Integrated pathways for adults working (re)integration
Reference number: 142147-LLP-2008-IT-GRUNDTVIG-GMP
NATIONAL REPORT ITALY
CDS – Centro Ricerche Documentazione e Studi
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GRUNDTVIG MULTILATERAL PROJECT
NATIONAL REPORT GERMANY
Workpackage I, deliverable II
CDS – Centro Documentazione e Studi
Via Gulinelli 11
44100 Ferrara
Italy
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PARTE PRIMA
1. PRINCIPALI ASPETTI E FATTI STILIZZATI DEL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA NEGLI ULTIMI 10 ANNI
2 Lavoro ed economia: tendenze in atto
2.1 Andamento economia negli ultimi 10 anni
2.2 I primi effetti della crisi economica mondiale in Italia.
2.3.La situazione occupazionale nazionale.
2.3.1 Il mercato del lavoro in Italia durante il III trimestre 2008
2.3.2 Il mercato del lavoro in Emilia- Romagna.
2.3.3 La provincia di Ferrara.
2.3.4 I dati più recenti sul mercato del lavoro a Ferrara
3. LE SPESE NAZIONALI PER LE POLITICHE DEL LAVORO
3.1 Le politiche attive del lavoro
3.2 Le politiche passive del lavoro.
4. LE POLITICHE FORMATIVE
4.1 Gli individui
4.2 Le imprese
4.3 I Fondi Paritetici Interprofessionali per la Formazione Continua
4.4 La L. 236/93. Interventi urgenti a sostegno della occupazione
4.5 Progetti e programmi di incentivazione al (re) inserimento lavorativo
4.6 La formazione continua
4.6.1 Il Fondo Sociale Europeo.
4.6.2 La formazione continua e la contrattazione collettiva.
5. BREVE PANORAMICA SUL SISTEMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI IN ITALIA
5.1 La situazione italiana.
5.2 La Cassa Integrazione guadagni (CIG).
5.3 La mobilità.
5.4 Il ricorso alla Mobilità in Italia, Emilia Romagna e provincia di Ferrara.
5.5 I Lavori Socialmente Utili.
5.6 L'indennità ordinaria di disoccupazione.
5.7 Il ricorso alla Indennità di disoccupazione In Italia, RER e Provincia di Ferrara.
5.8 Prepensionamento.
5.9 Incentivi all'occupazione.
6. CENNI SUL DIBATTITO NAZIONALE
PARTE SECONDA
1. PERCORSO A) L' INSERIMENTO LAVORATIVO DEGLI OCCUPATI CHE STANNO PERDENDO IL LAVORO (IN
CIGS O MOBILITÀ)
1.1 Il percorso
1.2 I principali attori coinvolti
2. PERCORSO B): L' INSERIMENTO LAVORATIVO DI COLORO CHE SONO PRIVI DI OCCUPAZIONE
(DISOCCUPATI E MOBILITATI)
2.1 Come avviene il percorso di re inserimento
3. PROPOSTE ED OSSERVAZIONI
4. ANALISI DI CASI DI BEST PRACTICES
4.1 Punti di forza dei tre progetti con caratteristiche di trasferibilità
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PARTE PRIMA
1. Principali aspetti e fatti stilizzati del mercato del lavoro in Italia negli ultimi 10 anni
1. L'Italia ha un tasso di occupazione molto più basso della media Europea. Anche se è cresciuto negli ultimi
10 anni, esso è tuttavia ancora lontano dagli obiettivi di Lisbona, soprattutto per gli occupati adulti over 55. Alcuni
studiosi hanno sostenuto che al forte aumento dell’occupazione (dal 1995 al 2007 sono stati creati in Italia quasi 3
milioni di nuovi posti di lavoro, pari ad un aumento dell’13%), si è associata una forte instabilità. In realtà la crescita
dell’occupazione (peraltro di poco superiore a quella media dell’Unione Europea negli stessi anni) si deve più che
alla diffusione dei lavori instabili, promossa dalle riforme volte a deregolare il mercato del lavoro, anche al forte
aumento dei part-time.
2. Il profondo divario tra le regioni del Sud e del Nord non si è minimamente ridotto negli ultimi 15 anni,
nonostante le rilevanti risorse pubbliche investite sia dall'Unione Europea che dallo Stato. Al Nord Italia abbiamo
infatti una situazione “europea”, con alti tassi di occupazione, bassa disoccupazione e alto tasso di occupazione
delle donne. Al contrario, al Sud esiste una situazione molto critica: basso tasso di occupazione, alta
disoccupazione, basso tasso di occupazione delle donne, forte immigrazione verso il Nord (specie dei giovani),
basso tasso di legalità, forte presenza di associazioni mafiose e deboli istituzioni locali. Non a caso le regioni del
Nord Italia sono tra le prime in Europa per reddito pro-capite e tasso di occupazione, mentre le regioni del Sud Italia
sono tra le ultime.
3. Quasi il 70% dei nuovi posti di lavoro è dovuto alle donne, il cui tasso di occupazione è aumentato di oltre dieci
punti per quelle dai 30 ai 59 anni. L’aumento dell’occupazione delle donne adulte non si deve alla necessità di
procurare un altro reddito in famiglia, poiché dopo i 30 anni i passaggi dalla condizione di casalinga a quella di
occupata sono stati quasi nulli (Cnel 2004). I mutamenti sociali degli ultimi anni hanno visto un forte cambiamento
della figura della donna, sempre più istruita, emancipata e più propensa ad entrare nel mercato del lavoro alla fine
del percorso formativo e a rimanervi più a lungo. A questo si è aggiunto un più facile accesso al part time, che ha
portato ad una forte occupazione di donne adulte che cercavano un orario di lavoro ridotto. L'aumento
dell’occupazione femminile adulta può essere collegato a una misura di flessibilizzazione, che concerne, però,
soltanto l’orario di lavoro e non la stabilità del rapporto. Infatti, dei posti di lavoro creati tra il 1995 e il 2005 oltre un
quarto è occupato a tempo parziale da donne, la stragrande maggioranza delle quali ha rapporti dipendenti a tempo
indeterminato. Le ragioni dell'arretratezza italiana sono dovute essenzialmente al minor tasso di occupazione a
tempo parziale delle donne meno istruite, più propense a un impegno lavorativo ridotto per dedicarsi maggiormente
alla famiglia. Inoltre, mentre fino al 2003 aumenta il lavoro part-time svolto in modo volontario, dopo le modifiche
introdotte dalla legge 30/2003 aumenta soltanto il part time involontario (Ministero del lavoro 2006) e la crescita del
tasso di occupazione femminile si arresta. Una revisione delle norme che renda il lavoro a tempo parziale più vicino
alle esigenze delle donne è fondamentale perché il tasso di occupazione femminile riprenda a crescere, oltre che
per conciliare i tempi di lavoro e della famiglia senza costringere le donne ad una vita stressante e senza ridurre
ulteriormente la già troppo bassa natalità. Allo stesso modo, per evitare che le donne occupate part time restino
confinate nelle posizioni professionali di più basso livello è necessario affrontare il problema del maggiore costo del
lavoro a tempo parziale, quello connesso all’aggiornamento e alla formazione sul lavoro.
4. La crescita dell’occupazione in Italia si può attribuire anche alla bassa dinamica delle retribuzioni reali e alla
sempre più elevata presenza di immigrati, che hanno un tasso di occupazione molto alto perché sono nelle fasce di
età centrali e sono mossi da un forte stimolo economico. Poiché gli immigrati si concentrano nelle regioni dove
minore è il tasso di disoccupazione degli italiani, la competizione è stata abbastanza scarsa, ma forse sufficiente ad
impedire le pressioni salariali che avrebbero potuto sorgere per la difficoltà di rimpiazzare i pensionati con giovani
leve sempre più ridotte per motivi demografici (Contini e Trivellato 2005). È infatti indubbio che, negli ultimi anni, vi
sia stato un impoverimento relativo dei lavoratori dipendenti. Secondo un’indagine Eurostat, dal 1996 al 2002 le
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retribuzioni nette per dipendente nell’industria manifatturiera a parità di potere d’acquisto sono cresciute in Italia
meno del 4% in presenza di figli e neppure dell’1% in assenza, mentre in tutti gli altri paesi dell’Unione Europea si
sono registrate percentuali di aumento a due cifre (Istat 2004). Inoltre, vi è stato un serio aumento dei differenziali
retributivi a sfavore dei giovani, in particolare di quelli più istruiti, che costituiscono una quota crescente della nuova
offerta di lavoro, pur in via di riduzione per ragioni demografiche. Si può pensare che ciò sia dovuto dapprima alla
moderazione salariale frutto della stagione della “grande crisi” e della concertazione, avviata con l’accordo governosindacati del 1993, oltre che al diffuso sentimento di insicurezza che ha frenato le rivendicazioni salariali anche
quando in quasi tutte le province del Centro-Nord si è raggiunto il pieno impiego, almeno per il lavoro operaio.
Grazie a una dinamica favorevole del costo del lavoro le imprese sono state incentivate ad assumere e si è assistito
ad una crescita dell’occupazione, ma non ad un aumento della produttività del lavoro, che infatti è rimasta stagnante
per molti anni.
5. L’Italia ha un forte livello di protezione degli occupati nelle imprese con più di 15 dipendenti, che sono però la
minoranza dei lavoratori italiani: la Cassa Integrazione è infatti una forma di protezione specifica in caso di crisi che,
unica in Europa, consente di proteggere i lavoratori per minimo 2 anni. Tuttavia, di recente l’Ocse ha dichiarato che
la flessibilità in Italia nella piccola e media è forse maggiore che altrove in Europa. Infatti il mercato del lavoro
italiano, proprio per la presenza delle piccole imprese, ha sempre avuto elevati gradi di flessibilità, come mostrano
le ricerche condotte sia sulle indagini sulle forze di lavoro, sia sui dati degli istituti previdenziali (Contini 2002;
Naticchioni, Rustichelli e Scialà 2004). Le ricerche hanno inoltre mostrato che nel settore privato non agricolo
dell’economia sia il turnover dei lavoratori, sia quello dei posti di lavoro sono tra i più elevati in Europa sin dalla fine
degli anni Ottanta.
6. In Italia c'è una forte presenza del lavoro autonomo (30% degli occupati) rispetto alla media degli altri paesi
europei (20%). Chi si mette in proprio non sono però né i giovani, né i disoccupati, che per diversi motivi non
possiedono le risorse economiche e relazionali necessarie, ma i lavoratori adulti in precedenza occupati per lo più in
piccole imprese, dove hanno potuto acquisire competenze gestionali e costruirsi una rete di potenziali clienti
(Barbieri 2001). Il lavoro indipendente è diffuso in Italia perché costituisce un importante canale di mobilità
professionale e sociale, in un paese in cui prevalgono micro-imprese ove la gerarchia professionale è piatta e
soltanto l’imprenditore e i suoi familiari occupano le poche posizioni di vertice. Negli ultimi anni si è comunque
assistito ad un calo della libera professione, che da un totale del 28% nel 1993 è passata al 26% nel 2005 (fonte
Istat, Indagini sulle forze di lavoro).
7. Dalla sua introduzione, avvenuta nel 1997 con la Legge Treu, il Contratto a termine è andato via via
diffondendosi, anche a seguito dell'approvazione della legge Biagi (L 30/2003) che ha aggiunto nuove tipologie di
contratto più flessibili. Secondo la nuova serie Istat, la percentuale dei lavoratori a termine sul totale
dell’occupazione è passata dal 10% nel 1993 al 12,4% di oggi. Il “pacchetto Treu” ha quindi aumentato la
percentuale di lavori a termine in misura limitata e per lo più grazie al rilancio dell’apprendistato.
8. Nonostante un’iniziale crescita impetuosa, che ha portato a superare le 700 mila missioni annue dal 2003, le
indagini Istat sulle forze di lavoro hanno rilevato che le persone occupate tramite il lavoro interinale nel 2004 sono
poco più di 155 mila, pari a neppure l’1% dell’occupazione dipendente. Si prevede che la crescita si fermerà molto
prima del 3% raggiunto in Olanda e Gran Bretagna, poiché questo strumento è usato pochissimo dalle piccole
imprese, che in Italia sono la stragrande maggioranza. Nonostante che i lavori instabili, dipendenti o formalmente
indipendenti, siano cresciuti in Italia molto meno di quanto si suole dire, va comunque detto che queste sono
occupazioni molto precarie. Secondo la nuova indagine sulle forze di lavoro, che rileva la condizione lavorativa
l'anno successivo a quello di rilevamento, risulta che tra gli occupati nel 2004 i dipendenti a termine, i collaboratori e
i prestatori d’opera occasionali avevano una probabilità di perdere il lavoro da 2 a 8 volte superiore a quella dei
lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e dei lavoratori indipendenti tradizionali. Da una ricerca comparativa
che valuta i dati italiani dal 1996 al 2002, risulta inoltre che le probabilità di transitare da un primo lavoro instabile ad
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uno sicuro nel corso di sei anni sono nettamente inferiori a quelle di altri paesi europei. È da dire che i lavori
cosiddetti “sicuri”si sono ridotti molto negli ultimi 20 anni.
9. L' Italia ha, rispetto al resto d'Europa, un alto tasso di lavoratori occupati in piccole imprese (sotto i 15
addetti). Essi sono senza una buona protezione in caso di perdita del lavoro: non hanno la Cassa Integrazione,
ma solo l’indennità di disoccupazione (max 8 mesi a salario ridotto). Per questo è necessaria in Italia una riforma
degli ammortizzatori sociali che tenga conto anche di chi lavora nelle piccole imprese, più volte annunciata negli
ultimi 10 anni, ma mai realizzata.
10. La forte tutela dei lavoratori sul lato delle pensioni ( più vantaggiosa rispetto agli altri paesi europei) assorbe il
15% del PIL e riduce, di fatto, le risorse impegnate nelle politiche attive del lavoro, molto inferiori alla media
europea. È da dire che le riforme degli ultimi anni hanno innalzato l’età pensionabile e uniformato i trattamenti (alla
fine del 2012 l'età pensionabile sarà di 62 anni). Ciò spiega perché una forma di tutela dei giovani diffusa passa di
fatto attraverso la famiglia e le pensioni dei genitori.
11. La riforma dei servizi pubblici per l’impiego del 1997 ha assegnato il servizio (e i lavoratori) dallo Stato alle
Province. Ciò ha prodotto un miglioramento del servizio, soprattutto al Nord, ma le imprese e i lavoratori senza
lavoro o che lo perdono lamentano ancora una scarsa efficienza del servizio.
12. Un’altra caratteristica italiana riguarda i rischi di disoccupazione che colpiscono i giovani e gli adulti,
soprattutto le donne che perdono il lavoro. Rispetto a quasi tutti i paesi europei, in Italia i giovani sono molto più
penalizzati degli adulti (Schizzerotto 2002; Reyneri 2005). Tuttavia, se si guarda meglio ai confronti internazionali, si
scopre che la peculiarità italiana non concerne affatto i giovani poco istruiti, penalizzati rispetto agli adulti in quasi
tutti i paesi europei, ma quelli più istruiti, che solo in Italia sono altrettanto penalizzati dei giovani non istruiti.
13. In Italia il forte sentimento di insicurezza per il lavoro è anche dovuto alla grave carenza delle politiche del
lavoro, sia passive che attive. Come si è già detto, le vere anomalie del caso italiano sono la scarsità dei sostegni
di reddito a chi è senza lavoro e la carenza e l'inefficienza dei servizi pubblici per l’impiego. A chi propone, sul
modello danese, la via della flexicurity, cioè la combinazione tra scarsa protezione dell’occupazione e forte
sostegno al ricollocamento di chi perde il lavoro, occorre ricordare che questo equilibrio si regge su un imponente e
costosissimo intervento pubblico. La Danimarca, con un tasso di disoccupazione di poco superiore al 5%, spende
ben il 4,5% del prodotto interno lordo in politiche del lavoro, mentre l’Italia, con un tasso di disoccupazione intorno
all’8%, ne spende appena l’1,3%. Ciò spiega perché la Danimarca sia il paese in Europa ove minore è il sentimento
di insicurezza del lavoro, benché neppure il vasto settore del pubblico impiego goda di un regime di protezione
dell’occupazione.
14. Per i lavoratori maschi il tasso di occupazione cresce in misura significativa soltanto per quelli da 50 a 54 anni,
a seguito delle riforme delle pensioni che hanno innalzato l’età pensionabile a 62 anni dal 1.1.2013. Non è così
per gli ultra-55enni: al dibattito sulle politiche per ritardare l’età di pensionamento non è seguita una riflessione sulle
politiche di invecchiamento attivo, che mirano a promuovere sia l’occupabilità dei lavoratori anziani per le imprese,
sia la loro propensione a restare più a lungo al lavoro, per esempio con proposte di pensionamento progressivo
che abbinino il part-time al lavoro. Anche i lavori usuranti, che indubbiamente contribuiscono in misura significativa a
ridurre le speranze di vita, potrebbero giovarsi del ricorso a queste politiche, che prevedono tra l'altro la possibilità
adibire i lavoratori anziani a mansioni più congeniali alla loro età.
15. Le minoranze etniche sono il nuovo soggetto nel lavoro italiano. Al forte aumento dei lavoratori immigrati
si deve praticamente quasi tutta la crescita dell’occupazione dopo la regolarizzazione del 2002, che ha fatto
emergere oltre 600mila lavoratori da una situazione di presenza non autorizzata e di lavoro nero forzato. I lavoratori
immigrati da paesi extracomunitari sfiorano il 6% dell’occupazione totale e l’8% di quella dipendente privat,
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raggiungendo percentuali molto maggiori nei livelli professionali più bassi e in parecchi settori e aree occupazionali,
dall’edilizia al turismo (intorno al 10%), dal lavoro domestico a quello di cura degli anziani (oltre il 70%). Se gli
immigrati superano il 20% dei lavoratori inviati in missione, non si possono trattare le norme che disciplinano il
lavoro interinale separatamente da quelle che regolano il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno per motivi di
lavoro. Ormai gli immigrati sono ben inseriti nel mercato del lavoro italiano: il loro tasso di disoccupazione è
superiore solo di 3 punti percentuali a quello degli italiani.
16. L’Italia ha il più alto tasso di economia sommersa d'Europa (dal 15 al 25% del PIL, secondo le stime). Il
sommerso esiste in Italia da sempre, ma non vi è dubbio che è stato incentivato, negli ultimi anni, dall’ampia
disponibilità di immigrati costretti o ben disposti a lavorare in nero. Per questo ogni politica contro il lavoro nero
richiede anche una coerente politica migratoria per quanto riguarda sia i nuovi ingressi, sia l’integrazione socioeconomica degli immigrati presenti.
Per concludere, dall’analisi del mercato del lavoro italiano emergono realtà e criticità ben diverse dai consueti luoghi
comuni. Alcune di tali criticità esulano dalle possibilità di intervento delle norme che regolano il lavoro e il suo mercato: si
pensi, ad esempio, al tema dell’aumento della domanda di lavoro ad elevata qualificazione e alla costruzione di un
robusto sistema di protezione per le persone senza lavoro, che richiedono diverse misure di politica economica,
industriale e della ricerca tecnologica e differenti priorità della spesa pubblica. Tuttavia, una diversa regolazione può
svolgere un ruolo veramente rilevante per alcune di queste criticità. Alcuni studiosi come Reyneri, Ichino, Treu, Boeri e
altri ritengono prioritaria l'istituzione di norme che:
• parifichino i contributi previdenziali e la protezione per alcuni rischi (malattia, maternità, perdita del
lavoro) per tutte le forme di lavoro, dipendenti o indipendenti;
• agevolino il passaggio dai lavori instabili a quelli stabili;
• agevolino l’ingresso dei giovani, specie quelli istruiti, nel mondo del lavoro (apprendistato);
• agevolino il ri-collocamento al lavoro per chi perde il lavoro con nuovo patto tra servizi, tutoraggio e lavoratore
(una sorta di flexicurity all’italiana);
• favoriscano la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro con un deciso orientamento “amichevole” verso le
donne (anche con part-time esteso 30 ore);
• incentivino la formazione continua dei lavoratori e il loro invecchiamento attivo;
• rendano più facile e stringente il contrasto del lavoro nero;
• frenino tutti i comportamenti discriminatori nell’accesso al lavoro e sul lavoro.
2. Lavoro ed economia: tendenze in atto
2.1 Andamento economia negli ultimi 10 anni
L'andamento del Prodotto interno Lordo italiano nel corso dell'ultimo decennio dimostra, soprattutto a partire dal 20012002, la sostanziale stagnazione della economia italiana. Considerando infatti i dati ISTAT sui conti economici nazionali
si nota come (a parte nel 2000 dove il PIL ha raggiunto il valore di 3,7) il PIL a prezzi di mercato, come si vede nella
tabella 1 o dal grafico 1 sottostante, si è mantenuto sempre al di sotto della soglia del 2%.
Grafico 1, Andamento del PIL a prezzi di mercato, 1997-2008 e previsioni 2009-2010
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4,0
3,7
3,5
3,0
2,5
2,0
1,9
1,5
1,8
1,8
1,5
1,5
1,4
1,5
1,0
0,5
- 0,5
0,6
0,5
- 0,0
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Fonte: ISTAT, conti economici, serie storica
2.2 I primi effetti della crisi economica mondiale in Italia
Nel corso dell'ultimo decennio, il Prodotto Interno Lordo italiano mostra, soprattutto a partire dal 2001-2002, la
sostanziale stagnazione della economia nazionale, mantenendosi, a parte nel 2000 dove ha raggiunto il valore di 3,7%,
sempre al di sotto della soglia del 2%. Nel 2008, il valore del PIL a prezzi di mercato è stato pari a 1.572.243 milioni di
euro, con un aumento dell'1,8% rispetto all'anno precedente. La situazione appare ben diversa considerando invece il
PIL espresso ai prezzi dell'anno precedente, dove si nota una decrescita dell'1%. La diminuzione del prodotto è legata
soprattutto ad un calo del 4,5% delle importazioni di beni e servizi, che ha ridotto dell'1,8% le risorse disponibili. Si
evidenzia inoltre una contrazione, in termini reali dei consumi delle famiglie (-0,5%), dei consumi finali nazionali, sui quali
incidono gli aumenti di spesa per le Pubbliche amministrazioni e le Istituzioni Sociali private. Gli investimenti fissi lordi
sono diminuiti del 3% a causa soprattutto della flessione degli investimenti in macchinari e attrezzature (-5,3%), delle
costruzioni (-1,8%) e dei mezzi di trasporto (-2,1%). Anche le esportazioni hanno registrato una riduzione (-3,7%). Per
quanto riguarda l'incidenza dei settori produttivi nella formazione del prodotto nazionale, si registra una riduzione
dell'industria in senso stretto (-3,2%), delle costruzioni (-1,2%) e dei servizi (-0,2%).
2.3 La situazione occupazionale nazionale
Stando ai dati forniti dall'ISTAT1, nel 2007 il mercato del lavoro ha registrato un aumento del numero degli occupati
dell'1% rispetto al 2006. Gli indicatori rimangono per lo più stabili: il tasso di occupazione (58,7%) decresce di 3 decimi
di punto rispetto al 2006, mentre il tasso di attività, pari al 62,5%, perde 2 decimi di punto. Confrontando i dati con quelli
del 2006, si nota che il contributo della componente femminile all'aumento della occupazione è superiore a quello
maschile, anche se la partecipazione delle donne italiane al mercato del lavoro rimane significativamente inferiore alla
media europea così come per le persone di età compresa tra i 55 e i 64 anni, il cui tasso di occupazione è inferiore del
16,2% rispetto agli obiettivi fissati a Lisbona (vedi tabella 3).
Tabella 1, Tassi di occupazione e scostamenti rispetto agli obiettivi di Lisbona, 2010, anno 2007
Tassi di occupazione
Area Geografica
Totale
Nord
Nord-ovest
Forze di Lavoro,
Totale
rispetto
66,7
56,8
32,5
-3,3
-3,2
-17,5
66
56,4
31,4
-4
-3,6
-18,6
67,6
57,5
34
-2,4
-2,5
-16
Centro
62,3
51,8
36,8
-7,7
-8,2
-13,2
Italia
Obiettivi di Lisbona
Media2010
2007 Annunario
46,5
31,1
33,8
-23,5
-28,9
-16,2
58,7
46,6
33,8
-11,3
-13,4
-16,2
60
50
70 2008
n.13,
a
Femmine 55-64 enni
Nord-est
Mezzogiorno
1
55-64
Femmine enni
Scostamenti
Lisbona 2010
7
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Fonte: ISTAT, Rcfl
Da tenere in considerazione anche l'apporto dei lavoratori stranieri, il cui peso sul totale degli occupati ha raggiunto il
6,5%. Considerando gli andamenti settoriali, le costruzioni (+2,9%) e i servizi (+1,4%) sono i due settori economici in cui
si è concentrata la crescita dell'occupazione rispetto al 2006. Riguardo la posizione nella professione, il lavoro
dipendente è aumentato dell'1,5% e quello indipendente si è ridotto dello 0,3%. Per quanto riguarda la giornata
lavorativa, gli occupati a tempo pieno sono aumentati dello 0,6% e quelli a tempo parziale del 3,6%. La riduzione del
numero delle persone in cerca di occupazione nel corso degli anni ha portato il tasso di disoccupazione ad attestarsi nel
2007 al 6,2%, valore che muta a seconda delle caratteristiche delle persone in cerca di occupazione: 7,9% per le donne
e 5% per gli uomini; 3,8% nel Nord -Est e 11% nel Mezzogiorno; oltre il 7% per coloro con basso titolo di studio (licenzia
elementare e media) e 4,4% per coloro con elevato titolo di studio (laurea, dottorato). Il tasso di disoccupazione di lunga
durata (oltre 12 mesi) si attesta sul 2,8%, anche se è più elevata se si considera la sola componente femminile. Più della
metà di coloro che cercano occupazione da più di 12 mesi hanno una precedente esperienza lavorativa: solo nel
Mezzogiorno le proporzioni tra coloro che cercano lavoro con esperienze precedenti e quelli che non hanno esperienze
tendono ad equivalersi.
2.3.1. Il mercato del lavoro in Italia durante il III trimestre 2008
Nel periodo di riferimento, il numero degli occupati è risultato pari a 23.518.000 unità, registrando un aumento su base
annua dello 0,4%. Il dato rivela un forte rallentamento rispetto al passato recente ed è in buona parte attribuibile
all'aumento della popolazione straniera. Rispetto al trimestre precedente, l'occupazione ha subito una leggera variazione
positiva (0,1%), mentre il tasso di occupazione è diminuito in termini tendenziali raggiungendo il 59%. Il numero delle
persone in cerca di occupazione è aumentata per il terzo anno consecutivo, raggiungendo la cifra di 1.527.000 (+ 9%
rispetto al III trimestre 2007). Il dato è riconducibile sia all'aumento degli ex occupati nel Nord e nel Centro, sia degli ex
attivi del Sud. Il tasso di disoccupazione è aumentato in termini tendenziali (6,1%) ed è invece leggermente
diminuito in termini congiunturali (6,7%). Si è verificata poi una crescita delle posizioni lavorative dipendenti (+1,9%)
e la riduzione di quelle indipendenti (-3,7%). Per quanto invece riguarda i diversi settori, l'industria in senso stretto ha
registrato ancora una riduzione rispetto all'anno precedente (-1%, -53.000 unità) che ha interessato soprattutto i
lavoratori autonomi, mentre un aumento ha interessato il settore delle costruzioni (+1,8%) e il terziario (+1%), in
quest'ultimo caso del lavoro dipendente.
2.3.2 Il mercato del lavoro in Emilia- Romagna
Nel corso del 2007, l' Emilia-Romagna ha superato le medie europee e gli obiettivi di Lisbona, sia per quanto riguarda il
tasso di occupazione totale (70,3%) che quello femminile (62%). Solo il tasso di occupazione dei lavoratori 55-64, pari al
38,3% è lontano di 12 punti dall'obiettivo europeo. A livello regionale, il tasso di disoccupazione non supera il 3% nel
2007, anche se un dato più attendibile è il 5-6% degli anni precedenti.
2.3.3 La provincia di Ferrara
La provincia di Ferrara è una delle province più deboli della regione per reddito e occupazione. Nel 2007 gli obiettivi di
Lisbona erano stati praticamente raggiunti, con un tasso di occupazione pari al 69,2% e un tasso di occupazione
femminile del 61,6%. Tuttavia, approfondendo il livello di analisi, il mercato del lavoro presenta alcuni segnali di
debolezza, tanto più preoccupanti quanto registrati in un periodo, il 2007, caratterizzato da un andamento economico
favorevole e in controtendenza con il posizionamento regionale. Innanzitutto, la situazione delle lavoratrici risulta
particolarmente critica: nonostante un tasso di occupazione piuttosto elevato, impiegano più tempo nella ricerca di un
lavoro (14,5 mesi rispetto ai 7,7 degli uomini) e sono occupate in larga parte nel settore dei servizi, dove più elevato è il
turn over e dove maggiore è il ricorso a contratti non standard o a termine. L'aumento degli occupati ha riguardato
principalmente i lavoratori autonomi (+22,7% nel 2007 rispetto al 2006, soprattutto nel settore terziario e nella industria)
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più che la crescita del lavoro dipendente (-0,9% nel 2007 rispetto al 2006): si nota infatti un deciso saldo positivo solo
per il settore dei servizi e, anche se in misura molto minore, per quello dell'industria/costruzioni. Le assunzioni hanno
riguardato principalmente i lavoratori a bassa scolarizzazione (per i quali, se uomini, anche il periodo di disoccupazione
è inferiore), mentre i lavoratori con livelli di istruzione medio-alti faticano maggiormente a trovare lavoro nel territorio
provinciale. Il tessuto produttivo è tendenzialmente costituito da imprese piccole e a bassa produttività, il che potrebbe in
qualche modo spiegare gli squilibri suddetti caratterizzanti il mercato del lavoro, come conferma la mancata creazione di
posti di lavoro con contratti da dipendenti nel 2007 (nonostante la congiuntura favorevole) e quindi la sostanziale
immobilità delle dimensioni medie delle imprese. Sulla base dei dati della camera di Commercio di Ferrara, la maggior
parte delle imprese attive (81,9%, pari a 28.962 imprese) si concentra nella fascia con 1-2 addetti e, in misura minore
(14%, pari a 4976 imprese), nella fascia 3-9 addetti. I settori che occupano più addetti sono l'agricoltura/pesca e il
settore terziario con il commercio, che corrispondono anche ai settori in cui minori sono le dimensioni aziendali. In
questo quadro si inseriscono le possibili conseguenze della crisi economica sulla situazione occupazionale della
Provincia, che, come abbiamo visto, anche in occasione di trend economici favorevoli mostra alcuni segni di debolezza,
soprattutto in ragione delle caratteristiche del sistema di ammortizzatori sociali.
Tab. 2 - Numero imprese attive con addetti per settore e classe di addetti, Provincia Ferrara 2007
1-2
addetti
3-9
addetti
10-19 20-49 50-99
addetti addetti addetti
100-249
addetti
P iù di
Totale
250
Agricoltura e pesca
96,5
3,1
0,2
0,1
0
0
0
100
Industria
57,7
26,6
9,3
4,5
1
0,6
0,2
100
Costruzioni
81,9
15,3
2,4
0,4
0
0
0
100
Commercio
81,5
15,4
1,9
0,8
0,3
0,1
0
100
100
Terziario
77
18,7
2,6
0,9
0,4
0,2
0,1
Totale
81,9
14,1
2,5
1
0,3
0,1
0,1
100
Totale
28962
4976
886
355
102
50
23
35354
Fonte: SMAIL, Camera commercio di Ferrara
2.3.4 I dati più recenti sul mercato del lavoro a Ferrara
Analizzando i dati del Centro per l'Impiego della Provincia di Ferrara al 30/06/2008 relativi alle caratteristiche delle
persone in cerca di occupazione, si riscontra che il 62% di essi è donna. Di queste, circa il 47% ha più di 40 anni e il
65% è disoccupata da più di 2 anni. Tra gli uomini, circa il 50% ha più di 40 anni e il 57% circa cerca lavoro da più di 2
anni. Sul totale, oltre il 62% è disoccupato da più di 24 mesi, il 13% da 6 mesi, il 9,4% da 7 a 12 mesi, l'8,2% da 13 a 18
mesi e il 7,2% da 19 a 24 mesi. Ciò sta ad indicare che coloro che non trovano subito una nuova occupazione,
specialmente se over 40, tendono a restare disoccupati. La conferma viene dai dati relativi all'anzianità di iscrizione (dati
al 31/12/2008): il 57% è iscritto da oltre 2 anni (al 31/12 dell'anno precedente erano il 60%) , mentre il 17,5% è iscritto
fino a 6 mesi (13,8% nel 2007). Per quanto riguarda il titolo di studio (dati al 31/12/2008), la maggior parte dei
disoccupati ha la licenza media (38%) o un diploma di istruzione secondaria (23%). Preoccupante è anche l'aumento, il
più alto della regione, delle ore di cassa integrazione autorizzate in Provincia di Ferrara, che nel 2008 sono aumentate
rispetto all'anno precedente del 308% (+285% CIGO; +340% CIGS).
3. Le spese nazionali per le politiche del lavoro
I dati più recenti forniti dal Ministero del Lavoro (Segretariato Generale- Div. V) relativamente alle spese sostenute per le
politiche del lavoro2 risalgono al 2006 (Rapporto di Monitoraggio delle politiche occupazionali e del lavoro- settembre
2 La classificazione utilizzata corrisponde a quella EUROSTAT di LMP (Labour Market Policies- database methodology- June
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2008) e sono confrontabili con i dati Eurostat disponibili per gli altri Paesi europei. Vedi anche tabella 11, Allegato I.
Fig. 1 - % PIL per le politiche del lavoro, in alcuni paesi Europei
2,972
1,923
2,158
2,002
2,318
2,277
1,843
1,271
1,080
0,425
EU 27
0,664
Italia
EU15
Germania
Spagna
Francia
Port ogallo Romania Slovenia
0,601
Svezia
Norvegia
Regno Unito
Fonte: Eurostat
Nel 2006 nell'Europa dei 27 circa il 2% del PIL è stato speso per le politiche del lavoro. Della spesa totale, il 57% è stato
speso per le indennità di disoccupazione, più del 26% sulle misure di politica attiva del lavoro e l'11% per i servizi
occupazionali per i disoccupati. Nello stesso anno, in Italia, la percentuale di PIL destinata alle politiche occupazionali e
del lavoro è stata pari a circa l'1,3% del PIL, di cui il 62,4% per le indennità (LMP support), il 35,1% per le misure di
politica attiva e solo il 2,5% per i servizi occupazionali. Confrontando i dati italiani alla media europea si riscontrano
minori investimenti nelle politiche del lavoro e una maggiore concentrazione di risorse destinate a supporti occupazionali
passivi, piuttosto che a servizi e a politiche di sostegno attivo.
3.1 Le politiche attive del lavoro
Nel 2006 (tabella13, Allegato I) la spesa complessiva per le politiche del lavoro ha raggiunto quota 16,4 miliardi di euro,
circa il 3% in meno rispetto al 2005. Tale riduzione è dovuta in particolare alla diminuzione della quota di spesa ad esse
destinata (incentivi compresi), diminuita da 6,9 a 6,4 miliardi di euro, e dell'aumento della spesa per le misure di
sostegno al reddito (+ 1,5% circa). Ciò può essere in parte spiegato dalle caratteristiche assunte dal mercato del lavoro,
soprattutto a partire dal 2003-4, in corrispondenza con l'entrata in vigore del dlgs 276/03 e al conseguente aumento del
turn over occupazionale e della diffusione di rapporti di lavoro non standard. In particolare, dal 2003 è stata registrata la
riduzione della spesa in formazione professionale, dei contratti a causa mista (ad esempio l’apprendistato), degli
incentivi alle assunzioni e della spesa per la creazione diretta di posti di lavoro. Rimangono costanti gli sgravi a carattere
territoriale (0,2% del totale) e gli incentivi al mantenimento dell'occupazione, alla stabilizzazione dei posti di lavoro
(3,7%) e all'autoimpiego (circa 4%). Nel 2006 (tabella 14, Allegato I), circa il 64% riceveva benefici legati alle politiche
attive (di questi il 44,8% ai contratti di causa mista e il 31,3% agli incentivi per assunzioni a tempo determinato). Dal
2001 al 2006, mentre sono aumentati del 10,7% i beneficiari delle misure occupazionali passive, i beneficiari di politiche
attive si sono ridotti del 52,4%. Ciò può essere attribuito a vari fattori, tra cui: riduzione dei lavoratori socialmente utili
(classificati come creazione diretta di posti di lavoro all'interno delle politiche attive, nonostante lo scopo primario sia il
sostegno del reddito); riduzione degli strumenti di incentivazione alle assunzioni, sia sotto forma di sgravi territoriali che
di ridimensionamento degli sgravi annuali e triennali previsti per il Mezzogiorno; riduzione nel 2004-5 delle risorse
destinate a sostenere il c.d “bonus occupazione”3. Per i lavoratori anziani il riferimento per i contratti a causa mista è
2006, European Commission): “Interventi pubblici nel mercato del lavoro diretti a raggiungerne l'efficienza e correggerne le
disfuzionalità. Tali interventi si distinguono dagli altri interventi generali di politica occupazionale essendo nello specifico diretti a
favorire particolari gruppi nel mercato del lavoro”. In particolare si distinguono: LMP services ( riferiti agli interventi
occupazionali e del lavoro che prevedono soprattutto attività dirette alla ricerca del lavoro ma non nel caso di transizioni
lavorative); LMP measures (riferite agli interventi diretti non alla ricerca del lavoro, quanto piuttosto al cambiamento dello status
occupazionale: transizioni lavorative); LMP supports (interventi che forniscono assistenza finanziaria, direttamente o
indirettamente, ai singoli individui per ragioni legate al mercato del lavoro o che conpensano i singoli nei confronti di svantaggi
legati alle esperienze occupazionali).
3 l.338/2000 art. 7; l.289/2003 art 63; art. 7 l. 388/2000; art. 3 legge finanziaria 2002.
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quello dei contratti di inserimento lavorativo4, aumentati tra il 2005 e il 2006 e diretti a categorie di lavoratori
svantaggiate: soggetti in età compresa tra i 18 e 29 anni; persone affette da handicap, lavoratori over 50, lavoratori che
rientrano nel mercato del lavoro dopo 2 anni di assenza, donne, disoccupati di lunga durata.
3.2 Le politiche passive del lavoro
Le spese relative alle politiche passive e di sostegno al reddito sono in costante crescita. In particolare, dal 2001 (tabella
15, Allegato I) sono aumentate del 27% circa, e rispetto al 2005 sono incrementate dell'1,5%. Il dato è da imputarsi
principalmente alla crescita, sia nel breve che nel lungo periodo, delle spese legate alla CIGS, alla indennità di
disoccupazione ordinaria e dei contratti di solidarietà difensivi. Buona parte delle spese di sostegno al reddito si
concentra su 3 linee di intervento: indennità di disoccupazione non agricola ordinaria (28,6% della spesa totale),
disoccupazione non agricola a requisiti ridotti (16,7%) e indennità di mobilità (16%). Le spese per la CIGS
rappresentano il 9,3% e quelle destinate alla CIGO il 6,5%. L'aumento delle indennità di disoccupazione può essere
imputabile, in particolare, alla crescita di modalità di lavoro temporaneo e quindi al progessivo aumento del numero di
coloro che hanno maturato i requisiti per beneficiarne). Nel periodo 2004-2005 (tabella 16- Allegato I), il numero di
beneficiari è aumentato notevolmente, per poi rallentare nel corso del 2006. Data la riduzione del tasso di disoccupati
rilevata dall'ISTAT, si può imputare la crescita dei beneficiari all'aumento del turn over o all'ammontare più consistente
delle indennità stesse.
4. Le politiche formative
Sulla base dei dati relativi alla percentuale di PIL destinata alle politiche attive del lavoro e dall'analisi della composizione
di queste ultime, si nota il progressivo calo, a partire dal 2003, della spesa e dei beneficiari delle misure di formazione
professionale. Questo nonostante la formazione sia indicata, sia nel dibattito europeo che internazionale, come fattore
dirimente di sviluppo economico e sociale, in particolare nei periodi di crisi, in prospettiva anticiclica e di lungo periodo,
in quanto base per la creazione di una forza lavoro adattabile, qualificata ed innovatrice.
4.1 Gli individui
L’Italia, nei confronti della formazione continua, ricopre gli ultimi posti della classifica europea, con un tasso, pari al
6,1%, molto inferiore agli obiettivi europei (12,5%). Il 41,7% degli adulti occupati e non ha effettuato almeno un corso di
formazione nel 2006, con una partecipazione degli anziani pari alla metà rispetto a quella dei giovani. Il numero di
lavoratori impegnato in almeno un'attività formativa è stato pari al 54,6%: in particolare, il 4,1% ha frequentato corsi di
studio, il 26,1% ha seguito corsi di formazione e, dato piuttosto rilevante, il 46,7% si è formato in modalità informale. La
partecipazione ad attività formative è maggiore per gli uomini (44,1%) che per le donne (39,5%). Al crescere dell’età il
livello di partecipazione diminuisce rapidamente: superiore al 50% nella popolazione fino ai 44 anni, scende al 37,6% tra
le persone dai 55 ai 59 anni, al 28,1% tra le persone di 60-64 anni e solo al 14,3% tra gli ultrasessantacinquenni. Anche
il livello sociale influenza la partecipazione: gli studenti hanno ovviamente il tasso di partecipazione più elevata (91,8%),
seguono gli occupati con il 54,6% dei casi e, infine, le persone in cerca di prima occupazione (49%). Molto bassi i tassi
di partecipazione tra le casalinghe (23,5%) e tra i ritirati dal lavoro (19,2%).
4.2 Le imprese
La media italiana di imprese che hanno erogato formazione ai propri dipendenti nel 2005 è poco più della metà di quella
europea posiziona il Paese al terz'ultimo posto in Europa. Le imprese italiane non reggono il confronto rispetto a quelle
inglesi, tedesche e francese, avvicinandosi piuttosto ai comportamenti e alle performance dei paesi nuovi membri.
L'erogazione della formazione è influenzata dalla dimensione aziendale, per cui si limita al 25% per le imprese piccole
(10-19 addetti) e raggiunge quota 96% nelle imprese con più di 1000 addetti. La composizione del sistema produttivo
italiano, caratterizzato da una maggioranza di piccole e medie imprese, spiega, almeno in parte, i dati riportati.
Considerando invece altri indicatori, le imprese italiane si avvicinano alle medie europee: il 29% ha partecipato ai corsi
4 Introdotti dalla l.30/03 e successivo d.lgs 276/03.
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(33% in Europa). Tuttavia, rimangono forti i divari di genere, di età e di settore nell'accesso ai corsi di formazione: il
29,4% degli uomini contro il 27,5% delle donne; il 29,8% degli addetti con 25-54 anni contro il 22,4% degli over 55; il
34,5% degli addetti nel settore dei servizi contro il 23,5% nell'industria e il 18,6% nelle costruzioni. Un altro indicatore
che avvicina l'Italia alla media europea riguarda la durata dei corsi di formazione: su un totale di 64 milioni di ore di
formazione, ogni partecipante ha fruito in media 25,5 ore di formazione (27 ore EU), ossia appena 3 giorni in un anno.
Anche in questo caso le donne frequentano meno ore rispetto agli uomini.
4.3 I Fondi Paritetici Interprofessionali per la Formazione Continua
Sono organismi di natura associativa promossi dalle Parti Sociali attraverso specifici accordi interconfederali stipulati
dalle organizzazioni più rappresentative a livello nazionale. Possono essere istituiti per ogni settore economico della
industria, agricoltura, terziario e artigianato. Con l'istituzione dei primi Fondi, si realizza quanto previsto dalla legge
388/2000 che consente alle imprese di destinare la quota dello 0,3% dei contributi versati all'INPS (il c.d Contributo
obbligatorio per la disoccupazione involontaria ) alla formazione dei propri dipendenti. I datori di lavoro possono infatti
chiedere all'INPS di trasferire il contributo ad uno dei fondi che provvederà a finanziare attività formative per i lavoratori
delle imprese aderenti. Questa legislazione è stata approvata dopo molti anni di richieste dei sindacati sull’esempio della
legge francese che li ha istituiti negli anni ’80. Nonostante le imprese italiane eroghino formazione a livelli inferiori
rispetto alla media europea, la domanda potenziale è in crescita, soprattutto in merito ai Fondi Paritetici
Interprofessionali, ai quali aderiscono il 40% circa delle imprese private italiane e il 59% dei lavoratori. Tuttavia, si nota
che circa un quinto delle imprese italiane aderenti ai fondi poi non ha svolto corsi di formazione, il che è indicativo della
difficoltà delle imprese nella creazione di percorsi ricorrenti e strutturati di apprendimento permanente. La finalità
prevalente indicata nei piani formativi approvati è quella relativa alla Competitività di impresa/Innovazione. Notevole
importanza assumono anche la Competitività di tipo settoriale, e il Mantenimento/aggiornamento delle competenze.
Relativamente poco presenti le finalità di tipo “difensivo”: si tratta di un elemento senz’altro positivo, anche se legato a
Piani formativi del primo semestre 2008 (quindi in un periodo ante – crisi) e concentrati, come accennato,nel settore
terziario e dei servizi5. Emerge inoltre che i Piani in cui viene dichiarata la finalità Mantenimento occupazionale
assorbono relativamente più risorse rispetto alla loro incidenza numerica, mentre i Piani indirizzati al
Mantenimento/aggiornamento delle competenze ne assorbono meno perché, con ogni probabilità, realizzati attraverso la
modalità individuale (voucher), solitamente meno costosa6.
4.4 La L. 236/93. Interventi urgenti a sostegno della occupazione
La legge 236/93 stabilisce che il Ministero del Lavoro, con l'apporto delle Parti Sociali, d'intesa con le Regioni possa
finanziare interventi di formazione continua di aggiornamento e riqualificazione per diverse tipologie di lavoratori:
operatori e formatori dipendenti degli enti nazionali di formazione, lavoratori dipendenti da aziende in CIG, lavoratori
dipendenti da aziende che contribuiscono in misura non inferiore al 20% del costo delle attività, lavoratori in mobilità,
disoccupati che hanno partecipato ad attività socialmente utili. Il maggiore assorbimento di risorse è potenziato anche
dal processo di integrazione delle attività formative tra i diversi soggetti che agiscono sul territorio, soprattutto a seguito
della firma dell'Accordo tripartito tra Ministero del Lavoro e Regioni e parti sociali7. Nella distribuzione per classe
dimensionale appare particolarmente elevata la percentuale di imprese di piccole dimensioni coinvolte nelle attività
formative, mentre è molto bassa la percentuale di medie e grandi imprese che utilizzano i Fondi della L.236/93 per
realizzare attività formative. La partecipazione dei lavoratori formati è del 64% per le classi di età comprese tra i 25 e i
45 anni mentre la percentuale degli over 45 non raggiunge il 19%. Anche la percentuale degli addetti con meno di 25
anni (17%) è piuttosto bassa.
5 Rapporto ISFOL 2008 sulla formazione continua.
6 Ibidem, cfr. pag.97.
7 Accordo sulla formazione continua tra Ministero del Lavoro, Regioni/Province Autonome e Parti sociali 17 aprile 2007L'accordo richiama a una
logica di programmazione unitaria l'insieme degli interventi di formazione continua, attraverso l'utilizzo mirato a livello di ciascuna Regione, dei
diversi strumenti finanziari disponibili (FSE, Leggi 236/93 e 53/2000 e Fondi interprofessionali), in coerenza con le politiche di sviluppo
concertate tra Regione e parti sociali. Richiama la necessità di costruire un sistema di certificazione delle competenze concordato a livello
nazionale. L'Accordo sollecita il decentramento a livello regionale nei Fondi Interprofessionali.
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4.5 Progetti e programmi di incentivazione al (re) inserimento lavorativo
Il Ministero del Lavoro realizza e finanzia progetti finalizzati alla ricollocazione nel mercato del lavoro per alcune tipologie
di lavoratori in condizioni svantaggio8. I programmi devono prevedere azioni sperimentali di supporto attivo da affincare
alla ergazione degli ammortizzatori sociali. Gli interventi vengono attuati in sinergia tra regioni, enti locali, servizi pubblici
e privati per il lavoro, sindacati, imprese, lavoratori. Ad esempio, il Programma Azioni per il Re-Impiego di lavoratori
svantaggiati (PARI) del 2007 è stato destinato a 2 macro-categorie di lavoratori: a) lavoratori percettori di ammortizzatori
sociali o altri sussidi legati alla inoccupazione b) particolari categorie di lavoratori (giovani, donne, over50) percettori o
meno di ammortizzatori sociali o altri sussidi.
4.6 La formazione continua
4.6.1 Il Fondo Sociale Europeo
L'Italia ha destinato 1.870 milioni di euro alla formazione continua all'interno della programmazione FSE 2000-2006
(protratta fino a giugno 2008), di cui il 75% nelle regioni del Centro-Nord e il restante nelle regioni del Sud. Nel 2007, le
spese ammontano a 365 milioni, di cui il 60% nelle Regioni del Centro-Nord e il 40% in quelle del Sud. Del totale, oltre il
70% è stato utilizzato per la formazione continua di occupati nelle imprese private, il 27% per gli occupati nelle PA e il
restante nelle regioni del Mezzogiorno rientranti nell'Obiettivo1. Degli oltre 1,6 milioni di occupati coinvolti in attività di
formazione continua tra il 2000 e il 2007, l' 81% apparteneva al settore privato. La concentrazione maggiore è dei
lavoratori con 35-44 anni (31,8%) e il gruppo 30-34 (22,3%), mentre il gruppo over45, che pur rappresenta uno dei target
formativi nelle indicazioni europee, presenta un livello di partecipazione alla formazione continua tra i più bassi: 12,3%
per coloro con età 45-49 e 8,1% over 50.
4.6.2 La formazione continua e la contrattazione collettiva
Il tema della formazione continua rientra solo in modo generico e marginale all'interno della contrattazione nazionale,
tanto che, nel documento “Linee guida sulla riforma della struttura della contrattazione”del 10/10/2008 (non sottoscritto
dalla Cgil), gli aspetti relativi alla formazione continua non sono esplicitamente trattati. Il documento si occupa più in
generale del tema dei servizi ai lavoratori, la cui formazione è affidata a fondi paritetici bilaterali e demandata alla
contrattazione di categoria. I rinnovi contrattuali del 2008 contengono alcune disposizioni relative alla promozione della
formazione continua, generalmente rivolte a: potenziare il ruolo degli enti bilaterali nella analisi dei fabbisogni
professionali e formativi; introduzione di monte ore per usufruire della formazione; inserimento di criteri per la
valutazione delle competenze e attività legate alla presenza di lavoratori stranieri. Non sono previste invece attività
specificamente rivolte a coloro che usufruiscono di indennità legate alla cassa integrazione o che rischiano la perdita del
posto di lavoro.
Le misure formative specificamente rivolte agli lavoratori “anziani”. Rispetto agli altri paesi europei, come vedremo nella
parte del rapporto relativa alla situazione occupazionale, la partecipazione al mercato del lavoro degli over 45 -50 è
molto inferiore sia alla media europea ,che agli obiettivi di Lisbona, seppur con differenze a livello regionale. I corsi di
formazione con finalità legate al lavoro sono prevalenti per la fascia 45-55 mentre decresce nella fascia successiva, per
lo più legati a formazione obbligatoria o aggiornamento. Risulta difficile indagare le attività integrate messe in atto
all'interno dell'area di intervento pubblico ( Regioni, Province autonome e fondi inteprofessionali) dirette a questa fascia
di lavoratori poiché, nella maggior parte dei casi, si tratta di progetti ad hoc o buone pratiche isolate. Per quanto
riguarda i dati dei tre Fondi Interprofessionali principali - Fondimpresa, For. Te e Fon.coop -, su un totale di circa 300
mila lavoratori fino al 2007 gli over 45 rappresentano circa un quarto del totale. Anche i Fondi pubblici messi a
disposizione da Regioni e Province (soprattutto attraverso la legge 236/93) destinano risorse in modo non dissimile,
nonostante il Ministero del Lavoro abbia indicato, negli ultimi anni, la categorie over45 tra i target prioritari.
8 I progetti sono finanziati con stanziamenti dal fondo per l'occupazione e con l'assistenza di Italia Lavoro Spa in base all'art. 30 della legge
448/2001.
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5. Breve panoramica sul sistema degli ammortizzatori sociali in Italia
5.1 La situazione italiana
A differenza degli altri paesi europei, le cui misure di tutela ai lavoratori sono quasi totalmente concentrate in interventi
(attivi e passivi) di sostegno dopo che questi hanno perso il lavoro, ruotando cioè prevalentemente attorno alle
indennità di disoccupazione, il sistema italiano dedica la maggior parte delle risorse alla Cassa Integrazione, una
forma di sostegno al reddito indirizzata a coloro che hanno ancora un lavoro, ma che rischiano di perderlo. Il problema è
che la CIG c’é solo nelle imprese con più di 15 addetti nell’industria e più di 200 nel commercio e nell’edilizia. Altra
particolarità del sistema italiano è quella relativa alla differenze di trattamento dell'erogazione delle indennità, operata a
seconda di discriminanti quali: anzianità contributiva, età, zona geografica, settore economico, dimensione della impresa
e ragione di perdita del lavoro. In sostanza si stima che la metà degli occupati (piccole imprese) è esclusa da queste
misure e percepisce solo l’indennità di disoccupazione.
5.2 La Cassa Integrazione guadagni (CIG)
La Cig si finanzia con un contributo a carico delle imprese e dei lavoratori che viene versato all’INPS (Istituto Nazionale
di Previdenza Sociale). L'ammortizzatore interviene in casi di riduzione dell'orario e consente di erogare l'80% della
retribuzione globale spettante per le ore non lavorate (da 0 a 40) e non può superare un tetto massimo fissato per legge
(858,58 euro nel 2008, con alcune eccezioni). Esistono due tipologie di CIG:
- CIG Ordinaria: possono usufruirne le imprese del settore industriale, indipendentemente dal numero di lavoratori
occupati, più altre tipologie (ad es. cooperative agricole, cooperative con attività industriale, aziende installazione
impianti, costruzioni edili etc). Viene erogata ad operai, impiegati e quadri con contratto a tempo indeterminato che siano
stati sospesi o cha lavorano con orario ridotto a causa di eventi transitori non imputabili alla impresa, ai lavoratori o a
temporanee situazioni di mercato. Per richiederla, l'imprenditore consulta le organizzazioni sindacali per informarle sulle
cause della sospensione e sul numero di lavoratori interessati, a cui può seguire un esame congiunto. La durata è di 13
settimane continuative, anche se in casi eccezionali può essere prorogata di 3 mesi in 3 mesi fino ad un massimo ai 12
mesi.
- CIG straordinaria (CIGS): possono usufruirne le imprese industriali (comprese quelle edili) con più di 15 dipendenti, le
aziende editrici, appaltatrici di servizi di mensa di imprese industriali, artigiane che dipendono da imprese committenti in
cigs settore ausiliario del servizio ferroviario con più di 15 addetti9,imprese commerciali con più di 200 addetti. In realtà,
sono ammesse anche imprese che non rispettano queste caratteristiche (c.d ammortizzatori in deroga)10. Infatti, a
richiesta pervenuta, il Ministero del Lavoro può concedere cigs e mobilità attraverso finanziamenti ad hoc. Inoltre,dal
1/01/2005 il Ministero può concedere la CIGS per 24 mesi in caso di crisi occupazionali, di ristrutturazione aziendale,
riduzione o trasferimento di attività. Viene erogata a operai, impiegati e quadri a tempo indeterminato, assunti da almeno
90 giorni la cui attività è stata sospesa o ridotta a causa di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione aziendale o
crisi. I criteri in base ai quali i lavoratori vengono posti in cigs sono definiti assieme alle organizzazioni sindacali, così
come le modalità di rotazione. Il programma aziendale (riconversione, ristrutturazione etc) non può essere superiore ai
2 anni11, mentre per la crisi aziendale non si può andare oltre 1 anno12. Per ogni unità produttiva il ciclo di integrazione
salariale (compresa CIG Ordinaria) non può superare 3 anni su 5, salvo specifiche disposizione normative. Secondo le
normative vigenti, il lavoratore in CIGS decade dal trattamento se rifiuta di frequentare un corso di formazione
professionale, o non lo frequenta in modo regolare, entro 50 km dalla residenza o comunque raggiungibile in 80 minuti
9 Esistono, al livello normativo, specifiche caratteristiche che le aziende elencate devono possedere, oltre alla discriminante della dimensione
occupazionale. A titolo di esempio, le imprese artigiane con più di 15 dipendenti possono accedere alla cigs solo se devono sospendere i lavori
a causa della contrazione dell'attività dell'impresa committente in cigs e a condizione che quest'ultima costituisca il maggior committente (50%
del fatturato del biennio precedente).
10 In base al decreto recentemente apporvato (19 febbraio 2009), ad esempio, l’ammontare delle risorse assegnate e ripartite in via provvisoria
sulla scorta del decreto legge anti-crisi, varato nel novembre 2008 e convertito in legge a fine gennaio 2009, è pari a 151 milioni di euro.
11 Salvo la concessione di 2 proroghe di 12 mesi l'una per programmi particolarmente complessi.
12 Nei casi di cessazione dell'attività è possibile aggiungere ulteriori 12 mesi.
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coi mezzi pubblici.
5.3 Il ricorso alla CIG in Italia e Provincia di Ferrara
Il ricorso alla CIG ha registrato, nei primi mesi del 2009, un forte incremento. I settori che maggiormente hanno richiesto
l'intervento della cassa integrazione sono, in provincia di Ferrara, il metalmeccanico e tessile per l'abbigliamento.
Rispetto al 2008, le ore di CIG sono cresciute in totale del 308%, per circa 1,4 milioni di ore. Negli ultimi 3 mesi
(dicembre 08-febbraio 09), le ore nell’industria sono state 6,3 per occupato, pari alla media nazionale.
5.4 La mobilità13.
La mobilità è applicabile nel momento in cui si verificano dei licenziamenti collettivi, nella maggior parte dei casi in
situazione di CIGS, a seguito della verificato impossibilità di reintegro dei lavoratori sospesi. L'iscrizione alle liste di
mobilità prevede agevolazioni all'assunzione e, solo per alcuni lavoratori, l'erogazione di una indennità. L'indennità di
mobilità è pari alla misura del trattamento straordinario d'integrazione salariale (80% retribuzione) mentre per i periodi
successivi scende al 64% della retribuzione e poi ancora a scalare. Possono richiederla le imprese che rientrano, anche
in modo transitorio, nella sfera di applicabilità della CIGS. Sono ammesse inoltre imprese con più di 15 dipendenti,
indipendentemente dal settore, che intendano licenziare almeno 5 lavoratori in 120 giorni come conseguenza di
riduzione o trasformazione di attività o cessazione della stessa. L'individuazione dei lavoratori da porre in mobilità tiene
conto sia delle ragioni tecnico-produttive sia dei criteri previsti dai contratti collettivi. Laddove questi non sono previsti, i
criteri da considerare sono: carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive e organizzative, percentuale di
personale invalido e femminile. L'erogazione della indennità che non è sempre prevista, è di competenza dell'INPS.
L'indennità di mobilità ha durata differenziata a seconda dell'età del lavoratore e della provenienza geografica: lavoratori
che hanno meno di 40 anni: 1 anno; oltre 40 anni: 2 anni; oltre 50 anni: 3 anni. Nel Mezzogiorno la durata è da
aumentare sempre di 1 anno (quindi minimo 1 anno e massimo 4). I periodi di indennità sono conteggiati ai fini
pensionistici.
5.5 Il ricorso alla Mobilità in Italia, Emilia Romagna e provincia di Ferrara
Tra i lavoratori che rientrano nelle liste di mobilità, coloro che, grazie a particolari requisiti, hanno ottenuto una indennità
sono diminuiti in modo consistente nel corso degli anni. In particolare, in Italia, nel 2007, il numero di beneficiari è
diminuito del 14% rispetto al 2003 e del 6% rispetto al 2006. Le riduzioni più consistenti hanno riguardato i lavoratori,
piuttosto che le lavoratrici. La percentuale di over40 sul totale dei beneficiari di indennità di mobilità è piuttosto elevata e
pari, nel 2007, all'80%. La riduzione del numero dei beneficiari della mobilità in Italia si conferma anche nella Regione
Emilia-Romagna: -4,4% nel periodo 2007-3 e -8,2% nel biennio 2007-6. Tra coloro che ricevono indennità di mobilità, più
dell'80% hanno una età compresa tra 40 e 60 anni. Anche il numero di over40 beneficiari di indennità si è ridotto: -4,8%
2007-3; - 6,6% 2007-6. Tuttavia, a partire dagli ultimi mesi del 2008 le persone iscritte alle liste di Mobilità sono state
16.113, evidenziando un aumento del 29,1% rispetto al 2007 e invertendo quindi la tendenza alla riduzione verificatisi
nel periodo precedente. Stessa tendenza si registra nella Provincia di Ferrara, dove in termini di incidenza sul totale è
maggiore il numero degli over40 sui percettori di indennità (al di sopra dell'88%).
5.6 I contratti di solidarietà difensivi ed espansivi14.
I contratti di solidarietà difensivi disciplinano la riduzione dell'orario di lavoro per evitare licenziamenti, ripartendo su una
più amplia platea di lavoratori le conseguenze dell'eccedenza di manodopera. Tale tipo di intervento è mitigato da
agevolazioni e benefici erogati dallo Stato. Per le imprese che rientrano in CIGS, i lavoratori che lavorano con orario
ridotto ricevono una integrazione salariale pari al 60% dello stipendio. Tale integrazione può avere durata massima di 2
anni prorogabile per altri 2 (3 al Sud). Le imprese in CIGS che attuano contratti di solidarietà difensivi usufruiscono di
sgravi contributivi in misura proporzionale alla riduzione dell'orario. Per le imprese che non rientrano in CIGS, invece,
13 Art. 4 e successivi legge 223/91.
14
Legge 863/84 (art.1 e2) e successive modifiche (art.5 legge 236/93 e art.4 legge 608/96) disciplinano due differenti tipologie di contratti
di solidarietà: quelli difensivi e quelli espansivi. Questi ultimi riguardano procedimenti di riduzione stabile dell'orario di lavoro con constestuale
assunzione di lavoratori a tempo indeterminato, tramite agevolazioni statali.
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viene erogato un contributo ripartito a metà tra lavoratori e impresa, e al lavoratore spetta un importo pari al 25% della
retribuzione persa. La durata massima del trattamento è di 1 anno, ma le imprese possono usufrirne più volte fino ad un
massimo di 3 anni su 5. Stando alle disposizioni normative15, le imprese che possono usufruire di tale trattamento sono
quelle che occupano più di 15 dipendenti e che intendono effettuare almeno 5 licenziamenti. Tuttavia, alcune norme ne
hanno esteso l'applicazione anche ad altre tipologie.
5.7 I Lavori Socialmente Utili
Gli LSU sono nati con l'intenzione di unire servizi di pubblica utilità, misure di sostegno al reddito e forme di
riaccostamento al lavoro. Si tratta di attività svolte da disoccupati presso amministrazioni pubbliche, dapprima rivolti solo
a cassaintegrati e mobilitati in scadenza, poi estesi anche a giovani disoccupati. Essendo divenuti percorsi privi di
sbocco occupazionale, dal 1999 sono stati bloccati ulteriori avviamenti, se non per chi era in mobilità e in CIGS, sostituiti
dallo stanziamento di incentivi alla ricollocazione. L'utilizzo di un LSU non comporta l'assunzione e l'impegno settimanale
è proporzionale al trattamento ricevuto (comunque non meno di 20 ore). Sono programmi in via di esaurimento.
5.8 L'indennità ordinaria di disoccupazione
Questa misura di sostegno al reddito, a differenza delle altre che sono rivolte a lavoratori ancora occupati, è rivolta a
coloro che non hanno una occupazione e che hanno perso il lavoro involontariamente o a seguito di cessazione del un
contratto. Per ricevere l'indennità il lavoratore deve avere 2 anni di anzianità assicurativa e 1 anno di contributi versati
nel biennio precedente la cessazione del rapporto di lavoro. Per richiedere l'indennità, a differenza della lista di mobilità
cui il lavoratore viene iscritto automaticamente, il lavoratore deve presentare richiesta al Centro per l'impiego entro circa
2 mesi dalla fine del rapporto di lavoro. L'indennità è calcolata sulla base della retribuzione media degli ultimi 3 mesi ed
è erogata in base all'età del lavoratore. In particolare, i lavoratori con meno di 50 anni ricevono per i primi 6 mesi il 60%,
per i restanti 2 il 50%. I lavoratori over50, invece, ricevono per i primi 6 mesi il 60%, il 7-8 mese il 50% e nei mesi
successivi, fino ad arrivare a 12, il 40%. Tutti i settori che non soddisfano i requisiti per la disoccupazione ordinaria
possono usufruire di quella a requisiti ridotti, pari a circa il 35% della retribuzione media per i primi 4 mesi e al 40% per i
giorni successivi, determinati in base al numero di giornate lavorate e di trattamento ricevuto, fino ad un massimo di 180
giorni. Anche in questo caso il lavoratore deve farne richiesta al CPI. Una legge del 2005 16 ha introdotto la possibilità di
erogazione della disoccupazione ordinaria, entro certi limiti di spesa pubblica, anche per coloro che sono stati sospesi
(ma non licenziati) a causa di eventi transitori che influiscono sulla situazione della azienda, purché in possesso dei
requisiti contributivi necessari.
5.9 Il ricorso alla Indennità di disoccupazione In Italia, RER e Provincia di Ferrara
A livello nazionale, stando ai dati INPS, nel 2007 i percettori di indennità di disoccupazione erano 401.615 mentre nel
2003 erano 269.348, con un aumento del 32,9% e del 10% circa rispetto al 2006. Gli over 40 rappresentano nel 2007 il
44,2% del totale. In Emilia- Romagna, dal 2003 il numero di beneficiari di indennità di disoccupazione ordinaria non
agricola è cresciuto del 38,7% (+13,2% rispetto al 2006). È progressivamente aumentato anche il numero medio di
giorni di durata della erogazione dal circa 116 nel 2003 a 128 nel 2007. I disoccupati over40 rappresentano poco meno
della metà dei beneficiari (46,3% nel 2007), ma le variazioni nel corso degli anni sono più consistenti rispetto alla totalità.
In provincia di Ferrara nel 2007 si è registrata una crescita del totale dei beneficiari del 39,4% rispetto al 2003 e del
14,9% rispetto al 2006. Il numero medio dei giorni di percezione dell'indennità sono aumentati, ma si mantengono al di
sotto delle medie regionali: 3,9 mesi nella provincia di Ferrara, rispetto ai 4,3 mesi come media emiliano-romagnola. Le
percentuali degli over 40 in provincia di Ferrara rispetto al totale sono simili a quelle regionali, ma presentano variazioni
maggiori nel corso degli anni.
5.10 Prepensionamento
Nel considerare le modalità utilizzate nella gestione della manodopera in esubero, è importante considerare anche il
15 Art. 24 legge 223/91
16 Art. 13, c.7, 8 legge 80/2005.
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pensionamento anticipato, diretto ai lavoratori più anziani. Tale provvedimento, cui si ricorreva molto spesso in passato,
ha subìto nel corso del tempo un forte ridimensionamento, anche a causa delle difficile sostenibilità finanziaria a livello
nazionale e delle politiche di innalzamento dell'età pensionabile. E’ una misura in via di esaurimento.
5.11 Incentivi all'occupazione.
Esistono diverse tipologie di benefici volti a favorire l'occupazione, sia dipendente che autonoma, legati alle forme di
sostegno all'occupazione appena elencate. Gli incentivi sono fruibili dai datori di lavoro qualora assumano lavoratori
disoccupati di lungo periodo iscritti al collocamento e cassaintegrati (cigs) o con contrato a tempo indeterminato (pieno o
parziale), oppure lavoratori iscritti alle liste di mobilità con contratto a tempo indeterminato o determinato. In entrambe i
casi, se il lavoratore ha più di 50 anni, gli incentivi sono erogati per il doppio del tempo. Si ha diritto di precedenza in
caso di assunzioni entro 6 mesi da parte dell'azienda di provenienza. Sono inoltre previste altre modalità di inserimento
agevolato per gli over45. I contratti di inserimento, ad esempio, sono dedicati a disoccupati over50 che non hanno
lavorato per due anni e prevedono una riduzione del 25% delle aliquote contributive, che aumenta nel Mezzogiorno o se
l'impresa è del settore commerciale, turistico o artigianmo con meno di 15 dipendenti. I contratti di re-inserimento,
invece, sono contratti a tempo indeterminato per lavoratori disoccupati da lungo periodo e prevedono una riduzione del
75% sulle aliquote dei contributi assistenziali e previdenziali, erogati da 12 a 36 mesi a seconda della durata della
disoccupazione (minore o maggiore di 2 anni).
6. Cenni sul dibattito nazionale
Il governo precedente di centro-sinistra (Prodi, giugno 2007-aprile 2008) ha migliorato l’indennità di disoccupazione che
ricevono i lavoratori che perdono il lavoro (dopo aver però lavorato almeno 2 anni). Cresce anche la durata dell’indennità
di disoccupazione (da 7 a 8 mesi; 12 per chi ha più di 50 anni). L’indennità di disoccupazione è salita dal 50 % al 60%
della retribuzione lorda mensile per i primi 6 mesi; al 50% per il 7° e 8° mese e al 40% per i mesi successivi fino al 12°
(solo per chi ha più di 50 anni di età). L’importo massimo dell’indennità è come quello dei Cassa Integrati: € 858 elevato
a € 1.032 per i lavoratori che hanno una retribuzione mensile lorda superiore a € 1.857 nei tre mesi successivi. Per I
lavoratori precari l’indennità di disoccupazione copre il 35% del salario nei primi 4 mesi (se hanno lavorato però negli
ultimi 2 anni). Ai lavoratori sospesi spetta nel limite massimo di 65 giorni ed è pagata nella misura del 50% della
retribuzione. Una legge delega sulla riforma degli ammortizzatori sociali era prevista dal Governo che è caduto in
primavera 2008. L’attuale Governo di centro-destra prevede di attuare tale legge-delega entro il giugno 2009 (è stata
rinviata di 6 mesi su: ammortizzatori, servizi per l’impiego, apprendistato, occupazione femminile). Le misure aggiuntive
per la crisi dell’attuale Governo di centro-destra riguardano 8 miliardi di euro per gli anni 2009 e 2010 per ampliare gli
ammortizzatori “in deroga”, a beneficio di quanti sono esclusi dalla nornativa vigente (Ddl 1441-quater), che si stima
siano circa la metà dei lavoratori dipendenti (occupati nelle piccole imprese). La novità è che è che per beneficiare dei
trattamenti il lavoratore dovrà sottoscrivere un patto di servizio col Centro per l’Impiego impegnandosi ad accettare
un’offerta formativa o di lavoro congrua, altrimenti perdono il diritto previdenziale-retributivo a carico del datore di lavoro.
L’idea del Governo è creare un secondo “pilastro” di aiuti basato sulla “bilateralità” (accordi imprese-sindacati), in
aggiunta all’indennità di disoccupazione, come già avviene per esempio nell’artigianato nella nostra regione (il sussidio è
però limitato a circa un mese all’anno max). Il Governo sostiene che di più non si può fare perchè lo Stato italiano è
molto indebitato (112% le prevsioni a fine 2009) del Debito Pubblico sul PIL. L’opposizione fa le seguenti critiche:
•
Lo stanziamento di 8 miliardi per i prossimi 2 anni è insufficiente;
•
Gli 8 miliardi non sono soldi veri perché derivano da 2,65 miliardi di FSE che era destinato alle Regioni per la
formazione e da 4,6 miliardi del fondo FAS per le regioni deboli; in realtà I soldi veri aggiuntivi sono solo 1,4 miliardi, cioè
di gran lunga la misura minore di tutti I Governi europei;
•
Rimangono scoperti soprattutto I lavoratori delle piccole imprese e i 2 milioni di precari che non hanno sussidi
per cui si proprone un sussidio mensile in caso di perdita di lavoro (non ben precisato) da finanziarsi con circa 6 miliardi
che dovrebbero essere raccolti da una lotta all’evasione fiscale che è in aumento da quando governa il centro destra e
da una tassa sui redditi oltre 120mila euro.
Questa posizione (semplificata) deriva da economisti legati al centro-sinistra (Tito Boeri per es.) che sostengono la
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necessità di riordinare gli ammortizzatori sociali, introducendo un sussidio unico di disoccupazione che copra tutti quelli
che perdono il lavoro, indipendentemente dal settore produttivo, dalla dimensione di impresa o dal loro contratto di
lavoro. Non più disoccupati di serie A e disoccupati di serie B, con una copertura molto più alta di quella fornita dai
selettivi schemi attuali, che vengono oggi concessi a non più di un lavoratore su cinque. L’opposizione critica anche la
detassazione degli straordinari: in recessione infatti le imprese non hanno bisogno di ore extra. Vuole piuttosto che la
legge delega per la riforma degli ammortizzatori sociali sia esercitata prima del giugno 2009 (è stata rinviata di 6 mesi).
PARTE SECONDA
1. PERCORSO A) L' inserimento lavorativo degli occupati che stanno perdendo il lavoro (in CIGS o
mobilità)
La ricostruzione delle procedure e degli esiti di 2 importanti imprese del territorio ferrarase (vedi allegati Case study N.1
e Case study n. 2) fungono da supporto alla ricostruzione del percorso di reinserimento lavorativo seguito da quella
parte di lavoratori italiani che godono di tutele particolari del posto del lavoro, nonché del livello di reddito, perché
occupati in imprese industriali (non commercio, né artigianato) hanno accesso alla CIG Ordinaria (Cigo- per 13
settimane e per un max di 12 mesi, deciso a livello locale); inoltre possono proseguire con la CIG Straordinaria (Cigs)
se imprese industriali con più di 15 dipendenti (commercio con più di 200 occupati), decisa a Roma, e alla Mobilità.
1.1 Il percorso
L'intervento della Cigo avviene laddove, in accordo con le rappresentanze sindacali, si riconosce la possibilità di
ripresa della azienda (piano di ristrutturazione), a seguito di un percorso di trasformazione, e della conseguente
salvaguardia di (quasi tutti) posti di lavoro. Laddove, invece, le prospettive di riavvio della impresa non sono ritenute
credibili o attuabili da uno o più attori coinvolti (nel caso Stayer il sindacato) si passa direttamente alla CIGS. Fino alla
CIGS, i soggetti coinvolti sono nello specifico le rappresentanze datoriali e sindacali e, soprattutto se si tratta di una
media-grande azienda, le Istituzioni locali.
Nel momento in cui interviene la CIGS entra nel percorso anche il Centro per l'Impiego Pubblico (in CIGO i lavoratori
sono da considerarsi ancora occupati) con funzioni che comprendono principalmente la diffusione di informazioni di tipo
amministrativo a supporto di eventuali processi di ricollocazione. La permanenza dei lavoratori in condizione di CIGS
può durare 1 anno, tuttavia, come nel caso Zanolini, può intervenire il Ministero del Lavoro concedendo ulteriori
proroghe (attraverso specifici decreti ministeriali o interministeriali). Non esistono tuttavia specifici riferimenti normativi
per il discrimine nella scelta delle deroghe da parte delle istituzioni pubbliche17. E’ l’autorità politica che in definitiva
decide. Già in questa fase, è possibile (spesso accade) che alcuni lavoratori trovino nuova occupazione in modo
autonomo, perché bisognosi del mantenimento di un livello pieno di reddito, soprattutto se giovani e/o in possesso di
buone professionalità richieste sul mercato (nei due casi esaminati questi requisiti erano soddisfatti da alcuni lavoratori
giovani Stayer, ma praticamente da nessuna ex dipendente donna Zanolini). Al termine della Cigs (che per Zanolini sono
stati 2 anni di Cigs) si ha, in base ad un percorso ormai consolidato, il passaggio alla mobilità (poiché sostanzialmente
applicabile agli stessi lavoratori che soddisfano i requisiti CIGS) la cui durata varia a seconda dell'età del lavoratore: 12
mesi per coloro che hanno meno di 40 anni, 24 mesi per chi ha più di 40 anni e 36 per chi ha più di 50 anni.
L'intero percorso dalla CIG al termine della mobilità può protrarsi perciò anche per 5 anni per le lavoratrici con più di 50
anni. Questo si traduce nel 50% dei casi nel raggiungimento dell’età pensionabile, nell’integrazione delle indennità
ricevute con altre tipologie di attività lavorative (sempre non ufficializzate, anche perché in Italia le sanzioni non sono mai
emesse), e, soprattutto per le donne, nella possibilità di dedicarsi alla cura della famiglia, potendo comunque contare su
una entrata mensile, per quanto ridotta nel tempo. Dalle interviste non sono emersi casi in cui qualcuno abbia perso il
17 Si fa presente che in casi del tutto eccezionali (Alitalia 2008-09) la Cigs sarà protratta anche per 7anni.
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diritto alla indennità per una delle casistiche previste dalla legge (es. lavori in nero, mancato impegno nella ricerca attiva
di un lavoro etc). Solitamente, nel corso di tutto il percorso, a parte gli incentivi all'occupazione previsti dalla legge
(sgravi alle imprese per l'assunzione dei mobilitati), non vengono previsti, se non per interventi specifici ad hoc con
l'intervento dei CPI, percorsi di reinserimento associati alla percezione delle indennità.
1.2 I principali attori coinvolti
- Sindacato: solitamente i sindacati (e con loro i lavoratori) tendono a rivendicare per il tempo più a lungo possibile tutte
le tipologie di sostegno al reddito, senza, in genere, riempirle di altro significato, che non quello di integrazione al
reddito, appunto. Questo si verifica in particolare nel caso in cui i lavoratori siano difficilmente ricollocabili sul mercato del
lavoro. Sarebbe opportuno, in questa fase, accrescere la coscienza con proposte alternative di reinserimento da
affiancare alla erogazione delle indennità. Sono invece applicati interventi diretti ai singoli lavoratori, attraverso reti
amicali o privilegiate, non basate su altri criteri. Talvolta, inoltre, si aggiunge la scarsa partecipazione a percorsi integrati
predisposti da terzi, il che può essere ricondotto a diversi fattori: es. logica contrattuale “politicizzata” nel rapportarsi con
la controparte, riluttanza a lasciare nelle mani di soggetti “terzi” la gestione del processo.
- Centri per l'impiego (CPI): il ruolo dei Centri per l'impiego costituisce, in entrambi i casi esaminati, una base di
appoggio in primis per un supporto di tipo “amministrativo/burocratico”: assemblee con i lavoratori per spiegare
procedure di Cigs e Mobilità, iscrizione alle liste. Il che conferma la percezione diffusa del CPI da parte dei lavoratori in
termini del “vecchio collocamento Statale”, pur essendo oggi Provinciale. Altra funzione è quella di supporto nel
collegamento con potenziali imprese per le assunzioni facilitate dagli sgravi. Le differenze rilevate nei due case study,
proprio relativamente a queste 2 funzioni, sono notevoli: nel caso Zanolini il CPI ha partecipato attivamente al percorso
di re inserimento, collaborando assieme al centro di formazione sia in termini di supporto logistico che di personale; nel
caso Stayer invece, dove i lavoratori erano nelle condizioni di essere più facilmente ricollocabili, il CPI ha supportato il
sindacato sia dal punto di vista amministrativo che come canale di ricollocazione dei lavoratori, pur in assenza di un
accordo specifico tra le parti.
- Lavoratori: l'atteggiamento, le convinzioni e le caratteristiche socio-professionali dei lavoratori influiscono
profondamente sul percorso di reinserimento e sugli esiti. Se i lavoratori hanno una professionalità elevata e facilmente
spendibile sul mercato (soprattutto se giovani) è più probabile che abbandonino il percorso Cig-Mobilità non appena si
presenta un’occasione. Mentre, laddove i lavoratori hanno caratteristiche meno appetibili sul mercato del lavoro
(lavoratori più anziani, donne, bassa professionalità), è frequente l'esaurimento di tutto il percorso degli ammoritizzatori
sociali disponibili a cui si affiancano spesso comportamenti che non favoriscono un reimpiego efficace, nella convinzione
della impossibilità di perdere l'erogazione degli incentivi (le sanzioni formali non sono agite). Uno degli atteggiamenti più
frequenti, quindi, consiste nel non cercare attivamente una nuova occupazione fino all'esaurimento delle indennità
fruibili. E’ il caso di sottolineare che più il tempo passa più diventa difficile motivare il lavoratore ad un nuovo impiego
(casi sia italiani che internazionali). I lavoratori non si sentono incentivati alla partecipazione di corsi di formazione
professionale o ad altre attività di orientamento e preferiscono occupare il maggiore tempo libero con altre attività quali:
cura della famiglia, lavoro in nero. Sembra inoltre emergere una scarsa fiducia dei lavoratori nei percorsi di
ricollocazione portati avanti da soggetti “terzi” o pubblici e con preferenza invece ad affidarsi a reti amicali o basate sulla
fiducia per trovare una nuova occupazione.
- Datori di lavoro/associazioni imprenditoriali: solitamente i datori di lavoro, come singoli, tendono a sottoporre la
richiesta di cassa integrazione ordinaria, senza prima vagliare altre ipotesi. Spesso, inoltre, anche quando è concessa in
caso di ristrutturazione, non produce gli esiti previsti dal piano di ristrutturazione; alla CIGO segue la CIGS, il che
concede più tempo all’azienda per la definizione della situazione degli esuberi di personale. Dal punto di vista
associativo, ciò che è mancato nei casi esaminati, sarebbe una maggiore mobilitazione della rete di imprese associate
per l'inserimento dei lavoratori.
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2. PERCORSO B): L' inserimento lavorativo di coloro che sono privi di occupazione (disoccupati e
mobilitati)
Per i lavoratori che non possono accedere alla Cigo-Cigs (lavoratori di piccole imprese, artigianato, commercio, con
contratti a progetto o altre forme di collaborazione parasubordinata, con contratti a termine) e che perdono il posto di
lavoro, il reinseimento lavorativo passa per i Centri per l'Impiego territoriali18. Gravitano presso i CPI disoccupati19 e
mobilitati20.
2.1 Come avviene il percorso di re inserimento
- Iscrizione all'Elenco Anagrafico21. L’elenco contiene i dati anagrafici completi del lavoratore, nonché i dati relativi alla
residenza, all’eventuale domicilio, alla composizione del nucleo familiare, ai titoli di studio posseduti, all’eventuale
appartenenza a categorie protette ed allo status occupazionale. L’inserimento nell’elenco anagrafico produce
l'acquisizione dello stato di disoccupazione22. Esso viene progressivamente integrato ed aggiornato sulla base delle
informazioni fornite dal lavoratore ma anche sulla base delle comunicazioni obbligatorie provenienti dai datori di lavoro e
dalle società di fornitura di lavoro temporaneo.
- Colloquio informativo/ di orientamento: secondo la normativa il colloquio deve avvenire entro 4 mesi per i
disoccupati più anziani ed entro 2 mesi per i più giovani; le intervistate riferiscono che solitamente i colloqui
avvengono entro 2/3 settimane dalla iscrizione all'elenco anagrafico. Gli iscritti alle liste di mobilità a causa di
licenziamenti collettivi non sono obbligati a partecipare ai colloqui. Nel corso del colloquio, si cercano di capire le
esigenze del lavoratore, nonché le sue intenzioni, soprattutto relativamente alla ricerca attiva di nuova occupazione23. Se
durante il colloquio si comprende che la persona non è effettivamente interessata a cercare lavoro, l'operatore del CPI
elenca lo stesso i servizi di cui potrebbe disporre ma, se non formalmente almeno nella sostanza, il percorso si conclude
lì. La percezione espressa dalle intervistate è che chi dispone di una indennità di disoccupazione nella maggior parte dei
18 La ricostruzione del percorso seguito da tali soggetti è stato effettuata tramite interviste a responsabili del centro per l'impiego di Ferrara.
19 Disoccupati iscritti ai Centri per l’Impiego pubblici e Persone in cerca di lavoro (“disoccupati” ufficiali Istat).
Occorre tuttavia distinguere
tra questi disoccupati che sono iscritti nei Centri Pubblici e la “persone in cerca di lavoro” che determinano il tasso di disoccupazione
nazionale, regionale, provinciale. Questi ultimi sono desunti dall’indagine campionaria Istat (effettuata mensilmente come negli altri paesi
europei) che viene svolta sulle famiglie. I 2 dati non coincidono in quanto gli Iscritti ai Centri Pubblici sono, in genere, il doppio perché in molti
casi gli iscritti ai Centri pubblici non sono reali disoccupati, ma persone che si iscrivono per avere altre agevolazioni (sussidi per la casa, la
scuola, la salute, giovani studenti per avere vantaggi in caso di assunzione,…). Così come ci sono persone “in cerca di occupazione” che non
sono iscritte ai Centri di Servizio pubblico. I 2 insiemi quindi non coincidono. Nella provincia di Ferrara per esempio gli iscritti ai Centri per
l’Impiego sono a fine 2008 22mila, di cui sono considerati “in cerca di reale lavoro e immediatamente disponibili a lavorare”, circa la metà
(10mila). Le persone in cerca di lavoro risultanti dall’indagine Istat sulle famiglie sono risultati nel 2007 5mila, pari ad un tasso di
disoccupazione provinciale del 2,7% (il dato del 2008 sarà disponibile in aprile 2009). A nostro avviso il dato ufficiale di disoccupazione è molto
sottostimato, in particolare nell’anno 2007, in quanto solo nel 2006 in provincia di Ferrara era di 9mila persone (tasso di disoccupazione
ufficiale 5,5%).
20 Si tratta di una quota minoritaria di lavoratori licenziati dalle medie grandi imprese che hanno questo forte sussidio pubblico. A differenza dei
disoccupati, coloro che si trovano in mobilità a seguito di licenziamenti collettivi (che riguardano più di 5 lavoratori) non hanno l'obbligo di
iscrizione perché i nominativi vengono comunicati al Centro per l'impiego direttamente dalla Regione dopo l'approvazione della lista sottoposta
le da aziende e sindacati.
21 D.lgs 181/2000 “Disposizioni per agevolare l'incontro fra domanda e offerta di lavoro, in attuazione dell'art. 45 c.1 lettera a) della legge 17
maggio 1999, n. 14”; d.lgs 19 dicembre 2002, n. 297 “Disposizioni modificative del d.lgs 21 aprile 2000, n. 181”.
22 Secondo il d.lgs 181/2000 e 297/2002 per stato di disoccupazione si intende la condizione del disoccupato o dell'inoccupato che sia
immediatamente disponibile allo svolgimento di un'attività lavorativa, secondo modalità definite con i servizi competenti.
23 L'attività di orientamento consiste: nell'aiutare l’utente a comprendere meglio i propri interessi e le proprie attitudini, capacità e potenzialità e ha
lo scopo di sostenere la persona nella scelta formativa e/o professionale; nel favorire la conoscenza dei profili professionali e del mercato del
lavoro e fornire strumenti per operare le proprie scelte; sostenere l'utente nella ricerca di un lavoro, indagando sulle capacità, potenzialità,
interessi, legate sia a caratteristiche individuali, sia a competenze lavorative acquisite, in modo da fare leva su queste per consentire
l’inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro; accompagnare gli utenti interessati ad intraprendere un’attività imprenditoriale, favorendo
l’accesso ad altri servizi utili per l’avvio di impresa presenti nel territorio.
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casi tende ad aspettare fino alla scadenza della erogazione prima di cercare attivamente lavoro. Tale atteggiamento è
ulteriormente confermato per coloro che si avvicinano alla età pensionabile (es. coloro che non intendono lavorare ma
vogliono usufruire degli sgravi connessi alla status di disoccupazione, o studenti che, pur non avendo ancora terminato il
percorso di studi si iscrivono all'Elenco per maturare, nel corso degli anni, l'anzianità di disoccupazione che li renderà più
appetibili all'assunzione da parte delle aziende). Nel caso in cui invece si rilevi un vero interesse della persona il
percorso concordato viene eseguito non solo formalemente e inserito in un patto in cui vengono elencati reciproci oneri
e diritti del lavoratore e dei servizi.
- Patto di servizio tra lavoratore e CPI. Nel patto viene indicato il percorso che il lavoratore dovrà seguire in vista del
(re)inserimento. Tale percorso viene definito individualmente, sulla base delle necessità, delle caratteristiche e dei
desideri espressi dal lavoratore nel corso del colloquio (es.: se durante il colloquio si comprende che il lavoratore non ha
chiaro che cosa vuole realmente fare, gli si propone un percorso di orientamento; se invece al lavoratore serve un
aggiornamento di competenze di cui è già in possesso, si pianifica la frequentazione di un corso formativo, tenendo
conto delle esigenze del singolo - questo avviene soprattutto con le donne, compatibilmente con i carichi di cura). Le
principali problematiche sottolineate nel corso dell'intervista relativamente al Patto di Servizio (e al percorso di re
inserimento ivi contenuto) consistono nel fatto che, come sopra specificato, sono meno della metà quelli “veri”, su cui “il
centro servizi per l'impiego investe”24 . Diversamente da quanto previsto dalla normativa, quello che realmente succede
è che raramente i benefici vengono persi qualora non si rispetti il patto di servizio (come dimostra anche il fatto che molti
rimangono iscritti all'elenco anche se il Patto di servizio risulta scaduto). La mancata attuazione di quanto previsto dalla
normativa nazionale e regionale è da ricercarsi, secondo il parere delle dirigenti del CPI intervistate, nel difficoltoso
raccordo tra le normative stesse e la suddivisione delle responsabilità nonché nei difficoltosi meccanismi di
accertamento. Talvolta, la durata e la tipologia di corsi proposti mal si concilia con le esigenze dei lavoratori,
soprattutto se over40. Spesso gli over40 che cercano una nuova occupazione hanno carichi familiari (in particolare le
donne) che influenzano la disponibilità di tempo e/o hanno necessità immediata di ristabilire il livello di reddito. Allo
stesso tempo però questa tipologia di lavoratori è quella che più frequentemente ha bisogno di formazione e
aggiornamento di competenze obsolete e quindi di corsi, che sono necessariamente lunghi. Per comprendere la bassa
frequenza ai corsi il CPI ha realizzato alcune interviste da cui è risultato che le esigenze sono contrastanti e creano un
circolo vizioso: i corsi nella maggior parte dei casi non vengono frequentati perché (è soprattutto il caso delle donne) la
cura dei figli o di altre persone non autosufficienti non lo permettono (i corsi non sono abbastanza flessibili) o perché la
preferenza va ad attività lavorative in nero.
- Preselezione: si svolge un'intervista al lavoratore per l'inserimento del suo curriculum nella banca dati. Le
informazioni raccolte attraverso il colloquio riguardano: curriculum studi, formazione professionale, esperienze lavorative
passate, conoscenze e abilità tecniche, propensioni. Dal lato della domanda di lavoro, le aziende compilano un modulo
nel quale descrivono il profilo e la professionalità richiesta, senza discriminazioni di genere, provenienza geografica etc.
Il matching tra le richieste delle imprese e i lavoratori presenti nell'elenco avviene, indipendentemente dalla anzianità di
presenza sulla banca dati, in base alle competenze richieste e dichiarate. Generalmente vengono pre- selezionati dai 3
ai 5 nominativi per ogni posto richiesto. I nominativi vengono poi trasmessi alla impresa che provvede a contattare i
singoli per fissare dei colloqui. Ogni sei mesi coloro che sono presenti nella banca dati dovrebbero confermare la loro
disponibilità ad essere “pronti all'incarico”. Vengono temporaneamente cancellati (3 mesi) dalla lista coloro che non si
presentano ai colloqui fissati25.
24
Sulla base delle informazioni fornite dalle intervistate, su circa 20mila iscritti nel 2008, indicativamente la metà sottoscrive un patto di
servizio che intende effettivamente rispettare: sono circa 9mila quelli che attivamente si impegnano a cercare lavoro, seguendo il percorso
contenuto nel patto (c.d immediatamente disponibili) e di questi 9.000, sono 3.700 circa gli immediatamente disponibili a lavorare (18,5%
degli iscritti).Le intervistate riferiscono che su 100 iscritti, 6 persone trovano effettivamente lavoro (4 secondo loro tra le agenzie interinali),
mentre le Agenzie interinali interpellate indicano di riuscire ad avviare circa il 25% degli iscritti. Inoltre il CPI ha cominciato un' attività di
revisione delle liste di iscrizione, tentando di ricontattare coloro che sono iscritti da molto tempo ma di cui non si hanno notizie certe e/o coloro il
cui patto di servizio è scaduto. Tra quelli richiamati il 90% non si presenta e viene di conseguenza cancellato.
25 Sulla base dei dati disponibili (Provincia di Ferrara) al 30/6/2008, su 832 richieste complessive dei lavoratori, 809 sono state quelle prese in
21
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Per quanto riguarda le attività di preselezione, le principali problematiche riguardano la mancata comunicazione degli
esiti dei colloqui impresa/lavoratore disoccupato sia da parte dei lavoratori che delle aziende. L' intervistata riferisce
inoltre che talvolta le imprese non fissano realmente tutti i colloqui (perché hanno trovato qualcun'altro, perché trovano
la persona dopo il primo colloquio e non fissano gli altri) o, pur essendo vietato, effettuano delle discriminazioni in base
alle caratteristiche personali dei potenziali lavoratori colloquiabili. Altre volte sono i lavoratori stessi che non si
presentano ai colloqui fissati dalla azienda senza darne comunicazione al CpI. Come riferito nel corso dell'intervista,
i disoccupati over 45 hanno alcune specifiche ed ulteriori problematiche, trasversali alle varie fasi: spesso
hanno una percezione irrealistica del mercato del lavoro contemporaneo (vogliono subito un contratto a tempo
indeterminato e vicino al domicilio), non comprendono l'importanza della formazione (spesso ritengono che un corso di
50 ore di informatica sia sufficiente per trovare nuovo lavoro), in molti casi non sono favorevoli a svolgere tirocini o
esperienze studio/lavoro, tendono a non accettare lavori di durata ridotta a cui preferiscono lavori in nero. Diffusa è
ancora l'identificazione del Centro servizi per l'impiego con il vecchio collocamento (alcuni lavoratori chiamano
lamentandosi che pur essendo iscritti alla lista da molto tempo non vengono mai chiamati e non gli vengono mai
sottoposte proposte di lavoro).
- Attività specifiche rivolte agli over 45: negli anni precedenti, il target over 40 non era considerato come prioritario
nella sua specificità, essendo la maggior parte delle azioni dedicate ad altri gruppi svantaggiati quali disabili e donne
(spesso per altro over40) . Dal 2007 il target over 40 è divenuto oggetto di maggiore attenzione. Il CPI assieme ad altri
partner sta portando avanti un progetto26 chiamato over40, un percorso di 200 ore: 100 ore di aula e 100 ore di stage in
due aree principali: Amministrazione/Contabilità e Meccanica.
I partecipanti sono stati estratti dalle banche dati degli iscritti al CPI.
Il percorso deve ancora terminare, quindi non è possibile valutarne l'efficacia. Per quanto riguarda il reperimento di
persone per il corso di amministrazione non c'è stata difficoltà nel reperimento di disoccupati interessati mentre è stato
molto difficile trovare adesioni per l'altro percorso. Le intervistate riferiscono che, persone contattate per il corso sulla
meccanica, volevano invece proporsi per l'altro, pur non avendone le competenze (non volevano più andare in
produzione).
3. Proposte ed osservazioni
1. - Prima osservazione e proposta: Il cosiddetto salario di riserva spiazza l’attuale meccanismo italiano: se infatti è
possibile ottenere un’indennità (per es. di 600 euro) ed effettuare allo stesso tempo (poichè le sanzioni di fatto non sono
applicate) un lavoro non dichiarato aa part-time (guadagnando ad es. 400 euro), la somma che si ottiene (mille euro) per
un lavoro part-time è più vantaggiosa di un altro a tempo pieno che spesso può essere anche distante da casa. Ciò
scoraggia qualsiasi politica attiva di “responsabilità individuale”, di “Patto tra servizi e lavoratore espulso”, di welfare to
work. E’ chiaro che senza una nuova normativa nazionale lo stato di cose non può cambiare. Tuttavia la presenza di
corsi di formazione più flessibili nella erogazione potrebbe comportare un aumento della frequenza. Così se vi fosse la
certezza che dopo il corso ci sarà una buona probabilità di avere un lavoro, anche se a termine o part-time.
2. Seconda osservazione e proposta: la nostra proposta, sulla base dell'analisi dei percorsi di ricollocazione si
concentra principalmente nella fase della preselezione. Si potrebbe infatti migliorare l’incontro tra lavoratore espulso e
nuova impresa attraverso un processo che vede: fase A) individuazione dei posti potenziali disponibili nelle imprese;
fase B) incontro di ogni azienda con I lavoratori espulsi; fase C) I lavoratori scelgono le imprese a cui sono interessati;
carico e su 966 lavoratori richiesti, 385 sono stati quelli assunti. Rispetto al 2007, nonostante il 27% di richieste in meno delle imprese, è
aumentato del 15% il numero dei lavoratori assunti a seguito di preselezione. In complesso il CPI di Ferrara alloca ogni anno circa il 6% dei
disoccupati disponibili iscritti.
26 Il progetto rientra nella linea di finanziamento del Ministero del Lavoro: Programma Azioni per il reimpiego dei lavorati svantaggiati (PARI). Nel
programma PARI 2007, Emilia-Romagna i destinatari delle azioni di reimpiego saranno 2.030 appartenenti alle tipologie seguenti: svantaggiati
disoccupati (tossicodipendenti, alcolisti, ex detenuti etc); monogenitori disoccupati; lavoratori percettori di ammortizzatori sociali in deroga;
over50 disoccupati, disoccupati di lunga durata, lavoratori privi di un rapporto stabile.
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fase D) selezione dei lavoratori da parte delle singole aziende; fase E) accompagnamento-tutorship27 dei lavoratori in
vari modi: F) analisi limiti e talenti, bilancio di competenze, biografia personale, tutorship in azienda durante I colloqui,
monitoraggio successivo. Queste azioni devono avvenire nei primi 6 mesi dall’espulsione se no il “capitale umano” si
demotiva. Non è positivo costruire una fase eccessivamente lunga fatta di istruzione-formazione perchè è
controbilanciata dalla perdita di autostima e di motivazione. I vantaggi sarebbero quelli di:
• una maggiore rapidità di collocamento;
• una maggiore adattabilità reciproca tra lavoratore e impresa che consente di trovare lavori anche molto diversi
dall’idea che si sono fatti sia I singoli lavoratori (in base anche allo specifico professionale di quel lavoratore), sia dei
singoli imprenditori28;
• questa maggiore adattabilità determina anche più Occupazione, in quanto lavoro produce lavoro”: crea più occupati
anche a parità di posti di lavoro potenziali.
Se così stanno le cose a noi pare che le politiche pubbliche attive devono incentivare non solo e tanto le
imprese che assumono (ciò avviene già), non solo sussidiare I lavoratori espulsi (ciò avviene già, fin troppo
verrebbe da dire), ma il percorso di formazione-allocazione che coinvolge entrambi i soggetti (impresalavoratore) su di un progetto condiviso che potrebbe essere:
•
proposto da una Istituzione (Provincia, Regione, Ministero, ecc), con finanziamenti diretti a
copertura dei costi di realizzazione e in base ai risultati raggiunti (monitoraggio);
•
oppure per i percorsi di transizione più difficili (lavoratori espulsi-imprese) attraverso forme
organizzative di tipo “consortile”, costruite ad hoc per progetti pluriennali, capaci di fornire una sorta di
“global service” mirato alle attività necessarie a progettare e gestire, quali: mappatura delle opportunità di
inserimento dei lavoratori espulsi nelle aziende; reclutamento e “accompagnamento” dei candidati
interessati; costituzione delle partnership e acquisizione delle risorse; pianificazione dei percorsi formativi,
monitoraggio e valutazione dei risultati; riconoscimento di “crediti per buone prassi” (per le aziende);
monitoraggio sui risultati e benchmarking.
4. Analisi di casi di best practices
In Italia sono numerose le esperienze di progetti realizzati per affrontare situazioni di crisi, sia di singole aziende, sia di
distretti industriali o filiere produttive. In particolare abbiamo individuato tre best practices per la qualità dei processi
adottati nel placement dei lavoratori espulsi e over 40, nell’uso di ammortizzatori sociali, con percorsi innovativi rispetto
ai tradizionali, in cui, oltre al “sostegno del reddito”, sono state attivate politiche attive, come:
• il riorientamento professionale;
27 Abbiamo notato nel processo PIL di Ferrara (per i laureandi) che talvolta le imprese selezionino i candidati, in sede di colloquio, in modo
28
diverso da come si erano proposte inizialmente (considerano più “la persona”, del percorso di lavoro o di studi svolto e del profilo “ufficiale”
richiesto). Anche la più importante indagine sui fabbisogni professionali delle imprese in Italia (Excelsior), sostiene che “le nostre nomenclature
dei lavori sono largamente insufficienti per capire come si lavora, dove si lavora e che cosa si deve sapere per lavorare”. Questo
accompagnamento e processo più personalizzato induce il CPI ad esplorare meglio i lavori che vengono proposti e che possono interessare i
lavoratori, e chiede ai responsabili aziendali uno sforzo nel presentare ai lavoratori espulsi i profili proposti, comunicandoli in un contesto di più
facile comprensione. Con una metafora, si vorrebbe che l’azienda cercasse il lavoratore “pescandolo con la rete e non con la lenza”: vale a
dire, sapere che cosa si cerca, ma essere disposti a farsi influenzare da chi si incontra.
La conoscenza di un ampio ventaglio di opportunità anche per occupazioni in attività meno coerenti con il lavoro svolto può valere anche per
chi ha titoli di studi medio-bassi se è vero che all’incirca la metà dei laureati svolgono un mestiere che è abbastanza lontano dai contesti di
riferimento della loro laurea, ma con buona soddisfazione propria che dell’impresa presso cui lavorano. Ciò significa che, spesso, nel mercato
del lavoro c’è un’adattabilità reciproca tra lavoratore e impresa (una sorta di “mano invisibile”) che porta nelle più svariate situazioni di lavoro, e
questo, alla lunga, non è vissuto come “un fallimento”, ma come una vera, ulteriore opportunità. Dobbiamo ritenere, questa circostanza una
anomalia, un ripiego, uno spreco di risorse nella formazione? Chi assume, abbiamo potuto notare, spesso guarda il lavoratore pensando più in
là del primo lavoro che gli verrà affidato. Dunque, sembrerebbe importante “dare una mano” a questo tipo di “adattabilità a doppio senso”, in
cui c’è un avvicinamento reciproco e si arriva ad una allocazione sulla base di un interesse sia del lavoratore espulso che si propone, che
dell’impresa che lo cerca e che è interessata a svilupparne il potenziale.
23
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• una formazione personalizzata;
• la stipula del patto di servizio o di adesione;
• forme di accompagnamento al lavoro (ricerca di nuova collocazione sul mercato).
Due di queste esperienze sono state realizzate nel Nord (Piemonte, Torino e Biella), una in Centro Italia (Lazio). Nei tre
progetti (pur in contesti diversi) sono stati coinvolti oltre mille lavoratori, provenienti da crisi aziendali o di filiera
produttiva. Il 60% (590) ha trovato nuova occupazione, di cui il 30% con contratti a tempo indeterminato, il 25% con
contratti a termine e il 5% con contratti di somministrazione. Le società che hanno assunto hanno usufruito di incentivi
per le persone in mobilità. Di seguito si descrivono brevemente le caratteristiche comuni individuate: obiettivi, principali
azioni attuate, soggetti coinvolti, risultati conseguiti in termini di nuova occupazione. Una versione più estesa è
nell’allegato IV (Siel impianti), V (Progetto COR), VI (progetto L3CLUB).
Nate in contesti socio-economici diversi ma con finalità comuni (dare risposte a situazioni di crisi produttiva, con
espulsioni di figure difficili da collocare nel mercato del lavoro, anche perché over 40), hanno evidenziato fattori di
similarità nelle strategie e nelle metodologie di attuazione, con linee guida comuni, da considerarsi programmi pilota.
Ovunque sono stati attivati processi di concertazione fra diversi livelli istituzionali (province e comuni) e sono stati
coinvolti tutti gli attori territoriali (organizzazioni di rappresentanza, enti locali, società private), per individuare delle
strategie comuni di intervento e condividere la lettura della crisi. Ovunque vi è stata una forte aderenza ai contesti locali,
fondata su un’ottima conoscenza degli utenti, dei servizi e dei processi economici e sociali in cui sono immersi. Per
l’attuazione dei progetti sono state attivate delle partnership pubblico-privato (con il coinvolgimento di società di
consulenza specializzate in materia di placement e Agenzie per il Lavoro Interinale), inoltre sono state realizzate
politiche attive del lavoro (Active Welfare), integrando gli ammortizzatori sociali (sostegno al reddito) con forme di
sostegno alle persone (servizi e formazione) e ricollocazione professionale.
Durante i corsi di formazione oltre alle tecniche per la ricerca del lavoro sono state affrontate anche le tematiche relative
al diritto del lavoro e le principali modifiche legislative. Un ruolo importante hanno svolto i Centri Pubblici per l’Impiego
(CPI), che hanno attivato percorsi di accoglienza e orientamento delle persone, con lo sviluppo di attività di counseling,
tutoring e coaching, consentendo alle persone di vivere l'esclusione dal mercato del lavoro come opportunità per
riorganizzare la propria vita professionale. Nel progetto COR è anche stato attivato il patto di adesione, che ha definito
gli obblighi e i diritti del partecipante al percorso formativo. Inoltre sono state attivate forme di servizio alle persone
avanzate, come l’analisi dei fabbisogni, strumenti ad hoc per orientare le persone nella ricerca attiva del lavoro
(curriculum vitae individuali, lettere di presentazione per i datori di lavoro, tecniche di comunicazione per consentire alle
persone di affrontare con efficacia i colloqui di lavoro …). Interessante anche il fatto che sono state utilizzate forme
alternate di colloqui individuali e esperienze di gruppo, che hanno consentito ai partecipanti di meglio individualizzarsi
ma anche socializzare. Sono stati realizzati anche dei percorsi formativi mirati sulle esigenze delle imprese. Le persone
sono state accompagnate direttamente in azienda per effettuare i colloqui di lavoro, ed è stato monitorato l’inserimento
in impresa, grazie alla disponibilità dei consulenti. Tutti i percorsi sono stati personalizzati e individualizzati.
4.1 Punti di forza dei tre progetti con caratteristiche di trasferibilità
1.
Azione di concertazione tra i principali stakeholders locali, per individuare strategie di intervento comuni e
letture condivise delle cause delle crisi.
E’ risultato utile negoziare interventi fra diversi livelli istituzionali: comuni, province e regioni con l’obiettivo di
2.
razionalizzare gli investimenti e non avere duplicazioni di spesa.
3.
Interventi con una forte aderenza ai contesti locali, fondati su un’ottima conoscenza degli utenti, dei servizi e dei
processi economici e sociali in cui sono immersi.
4.
La capacità di attivare partnership, coinvolgendo sia gli attori pubblici che privati “migliori” disponibili sul
territorio per dare il servizio migliore a parità di spesa (ciascuno con funzioni e compiti definiti) e delle parti sociali. Gli
enti pubblici hanno svolto la funzione di coordinamento e gestione di alcuni servizi (erogati dai Centri Servizi Integrati per
l’Impiego: accoglienza, orientamento delle persone, bilancio di competenze, informazioni sul mercato del lavoro,
24
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redazione di un curriculum vitae, lettera di presentazione, come sostenere un colloquio di lavoro,…), mentre le agenzie
private sono state maggiormente coinvolti nella parte finale di ri-collocamento in nuove imprese.
5.
Integrare gli ammortizzatori sociali (sussidi al reddito) con servizi personalizzati (counseling, tutoring, coaching)
e formazione; si lavora con persone in stato di difficoltà (anche personale) ed è importante lo sviluppo di attività che
consentano ai soggetti di recuperare autostima e vivere l'esclusione dal mercato del lavoro come opportunità per
riorganizzare (anche meglio) la propria vita professionale. Durante l’accoglienza è anche utile sviluppare la
socializzazione tra le persone, alternando i colloqui individuali ad esperienze di gruppo.
6.
All’atto dell’accoglienza attivare il Patto di Adesione (o di Servizio), che definisca obblighi e diritti dei
partecipanti.
7.
Realizzare attività di sensibilizzazione e “marketing” presso le aziende, dove le persone possono inviare la
propria candidatura per un reinserimento lavorativo (con invio di documentazione di presentazione del progetto, visite di
approfondimento e raccolta dei fabbisogni).
8.
Accompagnare i lavoratori in azienda nei colloqui presso le nuove aziende e seguire tutto il processo.
9.
Infine è utile disporre di un monitoraggio dei progetti.
25
RE-START
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CASE STUDY N. 1 : Il caso della Zanolini
Il caso Zanolini29 è forse quello più paradigmatico della provincia di Ferrara: un’azienda del settore tessile
fallita con 121 lavoratrici (quasi tutte donne) a cui è stata proposto un percorso integrato di reinserimento
che non ha avuto gli effetti sperati (solo 11 persone hanno trovato nuova occupazione al termine del
percorso) .
Brevemente, le tappe della crisi sono state le seguenti:
2004: dichiarazione di crisi per il ramo produttivo30 (L&A Production) e avvio della Cassa Integrazione
ordinaria per 12 mesi per 121 lavoratrici (poi ridotti a 107, in quanto 7 hanno trovato autonomamente nuova
occupazione). In questa fase viene elaborato, finanziato e implementato il percorso di reinserimento, che
vedremo più nello specifico.
2005-2006: cassa integrazione straordinaria per 24 mesi: grazie ad un accordo fra sindacati, Ministero del
Lavoro e istituzioni locali (comune e provincia di Ferrara) è stato concesso un anno aggiuntivo rispetto a
quanto previsto dalla normativa (un anno aggiuntivo rispetto a quello previsto dalla normativa è stato
concesso grazie all'intermediazione delle istituzioni locali presso il Ministero del Lavoro)
2007: al termine del periodo di CIGS, i lavoratori entrano in Mobilità, con durata differenziata a seconda
dell'età delle persone beneficiarie (vedi paragrafo sul sistema degli ammortizzatori sociali).
Il percorso di reinserimento, caratteristiche, svolgimento e risultati.
Per supportare il reinserimento lavorativo delle lavoratrici in CIGS, l'Unione degli Industriali di Ferrara, la
Provincia, la Regione e le 3 organizzazioni sindacali (inserite su loro richiesta assieme ai propri centri di
formazione prima della presentazione del progetto) firmarono un accordo per la creazione di un percorso
integrato di reinserimento rivolto alle 121 dipendenti della L&A Production.
29
30
Zanolini era un'azienda tessile di Ferrara, specializzata nella produzione e commercializzazione di capi di
abbigliamento maschili nata nel 1978 e fallita nel 2004. La gamma produttiva comprendeva la commercializzazione
di capi destinati a nicchie di mercato, essendo molto elevata la qualità. Nel corso degli anni era divenuta uno dei
marchi più importanti a livello nazionale, con negozi distribuiti in tutta Italia. A metà degli anni '90 erano occupate
400 dipendenti. In quegli anni l'azienda aveva fatto ricorso alla CIGO raramente, per lo più in occasione delle
riduzione degli ordinativi nel periodo delle lavorazioni stagionali. A partire dalla fine degli anni 90, i ricavi subirono
una drastica riduzione e i debiti complessivamente accumulati aumentarono fino a raggiungere i 25 milioni di euro.
Nel 2000, per tentare di rilanciare l'impresa il management adottò due importanti provvedimenti: 1) contratti di
solidarietà (riduzione da 8 a 6 ore giornaliere); 2) scorporo dell'azienda in 2 imprese giuridicamente autonome, una
dedita alla produzione (L%A production) l'altra alla commercializzazione (Zanolini SPA con 100 punti vendita sul
territorio nazionale).Già nel 2000, 45 lavoratori vennero licenziati. Al momento del fallimento (gennaio 2004), i
lavoratori del ramo produttivo erano 120 e i negozi di proprietà 50. A luglio 2003 era scattata la cigo a zero ore per
tutti i i dipendenti. La proprietà si era impegnata a ricollocare un numero indicativo di 40/50 dipendenti presso
un'altra azienda senza legami societari con la L&A production, possibilità (poi sfumata) individuata alla Unione
industriali di Ferrara, che inizialmente di era offerta come intermediaria per la ricollocazione. Per quanto riguarda il
ramo commerciale, 32 negozi (80 dipendenti) alla neonata Glamour retail (stessa società che aveva assunto con
contratti a termine 20 dipendenti amministrativi licenziatisi dalla Zanolini poco prima del fallimento). Tuttavia,
anche questa nuova catena di vendita fallisce. Una prima ristrutturazione avviene verso la metà del 2004 con
l'acquisizione da parte di I-Fashion Group (Ferrara) sia della parte industriale che commerciale. A settembre 2004,
riaprono infatti i negozi. Ma l'attività produttiva viene concentrata nei paesi dell'est Europa. Anche questa società
fallisce nel 2006. L'acquisizione della rete di vendita ex Zanolini ha comportato l'assunzione di 80 dipendenti.
L'azienda ex Zanolini ha assunto poi la denominazione I Phil, successivamente trasformatosi in Quartiere Italiano,
fallita anch'essa nel 2008.
Per il ramo commerciale (acquisito con denominazione I Phil) è stato invece firmato un accordo a livello nazionale
(fra sindacati di categoria e proprietà) che aveva previsto l'attivazione immediata della mobilità per tutti i dipendenti.
L'accordo prevedeva che il 50% dei lavoratori fosse poi assunto dalle liste di mobilità (consentendo così al nuovo
datore di lavoro di usufruire degli sgravi fiscali), mentre gli altri furono costretti a trovare una occupazione in forma
autonoma o fecero ricorso alla disoccupazione ordinaria, come forma di integrazione del reddito.
26
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All' inizio del percorso sono stati spediti 121 inviti per lettera, seguiti da telefonate di riscontro. Dopo di che
sono stati realizzati 4 incontri di gruppo presso i CPI di Ferrara (3) e di Codigoro (1) per presentare l'iniziativa
a tutti gli ex dipendenti (febbraio 2004), che hanno partecipato nel numero di 84 (69%).
Si sono tenuti 80 colloqui individuali31 (66% del totale) di un'ora ciascuno presso i centri per l'impiego di
Ferrara, alla presenza del personale del CPI e del centro di formazione professionale. 10 persone hanno
abbandonato il percorso dal principio, 2 hanno raggiunto il pensionamento. Le 25 persone che non avevano
dato nessun riscontro sono state contattate ma, per diversi motivi, hanno comunicato di non voler
partecipare (non interesse, impossibilità momentanea).
A seguito degli incontri con i singoli lavoratori, sono stati condotti, dei colloqui con imprese del territorio per
sondare e pianificare opportunità e percorsi di inserimento per le lavoratrici ex Zanolini (questa attività
avvenne durante tutto il percorso, con maggiore intensità nel passaggio tra cigs e mobilità).
Sulla base dei colloqui individuali, sono stati creati 4 gruppi per l'attivazione delle attività formative di base
(52 ore- contenuti: Ruoli professionali e socializzazione primaria; organizzazione aziendale e elementi di
autoimprenditorialità, comunicazione in ambito di lavoro, informatica, rimotivazione e analisi mercato del
lavoro, pari opportunità). A questa proposta formativa hanno partecipato 56 ex dipendenti (46%).
Inoltre, sulla base delle disponibilità espresse dalle partecipanti, si è applicato un metodo sperimentale, detto
APL (Accreditation of Prior learning), che prevedeva diverse fasi di analisi, bilanci di competenze e
valutazione sul campo dei singoli32 Nel corso della prima fase di questo percorso di orientamento, le ex
dipendenti si erano rese disponibili a lavorare in settori diversi dal tessile. Era infatti emerso che neanche il
10% delle ex dipendenti voleva trovare una occupazione nello stesso settore. I principali motivi risultarono
essere: la presenza nel settore tessile di un difficile clima relazionale, la percezione che il tessile fosse un
settore in crisi, la mancanza di crescita professionale, ritmi di lavoro stressanti e bassa retribuzione. La
maggior parte aveva invece espresso disponibilità ad essere inserita in altri settori, in particolare: Lavanderia
industriale, infanzia, grande distribuzione, Industria e magazzini. A seguito delle “prove sul campo” (visite
aziendali) nei settori prescelti previste dal percorso APL, sono stati attivati degli stage di orientamento,
solitamente della durata di 2 mesi in cui erano previste forme di tutoring, di supporto motivazionale e di
conciliazione tempi vita-lavoro.
Per l'inserimento mirato in altre aziende che richiedevano competenze specifiche, si è fatto ricorso a
formazione Just in time, finanziata dalla Regione. Esempio significativo è stata la formazione Just in time
richiesta per l'inserimento lavorativo in I-Fashion Spa. Il corso si componeva di 240 ore di formazione per 14
dipendenti. Dopo 6 mesi, il corso venne interrotto a causa della insoddisfazione espressa dalla azienda per
le partecipanti al corso, a suo giudizio inabili a lavori di alta sartoria. Il percorso è stato interrotto e i
finanziamenti restituiti alla Regione. Solo 2 dipendenti sono state assunte nell’impresa.
Furono condotte ulteriori azioni di incrocio domanda offerta, es. altri incontri di orientamento al lavoro alla
presenza di esponenti di associazioni di categoria e responsabili di imprese del territorio, incontri per la
valutazione dei percorsi formativi e loro evenutale miglioramento, ulteriori incontri con il CPI etc.
In sostanza, tra le ex dipendenti che hanno partecipato a questo percorso di re-inserimento, su 21 posti
offerti da 13 aziende tessili, solo 3 persone hanno trovato occupazione (come abbiamo visto, la maggior
parte delle ex dipendenti Zanolini non volevano lavorare ancora nel tessile); su 10 posti offerti, 5 hanno
31
32
Le caratteristiche degli utenti emerse dai colloqui: oltre il 36% aveva una età compresa tra i 40 e i 50 anni. La
maggior parte viveva a Ferrara e l'87% aveva un titolo di studio che non andava oltre le scuole medie.
Il percorso APL messo in atto era composto di 7 fasi: 1) Raccolta anamnestica (bilancio di competenze, capacità e
potenzialità) 2) Analisi materiale fasi precedenti (colloquio di approfondimento e scheda di valutazione) 3)
Networking (analisi di capacità di lavoro in gruppo) 4) Percorso di orientamento guidato (ricostruzione bilancio di
carriera, valorizzazione esperienze pregresse, riconoscimento capacità); 5) Valutazione sul campo (pre-stage, sul
campo delle capacità del singolo verso lo specifico settore emerso) 6) Attestazione personalizzata (riproposizione su
supporto informatico delle competenze possedute e acquisite nel corso del percorso APL 7) Valutazione sul campo
di un tecnico esterno (a fine prova pratica, valutazione tra staff APL e tecnico esterno che testerà sul campo il
soggetto.
27
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trovato occupazione in una azienda di automazione; su 6 posti offerti, 2 sono andate in una impresa del
settore chimico-lenti; e su 6, due posti sono stati coperti in una impresa di servizi e ristorazione-pulizie.
In totale, su 43 posti offeri, 11 hanno trovato occupazione.
Non tutte le lavoratrici hanno seguito questo percorso di re inserimento: altre, appoggiandosi ad altri centri di
formazione in altre aree della provincia hanno trovato occupazione in altre realtà lavorative (soprattutto del
settore meccanico).
In altri casi ancora, le ex dipendenti hanno trovato occupazione da sole o su intermediazione del sindacato
oppure hanno sfruttato le indennità erogate per raggiungere la pensione o per dedicarsi esclusivamente alla
cura della famiglia.
Sulla base della analisi del caso specifico e dei giudizi espressi dagli intervistati è possibile identificare altri
elementi della vicenda:
1- Durante il periodo in cui le persone beneficiavano dell'integrazione al reddito (cig, cigs, mobilità)
cercavano di aumentare il proprio salario svolgendo altre attività (spesso con forme di rimborsi spese),
sfruttavano la parte di salario garantita per dedicarsi alla cura della famiglia o attendevano il
raggiungimento dell'età pensionabile senza cercare altra occupazione.
2 - Il fatto che molte lavoratrici durante il periodo di CIGS non abbiano voluto partecipare ai corsi o li
abbiano abbandonati, è da imputare sia al fatto che non volevano più lavorare nel settore tessile, ma
anche al fatto che non rischiavano di perdere l'indennità (nessuna sanzione) né venivano invogliate a
farlo (incentivo). A questo proposito, economicamente parlando, conveniva condurre un' attività in nero
che garantiva entrate maggiori, piuttosto che seguire un corso di formazione disponendo della sola
indennità di cassa integrazione.
Quasi sempre la ricerca del lavoro incominciava all'avvicinarsi della scadenza della mobilità.
3 - L'azione formativa per quanto integrata e attenta alle competenze e ai desideri espressi, non ha ottenuto
i risultati sperati a causa dei 3 punti sopra elencati, del mancato sostegno continuativo delle associazioni
di categoria (che inizialmente si erano impegnate a trovare tra le loro associate imprese disponibili
all'inserimento - buona parte delle imprese è stata trovata grazie al centro di formazione o su richiesta
delle stesse imprese a CPI, per usufruire di minori costi contributivi-), del ruolo degli attori sindacali che,
pur presenti nel progetto, hanno spinto per allungare il “limbo” della cassa integrazione guadagni
straordinaria senza investire su reali e “istituzionalizzate” misure di accompagnamento al lavoro.
4 Generale convinzione della scarsa efficacia dell’offerta di possibilità di re-impiego da parte delle strutture
pubbliche e formative, in quanto l'esperienza spessordinaria per 12 mesi per 121 lavoratrici (poi ridotti a
107, in quanto 7 hanno trovato autonomamente nuova occupazione). In questa fase viene elaborato,
finanziato e implementato il percorso di reinserimento, che vedremo più nello specifico.
2005-2006: cassa integrazione straordinaria per 24 mesi: grazie ad un accordo fra sindacati, Ministero del
Lavoro e istituzioni locali (comune e provincia di Ferrara) è stato concesso un anno aggiuntivo rispetto a
quanto previsto dalla normativa.
2007: al termine del periodo di CIGS, i lavoratori entrano in Mobilità, con durata differenziata a seconda
dell'età delle persone beneficiarie (vedi paragrafo sul sistema degli ammortizzatori sociali).
Il percorso di reinserimento, caratteristiche, svolgimento e risultati.
Per supportare il reinserimento lavorativo delle lavoratrici in CIGS, l'Unione degli Industriali di Ferrara, la
Provincia, la Regione e le 3 organizzazioni sindacali (inserite su loro richiesta assieme ai propri centri di
formazione prima della presentazione del progetto) firmarono un accordo per la creazione di un percorso
integrato di reinserimento rivolto alle 121 dipendenti della L&A Production.
All' inizio del percorso sono stati spediti 121 inviti per lettera, seguiti da telefonate di riscontro. Dopo di che
sono stati realizzati 4 incontri di gruppo presso i CPI di Ferrara (3) e di Codigoro (1) per presentare l'iniziativa
a tutti gli ex dipendenti (febbraio 2004), che hanno partecipato nel numero di 84 (69%).
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RE-START
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Si sono tenuti 80 colloqui individuali33 (66% del totale) di un'ora ciascuno presso i centri per l'impiego di
Ferrara, alla presenza del personale del CPI e del centro di formazione professionale. 10 persone hanno
abbandonato il percorso dal principio, 2 hanno raggiunto il pensionamento. Le 25 persone che non avevano
dato nessun riscontro sono state contattate ma, per diversi motivi, hanno comunicato di non voler
partecipare (non interesse, impossibilità momentanea).
A seguito degli incontri con i singoli lavoratori, sono stati condotti,dei colloqui con imprese del territorio per
sondare e pianificare opportunità e percorsi di inserimento per le lavoratrici ex Zanolini (questa attività
avvenne durante tutto il percorso, con maggiore intensità nel passaggio tra cigs e mobilità).
Sulla base dei colloqui individuali, sono stati creati 4 gruppi per l'attivazione delle attività formative di base
(52 ore- contenuti: Ruoli professionali e socializzazione primaria; organizzazione aziendale e elementi di
autoimprenditorialità, comunicazione in ambito di lavoro, informatica, rimotivazione e analisi mercato del
lavoro, pari opportunità). A questa proposta formativa hanno partecipato 56 ex dipendenti (46%).
Inoltre, sulla base delle disponibilità espresse dalle partecipanti, si è applicato un metodo sperimentale, detto
APL (Accreditation of Prior learning), che prevedeva diverse fasi di analisi, bilanci di competenze e
valutazione sul campo dei singoli34. Nel corso della prima fase di questo percorso di orientamento, le ex
dipendenti si erano rese disponibili a lavorare in settori diversi dal tessile. Era infatti emerso che neanche il
10% delle ex dipendenti voleva trovare una occupazione nello stesso settore. I principali motivi risultarono
essere: la presenza nel settore tessile di un difficile clima relazionale, la percezione che il tessile fosse un
settore in crisi, la mancanza di crescita professionale, ritmi di lavoro stressanti e bassa retribuzione. La
maggior parte aveva invece espresso disponibilità ad essere inserita in altri settori, in particolare: Lavanderia
industriale, infanzia, grande distribuzione, Industria e magazzini. A seguito delle “prove sul campo” (visite
aziendali) nei settori prescelti previste dal percorso APL, sono stati attivati degli stage di orientamento,
solitamente della durata di 2 mesi in cui erano previste forme di tutoring, di supporto motivazionale e di
conciliazione tempi vita-lavoro.
Per l'inserimento mirato in altre aziende che richiedevano competenze specifiche, si è fatto ricorso a
formazione Just in time, finanziata dalla Regione. Esempio significativo è stata la formazione Just in time
richiesta per l'inserimento lavorativo in I-Fashion Spa. Il corso si componeva di 240 ore di formazione per 14
dipendenti. Dopo 6 mesi, il corso venne interrotto a causa della insoddisfazione espressa dalla azienda per
le partecipanti al corso, a suo giudizio inabili a lavori di alta sartoria. Il percorso è stato interrotto e i
finanziamenti restituiti alla Regione. Solo 2 dipendenti sono state assunte nell’impresa.
Furono condotte ulteriori azioni di incrocio domanda offerta, es. altri incontri di orientamento al lavoro alla
presenza di esponenti di associazioni di categoria e responsabili di imprese del territorio, incontri per la
valutazione dei percorsi formativi e loro evenutale miglioramento, ulteriori incontri con il CPI etc.
In sostanza, tra le ex dipendenti che hanno partecipato a questo percorso di re-inserimento, su 21 posti
offerti da 13 aziende tessili, solo 3 persone hanno trovato occupazione (come abbiamo visto, la maggior
parte delle ex dipendenti Zanolini non volevano lavorare ancora nel tessile); su 10 posti offerti, 5 hanno
trovato occupazione in una azienda di automazione; su 6 posti offerti, 2 sono andate in una impresa del
settore chimico-lenti; e su 6, due posti sono stati coperti in una impresa di servizi e ristorazione-pulizie.
In totale, su 43 posti offeri, 11 hanno trovato occupazione.
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34
Le caratteristiche degli utenti emerse dai colloqui: oltre il 36% aveva una età compresa tra i 40 e i 50 anni. La
maggior parte viveva a Ferrara e l'87% aveva un titolo di studio che non andava oltre le scuole medie.
Il percorso APL messo in atto era composto di 7 fasi: 1) Raccolta anamnestica (bilancio di competenze, capacità e
potenzialità) 2) Analisi materiale fasi precedenti (colloquio di approfondimento e scheda di valutazione) 3)
Networking (analisi di capacità di lavoro in gruppo) 4) Percorso di orientamento guidato (ricostruzione bilancio di
carriera, valorizzazione esperienze pregresse, riconoscimento capacità); 5) Valutazione sul campo (pre-stage, sul
campo delle capacità del singolo verso lo specifico settore emerso) 6) Attestazione personalizzata (riproposizione su
supporto informatico delle competenze possedute e acquisite nel corso del percorso APL 7) Valutazione sul campo
di un tecnico esterno (a fine prova pratica, valutazione tra staff APL e tecnico esterno che testerà sul campo il
soggetto.
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RE-START
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Non tutte le lavoratrici hanno seguito questo percorso di re inserimento: altre, appoggiandosi ad altri centri di
formazione in altre aree della provincia hanno trovato occupazione in altre realtà lavorative (soprattutto del
settore meccanico).
In altri casi ancora, le ex dipendenti hanno trovato occupazione da sole o su intermediazione del sindacato
oppure hanno sfruttato le indennità erogate per raggiungere la pensione o per dedicarsi esclusivamente alla
cura della famiglia.
Sulla base della analisi del caso specifico e dei giudizi espressi dagli intervistati è possibile identificare altri
elementi della vicenda:
Durante il periodo in cui le persone beneficiavano dell'integrazione al reddito (cig, cigs, mobilità)
cercavano di aumentare il proprio salario effettuando lavori in nero (spesso con forme di rimborsi spese),
sfruttando la parte di salario garantita per dedicarsi alla cura della famiglia o attendendo il
raggiungimento dell'età pensionabile senza cercare altra occupazione.
Il fatto che molte lavoratrici durante il periodo di CIGS non abbiano voluto partecipare ai corsi o li
abbiano abbandonati, è da imputare sia al fatto che non volevano più lavorare nel settore tessile, ma
anche al fatto che non rischiavano di perdere l'indennità (nessuna sanzione) né venivano invogliate a
farlo (incentivo). A questo proposito, economicamente parlando, conveniva condurre un' attività in nero
che garantiva entrate maggiori, piuttosto che seguire un corso di formazione disponendo della sola
indennità di cassa integrazione.
Quasi sempre la ricerca del lavoro incominciava all'avvicinarsi della scadenza della mobilità.
L'azione formativa per quanto integrata e attenta alle competenze e ai desideri espressi, non ha ottenuto
i risultati sperati a causa dei 3 punti sopra elencati, del mancato sostegno continuativo delle associazioni
di categoria (che inizialmente si erano impegnate a trovare tra le loro associate imprese disponibili
all'inserimento - buona parte delle imprese è stata trovata grazie al centro di formazione o su richiesta
delle stesse imprese a CPI, per usufruire di minori costi contributivi-), del ruolo degli attori sindacali che,
pur presenti nel progetto, hanno spinto per allungare il “limbo” della cassa integrazione guadagni
straordinaria senza investire su reali e “istituzionalizzate” misure di accompagnamento al lavoro.
Generale convinzione della scarsa efficacia dell’offerta di possibilità di re-impiego da parte delle strutture
pubbliche e formative, in quanto l'esperienza spesso dimostra ai lavoratori che si trova più facilmente
lavoro attraverso reti “amicali” o tramite conoscenze personali.
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CASE STUDY N. 2: il caso Stayer
Il secondo caso prende in considerazione un esempio di gestione in cui, la quasi totalità di personale in
esubero (quasi tutti uomini), proveniente da una grande impresa, ha trovato ricollocazione. L'interesse del
caso consiste nell'analizzare in che modo questa ricollocazione è avvenuta e che ruolo vi hanno giocato gli
attori normalemente coinvolti in questi processi (azienda, sindacato, enti pubblici/Centro per l'impiego). In
questo secondo caso, infatti, non è stato previsto nessun tipo di intervento “integrato di ricollocazione” per i
lavoratori. E' interessante, paragonare questo caso a quello della Zanolini (case study n. 1) per diversi
motivi: sono avvenuti quasi nello stesso periodo, hanno prodotto modalità di gestione (e relativi esiti)
differenti, permettono un confronto tra i ruoli svolti dai vari soggetti coinvolti (sindacati, azienda, centri di
formazione professionale, servizi pubblici, istituzioni).
Stayer era un’azienda meccanica di Ferrara (nata nel 1958), specializzata nella produzione e
commercializzazione di elettroutensili che ha cessato l’attività nel 2004 a seguito di dichiarazione di
fallimento, dovuta principalmente al mancato pagamento dei fornitori.
Fino al 2002 occupava 300 addetti, scesi poi a 113 nel 2004 al momento delle procedure fallimentari.
La crisi aziendale societaria si era già aggravata nel 2003, a causa delle accennate difficoltà finanziarie,
quando il management chiese ai sindacati la possibilità di attivare la Cig ordinaria, proposta che le
organizzazione dei lavoratori respinsero, in quanto si attendevano la definizione di un piano industriale di
rilancio delle attività, mai presentato dalla proprietà.
Nel 1999 e nel 2001 l’azienda aveva attivato dei percorsi di mobilità incentivata per ridurre i dipendenti e
contenere il costo del personale: uscirono complessivamente 50 addetti.
Al momento del fallimento (maggio 2004) e della cessazione della produzione, è stata attivata la CIG
Straordinaria per i 113 dipendenti rimasti, per la durata di 12 mesi.
Durante il periodo di Cigs, 17 persone hanno trovato altra occupazione autonomamente tramite conoscenze
personali o mettendosi sul mercato.
Alcuni hanno aperto una propria attività con partita IVA (diventando lavoratori autonomi o liberi
professionisti), mentre altri (10) hanno inviato la propria candidatura presso aziende locali (artigiane e
metalmeccaniche), riuscendo ad essere assunti grazie a:
- professionalità e competenze tecniche acquisite presso Stayer1 (la struttura professionale dei
dipendenti dell’azienda, secondo l’intervisto, era di alto livello e le persone avevano alta occupabilità);
- i vantaggi fiscali di cui potevano godere le aziende assumendo lavoratori in CIGS, anche se questo dato
appare meno rilevante in quanto lo stesso tipo di sgravio non è avvenuto per le donne licenziate da
Zanolini.
Al termine dei 12 mesi di Cigs per 91 lavoratori è stata poi avviata la mobilità.
Di questi, 12 hanno continuato il periodo di mobilità fino alla maturazione dei requisiti della pensione, mentre
i restanti 74 hanno trovato nuova occupazione. In questa direzione ha svolto un ruolo importante il CPI della
provincia di Ferrara.
La durata della mobilità è stata differenziata a seconda dei requisiti previsti dalle normative in materia di
regolazione dell’istituto.
Durante questo periodo è stato rilevato un comportamento diversificato fra i 74 lavoratori, legato a
caratteristiche personali: alcuni, specie i più giovani, hanno trovato velocemente nuova occupazione (grazie
all’elevata domanda delle imprese e alle competenze tecniche spendibili), altri hanno aspettato alcuni mesi
per “trovare una occasione migliore”, sfruttando il fatto di essere percettori di reddito.
Altra cosa desunta dalle interviste è relativa al fatto che alcune persone (sempre durante la mobilità) hanno
accettato solo contratti a termine nella speranza che il curatore fallimentare trovasse acquirenti intenzionati a
fare ripartire la produzione di Stayer e potere così essere reintegrati presso il proprio posto di lavoro.
Nel momento di attivazione della CIGS, il CPI, ha organizzato, assieme al sindacato, una riunione
informativa con tutti i lavoratori sulle procedure “amministrative” da espletare per l’accesso e la fruizione dei
benefici della CIGS e della mobilità.
Nel caso Stayer, a differenza di quello Zanolini, le istituzioni locali (Provincia) e Centro per l’Impiego non
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hanno attivato un programma specifico di reinserimento sul mercato del lavoro. Il CPI ha raccolto i curricula
1 L’intervistato ha riferito di essere stato impiegato presso Stayer per 25 anni.
che le singole persone inviavano e ha incrociato le professionalità con le offerte disponibili ed ha erogato
servizi come il bilancio di competenze. Inoltre, pur in assenza di specifico accordo, il sindacato ha agito in
concerto con il CPI per la ri-collocazione degli ex- dipendenti. Ad esempio, il sindacato inviava al CPI un
elenco aggiornato in cui erano indicati i dati anagrafici, mansioni e retribuzione percepita dei lavoratori, per
agevolare l’incrocio con le offerte disponibili.
Alcune aziende del territorio (tra cui VM e Berco) diedero la propria disponibilità ad inserire alcuni lavoratori
ex Stayer.
Tali imprese disponibili ad inserire personale sono state identificate o su autosegnalazione delle stesse al
CPI o su indicazione dei centri per l'impiego o del sindacato.
La segnalazione dei lavoratori alle imprese avveniva tendendo conto delle situazioni personali dei singoli (es.
carichi familiari) e dell professionalità.
Alcune conclusioni e punti di apprendimento dal caso Stayer.
I servizi pubblici, in questo caso, non hanno attivato specifici processi di ri-allocazione integrati come nel
caso Zanolini, dove, invece, si era costruito un percorso complesso di reimpiego che coinvolgeva
direttamente le associazioni rappresentative di categoria e i centri di formazione.
Le reti di conoscenza personale e l’attivismo dei singoli individui hanno portato le persone a trovare nuova
occupazione (soprattutto per i giovani tecnici specializzati).
Il sindacato si è adoperato per un reinserimento lavorativo, rapido e congruo con la posizione precedente.
E' interessante notare come, nello stesso periodo, gli iscritti alle liste di mobilità in provincia vedevano
sostanzialmente presenti i lavoratori della Stayer e le lavoratrici della Zanolini e come la ricollocazione dei
primi sia stata molto più veloce di quella delle seconde, per le quali, oltre ad percorso integrato di
ricollocazione, il percorso degli ammortizzatori sociali era stato più lungo. Le motivazioni principali sono
ascrivibili alle caratteristiche dei lavoratori: uomini con alta specializzazione da una parte (che li rendeva
spendibili in altre aziende del territorio), donne per lo più di mezza età dall'altra, con bassa
specializzazione e che non avevano intenzione di continuare a lavorare nel settore.
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Siel Impianti: riqualificazione e reimpiego di 200 lavoratori.
SIEL Euroimpianti, azienda di Roma è nata nel 1980, ed è specializzata in impiantistica elettrica, idraulica, termica. Dal
2005 si è diversificata aprendosi a nuove aree d’affari, nella produzione informatica e logistica.
Dal 1° gennaio 2006 ha assunto tutto il personale ex Celestica (società industriale canadese che ha cessato l’attività),
del sito industriale di Santa Palomba, in provincia di Roma, grazie a un accordo siglato con i sindacati.
Celestica era una multinazionale canadese, arrivata in Italia nel 2000 che aveva rilevato un ramo d’azienda da IBM, che
stava uscendo dal business dell’informatica.
L’azienda in Italia aveva due stabilimenti produttivi uno a Vimercate (Milano) e il secondo a Santa Palomba (circa 400
dipendenti): quest’ultimo è stato dimesso nel 2003 e tutti gli addetti sono stati avviati alla Cassa Integrazione
Straordinaria, in attesa di un imprenditore che rilevasse e rilanciasse l’attività, anche in settori diversi rispetto all’ambito
informatico: ciò è avvenuto, grazie alla Siel Euroimpianti, che ha assunto il personale.
La vicenda Siel-ex Celestica costituisce una delle prime sperimentazioni di successo in Italia della sinergia fra il ruolo di
governance degli enti locali e l'applicazione degli strumenti nazionali in materia di politiche attive del lavoro.
L’esperienza svolta ha rappresentato un innovativo progetto di politica industriale e di riqualificazione che ha portato alla
riallocazione in azienda di oltre 200 lavoratori (75% uomini, 25% donne, per lo più di età compresa tra i 38 e i 40 anni).
Oltre agli ammortizzatori sociali, sono state realizzate da imprese di servizio esterne, attività specifiche e di supporto alle
persone, come percorsi di formazione, orientamento al lavoro, aggiornamento e riqualificazione sulla base di un progetto
finanziato (per un valore comolessivo di 1 milione di euro) alla Regione Lazio dal Ministero del Lavoro, terminato a
febbraio 2007 (era iniziato nel 2003, con la chiusura dello stabilimento di Santa Palomba da parte della multinaizonale
Celestica).
All’inizio si è fatto ricorso alla Cassa integrazione guadagni straordinaria (giustificata dalla ricerca di un nuovo
imprenditore interessato a rilevare l’attività), poi alla mobilità (per agevolare l’eventuale acquirente con i benefici
contributivi previsti per chi assume questi lavoratori), all’outplacement (per favorire la ricollocazione professionale di
coloro che intendevano seguire altri percorsi) e alla formazione professionale (per garantire la necessaria
riqualificazione dei lavoratori che sono stati assunti dalla nuova impresa).
Uno dei princiali punti di forza del progetto è stato rappresentato dalla firma di un accordo sindacale (che ha individuato i
beneficiari dell’intervento formativo e di riqualificazione professionale) e dalla realizzazione di un progetto personalizzato
di sostegno all’occupazione.
Fra le azioni più importanti realizzate a favore delle persone, sono stati organizzati colloqui di orientamento individuali, il
bilancio di competenze e attività di orientamento al lavoro (volte alla motivazione dei lavoratori), oltre ad un servizio di
tutoraggio interattivo realizzato per via telematica.
Successivamente alla fase di orientamento, sono stati realizzati interventi formativi in aula, con moduli di informatica,
organizzazione aziendale e tecniche per la gestione di clienti e fornitori, ma anche di contabilità e bilancio.
Approfondimento anche del diritto del lavoro.
Sono stati alternati momenti di formazione forntale, lavori di gruppo ed esercitazioni pratiche.
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RE-START
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Progetto COR
Il progetto COR Centri Operativi di Ricollocamento, è stato realizzato in due edizioni, nel 2005 e nel 2006 (COR 2) in
provincia di Torino.
La prima edizione si poneva come obiettivo la ricollocazione professionale di lavoratori licenzianti da piccole imprese
(sopratutto artigiane) e in mobilità non indennizata (over 40).
Nella seconda edizione la platea dei beneficiari è stata ampilata e oltre alle persone in mobilità non indennizata (L
236/93) è stata rivolta a persone licenziate, precari con contratti scaduti (contratti a progetto e lavoratori interinali e
contratti a termine scaduti e non rinnovati) e lavoratori socialmente utili. Di seguito si da conto delle risultanze
dell’edizione 2005.
Il progetto è stato annoverato tra le buone pratiche di ricollocazione ed è stato assunto come iniziativa pilota nell’ambito
delle nuove politiche per il lavoro dalla Regione Piemonte.
Il programma è stato implementato in provincia di Torino come risposta alla crisi produttiva della Fiat e al suo impatto
sull’indotto di fornitura.
Circa 10 comuni della cintura torinese (particolarmente penalizzati dalla crisi) avevano messo a disposizione “un euro”
per ogni residente (come forma di autotassazione per la creazione di un fondo ad hoc) per il sostegno al reddito delle
persone coinvolte nel programma, mentre la Provincia ha finanziato un percorso di outplacement.
L’implementazione del progetto ha viso un’ampia azione di concertazione realizzata dalla provincia di Torino neo
confronti dei comuni coinvolti e dei soggetti privati.
Le azioni sono state svolte da un’ATI, che oltre agli enti pubblici ha coinvolto soggetti privati, come le Agenzie per il
lavoro interinale.
Le attività di servizio sono state svolte presso i Centri per l’Impiego ed hanno avuto una durata complessiva di dodici
mesi.
Il programma (si prendono in considerazione le risultanze delle seconda edizione) è stato realizzato nelle seguenti
macrofasi :
1. Contatto
Sono state individuate le persone dai CPI, tramite gli elenchi di lavoratori in mobilità, senza indennità, precari e LSU. Le
persone sono state convocate e informate sulle caratteristiche del progetto, sui tempi e sui contenuti, tramite la tecnica
degli incontri di gruppo e colloqui individuali.
In questa fase è anche stato sottoscritto il PATTO DI ADESIONE, con i reciproci obblighi e doveri dei partecipanti.
2.Orientamento
E’ stato ricostruito per ciascun partecipante, con il supporto dei consulenti, il percorso professionale, l’analisi delle
mansione svolta nell’ultimo lavoro, le conoscenze e le competenze acquisite nella vita professionale ed extra
professionale.
3. Progetto individuale
E’ stato predisposto il curriculum vitae, sono stati realizzati dei moduli formativi per sostenere la motivazione al lavoro,
unitamente tecniche di comunicazione per sostenere i colloqui di lavoro.
Approfondimenti sono stati realizzati anche sulle innovazioni in materia di lavoro.
4. Ricollocazione
In questa fase è stata attivata assistenza ai lavoratori e alle aziende interessate alle assunzioni.
Sul versante aziendale si è provveduto ad attivare contatti per promuovere le candidature e reperire opportunità di
lavoro, con innovativi strumenti come la creazione di un book (creazione dei profili profesisonali), marketing (contatti
telefonici verso aziende del territorio, finalizzato alla ricerca di posti di lavoro disponibili, seguite da visite dirette presso
le società per presrentare l’iniziativa e raccogliere opportunità di lavoro), costruzione di una mailing list e realizzazione
(anche sulla base dei contatti avviati con le società) di una bacheca delle opportunità di lavoro, per favorire ulteriori
opportunità.
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RE-START
National Report Italy-CDS Centro Documentazione e Studi
Per le persone è stato attivato un centro di ricollocazione, attivato per tutta la durata del progetto per supportare con la
presenza degli operatori, la ricerca autonoma di lavoro. Le persone sono state accompagnate dagli operatori sia nella
fase del colloquio di selezione, sia durante la fas di inserimento in azienda con con il supporto telefonico per ogni
necessità che potrà sorgere durante l’inserimento.
Per le persone sono stati attivati ulteriori laboratori di confronto, realizzati in aula presso il CPI dove le persone hanno
potuto confrontare e socializzare le esperienze.
Al progetto si sono iscritte 617 persone, mentre 517 sono rimaste attive fino alla conslusione del percorso di
ricollocazione. Per qualifica funzionale il 61% erano operai, il 37% impiegati e il 2% quadri.
Il 62% del erano over 40.
Il numero complessivo delle ricollocazioni in azienda è stato pari al 70% (357 persone), di cui l’83% con contratti di
lavoro a tempo determinato (le società hanno potuto usufruire degli incentivi previsti dalla legge per persone in stato di
mobilità), il 10% con contratti a tempo determinato e il 7% con contratti di somministrazione. La maggioranza è stato
ricollocato nello stesso settore di attività da cui era stato espulso.
Uomini e donne hanno avuto la medesima possiblità di riallocazione.
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Progetto L3 CLUB
Progetto Equal, nato per dare risposta alla crisi del distretto tessile della provincia di Biella, segmento produttivo: filature.
Nel distretto erano operative imprese di piccole dimensioni con prodotto di media qualità, spesso senza marchio proprio,
specializzate nella sub fornitura, con scarse dinamiche di innovazione (produttiva e organizzativa), che hanno risentito
particolarmente della spinta competitiva e sono state costrette a ristrutturarsi e riorganizzarsi, spesso con riduzioni di
personale.
Il programma è stato avviato avviato nel 2005 e si è concluso nel 2007.
Il programma è stato rivolto a figure deboli del mercato del lavoro e nello spcifico a donne adulte (Over 40) in mobilità o
in CIGS, da ricollocare sul mercato del lavoro.
Il progetto ha consentito di rafforzare le attività orientative presenti presso il Centro Servizi Integrati per l’impiego ed ha
consentito interventi specifici sui lavoratori coinvolti dalla crisi attraverso la sperimentazione di un percorso finalizzato al
reinserimento professionale innovativo, sia dal punto di vista della strategia che per gli strumenti utlizzati.
Il progetto ha agito congiuntamente sui lavoratori e sulle imprese. Per i primi sono stati realizzati dei processi di
accompagnamento e orientamento verso percorsi di riprofessionalizzazione, mentre per le imprese è stato creato un
club con il quale affrontare le tematiche della crisi del settore ed individuare nuove nicchie di mercato in cui potere
reinserire i lavoratori opportunamente formati.
Il progetto è stato sostenuto dalla Regione Piemonte ed ha avuto una durata complessiva di 30 mesi, ed è stato
sviluppato in ATI fra enti locali (comuni e provincia), fondazioni e imprese private.
Il modello di ccopoerazione territoriale sviluppato ha coinvolto numeroso Attori Territoriali: istituzionali (Provincia, Centro
per l’Impiego e Città Studi), sociali (Organizzazioni sindacali e Unione Industriali) ed economici (imprese). Nel processo
sono stati coinvolti i protagonisti del processo di lavoro: imprenditori e lavoratori. L’esperienza ha permesso di superare
una vecchia modalità di approccio alle crisi (finalizzata a stabilire accordi formali fra le parti), per sviluppare un processo
di apprendimento collettivo, nell’ottica del modello di community.
Per i lavoratori è stato creato un percorso di ricollocazione articoltato in diverse attività che hanno portato, dopo
l’identificazione del fabbisogno delle persone alla costruzione e alla realizzazione di strumenti informativi, orientativi e di
accompagnamento: oposcoli informativi e materiale promozionale rivolto alle aziende.
Il progetto è intervenuto contemporaneamente sui lavoratori e sulle imprese e fra gli obiettivi prioritari aveva quello di
ridurre il rischio di eslusione dal mercato del lavoro.
Per quanto riguarda i lavoratori il CPI ha svolto le seguenti azioni:
convocazione delle persone in cigs o mobilità presso il CPI.
accoglienza: presentazione del progetto, conferma della partecipazione al progetto e definizione del
percorso orientativo individuale. Alternanza fra momenti di colloquio individuale e laboratori di gruppo.
percorso di bilancio professionale:
a. conduzione attività orientativa strutturata in colloqui individuali
b. definizione dell’obiettivo profesisonale delle persone
c. Stesura del curriculum
d. Inserimento dati personali nella banca dati Biella Lavoro e illustrazione dell’utilizzo
e. Promozione di oportunità offerte dai partner del programma
f. Compilazione di schede personali
condivisione con gruppo di preselezione: analisi di gruppo e socializzazione delle esperienze.
Fra gli strumenti utilizzati sono stati “creati” in collaborazione fra i consulenti del progetto e le persone coinvolte nel
progetti, dei KIT specifici: strumenti di informazione personalizzati (contenenti oerientamenti generali sul mercato del
lavoro, sul diritto del lavoro...) e materiale per la ricerca attiva del lavoro.
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Il percorso ha coinvolto 91 soggetti (27 uomini e 64 donne) in mobilità o Cigs provenienti dal settore tessile. Il 92% erano
persone over 40.
Le persone ricollocate in azienda sono state 34 (38%), di queste l’82% è stato ricollocato a tempo determinato (12 mesi
di contratto di lavoro), il 6% a tempo indeterminato e il 12% con contratti di somministrazione.
Il progetto ha permesso di stabilire un’interazione tra Centri per l’Impiego ed imprese per promuovere servizi di
consulenza e di partnership nel reclutamento del personale e nella gestione dei contratti di lavoro e di sperimentare
azioni di orientamento verso i lavoratori in CIGS/Mobilità per sostenerli nella ricerca di nuova occupazione. Tutto
avvenuto in collaborazione con le associazioni di rappresentanza.
Il coinvolgimento delle imprese ha permesso ai CPI di stipulare 83 accordi di servizio fra CPI e le imprese per il reciproco
scambio di informazioni, sui fabbisogni delle imprese, ma anche per monitorare lo stato di crisi del settore produttivo.
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BIBLIOGRAFIA
Barbieri M., Lavoro e diritto tra mercati e poteri, relazione al convegno “I diritti del lavoro e le pretese dell’economia”,
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Integrated pathways for adults working (re)integration