del referendum sulla negazione di tale diritto. Allora nella società pluralista il diritto diventa “lo strumento della volontà del legislatore assumendo il valore del compromesso il quale non soddisfa nessuno però viene accettato perché permette di evitare i conflitti sociali”[53]. La civiltà pluralista delle società ha portato con se le leggi fatte attraverso il consenso della maggioranza, per poter legalizzare l’uccisione dell’uomo e tutelare colui che uccide. Tale è la tragica direzione verso la quale va la legge circa il diritto alla vita. In tal modo il legislatore assume il potere di disporre del diritto alla vita e della sua tutela. La vita umana, nei casi da lui scelti, cessa di essere nella comunità statale il bene, il valore degno del rispetto e della protezione. Quando il legislatore nega il diritto alla vita in riferimento ad alcuni esseri umani e lo conferma per gli altri, allora infrange il diritto che è inviolabile e inerente alla persona. Entra in conflitto con i diritti umani che non possono essere l’oggetto dei patti, del consenso, delle votazioni e di referendum [54]. Lo Stato in cui domina tale visione del diritto cessa di essere lo Stato democratico del diritto, basato sui diritti dell’uomo. Diventa lo Stato tiranno che pretende di disporre della vita dei più deboli ed indifesi, della vita dei bambini non nati e degli anziani[55] e la democrazia diventa “chiaro o nascosto totalitarismo”[56]. Allora lo stato democratico e pluralistico “può assumere certe caratteristiche dello stato totalitario, se i cittadini non avranno la moralità, che ha il carattere universale per poter garantire sempre e dovunque il rispetto per la vita umana, per la sua dignità e le esigenze che tale vita comporta nella vita pubblica”[57]. 122 [1] La sentenza del 28 maggio 1997 (K. 26/96) in Trybunal Konstytucyjny w sprawie zycia, Czestochowa 1997, 106 [2] FINNIS J., Niesprawiedliwe prawa w spoleczenstwie demokratycznym, Ethos 2003, n. 61-‐62, 131 [3] GIOVANNI PAOLO II, Sacra Scrittura, Tradizione, Storia della Chiesa e Magistero pastorale cardini dell’azione dei cattolici nella società attuale in L’Osservatore Romano, 13 novembre 1994 [4] LUÑO A. R., Leggi imperfette e inique in Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia vita e questioni etiche, Bologna 2003, 523; cf FINNIS J., Le leggi ingiuste in una società democratica. Considerazioni filosofiche in Cattolici e la società pluralista. Il caso delle “leggi imperfette”, Bologna 1996, 99-‐114. Nell’Evangelium vitae non troviamo il termine “lex imperfecta”. Tale termine è apparso nel titolo del congresso intitolato “I cattolici e la società pluralista. Il caso delle “leggi imperfette” organizzato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede a Roma nei giorni dal 9 al 12 novembre 1994; cf. ŚLĘCZKA P., Spór wokół Encykliki „Evangelium Vitae”, Ethos 2003,61-‐62:99. [5] LUÑO A. R.,Leggi imperfette…, 527 [6] ASTABURUAGA, Los fundamentos…, 13 [7] Sulle sentenze costituzionali circa il diritto alla vita vedi CASINI M., Il diritto alla vita del concepito nella giurisprudenza europea, CEDAM, Padova 2001; WIAK K., Ochrona dziecka poczetego w polskim prawie karnym, RW KUL, Lublin 2001 [8] Ibidem [9] Vyhláška Ministerstva zdravotníctva Slovenskej socialistickej republiky, ktorou sa vykonáva zákon Slovenkej národnoj rady č.73/1986 Zb. O umelom prerušeni tehotenstva, Sbírka zákonů 1986, nr 23, poz. 74. [10] cf Rozhodnutie prezidenta Slovenskej republiky o vrátení zákona z 3 júla 2003, którym sa dopĺňa zákon Slovenskej národnej rady č.73/1986 Zb. O umelom prerušeni tehotenstva v zneni zákona Slovenskej národnej rady č. 419/1991 Zb. Z 23 júla 2003., čislo KP 623/2003 [11] Anche nelle letteratura che aiuta i legislatori spesso si afferma che il nascituro non ha ancora il proprio diritto alla vita allora il divieto di uccidere incomincia nel momento della nascita vedi per esempio HÖRSTER N., Abtreibung im säkularen Staat. Argumente gegen den § 218, Frankfurt 1991: 26 [12] BERTONE T., Catholics and Pluralistic Society „Imperferct Laws and Responsability of Legislator., in Evangelium vitae. Five Years...215 [13] cf SCHOOYANS M., Aborcja a politica, Instytut Jana Pawla II KUL, Lublin 1991, 82-‐84 [14] BERTONE T., Catholics and Pluralistic Society, “Imperfect Laws and Responsabilità of Legislators in Evangelium vitae, Five Years…, 215; LUÑO A. R., Katolicki prawodawcawobec problemu głęboko niesprawiedliwego prawa, Ethos 2003, 61-‐62:155 [15] SPIEKER M., Kosciol Katolicki a niemickie poradnictwo dla kobiet w ciazy.Bilans dziesieciolecia, Ethos 2003, 61-‐62: 342 [16] Congregazione per la Dottrina della Fede, Donum vitae, III [17] SMYCZYNSKI T., Pojęcie i status prawny ludzkiej istoty poczętej, w Wspomagana prokreacja ludzka. Zagadnienia legislacyjne, Nakom, Poznań 1996: 15-‐17 [18] GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae, 4 [19] Loi no 2001-‐588 du 4 juillet 2001 relative a l` interruption volontaire de grossesse et a la contraception, Journal Officiel no 156 du 7 juillet 2001, p. 10823, art. 17, che ha cambiato l’articolo L. 2223-‐2 del codice della salute pubblica [20] Congregazione per la Dottrina della Fede, Donum vitae, III 123 [21] WILLIAMS G., Świętość życia a prawo karne, Państwowy Zakład Wydawnictw Lekarskich, Warszawa 1960: 19 [22] cf WOJCIECHOWSKI A.,Legalizacja prewencji czy początek cywilizacji śmierci?, Ethos 1993, 21/22:162, CLEMENT M., Menace sur les nouveau-‐nés, L`Homme Nouveau, 15 XI 1987 [23] GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae, 14 [24] cf CICCONE L.,L’eutanasia e il principio della inviolabilità assoluta di ogni vita umana innocente, inCommento interdisciplinare alla „Evangelium Vitae, red. SGRECCIA E., LUCAS LUCAS R.,Libreria Editrice Vaticana, Vaticano 1997:453-‐465, BOMPIANI A., Stato legislativo ed evoluzione del dibattito bioetica sull`eutanasia, Famiglia et Vita 1999, 1:23-‐40 [25] Camera Alta, l’anno parlamentare 2000-‐2001, 26691, 137 [26] 28 mai 2002 – Loi relative a l’”euthanasie”, Moniteur Belge, 22 VI 2002 [27] GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae, 14 [28] LUÑO A. R., Katolicki prawodawca..., 144 [29] GRZESKOWIAK A., Nowe tendencje w zakresie prawnej aborcji w Europie, Ethos 2003, 61-‐62, 360-‐377 [30] Il catalogo più grande dei motivi per poter abortire conteneva fino a poco fa la legislazione russa. Tale legislazione permetteva l’aborto fino alla 12 settimana ed inoltre per i 13 motivi speciali, se essi si verificavano tra la 12 e 22 settimana per esempio la violenza carnale, la morte oppure l’handicap del marito, la prigione, quando la donna veniva privata dei bambini in base della sentenza del tribunale, danneggiamento del feto, il pericolo per la vita della madre, il divorzio, la povertà, la disoccupazione, le cattive condizioni riguardanti la possibilità di abitare. Dopo il cambiamento della legge il legislatore ha lasciato come motivi per l’aborto legale: il pericolo per la vita della madre, danneggiamento del feto, la violenza carnale, la prigione, la morte oppure l’handicap del marito, quando la donna veniva privata dei bambini in base della sentenza del tribunale. L’ampio elenco dei motivi per abortire prevede anchela legge finlandeseche permetteva di abortire per esempio perché la madre non ha compiuto 17 anni oppure ha finito 40 anni, oppure aveva già 4 figli; cf GRZESKOWIAK A., Nowe tendencje…, 368 [31] cf La sentenza del 28 maggio 1997, 112-‐125 [32] ANDORNO R., La distinction juridique entre les personnes et les choses à l`epreuve des procréations artificielles,Bibliotheque de Droit Prive, t. 263, L.G.D.J., Paris:200 [33] cf WILLIAMS G., Swietosc zycia…, 18-‐21 [34] CARRASCO I., Lo statuto dell’embrione umano, Famiglia et Vita, 1999, 1, 45 [35] Congregazione per la Dottrina della Fede, Donum vitae, Introduzione, nota [36] Il termine “pre-‐embrione” la prima volta è stato usato da A. McLaren, embriologo, la quale si riferiva allo sviluppo dello zigote fino al 15 giorno dal concepimento. Tale termine è stato usato nel Rapporto di Warnock nel 1984. Durante l’elaborazione dell’ultima versione di tale rapporto si è fatto una manipolazione del linguaggioper polarizzare la discussione etica, e nel documento finale si è introdotto tale termine che non è stato usato durante i debbiatiti della commissione; cf DAVIES D., Embryo research, Nature, 1986, 320,208; cf SERRA A., Lo stato biologico dell’embrione umano. Quando inizia l’essere umano in Commento interdisciplinare…,574 [37] BARRA R-‐C., Status giuridico dell’embrione umano in Lexicon…, 819 [38] cf SERRA A., Lo statuto biologico…,573-‐597 [39] cf Message sur…, 44 -‐ 45 [40] ANDORNO, La distincion…, 199 [41] Ibidem, 212 [42] GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae, 60 [43] DAVIS M., Medical Law, Blackstone Press Limited, London, 1998, 284 [44] GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae, 15 124 [45] GRZESKOWIAK A., Diritto all’aborto in Lexicon…, 239-‐247 [46] cf GIOVANNI PAOLO II, Gratissimam sane, 13 [47] GRZESKOWIAK A., Diritto all’aborto, 240 [48] cf NEVILLE W., Manipolazione del linguaggio in Lexicon…, 534-‐536 [49] GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae, 58 [50] GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae, 68 [51] cf SCHOOYANS M., La face cachèe de L’ONU, Le Sarment, bmw, 2000, 35-‐40 [52] cf RAMOS J. M. G., La cultura democratica, la legge della maggioranza, la tolleranza in Commento interdisciplinare…, 288-‐295 [53] ŚLĘCZKA, Spór wokół..., 102 [54] Il referendum sulle leggi circa il diritto alla vita che contenevano l’aborto legale oppure allargavano la possibilità di abortire si è fatto: in Svizzera, in Italia in cui la Corte Costituzionale ha riconosciuto tale referendum come costituzionale, ma nel caso in cui si voleva introdurre l’aborto sul desiderio come contrario alla costituzione; in Portogallo dove la Corte Costituzionale ha affermato che il referendum è conforme alla costituzione però la gente ha bocciato la proposta di aggiungere i nuovi motivi per l’aborto. Il referendum sull’aborto, allora anche sul diritto alla vita si è fatto anche in Irlanda. Nella costituzione della Slovacchia e della Repubblica Ceca si proibisce di fare il referendum sui diritti dell’uomo. In Polonia il parlamento già alcune volte ha respinto la proposta di fare il referendum sull’aborto invece ha approvato le consultazioni sociali. Da esse risulta che su 1710976 dei partecipanti, 1527460 erano contro l’aborto cf GRZESKOWIAK A., Prawnokarna ochrona dziecka poczetego w pracach Sejmu i Senatu, Ottoniamun, Szczecin 1994, 133 [55] GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae, 20 [56] GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus, 46 [57] BERREAU H., La loi morale-‐fondament du droit, Ethique 1996, 22 125 ÁNGEL RODRÍGUEZ LUÑO I LEGISLATORI CATTOLICI DI FRONTE ALLE PROPOSTE MIGLIORATIVE DELLE LEGGI INGIUSTE IN TEMA DI PROCREAZIONE ARTIFICIALE 1. Introduzione Questa relazione non affronterà tutti i problemi giuridici ed etico-‐politici sollevati dalle attuali tecniche di procreazione artificiale. Suo compito è offrire, alla luce della morale cattolica e specialmente dell’enciclica Evangelium vitae (EV), alcune indicazioni etiche sul comportamento di legislatori e politici di fronte alle proposte migliorative di una legge civile ingiusta riguardante le suddette tecniche. Il n. 73 di EV afferma che quando il proprio voto fosse determinante per favorire una legge più restrittiva, in alternativa ad una legge più permissiva già in vigore o messa al voto, «un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui»[1]. È ben noto che ci sono state controversie sull’esatta interpretazione di questa soluzione morale e, conseguentemente, sul modo di applicarla ad altre situazioni analoghe. Occorre procedere perciò ad alcuni chiarimenti circa il contesto e il significato di tale insegnamento, affinché esso possa essere applicato con sicura correttezza al problema che ora ci occupa[2]. Un primo chiarimento riguarda l’espressione “leggi imperfette”, che talvolta viene usata in riferimento a EV 73. Eppure questa espressione non è stata utilizzata da questa enciclica né da alcun altro documento del magistero ecclesiastico, e gli autori che se ne servono la mettono sempre tra virgolette. Si tratta, infatti, di un’espressione che può trarre in inganno. Ci sono almeno due importanti ragioni per le quali sarebbe preferibile non adoperarla: 1) Dal punto de vista dell’etica politica le leggi civili che qui e ora sono congruenti con il bene comune sono leggi giuste; quelle che si oppongono a contenuti essenziali del bene comune sono inique o ingiuste[3]. Le leggi giuste saranno sempre o quasi sempre perfettibili, almeno per quanto riguarda la loro espressione ed efficacia tecnico-‐giuridica, e le leggi inique potranno essere più o meno inique. Ma tra le prime e le seconde non esiste una terza categoria intermedia. 2) EV 73 afferma che contribuire a eliminare con il proprio voto una parte delle disposizioni normative inique di una legge ingiusta è un bene, ma non afferma che la legge più restrittiva risultante sia giusta, o che in se stessa sia tutto sommato accettabile o difendibile. Dal contesto immediato e dall’andamento di tutto il capitolo III dell’enciclica scaturisce piuttosto che una legge che rende legale l’aborto, anche se è più restrittiva della legge precedente, è una legge ingiusta a tutti gli effetti. Gli insegnamenti di Giovanni Paolo II non possono fondare la creazione di una terza categoria etica, intermedia tra le leggi giuste e le leggi ingiuste, quale sarebbe quella di legge imperfetta. Basterebbe non dimenticare quest’osservazione per evitare molti errori di interpretazione[4]. 2. Principi morali fondamentali sul comportamento da tenere nei confronti delle leggi civili ingiuste Un secondo chiarimento riguarda il contesto in cui va collocato il n. 73 di EV. Il contesto generale è la responsabilità morale che hanno i cittadini, e particolarmente i politici e i legislatori, sulla correttezza dell’ordinamento giuridico del proprio paese. Tale responsabilità mira positivamente 126 a far sì che l’intero ordinamento giuridico sia giusto: questo è lo scopo che va perseguito e al quale mai si deve rinunciare. È completamente estranea alla prospettiva di EV una logica di compromesso che potrebbe essere descritta così: i cattolici sono assolutamente contrari ad ogni strumentalizzazione degli embrioni umani da parte delle tecniche di procreazione artificiale, altri cittadini invece non ritengono sbagliato il loro uso e stoccaggio come pezzi di ricambio; dato che lo Stato è la casa di tutti, non sarebbe giusto pretendere che la legge ammetta interamente la posizione dei cattolici o quella dei non cattolici, perché la legge deve essere per forza una mediazione. Questo ragionamento è evidentemente errato, perché la tutela della vita umana non è un’esigenza specifica della morale cattolica, ma appartiene alla cultura etico-‐politica di qualsiasi società umana[5]. Accettare un compromesso di questo tipo significherebbe rendersi complici di un principio discriminatorio gravemente ingiusto, fatale per coloro che lo subiscono, e che a lungo andare mette in discussione uno dei fondamenti della vita sociale. Chiarito questo punto, davvero importante, occorre segnalare che il contesto più immediato di EV 73 è costituito dall’insegnamento della morale cattolica sul comportamento da tenere nei confronti delle leggi civili ingiuste[6]. La morale cattolica insegna che esse non obbligano in coscienza; che esiste anzi l’obbligo morale di non seguire le loro disposizioni normative, di opporsi civilmente ad esse (anche attraverso l’obiezione di coscienza), di non dare loro il suffragio del proprio voto e di non collaborare alla loro applicazione. Ma esiste soprattutto il dovere di porre in atto tutti i mezzi leciti per abrogarle. Nella cornice di quest’ultimo dovere, EV 73 insegna che laddove non sia veramente possibile abrogare una legge ingiusta nella sua totalità, è buono e doveroso impegnarsi per ottenere la sua abrogazione parziale. Non si deve pensare tuttavia che sia moralmente lecita ogni strategia politica volta alla riduzione del danno (Harm Reduction o Harm Minimisation) indipendentemente dai mezzi adoperati. Tutt’altro. Nell’impegno politico per ridurre gli effetti negativi di una legge civile ingiusta vanno tenuti presenti due principi morali irrinunciabili. Il primo afferma che «se è lecito, talvolta, tollerare un minor male morale alla fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali»[7]. Nessuno può lecitamente eseguire l’ordine di uccidere dieci innocenti con il fine di evitare che un altro ne uccida trenta. Il secondo principio riguarda la cooperazione. «Non è mai lecito cooperare formalmente al male»[8], e quindi non è moralmente possibile collaborare alla promulgazione né all’applicazione di una legge gravemente ingiusta. La soluzione di EV 73 deve essere interpretata alla luce dei due principi morali testé ricordati, che la stessa enciclica presuppone o riprende esplicitamente. 3. Il fondamento di Evangelium vitae, n. 73 Le riflessioni precedenti escludono che l’insegnamento di EV 73 sia fondato sull’accettabilità morale di una legge ingiusta più restrittiva in se considerata, oppure sulla liceità di rendersi direttamente responsabile di un male minore allo scopo di evitare un male maggiore, e meno ancora su una teoria del compromesso. L’insegnamento di EV 73 è fondato su un giudizio circa l’oggetto morale dell’azione con la quale il parlamentare offre il proprio sostegno alla legge più restrittiva, sempre nelle condizioni elencate da EV 73. L’oggetto morale dell’azione realizzata dal parlamentare è l’eliminazione di tutti gli aspetti ingiusti della precedente legge che qui e ora egli può eliminare, senza perciò diventare la causa del mantenimento di altri aspetti ingiusti che egli non vuole e non accetta, ma che non è in grado di eliminare[9]. In definitiva, la natura e l’unico significato reale dell’azione del 127 parlamentare è quella di essere un atto abrogativo parziale di una legge ingiusta, fermo restando che l’atto abrogativo è parziale unicamente perché l’abrogazione totale non è stata possibile. Il male, tanto il male maggiore quanto quello “minore”, lo fanno altri, i quali non possono essere totalmente ostacolati dal parlamentare di cui parliamo. Questi elimina gli aspetti iniqui della legge nella misura in cui gli è possibile farlo, e questo intervento limitativo del male è l’unica cosa che egli vuole e che egli fa. Egli, con la sua azione, limita il male fatto da altri, ma anche il male minore rimanente sono gli altri a farlo, non il parlamentare di cui parliamo. In termini semplici: non è moralmente possibile uccidere direttamente tre innocenti, o rendersi complice della loro uccisione, affinché un’altra persona non ne uccida dieci. Ma è lecito e doveroso ostacolare chi sta per uccidere dieci innocenti, anche se malgrado i propri sforzi si riesce a salvare solo sette. L’azione di chi ha agito bene consiste unicamente in salvare sette, perché non è stato possibile salvare i dieci. I tre che non si è riuscito a salvare è stata un’altra persona a ucciderli. Riassumiamo ora l’insegnamento di EV 73, in modo da poter applicarlo anche alle leggi sulla procreazione artificiale. È buono e doveroso promuovere o sostenere con il proprio voto proposte migliorative di una legge civile ingiusta sempre che si diano tutte le condizioni affinché il proprio intervento politico sia realmente e unicamente un atto di abrogazione parziale. Le condizioni che devono verificarsi sono principalmente le seguenti: che non sia possibile l’abrogazione totale della legge ingiusta, che il proprio voto sia determinante per ottenere il bene cercato, che con il proprio voto non si renda responsabile delle disposizioni normative ingiuste ancora presenti nella legge più restrittiva e, infine, che venga ragionevolmente evitato ogni genere di scandalo e confusione delle coscienze. 4. Applicazioni politiche in tema di procreazione artificiale Ci si potrebbe interrogare sulla possibilità che, in determinate condizioni, non fosse contraria al bene comune una legge civile che non proibisse una forma di procreazione artificiale che, pur essendo moralmente illecita, garantissecompletamente e per ogni singolo embrione i tre diritti seguenti: il diritto ad essere trattato come soggetto e non come oggetto; il diritto inviolabile alla vita; e, infine, il diritto di nascere da e in una stessa coppia eterosessuale unita in matrimonio[10]. Le leggi civili attuali sulla procreazione artificiale, per quanto so, non garantiscono questi tre diritti, e quindi la possibilità accennata costituisce un problema puramente teorico che adesso non è necessario approfondire. Presupponendo pertanto che le attuali leggi sulla procreazione artificiale sono ingiuste, si tratta di capire come vanno applicati i principi morali sopra esposti. Due sono i principi fondamentali: che il parlamentare non si renda responsabile delle disposizioni normative inique presenti nella legge più restrittiva e che non ci sia scandalo né confusione delle coscienze[11]. L’applicazione del primo è relativamente semplice quando è possibile un intervento politico che anche dal punto di vista formale è manifestamente abrogativo. Se un gruppo di parlamentari non hanno la maggioranza per abrogare totalmente una legge ingiusta, ma riescono a ottenere una maggioranza per abrogare i due articoli della legge che autorizzano la formazione di embrioni “sopravanzanti” (spare embryos) e il loro congelamento, è chiaro che questi parlamentari sono responsabili solo dell’abrogazione di quei due articoli gravemente ingiusti, e non dei restanti articoli di una legge alla quale non diedero il proprio voto quando fu varata dal parlamento. La negazione parziale di un male è un bene, e non richiede alcuna ulteriore giustificazione. Ma alle volte non è tecnicamente possibile abrogare una parte di una legge. Per abrogare parzialmente la legge, è necessario riscriverla, e quindi presentare una nuova proposta di legge per sostituire la precedente. Sarebbe possibile allora un intervento non formalmente, ma sì sostanzialmente abrogativo, che non è in modo alcuno una cooperazione all’approvazione 128 parlamentare di una legge ingiusta, poiché l’unica novità del testo approvato è il divieto di alcune pratiche gravemente ingiuste che prima erano legali[12]. Vediamolo con un esempio. Un paese ha una legge sulla procreazione artificiale che consente illimitate strumentalizzazioni degli embrioni umani. Il Parlamento di questo paese ha 100 deputati, divisi in tre gruppi. Il gruppo A, di 40 membri, accetta l’attuale legge e non vuole alcun cambiamento. Il gruppo B, di 30 membri, vorrebbe una legge più restrittiva, ma in modo alcuno accetterebbe una legge che vieti completamente la fecondazione in vitro. Prima di accettare il divieto totale della fecondazione in vitro, preferisce restare con la legge attuale. Il gruppo C, di 30 membri, è contrario a qualsiasi tipo di fecondazione in vitro e di inseminazione artificiale sostitutiva dell’atto coniugale. I parlamentari del gruppo C, molti dei quali sono cattolici, potrebbero lecitamente presentare un nuovo progetto di legge, che vieta tutte le tecniche e manipolazioni che i parlamentari del gruppo B sono disponibili ad accettare dopo intense negoziazioni. Una volta approvata questa nuova legge, votata dal gruppo B e C, con l’opposizione del gruppo A, la situazione reale e sostanziale è la seguente: _ La maggioranza parlamentare che sostiene realmente le tecniche di procreazione artificiale illecite ancora legali è formata dai gruppi A e B (70 deputati). _ La maggioranza parlamentare che ha soppresso una parte delle tecniche illecite che prima erano legali è formata dai gruppi B e C (60 deputati). _ Il gruppo C, dove stanno i cattolici è responsabile unicamente dalla scomparsa dall’ordinamento legale di alcune tecniche di procreazione artificiale che fino alla nuova legge erano legali. Se alcuni parlamentari di questo gruppo votassero contro la proposta migliorativa, oppure si astenessero, e a causa di questo loro comportamento la proposta migliorativa non passa, il loro comportamento è un reale ed efficace sostegno della legge più ingiusta, e a partire da questo momento di essa ne diventano moralmente corresponsabili. _ Il gruppo B poteva abrogare tutto, unendosi al gruppo C, ma non ha voluto farlo. Quindi il gruppo B è responsabile sia dell’abrogazione di alcune tecniche illecite sia della permanenza di altre tecniche ugualmente ingiuste. Un cattolico non potrebbe appartenere a questo gruppo. Il fondamento della liceità di quanto ha fatto il gruppo C non è semplicemente che la nuova legge è più restrittiva di quella precedente. Il fondamento è che l’oggetto morale della loro azione consiste nell’abrogare tutte le tecniche e manipolazioni ingiuste che è stato possibile abrogare, senza rendersi realmente e sostanzialmente responsabili del fatto che alcune tecniche ingiuste di procreazione artificiale siano ancora legali. La legalità di queste tecniche è sostenuta nel parlamento dai gruppi A e B, non dal gruppo C. Il gruppo C non è sostanzialmente responsabile degli aspetti negativi della nuova legge più restrittiva, anche se sembra esserlo formalmente. Il punto da tener presente è che la nuova legge, nel dichiarare legali alcune tecniche ingiuste, non permette nulla di ingiusto che prima fosse vietato e vieta molte ingiustizie gravi che prima erano permesse. Possiamo considerare brevemente ancora un’altra situazione. Sarebbe possibile promuovere una legge restrittiva in un paese che non ha alcuna legge specifica sulla procreazione artificiale, ma solo una situazione di fatto molto permissiva e ingiusta? Bisognerebbe fare molte distinzioni. Possono esistere situazioni di fatto che sono veramente semplici situazioni di fatto, che potrebbero essere soppresse applicando con rigore le disposizioni normative esistenti nel insieme dell’attuale ordinamento giuridico. Ci sono altre situazioni di fatto che lo sono solo apparentemente, in quanto alla luce della totalità dell’ordinamento giuridico e sanitario sono in realtà situazioni di diritto. L’ordinamento giuridico in vigore impedisce qualsiasi loro modifica migliorativa da parte delle autorità sanitarie che lo volessero fare. In questo ultimo caso, con 129 speciali cautele sulle quali qui non è possibile soffermarsi[13], si potrebbe procedere applicando accuratamente i principi morali sopra esposti. Consideriamo infine il problema dello scandalo. Le azioni umane in generale, e quelle politiche in particolare, hanno anche un valore e un influsso simbolico sulla cultura e la moralità pubblica, molto importante in una società imperniata sulla comunicazione, quale è la nostra, e più importante ancora per i cattolici e per la Chiesa, che seguendo Cristo devono essere “lumen gentium”. Occorre prevedere quale sarà l’influsso esercitato dalle proprie azioni a livello simbolico, perché la confusione e lo scandalo deve essere evitato, per quanto possibile. Quando un politico o gruppo di politici si impegna per abrogare parzialmente una legge ingiusta, in uno dei modi che prima sono stati considerati moralmente leciti, è di estrema importanza rendere ben comprensibile il senso reale e sostanziale del proprio operato a tutti, almeno a tutti coloro che vogliono ascoltare e capire. Ciò che si fa non solo deve essere buono, ma deve poter sembrare buono a tutti gli osservatori di buona volontà. Vanno evitati i messaggi ambigui o equivoci[14]. Oltre all’onere della lotta leale contro gli avversari politici, si ci deve assumere anche quello della comunicazione limpida e comprensibile con coloro che avversari non sono. Altrimenti si producono incomprensioni e confusioni che dovrebbero essere state evitate. Per agire con la necessaria chiarezza occorre non dimenticare che EV 73 intende risolvere un particolare problema di coscienza che si pone ai membri di un organo legislativo in circostanze molto concrete e ben determinate. EV 73 non propone un ideale. L’ideale che i cittadini e i politici di retta coscienza dovrebbero perseguire è che la totalità dell’ordinamento giuridico e politico del proprio paese sia giusto, e non solo meno ingiusto di quanto potrebbe essere. Questo è anche l’oggetto della loro responsabilità morale. Solo nel contesto della lotta in favore di tale ideale, che richiede anche l’opposizione alle leggi ingiuste, possono essere adeguatamente capiti gli interventi politici miranti all’abrogazione parziale di una legge ingiusta la cui abrogazione totale non è proprio possibile. Questo è lo sfondo della soluzione proposta da EV 73. Non la si può interpretare come una forma di compromesso con l’ingiustizia senza stravolgerne completamente il significato e l’intenzionalità. [1] GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica “Evangelium vitae” sul valore e l’inviolabilità della vita umana, 25-‐III-‐1995, n. 73 (d’ora in avanti EV). [2] Per uno studio più particolareggiato di EV n. 73 ci permettiamo rimandare il lettore ad un nostro precedente studio: Il parlamentare cattolico di fronte ad una legge gravemente ingiusta. Una riflessione sul n. 73 di “Evangelium vitae”, «L’Osservatore Romano», 6 settembre 2002: 8. [3] Ci siamo occupati dei diversi tipi di leggi civili ingiuste in Ética General, 4ª edición renovada, Pamplona: Eunsa, 2001: 271-‐273. [4] Sulla problematicità dell’idea di legge imperfetta, si veda: RODRÍGUEZ LUÑO, A., Leggi imperfette e inique, in PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA (a cura di), Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, Bologna: EDB, 2003: 523-‐527. [5] Cf. per esempio KRIELE, M., Einfuhrung in die Staatslehre. Die geschichtlichen Legitimitätsgrundlagen des demokratischen Verfassungsstaates, 4ª ed., Opladen: Westdeutscher Verlag, 1990. Molto significativa è a questo riguardo l’intervista a Norberto Bobbio pubblicata sul «Corriere della Sera» il 6 aprile 1981, nella quale egli afferma: «mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere». Ugualmente significativo l’articolo pubblicato da Bobbio su «La Stampa» il 15 maggio 1981, nel quale 130 risponde alle critiche che le erano state rivolte da Giorgio Bocca per l’intervista contraria all’aborto prima citata. In questo articolo Bobbio scrive: «Non sarà inutile ricordargli [a Bocca] che il primo grande scrittore politico che formulò la tesi del contratto sociale, Tommaso Hobbes, riteneva che l’unico diritto cui i contraenti entrando in società non avevano rinunciato era il diritto alla vita». Per più ampie informazioni, cf. PALINI, A., Aborto. Dibattito sempre aperto da Ippocrate ai nostri giorni, Roma: Città Nuova, 1992: 72-‐75. [6] Cf. EV, nn. 72-‐74. Sulla dottrina morale riguardante le leggi civili ingiuste si vedano S. Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, I-‐II, q. 96, a. 4, c.; Colom, E., -‐ Rodríguez Luño, A., Scelti in Cristo per essere santi. Elementi di Teologia Morale Fondamentale, Roma: Apollinare Studi, 1999: 288-‐291; Günthör, A.,Chiamata e risposta. Una nuova teologia morale, 6ª ed., Cinisello Balsamo: Paoline, 1989: vol. I, n. 360 e vol. III, nn. 230-‐243. [7] PAOLO VI, Lettera enciclica“Humanae vitae” sulla retta regolazione della natalità, 25-‐VII-‐1968, n. 14. [8] EV, n. 74. L’enciclica spiega di seguito che cosa è la cooperazione formale: «Tale cooperazione si verifica quando l’azione compiuta, o per la sua stessa natura o per la configurazione che essa viene assumendo in un concreto contesto, si qualifica come partecipazione diretta ad un atto contro la vita umana innocente o come condivisione dell’intenzione immorale dell'agente principale. Questa cooperazione non può mai essere giustificata né invocando il rispetto della libertà altrui, né facendo leva sul fatto che la legge civile la prevede e la richiede: per gli atti che ciascuno personalmente compie esiste, infatti, una responsabilità morale a cui nessuno può mai sottrarsi e sulla quale ciascuno sarà giudicato da Dio stesso» (n. 74). [9] Cf. FINNIS, J.,Le leggi ingiuste in una società democratica. Considerazioni filosofiche, in JOBLIN, J., TREMBLAY, R. (a cura di),I cattolici e la società pluralista. Il caso delle «leggi imperfette», Bologna: Edizioni Studio Domenicano, 1996: 99-‐114. Finnis spiega giustamente che il significato reale dell’azione di un membro di un corpo legislativo può essere capito solo alla luce del contesto procedurale e del marco legale esistente: «Ad esempio: una legge del genere: “L’aborto è legale fino alla sedicesima settimana” è una legge ingiusta. Ma un disegno di legge del tipo “L’aborto è legale fino alla sedicesima settimana” può essere proposto (a) per introdurre un permesso di aborto in precedenza proibito, o (b) per proibire aborti permessi in precedenza tra la sedicesima e la ventiquattresima settimana. La scelta di appoggiare il disegno di legge (a) è sostanzialmente diversa dalla scelta di appoggiare il disegno di legge (b). Infatti, ciò che viene deciso — l’oggetto della deliberazione di appoggiare il disegno di legge— è diverso nei due casi. Nel caso (a) consiste nell’appoggiare il permesso di aborto, nel caso (b) consiste nell’appoggiare la proibizione di aborto, o almeno di tutti quegli aborti che quel legislatore in quel momento ha l’opportunità di riuscire a proibire» (p. 107). [10] Si veda su questo punto CAFFARRA, C., La procreazione artificiale: aspetti etici e aspetti politici, conferenza tenuta in data 8 febbraio 2003 presso l’Ospedale S. Cuore di Negrar, Verona (il testo completo è reperibile in www.caffarra.it). Si tratta di un tema delicato che non possiamo approfondire. Ma è teoricamente pensabile che in un paese determinato, a causa della propria tradizione storico-‐culturale o religiosa, la maggioranza dei cittadini non sia in grado di capire la negatività etica della sostituzione tecnica dell’atto coniugale in caso di sterilità. In questa ipotetica situazione, potrebbe non essere contraria al bene comune una legge che vietasse tutte le tecniche di procreazione artificiale che non rispettano questi tre diritti, autorizzando invece le tecniche che li rispettano, come sarebbero l’inseminazione artificiale omologa e persino la fecondazione in vitro con uso di un unico embrione per trattamento (ipotesi, quest’ultima, che per diverse ragioni oggi non gode di accettazione). [11] Queste due principi contengono in qualche modo tutte le altre condizioni. Se un parlamentare appoggia una proposta migliorativa senza che il suo voto sia determinante (cioè 131 necessario) per ottenere il miglioramento auspicabile, oppure se era possibile ottenere l’abrogazione totale di una legge ingiusta, è chiaro che allora egli si rende responsabile anche degli aspetti negativi della legge più restrittiva. È importante capire bene fino a che punto il proprio voto è determinante. Se è possibile abrogare alcuni articoli della legge precedente senza partecipare alla votazione finale sul testo risultante, il voto finale si deve evitare. Se la legge più permissiva sarà abrogata anche se il parlamentare di cui parla si astiene o vota contro di essa, generalmente questi dovrà astenersi o, rispettivamente, votare contro quest’ultima, per testimoniare fedelmente le proprie convinzioni. Ma non è da escludere assolutamente che qualche volta convenga appoggiare anche in quest’ultima ipotesi la legge più restrittiva, affinché il maggior numero di voti ottenuti dalla legge più restrittiva scoraggino altri parlamentari di riproporre dopo qualche mese una legge più permissiva. Queste e altre possibili circostanze dovranno essere valutate con prudenza dai parlamentari. [12] Su questi aspetti tecnico-‐giuridici cf. EUSEBI, L., Corresponsabilità verso le scelte giuridiche della società pluralista e criteri di intervento sulle c.d. norme imperfette, in López Trujillo, A., Herranz, J., Sgreccia, E. (a cura di),“Evangelium vitae” e Diritto (Acta Symposii Internationalis in Civitate Vaticana celebrati 23-‐25 maii 1996), Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 1997: 389-‐406. [13] In particolare, occorre distinguere chiaramente questa ipotesi da quella da noi considerata, e respinta, come terza fattispecie, nel nostro studio prima citato : Il parlamentare cattolico di fronte ad una legge gravemente ingiusta. Una riflessione sul n. 73 di “Evangelium vitae”, «L’Osservatore Romano», 6 settembre 2002: 8. Tale fattispecie era la seguente: «Si tratta di un paese nel quale l’aborto è illegale. L’evoluzione dell’opinione pubblica, l’orientamento dei gruppi politici, ecc. fa ragionevolmente prevedere che fra poco tempo sarà impossibile impedire l’approvazione di una legge molto permissiva. Si pone il seguente problema: sarebbe moralmente lecito giocare di anticipo, con l’intenzione di impedire l’ulteriore degrado della situazione, facendosi promotore di una legge che depenalizza soltanto alcune poche fattispecie, rigorosamente definite, e che stabilisce nel contempo seri provvedimenti di prevenzione dell’aborto?». Ritenevo e ritengo ancora che a questa domanda si deve dare una risposta negativa. [14] Deve essere chiaro pertanto che, anche se è stato un bene lodevole il lavoro svolto per ottenere il miglioramento della legge ingiusta, la legge più restrittiva, se almeno non tutela completamente per ogni singolo embrione i tre diritti prima menzionati, è comunque ingiusta, e non si può collaborare alla sua applicazione pratica. 132 MARIA LUISA DI PIETRO, ANTONIO GIOACCHINO SPAGNOLO LA CONSULENZA ETICA ALLA COPPIA STERILE La consulenza con la coppia sterile La sterilità, un problema con il quale le coppie si confrontano da sempre, ha assunto -‐negli ultimi tempi-‐ nuove caratteristiche a causa dell’aumentata incidenza, delle dinamiche eziopatogenetiche e delle soluzioni che vengono proposte da una medicina sempre più sostitutiva che riparativa. Nell’approccio alla coppia sterile, la consulenza ha un ruolo centrale e presenta caratteristiche diverse da altre consulenze in ambito ostetrico-‐ginecologico[1]. La consulenza alla coppia sterile riguarda, infatti, non la singola paziente ma una diade: si parla con la coppia, si studia la coppia, si tratta la coppia[2]. La sterilità è, d’altra parte, un problema della coppia anche perché per generare, oltre all’assenza di impedimenti fisici e/o psichici, è necessaria la volontà della coppia di avere un figlio. La consulenza alla coppia sterile prevede due fasi: pre-‐diagnostica e post-‐diagnostica. La fase pre-‐ diagnostica comprende l’anamnesi, l’esame obiettivo (generale, ginecologico, andrologico) e la richiesta di indagini (ormonali, microbiologici, morfologici, strumentali) a seconda della patologia da ricercare[3]. Il consulente non gestisce, però, solo gli aspetti tecnici: egli ha davanti a sé una coppia emotivamente stressata[4], che non chiede solo una diagnosi clinica ma anche di essere aiutata a fronteggiare lasofferenza generata dal desiderio insoddisfatto di un figlio e daifrequenti insuccessi e delusioni che hanno costellato fino a quel momento la ricerca di una soluzione. Ed ancora, le procedure diagnostiche e i trattamenti medici possono richiedere diversi anni; le cause eziopatogenetiche della sterilità possono essere molteplici e non sempre individuabili; la diagnosi può cambiare nel corso degli accertamenti; l’esito finale può avere un impatto dirompente sulla vita intima della coppia, sulle sue dinamiche relazionali, sull’idea di sessualità e di coniugalità; i rapporti sociali possono apparire compromessi perché, privata di una funzione sociale (la procreazione), la coppia potrebbe cercare di nascondere, anche ai familiari, la condizione di sterilità, soprattutto se la sterilità è da causa maschile[5]. Nella fase postdiagnostica, il consulente deve non solo comunicare la diagnosi ma anche suggerire eventuali percorsi terapeutici: la terapia farmacologica (ormonale o antiflogistica), la chirurgica, la terapia piscologica, l’assistenza all’atto coniugale. Di fronte ad una sterilità definitiva o, spesso, prima ancora di una diagnosi eziopatogenetica della sterilità, vengono, però, proposte anche le tecniche di fecondazione artificiale. L’accesso a queste procedure andrebbe subordinato -‐in un approccio corretto almeno da un punto di vista deontologico-‐ all'accertamento delle condizioni psicologiche della coppia, all'informazione sulla tecnica che si vuole utilizzare, sulla percentuale di successo e sugli eventuali rischi, e al confronto sulle ricadute etiche, sociali e legali. Avviene, però, di frequente il contrario: la coppia è disinformata sulla reale efficacia e sulla qualità morale delle tecniche, sulla loro elevata abortività, sulle modalità di esecuzione e sui rischi per la donna e per l'embrione, sull'utilizzo degli embrioni crioconservati o dei gameti prelevati in eccesso, sui costi[6]. Anche se non esistonostudi di follow-‐up sulla consulenza alla coppia sterile, vi è motivo di ritenere che una buona informazione potrebbe almeno far riflettere la coppia sulricorso alle tecniche di fecondazione artificiale, o, comunque, potrebbe indurle a richiedere alcune garanzie: ad esempio, il ricorso alla stimolazione ovarica solo in relazione ad una reale necessità 133 terapeutica (patologie che causano una insufficienza ovarica) e non solo in vista di un aumentato successo delle tecniche[7]. Optare per le tecniche di fecondazione artificiale comporta, poi,la necessità di guardare non solo alla coppia ma anche al bambino che potrebbe essere concepito[8]: un bambino ancora non esistente, ma i cui diritti devono essere rispettati. Quale sarà il migliore interesse del bambino? In quale ambiente familiare nascerà? Vi è conflitto tra i desideri della coppia e il presunto miglior interesse del bambino? Si tratta di domande, che sono motivate dalla radicale differenza tra la procreazione naturale e lafecondazione artificiale: infatti, mentre il concepimento naturale rimane una questione privata su cui il medico può intervenire una volta che si è già verificato (assistenza alla donna gravida, diagnosi e terapia fetali), la fecondazione artificiale richiedeun “atto pubblico”, la complessa attività di persone diverse dall’uomo e dalla donna che ne fanno richiesta, leattrezzature e gli ambienti idonei,un impegno economico. E’ evidente, dunque, che laconsulenza alla coppia sterile non puòlimitarsi ai soli aspetti tecnici[9]: essa deve guardare alle personenella loro totalità e relazionalità;prestare attenzionesia alla problematiche medica sia alla capacità psicologica di fronteggiare la situazione siaalle opzioni morali. La consulenza psicologica alla coppia sterile Dall’analisi della letteratura in materia, emerge che la consulenza alla coppia sterile viene intesa prevalentementenella sua accezione psicologica[10]. D’altra parte,l’esperienza della sterilità scatena nella coppia le stesse reazioni di altre situazioni di crisi (sorpresa,shock, incredulità, negazione, frustrazione, collera, perdita di controllo e ansietà, senso dicolpa,imbarazzo,disappunto, isolamento, depressione, afflizione, lutto)[11], con l’aggravante che la crisi tende a cronicizzarsi a causa del ripetersi di eventi negativi[12] e della difficoltà frequente di trovare una soluzione[13]. La consulenza psicologica aiuterebbe – secondo alcuni autori[14]-‐ la coppia a ridurre l’effetto “roller coaster” a seguito, in particolare, del fallimento di interventi di fecondazione artificiale. Si tratta di una situazione dicrisi comprensibile se si pensa al ruolo che la procreazione e la genitorialità hanno nello sviluppo dell’autostima, del riconoscimento dell'identità sessuale,dell’accettazione della propria immagine corporea e del ruolo sociale[15]. Una crisi, che puòassumere caratteristiche diverse nell’uomo e nella donna[16]e traconiuge sterile econiuge fertile, tanto da influenzare la stessa relazione della coppia. Non tutte le coppie richiedono la consulenza psicologica (18-‐21% secondo uno studio di Boivin)[17] o ne sono soddisfatte,probabilmente perché essa viene offertadopo laconsulenza medicao con una finalità compensatoria o dietro sollecitazione del paziente, che non è, però, sempre in grado di riconoscerne la necessità[18]. Riuscire a gestire lasituazione di crisi potrebbe, invece,essere di vantaggio non solo albenessere psicologico, sociale e sessuale della coppia, ma anche alla stessa fertilità[19] . Tanto è vero che si suggerisce di ricorrere alla consulenza psicologica, come aiuto per gestire il proprio ruolo nella sterilità e per ripensareal legame come coppia,prima ancora che ricercare una gravidanza[20]. Sarebbe, allora, opportuno considerare la consulenza psicologica come parte integrante della consulenza per la sterilità, all’interno della quale lo specialista possa fronteggiare, oltre alle necessità mediche, anche quellepsicologiche ed emotive della coppia[21]. La consulenza etica alla coppia sterile Accanto agli aspetti clinici e psicologici, è, però, fondamentale valutare le ricadute etiche delle scelte di fronte al problema “sterilità”. Lascelta di un iter diagnostico (si pensi alle modalità di 134 prelievo del seme)e di un iter terapeutico o del ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale ha, infatti,una forte valenza etica.Anzi, nel caso del ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale,scegliere o non scegliere di sottoporsi ad una determinata tecnica non dipende solo dalla conoscenza delle percentuali di efficacia e deirischio dalla capacità della coppia di gestire una situazione di crisi, ma in primo luogo dalle proprie convinzioni etiche, dall’idea di persona edi famiglia a cuifa riferimento, dalle finalità riconosciute alla medicina[22]. Ogni decisione, in ambito biomedico, è preceduta da una fase di "in-‐decisione"[23],durante laquale vengono valutati tutti gli aspetti della realtà sulla quale si interviene: clinici, psicologici, etici. Ed è propriola dimensione eticache garantiscela qualità umana della decisione stessa, evitando che si tratti di una decisione solo tecnica. La consulenza etica[24] diviene, così, il “luogo”ove analizzare i “perché” di una scelta:lo status del concepito; lericadute sulla coppia, sulla famiglia e sulla società del ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale; il significato della generazione umana; lapossibilità di vivere la fecondità nella sterilità. Tra questi “perché”, merita un’attenzione prioritaria il significato della generazione umana: infatti, larisposta a questa domanda darà, poi, la chiave di lettura deglialtri interrogativi. Qualisonole caratteristiche di quell'atto generativo che si vorrebbesostituire con le tecniche di fecondazione artificiale? Non è un'attività vegetativa, come il digerire o il respirare; non è un atto solamente biologico;non è una mera sommatoria di gameti. E'un atto che, partendo dalla persona, coinvolge nella totalità e nella reciprocità l'altra persona: ed è nell'ambito di questa relazione, di questa comune-‐unione di anime e di corpi, in questo abbraccio d'amore, che può realizzarsi la chiamata all'esistenza di una nuova vita umana. Dal dono delle persone scaturisce il dono della vita: un dono che trascende etrasfigura il fatto biologico, pur presente[25]. Un atto che chiama in causa una grande responsabilità: la responsabilità delle scelte nella consapevolezza delle conseguenze; la responsabilità del farsi carico delle conseguenze di queste scelte. Può questo atto essere ridotto ad una semplice successione di interventi tecnici? Le tecniche di fecondazione artificiale nella forma siaintra-‐corporea sia extra-‐ corporeasostituiscono l'atto coniugale nella chiamata all'esistenza di una nuova vita, attuando una divisione tra l'unione delle persone e la possibilità di procreare. Da effetto di un incontro diretto e immediato dei coniugi, la nuova vita diviene il risultato di una procedura tecnica, che può essere anche perfetta da un punto di vista scientifico ma rimane, comunque, impersonale[26]. Non sono i genitori che danno la vita al bambino ma un medico o un biologo: una presenza determinante, nonaccidentale. Il ruolo dei coniugi si limita ad un'impersonale e fredda produzione di gameti: con la masturbazione per l'uomo; con il prelievo di oociti mediante laparoscopia o sotto controllo ecografico per la donna. L’artificialità e l’innaturalità delle tecniche di fecondazione artificiale stanno proprio in questa sostituzione: non dell’elemento biologico, ma di ciò che è specificodel generare umano. “Artificialità” non equivale, allora,ad impiego della tecnica: essa può essere lecitamente utilizzata in tanti campi della medicina e, quindi, anche in presenza di sterilità. Stimolare l'ovulazione, effettuare interventi di microchirurgia: si ricorre alla tecnica, all'artificialità, ma allo scopo di restituire la funzionalità ad un organo necessario per una procreazione altrimenti non possibile.Ed ancora, prelevando il seme, ottenuto durante un atto coniugale, da un condom perforato (Semen Collection Device)[27] o dal fondo della vagina per veicolarlo nelle vie genitali femminili,si ricorre alla tecnica, all'artificialità:l'intervento del medico è, però,successivoad un attoconiugale già verificatosi. Sitratta, in tal caso, di una forma di aiuto, di assistenza, all’atto coniugale. 135 L'artificialità assume, invece, un significato negativoquando cancella ciò che è specifico dell’atto del generare, come si verifica con il ricorso allafecondazione in vitro o le micromanipolazioni dei gameti o l'inseminazione con seme prelevato al di fuori dell'atto coniugale. Tra le forme di aiuto all’atto coniugale viene proposta anche GIFT (Gamete Intrafalloppian Transfer) con prelievo di seme durante l’atto coniugale: si tratta realmente di una forma di aiuto? Il dibattito è ancora aperto e diversi sono stati gli approcci valutativi : si è ricorsi al criterio temporo-‐spaziale (il tempo e il percorso necessario affinchéspermatozoi e oocitipossanorientrare nelle tube di Falloppio e dare il via alla fecondazione) o allacausalità unica edirettaLa moralità di un atto non può, però, esseremisurata in centimetri o in minuti, o in relazione ad una causalità/concausalità la cui valutazione potrebbe essere, tra l'altro, arbitraria. La domanda centrale è, allora,ancora una volta: cosa significa generare? Ed ancora, laspecificità dell’atto generativo è rispettata con una tecnica che richiede il prelievo del seme durante l’atto coniugale e degli oociti per via laparoscopica, affinché entrambi possano essere trasferiti nelle tube di Falloppio? O, piuttosto dovremmo dire che, dal momento che l'intervento tecnico, pur successivo all'atto coniugale, èpreponderante rispetto alla presenza dei coniugi e la procreazione è dicotomizzata dall'unione delle persone,la GIFTè pura artificialità? La consulenza etica alla coppia sterile: un’esperienza Laconsapevolezza della necessitàdi un confronto anche sugli aspetti etici nell’approccio alla coppia sterile ha portato ad intraprendere -‐ presso l’Istituto di Bioetica della Scuola diMedicina dell’UniversitàCattolica del Sacro Cuore – un’attività di consulenza. Presentiamo i dati relativi alperiodogennaio 2000-‐giugno 2003. 1. I soggetti.La consulenza eticaper problemidi sterilità è stata richiesta da40, con una età media al momento della consulenza di42,5anni (range 30-‐35 anni). 37 coppie erano alla ricerca della loro prima gravidanza. Le coppieavevano già iniziato un percorso diagnostico con un o studio completo della donna ma insufficiente dell’uomo.30 coppie erano molto ansiose per la ricerca del figlio; 10 coppiesembravano aver accettato la situazione, pur continuando la ricerca di una soluzione per la sterilità. 25 coppie non erano soddisfatte per la precedente esperienza di consulenza medica a causadella mancatainformazione e consenso sulle procedure diagnostiche e gli eventuali interventi.In 15 casi il medico aveva garantito una soluzione senza dare spiegazioni. Le coppie hanno richiesto la consulenzaeticale seguenti ragioni: 1. ricerca di un approccio olistico alla sterilità di coppia (40/40 coppie);2. desiderio di ricevere spiegazionie di elaborare perplessità e paure(40/40 coppie);3. approfondimento dellaconoscenza sulla sterilità e gli eventuali interventi (30/40 coppie);4. insoddisfazione per la passata esperienza di tecniche di fecondazione artificiale (20/40 coppie);5. disaccordo nella coppia riguardo le scelte procreative (2/40 coppie);6. necessità di confrontare la propria posizione etica (40/40 coppie). 2. Le procedure. Nell’ambito della consulenza etica, sono stati individuati tre diversiapprocci: l’approccio autoritario;l’approccio di pura facilitazione; l’approccio di facilitazione etica[28].L’approccio autoritariodà enfasial consulente come colui cheè primariamente in grado di decidere, senza domandarsichi sia il soggetto più adeguato a decideredal punto di vista etico. Questo approccio pone i valori morali del consulente etico al di sopra di quelli dei consultanti, che vengono quindi esclusi dalla decisione etica. Lo scopodell’approccio di pura facilitazione è trovare un consenso tra le parti coinvolte, anche al costo di violare il diritto del paziente di decidere. L’approccio difacilitazione etica aiutai consultanti ad identificare ed analizzare la naturadelle incertezze e dei conflitti moraliinsiti nella consulenza, senzaequivocarecirca l’autorità di chi deve decidere o privilegiare la posizione morale del consulente. Nell’approccio di facilitazione etica, gli obiettivi sono: 1. identificare e analizzare la natura delle incertezze e dei 136 conflitti morali presenti nel caso; 2. facilitare la risoluzione dei conflitti in un clima di rispetto, facendo attenzione agli interessi, ai diritti e alle responsabilità delle parti coinvolte. In accordo con l’approccio della facilitazione etica e solo dopo precisazione dell’orientamento di riferimento, nella gestione della consulenza etica sono stati presi in considerazione i seguenti aspetti: 1. approccio alla sterilità di coppia con attenzione alla totalità della persona e di tutte le persone coinvolte; 2.aiuto allacoppia nella gestione delle proprie emozioni durante il processo decisionale; 3. valutazione ditutti gli aspetti rilevanti per una scelta autonoma e informata della coppia; 4. definizione, classificazione e condivisione dei termini linguistici e simbolici adoperati;5.identificazione dei principi etici più rilevanti chiamati in causa; 6. valutazione dellediverse alternative con la discussione e la giustificazione razionale dellascelta ritenuta eticamente più adeguata. A tal fine il consulente deve avere conoscenza di tutti i dati disponibili sul caso in oggetto (momento epistemologico)e individuare ilproblema emergente;analizzare gli eventuali valori in gioco,lavolontà della coppia, le risorse umane e materiali (momento antropologico);proporre un’eventuale soluzione (momento operativo). 3. Risultati. Tranne in rari casi di consulenza telefonica, l’incontro con la coppia è avvenuto nei locali dell’Istituto di Bioetica, previo appuntamento fissato con la coppia stessa anche nel caso in cui la richiesta iniziale sia stata fatta da terzi. La prima fase della consulenza è stata narrativa. La coppia ha parlato delle precedenti esperienze diagnostiche e terapeutichee delle future attese: il desideriodi avere un figlio, la sofferenza causatadalla sterilità; l’incidenza di questa situazione sulla relazione di coppia; l’ansia prodottadalle pressione a livello familiare; la paura di non trovare una soluzione. Il racconto ha consentito al consulente di individuare una serie di fattori da gestire: • il fattore “frustrazione”.Lacoppia sterile vive un’esperienza diinadeguatezza e di frustrazione. Le donne hanno di solito riconosciutoper prime l'infertilità come un problema di cui parlare e sul quale investigare. Ed infatti,la donna era solitamente più studiata dell’uomo. L’uomo, d’altra parte, aveva difficoltà ad ammettere l’esistenza di unproblema per la coppia e di accettare uno studio clinico. Se leindagini diagnostichemettevano in evidenza una sterilità da causa maschile, l’uomo viveva questa situazione in modo negativo, con sensazionediperdita di ruolo. L’incontro e la narrazione mostravano, infatti, che in5/20 (25%) casi di sterilitàmaschile, l’uomo perdeva la sua voce durante la consulenza ed era di conseguenza considerato colpevole dalla donna. • Il fattore medico. Lapresentazione del precedente iter diagnostico ha fatto anche parte della narrazione. In 20/35 (57%) casi le indagini eseguite sono state incomplete esenza alcuna gradualità diagnostica: ad esempio, sono state eseguite, sulla donna, indagini invasive (isterosalpingografia) prima ancora di escludere con indagini non invasive (ormonali, infettivologiche, ecografiche) la presenza di altre cause di sterilità. Per questa ragione la coppia ha consultato altri esperti, con unasovrapposizione di indagini, di interpretazioni e di interventi terapeutici. In 10/35 (28,5%) casi, le tecniche di fecondazione artificialesono state proposte prima del completamento delle procedure diagnostichee la valutazione farmacologici o chirurgici. • Il fattore “ignoranza”. Lecoppie hanno presentato due tipi di “ignoranza”: un’ignoranza primaria e una ignoranza secondaria. L’ignoranza primaria (25/35 coppie) (71%) ha riguardato, innanzitutto, la conoscenza dell’anatomia e della fisiologia della riproduzione, da una parte, e delle tecniche di fecondazione artificiale, dall’altra. Per quanto concerne, in particolare, la fisiologia della riproduzione, non vi è chiarezza sull’alternarsi dei periodi fertili/non fertili nella donna e sulla possibilità di riconoscere i periodi fertili mediante la rilevazione dei segni diagnostici della fertilità (muco cervicale, temperatura basale). Tale 137 conoscenza si rende necessaria proprio nei casi di subfertilità, poichél’individuazione della fase fertileconsentirebbealla coppia di avere rapporti sessuali mirati al concepimento.Tra l’altro ilmonitoraggio ecografico dell’ovulazione, a cuisi ricorre per ragionidiagnostiche, non mette la coppia nelle condizioni di poter gestire in modo libero e semplice la conoscenza della propria fertilità, pur anche se ridotta.Quasi totale è, poi, l’ignoranza sulla fecondazione artificiale: la coppia non conosce le tecniche, i rischi ad esse connesse, le percentuali di successo. L’ignoranza secondaria (15/35 coppie) (42,8%) era, invece, il risultato della scarsa o erronea informazione da parte dello specialistasugli interventi post-‐diagnosi. 5 coppie (14,2%) hannolamentato di aver chiesto, ma di non aver ricevuto delucidazioni sulle modalità di intervento che gli erano state proposte: in cosa consiste una ICSI? Che differenza c’è tra laGIFT e la FIVET? In un caso la coppia è stataillusa con la promessa di una fecondazione artificiale omologa pur essendo l’uomo affetto daazoospermia secretoria documentata da una biopsia testicolare. d.Il fattore morale. La domanda etica è stata sempre presente (35/35 coppie): la coppia desiderava confrontare il proprio orientamento con quello del consulente e conoscere le implicazioni etiche sia dell’iter diagnostico sia delle tecniche di fecondazione artificiale proposte presso altri centri. Vi sono state, però, tre casidi difficile gestione. Nel primo caso, i coniugi non avevano lo stesso orientamento etico ed erano, quindi, in disaccordo sul come affrontare la sterilità: al coniuge, che rifiutava il ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale,si opponeva l’altro coniuge che pretendeva di imporre la scelta della fecondazione artificiale. In questi casi, si è reso necessario chiedere di condurre parte della consulenza in modo separato, sì da ascoltare le ragioni dei due coniugi, per ricercare poi, nel momento comune, una soluzione condivisa. Negli altri due casi la ricerca compensatoria di un figlio faceva seguitoo alla perdita accidentale di un altro figlio o ad un aborto volontario. Nel corso della consulenza è emersa in modo evidente la mancata elaborazione del lutto, da contestualizzare nel secondo caso nella c.d. sindrome post-‐ abortiva. Dopo aver ascoltato e raccolto la domanda, si è passati alla seconda fase della consulenza:il dialogo tra il consulente e la coppia. Senza lasciarsi coinvolgere emotivamente dalla coppia, il consulente ha cercato di gestire le situazioni di evidente tensione,mostrandosi aperto all’accompagnamento e a facilitare la soluzione delle situazioni di conflitto. E’ stato necessario dare i chiarimenti richiesti e colmare le lacune nelle conoscenze tecniche; sono state esaminate le implicazioni etiche, psicologiche e sociali del ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale; si è cercato di restituire alla coppiala consapevolezza di essere protagonisti nella ricerca di una soluzione alla sterilità e non semplicifornitori di gameti.La coppia è stata, infine, invitata a ritornare in consulenza o, comunque, a ricontattare anche telefonicamente il consulente in casodialtri dubbi o incertezze. 25 coppie su 35 sono rimaste in contatto con il consulente, per comunicargli i risultati delle indagini diagnostiche, le decisioni relative al proprio progetto di coppia,i successi ottenuti, le eventuali delusioni: nellacertezza di trovare sempre una persona disponibile all’ascolto e non sopraffatta da questioni meramente tecniche. Indicazioni operative I dati ottenuti permettono di trarre alcune conclusioni sulla centralità della informazione e la necessità di offrire alla coppia sterile una consulenza interdisciplinare. Il primo fattore che la consulenza deve rimuovere è il fattore “ignoranza”. Senza conoscere non si può scegliere. Nel caso della sterilità e dei relativi trattamenti, l’informazione deve essere particolarmente accurata, sia per l’impatto che le procedure diagnostiche e terapeutiche hanno 138 sulla persona, sulla vita di coppia e sul nascituro, sia – nel caso in cui si opti per le tecniche di fecondazione artificiale -‐per la loro valenza sempre sperimentale. • La comunicazione della diagnosi. Da uno studio di van Balen et al. si evince che nel38% dei casi la coppiaaveva compreso in modo errato l’esito diagnostico[29] , o perché – secondo gli autori – ladiagnosi era andata modificandosi nel tempo senza che vi fosse stata una adeguata comunicazione, o perché il linguaggio utilizzato non era stato comprensibile. Per questo motivo è necessario che il medico abbia non solo l’attenzione di informare la coppia -‐ il che non è sempre avvenuto nel campione preso in esame -‐, ma verifichi anche se la coppia ha compreso quello che è stato detto. L’informazione deve comprendere anche l’iter diagnostico che si vuole effettuare: la scelta diun’indagine piuttosto cheun’altra; gli eventuali disagi per la coppia o per il singolo partner;la possibilità di procedure diagnostiche alternative, se quelle in uso contrastano con le convinzioni etiche e con la sensibilità psicologica della coppia. Si pensi, per fare un esempio, al prelievo del seme a fini diagnostici con il Viricare[30]. • La scelta delle terapie mediche. L’informazione è, poi, fondamentale ai fini dell’acquisizione del consenso alle terapie. Si fa riferimento, in particolare, alla scelta della stimolazione ovarica[31], di cui vanno presentate alla donna gli eventuali rischi (dalla comparsa di una sindrome da iperstimolazione ovarica all’aumentata incidenza di alterazioni cromosomiche embrionali;da un non chiaro rapporto con l’insorgenza di tumori mammario o ovarico alle complicanze di una gravidanza multipla). D’altra parte, nella scelta di una terapia l’eventuale rischiova sempre commisurato al beneficio atteso, e la morbidità iatrogenica è da tenere in grande considerazione,soprattutto quando un trattamento non ha un beneficio immediato per la salute fisica della donna e il danno può essere indotto da una cattiva condotta medica. Nel caso in esame, la causa può essere o una scarsa valutazione clinica della paziente[32] o una terapia non adeguatamente personalizzata. Per questo motivo, il medicodeve fare massima attenzione nella minimizzazione delrischio, evitando anche di stimolare donne appartenenti a gruppi a rischio, e ladonnadeve essere lasciata libera di scegliere di accedere o meno al trattamento,tenendo presente tra l’altro che quando la stimolazione ovarica rientra nei protocolli di fecondazione artificiale, la suafinalità è quella di aumentare il successo della tecnica in rapporto ai tentativi effettuati. • Le tecniche di fecondazione artificiale. A prescindere dalle problematiche etiche e giuridiche sollevate dal ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale, sarebbe almeno auspicabile che la donna o la coppia venga ben informata sulle procedure alle quali vuole eventualmente accedere e che, ove queste procedure si utilizzano,si ricerchi il consenso in forma scritta. La necessità di un’informazione esaustivaderiva, anche, dal fatto chele tecniche di fecondazione artificiale sono sempre in fase sperimentale[33]. Questo significa che, come per ogni altra forma di sperimentazione, il soggetto della sperimentazione deveessere adeguatamente informato sulle procedure, sui possibili benefici e sui rischiper la donna eper l’eventuale nascituro. D’altra parte, la coppia è formata da soggettiadulti, in grado di prendere una decisione, enon è giustificato un atteggiamento paternalistico del medico. Rimane, sicuramente,il dubbio sulla reale capacità della coppia di scegliere, tenendo conto del coinvolgimento emotivo dei due partner, e del medico di aiutarla a prendere una decisione, sottraendosi da eventuali sollecitazioni economiche ofinalità sperimentali. Non bisogna, poi, trascurare che l’interlocutore è la coppia e non ilsingolo paziente: può accadere che i due partner non condividano la stessa scelta e che da parte di uno dei due manchi il consenso alla procedura.Ha senso, allora,imporre ad uno dei due la scelta dell’altro? E se chi 139 rifiuta è colui che deve portare maggiormente il peso della scelta (si pensi al fatto che è la donna che “paga” di piùin termini di impegno fisico nei programmi di fecondazione artificiale), fino a che punto è lecitocoinvolgerlain una scelta che non condivide? Vi è, infine,da tenere presente che la fecondazione artificiale porta alla nascita di un bambino che non esiste al momento della decisione e che potrebbe non consentire alla procedura, in modo particolare se la procedura stessa fosse responsabile di anomalie. Si potrebbe rispondere che tanti bambini non sarebbero nati senza il ricorso alle tecnichedi fecondazione artificiale, ma è altrettanto vero che molti embrioni fecondati in vitro non sono giunti a vita autonoma e che, comunque, non si può parlare di scelta tra l’esistere e il non esistere nel momento in cui tale esistenza non è ancora iniziata. Conclusioni La consulenza alla coppia sterile è, dunque,un momento di incontro, ascolto e ricerca – ove è possibile – di una soluzione, che deve far parte di un lavoro interdisciplinare. La relazione con la coppia sterile non finisce, infatti,con la diagnosi di sterilità: questo è il punto di partenza di un cammino in cui si alterna pazienza ed impazienza, speranza e disperazione; un cammino, nel corso del quale la coppia puòscontrarsi anche con il fallimento dei trattamenti. E, poiché la ricerca di una gravidanza si muove e si giustifica a partire dal valore dell’uomo, della procreazione e della famiglia e quindi per ragioni in primo luogo etiche,la consulenza etica assume un ruolo importante siacome momento di integrazione delle diverse e indispensabili competenze, sia come modalità per aiutarele coppie con sterilità non trattabile con terapie farmacologiche, chirurgiche o con forme di aiuto all’atto coniugale, a trovare altri modi di vivere il legittimo desiderio alla genitorialità, riscoprendo la fecondità nella coniugalità[34]. [1] Ludwig H., Thoughts on the patient-‐doctor relationship in obstetrics and gynecology,European Journal of Obstetrics and Gynecology 1999,85: 85-‐91. [2] Campana A., de Agostini A., BischofP., TawfikE., Mastririlli A.,Evaluation of infertility, Human Reprod Update 1995, 1(6): 586-‐606. [3] Gliss R.H., Infertilità femminile, in Keye W.R., Chang R.J., Rebar R.W., Soules M.R., (a cura di), Infertilità. 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Come sottolineato in un recente articolo pubblicato su Medicina e Morale[1], di fronte ad una sterilità di coppia è necessario e fondamentale effettuare una adeguata consulenza ad entrambi i coniugi che prevede due tempi. Nella prima fase, pre-‐diagnostica, va raccolta l’anamnesi ed eseguito un accurato esame obiettivo (generale, ginecologico, andrologico) e vanno richieste le indagini a seconda della patologia ricercata (ormonali, microbiologiche, strumentali). Nella seconda fase, post-‐diagnostica, il medico comunica la diagnosi e suggerisce i percorsi terapeutici (terapia farmacologia, psicologica, chirurgica) e, se del caso, dà informazioni sulle tecniche di procreazione medicalmente assistita, risponde ai quesiti delle coppie evidenziando le problematiche etiche connesse con tale scelta (avvalendosi dell’eventuale consulenza bioetica) e prospettando l’alternativa dell’adozione. Negli ultimi anni si è assistito in Italia ad una diffusa e negativa prassi: indirizzare le coppie alle tecniche di procreazione medicalmente assistita senza aver cercato di raggiungere una diagnosi eziologica per la sterilità e di conseguenza senza aver tentato alcuna terapia medica, psicologica o chirurgica. Fermo restando l’alto costo economico delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, prevalentemente eseguite in regime privatistico, la mancanza, nel nostro Paese, di regole che governino queste tecniche, ha fatto sì che l’Italia sia stata definita il “ Far West of Assisted Reproductive Technology”. E’ per tentare di contrastare questa nuova prassi che -‐nella proposta di legge sulla “procreazione medicalmente assistita”, approvata alla Camera dei Deputati, ma non ancora discussa al Senato-‐ la possibilità di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita viene subordinata ad un insieme di condizioni: “il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando si è accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità e di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico (art. 4 comma 1). Il Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, nel messaggio in occasione della XXV Giornata Nazionale per la Vita, ha recentemente sottolineato che “Gli esseri umani non sono merce” e che “La vita è un dono fuori commercio. Un figlio merita di nascere da un atto di amore del tutto gratuito sottratto ad ogni logica utilitaristica e mercantile”. Per un corretto counselling alle coppie sterili è necessario disporre di una valida Unità di chirurgia ricostruttiva che si avvalga di tecniche endoscopiche e microchirurgiche sempre più aggiornate per il trattamento delle forme di sterilità femminile di origine organica, riscontrabili con alta incidenza e oggi considerate indicazione elettiva per le tecniche di procreazione medicalmente assistita. Il crescente diffondersi di tali tecniche sostitutive ha fatto sì che si sia ridotto drasticamente l’interesse dei ricercatoriper l’approccio chirurgico alla sterilità femminile e che sia oggi molto 143 contenuto il numero dei chirurghi in grado di cimentarsi con competenza e con buoni indici di successo nel trattamento di patologie altrimenti non curabili. La possibilità di creare presso l’Università Cattolica un Centro di riferimento per la terapia chirurgica della sterilità femminile darà certamente un ulteriore impulso nel campo della ricerca per fornire alle pazienti terapie sempre più aggiornate secondo la tradizione della Nostra Università. Un tentativo in tal senso si sta attuando nel rapporto di collaborazione che si è stabilito da circa un anno tra me e i miei collaboratori con l’Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI di ricerca su fertilità e infertilità umana. Il nostro contributo nella gestione del Protocollo per il trattamento della sterilità di coppia secondo un approccio “naturale” è tuttavia ancora limitato: per renderlo più incisivo sarà necessario creare una vera e propria Unità di chirurgia ginecologica ricostruttiva che possa offrire ad un’esperienza personale ormai più che ventennale un orizzonte applicativo più ampio e si ponga come riferimento per la creazione di nuove strutture similari da moltiplicare a livello sia nazionale che internazionale. Nelle pagine seguenti vengono trattate analiticamente le tecniche di correzione chirurgica della sterilità di origine organica. CHIRURGIA TUBARICA La sterilità di origine tubarica è responsabile di circa il 40% dei casi di sterilità femminile. Il normale processo di captazione e fecondazione dell’ovocita richiede tutta una serie di requisiti: una superficie ovarica libera da aderenze, una normale contrattilità dei legamenti tubo-‐ovarici, la porzione fimbrico-‐ampollare della tuba libera di abbracciare l’ovaio e, oltre alla pervietà tubarica, una normale attività delle cellule ciliate e secretive della mucosa tubarica ed una normale attività contrattile della muscolatura tubarica. La principale causa di alterazione di questi meccanismi è rappresentata dal danno tubo-‐ peritoneale determinatosi in seguito ad episodi di salpingite, pelviperitonite, pregressi interventi chirurgici o in caso di endometriosi. Come già sottolineato, negli ultimi anni si è assistito, nel trattamento della sterilità di origine tubarica, ad uno shiftdall’intervento di microchirurgia all’utilizzo di tecniche di fecondazione in vitro. A seguito della più ampia disponibilità di tecniche di riproduzione assistita il numero di pazienti con sterilità di tipo meccanico trattate con chirurgia tubarica ricostruttiva è diminuito e la maggior parte delle coppie sono indirizzate alla FIVET. Secondo i dati pubblicati nei registri di tecniche di riproduzione assistita degli Stati Uniti e del Canada nel 1999 la percentuale di gravidanze a termine in seguito a FIVET risulta, per pick-‐up ovocitario[2], in pazienti senza concomitante fattore maschile di sterilità, del 31.2% in donne sotto i 35 anni e del 24.8% per il gruppo di pazienti di età compresa tra i 35 e i 39 anni. Nei dati pubblicati dalla Società Americana di Medicina della Riproduzione non viene riportata la percentuale cumulativa di gravidanze dopo più tentativi di FIVET. Tuttavia, in termini di percentuale cumulativa di gravidanze Guzick[3] ha riportato nel 1986 un tasso del 49% per pick-‐up ovocitario in pazienti con sterilità tubarica a seguito di 5 cicli di FIVET. Tan[4] nel 1992 ha riportato una percentuale cumulativa di concepimento del 51.5% euna percentuale cumulativa di gravidanze a termine del 38% a seguito di 5 cicli di FIVET in un gruppo di 1161 pazienti con sterilità di origine tubarica. E’ importante sottolineare che la FIVET è una tecnica “palliativa”, cioè non elimina il problema, ma lo bypassa, mentre la chirurgia tubarica è terapeutica. 144 La chirurgia tubarica ricostruttiva ha lo scopo di ripristinare normali relazioni anatomiche tra le fimbrie tubariche e l’ovaio per permettere il pick-‐up ovocitario. E’ tuttavia da tener presente che, benché la chirurgia tubarica ricostruttiva possa essere in grado di ripristinare i normali rapporti anatomici tubo-‐ovarici, non sempre l’intervento è efficace perché il precedente processo infettivo può aver compromesso irrimediabilmente la mucosa tubarica, determinando la perdita della sua funzionalità. Le percentuali di successo del trattamento chirurgico sono quindi strettamente correlate al tipo di lesione tubarica individuata, oltre che alla tecnica chirurgica adottata. Recenti progressi della strumentazione e delle tecniche laparoscopiche hanno permesso negli ultimi anni di evitare in molte situazioni il ricorso alla laparotomia per la chirurgia tubarica ricostruttiva. L’introduzione della salpingoscopia per la valutazione diretta dello stato della mucosa tubarica ha permesso di migliorare la selezione delle pazienti che sono candidate alla chirurgia tubarica ricostruttiva, identificando le pazienti con buona prognosi riproduttiva. La laparoscopia diagnostica con salpingoscopia dovrebbe sempre rappresentare il primo step in caso di patologia tubarica. Si proseguirà la laparoscopia eseguendo l’intervento programmato solo nel caso in cui la mucosa tubarica risulti normale. Analizziamo di seguito i vari tipi di intervento chirurgico a seconda della localizzazione a livello tubarico e del tipo di patologia. Occlusione tubarica prossimale Il mancato passaggio del mezzo di contrasto a livello della porzione intramurale-‐istmica della tuba, quale evidenziato alla isterosalpingografia o alla laparoscopia con salpingocromoscopia, può essere dovuto a una vera occlusione conseguente ad una fibrosi postinfettiva o ad una ostruzione legata ad artefatti tecnici, ad uno spasmo dell’ostio tubarico, ad un meccanismo a valvola da parte di un lembo di endometrio iperplastico, o a tappi di materiale amorfo. E’ un reperto relativamente infrequente. In un lavoro pubblicato nel 1992 il nostro gruppo ha riportato che su 665 pazienti sottoposte a laparoscopia con salpingocromoscopia per sterilità primaria o secondaria solo in 35 (5%) pazienti è stata riscontrata una occlusione tubarica bilaterale che confermava un pregresso reperto isterosalpingografico[5]. Di queste pazienti, 17 hanno rifiutato ogni ulteriore terapia. Dopo un follow-‐up medio di 25 mesi, 3 (18%) di queste pazienti hanno avuto una gravidanza intrauterina spontanea, mentre 4 su 5 pazienti in cui era stata eseguita un’isterosalpingografia di controllo presentavano tube pervie. Quindi in 7/17 pazienti la diagnosi di occlusione tubarica prossimale bilaterale non era corretta. L’occlusione tubarica prossimale richiede un intervento di microchirurgia laparotomica (ad addome aperto) con l’utilizzo di un microscopio operatore per una precisa approssimazione dei margini dei tessuti, l’utilizzo di strumentario microchirurgico e di fili di sutura di calibro 9-‐0o 8-‐0. Dopo questo tipo di intervento sono state riportate in letteratura percentuali di gravidanze intrauterine dell’ordine del 50-‐60%[6]. REVERSAL DI STERILIZZAZIONE TUBARICA La sterilizzazione tubarica è uno dei metodi di contraccezione più utilizzati a livello mondiale. E’ stato riportato che circa l’1% delle pazienti che si sottopongono a quest’intervento richiedono successivamente unareversal. La procedura standard per la reversal della sterilizzazione tubarica è il procedimento microchirurgico di anastomosi tubarica per via laparotomica. Dopo questo tipo di intervento sono state riportate in letteratura percentuali di gravidanze a termine superiori all’80%. 145 Recenti miglioramenti nella strumentazione microchirurgica permettono oggi di eseguire questo intervento per via laparoscopica con la stessa precisione dell’intervento ad addome aperto. L’approccio laparoscopico presenta i noti vantaggi rispetto alla chirurgia laparotomica, ma richiede una particolare abilità nel coordinare il movimento della mano mentre si segue l’intervento sul video. Il chirurgo deve avere una notevole esperienza sia nelle tecniche microchirurgiche laparotomiche che nelle tecniche laparoscopiche. La procedura di anastomosi tubarica laparoscopica è simile a quella in microchirurgia per via laparotomica. I risultati pubblicati da un gruppo coreano che ha utilizzato questa tecnica sono sovrapponibili a quelli ottenuti con l’anastomosi in microchirurgia laparotomica, con una percentuale di gravidanze intrauterine dell’83% (154/186)[7]. ADERENZE PERIANNESSIALI In caso di aderenze periannessiali la classica chirurgia laparotomica ad addome aperto è stata ormai sostituita da quella laparoscopica, in quanto si ottengono risultati sovrapponibili in termini di gravidanze, ma con tutti i vantaggi dell’approccio laparoscopico (minore dolore postoperatorio, minore degenza postoperatoria, minore rischio di infezioni post-‐chirurgiche e più rapida ripresa dell’attività lavorativa). Recenti studi prospettici hanno dimostrato che il più importante fattore prognostico in termini di capacità riproduttiva è lo stato della mucosa tubarica valutato mediante la salpingoscopia [8],(tecnica con la quale, in corso di laparoscopia, si visualizza direttamente la mucosa tubarica mediante un endoscopio del diametro di 2.8 mm). La mucosa ampollare normale è costituita da 4-‐6 pliche maggiori ognuna di circa 4 mm di altezza. Tra queste pliche maggiori sono presenti alcune pliche minori di circa 1mm di altezza. Il gruppo di Brosens ha proposto una classificazione dello stato della mucosa tubarica in 5 gradi che permette una uniformità di valutazioni per studi comparativi: -‐grado I: pliche mucose normali; -‐grado II: è una variante del grado I in cui le pliche appaiono appiattite a causa della distensione della tuba per un aumento della pressione idrostatica endoluminale; -‐grado III: presenza di aderenze focali; -‐grado IV: presenza di estese aderenze intratubariche o aree piatte disseminate; -‐grado V: completa scomparsa delle pliche mucose. I gradi I e II identificano la mucosa normale, i gradi da III a V quella danneggiata dal pregresso processo infettivo. La percentuale di gravidanze intrauterine riportata in letteratura dopo adesiolisi microchirurgica o laparoscopica in pazienti non selezionate è di circa il 50%. L’introduzione della salpingoscopia ha permesso di selezionare le pazienti con mucosa tubarica normale, che dopo intervento di adesiolisi hanno una possibilità di gravidanze a termine del 70%[9]. Sottolineiamo che non vi è correlazione tra aderenze periannessiali, esterne alla tuba, e danno della mucosa tubarica. Dati di Brosens e di Marana indicano che circa l’80% delle pazienti con aderenze periannessiali presentano una mucosa tubarica integra. L’80% delle pazienti con aderenze peritubariche con mucosa tubarica normale ha quindi un 70% di possibilità di ottenere una gravidanza intrauterina e di portarla a termine dopo l’intervento di salpingo-‐ovarolisi. La quasi totalità delle gravidanze si ottiene entro un anno dall’intervento chirurgico. In presenza di aderenze annessiali, il primo approccio terapeutico dovrebbe essere, a nostro avviso, rappresentato da una laparoscopia con salpingoscopia in modo da selezionare le pazienti 146 con mucosa tubarica normale che verranno sottoposte all’intervento chirurgico. Le pazienti con mucosa tubarica danneggiata non sono suscettibili di correzione chirurgica ed hanno come unica chance riproduttiva il ricorso a tecniche di fecondazione artificiale. OCCLUSIONE TUBARICA DISTALE In caso di occlusione tubarica distale il classico intervento di salpingoneostomia microchirurgica laparotomica è praticamente abbandonato, in quanto le percentuali di successo in pazienti non selezionate sono ormai inferiori a quelle della FIVET (circa il 25%). Lo stesso intervento per via laparoscopica fornisce risultati sovrapponibili, ma con una tecnica decisamente meno invasiva. Per selezionare le pazienti che possono trarre beneficio da un intervento di chirurgia tubarica sono state proposte diverse classificazioni che prendevano in considerazione vari parametri, quali il tipo e l’estensione delle aderenze periannessiali, il grado di occlusione tubarica, lo stato della mucosa fimbrica. Nel 1988 l’American Fertility Society, per poter rendere comparabili i risultati dei vari Autori, ha proposto uno schema di punteggio per la valutazione del danno tubarico basato sui seguenti parametri: estensione e tipo delle aderenze per la classificazione delle aderenze annessiali, e, in aggiunta a questi, la consistenza della parete tubarica, il diametro dell’idrosalpinge (tuba occlusa distalmente) e la percentuale di pliche mucose conservate al sito della neostomia per la classificazione delle occlusioni distali della tuba. Numerosi studi prospettici hanno recentemente dimostrato che anche in caso di idrosalpinge il fattore prognostico più importante è rappresentato dallo stato della mucosa tubarica[10]. E’ diventata, quindi, fondamentale la selezione delle pazienti con mucosa tubarica normale mediante la salpingoscopia. Recenti studi prospettici hanno infatti evidenziato che le pazienti con mucosa normale (classi I e II salpingoscopiche) avranno una percentuale di gravidanze a termine del 65% dopo l’intervento di salpingoneostomia. Studi di Brosens e Marana hanno dimostrato che, in caso di idrosalpinge, la percentuale di pazienti con mucosa normale è del 35-‐45%. Quindi, in presenza di idrosalpinge il primo approccio terapeutico dovrebbe essere rappresentato da una laparoscopia con salpingoscopia in modo da selezionare quelle pazienti con mucosa tubarica normale che verranno sottoposte a salpingoneostomia. Nelle pazienti con mucosa tubarica irrimediabilmente danneggiata la laparoscopia viene limitata alla fase diagnostica. TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLA STERILITA’ DA ENDOMETRIOSI Introduzione Per endometriosi si intende la presenza di ghiandole endometriali, associate al tipico stroma, in sede diversa dalla cavità uterina. L’endometriosi è associata ad una riduzione della capacità riproduttiva della donna. Può, inoltre, essere causa di sintomatologia dolorosa come dismenorrea, dispareunia e dolore pelvico cronico. Epidemiologia Non è possibile stabilire con esattezza l’incidenza dell’endometriosi nella popolazione generale, perché la diagnosi corretta è solo istologica, e quindi richiede tecniche invasive. Per questo motivo le pazienti asintomatiche con endometriosi non vengono individuate, e le informazioni 147 correnti sono basate su popolazioni con sintomatologia specifica. In uno studio laparoscopico, la prevalenza di endometriosi è risultata del 21% in caso di pazienti sterili e del 2% nel gruppo di controllo costituito da pazienti fertili che si sottoponevano a sterilizzazione tubarica. La prevalenza di sterilità in pazienti con endometriosi è nell’ordine del 30-‐40% [11]. Diagnosi La diagnosi di endometriosi è rappresentata dalla visualizzazione diretta delle lesioni endometriosiche e dalla valutazione bioptica. L'anamnesi, la sintomatologia clinica e l'esame ecografico possono solo orientare la diagnosi verso questa patologia. La classificazione dell’endometriosi attualmente usata è quella proposta dall'American Fertility Society[12] nel 1978 e aggiornata nel 1985. Questa classificazione è uno schema di staging chirurgico, basato sull’attribuzione di punteggi variabili in relazione alla sede, al tipo e alla estensione delle lesioni endometriosiche ed aderenziali. Classificazione aggiornata dell’endometriosi dell’American Fertility Society (1985) Nome della paziente ______________________________________________ Data__________________ Stadio I 1-‐5 Laparoscopia ____________ Laparotomia _____________Fotografia ____________________ Stadio II 6-‐15 Trattamento raccomandato ____________________________________________________ Stadio III 16-‐40________________________________________________________________________ Stadio IV > 40_________________________________________________________________________ < 1 cm 1 -‐ 3 cm > 3 cm Endometriosi Peritoneale Superficiale 1 2 4 Profonda 2 4 6 Ovaio Destro:Superficiale 1 2 4 Profonda Ovaio Sinistro:Superficiale Profonda Obliterazione del Cavo del Douglas Aderenze 20 4 20 Completa 40 1/3 -‐ 2/3 > 2/3 enclosure enclosure Ovaio Destro:Sottili 1 2 4 Spesse 4 8 16 Ovaio Sinistro:Sottili 1 2 4 Spesse 4 8 16 Tuba Destra:Sottili 1 2 4 Spesse 4* 8* 16 Tuba Sinistra:Sottili 1 2 4 Spesse 4* 8* 16 *Se l’estremità fimbriata della tuba è completamente occlusa, aumentare il punteggio a 16. 4 1 4 Parziale 4 < 1/3 enclosure 148 16 2 16 Sterilità Numerosi autori hanno dimostrato una associazione tra l’endometriosi e una diminuzione della fertilità femminile. Diversi sono i meccanismi con cui tale patologia può essere causa di sterilità; infatti se nella malattia moderata e severa (stadi III e IV r-‐AFS) la capacità riproduttiva è diminuita per ragioni prevalentemente meccaniche, nelle forme minime e lievi (stadi I e II r-‐AFS) la capacità riproduttiva è diminuita per una serie di fattori non ancora completamente chiariti.Sono stati chiamati in causa l’anovulazione, l’insufficienza luteinica, la sindrome del follicolo luteinizzato, alterazioni della funzionalità tubarica da variazioni delle prostaglandine nel fluido peritoneale e fenomeni autoimmuni. Olive[13] ha riportato che, con una condotta d’attesa di 12 mesi, il 50% delle pazienti con malattia minima e lieve ottiene una gravidanza, mentre questa si verifica solo nel 21% delle pazienti con endometriosi moderata e non si riscontra alcuna gravidanza in presenza di endometriosi severa. E’ stato postulato che la terapia medica possa avere un ruolo nell’endometriosi minima e lieve, ma questo non è stato comprovato dagli studi riportati in letteratura. In una recente metanalisi[14] sono stati valutati 13 studi che comparavano il trattamento medico versus la condotta d’attesa nella sterilità associata ad endometriosi e non è stata riscontrata una differenza nelle percentuali di gravidanze tra pazienti trattate e quelle non trattate. Per l’endometriosi moderata e severa il trattamento adeguato è rappresentato dalla terapia chirurgica, in quanto le cisti endometriosiche di diametro maggiore ad un centimetro rispondono poco al trattamento medico, che risulta peraltro inefficace sulle aderenze eventualmente presenti[15]. Trattamento chirurgico della sterilità associata ad endometriosi L'evoluzione della laparoscopia operativa ha portato ad un decisivo passo in avanti nella terapia chirurgica dell’endometriosi. Infatti, oggi, la laparoscopia non solo permette un’accurata diagnosi e classificazione della malattia ma anche il contestuale trattamento chirurgico. L'obiettivo della terapia conservativa laparoscopica dell’ endometriosi è l’escissione degli impianti endometriosici, la resezione delle aderenze e il ripristino dei normali rapporti anatomici tra tuba e ovaio. Diversi studi nella letteratura dimostrano che la percentuale di gravidanze ottenute, dopo chirurgia laparoscopica per endometriosi moderata e severa, è sovrapponibile a quella ottenuta eseguendo lo stesso intervento per via laparotomica[16]. In un recente studio in collaborazione con l’Università di Milano abbiamo dimostrato che dopo trattamento laparoscopico di pazienti sterili con endometriosi moderata e severa la percentuale di gravidanze è del 55% in accordo con i risultati riportati dalla letteratura internazionale [17]. 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L’infertilità maschile, prima nascosta o denegata come una vergogna (anche perché erroneamente associata all’impotenza) e quindi non indagata, è oggi riconosciuta come entità clinica ben definita, e nelle coppie sterili viene esaminata la situazione seminologica del partner in prima istanza, mentre per il passato veniva accertata – e se pure .-‐ dopo ripetute, costose, invasive indagini sulla donna. Questo miglioramento culturale ha fatto sì che vengano “allo scoperto” casi di infertilità maschile prima ignorati. Inoltre, le più sofisticate metodiche di indagine – oggi la seminologia è una scienza a parte – hanno allargato il campo delle patologie andrologiche riconoscibili. Inoltre, la carenza di informazione e di prevenzione di questi stati patologici ne ha grandemente amplificato l’impatto. Ma accanto a questi fattori un altro, più importante, si è verificato e cioè l’incremento esponenziale delle cause che influiscono negativamente sull’apparato riproduttivo maschile, e che possono essere in gran parte evitate con un’opportuna opera di prevenzione. Le principali cause di sterilità nel maschio sononumerose e molteplici. Infatti l’apparato riproduttivo maschile, per la sua complessità funzionale ed anatomica, è assai più vulnerabile di quello femminile all’influenza di fattori negativi. Esse possono essere così classificate: (tab. 1) Tab.1 LE PRINCIPALI CAUSE DI STERILITA’ NEL MASCHIO a) CONGENITE: errori cromosomici e/o genetici; malformazioni b) ACQUISITE: infettive traumatiche ormonali anatomiche:criptorchidismo varicocele c) AMBIENTALI E LAVORATIVE Le cause ambientali e lavorative costituiscono i nuovi “nemici” della fertilità maschile; e non per nulla l’incremento dei casi di sterilità maschile si è verificato soprattutto nei Paesi industrializzati. Tra le principali sostanze lesive della spermatogenesiè possibile annoverare le seguenti: (tab. 2) Tab. 2 Tossici ambientali o “antropici”, lesivi dell’apparato riproduttivo maschile: possono agire sia sul sistema ormonale ipotalamo-‐ipofisi-‐testicolo, sia direttamente con effetti tossici sulle cellule germinali; Pesticidi, PCB e diossine, metalli pesanti (piombo, cadmio, mercurio, estrogeni presenti in carne, frutta, latte e derivati, acqua, ecc. oltre che nell’aria ambiente) Farmaci Droghe lecite Sostanze d’abuso Ormoni (estrogeni) 151 E v’è da considerare infine l’elevata percentuale di patologia andrologica in varie categorie lavorative; su cui giocano sia lo stress sia fattori tossici legati alla stessa tipologia del lavoro: (tab. 3) Tab. 3 Professionisti…………………………………. 17.5% Agricoltori…………………………………….. 2.4% Minatori………………………………………. 8.0% Lav. Industria ………………………………… 5.3% Lav. Edili ……………………………………... 9.8% Lav. Trasporti …………………………………11.3% Commercianti ………………………………… 9.2% Imp. Servizi …………………………………... 2.7% Disoccupati …………………………………… 2.8% Si consideri inoltre che molte delle cause elencate, oltre a provocare l’infertilità di coppia, possono portare a fallimentari e acritici procedimenti di fecondazione assistita (ART), o peggio, a malformazioni fetali; con ovvie e pesanti ricadute sul piano personale, psicologico, economico e sociale. Procedimenti cui troppo spesso si ricorre per ignoranza sulla prevenzione o sfiducia sulle possibilità di un intervento terapeutico sul maschio infertile. A parte i difetti congeniti, l’impatto percentuale di tutte le altre forme può essere drasticamente ridotto o addirittura annullato da una consapevole politica di prevenzione. Essa deve iniziare dalla più tenera età, addirittura dalla nascita; infatti molte delle cause di sterilità si verificano in epoca infantile – adolescenziale quando, se scoperte, potrebbero essere corrette, ed i cui effetti lesivi, invece, sono il più spesso irreversibili nell’adulto. Le strategie dellaprevenzione andrologica vanno applicate a due livelli: medico-‐sanitario ed educazionale con aspetti talora diversi nelle diverse età. 1) a livello medico-‐sanitario: patologie o situazioni suscettibili di condurre ad infertilità: • alla nascita: malformazioni genitali e criptorchidismo; • in età adolescenziale: criptorchidismo, varicocele, pubertà ritardata, infezioni urologiche, infezioni virali (parotite); • in età giovane – adulta: varicocele, infezioni sessualmente trasmesse, esposizione a tossici ambientali, uso di droghe lecite o d’abuso, disordini del comportamento sessuale, stili di vita. 2) a livello educazionale: cardine fondamentale della prevenzione in andrologia è l’informazione della famiglia, del medico (pediatra, medico di famiglia, medico scolastico, medico sportivo, ecc.), dell’individuo. L’informazione in questo campo è particolarmente carente: infatti il soggetto maschio assai raramente viene visitato nell’apparato riproduttivo; con la creazione di danni appunto permanenti. Oltre all’osservazione fisica del proprio ragazzo, i genitori, insieme agli educatori, devono fornirgli le opportune norme igienico-‐morali, sorvegliandone il comportamento e istruendolo sul fondamentale aspetto etico della sessualità, sulla sacralità e sulla dignità del proprio corpo, sul valore morale e sociale della castità prematrimoniale. Un aspetto sicuramente rilevante nell’aumento della sterilità dell’adulto è, infatti, nei giovani, l’uso precoce, promiscuo e disordinato della sessualità, fonte di gravi patologie infettive, nonché di disfunzioni erettili. Dovranno inoltre ammonirlo, insieme al medico, sugli effetti nocivi delle droghe lecite (fumo, alcol), sostanze d’abuso; anche purtroppo in età giovanile-‐adolescenziale. 152 Le “colpe” sanitarie, in questo campo, sono assai rilevanti. In effetti, per ignoranza, falso ritegno o altro è assai difficile che un medico – se non espressamente richiesto – visiti un soggetto maschio, nelle varie fasce d’età, nell’apparato riproduttivo, facendosi sfuggire patologie attuali o situazioni di rischio potenziale che, come detto, se tempestivamente individuate, possono essere opportunatamente corrette. Si pensi ad esempio all’importanza della vaccinazione antiparotitica. L’unico e primo controllo è quasi sempre quello della visita di leva, cioè a diciotto anni; spesso troppo tardi. Questo “filtro”, inoltre, sarà abolitonel nostro Paese. Oltre agli aspetti fisici, il medico con il massimo tatto e il pieno rispetto dell’innato pudore del giovane deve istruire il proprio “paziente” sugli aspetti igienico-‐morali della vita sessuale, segnalando la pericolosità di pratiche disordinate (masturbazione, coito interrotto, abusi, ecc.), oltretutto lesive, oltre che della moralità, della dignità dell’individuo. Dovrà inoltre consigliarlo in merito ad un sano stile di vita. Un’accorta prevenzione delle cause dell’infertilità maschile – e la loro eventuale correzione una volta individuate – oltre ad inquadrarsi in una doverosa deontologia medica, consentirebbe di ridurre in modo significativo il ricorso acritico ed indiscriminato ai procedimenti di fecondazione assistita con le lororicadute negative in campo etico, clinico e di risorse sanitarie. In armonia con quanto affermato dal S. Padre (DonumVitae), “molti ricercatori si sono impegnati nella lotta contro la sterilità, salvaguardando pienamente la dignità della procreazione umana; alcuni sono arrivati a risultati che prima sembravanoinimmaginabili. Gli uomini di scienza vanno incoraggiati a proseguire nelle loro ricerche allo scopo di prevenire le cause di sterilità e di potervi rimediare, in modo che le coppie sterili possano riuscire a procreare nel rispetto della loro dignità personale e di quella del nascituro”. 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RUSSO (a cura di ) Palermo, 2003, in press. 153 SALVATORE MANCUSO, ANTONIO LANZONE PREVENZIONE DELLA INFERTILITÀ E STERILITÀ NELLA DONNA Negli ultimi 40 anni abbiamo assistito ad una profonda modificazione dell’immagine e dell’identità femminile dovuta principalmente alla nuova presenza, al nuovo impegno della donna nella società stessa. Il fatto di essersi impegnata e di impegnarsi, cioè,nelle molteplici attività dell’epoca moderna ha portato la donna a subire delle modificazioni della sua immagine e dei suoi comportamenti. Non è inoltre da sottovalutare il ruolo di alcune sostanze capaci di influenzare la capacità riproduttiva della coppia che, specialmente in una società industriale, sono molteplici. L’influenza è evidente e macroscopica se intendiamo gli ormoni steroidi, le sostanze antitumorali, i metalli e gli oligoelementi (critica è la presenza di ioni metallici per esempio nella cavità uterina come risultante appunto di esposizione ad oligoelementi) etutta una serie di inquinanti che va dagli insetticidi agli additivi e contaminanti alimentari, dalle sostanze chimiche industriali alle sostanze stupefacenti che possono influenzare la capacità riproduttiva della donna. Tali sostanze possono alterare la capacità riproduttiva della donna attraverso un meccanismo diretto o indiretto. Gli effetti diretti avvengono se l’agente chimico ambientale è strutturalmente simile a molecole endogene ed è capace di entrare negli organi riproduttivi. In tale scenario, l’agente chimico può alterare il normale processo cellulare così come la differenziazione, la mitosi, la meiosi, la morte programmata delle cellule, la migrazione, la comunicazione intracellulare, la riparazione del DNA o la funzione mitocondriale. Per esempio, agenti chimiciche interferiscono con la funzione mitocondriale possono causare ritardo di crescita dovuto a deficit di energia disponibile per la crescita cellulare. Gli effetti indiretti possono avvenire se l’agente chimico necessita di una conversione metabolica all’interno dell’organismo prima di essere capace di esercitare il suo effetto tossico: i fitoestrogeni, per esempio non sono tossici finché non vengono bioattivati a livello epatico o gastrointestinale. I principali composti chimici che possono condizionare la fertilità femminile sono: gli “endocrine disruptors”, i metalli pesanti, i solventi, i pesticidi, il fumo di sigaretta e molte altre sostanze chimiche industriali. Per “endocrine disruptoris” si intendono tutte quelle sostanze esogene chimiche che mimano o bloccano l’azione degli ormoni o che alterano l’azione degli ormoni stessi. Composti chimici con una tale attività estrogenici o androgenica sono i pesticidi, i fitoestrogeni, i ftalati e alcuni prodotti di rifiuto industriali. Molti studi dimostrano, infatti, come l’esposizione a pesticidi estrogenici o androgenici possa determinare una riduzione della fertilità, sviluppi sessuali anormali o ermafroditismi in alcuni invertebrati, pesci, rettili, mammiferi. In oltre l’ esposizione a pesticidi estrogenici è correlata ad alterazioni della vita riproduttiva della donna come pubertà precoce e menopausa precoce. Classici esempio di “endocrine disruptors” sonoil DDT, il dietilstilbestriolo e gli ftalati. Questi ultimi sono usati nella produzione di materie plastiche, e possono alterar la funzione riproduttiva in molti animali. In alcuni studi di laboratorio, su mammiferi, infatti, si è visto come l’esposizione a queste sostanze abbia determinato un incremento di aborti spontanei, malformazioni, prolungamento del flusso mestruale, soppressione o ritardo dell’ovulazione, riduzione di diametro del follicolo preovulatorio. Altri “endocrine disruptor” sono i fitoestrogeni; benché studi su animali abbiano dimostrato come l’esposizione ad alte dosi di tale sostanze purificate determini un persistente estro, una pubertà precoce, un ritardo della crescita dell’utero, una inibizione dell’ ovulazione, un blocco dell’impianto, una degenerazione degli ovociti e alteri i livelli degli ormoni ipofisari, gli 154 effetti dei fitoestrogeni sulle donne sono equivoci. Alcuni studi indicano infatti un ruolo benefico di tali sostanze, legato ad una riduzione del rischio di cancro dell’ utero e della mammella, altri invece correlano tali sostanze ad alterazioni della ciclicità mestruale e ad un telarca precoce. Anche i metalli pesanti come il piombo, il mercurio, il cadmio e il manganese possono essere causa di alterazioni a livello riproduttivo. Negli Stati Uniti si stima che più di 42 milioni di persone sono esposte ad una dose eccessiva di piombo attraverso l’acqua potabile e che più del 52% delle abitazioni contenga livelli inaccettabili di tale sostanza. In animali da esperimento è stato visto che l’esposizione a tale sostanza determina una riduzione dell’ FSH, altera i recettori per le gonadotropine a livello ovario e altera il metabolismo steroideo. Nelle donne, invece, determina un aumento del rischio di aborto spontaneo, di morte fetale intrauterina e parto pretermine, inoltre l’esposizione a mercurio elementare può determinare irregolarità mestruali e una severe dismenorrea. E’ stato dimostrato invece, che l’esposizione a manganese può determinare nei ratti una riduzione del numero dei follicoli ovarici e una persistenza del corpo luteo. Per quanto riguarda i solventi, un recente studio caso controllo ha esaminato il legame tra l’esposizione occupazionale a tali sostanze ed il rischio di infertilità: trovando un rischio relativo aumentato per l’esposizione a solventi organici, prevalentemente dovuto a disfunzioni ovulatorie. I solventi principali sono percloroetilene, il toluene, lo cilene e lo stirene, che in studi di laboratorio su animali e su esseri umani sono stati correlati ad alterazioni della funzione riproduttiva. L’esposizione allo stirene per esempio allunga il ciclo mestruale, determina morte embrionale nei ratti e può interferire con la ciclicità mestruale nelle donne. Anche molti pesticidi possono alterare la funzione riproduttiva nelle donne. Nei ratti per esempio, il metossicoloro accelera l’apertura della vagina, blocca l’impianto embrionario, induce anormalità del ciclo mestruale, inibisce la funzione luteale. Il Keponecausa invece un persistente estro vaginale, anovulazione e un livello tonico degli estrogeni. Il nuovo ruolo della donna nella società ha determinato, inoltre, l’acquisizione di comportamenti tipici dell’individuo maschile quali il fumo di sigaretta, l’alcool e il caffè, che hanno ridotto la sua capacità riproduttiva. Le sigarette contengono più di 4000 composti chimici, tra cui 43 carcinogeni e veleni e più di 300 idrocarburi aromatici policiclici. Tra i veleni le sigarette contengono inoltre il metil isiocianato, un veleno responsabile della morte di più di 2000 persone in India nel 1984, a causa di un incidente industriale, che lo ha rilasciato nell’aria. Tra le altre sostanze inoltre le sigarette contengono la nicotina e i suoi metaboliti, questi agenti chimici producono vasocostrizione, riducono l’ossigenazione dei tessuti e si concentrano a livello dei tessuti riproduttivi. In uno studio, la cotonina, unmetabolita della nicotina, è stato ritrovato nel sangue, nelle urine, nella saliva e nel fluido follicolare sia in donne fumatrici che in quelle esposte a fumo passivo. Anche il cadmio è presente nelle sigarette. Negli esseri umani si accumula nelle ovaie e nel fluido follicolare delle fumatrici che si sottopongono a FIV-‐ET; ed è stato dimostro in studi su animali, come questa sostanza determini un aumento delle anomalie cromosomiali a livello ovocitario ed embrionale, ed un arresto dello sviluppo ovocitario a livello della II metafase. Gli effetti del fumo di sigaretta sulla riproduzione femminile non sono del tutto noti. Comunque alcuni studi epidemiologici hanno mostrato una consistente e significativamente più alta incidenza di infertilità o subfertiltità tra le fumatrici. Alcuni studi inoltre indicano che il fumo può alterare la percentuale di successo delle tecniche di fecondazione assistita. Un recente studio mostra come le fumatrici hanno una riduzione del 50% nel tasso di impianto e nel tasso di gravidanze a termine rispetto alle non fumatrici in cicli FIV-‐ET. Purtroppo però ancora pochi dati sononostra disposizione riguardo i potenziali meccanismi attraverso cui il fumo di sigaretta possa determinare infertilità, subfertilità e fallimento in ART. In animali di laboratorio, gli agenti chimici delle sigaretteaumentano il tasso di distruzione follicolare,accelerano la perdita della 155 funzione riproduttiva e alterano la maturazione meiotica ovocitaria. Negli esseri umani, alcuni studi suggeriscono che il meccanismo coinvolga anche la deplezione follicolare. E’ noto infatti che donne fumatrici entrano in menopausa 1-‐4 anni prima delle non fumatrici; dato questo che è anche supportato dai livelli più alti di FSH, indicatore di una ridotta riserva ovarica, durante la vita fertile. Un altro fattore correlato al nuovo stile di vita delle donne, che può alterarne la fertilità è l’alcool. Non è ancora chiaro come questo fattore possa determinare una riduzione della fertilità, ma in un recente studio Danese del 2003 è stata dimostrata una correlazione tra l’abuso di alcool e la capacità riproduttiva delle donne. Tale associazione è stata dimostrata solo però per donne di oltre 30 anni, con un rischio relativo di infertilità 2.26 tra le donne che consumavano 7 o più bicchieri (12 g di etanolo per bicchiere) a settimana rispetto a donne che consumavano meno di 1 bicchiere a settimana. Un alta introduzione di alcool è stata associata ad anovulazione, alterati livelli ormonali e anche ad un aumentato rischio di abortività. E’ comunque controverso se anche un moderato consumo di tale sostanze possa avere gli stessi eventi avversi. Un’altra sostanza della vita di ogni giorno che è stata imputata di essere causa di subfertilità femminile è la caffeina. In uno studio multicentrico europeo infatti è stato dimostrato chiaramente come le donne che assumevano più di 500 mg di caffeina al giorno avevano un maggior difficoltà nel riuscire ad ottenere una gravidanza spontanea con una aumento dell’ 11% del tempo necessario rispetto a donne che non assumevano tale sostanza. Un tentativo schematico di individuare le principali cause di sterilità della donna focalizza l’attenzione sulle alterazioni della normale funzionalità ovarica, sulle alterazioni delle salpingi e su quei casi di sterilità che non riconoscono una causa apparente (sterilità “sine causa”) Il meccanismo che regola la straordinaria e fragile funzione ormonale e riproduttiva della donna può essere influenzato da un’infinità di fattori esterni. I più frequenti sono gli eventi stressanti di tipo metabolico, fisico o psicologico. Ovviamente la soglia di percezione dello stress cambia da soggetto a soggetto, ma il circolo vizioso fra schemi comportamentali individuali, ambiente esterno e produzione ormonale con la conseguenza di un alterazione temporanea o permanente della funzione riproduttiva è identificabile in tante situazioni comuni e quotidiane. Un tipico esempio di stress fisico è quello delle atlete. Le donne infatti sono diventate nel corso degli anni sempre più attive fisicamente. Mentre sempre più ricercheconfermano i benefici dell’esercizio fisico e i media incoraggiano sempre di più le donne ad abbracciare un a tale attività, una rigida attività fisica è anche associata ad un tipico set di disturbi per il sesso femminile. L’ apparato riproduttivo femminile è molto sensibile agli stress fisiologici, e le anormalità riproduttive (menarca ritardato, amenorrea primaria o secondaria, oligomenorrea) avvengono in circail 6-‐79% delle donne che svolgono regolarmente ed in maniera agonistica tale attività. L’attività sportiva, soprattutto a livello agonistico, richiede una preparazione atletica, un regime alimentare e una competizione tali da agire pesantemente sull’asse ipotalamo-‐ipofisi-‐ ovaio, tanto da alterare la capacità riproduttiva delle donne: sebbene profili ormonali specifici di atlete con irregolarità riproduttive possono variare tra le varie discipline sportive, le anormalità riproduttive associate all’esercizio generalmente originano da una disfunzione a livello ipotalamico. L’incidenza di un’inadeguata fase luteale, anovulazione e oligomenorrea è considerevolmente più alta in donne atlete rispetto alle non sportive. L’esatta incidenza di queste anormalità è difficilmente valutabile, visto che molte atlete “eumenorroiche” soffrono di irregolarità mestruali nascoste come una inadeguata fase luteale o dei cicli anovulatori. Uno studio del 1979 mostra come solo il 50% delle corritrici ha un cicli ovulatorio in un mese di controllo paragonato al 83% dei controlli. Il profilo ormonale di donne impegnate in sport che enfatizzano un basso peso corporeo, così come il balletto, ginnastica, pattinaggio artistico e corsa, è caratterizzato da un ipoestrogenismo dovuto ad una alterazione dell’asse ipotalamo-‐ipofsi-‐ 156 ovaio. In particolare la soppressione dei pulse di GnRH, che generalmente avviene ogni 60-‐90 minuti, limita la secrezione ipofisaria di LH, ed in modo inferiore di FSH, determinando un ridotta produzione di estradiolo da parte dell’ovaio.Inoltre una fase follicolare prolungata, o l’assenza del picco di LH a metà ciclo, risulta in una lieve o intermittente soppressione dei cicli mestruali osservate in queste atlete. Una originale ipotesi per le disfunzioni riproduttive nelle atlete enfatizza il ruolo della composizione corporea e degli effetti dello stress da esercizio. L’ipotesi della composizione corporea suggerisce che il menarca avviene nelle ragazze quando il grasso corporeo è superiore al 17% del peso, e che la funzione mestruale è persa quando il grasso corporeo è inferiore al 22% del peso. Benché ampiamente accettata, questa ipotesi è basata interamente su correlazioni piuttosto che evidenze sperimentali. Infatti, la composizione corporeanon varia significativamente tra le atlete eumenorroiche e quelle amenorroiche. La soppressione della funzione riproduttiva in donne impegnate in attività fisica che enfatizza la magrezza potrebbe essere un adattamento neoruendocrino al deficit calorico. Recenti ricerche suggeriscono che la leptina, una proteina prodotta dal gene dell’obesità, secreta dagli adipociti, può essere un significativo mediatore della funzione riproduttiva. I livelli di leptina variano in risposta alle riserve di grasso e alla disponibilità di energia: la leptina correla positivamente con il BMI negli uomini e si abbassa drasticamente con il digiuno. Inoltre il ritmo giornaliero della sua concentrazione plasmatica si annulla in risposta ad una bassa introduzione di energia. Molti studi hanno dimostrato infatti che ratti privi della forma attiva di leptina tendono ad essere amenorroici, mentre altri studi suggeriscono che livelli cronici di leptina sono comuni in donne amenorroiche. Inoltre recettori per la leptina sono stati trovati su neuroni ipotalamici correlati nel controllo dei pulse di GnRH. L’assetto ormonale e riproduttivo delle donne amenorroiche impegnate in attività fisica è molto simile a quello di donne affette da disordini dell’alimentazione come l’anoressia nervosa, problema che interessa prevalentemente le adolescenti e le giovani donne. La tensione di voler dimagrire a tutti i costi per mantenere un’immagine corporea identificabile con gli stereotipi imposti dalla nostra società associata ad un’importante riduzione dell’indice di massa corporea, e soprattutto della quota di grassi, cioè la quota, delle masse muscolari conduce anche essa ad una alterazione dell’asse ipotalamo-‐ipofisi-‐surrene, alla diminuzione dei livelli serici di leptina, e della pulsatilità del GnRH;tutti questi processi portano inizialmente ad oligomenorrea poi ad amenorrea, fino alla completa perdita della funzione riproduttiva. L’età media delle donne affette da tale patologia varia tra gli 8 e i 35 anni, con picchi tra i 13 e i 14 anni e tra i 17 e i 18. Nella società occidentale la prevalenza dell’anoressia nervosa è dello 0.5%, e circa il 90-‐95% delle persone affette da tale patologia sono di sesso femminile, di razza bianca e tipicamente di uno stato socioeconomico medio alto. In un vecchio studio del 1990 è stato dimostrato come una alta percentuale di donne che si sono rivolte ad un centro di fertilità avevano un nascosto disordine dell’alimentazione. Stewart mostra come circa il 17% delle pazienti avevano un disordine alimentare e l’8% soffrivano di una franca forma di anoressia nervosa, mentre se si considerano solo le donne con problemi anovulatori la percentuale di donne affette dadisordini dell’alimentazione era del 58%. Una caratteristica di queste donne è che nessuna di esse aveva detto apertamente al centro di fertilità di soffrire di un tale disordine alimentare; spesso infatti tali pazienti cercano di nasconderlo al ginecologo e possono talvolta sembrare normopeso. Fortunatamente la maggior parte di queste pazienti è riuscita a concepire spontaneamente dopo il conseguimento di un normale comportamento alimentare e il raggiungimento di un ideale peso corporeo. Va sottolineato che tale patologia non è una patologia esclusiva dei tempi attuali. Sono stati riportati casi perdita di peso volontaria negli ultimi secoli, e tale patologia è stata descritta sistematicamente fin dai primi anni del 19° secolo. Probabilmente la prevalenza di tale patologia è aumentata a causa di una maggiore disponibilità di cibo, e all’attuale stereotipo culturale che 157 associa il successo alla magrezza e alla bellezza fisica. Durante la fase attiva di tale patologia l’infertilità sembra essere quasi una conseguenza ovvia. I mammiferi suddividono la loro energia in 5 principali attività metaboliche: mantenimento cellulare, termoregolazione, locomozione, crescita e riproduzione; perciò la soppressione della capacità riproduttiva può essere vista come un meccanismo di adattamento dell’organismo ad un deficit cronico di energia. La conseguente infertilità è dovuta ad una combinazione di anovulatorietà e rifiuto della attività sessuale, probabilmente a causa di una scarsa stima del proprio corpo ma anche a causa di ridotti livelli circolanti di ormoni sessuali. La ripresa della funzione ovarica è fortemente correlata alla ripresa del peso corporeo: molti studi hanno dimostrato come la ciclicità mestruale riprenda con il raggiungimento di almeno il 90% del peso ideale, anche se la percentuale di donne che, nonostante il conseguimento di tale obbiettivo, rimane anovulatoria varia tra il 13 e il 30%. La persistenza di amenorrea, nonostante il guadagno del peso, può essere correlata a pratiche alimentari anormali e soprattutto alla durata del disordine alimentare. Inoltre l’esistenza di uno stato di ansia associato al disordine alimentare può complicare il trattamento di tali pazienti. Lo stress psico-‐sociale è stato infatti chiamato in causa per spiegare molti casi di sterilità inspiegata. Anche per questa forma di infertilità i biologi evoluzionisti hanno proposto la teoria del “reproductive filtering mode”, spiegando come la dispendiosa funzione riproduttiva venga abolita dall’organismo stesso quando la probabilità di portare a termine la gravidanza è molto bassa. Come il dimagrimento, anche l’obesità e l’incremento eccessivo di peso sono associate a aleterazioni della performance riproduttiva, spesso correlate ad una iperproduzione di insulina, secondaria a condizioni di resistenza periferica all’insulina stessa. Tale ormone ha principalmente una funzione anabolizzante, tramite l’accumulo di nutrienti sotto forma dei grassi di deposito, ma è anche responsabile di una produzione eccessiva di androgeni da parte dell’ovaio, con tutte le conseguenze cliniche che ciò comporta. La sindrome dell’ovaio policistico rappresenta, a questo proposito,un quadro clinico classico dove possono convivere le alterazioni metaboliche descritte associate ad alterazioni della funzionalità ovarica. L’ovaio PCOS, sede dell’iperproduzione di androgeni, si presenta con un ispessimento della superficie esterna tale da realizzare a lungo andare anche un blocco meccanico all’ovulazione. Questa sindrome, che oggi è sempre più frequente, si caratterizza infattiper l’iperandrogenismo, la ridotta capacità riproduttiva e le alterazioni metaboliche. Circa il 40-‐50% delle donne affette da sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è in sovrappeso o francamente obesa e presenta spesso esagerati livelli di insulinemia ed un ridotto metabolismo insulino-‐mediato del glucosio. Non è chiaro tuttavia se l’esagerata attività b-‐cellulare sia una condizione geneticamente predeterminata, come suggerito da alcuni studi di biologia molecolare, ma smentito da altri, oppure secondaria ad imprinting esercitati nelle prime fasi della vita, o, infine, dovuta all’effetto di fattori circolanti. Gli androgeni, le b -‐endorfine, e gli acidi grassi liberi sono tutti considerati potenziali candidati in grado di aumentare la responsività della b-‐cellula al glucosio. L’eccesso di androgeni nella vita postnatale potrebbe da un lato favorire la dismissione di acidi grassi dal tessuto adiposo viscerale, dall’altro direttamente influenzare l’attività b-‐ cellulare, creando un imprinting con un forte drive anabolizzante. La disponibilità o meno di cibi altamente calorici sarebbe una variabile ambientale determinante per lo sviluppo di obesità e di un’insulinoresistenza secondaria. Quest’ultima sarebbe responsabile di ulteriori richieste nei confronti della b-‐cellula. L’iperinsulinismo primitivo e successivamente quello secondario,quindi, contribuirebbero a mantenere e ad aggravare le alterazioni della steroidogenesi ovarica, in considerazione dell’attività simile all’LH svolta dall’insulina. Col tempo, tuttavia, la persistenza o l’aggravarsi dell’obesità e quindi dell’insulinoresistenza, comporterebbe l’esaurimento funzionale del pancreas endocrino, con la comparsa di intolleranza agli zuccheri. D’altra parte queste 158 pazienti concepiscono spontaneamente ad un’età mediamente più avanzata dei controlli, ma una volta insorta la gravidanza, esse sviluppano molto più frequentemente il diabete gestazionale, come conseguenza della ridotta attività pancreatica. Di fondamentale importanza appare la riduzione del peso corporeo in queste pazienti. La maggior parte di queste presenta una distribuzione centrale del tessuto adiposo ed un aumentato rapporto vita/fianchi. Le donne amenorreiche sono quelle con maggiore compromissione metabolica (maggiore insulino-‐ resistenza e maggiore obesità). E’ stato pertanto ipotizzato e dimostrato che la riduzione di peso corporeo in questo sottogruppo di pazienti può essere seguita da una ripresa della ciclicità mestruale. In effetti la riduzione del peso corporeo del 6-‐8% è associata alla riduzione dei livelli di LH, di testosterone, dell’iperinsulinemia, dall’aumento di SHBG e della frequenza dei sanguinamenti mestruali. Il trattamento della PCOS con farmaci insulinosensibilizzanti, quali la metformina, associata a modificazioni dello stile di vita, inoltre potrebbe prevenire la progressione verso il franco diabete gestazionale delle alterazioni del metabolismo glucidico tipiche di questa sindrome. Hanno un ruolo determinante nei meccanismi fisiopatologici della PCOS, oltre ai già citati fattori metabolici, che sembrano indurre come risultante finale la complessa insulinoresistenza, anche alterazioni del sistema oppioide e probabili anomalie dell’asse ipotalamo-‐ipofisi-‐surrene (si rileva spesso un adrenarca esagerato, cioè elevati livelli di ormoni surrenalici dovuti, si può ipotizzare, o ad una predisposizione genetica o ad un evento stressante prepuberale). Per quanto riguarda invece le cause tubariche di sterilità femminile, esse trovano spesso il “primum movens” fisiopatologico nell’insorgenza di fenomeni infettivi pelvici (PID). Sappiamo che gli organi genitali femminili possono spesso essere sede di infezioni batteriche e virali; questa particolare predisposizione trova ragioni sia nella facile aggredibilità dell’ambiente vaginale da parte di agenti patogeni, sia da particolari stili di vita. L’incidenza mondiale delle malattie sessualmente trasmesse, varia non solo da regione a regione e da Paese a Paese, ma anche all’interno dei Paesi e in tempi diversi nello stesso Paese. Queste variazioni riflettono andamenti di alcune variabili quali la composizione della popolazione, gli stili comportamentali, lo stato immunologico degli individui, le caratteristiche patogene dei micro-‐organismi, la disponibilità di misure preventive, i tentativi di controllo della malattia e le interazioni tra queste. Il più esauriente studio sull’eziologia della infertilità è stato condotto dalla WHO circa 10 anni fa,e ha mostrato come su oltre 5800 coppie studiate circa il 64% delle coppie africane e il 28-‐35% delle coppie studiate nelle altre parti del mondo potevano trovare una spiegazione alla loro infertilità in una pregressa infiammazione pelvica cronica. Ogni anno negli Stati uniti più di un milione di donne soffre di un simile episodio infettivo, e circa una donna su quattro dopo una PID sviluppa una complicanza potenzialmente irreversibile come infertilità nel 20% di casi, dolore pelvico cronico nel 18%, e una gravidanza extrauterina nel 9%. Tale gravidanza non solo risulta da un danno tubarico, ma contribuisce direttamente anche ad altri problemi riproduttivi: il tasso di infertilità dopo una tale gravidanza è del 50%, e il 10% di queste pazienti hanno una ulteriore gravidanza extra uterina durante la loro vita fertile. La dimensione del problema della fertilità successiva ad un evento infettivo è enorme: nell’Africa sub-‐Sahariana, precisamente nello Zimbawe, dove l’incidenza di uretriti è del 40%, di ulcerazioni genitali del 25 % e di perdite vaginali e/o PID del 20% ci sono 60-‐80 milioni di coppie infertili, ed in alcune zone la percentuale di coppie infertili è superiore al 30%.Il problema dell’infertilità successiva ad una infezione pelvica è stato riconosciuto fin da molti anni, nel 1980 Westorm, in Svezia, ha mostrato come l’infertilità dopo una PID si sviluppi nel 6-‐60% dei casi, a seconda della gravità dell’infezione, del numero delle infezionie dell’età della prima infezione. Anche uno studio del “Centers for Diesase Control” negli Stati Uniti ha stimato che dopo un singolo evento di PID circa il 12% delle pazienti rimane infertile, mentre dopo 2 episodi il 25%, e dopo 3 o più episodi 159 ben il 50%. I principali microrganismi interessati per la patologia infettiva sono la Clamidia Tracomatis e la Neisseria Gonorrea, che se non adeguatamente trattate possono determinare una PID nel 20-‐40% dei casi se dovuta alla Clamidia Tracomatis e nel 10-‐40% dei casi se dovuta alla Neisseria Gonorrea. Entrambi questi microrganismi patogeni possono causare salpingiti e infezioni pelviche, che determinano occlusioni tubariche e aderenze pelviche, ma la Clamidia tuttavia a causa di un quadro infiammatorio subclinico più subdolo determina alterazioni tubariche più severe rispetto agli altri agenti patogeni. La poco rilevante ed a volte assente sintomatologia di alcuni quadri clinici di infezione pelvica, può rendere difficoltoso il riconoscimento della patologia e quindi una accurata terapia. In termini funzionali ciò può portare, dopo cronica esposizione ad agenti infettivi, ad alterazioni funzionali delle salpingi difficilmente trattabili sia con terapia medica che con tecniche microchirugiche e laparoscopiche. Sebbene lo scopo del trattamento della PID sia il mantenimento della fertilità, non ci sono dati disponibili che paragonano l’efficacia degli attuali antibiotici in commercio nel conseguimento di tale obbiettivo. Comunque ci sono evidenze che la velocità di instaurare una terapia antibiotica possa influenzare la funzionalità tubarica dopo l’evento acuto. Uno studio su ratti ha mostrato infatti che ritardare l’inizio di terapia con tetracicline di 7 o 14 giorni dopo l’infezione è molto meno efficace nel preservare la fertilità, rispetto ad un trattamento iniziato durante l’infezione stessa. Inoltre, anche uno studio eseguito su donne mostra come il rischio di infertilità successivo ad una PID aumenti con l’aumentare dell’intervallo di tempo tra l’evento acuto e l’inizio della terapia, specialmente in caso di infezioni da Clamidia. Appare inoltre molto evidente la relazione tra metodi anticoncezionali intrauterini(IUD) e la maggiore probabilità di infezioni del tratto genitale superiore, specialmente dovute a microrganismi patogeni come la Neisseria Gonorrea e la Clamidia Tracomatis. Risulta evidente pertanto la necessità di una decisa campagna di sensibilizzazione e di prevenzione capace di assicurare una diagnosi precoce ed eventuali interventi terapeutici tempestivi e completi che costituiscono il rimedio più sicuro per le sequele della malattia infiammatoria pelvica sulla fertilità della donna. Le statistiche di tutto il mondo hanno chiaramente dimostrato come gli attuali programmi di prevenzione debbano essere migliorati. La WHO infatti ha promosso una campagna educativa tendente a sensibilizzare gli utenti sulle cause, sui pericoli e il modo di prevenire le MST mediante metodi anticoncezionali di barriera che proteggono sia contro le MST e le gravidanze non desiderate, riducendo in questo modo anche la probabilità di un aborto. L’aspetto più importante nella prevenzione della sterilità o del danno tubarico secondari ad infezione non è la ricerca di agenti di terapeutici sempre più potenti, ma la prevenzione e il riconoscimento di segni precoci di infezione. La prevenzione del danno tubarico dell’infertilità non inizia con il trattamento della salpingite. Piuttosto, il medico dovrebbe iniziare il percorso educativo al momento della prima visita della paziente. La seconda opportunità di prevenire il danno tubarico e l’infezione è il riconoscimento dei segni precoci di infezione nella paziente asintomatica. Tali segni dovrebbero essere usati per determinare a quale categoria di rischio appartenga la paziente stessa. Una grande possibilità per il futuro ci è data dalla ricerca in ginecologia ed ostetricia per lo sviluppo di semplici, poco costosi e rapidi test diagnostici per i comuni germi patogeni responsabili delle PID da applicare a pazienti giovani, sessualmente attive. La diagnosi precoce ed il precoce trattamento è infatti la chiave per prevenire la diffusione delle MST e la infertilità successiva. Lo sviluppo inoltre di un nuovo contraccettivo di facile utilizzo che possa proteggere dalle MST e dall’ HIV, grazie a preparazioni spermicide, battericide e antivirali, preferibilmente controllato dalle donne, potrebbe risolvere notevolmente il problema della infertilità post-‐infettiva, provvedendo contemporaneamente una protezione contro le gravidanze indesiderate. 160 Un notevole aiuto, inoltre, da parte della ricerca faramaceutica verrebbe dallo sviluppo di vaccini contro i principali agenti patogeni quali la clamidia e l’HIV; una tale presidio da solo potrebbe drammaticamente diminuire la diffusione di tali malattie e l’infertilità legata a cause infettive in tutto il mondo. Comunque lo sviluppo di tali vaccini, soprattutto per quanto riguarda l’HIV è ancora molto indietro sia per problematiche scientifiche, sia per la mancanza di fondi adeguati: i vaccini non sono la primo posto delle priorità delle industrie farmaceutiche in quanto non economicamente vantaggiosi; va notato infatti che meno del 10% dei fondi per la ricerca sull’AIDS del National Institute of Health degli Stati Uniti è destinato a tali studi. Nell’analisi della cosiddetta sterilità “sine causa” non si può non considerare uno degli aspetti sociali prevalenti della cultura contemporanea. Registriamo infatti da tempo, all’aumento dell’età media della prima gravidanza. Questo è ormai da considerarsi una caratteristica dei nostri tempi, della nostra società ‘post-‐industriale’, dove sembra prevalere il consumismo, la solitudine e quindi una visione non sociale della vita. I fattori che influenzano direttamente l’età media della prima gravidanza sono di ordine sociale, economico e professionale. Le problematiche sociali sono sotto gli occhi di tutti: si ritarda nel programmare la gravidanza perché la coppia si pone dei traguardi competitivi nell’attività lavorativa, e l’essere genitori non è un elemento prioritario ma viene rinviato al momento in cui si siano raggiunti tali obiettivi. A tutto questo va aggiunto l’inquinamento ambientale e il valore socioeconomico della prole, determinando in questo modo che l’età media della prima gravidanza nei paesi industrializzati èpassata dai 25 anni negli anni ’70 a oltre i 35 anni nell’ultimo decennio. Se valutiamo, però, le percentuali di gravidanza per ciclo mestruale in relazione all’età femminile, osserviamo un graduale decremento fino quasi ad arrivare a zero oltre i 40 anni. Considerando tre categorie, le donne di età inferiore ai 35 anni, poi quelle dai 35 ai 40 anni, ed infine quelle di età superiore ai 40 anni, osserviamo ancora come la percentuale di gravidanze si riduca drammaticamente. Ciò si spiega principalmente per il fatto che con il passare del tempo si va esaurendo il patrimonio follicolare dell’ovaio, per cui la stimolazione ipofisaria sull’ovaio si fa sempre più intensa ma la risposta ovarica diventa sempre più insufficiente: è dimostrato come la maggior parte dei cicli mestruali fra i 40 e i 50 anni sia anovulatorio e da qui la difficoltà ad andare incontro alla prima gravidanza quando si pospone troppo l’epoca di gravidanza. Tale difficoltàsi registra anche con i tentativi di induzione dell’ovulazione con gonadotropine, che sono una delle risorse terapeutiche oggi più largamente utilizzate: l’indice di fertilità si riduce in relazione all’età della donna, pur in presenza di una stimolazione ad alte dosi di gonadotropine, e dopo i 40 anni la riduzione è veramente drammatica. La proiezione di coppie sterili in relazione all’età della donna evidenzia come fra i 45 e i 50 anni la percentuale di coppie definitivamente sterili aumenta fino quasi al 100%. La sterilità di coppia, oggi, interessa, secondo la prospettiva dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), tra il 15 e il 20% delle coppie nei paesi industrializzati; e si raggiungono quasi i 100 milioni di coppie infertili nel mondo. Cosa fa la coppia di fronte a queste problematiche riproduttive? Spesso considera la sterilità come una malattia da curare a tutti costi, programma in maniera esasperata la gravidanza, crede fermamente nell’onnipotenza della società e della tecnologia e si avvia così verso le tecniche di procreazione assistita. Il messaggio di “uomo padrone e manipolatore della vita” viene costantemente sottolineato molto bene dai mass media. Di conseguenza, il forte desiderio di concepimento da parte delle coppie sterili e il rilevante impatto economico che ne deriva, ha spinto la ricerca scientifica ad elaborare sempre più sofisticate tecniche di procreazione assistita: negli anni si è passati dall’induzione dell’ovulazione solo con gonadotropine, all’inseminazione artificiale, all’inseminazione intratubarica, alla fecondazione in 161 vitro ed infine alla manipolazione dei gameti con l’introduzione dello spermatozoo direttamente all’interno della cellula uovo. Va osservato, però, che il 75% delle pazienti in trattamento con gonadotropine per induzione dell’ovulazione si sottopone in prima battuta alla fecondazione in vitro, senza un adeguato iter diagnostico e terapeutico e questo è segno di un impoverimento culturale da parte degli operatori sanitari che saltano tutte le tappe diagnostiche e preferiscono rivolgersi alla tecnologia per ottenere la gravidanza, con il rischio di mercificazione di queste tecniche terapeutiche dell’infertilità di coppia. Detto tutto questo, dobbiamo rispondere a questa domanda: può il desiderio della maternità spingersi oltre i naturali limiti biologici? Pur non considerando le problematiche etiche, è sufficiente riflettere sul fatto che le donne con età superiore ai 40 anni che si sottopongono a protocolli di procreazione assistita hanno una possibilità 4 o 5 volte minore di avere una gravidanza rispetto alle donne con età inferiore a 30 anni, e questo comporta un peso notevole nella spesa sanitaria. E’ fondamentale allora rivalutare l’esatta conoscenza della storia clinica della coppia sterile in modo tale da indirizzarla correttamente verso l’iter diagnostico e terapeutico più appropriato. 1. ABBOTT D.H., DUMESIC D.A., FRANKS S. Developmental origin of polycystic ovary syndrome -‐ a hypothesis. J Endocrinol, 2002,174(1):1-‐5. 2. AHLES B.L.. Toward a new approach:primary prevention care of the woman with polycystic ovarian syndrome. Prim Care Update Ob/Gyns 2000,7(6):275-‐8 3. APTER D. How possible is the prevention of PCOS development in adolescent patients with early onset of hyperandrogenis. J Endocrinol Invest 1998,21(9):613-‐7 4. Balter M. New hope in HIV disease. Science 1996,274:1988-‐9 5. Bates W.G., Bates S.R., WhitworthN.S.Reproductive failure in women who practice weight control. Fertil Steril 1982,37(3):373-‐8 6. BOLUMAR F., OLSEN J., REBAGLIATO M., et al. Caffeine intake and delayed conception: a European multicenter study on infertility and subfecindity. 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Il suo uso ha applicazioni nella pianificazione familiare, nella valutazione e nel trattamento dell’infertilità e di altre malattie riproduttive, nelle emorragie anormali e nelle condizioni ormonali anomale del ciclo mestruale, tra queste la sindrome premestruale e le cisti ovariche ricorrenti, la datazione dell’inizio della gravidanza, ecc. La Naprotechnology® ha applicazioni mediche, chirurgiche e perinatali. Lo sviluppo di Naprotechnology® ha avuto inizio con un progetto di ricerca nel 1976 che fu portato avanti come valutazione indipendente del Metodo di Ovulazione Billings. Da ciò si è sviluppato un modello medico standardizzato di valutazione della fertilità. Questo è chiamato Creighton Model FertilityCare™ Systemed è un metodo standardizzato e prospettico di osservazione dei vari parametri biologici dei cicli mestruali e di fertilità. Lavorando con il Creighton Model System è subito apparsa evidente l’esistenza di alcuni markers biologici (biomarkers) che erano comunemente associati a donne con disordini riproduttivi, inclusa l’infertilità. Quando tale ricerca ha cominciato a crescere e svilupparsi si è subito iniziato a studiare i motivi alla base della anormalità di questi biomarkers. Si effettuarono valutazioni del ciclo mestruale attraverso un’attenta stima ormonale sia della funzione ovulatoria sia di quella luteale, accertamenti con ultrasuoni per determinare la presenza o l’assenza di disfunzioni correlate all’ovulazione e laparoscopia diagnostica per determinare meglio eventuali malattie organiche presenti. La nuova scienzadella Naprotechnology® è stata introdotta a partire dal 1991[2] e fino ad oggi circa 250 medici negli Stati Uniti hanno ricevuto una formazione sui suoi aspetti clinici. Un programma molto attivo di Naprotechnology nella valutazione e nel trattamento dell’infertilità è presente anche in Irlanda ed è stato formalmente approvato dai vescovi irlandesi[3]. Questo progetto di ricerca, iniziato 27 anni fa, raggiungerà l’apice della sua prima fase nel luglio 2004 con la pubblicazione del primo e definitivo manuale sull’argomento intitolato The Medical and Surgical Practice ofNaprotechnology®[4]. Il manuale esporrà in dettagli le varie tecniche usate per la valutazione e il trattamento dell’infertilità (insieme allo spettro completo delle applicazioni della Naprotechnology®). In questa breve presentazione l’intero spettro delle applicazioni della Naprotechnology, anche in relazione all’infertilità, non può essere presentato. Tuttavia ora è stato dimostrato che donne con problemi di infertilità hanno alla base problemi organici e endocrini. Le anormalità organiche includono condizioni come l’endometriosi, l’ovaio policistico, la malattia adesiva pelvica correlata a infezione, l’anovulazione dovuta a cause ipotalamiche e non solo. In relazione ai parametri endocrini sottostanti, queste donne soffrono quasi tutte di una qualche forma di disfunzione ormonale che può essere oggettivamente determinata e valutata. Inoltre gli ultrasuoni hanno rilevato anche un’elevata incidenza di eventi di ovulazione anomala in questo gruppo di 164 pazienti[5]. Questi difetti di ovulazione possono essere identificati con tecniche diagnostiche con ultrasuoni. Se osservate con il Creighton Model Fertilità Care™ System,queste donne avranno un’alta incidenza di cicli con muco limitato (un ciclo in cui la quantità di muco prodotto è notevolmente ridotto). Inoltre piccole emorragie premestruali, emorragie con code finali marroni e l’instabilità della fase successiva al picco, costituiscono biomarkers aggiuntivi che evidenziano i difetti ormonali latenti e quelli correlati all’ovulazione. Il Creighton Model System è anche in grado di identificare specificamente il picco di fertilità in un determinato ciclo. In questo modo fornisce alla coppia la possibilità di avere rapporti incentrati sulla fertilità (FFI)[6]. Un rapporto sessuale incentrato sulla fertilità, di per sé, può essere di aiuto: in un resoconto non irlandese, si è evidenziato che alcune donne sono rimaste incinte solo con un rapporto sessuale incentrato sulla fertilità, dopo che si erano sottoposte senza successo alla fecondazione in vitro.[7] La disfunzione ormonale latente e/o i problemi organici e correlati all’ovulazione possono essere identificati attraverso una serie di valutazioni ormonali mirate (che possono essere realizzate con l’assistenza del Creighton Model System), una serie di valutazioni ecografiche dell’ovulazione, la laparoscopia diagnostica e l’isterosalpingografia selettiva[8]. Una volta identificati questi problemi sottostanti, possono essere stabiliti i trattamenti che includono gli induttori dell’ovulazione, l’assistenza ormonale nel supporto della fase lutea, farmaci che aumentano la quantità di muco, la ricostruzione chirurgica della pelvi e la rimozione delle patologie organiche sottostanti (Naprotechnology® chirurgica). I dati presentati di seguito mostrano il successo di un programma con Naprotechnology. Confrontando il trattamento con Naprotechnology® in donne con endometriosi con un approccio simile pubblicato dalla Johns Hopkins University (Figura 1), il tasso di successo della Naprotechnology® è risultato essere significativamente più alto rispetto all’approccio della Johns Hopkins. Un successo simile, ma ancora più evidente, è stato osservato in donne con ovario policistico in cura con la Naprotechnology® associata con resezione bilaterale cuneiforme dell’ovaio. Nel caso dell’endometriosi, a 24 mesi, circa il 65% delle donne ha ottenuto una gravidanza con la Naprotechnology® contro il 49% ottenuto con il solo trattamento dell’endometriosi. Il tasso aumenta a 75% a 36 mesi. Con l’ovaio policistico il tasso di gravidanza è approssimativamente del 72% a 24 mesi contro il 30% dell’approccio della Johns Hopkins; a 36 mesi, supera l’80% con Naprotechnology® contro il 40% dell’approccio Johns Hopkins (Figura 2). Questo può essere ulteriormente valutato considerando i tassi grezzi di gravidanze e i tassi di costruzione della famiglia confrontando gli approcci della Naprotechnology® con quelli della fecondazione in vitro (IVF) per una varietà di condizioni differenti. Ciò si può vedere nella Figura 3. In tutti i casi l’approccio della Naprotechnology® si è rivelato statisticamente piùsignificativo degli approcci che usavano la fecondazione in vitro. La maggiore significatività statistica si osserva anche confrontando gli odds ratio della Naprotechnology® con quelli della IVF. Per esempio, con l’endometriosi, il tasso di successo con Naprotechnology® è approssimativamente 2.6-‐2.8 volte maggiore degli approcci con IVF (Figura 4). Se si considera l’approccio della Naprotechnology® in merito alla costruzione della famiglia, oltre il 90% delle coppie arruolate in un programma di Naprotechnology® avrà costruito la propria famiglia entro i primi 5 anni (Figura 5). Bisogna puntualizzare che nessun programma sull’infertilità in nessuna parte del mondo raggiunge il 100% di successo o comunque una percentuale ad essa vicina. Esiste ancora un alto numero di aree sconosciute nel trattamento dell’infertilità. Dunque il supporto per l’adozione come obbiettivo finale è importante in un programma di Naprotechnology® ed è incoraggiato e favorito una volta che la coppia arrivi al punto in cui non vuole più proseguire con programmi di valutazione e trattamento dell’infertilità. 165 Pertanto è legittimo includere l’adozione tra i componenti del programma di Naprotechnology® e in questo modo si osservano successi notevoli nella costruzione, globalmente intesa, della famiglia. Un ultimo punto deve essere evidenziato. La Naprotechnology® è dedicata all’analisi delle cause che soggiacciono ai problemi di infertilità e funziona in maniera concomitante con i cicli mestruali e di fertilità per ottenere la gravidanza. Il trattamento medico è indirizzato a correggere i problemi latenti e, nei casi di infertilità correlata all’ovulazione o ad altri tipi di ipogametogenesi, i trattamenti sono rivolti a cercare di migliorare tale processo, ma sempre cooperando col processo di fertilità naturale. Per questa sua modalità di approccio, la Naprotechnology® porta in sé anche la speranza di una eventuale cura per il problema dell’infertilità (e altri disturbi riproduttivi correlati come l’aborto spontaneo ripetuto). Esistono per esempio altre cause correlate ai problemi di infertilità. Alcune di queste cause sono fattori immunologici molto complessi che non sono ancora ben conosciuti, ma con l’approccio della Naprotechnology® questi fattori saranno studiati e si migliorerà continuamente la terapia. Perciò la speranza per il futuro risiede in questo approccio o in altri ad esso simili. [1] Hilgers TW, Daly KD, HilgersSK, Prebil AM: The Creighton Model FertilityCare™ System: A Standardized Case Management Approach to Teaching.Book I – Basic Teaching Skills, 2nd Edition, Pope Paul VI Institute Press, Omaha, NE, 2002. [2] Hilgers TW: The Medical Applications of Natural Family Planning: A Physician’s Guide to Naprotechnology. Pope Paul VI Institute Press. Omaha, NE 1991. [3] Assisted Human Reproduction: Facts and Ethical Issues. Irish Bishops Committee on Bioethics. Veritas Publications, Dublin, Ireland, 2000, p. 27. [4] Hilgers TW: The Medical and Surgical Practice of Naprotechnology. Pope Paul VI Institute Press. Omaha, NE July 2004. [5] Hilgers TW, Dworak AD, Tamisiea DF, Ellis RL, and Yaksich PJ: “Sonographic Definition of the Empty Follicle Syndrome” J Ultrasound Med 8:411-‐416, 1989; Hilgers TW, Kimball CF, Keck SJ, Dvorak AD and Tamisiea DF: “Assessment of the Empty Follicle Syndrome by Transvaginal Sonography” J Ultrasound Med 11:313-‐316, 1992. [6] Hilgers TW, Daly KD, Prebil AM, and HilgersSK: “Cumulative Pregnancy Rates in Patients with Apparently Normal Fertility and Fertility-‐Focused Intercourse.” J Repro Med Vol. 37, 10:864-‐866, Oct 1992. [7] Boyle P: Pregnancy Following Failed IVF. Paper presented at 22nd Annual Meeting of American Academy of Fertility Care Professional. Toronto, Ontario, CanadaJuly 17, 2003. [8] Hilgers TW, and Yeung P: “Intratubal Pressure Before and After Transcervical Catheterization of the Fallopian Tubes.” Fertil Steril 1999; 174-‐178. 166 JOSÉ M. SERRANO RUIZ-‐CALDERON L’adozione come alternativa alla FIVET Oggetto di questo articolo è l’analisi dell'istituto legale dell'adozione, esaminandone l’uso come possibile alternativa alle tecniche di riproduzione assistita. A questo scopo dobbiamo senza dubbio liberarci di un paio di dettagli piuttosto controversi. Il primo è che i due procedimenti servano allo stesso scopo. In questo senso li si potrebbe descrivere come l'ottenimento di un figlio da parte di una coppia o di un adulto singolo. Come è noto, i due casi non sono uguali per tutti e non sono degni dello stesso trattamento da parte del Magistero. In effetti, la morale matrimoniale cattolica ed i fini della legge naturale che sono stati per secoli sostenuti dalla Chiesa limitano l’alternativa dell’adozione alle coppie sposate mentre sulla riproduzione assistita pongono limiti anche alle coppie sposate. In tal senso, non esiste una stretta relazione tra l'atteggiamento verso la formula dell’adozione e l’atteggiamento che si è avuto nei confronti della FIVET. Ad esempio, l'adozione di un bambino da parte di un singolo può essere considerata dal punto di vista dell'interesse del bambino ovvero valutando la necessità, a un dato momento, di avere qualcuno che adotti e la situazione di urgenza che si sta affrontando. Abbiamo a che fare con un criterio prudenziale che urta contro una realtà che non possiamo ignorare. L'adozione non è una vera riproduzione, al contrario della FIVET. Di conseguenza, a quest'ultima è applicabile tutta la costruzione antropologica cristiana sulla riproduzione, nel senso più stretto. Come vedremo, ciò non vale per l’adozione di embrioni già fecondati. Queste non sono adozioni ma piuttosto FIVET, e non implicano fare propri i bambini solo legalmente, ma anche naturalmente. Altri casi comportano fattori diversi, che per ragioni differenti stanno modificando il giudizio morale sul questo argomento. Per fare un esempio, la Chiesa può accettare la natura lecita della adozione da parte di una persona singola, sebbene senza dubbio la nostra adesione vada all'adozione da parte di una coppia sposata, quando possibile, ma difficilmente può accadere lo stesso riguardo all'adozione da parte di coppie di fatto. L’altro dato rilevante è che l’adozione non pone i problemi morali che esistono riguardo alla FIVET o ad altre forme di riproduzione assistita. Per conseguenza bisogna studiare le differenze tra queste due realtà per apprezzare i vantaggi legali e morali che può presentare l’adozione. Non possiamo trascurare, comunque, un possibile ostacolo ad una visione diretta della materia. È realmente possibile che al di là della giustificazione retorica usualmente utilizzata, la FIVET possa avere obiettivi differenti dal riempire di un essere umano desiderato per sé stesso la vita di una coppia. Infatti coloro che ricorrono alla FIVET da una prospettiva soggettiva, o comunque la stessa tecnica considerata in se stessa, possono nutrire una serie di propositi diversi dal semplice avere un bambino come nell’adozione. Tra questi propositi è possibile riscontrare l’aspirazione a un legame genetico tra genitori e bambini, il recuperare una persona cara deceduta attraverso la fecondazione post-‐ mortem, il superare i naturali ostacoli a forme inaccettabili di riproduzione, come quella tra due persone dello stesso sesso, o la stessa ricerca di un ulteriore sviluppo di tecniche terapeutiche. Per questi scopi, realmente presenti nella FIVET fin dall'inizio, sebbene nascosti con l’argomento di un "rimedio per l'infertilità", l'adozione non costituirebbe un’alternativa, non per ragioni morali ma piuttosto per il fatto che essa non offre la soluzione a una varietà di utilizzi che comportano problemi etici non solo riguardo ai mezzi o all’oggetto, ma anche in relazione allo 167 scopo. L'adozione è un’alternativa al desiderio di una coppia sposata di avere un bambino da amare ed educare. La questione è, dunque, porre l’adozione come un’alternativa moralmente accettabile alla luce del magistero cattolico. Comunque, possiamo e dobbiamo andare oltre. Infatti la FIVET ha avuto un effetto assai negativo sulla totalità delle disposizioni di legge, forzando modifiche di natura quasi costituzionale, attraverso chiaramente un'interpretazione restrittiva della personalità umana. Nulla di tutto ciò è avvenuto con l'adozione, la quale, sebbene ponga alcuni problemi, rappresentati fondamentalmente dall’enorme aumento del potere delle autorità amministrative sulla sfera familiare, si è evoluta affermando i diritti dell'uomo, sostanzialmente quelli del minore, liberandosi fino a un certo punto del suo passato ereditario. Da questa prospettiva l'adozione è un'alternativa legale che, "imitando la natura", ha un duplice valore. Da un lato, offre una casa e una famiglia a un bambino che ne ha bisogno, dall'altro soddisfa i bisogni affettivi di una famiglia, a cui consente di esprimere il proprio altruismo diventando la casa di questa persona bisognosa. La FIVET e l'adozione, nonostante le loro differenze, hanno coinciso e sono state il centro di una controversia che è emersa simultaneamente in vari Paesi durante gli ultimi anni. Diversi rappresentanti dell’ideologia radicale hanno usato queste due realtà come una leva per modificare l'ordinamento giuridico. In Spagna, dove il dibattito è stato molto intenso, alcuni rappresentanti pubblici sono stati abili al momento di "mettere il dito nella piaga". Recentemente, come risultato di una controversia dovuta alla possibile adozione di minori da parte di coppie omosessuali, il presidente socialista della comunità autonoma di Estremadura ha indicato che nella sua comunità autonoma si era capito che era necessario trovare famiglie per i bambini che ne avessero bisogno, e non bambini per le persone che li desiderassero. Questo giudizio, che certamente riflette chiaramente il concetto di "interesse del minore" nella legge spagnola sull’adozione, è un interessante punto di partenza per un approccio alla questione dell’adozione come possibile alternativa alla fecondazione assistita. La controversia ci introduce in un'altra questione, in apparenza marginale, ma che, come stiamo cercando di mostrare, ha una forte valenza. Durante gli ultimi anni sia la FIVET che l'adozione sono state usate come elementi di standardizzazione. Infatti, più che rispondere alla necessità, che potremmo definire oggettiva, di una risposta ai problemi sociali relativi al crollo delle nascite e all'urgenza di trovare una soluzione al problema dei minori indifesi, sia la FIVET che l'adozione sono considerate tra gli elementi che determinano una presunta discriminazione verso gli omosessuali. Di conseguenza, la questione in sé si presenta come un’azione in favore dell'uguaglianza e della soppressione delle barriere, che ha trovato un fermo sostegno politico, come pure il supporto di istituzioni quali le Nazioni Unite. Ciò apre un nuovo fronte in cui il Magistero, ancora una volta, si trova spinto a farsi carico della difesa della legge naturale contro il processo di arbitrarietà sentimentalistica che è stato definito uno degli aspetti più caratteristici della nostra società post moderna. In tal modo l'obiettivo è di ottenere, in nome dell'uguaglianza, la legalizzazione dell'ineguaglianza, sovvertendo le istituzioni basilari della legge. Così il matrimonio, realtà che unisce istituzionalmente un uomo e una donna per amore di formare una famiglia, e che per questa sola ragione costituisce una realtà tutelata legalmente, viene trasformato in un’istituzione “à-‐la-‐carte”, che ha come unico obiettivo la standardizzazione di certe relazioni sessuali, per un periodo arbitrario che dipende dalla libera volontà degli sposi. Il fatto che il matrimonio non sia questo è noto, indipendentemente dal fatto che le istituzioni nazionali e internazionali ignorino tale realtà elementare. Il matrimonio, fondamento della famiglia, è il luogo dove la persona è accolta con dignità. Evidentemente, è possibile trovare coppie sposate in cui la persona non è ben 168 accolta come merita, in cui l’incontro non è di amore, in cui il neonato non è ricevuto come una grazia, tuttavia non è possibile immaginare questa combinazione di condizioni fuori dalla famiglia. E’ particolarmente significativo osservare come quest’accoglienza gratuita non esaurisca la sua importanza nell'individuo che vede la sua condizione riconosciuta dai genitori e dalla comunità, ma piuttosto trasferisca la sua impronta sul luogo del benvenuto, che è la famiglia, la quale in quel momento acquisisce il suo vero significato. L’esperienza di paternità/maternità, costantemente reiterata, aperta a ricevere il dono della vita, costituisce una comunità che supera l’aspetto tecnico per apprezzare la donazione, l’amore e la solidarietà. Questa prospettiva di donazione richiede un donatore. Essa spezza la logica puramente produttiva e costituisce l’ uomo come un essere che non è proprietà di nessuno. Questa ottica ci permette di scoprire il concetto di gratuità, che senza Dio perde tutto il suo significato, e consente all'uomo che in questo modo riceve ed è ricevuto, di trasmettere quest’esperienza al resto della comunità che lo circonda e al mondo, dove l’uomo, per partecipazione, acquisisce lo status di custode dell’amore. Se escludiamo le circostanze che si riferiscono alla FIVET, che non sono un obiettivo diretto della nostra analisi, possiamo sostenere che nel recente passato l'adozione e la FIVET hanno seguito strade divergenti. Infatti, in origine, l'adozione è stata concepita come un metodo che fondamentalmente si riferiva agli interessi di chi adotta, o piuttosto come un mezzo legale per raggiungere altri obiettivi riguardanti l’eredità o il mantenimento del nome della famiglia. Inoltre, l'adozione è stata vista con forte diffidenza durante l’intero processo di elaborazione della legge continentale. Esempi di questo relativo rifiuto erano il divieto di adottare se esistevano figli legittimi, al fine di non danneggiarli, le norme sulla differenza di età o l'età minima per l'adozione, ritardata fino ad un’età chiaramente matura, per esempio nella legge italiana fino a cinquant'anni. La differenza minima di età richiesta tra chi adotta e chi è adottato era anche una chiara prova del modo in cui i legislatori consideravano tale istituzione. Su questo punto, ad esempio, possiamo osservare un’evidente diffidenza verso le ragioni di un’adozione da parte di una persona di sesso opposto. L'obiettivo era di impedire un'intrusione all’interno della famiglia naturale, chiaramente privilegiata, e in relazione alla quale l'adozione era vista come un tipo di interferenza. Naturalmente bisogna rendersi conto che sotto la denominazione di adozione, la adoptio romana, sono state osservate realtà molto diverse. Nelle istituzioni coperte dal codice di Hammurabi, come la "marutu", che ha per oggetto l'assunzione della paternità legale da parte di una persona su un'altra al fine di metterla in condizione di ereditare, possiamo osservare l'uso dell’istituzione per vari scopi, inclusi quelli educazionali. L'origine legale della maggior parte della nostra legislazione si trova nella adoptio romana che, nella definizione di Eduardo Volterra, è presentata come il passaggio di una persona libera aliena iuri subiecta all'autorità di un'altra persona libera. Il metodo era una tripla vendita del figlio che produceva la soppressione del primo legame. Seguiva la richiesta di autorità paterna da parte di chi adottava, alla quale il primo non si opponeva. Tra i propositi di detta azione c’era chiaramente il desiderio che non andasse perso il cognome e di mantenere il culto legato alla domus, ai lares e ai penates. Era ragionevole che con la cristianità l’istituzione cadesse in un certo disuso. Naturalmente non possiamo dimenticare la pratica politica dell’adozione come forma di successione usata durante l'impero. Nella lexjustinianea l'adozione apparirà come una legale transazione di affari tra i genitori, a cui il bambino adottato dà la sua adesione, avendo previamente soppresso l'emancipazione. Bisogna ricordare che questo processo è collegato alla 169 modifica della rigidità della primitiva autorità genitoriale romana che anche ai sui tempi sorprendeva in quanto a severità. Nella legge intermedia, prevale l'adoptio in hereditatem. In assenza di figli naturali, chiaramente privilegiati nell’epoca cristiana per la priorità della famiglia naturale, era possibile creare discendenze fittizie. La lex rubiraria consentiva la trasmissione del patrimonio in assenza di una volontà, per mezzo di tre sistemi: primo, l'adozione di un titolo ereditario, secondo, la trasmissione inter vivos attraverso una serie di procedure scritte, e terzo, la trasmissione dei beni attraversotradionem et testibus. Carlo Magno impose un controllo pubblico, richiedendo la presenza del re o di un ministro o, prima, del missi domini. La legge cristiana tese a proteggere la famiglia naturale attraverso l'istituto della legittima Questa pratica, in contrasto con la libera disposizione dei beni, favoriva l’adozione legale degli eredi, in contrasto con altre ordinanze. La common law ha ignorato l’adozione. Secondo Caroline Bridge, il primo territorio del Commonwealth che ha riconosciuto una forma di adozione è stato la Nuova Zelanda nel 1881. In ogni caso, durante tutta la Rivoluzione Industriale sono state effettuate adozioni illegali, in cui le famiglie benestanti si prendevano cura dei bambini che vivevano in condizioni di abbandono. Alcune di queste formule derivavano da istituzioni medievali, come assumere bambini come paggi o servi. Durante i tempi duri della Rivoluzione Industriale, queste formule crearono situazioni di abuso, aggravate dalla tendenza ad alleggerire il sovraccarico degli orfanotrofi attraverso l’invio di bambini alle famiglie rurali, dove era molto comune il non ricevere un trattamento minimamente accettabile. In questo senso, possiamo considerare la tendenza all'adozione legale sotto questa legislazione come un tentativo di proteggere i minori, in contrasto con altre formule chiaramente discutibili. Questa linea è culminata nell'Adoption Act del 1926. Sotto la civil law l’adozione era concepita come una forma di imitazione della filiazione. L'obiettivo fondamentale era dare eredi per il patrimonio familiare o per il nome a chi non era in grado di averne. Questo fattore è fondamentale per comprendere una serie di disposizioni comuni al diritto comparato, finalizzate a garantire la possibilità di eredi legittimi, presenti o futuri. Si comprende così la condizione che colui che adottava avesse compiuto cinquanta anni, quaranta in determinate condizioni, e soprattutto che non potesse avere figli. In tal senso, è possibile trovare una chiara distinzione tra l’equivalente adozione e il modello più contemporaneo. L'intenzione della prima era di proteggere i diritti dei figli legittimi, quella della seconda di garantire un'eguaglianza di trattamento tra i bambini, tutelando da discriminazioni il bambino adottato. Si comprende così il requisito legale che colui che adottava non avesse discendenti legittimi o legittimati. A ciò fu aggiunto il requisito di avere una buona reputazione ed infine che l’atto fosse conveniente dalla prospettiva del bambino adottato, secondo un principio basato fondamentalmente su un criterio patrimoniale, così da impedire abusi nei confronti dei beni del minore. Un importante cambiamento di direzione iniziò con il fenomeno delle guerre mondiali, con le loro tremende conseguenze riguardo al gran numero di orfani. In Spagna anche la Guerra Civile, poco prima, aveva segnato questa tendenza a livello legislativo. Il fenomeno dell'abbandono e l’interesse di trovare una famiglia per i minori in questa situazione, ha decisamente modificato questa istituzione. La concezione dominante in un’adozione, e la formula intermedia che ne è derivata, ruotano intorno agli interessi del minore. In contrasto con la legge precedente, questa concezione spinge nella direzione di eliminare tutte le distinzioni tra filiazione naturale e adottiva, fatto che in parte ha contribuito al susseguente abbandono della distinzione tra i cosiddetti figli legittimi, oggi matrimoniali, e illegittimi o naturali. 170 A questo processo ha contribuito il crescente potere dello Stato e il suo interesse per la situazione dei minori in ambienti familiari conflittuali. La legislazione ha limitato la classica autorità paterna, che è venuta ad essere interpretata nella prospettiva della situazione dei bambini piuttosto che dei diritti dei genitori. L'effetto è stato un crescente intervento dell'autorità giudiziaria e, cosa più discutibile, degli assistenti sociali, con il risultato di un buon numero di minori dichiarati indifesi. A ciò si aggiunge un altro fenomeno che potrebbe essere considerato paradossale, ovvero l'osservazione dell’inadeguatezza psicologica dello Stato o delle istituzioni sociali, per esempio gli orfanotrofi, a coprire i bisogni per una corretta crescita dei bambini. Il paradosso sta nel fatto che l’intervento crescente dello Stato ha luogo in un contesto in cui appare evidente che i bambini hanno bisogno di un’atmosfera familiare per essere correttamente allevati. Così, l'adozione appare come una soluzione fondamentale a un problema che la società contemporanea soffre in modo evidente. Sarebbe ingenuo credere che questi dati definiscano l'adozione in modo completo. Infatti, i Paesi sviluppati presentano caratteristiche che spiegano la nuova preminenza della adozione e anche, tra l’altro, del ricorso disperato alla FIVET in un buon numero di casi. Potremmo citare quanto segue. Il ritardo nell'età del matrimonio in Paesi come la Spagna, all'età di trent'anni, significa che le donne si sposano in un’età fertile molto avanzata, a cui è necessario aggiungere il continuo uso di metodi per il controllo delle nascite che influenzano la fertilità della donna, e la diminuzione della fertilità maschile come risultato di problemi legati allo stile di vita ed altri fattori sconosciuti. L'effetto è un crescente numero di coppie con problemi di fertilità, di cui alcune si rivolgono ai metodi di fecondazione assistita, ma molte altre si rivolgono all'adozione. Nei Paesi sviluppati, a causa dello scarso numero di figli adottabili nei primi anni di età, è sorto un nuovo fenomeno, l'adozione internazionale. E’ necessario sottolineare che questo fenomeno è angoscioso e difficile per chi adotta, e mostra l’enorme volontà di provare a costituire una famiglia con discendenti. Evidentemente, il fatto che molti di coloro che adottano abbia già dei figli propri prova inoltre una disposizione altruistica e solidale, fatto che evidentemente non può essere trascurato. In accordo con la tradizione aristotelica, questo desiderio, correttamente incanalato, è chiaramente virtuoso. Infatti la soddisfazione nella virtù, crescendo un bambino, rafforza la bontà dell'atto. Comunque, è importante non dimenticare che questo desiderio non è sempre legittimo in quanto ai mezzi utilizzati. Infatti, nell’adozione si possono osservare abusi di questo tipo; in particolare in alcune forme di adozione internazionale. Nella FIVET l’affermazione del presunto diritto ad un figlio ha portato direttamente ad abusi contro la dignità umana. Il desiderio di avere un bambino si combina, nell’adozione internazionale, con gli interessi del minore, il quale, di solito, nei Paesi in via di sviluppo, vive in situazioni di abbandono. È necessario sottolineare che la legge, sia nazionale che internazionale, ha dovuto sforzarsi di fornire garanzie per impedire gli inevitabili abusi che potrebbero comparire in queste adozioni. La legislazione internazionale sull’adozione ha beneficiato del movimento di protezione dei diritti del minore, che può essere sintetizzato nel concetto di "interesse superiore del bambino" presente nella legislazione spagnola che si riferisce all'interesse dei minori. A tale proposito, la Dichiarazione dei Diritti dei Bambini del 1959 dichiara che " il bambino godrà di una speciale protezione e avrà opportunità e servizi, messi a disposizione attraverso la legge e con altri mezzi, in modo da potersi sviluppare fisicamente, mentalmente, moralmente, spiritualmente e socialmente in modo sano e normale, come pure in condizioni di libertà e dignità. Nel promulgare leggi con questo scopo, la considerazione fondamentale a cui aderire sarà l'interesse superiore del bambino. " Lungo queste tracce, la Convenzione dell’Aia, relativa alla protezione dei minori e alla cooperazione nel campo dell’adozione internazionale, intende “stabilire garanzie affinché le 171 adozioni internazionali abbiano luogo tenendo conto dell'interesse superiore del bambino e del rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti ai bambini nella legislazione internazionale." In ambito europeo assistiamo alla stessa tendenza, destinata evidentemente ad avere effetti sul campo dell’adozione. Insieme ai Pareri, nel core del Consiglio di Europa, possiamo soffermarci sulla Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, che, all'articolo 24, stabilisce che: 1. I bambini hanno diritto alla protezione e all'assistenza necessaria per il loro benessere. Possono esprimere liberamente le loro opinioni. Le opinioni sugli argomenti che li riguardano saranno prese in considerazione secondo la loro età e maturità. 2. In tutte le azioni nei confronti dei bambini, prese da autorità pubbliche o da istituzioni private, la considerazione principale deve essere l’interesse superiore del bambino. 3. Ogni bambino avrà il diritto di mantenere su base regolare rapporti personali e un diretto contatto con entrambi i genitori, a meno che ciò sia contrario al loro interesse". L’adozione moderna è governata dal concetto degli interessi del minore . Questo concetto sostituisce altre considerazioni come alleggerire il sovraccarico degli orfanotrofi, fattore che in una certa misura inizia il processo, o gli interessi dei figli legittimi all’eredità. Quasi mi permetto di affermare che anche la perdita di rilevanza dell’eredità stessa nei sistemi fortemente socializzati diffusi in buona parte del mondo, contribuisce alla tendenza delineata. È stato detto che il concetto di interesse del minore è un concetto poco definito dal punto di vista legale. Il fatto è vero, ma è anche vero che esso rimanda ad una combinazione di valutazioni sociali che sono delineate nella legislazione e nella giurisprudenza. Le condizioni che sono in genere richieste in realtà rivelano in pratica un altro fenomeno contemporaneo. Con il peggiorare della crisi relativa al trattamento legale della famiglia, oltre che della stessa famiglia, la descrizione ideale rinforza il ruolo della famiglia in senso stretto, poiché essa è il solo requisito che, senza ideologie, è richiesto nell'adozione, giacchè chiaramente favorisce gli interessi del minore. Essendo l'interesse superiore del minore un concetto giuridico vago, è necessario distinguere tre ambiti, uno di certezza positiva, o elementi non discutibili, un altro di certezza negativa, o situazioni chiaramente escluse, ed un’" area intermedia", di variabilità o incertezza, dove c'è spazio per varie opzioni nell’ambito della valutazione. Nella legge inglese, la commissione che ha preparato il Children Act nel 1989, ha racchiuso alcuni criteri che potrebbero essere usati in questa determinazione. Questi sarebbero: i desideri ed i sentimenti del bambino, in misura della sua età e discernimento, i suoi bisogni fisici, educazionali ed emozionali, i probabili effetti di qualsiasi cambiamento di situazione, l’età, l'ambiente sessuale e qualsiasi altra caratteristica del bambino che il tribunale possa considerare rilevante, qualsiasi ferita sofferta o che rischi di soffrire, la capacità di ognuno dei genitori, o della persona considerata, di soddisfare i bisogni del minore e, infine, lo spazio di poteri a disposizione del tribunale. Questa preminenza dell'interesse del minore spiega anche gli argomenti riguardo l'adozione da parte di coppie omosessuali. Dalla prospettiva dell'attivismo omosessuale e dei radicali che lo sostengono, la questione è posta come una problematica che ruota intorno al cosiddetto diritto a un figlio. L'idea, evidentemente, non è compiere azioni che possano generare un figlio, ma che sia assegnato loro un bambino che in una certa misura confermi la "normalità" del loro amore. L'argomentazione contraria non si focalizza sulla naturalezza della famiglia nel senso più stretto, o sugli elementi insostituibili dell'istituzione del matrimonio, ma piuttosto sui bisogni affettivi e psicologici dei minori e la non convenienza di essere cresciuti in un ambiente in cui vi siano ruoli così particolari, come è il caso delle coppie omosessuali. È molto significativo che nel dibattito in Spagna ci si appellava continuamente agli psicologi, i quali costituirebbero un nuovo tipo di tecnocrazia, o ciò che MacIntyre ha denominato il dominio dei terapeuti. Questo fatto prova in 172 modo evidente che anche la consultazione scientifica per la determinazione dell'interesse del minore, per esempio partendo dalla psicologia, deve separarsi da una opzione assiologica. Per alcuni radicali ciò condurrebbe ad una totale arbitrarietà nella determinazione degli interessi del minore, che in realtà si concede, sebbene non dichiaratamente, di fronte ai forti interessi, per usare un'espressione sadica, presenti ad esempio nell’adozione da parte di coppie dello stesso sesso. Questa posizione è rinforzata dalla crisi scientifica quando si avanzano dubbi sull’obiettività dei terapeuti, similmente a ciò che abbiamo osservato essere avvenuto nella moralità colta nel suo concetto di naturalità. D’altro canto, per coloro che ritengono che la realtà, così come è, in verità, delinea una struttura assiologica segnata, per esempio, dal concetto di telos, questa determinazione degli interessi del minore è possibile in una forma differente da quella che noi potremmo chiamare dominante, sebbene in crisi. È possibile determinare l'interesse del minore in vista del telos dell'individuo umano, e in connessione con i valori socialmente rilevanti. È possibile determinarlo in connessione con i diritti naturali delle famiglie, con la definizione stessa di famiglia, con la validità della sussidiarietà nell'attività delle istituzioni sociali e politiche, con l’interpretazione di cosa è l'educazione, e così via. Naturalmente, questa visione può oscurarsi in certi momenti, come avviene al presente nella maggioranza delle nostre società, ma non è molto difficile provare che ciò è dovuto "alla falsa prudenza del saggio e all'abuso del potente". La fecondazione artificiale ha, apparentemente, una storia molto meno complessa. Originando dalla scienza veterinaria, il suo obbiettivo nel campo umano sembra essere direttamente collegato a risolvere i problemi di infertilità. L'obiettivo è quello di avere un figlio, preferibilmente discendente delle persone che si rivolgono alla fecondazione. Louise Brown nasce in Inghilterra, frutto degli sforzi dei dottori Patrick Steptoe, ginecologo dell’Oldham General Hospital e Robert Edwards, fisiologo dell'Università di Cambridge. I suoi genitori hanno provato per molti anni ad avere un bambino, ma non era possibile a causa di un’ostruzione delle tube di Falloppio nella madre. La tecnica applicata per tale sorprendente procedimento, che ricordava molte previsioni del lavoro di Aldous Huxley "Brave new world", era in corso di sviluppo sin dal 1966, ma aveva sempre fallito poche settimane dopo che l'embrione veniva trasferito nella madre. Dal 1978 in poi, la tecnica ha migliorato il suo limitato successo e si è estesa a molti Paesi, venendo a rappresentare una speranza di avere figli per donne con difficoltà di vario genere. Sebbene da un punto di vista demografico il fenomeno della fecondazione in vitro con trasferimento di embrioni (FIVET), abbia avuto uno scarso impatto -‐ alcune centinaia di migliaia di nascite durante i primi vent'anni -‐ , riguardo alla legislazione, specialmente legislazione sulla famiglia e allo statuto dell'embrione umano, l'effetto è stato veramente notevole. In questo senso, la presenza di donatori di sperma o di ovulo ha fatto si che la fecondazione assistita avesse un impatto su questioni come il riconoscimento dei figli nelle coppie, le indagini sulla paternità, proibite in questo contesto nella legislazione spagnola, costituendo un'eccezione alla regola generale, o anche all'ovvietà, che il figlio appartiene alla madre che lo dà alla luce. (Sebbene nella legislazione spagnola questa regola è stata mantenuta per impedire le madri sostitute o surrogate). Molto presto la tecnica ha avuto i suoi denigratori, così come i suoi ferrei sostenitori. Tra i primi potremmo citare lo stesso Jacques Testart, creatore tecnico del primo bambino francese in provetta. Gli allarmi riguardo alla FIVET si sono divisi in due categorie. Il primo si riferisce ai possibili effetti delle deviazioni della tecnica rispetto all’obiettivo proposto originariamente, ovvero il superare diverse forme di infertilità. Infatti, fu denunciata la comparsa di diverse forme di madri surrogate, gestazioni su commissione, ammesse in alcune leggi ma chiaramente rifiutate 173 dalla legislazione europea. Analogamente la procreazione di bambini per ragioni diverse che per il loro esistere, come i fratelli creati per essere donatori verso altri fratelli già esistenti. Inoltre fu fatto un annuncio riguardo agli sforzi di superare la menopausa con le famose madri-‐nonne, si discusse la possibilità di creare bambini per le coppie omosessuali con diverse combinazioni, l'applicazione di una massiccia eugenetica, o anche la possibile creazione di ibridi uomo-‐animale. Si credeva che il più grande passo sarebbe avvenuto con la clonazione umana, rifiutata in linea di principio con grandi dichiarazioni, ma poi ammessa da alcuni come clonazione cosiddetta "terapeutica", più esattamente nota come clonazione sperimentale. Altri dubbi sulla FIVET erano centrati su aspetti più centrali del fenomeno. Tali dubbi spiegano, in gran parte, l’abbandono della pratica da parte diTestart e le critiche che la tecnica ha suscitato molto presto da parte di autori di grande spessore, come Jerome Lejeune. L'impressione era che la fecondazione in vitro comportasse un passo avanti rispetto ad altre tecniche di fecondazione assistita e il trasferimento della procreazione umana in laboratorio, liberandola in certa misura dal suo aspetto personale: procreazione di una persona da parte di altri in un quadro di profondo impegno e significato, così da divenire un atto tecnico che a molti è sembrato non dignitoso. La posizione del Magistero Pontificio era molto chiara su questo aspetto, ma conviene ricordare che non è stata l’unica: sebbene in un certo modo sia stata pionieristica, presto è stata accompagnata da prestigiosi bioeticisti come lo stesso Leon Kass, di fede ebraica. Un certo pensiero bioetico ha voluto presentare questi dubbi come caratteristici di un naturalismo in qualche modo superstizioso. È stato detto che l'intervento tecnico è in se stesso umano fino a un certo punto, e che l'obbiettivo finale perseguito era buono: superare il problema della sterilità. Per di più, è stato argomentato che il bambino frutto della fecondazione in vitro è un figlio più ricercato, con costi molto marcati a livello personale ed economico per i genitori ed anche svincolato dall'impulso sessuale. Si è detto che non ci sono eventi fortuiti nella fecondazione in vitro: tutti bambini frutto della stessa sono voluti, con l'importanza che il concetto di "figlio desiderato" ha dopo la diffusione generalizzata degli aborti volontari. È passato un tempo sufficiente per portare avanti un esame equilibrato di questa critica basato sull'esperienza, e questo punto possiamo dire chi era naïve e chi era superstizioso. Uno dei più profondi temi in bioetica è il rischio che la tecnologia possegga gli esseri umani stessi, dato che l'essere umano è diventato da soggetto di tutte le azioni scientifiche a oggetto delle stesse: da manipolatore della natura a oggetto della sua manipolazione, in un modo impensabile prima della rivoluzione scientifica. La rilevanza della natura tecnica della procreazione umana risiede, in primo luogo, nella sostituzione del concetto stesso di procreazione con quello di produzione; anche se con un obiettivo benefico, comunque, questo fatto ha un secondo legame con il suo effetto sul fenomeno della libertà. Questa è la principale novità. Infatti la tendenza a controllare è un vano sforzo di dominare il futuro o, se si vuole, di manipolare l'uomo del futuro. Alleata della manipolazione genetica positiva, tale è in riguardo alla predeterminazione delle qualità personali scelte dall’esterno, essa costituisce una minaccia di reale cambiamento, in nome di un assurdo sforzo di controllo. E vero, comunque, che dall'inizio la fecondazione artificiale ha mostrato una tendenza ad uscire fuori da questa linea che stiamo descrivendo, attraverso l'inclusione nella pratica di donatori esterni alla sfera di una coppia, o situandosi direttamente fuori dal contesto matrimoniale, con la fecondazione di donne single, o infine, divenendo il mezzo per impedire totalmente la procreazione naturale attraverso la maternità sostitutiva, nell'espressione politicamente più corretta, denominata più esattamente maternità surrogata o utero in affitto. Alcune legislazioni, come quella spagnola, hanno proibito quest'ultima modalità, ma vi sono pressioni volte a ottenerne la legalizzazione. La ragione è la stessa ragione che sottende, per esempio, le 174 argomentazioni per estendere il permesso di selezionare il sesso: l'intenzione delle cliniche di allargare il mercato. Questo aspetto economico della FIVET è stato costantemente rimosso, esempio molto chiaro dell’ideologizzazione del problema. Così, l'intera discussione sulla FIVET entra in una retorica delle buone intenzioni che è quanto meno sospetta. La FIVET non è una tecnica molto efficace, in evidente progressivo disuso per esempio nella scienza veterinaria, che ha seguito nella sua traduzione legislativa una direzione esattamente opposta a quella dell’adozione. Se l'adozione evolve da una concezione patrimoniale al predominio degli interessi del minore, nella legislazione sulla riproduzione assistita non esiste niente di simile. In più, similmente al modo in cui la nuova legislazione sull'aborto ha richiesto una modifica del concetto classico di autorità paterna, con una tendenza a cambiare l'autorità con la responsabilità, la FIVET ha richiesto un cambiamento nella considerazione dell'essere umano in fase pre-‐natale, andando dalla quasi assoluta mancanza di protezione di quello che la legislazione spagnola chiama pre-‐embrione, al punto di selezionare il re-‐impianto o l’aborto per proteggere il livello della qualità del risultato dell'azione. Nella FIVET, insieme con l’argomento più importante per noi dell’indegna separazione dell’unione di amore dalla riproduzione, noi osserviamo altre tendenze. La prima è la separazione della FIVET dal suo dichiarato obiettivo terapeutico. Infatti, sin dall’inizio è apparso con grande chiarezza nella legge anglosassone e con crescente incidenza nella legge europea, che nonostante l’affermazione retorica fosse quella di superare forme di fertilità, questo sintomo non era un requisito per rivolgersi a queste tecniche. In più, esiste un ragionevole dubbio, che va oltre quello espresso da Testart nel suo libro “The transparent embryo”, che l'intenzione di dare figli alle coppie che ne avessero bisogno, fosse la principale motivazione della FIVET, dato che con questa la ricerca sugli embrioni umani tramite la FIVET ha raggiunto livelli che non sarebbero stati raggiungibili senza questo alibi ideologico. L'azione sembra eccessiva sia in termini di budget, sia di modifica della legislazione o delle Dichiarazioni Internazionali, se si considerano, per esempio, 1600 bambini nati in un anno in Spagna con questa tecnica. D’altro canto, se la FIVET è fisicamente pesante per chiunque acconsente ad usarla, non è più importante dell’adozione internazionale in termini di budget. Si deve ricordare che a fronte dei pochi bambini adottabili nei paesi sviluppati, questa formula è la più usata. Ma, in più, la complessa analisi cui è sottoposto chiunque desideri adottare, riguardo all’idoneità dei costumi, le ragioni dell'adozione, la vita passata, la stabilità della coppia, l’uguaglianza rispetto agli altri figli ecc., non viene eseguita per coloro che acconsentono alla FIVET. In senso stretto, noi stiamo parlando di una terapia che non controlla i sintomi, nella quale prevale l'interesse manifestato da chiunque voglia rivolgersi alla FIVET, senza qualsiasi altra considerazione. Certamente, l'interesse del nasciturus è duro a riconoscersi. Questo spiega le difficoltà di limitare la FIVET quando, per esempio, io sono a conoscenza di una cosiddetta madre-‐nonna, che cioè ha sorpassato l'età della menopausa, o dei conflitti con la fecondazione post mortem, la quale, ancora proibita in varie legislazioni, riappare periodicamente per lo meno come una rivendicazione. È contrario agli interessi del minore nascere orfano exprofeso, o da padre ignoto exprofeso, o da una madre biologicamente sconosciuta exprofeso, o da una madre anziana in forma identica, ma questi argomenti non hanno un impatto profondo sulla FIVET poiché è diversa la sua logica intrinseca. Questo è il motivo per cui è possibile concludere che la FIVET non può essere rivista e non ha modo di rinnovarsi in una pratica eticamente e legalmente accettabile. Non è questione di perfezionare la tecnica per limitare il suo alto tasso di aborto, di regolarla in modo da smussare gli spigoli più evidenti, la FIVET è in se stessa riprovevole. È l'opposto dell'adozione, basata sugli interessi del minore; sebbene come ogni istituzione umana sia suscettibile di deviazioni riprovevoli, l'adozione è un atto di altruismo che dovrebbe essere 175 incoraggiato per il fatto che risolve la necessità di un minore nato e permette ad una coppia sposata di ricevere il dono di poter donare il loro amore, per l'impossibilità di avere figli attraverso un altro metodo moralmente accettabile, o per un atto volontario di solidarietà nei confronti di un bambino privato della famiglia. Potremmo dire che sia riguardo al fatto biologico sia riguardo alla legge, le due istituzioni seguono strade diametralmente opposte. Per questo motivo è molto ingiusto etichettare come biologisti quanti di noi si oppongono alla FIVET. Infatti, l'adozione risolve una difficoltà biologica, per esempio, la sterilità, usando la legge per rendere legale un figlio, dove l'affetto stabilisce la relazione paterno-‐materno, senza qualsiasi relazione biologica. I bambini non sono i loro figli biologicamente, ma la legge e la protezione data li rendono tali nel senso più stretto, tanto che viene mascherata ogni differenza con il figlio biologico. Nella FIVET la difficoltà più rilevante è superare, attraverso un intervento tecnico che sostituisce l'incontro di amore tra due persone, l'aspetto biologico, in sostituzione dell'unione matrimoniale. Questa asserzione appare molto evidente quando ci si sforza di superare le difficoltà biologiche essenziali, come ottenere un figlio da una persona morta, ottenere un figlio biologico da una persona dello stesso sesso o per mezzo di qualche forma di clonazione. 176 [1] “Poiché solo il matrimonio assicura un esercizio della sessualità umana semplicemente umano, un esercizio cioè che ne realizza la bontà essenziale, è grave dovere della legge civile difenderlo e promuoverlo contro ogni tentativo di oscurarne l’intima bontà e dignità. Ciò deve essere fatto almeno difendendo dalle libere convivenze il matrimonio legittimo”, Carlo Caffarra, “Etica Generale della Sessualità”, Ares/Milano, 1991, pag. 86-‐87 [2] Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzionesu “Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione”Donum vitae, 1987, II, a, 2 [3] Giovani Paolo II, Lettera Enciclica Veritatis splendor , 1993, 48 [4] Martin Ronheimer, “Derecho a la vida y estado moderno”, Rialp, Madrid, 1998 [5] Congregazione per la Dottrina della Fede, “Considerazioni circa il progetto di riconoscimento legale delle unioni omosessuali”, III, 7 [6] Jose Miguel Serrano Ruiz-‐Calderon, “Nuevas cuestiones de bioética”, Eunsa, Pamplona, 2002, Cap. IV [7] Capitolo III, “Argumentaciones Racionales contra el reconocimiento legal de las uniones homosexuales”. [8] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae, 1995, 2, 7. [9] Ibid, 92. [10] Eduardo Volterra, “Adozione, diritti orientale, greco, romano”, Novissimo Digesto Italiano, UTET, Torino, 1957, pag. 286-‐288 [11] Fritz Shluz, “Derecho Romano Clasico”, Bosch, Barcelona, 1960, pag. 135. [12] Caroline Bridge e Heather Swindells, “Adoption – The modern law”, Family Law, Bristol, 2003. [13] Isabel Lazaro Galdiano coord. “Los menores en el derecho espanol” , Tecnos, Madrid, 2002, pag. 416 ss. [14] Caroline Bridge e Heather Swindells QC, “Adoption – The modern law”, op. cit., pag. 289-‐354. [15] Francisco Rivero Hernandez,“El interés del menor”, Dykinson, Madrid, 2000;Isabel Lazaro Gonzalez,“El interés del menor”, op. cit., pag. 98-‐121. [16] Francisco Rivero Hernandez, “El interés del menor”, op. cit., pag. 65. [17] Alasdair MacIntyre, “After virtue”, Spanish Translation, Critica, Barcelona, 1987, pag. 48-‐49. [18] “L’enceinte concentrationaire”, Fayard, Paris, 1990. [19] Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzionesu “Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione”Donum vitae, 1987, II, B, 4, b. [20] Leon R. Kass,“Life, liberty and the defense of dignity. The challenge for bioethics”. Encounter Books, San Francisco, 2002, pag. 85. 177