European Cardiology
Baxter Supplement
European Cardiology
Chirurgia della radice aortica
in un paziente con sindrome
di Marfan e con “fragilità
familiare” dell’ostio coronarico
destro: utilizzo strategico del
sigillante chirurgico Coseal.
L. Chiariello et al.
Applicazione di falda di
collageno (Gentafleece) dopo
vacuum-assisted closure
therapy per il trattamento di
un caso di empiema pleurico
cronico complicato da
microfistole multiple del
parenchima polmonare
E. Passera et al.
Trauma penetrante del torace.
Case report.
G.M. Buonanno et al.
Utilizzo di Coseal nel “cutdown” chirurgico della
femorale comune durante
esclusione endovascolare di
aneurisma aortico
P. Trabattoni et al.
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European Cardiology Review
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Chirurgia cardiaca
Chirurgia della radice aortica in un paziente con sindrome di Marfan e con “fragilità
familiare” dell’ostio coronarico destro: utilizzo strategico del sigillante chirurgico Coseal.
Lu ig i C hi ari el lo MD , F ab io Be rto ld o M D, Ph D, An to nio S caf ur i M D
U.O.C. Cardiochirurgia, Fondazione PTV “Policlinico Tor Vergata”, Roma, Italia
Abstract
La chirurgia dell’aorta toracica ascendente si associa ad un aumentato rischio di sanguinamento postoperatorio, soprattutto nei casi in cui la
procedura coinvolge la radice aortica. Infatti, in tali circostanze la necessità del reimpianto degli osti coronarici sulla protesi vascolare aumenta questo rischio ed inoltre comporta un rischio aggiuntivo di complicanze a carico non soltanto degli osti coronarici, ma anche del primo
tratto delle arterie coronarie. Queste complicanze risultano ovviamente più frequenti nei pazienti affetti da connettivopatie, come ad esempio
la sindrome di Marfan o altre fibrillinopatie, in cui è possibile osservare un’estrema fragilità della parete aortica.
In queste condizioni, risulta doveroso mettere in atto tutte quelle strategie necessarie a ridurre al minimo il rischio di complicanze emorragiche e non, correlate all’unica porzione di parete aortica malata che non viene rimossa, ma reimpiantata. Tra le varie misure strategiche,
l’utilizzo di un sigillante chirurgico applicato direttamente sia sulle anastomosi di reimpianto degli osti coronarici che su quella tra protesi
vascolare ed aorta ascendente distale o arco aortico prossimale, sembrerebbe l’approccio strategico più efficace.
Riportiamo un caso di un paziente di 44 anni, di sesso maschile, affetto da sindrome di Marfan e con diagnosi di ectasia anuloaortica con
insufficienza valvolare di grado lieve e dilatazione della radice aortica e dell’aorta toracica ascendente, sottoposto ad intervento chirurgico di
sostituzione della radice aortica e dell’aorta toracica ascendente con reimpianto della valvola nativa e successivamente degli osti coronarici,
secondo la tecnica di David I modificata. La particolarità di questo paziente era rappresentata da un’estrema fragilità familiare a carico degli
osti coronarici e del primo tratto dell’arteria coronaria destra. Rispetto alle strategie preventive messe in atto in alcuni suoi familiari già
sottoposti a chirurgia della radice aortica, ma che si erano rivelate inefficaci, in questo paziente avevamo deciso di aggiungere anche l’utilizzo
di un sigillante chirurgico, il Coseal (Baxter Healthcare Corporation, Hayward, California, USA), applicandolo direttamente sulle anastomosi di
reimpianto degli osti coronarici, appena completate. Probabilmente, proprio grazie a questo ulteriore e nuovo approccio strategico, il paziente
non aveva presentato nel suo decorso postoperatorio complicanze emorragiche o di altra natura a carico del primo tratto dell’arteria coronaria destra, a differenza di altri tre suoi familiari.
Questo particolare caso clinico, sembrerebbe avvalorare l’efficacia clinica dell’utilizzo di sigillanti chirurgici in una chirurgia a particolare
rischio emorragico ed in condizioni di predisposizione familiare alla fragilità dei tessuti, come si osserva nelle connettivopatie e nelle fibrillinopatie in particolare.
Parole chiave
Coseal, surgical sealant, hemostatic agent, polyethylene glycol, cardiac surgery.
Notifica: L’autore non ha conflitti d’interesse da dichiarare
Indirizzo per la corrispondenza: Luigi Chiariello Fondazione PTV "Policlinico Tor Vergata" U.O.C. Cardiochirurgia Viale Oxford, 81 00133 Roma Italia
E: [email protected]
Ricevuto: 21 Ottobre 2011
Accettato: 30 Novembre 2011
Case Report
Un paziente di 44 anni e di sesso maschile, seguito presso il Presidio
Regionale per la sindrome di Marfan della Fondazione PTV “Policlinico Tor
Vergata”, dove era stata posta diagnosi di ectasia anuloaortica [1] con
insufficienza valvolare di grado lieve e dilatazione della radice aortica e
dell’aorta toracica ascendente, giungeva al Pronto Soccorso per dolore
toracico irradiato alla regione interscapolare ed associato a sudorazione
algida. Un elettrocardiogramma evidenziava ritmo sinusale ed escludeva
la presenza di segni d’ischemia acuta in atto. Gli esami di laboratorio
risultavano nella norma, ad eccezione di valori aumentati di glicemia. Una
radiografia del torace in due proiezioni non evidenziava alcun reperto
patologico. Infine, una tomografia computerizzata del torace e
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dell’addome eseguita senza e con mezzo di contrasto escludeva la
presenza di sindrome aortica acuta. Pertanto, il paziente veniva ricoverato
presso la U.O.C. Cardiochirurgia per completare l’iter diagnostico.
L’anamnesi familiare era caratterizzata da un’importante presenza della
sindrome di Marfan [2] e da alcuni casi di dissecazione aortica acuta. In
particolare, tra i molti familiari affetti da sindrome di Marfan, un nipote,
una sorella ed un figlio del paziente erano già stati sottoposti ad
intervento cardiochirurgico ed i primi due avevano presentato
gravissime complicazioni sul primo tratto dell’arteria coronaria destra.
Un nipote del paziente, di 16 anni, era giunto alla nostra osservazione
con la diagnosi di dissecazione aortica acuta di tipo A ed era stato
sottoposto, in carattere d’emergenza, ad intervento chirurgico di
1
Chirurgia della radice aortica in un paziente con sindrome di Marfan
sostituzione della valvola aortica, della radice aortica e dell’aorta
toracica ascendente e della concavità dell’arco aortico mediante
protesi vascolare valvolata e con successivo reimpianto degli osti
coronarici, secondo la tecnica di Bentall-De Bono modificata [3].
Durante lo svezzamento dal bypass cardiopolmonare, si evidenziava
sanguinamento in corrispondenza dell’anastomosi dell’ostio coronarico
destro sulla protesi vascolare ed acinesia della parete inferiore del
ventricolo sinistro ed ipocinesia diffusa del ventricolo destro, con
evidenza di dissecazione del primo tratto dell’arteria coronaria destra.
Pertanto, si rendeva necessario il confezionamento di un bypass
coronarico in arteria mammaria interna destra in free graft tra protesi
vascolare e tratto prossimale del ramo coronarico. Il decorso
postoperatorio era esente da ulteriori complicazioni ed il paziente
veniva trasferito in ottava giornata postoperatoria presso un centro di
riabilitazione. Una sorella, di 39 anni, era giunta alla nostra osservazione
con la diagnosi di ectasia anuloaortica con insufficienza valvolare di
grado lieve e dilatazione della radice aortica e dell’aorta toracica
ascendente e pertanto era stata sottoposta, in carattere d’elezione, ad
intervento chirurgico di sostituzione della radice aortica e dell’aorta
toracica ascendente con reimpianto della valvola aortica mediante
protesi vascolare Valsalva e con successivo reimpianto degli osti
coronarici, secondo la tecnica di David I modificata [4]. L’immediato
decorso postoperatorio era complicato da improvviso ed abbondante
sanguinamento dai drenaggi con tamponamento cardiaco e necessità
di eseguire, in carattere d’emergenza ed in Terapia Intensiva, una
riesplorazione chirurgica per la revisione dell’emostasi. Veniva
evidenziata una lesione della parete del primo tratto dell’arteria
coronaria destra, in prossimità dell’anastomosi di reimpianto del
relativo ostio coronarico sulla protesi vascolare. La riparazione di tale
lesione risultava particolarmente complessa e veniva eseguita con
successo soltanto dopo aver preparato ed avviato di nuovo il bypass
cardiopolmonare, necessario anche a causa dell’instabilità del quadro
emodinamico. Nonostante la drammaticità di tale complicanza e della
difficile e complessa gestione della stessa, la paziente superava
brillantemente tale evento e dopo un decorso postoperatorio esente da
ulteriori complicazioni, veniva trasferita in quinta giornata
postoperatoria presso un centro di riabilitazione. Infine, un figlio di 20
anni era giunto alla nostra osservazione con la diagnosi di ectasia
anuloaortica con dilatazione della radice aortica e dell’aorta toracica
ascendente ed insufficienza valvolare mitralica di grado medio (2+) e
pertanto era stato sottoposto, in carattere d’elezione, ad intervento
chirurgico di sostituzione della radice aortica e dell’aorta toracica
ascendente con reimpianto della valvola aortica mediante protesi
vascolare Valsalva e con successivo reimpianto degli osti coronarici,
secondo la tecnica di David I modificata [4] ed a riparazione valvolare
mitralica mediante anuloplastica con posizionamento di anello
incompleto semi-rigido. L’immediato decorso postoperatorio era
complicato da abbondante sanguinamento dai drenaggi con iniziali
segni di tamponamento cardiaco e necessità di eseguire, in carattere
d’urgenza, una riesplorazione chirurgica per la revisione dell’emostasi,
che in questo caso non metteva in evidenza fonti attive maggiori di
sanguinamento. Nonostante tale complicanza, dopo un decorso
postoperatorio esente da ulteriori complicazioni, il paziente veniva
trasferito in sesta giornata postoperatoria presso un centro di
riabilitazione. Questi tre pazienti vengono regolarmente e
periodicamente seguiti presso il Presidio Regionale per la sindrome di
Marfan ed attualmente si presentano tutti in ottime condizioni generali
con un follow-up che ha raggiunto 23 mesi, 8 mesi e 3 mesi
rispettivamente.
2
Figura 1 Applicazione del sigillante chirurgico Coseal
sull'anastomosi di reimpianto dell'ostio coronarico sinistro
Oltre alla familiarità per sindrome di Marfan e per dissecazione aortica
acuta, con una singolare fragilità a carico dell’arteria coronaria destra,
il paziente presentava tra i fattori di rischio anche diabete mellito
insulino-dipendente e dislipidemia mista. In anamnesi patologica
remota era presente una pregressa gastrite.
Un nuovo elettrocardiogramma evidenziava ritmo sinusale alla frequenza
cardiaca di 79 bpm ed alterazioni aspecifiche della fase di ripolarizzazione
ventricolare. Gli esami di laboratorio erano nella norma, ad eccezione di
valori aumentati di glicemia, colesterolo totale, colesterolo-LDL e
trigliceridi. La diagnosi di accettazione veniva confermata da un nuovo
esame ecocardiografico transtoracico, che evidenziava ectasia
anuloaortica asimmetrica (prevalente a livello del seno non-coronarico)
con rigurgito valvolare di grado lieve (1+) e dilatazione della radice aortica
con diametro trasverso massimo di circa 47 mm estesa al tratto
prossimale dell’aorta toracica ascendente e con perdita della giunzione
senotubulare. Le dimensioni della radice aortica e dell’aorta toracica
ascendente corrispondevano a quelle misurate precedentemente con la
tomografia computerizzata del torace e dell’addome eseguita senza e con
mezzo di contrasto, presso il Pronto Soccorso. Un esame coronarografico
evidenziava circolazione coronarica a dominanza destra ed escludeva la
presenza
di
stenosi
emodinamicamente
significative
ed
angiograficamente dimostrabili a carico dell’albero coronarico, ad
eccezione di una stenosi del 30% presente sul tratto medio dell’arteria
discendente anteriore. In considerazione dell’età (44 anni), dell’altezza
(183 cm), del peso (82 Kg) e quindi della sua superficie corporea (2,04 m2),
l’aortic ratio [5], cioè il rapporto tra diametro misurato e diametro atteso a
livello della radice aortica, risultava di 1,3 e lo Z-score risultava di 3.
Pertanto, completato l’iter diagnostico e posta l’indicazione al trattamento
della patologia espansiva della radice aortica, il paziente veniva sottoposto
ad intervento chirurgico, in carattere d’elezione.
L’anestesia veniva condotta secondo il protocollo in uso presso il nostro
centro. Il monitoraggio emodinamico veniva garantito da un catetere
arterioso posizionato in arteria radiale destra, da un catetere venoso
centrale posizionato in vena giugulare interna destra e dall’utilizzo del
catetere di Swan-Ganz. L’esame ecocardiografico transesofageo
intraoperatorio (Philips iE33) confermava i reperti evidenziati
dall’esame ecocardiografico transtoracico ed in particolare l’ectasia
anuloaortica con il rigurgito valvolare di grado lieve (1+) e la dilatazione
della radice aortica estesa all’aorta toracica ascendente e con perdita
della giunzione senotubulare. L’ACT (tempo di coagulazione attivato)
preoperatorio era di 141 secondi.
EUROPEAN CARDIOLOGY
Chirurgia cardiaca
Dopo la sternotomia mediana longitudinale, l’apertura e la sospensione
del pericardio e dopo la somministrazione di una dose iniziale di
eparina sodica di 25.000 U.I. per via endovenosa, in base al test doserisposta HRT eseguito con Hemochron® Response Whole Blood
Coagulation System (Cremascoli & Iris s.r.l., Milano, Italy) per ottenere
un’anticoagulazione completa con un ACT superiore a 480 secondi, si
procedeva alla preparazione per il bypass cardiopolmonare con
cannulazione arteriosa in arco aortico (cannula per arterie ed arco
flessibile Medtronic DLP® 714 24 Fr.) e con cannulazione venosa
selettiva nella vena cava superiore (cannula venosa single stage
Medtronic DLP® 661 28 Fr.) ed in quella inferiore (cannula venosa single
stage Medtronic DLP® 661 30 Fr.). Il bypass cardiopolmonare veniva
condotto mantenendo un flusso non pulsato (in media 2,4 l/min/m2) in
cuspidi. Dopo la preparazione con cauterio di due orifizi sulla protesi
vascolare in corrispondenza dei bottoni aortici, venivano reimpiantati i due
osti coronarici, dapprima il sinistro e poi il destro, con due suture continue
a sopraggitto in polipropilene 5-0, sulle quali veniva applicato, a campo
operatorio asciutto, il sigillante chirurgico Coseal (Baxter Healthcare
Corporation, Hayward, California, USA) (Figura 1). Infine, si procedeva a
completare la ricostruzione dell’aorta ascendente, suturando distalmente
la protesi vascolare sulla parte distale dell’aorta toracica ascendente con
una sutura continua a sopraggitto in polipropilene 4-0.
A questo punto, veniva rimosso il clamp aortico e si assisteva ad una
ripresa spontanea dell’attività elettrica cardiaca in ritmo sinusale. Dopo
un’accurata deareazione e con un monitoraggio continuo
ecocardiografico transesofageo, si procedeva ad un progressivo
normotermia a 36°C, con una pompa roller (Terumo® Advanced
Perfusion System 1) ed utilizzando un’ossigenatore a membrana a fibre
cave PrimO2x (Sorin Group, Cobe Cardiovascular®, Arvada, CO, USA) ed
un circuito Sorin (Sorin Group, Corporate Headquarters Sorin S.p.A.,
Milano, Italy). Il priming era costituito da 500 ml di ringer acetato
(Fresenius Kabi Italia s.r.l., Isola della Scala, Verona, Italy), 500 ml di
idrossietil amido (Fresenius Kabi Italia s.r.l., Isola della Scala, Verona,
Italy) e 160 ml di mannitolo al 18% (Fresenius Kabi Italia s.r.l., Isola della
Scala, Verona, Italy). La gestione dell’equilibrio acido-base veniva
ottenuta con il controllo alpha-stat. Dopo l’avvio del bypass
cardiopolmonare ed il clampaggio aortico, l’arresto cardioplegico e la
protezione miocardica venivano garantiti con l’infusione di 2.000 ml di
soluzione cardioplegica Bretschneider HTK (Custodiol®, Dr. Franz Köhler
Chemie GMBH, Bensheim, Germany) direttamente nel bulbo aortico. La
scelta di questo tipo di soluzione cardioplegica era dettata non soltanto
dalla necessità di un tempo lungo di clampaggio aortico, ma soprattutto
dalla volontà di evitare ripetuti traumatismi sugli osti coronarici, in
particolare quello destro, inevitabili con la somministrazione di un altro
tipo di soluzione cardioplegica, come ad esempio quella ematica calda
somministrata per via anterograda, che richiede somministrazioni ad
intervalli regolari, ogni 20 minuti circa.
Ottenuto l’arresto cardioplegico, veniva ispezionata la radice aortica e
veniva eseguita un’accurata valutazione morfo-funzionale della valvola
aortica. Quest’ultima appariva tricuspide, insufficiente e con cuspidi
apparentemente normali ma non coaptanti per dilatazione dell’anulus e
per stiramento delle commissure. La radice aortica, invece, presentava
parete sottile e dilatazione estesa al tratto prossimale dell’aorta
ascendente sovragiunzionale. Dopo la resezione completa dei seni di
Valsalva fino all’anulus aortico e del tratto di aorta ascendente dilatata,
preparando due bottoni di parete aortica in corrispondenza dei due osti
coronarici, veniva eseguita la misurazione dell’anulus aortico e
dell’altezza dei tre triangoli intercuspidali fino alle commissure. Veniva
quindi utilizzata una protesi vascolare Terumo Vascutek Gelweave™
Valsalva 28 mm, che veniva suturata prossimalmente sull’anulus
aortico mediante dodici punti singoli ad “U” in poliestere intrecciato e
rivestito 4-0, disposti circonferenzialmente in posizione sottoanulare,
con posizionamento della protesi all’esterno del residuo di radice
aortica contenente la valvola aortica ed i triangoli intercuspidali.
Venivano fissate le tre commissure all’interno della protesi vascolare,
opportunamente orientate in corrispondenza della neo-giunzione
senotubulare, con tre punti in polipropilene 5-0. A questo punto, la
valvola aortica veniva reimpiantata anastomizzando il residuo di parete
aortica sopranulare con tre suture continue in polipropilene 5-0
dall’interno della protesi vascolare. Alla prova idrostatica, con soluzione
fisiologica, la valvola aortica reimpiantata appariva continente, grazie
ad un’adeguata coaptazione e ad un buon allineamento delle tre
svezzamento dal bypass cardiopolmonare, con l’ausilio di un supporto
farmacologico (adrenalina e noradrenalina in infusione endovenosa
continua). La durata del clampaggio aortico risultava di 120 minuti
mentre la durata del bypass cardiopolmonare era di 146 minuti.
Il controllo ecocardiografico transesofageo evidenziava un ottimo
funzionamento della valvola aortica nativa reimpiantata: rigurgito
valvolare residuo di grado trascurabile (<
_ 1+), assenza di gradiente
transvalvolare
emodinamicamente
significativo
(gradiente
transvalvolare massimo di 13 mmHg e gradiente transvalvolare medio
di 7 mmHg) ed una coaptation length (lunghezza del tratto di
coaptazione delle cuspidi misurato in asse lungo) di 12 mm ed una
coaptation depth (distanza dal punto più alto di coaptazione ad un
piano passante per l’anulus aortico e misurato sempre in asse lungo) di
15 mm. Inoltre, la protesi vascolare risultava ben posizionata, con una
buona rappresentazione ed una ben evidente escursione sistodiastolica dei neo-seni di Valsalva e non si evidenziava la presenza di
aria nelle cavità cardiache esplorate. Quindi, si poteva procedere alla
decannulazione ed alla neutralizzazione dell’eparina somministrando
solfato di protamina per via endovenosa, in base al test dose-risposta
PRT eseguito con Hemochron® Response Whole Blood Coagulation
System (Cremascoli & Iris s.r.l., Milano, Italy). L’ACT di controllo dopo la
neutralizzazione dell’eparina era di 125 secondi ed un esame
tromboelastografico (Thrombelastograph® Hemostasis Analyzer,
Haemascope Corporation, Skokie, IL, USA) risultava nella norma. Si
procedeva, quindi, ad un accurato controllo dell’emostasi, che non
evidenziava fonti di sanguinamento, anche a livello delle due anastomosi
degli osti coronarici. Dopo aver posizionato due tubi di drenaggio
mediastinici 32 Ch, dei quali uno retroatriale destro, e due elettrodi
ventricolari per stimolazione cardiaca temporanea in acciaio 3-0, si
poteva procedere alla osteosintesi sternale con l’utilizzo di otto punti
singoli in acciaio inossidabile 5 ed alla chiusura del sottocute mediante
doppia sutura continua in filo sintetico ed assorbibile Lactomer™ 9-1
intrecciato rivestito 1 (Covidien™ Polysorb™) ed alla chiusura della cute
mediante sutura intradermica in filo sintetico ed assorbibile Lactomer™
9-1 intrecciato rivestito 4-0 (Covidien™ Polysorb™). Dopo la disinfezione
della ferita chirurgica e l’applicazione della medicazione sterile, il
paziente veniva trasferito in Terapia Intensiva Cardiochirurgica in
condizioni emodinamiche stabili, con supporto farmacologico
(adrenalina e noradrenalina in infusione endovenosa continua).
Le perdite dai drenaggi mediastinici risultavano nella norma: dopo 6 ore
erano di 110 ml, in 12a ora erano di 230 ml ed in 24a ora erano di 590
ml. Già dalla 12a ora, inoltre, le perdite assumevano caratteristiche
sierose.
Non era necessario ricorrere alla somministrazione né di emoderivati e
né di prodotti farmacologici per il controllo del sanguinamento.
Dopo circa 26 ore dal termine dell’intervento, in prima giornata
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2011
3
Chirurgia della radice aortica in un paziente con sindrome di Marfan
postoperatoria, il paziente veniva trasferito presso il reparto di degenza.
Dopo un decorso esente da complicazioni ed un controllo
ecocardiografico transtoracico che confermava l’ottimo risultato della
procedura di reimpianto secondo David I ed escludeva la presenza di
versamento pericardico, il paziente veniva trasferito in quinta giornata
postoperatoria presso un centro di riabilitazione.
Dopo un mese circa dall’intervento il paziente si presentava, al
controllo ambulatoriale postoperatorio, in buone condizioni generali,
con una degenza presso il centro di riabilitazione che risultava esente
da complicazioni. Un nuovo esame ecocardiografico transtoracico
continuava a dimostrare l’ottimo risultato della procedura di reimpianto
ed escludeva ancora la presenza di versamento pericardico. Anche
questo paziente viene regolarmente e periodicamente seguito presso il
Tale protesi vascolare, ricreando i seni di Valsalva, sembrerebbe in
grado di ridurre lo stress sulle anastomosi degli osti coronarici ed in
particolare di quello destro [6]. Lo stesso tipo di protesi vascolare, però,
era stata utilizzata anche nella sorella del paziente, ma in quel caso non
si era potuto apprezzare il potenziale effetto protettivo sull’anastomosi
dell’ostio coronarico destro.
Una terza considerazione, infine, riguarda proprio l’utilizzo del sigillante
chirurgico Coseal sulle due anastomosi degli osti coronarici nel nostro
paziente, sulla base dell’esperienza maturata con i precedenti
interventi chirurgici dei suoi familiari. Tale utilizzo strategico del
sigillante chirurgico Coseal, non utilizzato precedentemente negli
interventi chirurgici dei suoi familiari, sembrerebbe aver svolto il ruolo
fondamentale in questo decorso postoperatorio esente da
Presidio Regionale per la sindrome di Marfan ed attualmente, a circa 2
mesi dall’intervento chirurgico, si presenta in buone condizioni generali,
senza aver mai manifestato alcuna complicanza durante questo
periodo di follow-up.
Un decorso postoperatorio esente da complicazioni ed in particolare da
eventi a carico dell’ostio coronarico destro, in un paziente con
sindrome di Marfan e con una spiccata e familiare fragilità dello stesso,
stimola senza dubbio una serie di considerazioni. Inoltre, richiede una
doverosa ricerca dei motivi che potrebbero aver contribuito a non
rendere necessario né l’utilizzo di emoderivati o di prodotti
farmacologici per il controllo del sanguinamento, né tantomeno il
ricorso alla riesplorazione chirurgica per la revisione dell’emostasi.
Una prima considerazione riguarda il traumatismo sugli osti coronarici,
inevitabilmente correlato ad alcune modalità di somministrazione di
particolari tipi di cardioplegia, che richiedono ad esempio ripetute
somministrazioni ad intervalli regolari durante l’intervento. Ovviamente,
tanto più lungo è il tempo di clampaggio aortico e tanto maggiore sarà
il numero di somministrazioni richieste, con aumento proporzionale del
potenziale traumatismo sugli osti coronarici. Nel nostro caso, l’utilizzo
di una soluzione cardioplegica che richiede soltanto una singola
somministrazione, potrebbe aver ridotto il potenziale traumatismo sugli
osti coronarici. Lo stesso tipo di soluzione cardioplegica, però, era stata
utilizzata anche nel nipote del paziente, ma in quel caso questa
strategia non si era rivelata efficace nell’evitare la temibile
complicazione sull’ostio e sul primo tratto dell’arteria coronaria destra.
Una seconda considerazione riguarda l’utilizzo della protesi Valsalva.
complicazioni emorragiche. Infatti, a differenza delle altre due strategie
già adottate in precedenza, come l’utilizzo di una particolare soluzione
cardioplegica e della protesi vascolare modificata con neo-seni di
Valsalva, l’utilizzo strategico del sigillante chirurgico Coseal, in questo
paziente, rappresenta l’unica vera novità nell’approccio all’ipotetica
estrema vulnerabilità familiare dell’ostio e del primo tratto dell’arteria
coronaria destra.
In questa specifica circostanza, il sigillante chirurgico Coseal si è
rivelato innanzitutto sicuro, in quanto non sono state evidenziate
problematiche ad esso correlate.
La sua efficacia è stata ampiamente dimostrata dallo scarso
sanguinamento rilevato sia durante l’immediato periodo postoperatorio
e sia dall’assenza di complicanze emorragiche tardive, condizioni che
spiegano come non sia stata necessaria né una riesplorazione
chirurgica per la revisione dell’emostasi e né la somministrazione di
emoderivati o di prodotti farmacologici per il controllo del
sanguinamento.
Infine, esso sembrerebbe garantire un vantaggioso rapporto costoefficacia, con notevole risparmio di risorse economiche ed umane.
In conclusione, l’utilizzo di un sigillante chirurgico come il CoSeal
potrebbe rivelarsi sicuro, efficace ed estremamente vantaggioso nella
chirurgia dell’aorta toracica ascendente ed in particolare nella chirurgia
della radice aortica, soprattutto in quei casi in cui siano presenti
patologie del connettivo e particolari condizioni, non soltanto familiari,
di estrema fragilità dei tessuti.
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EUROPEAN CARDIOLOGY
Chirurgia toracica
Applicazione di falda di collageno (Gentafleece) dopo vacuum-assisted closure therapy
per il trattamento di un caso di empiema pleurico cronico complicato
da microfistole multiple del parenchima polmonare
El is eo Pa ss e ra , M D 1* , Si lvi a Con s o nni , MD 2 , Fr anc o Gen ti net ta , M D 3 , Be ned et to Co mot ti , M D 2 ,
Cl au dia L ama , MD 2 ,A dr ian o Riz zi , M D 1
1
Unità Operativa di Chirurgia Toracica, Istituto Humanitas Gavazzeni, via Gavazzeni, 21, 24125 Bergamo, Italia, 2 Dipartimento di Medicina, Istituto Humanitas
3
Gavazzeni, Bergamo, Dipartimento di Radiologia, Istituto Humanitas Gavazzeni, Bergamo
Abstract
Presentiamo il caso di una donna di 66 anni con pleuropolmonite destra complicata da empiema pleurico durante trattamento chemioterapico
per linfoma non Hodgkin diffuso a grandi cellule B (DLBCL). La paziente era stata trattata all’età di 14 anni per TBC polmonare destra con
pneumotorace terapeutico. Tale trattamento era esitato in un fibrotorace post-specifico caratterizzato da uno spazio pleurico delimitato da
pachipleurite calcifica. La paziente, a causa di tosse produttiva con espettorato purulento e febbre non responsive alla terapia antibiotica, nella
necessità di proseguire la chemioterapia per il linfoma, è stata inviata presso il reparto di chirurgia toracica per una consulenza ed il trattamento del caso. La paziente è stata trattata inizialmente con una open window thoracostomy (OWT). Dopo un’accurata detersione chirurgica
dell’empiema, il cavo pleurico è stato trattato con terapia a pressione negativa e successivamente è stato chiuso con lembo muscolare
peduncolato, previa apposizione di falda di collageno (Gentafleece; Baxter, Deerfield, IL USA) per il controllo di microfistole parenchimali
polmonari persistenti.
Parole chiave
Empiema pleurico cronico, fistole parenchimali polmonari, open window thoracostomy, terapia VAC
Notifica: L’autore non ha conflitti d’interesse da dichiarare
Indirizzo per la corrispondenza: Eliseo Passera, via Quintino basso 13/b, Bergamo 24123, Italia, cellulare 0039-348-3211786
E: [email protected]
Ricevuto: 11 Novembre 2011 Accettato: 12 Dicembre 2011
Introduzione
L’empiema pleurico che insorge su una cavità toracica creata decenni
prima per il trattamento di una tubercolosi polmonare, presenta dei
problemi gestionali e terapeutici analoghi a quelli dell’empiema
pleurico cronico conseguente ad exeresi polmonare. Il trattamento di
questa condizione, come indicato da numerosi studi (1), va dal semplice
drenaggio toracico al confezionamento di una open window
thoracostomy (OWT) con lo scopo di controllare l’infezione del cavo
pleurico. In presenza poi di una fistola bronchiale o parenchimale,
l’obiettivo primario è quello di chiudere la fistola. Mentre esiste
un’ampia letteratura che si occupa del trattamento delle fistole broncopleuriche (2), scarsa considerazione ha sempre avuto il trattamento
delle fistole pleuroparenchimali in presenza di una OWT. Queste ultime
sono provocate da soluzioni di continuo sulla pleura viscerale e
determinano una perdita aerea più o meno consistente a seconda della
grandezza della fistola (3).
La collasso terapia, nota anche come pneumotorace terapeutico, è
stata ampiamente utilizzata nel trattamento della tubercolosi
polmonare tra gli anni 30 e gli anni 50. Consisteva nel provocare uno
pneumotorace con iniezione frequenti di aria ed eventualmente
associando l’inserimento extrapleurico di vari materiali che, impedendo
l’espansione del polmone affetto dalla malattia tubercolare, lo
mantenevano collassato. Nel tempo questi materiali o queste manovre
di riempimento continuo di aria per creare pneumotorace,
© TOUCH BRIEFINGS 2011
frequentemente eseguiti in condizioni tutt’altro che sterili, portavano a
diverse complicanze (4). La condizione più frequente era rappresentata
da un’infezione pleurica cronica e latente, in cui il paziente rimaneva
sostanzialmente asintomatico fino a quando si instaurava una
condizione di squilibrio innescata frequentemente da un abbassamento
delle difese immunitarie.
Di seguito viene descritto il caso di una paziente che presentava una
cavità pleurica residua a destra in esiti di pneumotorace artificiale
eseguito 52 anni prima, complicata da empiema pleurico associato a
fistole pleuroparenchimali durante chemioterapia per il trattamento di
un LNH.
Case Report
Presentiamo il caso di una donna di 66 anni trattata con pneumotorace
terapeutico all’età di 14 anni per tubercolosi polmonare destra. Come
esito di quel trattamento, era residuata una cavità pleurica con
versamento pleurico, delimitata da calcificazioni pleuriche. La paziente
da allora ha sempre goduto di ottima salute. Assumeva solo farmaci
antiipertensivi da 7 anni. Nel dicembre 2009 era stata ricoverata presso
il Reparto di Medicina per addensamenti polmonari bilaterali risultati
causati da Streptococco Pneumoniae. Durante tale ricovero sono stati
riscontrati dei noduli cutanei e sottocutanei in sede addominale e
dorsale, delle dimensioni di 2,7 – 3,2 cm. La rimozione di un nodulo
addominale ha permesso di porre diagnosi di linfoma non Hodgkin
5
Applicazione di falda di collageno (Gentafleece) dopo vacuum-assisted closure therapy
diffuso a grandi cellule B (DLBCL). La successiva TC total body ha
dimostrato la totale regressione degli addensamenti polmonari dopo
terapia antibiotica e la presenza di adenopatia in sede mediastinica,
ascellare (massimo diametro 2 cm), lombo-aortica, iliaca ed inguinale e
di noduli cutanei e sottocutanei in sede addominale e dorsale (diametro
massimo di 4 cm). Collateralmente è stata segnalata la presenza di una
cavità pleurica posteriore destra, con versamento pleurico e
calcificazioni pleuriche, compatibile con esiti di pneumotorace
terapeutico, delle dimensioni di 10 x 6 x 5 cm; milza con dimensioni di
16 cm. In considerazione della diagnosi è stato deciso di eseguire 8 cicli
CHOP (ciclofosfamide + adriamicina + vincristina + prednisone) previa
profilassi antitubercolare (associazione rifampicina ed isoniazide). A
causa di tosse purulenta e febbre persistente dopo il terzo ciclo di
(Fuhrman Pleural Drainage; Cook Ireland LTD, Limerick, Ireland)
parzialmente ostacolato dalla presenza di calcificazioni pleuriche. Il
campione pleurico per esame colturale è risultato positivo per
Streptococco Pneumoniae; non evidenza di Mycobacterium
tubercolosis. In considerazione della tosse persistente, correlata
all’incapacità ad ottenere un’adeguata detersione del cavo pleurico con
il drenaggio toracico, si è deciso di eseguire una toracostomia (“open
window thoracostomy”; fig. 2a, b, c, d, e). Sulla guida del drenaggio
toracico, posizionato in sede sottoscapolare destra, è stata eseguita
un’incisione cutanea ad H per poi giungere sul piano costale e resecare
parte dell’arco posteriore (10 cm) della VII e VIII costa; la cute è stata poi
marsupializzata suturandola alla pleura parietale (fig. 3a,b,c,d).
chemioterapia, la paziente ha eseguito TC torace con evidenza di livello
idroaereo in corrispondenza della cavità pleurica sopra descritta (per
verosimile comunicazione del cavo pleurico con le vie aeree; fig. 1a,b)
Figura 3a: Rappresentazione grafica della OWT. 3b,c, d: Fotografia OWT.
3a
3b
3c
3d
Figura 1a: TC torace (finestra per parenchima), sezione trasversale
con evidenza di cavità pleurica posteriore destra con livello idroaereo
e calcificazioni pleuriche. 1b: TC torace (finestra per mediastino),
corrispondente a 1a.
1a
1b
e parziale regressione della nota adenopatia mediastinica. Nella
necessità di proseguire la terapia oncologica e per la persistenza della
sintomatologia, è stata richiesta consulenza chirurgica toracica. Si è
proceduto ad indaginoso posizionamento di drenaggio pleurico 8,5 Fr
Figura 2a: TC torace (finestra per parenchima), dopo realizzazione di
open window thoracostomy. 2b: TC torace (finestra per mediastino),
corrispondente a 2a. 2c: TC torace (finestra per mediastino), piano
coronale dopo realizzazione di open window thoracostomy. 2d: TC
torace (finestra per parenchima), corrispondente a 2c. 2e: TC torace:
ricostruzione tridimensionale della cavità pleurica dopo OWT.
2a
2b
2d
2e
6
2c
Il debridement chirurgico della cavità pleurica ha permesso di ottenere
un netto miglioramento delle condizioni generali e le ampie biopsie
pleuriche inviate per esame istologico sono risultate tutte compatibili
con flogosi cronica. La paziente quindi ha potuto completare le terapie
oncologiche programmate senza complicanze e con la gestione
domiciliare della OWT con medicazione giornaliera. A luglio 2010, al
termine dell’VIII ciclo CHOP, ha eseguito una TC total body con
remissione completa della malattia. La paziente ha proseguito fino ad
allora le medicazioni giornaliere tradizionali wet-to-dry a domicilio ed è
stata rivalutata presso l’ambulatorio di chirurgia toracica ogni due
settimane. Ad ottobre 2010 la paziente è stata ricoverata per revisione
e debridement della cavità pleurica in sedazione e successivamente è
stata applicata la VAC therapy. La terapia a pressione negativa (VAC
therapy) è stata ben tollerata. In considerazione delle perdite aeree
parenchimali, il posizionamento della schiuma (VAC Granufoam, KCI
Medical, S. Antonio, TX) è stato preceduto, in una fase iniziale, dal
posizionamento di un film antiaderente di acido ialuronico sul
parenchima polmonare (Fidia farmaceutici S.p.A., Connettivina, Abano
Terme, PD, Italia) e la pressione negativa è stata tarata in modalità
continua a 50 mmHg. La paziente è stata dimessa con terapia VAC ed è
stata medicata presso l’ambulatorio ogni 3-4 giorni. La fase di
esecuzione della medicazione è stata ben tollerata e la terapia a
pressione negativa non ha provocato dolore. Dopo il terzo ciclo la ferita
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Chirurgia toracica
era ben detersa e si è osservato la formazione di tessuto di
granulazione. A questo punto la pressione negativa è stata aumentata
a 75 mmHg ed è stata mantenuta a questo livello, in modalità continua,
fino a 11 cicli (6 settimane di terapia per un totale di 46 giorni). È stato
quindi eseguito esame colturale su parte della schiuma in poliuretano
prelevato dalla ferita, che è risultato negativo. A questo punto, il
confronto TC torace prima e dopo la terapia VAC e la valutazione
volumetrica della cavità eseguita con fisiologica, ha dimostrato una
riduzione volumetrica della cavità pleurica da 350 ml a circa 50 ml
(-85%). Il guadagno volumetrico è stato realizzato soprattutto durante i
primi cicli, mentre persistevano le fistole pleuroparenchimali. La
rivalutazione TC torace non ha evidenziato segni di ripresa di malattia.
La paziente è stata ricoverata pertanto per intervento di chiusura della
Figura 5 Posizionamento della falda di collageno sulla superficie del
parenchima polmonare (vedi testo)
stomia toracica con lembo muscolare peduncolato. La posizione della
OWT e l’esiguo volume del cavo pleurico hanno orientato per l’utilizzo
della porzione inferiore del muscolo trapezio di destra, con supporto
vascolare proveniente dai rami discendenti dell’arteria cervicale
trasversa e dall’arteria scapolare dorsale (fig. 4). L’intervento è stato
condotto in anestesia generale con tubo doppio lume. L’isolamento
della porzione inferiore del muscolo trapezio è stata agevolata da un
Figura 4 Rappresentazione grafica dell’intervento di trasposizione
della porzione inferiore del muscolo trapezio destro (con supporto
vascolare proveniente dai rami discendenti dell’arteria cervicale
trasversa e dall’arteria scapolare dorsale A.S.D.)
minimo allungamento craniale della ferita toracica già presente. La
ventilazione bi-polmonare ha permesso di documentare la persistenza
di perdite aeree pleuropolmonari refrattarie ai pregressi trattamenti.
Queste ultime sono state trattate con falda di collageno dotato di
soluzione antibiotica a base di gentamicina (Gentafleece; Baxter,
Deerfield, IL USA) previa instillazione, sulla pleura viscerale, di colla di
fibrina (Tisseel; Baxter, Deerfield, IL USA) per permettere l’adesione
stabile della falda di collageno alla superficie polmonare (Fig. 5). A tale
scopo, per minimizzare le sollecitazioni sulla falda, è stata mantenuta
una ventilazione monopolmonare fino al termine dell’intervento. A
questo punto sono stati posizionati due piccoli drenaggi Redon 14 ch. Il
muscolo, associato a tessuto adiposo sottocutaneo ben
vascolarizzato, è stato poi ruotato all’interno della cavità toracica. Per
favorire tale manovra sono stati rimossi due ulteriori frammenti costali
di 3-4 cm, nella porzione mediale, dai monconi costali già presenti. I
© TOUCH BRIEFINGS 2011
Figura 6a: TC torace (finestra per mediastino), controllo dopo
mioplastica per chiusura OWT (falda di collageno completamente
riassorbita). 6b: TC torace (finestra per parenchima), sezione coronale
dopo mioplastica per chiusura OWT. 6c: TC torace (finestra per
mediastino), corrispondente a 6b. 6d: TC torace: ricostruzione
tridimensionale dopo mioplastica.
6a
6b
6c
6d
drenaggi sono stati rimossi in decima giornata ed il decorso
postoperatorio non ha presentato complicanze. La ferita ha raggiunto la
guarigione completa 20 giorni dopo l’intervento chirurgico (Fig. 6a,b,c,d;
Fig. 7 a 3 mesi dall’intervento). In tale occasione è stata definitivamente
sospesa la profilassi antitubercolare. Sfortunatamente la paziente ha
presentato una nuova recidiva di LNH nel luglio 2011 (fig. 8) ed è quindi
stata arruolata in un programma di alte dosi sequenziali con
autotrapianto dopo megachemioterapia, tuttora in corso. A ottobre
2011 (follow up di 10 mesi) la ferita toracica si presentava ben
consolidata e vitale; la paziente non ha più lamentato dolore né
problemi respiratori.
Discussione
La collassoterapia aveva, in un’era preantibiotica, lo scopo di “mettere
a riposo” il polmone impedendo la crescita tubercolare con la riduzione
7
Applicazione di falda di collageno (Gentafleece) dopo vacuum-assisted closure therapy
Figura 7 Fotografia dopo guarigione della ferita
Figura 8 PET-FDG che mostra recidiva di malattia LNH
della tensione di ossigeno intraparenchimale e nello stesso tempo
prevenendo la diffusione tubercolare nel resto del polmone sano (5). Il
pneumotorace terapeutico veniva eseguito con diverse tecniche, ma la
più utilizzata era il rifornimento regolare di aria nello spazio pleurico.
Lo spazio pleurico venutosi così a creare non è più sterile, ma è
caratterizzato da una flogosi cronica ed uno stimolo immunitario
persistente, elementi richiamati in numerosi studi nel meccanismo
patogenetico di maggiore insorgenza, in questi soggetti, di neoplasie a
sviluppo locale (6) o a distanza (7).
L’infezione latente che si viene a creare può rimanere quiescente per
moltissimi anni; la cavità pleurica viene “murata” dalle calcificazioni
pleuriche e resta isolata senza prendere contatti con le strutture vicine
(il meccanismo è analogo a quello che succede nei casi di tubercolomi).
Questo equilibrio con l’ospite, per meccanismi fisiopatologici tutt’altro
che chiari, si può interrompere spontaneamente oppure a causa di
eventi patologici o condizioni precarie del paziente. In genere sono due
le vie attraverso le quali si estrinseca l’infezione pleurica: verso la cute
(in tal caso il quadro si presenta con ascessi e raccolte purulente nei
tessuti molli circostanti) e verso le vie respiratorie (fistole polmonari e,
più raramente, bronchiali).
Per quanto riguardo l’eziologia dell’infezione, nella gran parte dei casi
anche descritti dalla letteratura più ragguardevole (4) è da attribuire ai
cocchi gram positivi ed agenti gram negativi come Pseudomonas
Aeruginosa e Klebsiella Pneumoniae. Raramente viene isolato il
mycobacterium tuberculosis (8).
Il caso che abbiamo presentato è quello di una paziente affetta da
empiema pleurico cronico secondario, determinato da una complicanza
tardiva di uno pneumotorace terapeutico eseguito 52 anni prima. La
sintomatologia descritta si era poi presentata in seguito a trattamento
chemioterapico iniziato per il riscontro di linfoma non Hodgkin diffuso a
grandi cellule B. La scelta terapeutica di eseguire una “open window
thoracostomy” era stata motivata dalle condizioni debilitate e precarie
della paziente. È noto peraltro che la presenza di calcificazioni (4)
8
nonché la presenza di un polmone non riespandibile (cosiddetto
“entrapped lung”) associato ad una comunicazione polmonare e,
ancora peggio, bronchiale, con il cavo pleurico, rappresentano delle
condizioni in cui è pressochè mandatorio il trattamento del cavo
pleurico con una fenestrazione (9). La open window thoracostomy
(“open drainage”) è una procedura chirurgica riservata a pazienti che
non possono tollerare un intervento di decorticazione o la chiusura di
una fistola bronco-pleurica in un unico tempo (“one stage”). Come
concepita da Eloesser per il trattamento dell’empiema tubercolare (10),
pur avendo subìto numerose modifiche nel corso degli anni, la OWT è
un intervento eseguito in anestesia generale che prevede la rimozione
di 2 o 3 tasselli costali e la cute viene successivamente marsupializzata
e suturata con la pleura parietale. Il trauma per il paziente è minimo e
si crea un’apertura della parete toracica tale da poter accedere
agevolmente alla cavità pleurica per la detersione meccanica con
l’ausilio di sostanze antisettiche e per lo zaffaggio della cavità con garze
(9,11). Come noto (12) la medicazione eseguita tradizionalmente con
detersione e zaffaggio con garze (“wet-to-dry dressing”) è una tecnica
che presenta diversi limiti: a) viene eseguita quotidianamente da
personale eterogeneo; b) è spesso gravata da dolore durante la
medicazione; c) la medicazione sporca rimane a contatto con la ferita
favorendo la crescita di un pabulum batterico; d) esiste un maggiore
rischio di riospedalizzazione per la recrudescenza di infezioni
dell’albero respiratorio; e) ci sono tempi lunghi (mesi e anni) per
raggiungere la completa chiusura della toracostomia.
Per facilitare la chiusura della OWT, è stata applicata la terapia VAC
(Vacuum-assisted Closure). Recenti studi (12,13) confermano che la
terapia VAC posizionata in sede intratoracica accelera la guarigione
della ferita e migliora la riespansione del tessuto polmonare residuo nei
pazienti portatori di OWT. L’applicazione del sistema VAC nella cavità
pleurica determina la guarigione della ferita con gli stessi meccanismi
noti per le ferite di altri distretti corporei: la riduzione dell’edema
interstiziale e la continua rimozione degli essudati prodotti dalla ferita
favoriscono un processo di rivascolarizzazione che porta alla riduzione
della carica batterica ed alla formazione di tessuto di granulazione. Il
volume di schiuma da introdurre nella cavità pleurica va modificato
volta per volta, in relazione alla progressiva diminuzione dello spazio
pleurico, così da non impedire la riduzione volumetrica della ferita (nel
nostra caso la contrazione finale della ferita è stata dell’85%). VAC
therapy e terapia antibiotica mirata rappresentano, a nostro parere, un
connubio vincente nella gestione di una ferita così complessa come
quella della OWT e sono i capisaldi della cosiddetta “wound bed
preparation”. La precoce evidenza di tessuto di granulazione
uniformemente distribuito sulla superficie della ferita rappresenta
un’evidenza dell’adeguato funzionamento della pressione negativa e di
un’ottimale detersione del cavo pleurico. Nella nostra esperienza, come
anche già osservato in altri studi (9), è la presenza di adeguato tessuto
di granulazione, più che di un’eventuale infezione residua, a orientare
nella scelta del timing adeguato per la chiusura della OWT.
La presenza di fistole parenchimali (alveolar pleural fistula) non ha
rappresentato una controindicazione all’applicazione della terapia VAC.
Questo aspetto è significativo perché non risulta chiaramente espresso
dalla letteratura (13,14) se le fistole pleuroparenchimali hanno
condizionato nei diversi studi il posizionamento o l’efficacia della VAC
therapy. Riteniamo che la pressione della schiuma in poliuretano sul
polmone nonché la pressione di aspirazione determinino, su fistole
parenchimali di piccole dimensioni (1-3 mm), un effetto ventosa con un
conseguente restringimento delle fistole (effetto “shrinking”). Di
conseguenza la VAC therapy non solo non peggiora le perdite aeree, ma
semmai le riduce. Condividiamo senz’altro l’idea che la VAC therapy sia
EUROPEAN CARDIOLOGY
Chirurgia toracica
controindicata nei pazienti affetti da fistola bronco-pleurica, prima che
questa non sia corretta chirurgicamente (15). È necessario inoltre
considerare che le perdite pleuroparenchimali possono essere anche
severe perché sostenute da fistole di grandi dimensioni. In questo caso
si tratta di una perdita aerea così vistosa da ricordare una perdita aerea
bronchiale (16). Questa situazione merita necessariamente una
correzione chirurgica.
La strategia nel trattamento della ferita toracica della nostra paziente è
stata quella di eseguire la OWT per mettere rapidamente in condizione
la paziente di proseguire e terminare gli 8 cicli CHOP programmati
dall’oncologo. Le condizioni della paziente e le ridotte difese
immunitarie in concomitanza della chemioterapia controindicavano
ogni tentativo di chiusura in quella fase (toracotomia per decorticazione
spessore, con grandezza variabile (nel nostro caso è stata utilizzata la
12 cm x 8 cm), costituita da fibrille di collageno nativo di origine equina
(collageno di tipo I), e che può essere modellata a seconda delle
esigenze. Inoltre, essendo una struttura a completo riassorbimento, la
falda non interferisce sulla guarigione della ferita e si integra con le
strutture vicine nella completa biocompatibilità. Esso funge da
“scaffold” per la componente dermica; dagli studi effettuati (19),
TissuFleece rappresenta un substrato per i fibroblasti dermici umani
(HDF, Human Dermal Fibroblast), favorendone la proliferazione cellulare
e l’espressione proteica dell’ECM (Extracellulare Cartilage Matrix).
I fibroblasti presenti nel tessuto perilesionale producono delle proteasi
che degradano la matrice di collageno e migrano nel letto della ferita
dove iniziano a proliferare attivamente e producono nuovo collageno per
polmonare o toracoplastica). Il restaging dopo PCT ha confermato la
remissione completa della nota patologia neoplastica e quindi si è
potuto procedere al trattamento del cavo pleurico con terapia VAC.
Mentre esiste un’ampia letteratura (2) che tratta il problema delle
fistole bronchiali, ben poco è scritto sul trattamento delle fistole
parenchimali che frequentemente sono responsabili delle delusioni
chirurgiche di empiemi pleurici recidivanti dopo chiusura (9). Dal punto
di vista operativo la presenza di deiscenze parenchimali, come in quelle
bronchiali, impedisce la chiusura di un cavo pleurico con una semplice
procedura di Clagett (1). Quando è presente una fistola, è necessario
procedere alla chiusura della fistola con il rinforzo di un flap muscolare
o di omento che permette anche di raggiungere l’obliterazione della
cavità pleurica (17,18), evitando di lasciare cavità residue ad elevato
rischio di contaminazione.
L’esperienze in letteratura sulla chiusura delle fistole pleuropolmonari
dopo resezione polmonare, in caso di cavità toracica chiusa, sono
molteplici: sigillanti, colle, agenti sclerosanti (ad esempio il talco sterile),
protesi, valvole, spirali, tappi di silicone, tecniche di riduzione dello
spazio pleurico (pneumoperitoneo), re-intervento (pleural tenting,
frenicofrassi, toracoplastica) (21). L’esperienze sono invece più limitate
nel caso delle fistole parenchimali presenti su polmone in caso di OWT.
In tali casi si conta sulla scarsa capacità rigenerativa tissutale del
polmone che può richiedere mesi o anni. Nello stesso tempo le
manovre chirurgiche su fistole pleuroparenchimali di una certa entità
possono peggiorare la situazione perché spesso si vengono a generare
altre fistole. Emergono pertanto negli ultimi anni nuove esperienze,
peraltro isolate e molto eterogenee, che utilizzano diverse risorse che
provengono dalla bioingegneria.
Nel caso descritto, le fistole parenchimali sono state sigillate con
successo con l’apposizione di una falda di collageno (Gentafleece;
Baxter, Deerfield, IL) dotata di sostanza antibiotica (solfato di
gentamicina) che è stata applicata, previa apposizione di colla di fibrina
(Tisseel; Baxter, Deerfield, IL), a copertura completa della superficie
polmonare affetta dalle microfistole. Il collageno, oltre a rappresentare
un agente emostatico locale, viene utilizzato per la copertura ed il
riempimento sterile delle ferite. Si tratta di una falda soffice di 5 mm di
formare lo stroma ed il tessuto di granulazione. Il successivo flap
muscolare (nel caso specifico la porzione inferiore del trapezio
omolaterale associato al grasso sottocutaneo per aumentarne il volume)
ha permesso di completare il riempimento della cavità pleurica “a
sandwich” e stabilizzare così la falda di collageno. Sono stati
successivamente posizionati due drenaggi Redon tra la falda ed il lembo
muscolare e sono stati lasciati in sede fino al raggiungimento della
stabilità dei tessuti all’interno del torace e previa valutazione
dell’assenza di perdita aerea. La presenza dei drenaggi nella cavità
pleurica assume notevole importanza nella situazione di grandi
scollamenti chirurgici, come nel caso della trasposizione di lembi
muscolari peduncolati, ed in presenza di perdite aeree attraverso fistole
parenchimali, come dimostrato dal recente lavoro di Watanabe e coll.
(20). Riteniamo pertanto che la grandezza ed il numero delle fistole
parenchimali siano parametri che devono essere presi in considerazione
nella decisione della chiusura di una OWT. Il lembo muscolare da solo,
per quanto adatto per volume e vascolarizzazione, può essere
insufficiente a garantire una stabilità ed una consolidazione della ferita
in quanto la pressione positiva della perdita aerea impedisce la
formazione di aderenze nei tessuti. La falda di collageno in questo senso
rappresenta una metodica di semplice utilizzo, sicura ed a basso costo
che blocca la perdita aerea favorendo l’adesione e la stabilità del graft.
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© TOUCH BRIEFINGS 2011
6.
Conclusioni
Questo case report conferma ancora una volta l’efficacia della terapia
VAC all’interno del torace, anche in presenza di una struttura
polmonare affetta da fistole pleuro-parenchimali. La presenza di un
uniforme tessuto di granulazione all’interno della cavità pleurica
rappresenta l’elemento più significativo per la decisione di chiudere
una ferita toracica. L’assenza o il controllo delle fistole (bronchiali o
parenchimali) è mandatorio per il successo dell’intervento chirurgico di
chiusura del cavo pleurico. Nel caso di fistole parenchimali multiple, la
falda di collageno sembra garantire una stabile chiusura del passaggio
aereo, rinforzato dalla copertura di un tessuto vitale (muscolo o
omento) che è essenziale nel garantire l’obliterazione della cavità
pleurica residua.
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9
Chirurgia toracica
Trauma penetrante del torace
G. M. Bu on ann o, D. N . I dà , A . Tra va gli no
UOC Chirurgia Generale e d‘Urgenza, AORN “Rummo” - Benevento
Abstract
Le cause traumatiche sono responsabili di 100.000 morti/anno negli USA e 15.000 morti/anno in Italia, di questi circa il 10% sono traumi del torace.
E’ molto importante, nell’approccio al paziente con trauma toracico, conoscere il meccanismo del trauma. La maggior percentuale delle lesioni
toraciche che richiedono trattamento chirurgico sono dovute a traumi penetranti. Si riporta un caso di un trauma toracico penetrante prodotto
da paletto di staccionata in un caso d’incindente stradale a “dinamica maggiore”. Maschio di 22 aa. d’età. In P.S., presentava parametri vitali
instabili. Pneumotorace iperteso a dx. Lesione penetrante all’emitorace destro in sede sottoclaveare. Fu subito posizionato un drenaggio
pleurico omolaterale. La successiva angio-TC total body confermò ampia lesione del parenchima polmonare del lobo superiore destro,
collasso del polmone e persistente emorragia in atto. Fratture dell’arco anteriore della II-III e IV costa e dell’arco posteriore della V costa con
frammenti dislocati in sede intratoracica. La toracotomia d’urgenza evidenziò un notevole danno parenchimale. Si eseguì, pertanto, una
lobectomia superiore destra regolata, ossia con isolamento e sezione del bronco lobare e dell’arteria lobare superiore. La pleura parietale del
foro d’ingresso mostrava un’ampia lacerazione con perdita di tessuto pleurico. Tale condizione, rendendo insicura la sintesi pleurica per
affrontamento diretto dei margini, rese necessario, per la ricostruzione del piano pleurico, l‘utilizzo di una falda di collagene medicata
(GentaFleece-Baxter®) che fu fissata con colla di fibrina (Tisseel- Baxter®). Seguì la regolarizzazione dei monconi delle II, III e IV coste, per
evitare o ridurre fenomeni di ’volet‘ costali. Il controllo dell’emostasi fu perfezionato con l’ausilio dell’emostatico chirurgico Floseal®.
L’intervento si concluse con il posizionamento di tre drenaggi toracici. Il decorso post-operatorio fu regolare e la dimissione avvenne in 15^ gg.
Questo caso mostra come lo sviluppo delle biotecnologie in ambito chirurgico abbia migliorato, in chirurgia toracica, le possibilità di
riparazione di lesioni tissutali con perdita di sostanza.
Parole chiave
Trauma torace - Ferite penetranti - Collanti biologici - Emostatici
Notifica: L’autore non ha conflitti d’interesse da dichiarare
Indirizzo per la corrispondenza: Maurizio Buonanno, Chirurgia Generale Rummo, Azienda Ospedaliera G.Rummo, Via Dell’Angelo 1 84100 Benevento, Italia.
E: [email protected]
Ricevuto: 11 Novembre 2011 Accettato: 5 Dicembre 2011
Case report
Le cause traumatiche sono responsabili di 100.000 morti/anno negli USA
e 15.000 morti/anno in Italia, di questi circa il 10% sono traumi del torace.
È molto importante, nell’approccio al paziente con trauma toracico
conoscere il meccanismo del trauma; le lesioni toraciche possono essere
il risultato di un trauma chiuso o penetrante. Con un trauma chiuso le
forze sono distribuite su una superficie ampia e le lesioni viscerali
avvengono per decelerazione, contusione, compressione o scoppio; circa
il 10% dei traumi chiusi richiedono un trattamento chirurgico d’urgenza.
Le lesioni penetranti, da arma da fuoco o arma bianca distribuiscono le
forze su una piccola area. In questi casi l’agente traumatico mette in
comunicazione l’ambiente esterno con il cavo pleurico (ferita soffiante);
circa il 30% di tali traumi richiedono un trattamento chirurgico d’urgenza.
La reale incidenza di tali lesioni polmonari non è ben conosciuta ed è
difficile evincere un dato al riguardo dalla letteratura. L’incidenza delle
lesioni polmonari in ambito civile varia in relazione alle aree geografiche,
in ogni caso la maggior percentuale delle lesioni che richiedono
trattamento chirurgico sono dovute a traumi penetranti. È indispensabile
10
che all’arrivo in P.S. il paziente con trauma toracico venga sottoposto ad
attento esame obiettivo e a successive indagini diagnostico-strumentali.
È fondamentale, inoltre, un valido supporto dei parametri vitali, tenendo
in considerazione le diverse strutture anatomiche coinvolte nel trauma e
le loro funzioni. Durante la ’valutazione primaria’ devono essere
riconosciute e trattate le lesioni “immediatamente” pericolose per la vita:
ostruzioni delle vie aeree, funzione ventilatoria (Pnx), funzione cardiocircolatoria (tamponamento cardiaco), sec. ATLS. Durante la valutazione
secondaria vanno prese in considerazione e trattate le lesioni
‘potenzialmente’ pericolose per la vita (rottura traumatica dell’aorta,
lesioni tracheobronchiali, contusioni polmonari, condizione miocardica,
lesioni esofagee e rottura del diaframma).
Caso clinico
Si riporta di seguito descrizione di un trauma toracico penetrante da paletto
di staccionata secondario ad incidente stradale a “dinamica maggiore”.
Alle 03:10 circa del 21/05/2011 giunse in P.S., ove era stato
precedentemente allestito il trauma team, giovane paziente (22 aa)
EUROPEAN CARDIOLOGY
Trauma penetrante del torace
trasportato dall’ambulanza del 118 e assistito da medico rianimatore.
All’arrivo in P.S. il paziente era intubato, in coma farmacologico, parametri
vitali instabili, Pnx iperteso a dx, con evidente lesione penetrante
all’emitorace dx causato da paletto di staccionata precedentemente
estratto dai primi soccorritori, non sanitari, accorsi sul luogo
dell’incidente. Dopo posizionamento di drenaggio in emitorace dx per la
gestione del Pnx iperteso, il paziente viene sottoposto all’iter diagnosticostrumentale e laboratoristico, considerate le migliorate condizioni
emodinamiche per le infusioni di cristalloidi e plasma expanders.
L’angio-TC total body confermò il trauma penetrante a sede sottoclaveare
dx con soluzione di continuità dei tessuti, PNX a dx, enfisema
sottocutaneo, ampia lesione del parenchima polmonare del lobo sup.
destro e collasso del polmone. La TC evidenziò, inoltre, aspetto tumefatto
spettro e a ventilazione meccanica per 5 gg.. Fu, poi, trasferito presso il
reparto di Chirurgia, in respiro spontaneo, ove proseguì regolare degenza
post operatoria.
I drenaggi toracici furono rimossi tra la 10^ e 13^ giornata post-op, previo
controllo Tc.
Dimesso in 15^ gg. post-op, il giovane paziente proseguì la terapia
farmacologica e riabilitativa respiratoria a domicilio con controlli
ambulatoriali programmati.
In 45^ gg. post-op godeva, sia clinicamente che per imaging radiologico,
di buono stato di salute.
del mediastino anteriore al di sotto dell’arco aortico e fratture dell’arco
anteriore della II-III e IV costa e dell’arco posteriore della V costa con
frammenti dislocati in sede intratoracica. Assenza di ulteriori lesioni
(precordiali, cerebrali, addominali).
Considerate la gravità delle lesioni parenchimali e le precarie condizioni
di stabilità emodinamica (Fc 90b/m; PA80/40 mmHg, emoglobina 8,2 g/dl;
oligoanuria, acidosi respiratoria), si procedette ad intervento toracico
d’urgenza. Durante il trasferimento in sala Operatoria, il medico
rianimatore iniziò la emotrasfusione.
La toracotomia fu eseguita antero-lateralmente all’8° spazio intercostale.
All’apertura del torace si evidenziò sul lobo superiore dx una lesione di
ingresso e di uscita, in corrispondenza degli analoghi fori parietali, del
diametro di circa 4 cm. Verificato il notevole danno parenchimale, si
decise per una lobectomia superiore dx regolata, ossia con isolamento e
sezione del bronco lobare e dell’arteria lobare superiore dx. La
transezione parenchimale fu eseguita con GIA. Sul versante pleurico della
parete antero-laterale, nel punto considerato foro d’ingresso, l’ampia
lacerazione aveva determinato una perdita di tessuto pleurico.
Tale condizione rendeva insicura la sintesi pleurica per affrontamento dei
margini. Questo rese necessario, per la ricostruzione del piano pleurico,
l‘utilizzo di una falda di collagene medicata (GentaFleece-Baxter®) che fu
fissata con colla di fibrina (Tisseel- Baxter®).
Si procedette, inoltre, alla regolarizzazione dei monconi delle II, III e IV
coste, per evitare o ridurre fenomeni di ’volet‘ costali. Il controllo
dell’emostasi fu eseguito chirurgicamente e con l’ausilio dell’emostatico
chirurgico Floseal®.
L’intervento si concluse con il posizionamento di tre drenaggi toracici.
Dopo l’intervento il paziente fu trasportato presso la Rianimazione, dove
rimase degente per 7 gg.. Fu sottoposto a terapia antibiotica ad ampio
richiedono in genere un approccio chirugico d’urgenza, tuttavia i traumi
penetranti necessitano, oltre che di un adeguato supporto delle funzioni
vitali, di un approccio chirurgico d’urgenza che richiede, da parte del
chirurgo, una valida conoscenza delle tecniche di toracotomia unita alla
possibilità di poter utilizzare validi presidi chirurgici d’ausilio
all’intervento.
Lo sviluppo delle biotecnologie in ambito chirurgico ha reso più efficace,
infatti, la chirurgia d’urgenza e, in particolare, toracica. Il chirurgo
d’urgenza ha la possibilità di provvedere in miglior modo alla riparazione
delle lesioni tissutali. Nell’ambito del torace, maggior importanza riveste
il controllo efficace e sicuro dell’emostasi, al fine di ridurre le riprese
emorragiche sotto la negatività pressoria vigente. Nel caso descritto, la
ferita penetrante, causata dalla transfissione di un palo in seguito ad
incidente stradale, ha reso necessario, attraverso un toracotomia anterolaterale, una lobectomia polmonare. In questo caso la dissezione
vascolare e dei bronchi è stata ottenuta mediante l’utilizzo di Gia ed il
controllo dell’emostasi è stato supportato dall’utilizzo di emostatici
chirurgici composti da granuli di collageno con trombina umana
(Floseal®). Inoltre, con l’ausilio di una falda di collagene medicata con
antibiotico (GentaFleece®) e fissata con colla di fibrina (Tisseel®) si è
potuto ricostruire in maniera efficace il piano pleurico ampiamente
danneggiato dall’agente trapassante.
Nel caso in esame, non si sono registrate complicanze intraoperatorie e/o
post operatorie. Ad oggi, il paziente non ha avuto complicanze quali
fistola bronco pleurica, fistola arterovenosa, ernia o torsione polmonare,
anche se tali complicanze fortunatamente sono poco frequenti.
Questo caso conferma che la gestione del paziente con trauma toracico
richiede un valido approccio multidisciplinare e l’ausilio di avanzati
dispositivi chirurgici.
1.
2.
Penetreting chest trauma secondary to falling on metallic
bar. Journal list- Ann torac Med. 2009 oct-dec, 4(4) 211
Factors affetting mortality in pazients with thorax trauma.
Turkish Journal of trauma and Emergency
Cir Cir. 2006 Nov-Dec; 74(6): 409 - 14. [Surgical
procedures in 156 cases of pleural effusion. Immediate
results]. Cicero-Sabido R, Páramo-Arroyo RF, Navarro-
© TOUCH BRIEFINGS 2011
3.
4.
Conclusione
La maggior percentuale dei traumi toracici che giungono in P.S. non
Reynoso FP, Pimentel-Ugarte L
Servicio de Neumología y Cirugía de Tórax Alejandro
Celis, Hospital General de México.
[email protected]
J Trauma. 2011 Nov;71(5):1479. Left pulmonary artery
transection after penetrating thoracic trauma. Blanié A,
Fadel E, Duranteau J.
5.
Urgent thoracotomy for penetrating chest trauma:
analysis of 158 patients of a single center. Onat S, Ulku R,
Avci A, Ates G, Ozcelik C. Department of Thoracic Surgery,
Faculty of Medicine Dicle University, 21280 Diyarbakir,
Turkey. [email protected]
11
Chirurgia vascolare
Utilizzo di Coseal nel “cut-down” chirurgico
della femorale comune durante esclusione endovascolare di aneurisma aortico
Pi er o T ra bat to ni MD , S te fan o Zol i MD
Chirurgia Vascolare, Centro Cardiologico Monzino, Milano
Abstract
La prevenzione del sanguinamento durante interventi di chirurgia vascolare è di cruciale importanza. Anche durante trattamenti endovascolari
con esposizione chirurgica di vasi può risultare necessario garantire un’adeguata e duratura emostasi. Si presenta caso clinico di utilizzo di
sigillante chirurgico per “proteggere” accesso arterioso con “borsa di tabacco” durante esclusione endovascolare di aneurisma dell’aorta
addominale sottorenale.
Parole chiave
Chirurgia vascolare, prevenzione sanguinamento, borsa di tobacco, sigillante.
Notifica: L’autore non ha conflitti d’interesse da dichiarare
Indirizzo per la corrispondenza: Piero Trabattoni, Centro Cardiologico Monzino, Via Carlo Parea 4, 20138 Milano,Italia
E: [email protected]
Ricevuto: 28 Novembre 2011 Accettato: 16 Dicembre 2011
Introduzione
Il sanguinamento durante interventi di chirurgia vascolare può aumentare
in misura significativa il rischio di complicanze. La semplice
compressione manuale intra-operatoria prolunga spesso inutilmente i
tempi dell’intervento. Per tale motivo negli ultimi anni l’industria ha
compiuto importanti sforzi nel campo dei collanti/sigillanti per fornire ai
chirurghi mezzi emostatici sempre più validi ed efficaci. Le “colle”
possono essere biologiche o di sintesi; tra le prime gran diffusione ha
avuto in Italia nell’ultima decade la colla di fibrina umana. Tra le sintetiche
ci viene offerto un sigillante sintetico che si è dimostrato un valido ausilio
complementare in numerose applicazioni: il Coseal® (Baxter).
Il Coseal è un idrogel sintetico con azione sigillante composto da due
polietilenglicoli (PEG) sintetici. All’applicazione la miscela forma un idrogel
semi-trasparente, facilmente modellabile, che aderisce tenacemente al
tessuto. Il meccanismo di azione non prevede in alcun modo l’intervento
della cascata della coaugulazione, rendendone l’utilizzo efficace anche in
paziente con disturbi intrinseci della stessa. La preparazione e la
polimerizzazione rispetto alle colle di fibrina è estremamente più rapida
ed inoltre viene azzerato il possibile rischio infettivo collegato alla
presenza di componenti ematici.
L’accesso arterioso femorale è frequentemente utilizzato non solo per la
chirurgia, ma anche per procedure diagnostico/interventistiche. Per tale
motivo il Chirurgo Vascolare è particolarmente sensibile al fenomeno
delle aderenze post-procedurali, trovandosi spesso ad eseguire accessi
“redo” sia per via percutanea che per via chirurgica. Il sigillante Coseal
aumenta di volume sino a 4 volte nelle prime 24 ore, creando una vera e
propria barriera meccanica all’infiltrazione cellulare durante la fase
infiammatoria post-chirurgica, aiutando a ridurre la formazione di tenaci
12
aderenze. A completare il quadro si aggiunge un’elevata biocompatibilità,
con un riassorbimento completo nell’arco di 30 giorni.
Caso Clinico
Un uomo di 80 anni giunge alla nostra attenzione in seguito al riscontro
occasionale di voluminoso (58 mm) aneurisma dell’aorta addominale
sottorenale. In anamnesi presenta una cardiopatia ischemica con
moderata riduzione della FE (40%) e pregressi interventi di PTCA + stent
sulla interventricolare anteriore e circonflessa. L’addome risulta ostile a
causa di una pregressa emicolectomia sinistra. Inoltre presenta una
marcata piastrinopenia (conteggio inferiore a 70.000) in esiti di un linfoma
di Hodgkin trattato con radioterapia.
Considerato il quadro clinico e la favorevole anatomia aorto-iliaca si opta
per una esclusione endovascolare della dilatazione aneurismatica.
Si esegue esposizione chirurgica di entrambe le arterie femorali comuni,
e le si sottende con una fettuccia elastica eseguendo un’ansa di Pott. Per
ridurre il più possibile il traumatismo si decide di non eseguire una
arteriotomia trasversale ma confezionare una ”borsa di tabacco” e
cannulare successivamente l’arteria con l’introduttore, chiudendo la
borsa con un tourniquet (Fig 1).
La dilatazione aneurismatica viene esclusa mediante il posizionamento di
endoprotesi aortica Medtronic Endurant con buon successo angiografico
finale.
Al termine della procedura si ritira la cannula in arteria femorale comune
e si lega la borsa di tabacco (Fig. 2)
La borsa di tabacco è un tipo di sutura che prevede il coinvolgimento
della sola tonaca avventizia; tale tecnica permette di ridurre al massimo
EUROPEAN CARDIOLOGY
Utilizzo di Coseal nel "cut-down" chirurgico della femorale comune
Figura 1 Esposizione chirurgica dell’arteria femorale comune che
appare sospesa su fettuccia elastica. Si noti il voluminoso introduttore
ed il tourniquet chiuso sulla borsa di tabacco
Figura 2 Alla rimozione dell’introduttore si lega la sutura chirurgica.
L’ottenimento di una buona emostasi garantisce una migliore
polimerizzazione ed adesione del sigillante
la stenosi post-arteriotomica. Tuttavia il tessuto avventiziale spesso
appare lievemente danneggiato al termine della procedura, a causa delle
continue frizioni dovute al passaggio di introduttori di dimensioni
ragguardevoli (sino a 18 F).
Per tale motivo riteniamo adeguata l’applicazione di un sigillante
sintetico a protezione della “borsa di tabacco”. Una volta applicato crea
una barriera meccanica protettiva assicurando l’emostasi e garantendo
al contempo un’adeguata flessibilità in un sito chirurgico sottoposto a
frequenti movimenti (Fig. 3).
Figura 3 Completa polimerizzazione del sigillante con il tipico
aspetto gelatinoso semi-trasparente
Il sigillante Coseal® viene indicato dal produttore per la protezione delle
anastomosi vascolari, in particolar modo quando vengono utilizzate
protesi sintetiche, ma nella nostra esperienza è risultato estremamente
efficace come “protezione” di “borse di tabacco” su arterie femorali
esposte chirurgicamente per eseguire trattamenti endovascolari quali
esclusioni di aneurismi aortici con endoprotesi.
© TOUCH BRIEFINGS 2011
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Note
Note
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