Lezione C2. L’inadempimento: nesso di causalità e onere probatorio
commissivo, dovendosi, in altri termini, accertare il collegamento evento/
comportamento omissivo in termini di probabilità inversa, onde inferire che
l’incidenza del comportamento omesso si pone in relazione non/probabilistica con l’evento (che, dunque, si sarebbe probabilmente avverato anche
se il comportamento fosse stato posto in essere), a prescindere, ancora,
dall’esame di ogni profilo di colpa intesa nel senso di mancata previsione
dell’evento e di inosservanza di precauzioni doverose da parte dell’agente.
5. La responsabilità medica dopo la legge Balduzzi. Ambito di applicazione
Si è accennato nei paragrafi precedenti a taluni aspetti della responsabilità
medica, soprattutto in termini di nesso di causalità e di riparto dell’onere
probatorio.
La disamina della responsabilità del sanitario non può ritenersi, tuttavia,
completa, senza un’accurata analisi dell’incidenza che, in subiecta materia, ha prodotto la recente novella legislativa contenuta nel D.L. 158 del
2012, meglio noto come decreto Balduzzi, che, da un lato, pare ridisegna­
re i confini della colpa medica e delle relative modalità di accertamento
e, dall’altro, ha introdotto dei parametri univoci per la liquidazione del
danno.
La formula iniziale del decreto, contenuta nell’art. 3, disponeva che:
«Fermo restando il disposto dell’articolo 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa lieve nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie
il giudice, ai sensi dell’articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone
pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale».
La formulazione normativa poco o nulla aggiungeva allo “stato
dell’arte” in materia di responsabilità professionale; essa, peraltro, più
che ad un’esigenza di chiarezza normativa, sembrava voler dare adito – in
maniera, per di più, poco riuscita – alle richieste di alleggerimento della
posizione debitoria dei medici.
Il disposto, invero, non interveniva in maniera diretta sulla normativa codicistica di riferimento ma, in veste di lex specialis, precisava, con riguardo
al fulcro della responsabilità professionale (i.e., l’art. 1176, comma 2, c.c.),
che nell’accertamento della colpa lieve in attività sanitaria il giudice
dovesse tener conto “dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida
e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e
internazionale”. Ebbene, come noto, il secondo comma dell’art. 1176 c.c.
focalizza già, ed in maniera peraltro perentoria, l’attenzione dell’interprete
sulla «natura» dell’attività esercitata.
95
lezioni e sentenze di diritto civile
L’interprete, infatti, già prima della novella legislativa, era chiamato
a condurre l’analisi del caso concreto rapportando quest’ultimo alle c.d.
leges artis della relativa professione, ovverosia a tutto ciò che comunemente va sotto il nome di miglior letteratura scientifica sul punto.
In sede di conversione l’illustrato testo normativo è stato sottoposto ad
una profonda revisione.
In particolare con il primo comma dell’art. 3 del D.L. 13 settembre 2012,
n. 158 (così come modificato in sede di conversione) il legislatore ha stabilito che “1. L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della
propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla
comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi
resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il
giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
Espunto il richiamo all’articolo 1176 del codice civile, l’osservanza
delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica costituisce apparentemente una scusante, limitatamente alla sussistenza della colpa lieve, sul versante della responsabilità penale (pur essendo
noto che in tale settore l’intensità della colpa è criterio per la determinazione della pena e non per l’accertamento della responsabilità).
Sul versante della responsabilità civile, la nuova formulazione richiama, invece, “l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile e, come visto,
dispone che il giudice nella determinazione del quantum risarcibile tenga in
debita considerazione la condotta del sanitario.
Degna di menzione è pure la disposizione di cui al terzo comma del
richiamato art. 3 del D.L. 158/12 a tenore della quale “il danno biologico
conseguente all’attività dell’esercente della professione sanitaria è risarci­
to sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, eventualmente integrate con la procedura
di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai
citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti
all’attività di cui al presente articolo”.
Quanto meno per le lesioni c.d. micropermanenti – da 1 a 9 punti percentuali di invalidità – dunque la liquidazione del danno viene fin da subito
ancorata alla tabella di cui all’art. 139 del codice delle assicurazioni (applicabile ai danni da sinistro stradale) ed emancipata dal più favorevole
regime previsto dalle tabelle milanesi.
Quanto alle lesioni macropermanenti – con invalidità superiore a 9 punti
percentuali –, invece, la nuova disposizione è destinata a restare lettera
morta finché non vedrà la luce la tabella di cui all’art. 138 C.d.A.
Quanto all’ambito applicativo della disposizione, si è già detto che la
rubrica dell’art. 3 titola «Responsabilità dell’esercente le professioni sanitarie».
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Lezione C2. L’inadempimento: nesso di causalità e onere probatorio
Se ne dovrebbe ricavare pianamente che la normativa abbia come destinatari senza dubbio ed in primo luogo i medici (e non le strutture sanitarie).
E poi tutti i medici: senza distinzioni di sorta tra liberi professio­
nisti e dipendenti da strutture pubbliche o private accreditate o case di
cura private. Ed, invero, in ambito penale ove, peraltro, viene compiuta
una scelta «forte» nel senso della depenalizzazione di determinati tipi di
condotta, una diversa lettura si presterebbe a più di una censura anche
sotto il profilo costituzionale. Al riguardo, infatti, il Tribunale di Milano (21
marzo 2013) ha rilevato che, in violazione degli artt. 3 e 28 Cost., i sanitari
che fossero pubblici dipendenti «riceverebbero un trattamento differenziato
e sostanzialmente privilegiato rispetto ad tutti gli altri funzionari, dirigenti o
comunque dipendenti dello Stato e degli enti pubblici che, non esercitando
una professione sanitaria, ma pur esercitando una attività che ha una relazione quotidiana con i medesimi beni giuridici (salute, integrità psicofisica
della persona, vita, incolumità pubblica, incolumità individuale, incolumità
di beni, erogazione di un servizio pubblico) non sono graziati dalla colpa
lieve».
Lo stesso dicasi per i parametri risarcitori per la liquidazione del
danno biologico conseguente all’attività del sanitario. In tal senso le puntuali osservazioni del Tribunale di Firenze (12 febbraio 2014), secondo
cui non vi è traccia nel testo di legge della delimitazione della riforma al
solo ambito ospedaliero pubblico quanto ai profili penali, sicché non si
comprende perché solo nella ricaduta civilistica si dovrebbe avallare una
simile lettura.
Come opportunamente rilevato (Breda), infatti, un diverso ragiona­
mento introdurrebbe, peraltro, una differenziazione su due diversi livel­
li: una differenziazione tra medici dipendenti e non, ma anche tra medici e
altri professionisti in genere; ed una differenziazione del campo applicativo
dello stesso art. 3 primo comma, con una interpretazione singolare della norma che avrebbe destinatari singolarmente diversi all’interno di uno
stesso suo unico comma. Ed, invero, i destinatari sarebbero diversi anche
in relazione ai successivi commi del medesimo articolo poiché le norme in
materia assicurativa e quelle in materia risarcitoria tornerebbero a valere
per tutti i medici in maniera indifferenziata (Hazan Zorzit).
Si può eventualmente discutere se oltre ai medici la norma sia diretta
ad altre professionalità quali ad esempio quella infermieristica, o se, invece, il raggio di applicazione della disposizione sia ancora più ampio e tale
da ricomprendere tutti gli operatori sanitari (medici, infermieri ma anche
biologi, farmacisti, psicologi, veterinari, operatori socio sanitari). In questo
senso sembra opinare il Tribunale di Milano, con la richiamata ordinanza
del 21 marzo 2013, che anche sotto questo profilo ha già sollevato la questione di illegittimità costituzionalità della norma nei suoi risvolti penalistici,
97
lezioni e sentenze di diritto civile
seppure va dato atto che la Corte costituzionale con ordinanza n. 295/2013
ne ha dichiarato la manifesta inammissibilità rilevando alcune manchevolezze nell’ordinanza di rimessione e, dunque, ha, per ora, evitato di prendere posizione nel merito delle censure che sono state evidenziate.
Al riguardo parte della dottrina (Pulitanò) ha, al contrario, ritenuto che
la disciplina speciale si riferisce (secondo la riconoscibile intenzione del
testo) alla attività tipica degli operatori sanitari: attività diagnostica e
terapeutica, volta alla cura della salute di esseri umani, con esclusione,
quindi, di veterinari o operatori della sicurezza ambientale.
Tanto premesso in linea generale va evidenziato che all’indomani
dell’approvazione della legge di conversione, l’attenzione degli interpreti
è stata rivolta principalmente a quattro aspetti della disposizione: 1) il
significato del rinvio alla norma di cui all’art. 2043 c.c.; 2) il riferimento,
nella determinazione del quantum risarcibile, alla condotta del sanitario;
3) il riferimento alle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle
assicurazioni; 4) l’osservanza delle linee guide per l’accertamento della
colpa lieve.
Partiamo dal primo profilo.
5.1. Il rinvio alla norma di cui all’art. 2043 c.c.: la responsabilità del
medico ritorna nell’ambito aquiliano?
Come visto, dopo la legge di conversione, il legislatore ha previsto che
“(…) In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del
codice civile”.
Quale significato attribuire a questo rinvio? Il legislatore ha voluto ri­
portare indietro la lancetta della responsabilità medica sulla responsa­
bilità aquiliana?
Non aiutano a comprendere il senso di questo rinvio i lavori parlamentari.
Infatti nella dichiarazione del Ministro della Salute Balduzzi, nella seduta del Senato n. 825 del 30 dicembre 2012, in relazione al nuovo comma
1o dell’art. 3, si è affermato che «la norma non stravolge la disciplina della
responsabilità»; contestualmente, tuttavia, nella Relazione dell’On. Lucio
Barani alla Camera dei deputati sul disegno di legge di conversione, si
legge che il nuovo assetto normativo «rivoluziona il sistema della sanità».
Deve riferirsi, tuttavia, come lo stesso Balduzzi, a commento di un recentissimo arresto del Tribunale di Milano (del 17 luglio 2014, n. 9693, di cui
si dirà infra), abbia ribadito, per la verità in modo sibillino, che non si intendeva, con la norma de qua, sovrapporsi alla giurisprudenza, ma piuttosto
sollecitarla a trovare un equilibrio.
Fatte queste premesse, rispetto al rinvio all’art. 2043 c.c. contenuto
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Lezione C2. L’inadempimento: nesso di causalità e onere probatorio
nell’art. 3 della Legge Balduzzi, si sono distinti in giurisprudenza e dottrina
tre orientamenti.
Un primo riconosce carattere innovativo alla disposizione rispetto al
precedente quadro giurisprudenziale che ricostruiva la responsabilità del
medico dipendente nauta contrattuale da contatto sociale.
Un secondo orientamento ritiene, invece, la norma avente un contenuto
parzialmente innovativo.
Infine un terzo orientamento considera l’art. 3 incapace di influire sulla
ricostruzione sinora vigente in seno al diritto vivente.
Partiamo dall’analisi del primo.
5.1.1. Tesi del carattere innovativo
Un primo indirizzo giurisprudenziale ritiene che il legislatore abbia voluto modificare la natura giuridica della responsabilità medica, riportandola
nell’alveo del torto aquiliano, abbandonato dopo la svolta giurisprudenziale
del 1999, con la sentenza della Cassazione n. 589, di cui si è detto amplius
nella precedente lezione.
In particolare secondo il Tribunale di Varese (Sez. I civile, sent. 26
novembre 2012, n. 1406), la previsione si concilierebbe con l’intento di
scongiurare i rischi legati alla cd. medicina difensiva (con questa intendendosi quel complesso di attività diagnostiche o misure terapeutiche condotte principalmente, non per assicurare la salute del paziente, ma come
garanzia delle responsabilità medico legali seguenti alle cure mediche prestate) e, pertanto, restaurerebbe il regime di responsabilità civile anteriore
al revirement del 1999: in altri termini, il Legislatore consapevole avrebbe
indicato agli interpreti la preferenza del Parlamento per l’orientamento
giurisprudenziale che predica(va) l’applicazione dell’art. 2043 c.c. e
non anche lo schema del cd. contatto sociale qualificato.
In particolare si opina come la struttura della disposizione legislativa, a
ben vedere, sembri abbastanza logica, almeno nel suo sviluppo discorsivo: in sede penale, la responsabilità sanitaria è esclusa per colpa lieve (se
rispettate le linee guida/buone prassi); in sede civile, invece, anche in caso
di colpa lieve, è ammessa l’azione ex art. 2043 c.c.
Così facendo, il Legislatore sembra (consapevolmente e non per dimenticanza) suggerire l’adesione al modello di responsabilità civile medica
come disegnato anteriormente al 1999, in cui, come noto, in assenza di
contratto, il paziente poteva richiedere il danno iatrogeno esercitando l’azione aquiliana. È evidente che l’adesione ad un modulo siffatto contri­
buisce a realizzare la finalità perseguita dal legislatore (contrasto alla
medicina difensiva) in quanto viene alleggerito l’onere probatorio del me­
dico e viene fatto gravare sul paziente anche l’onere (non richiesto dall’art.
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lezioni e sentenze di diritto civile
1218 c.c.) di offrire la dimostrazione giudiziale dell’elemento soggettivo di
imputazione della responsabilità. L’adesione al modello di responsabilità
ex art. 2043 c.c. ha, anche, come effetto, quello di ridurre i tempi di pre­
scrizione: non più 10 anni, bensì 5.
Potendosi, in astratto, ritenere, dunque, che l’art. 3 in esame rappresenti la scelta verso un modello di responsabilità diverso da quello sposato dalla giurisprudenza prevalente, occorre allora interrogarsi circa la
proponibilità di una scelta interpretativa del genere, soprattutto in punto
di compatibilità costituzionale: la risposta, collocando l’interprete negli anni anteriori al 1999, sembrerebbe scontata, in quanto, nel vigore
dell’orientamento pretorio che proponeva come modello di azione
l’art. 2043 c.c., non si era dubitato della costituzionalità di una impostazione del genere.
Il Tribunale di Torino (26 febbraio 2013) ha aderito a tale ricostruzione, ritenendo, tuttavia, operare la responsabilità di cui all’art. 2043 c.c.,
tanto per la struttura sanitaria che per il medico dipendente (non essendo ipotizzabile un diverso regime di responsabilità del medico e della struttura), circoscrivendo, tuttavia, l’operatività della norma ai soli ospedali e
medici pubblici, escludendo, pertanto, la sua applicazione alle cliniche
private e ai suoi medici.
Molto chiare le parole del giudice piemontese nell’ottica dell’inno­
vatività della norma in esame: «l’art. 3 della legge n. 189/2012 cambia,
quindi, il diritto vivente, operando una scelta di campo del tutto chiara (anche se opposta a quella del decreto legge), e congruente con le finalità di
contenimento degli oneri risarcitori della sanità pubblica. Se “resta fermo”
l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c. in tutti i casi in cui il medico (come anche
la struttura nella quale opera) sia chiamato a rispondere del suo operato,
che questo sia penalmente rilevante o meno, significa che la responsabilità
del medico è extracontrattuale. Questo getta alle ortiche la utilizzabilità in
concreto della teorica del contatto sociale, e porta la lite all’interno della
responsabilità aquiliana, con conseguente spostamento dell’onere probatorio tutto a carico della parte attrice».
A sostegno dell’orientamento in esame, inoltre, potrebbe opinarsi
come tra due soluzioni interpretative vada data preferenza a quella
che comporta un superamento di un principio giurisprudenziale, ri­
spetto a quella che, implicitamente, deroga ad una norma positiviz­
zata. Accogliendo la ricostruzione in termini aquiliani della responsabilità
medica, infatti, si deroga alla teorica del contatto sociale coniata dal diritto
vivente e non alla norma di cui all’art. 538 c.p.p. che stabilisce che “quando pronuncia sentenza di condanna, il giudice decide sulla domanda per
le restituzioni e il risarcimento del danno (…). Se pronuncia condanna
dell’imputato al risarcimento del danno, il giudice provvede altresì alla
liquidazione, salvo che sia prevista la competenza di altro giudice”. Di-
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Lezione C2. L’inadempimento: nesso di causalità e onere probatorio
versamente, dovrebbe ritenersi che il giudice penale quando assolve il
medico/imputato, per avere ritenuto che lo stesso abbia agito con colpa
lieve, potrebbe egualmente condannarlo al risarcimento del danno e ciò
in deroga alla norma del codice di rito penale, testè richiamata (che prevede, come visto, la possibilità di condanna al risarcimento del danno
solo in caso di condanna penale), oltreché alla disposizione di cui all’art.
185 c.p. nella parte in cui subordina la sanzione civile del risarcimento del
danno alla sussistenza del reato.
In senso adesivo a questa lettura della norma in esame, autorevole dottrina (Carbone) ha opinato che “il nuovo art. 3 della legge di conversione
8 novembre 2012, n. 189, costituisce una lex specialis o una norma ad
hoc o ad personam per i soli medici del servizio pubblico sanitario,
con lo scopo di escludere la responsabilità penale, in caso di colpa lieve,
di qualificare la responsabilità civile del medico pubblico dipendente
dal servizio sanitario, come aquiliana e non da inadempimento da contatto
sociale, di ridurre il quantum del risarcimento, allo scopo dichiarato di
ridurre i costi del contenzioso anche se a danno del diritto alla salute
del paziente che risulta svantaggiato, quanto meno sotto il profilo dell’onere probatorio, a sua carico, e della prescrizione quinquennale”.
L’autore in parola, a conferma delle proprie conclusioni, aggiunge come
“l’intenzione del legislatore” (art. 12 co. 1 delle disposizioni sulla legge in
generale) di ridefinire in termini aquiliani la responsabilità de qua, la si
evince anche dal fatto che essa è diversamente regolata dall’art. 3 co. 1
del d.l. 158/2012, riscritto dall’art. 3, co. 1, l. 8.11.2012, n. 189.
Infatti, come visto in precedenza, l’art. 3 del d.l. 158/2012 non conteneva alcun richiamo dell’art. 2043 c.c..
In senso critico alla scelta legislativa, inoltre, aggiunge in primo luogo
come la legge de qua – contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale
di Varese, in precedenza illustrate – presenti una difficile tenuta costitu­
zionale (artt. 2, 32 e 117 Cost. sulla tutela della salute come diritto dell’individuo e interesse della collettività) e comunitaria (art. 35 della Carta UE
dei diritti fondamentali sulla “protezione della salute”, ribadito anche dalla recente direttiva CEE 9 marzo 2011, n. 2011/24/UE) in quanto invece
di tutelare il diritto alla salute della persona e il diritto del cittadino
di essere curato dallo Stato, costruisce la responsabilità medica al
solo fine di “ridurre i costi del servizio sanitario”: a) sul piano penale,
escludendo la responsabilità del medico per colpa lieve; b) sul piano
civile, qualificando come aquiliana la responsabilità, riducendo, in tal
modo, i termini della prescrizione e gravando il danneggiato anche dell’onere della prova, finendo, così, con l’intaccare i suoi diritti al risarcimento
dei danni subìti.
In secondo luogo si osserva come il legislatore frettoloso, nel rinviare
alla disposizione di cui all’art. 2043 c.c., non abbia tenuto conto che l’or­
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lezioni e sentenze di diritto civile
dinamento civilistico del codice civile del 1942 conosce le fonti delle
obbligazioni, regolate dall’art. 1173 c.c., e non della responsabilità, che
può esserne una conseguenza, essendo ormai superata la distinzio­
ne tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale
o aquiliana, risalente al codice del 1865; che dottrina e giurisprudenza
riconoscono e prendono atto dello sviluppo di obbligazioni non derivanti
dal contratto, ma direttamente dall’ordinamento, come correttezza e buona
fede (art. 1175 c.c.) con lo svilupparsi della responsabilità da contatto sociale, in tanti altri rapporti non contrattuali.
5.1.2. Tesi del carattere parzialmente innovativo. La tesi del doppio binario. Tribunale di Milano sentenza del 17-23 luglio 2014, n. 9693
In questo secondo filone si distinguono quelle voci (giurisprudenziali e dottrinali) che hanno sostanzialmente differenziato talune posizioni.
Così, come visto in precedenza, per il Tribunale di Torino (26 febbraio
2013), la rilevanza applicativa dell’art. 3 primo comma e del riferimento ivi
contenuto all’art. 2043 c.c. varrebbe solo per i medici pubblici dipenden­
ti e le strutture pubbliche. Sarebbero perciò escluse le strutture private.
Altra tesi (Cajazzo, Marzano) sostiene che la responsabilità extracon­
trattuale debba operare solo nelle ipotesi di colpa lieve (dato che la
norma recita «in tali casi»), mentre in quelle di colpa grave o di dolo dovrebbe permanere il più rigido regime della responsabilità contrattuale.
Questa opinione, pur supportata dal tenore letterale della norma, è soggetta a critiche (Carbone), in quanto farebbe dipendere il regime di responsabilità dal comportamento assunto dall’operatore sanitario, anziché dal
relativo regime delle fonti (art. 1173 cod. civ.).
Altri ancora (Scovazzi) affermano che la norma abbia voluto, col riferimento all’art. 2043 cod. civ., semplicemente richiamare la risarcibilità
del solo danno patrimoniale, qualora non sia ravvisabile un reato: in
altri termini, nei casi di assenza di rilevanza penale, dovrebbe operare l’art.
2043 cod. civ. e il risarcimento del danno patrimoniale; mentre nei casi in
cui il medico fosse incorso in responsabilità penale (non avendo rispettato
le linee guida e le buone pratiche accreditate, o non vertendo in colpa lieve) troverebbe applicazione l’art. 2059 cod. civ., in combinato disposto con
l’art. 185 cod. pen. (con conseguente risarcimento anche del danno non
patrimoniale). In senso contrario, si è tuttavia evidenziato (Querci) che
l’art. 2043 cod. civ. opera in ogni caso di violazione del neminem laedere
e che l’interpretazione di cui sopra confligge con la consolidata distinzione
fra danno «evento» e danno «conseguenza».
Un’ulteriore opinione (Capecchi), facendo sul disposto dell’ultimo periodo dell’art. 3, sottolinea che la finalità della norma sarebbe piuttosto quel-
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commissivo, dovendosi, in altri termini, accertare il collegamento