Federazione italiana bancari e assicurativi
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RASSEGNA STAMPA
Venerdì 15 Luglio 2011
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 Tremonti: senza
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 Grande Stevens: “Gli ordini? Sarebbe un errore cancellarli” .......................4
 Bernanke: l’Italia non rischia il salvataggio.................................................5
 Debito americano L’uomo dei Tea Party fa infuriare Obama .....................6
 Via il braccio destro di don Verzé .................................................................7
 Il Fondo monetario avverte «Banche Ue, poco capitale».............................8
 Il sogno (mancato) di Bondi «Non sono riuscito nel salto» ........................9
 Manovra più
forte, 48 miliardi a regime
con il maxi-taglio dei bonus familiari........................................................10
 Irpef, stangata sui redditi-medio bassi
tra figli e spese mediche anche 700 euro in più ........................................11
 Btp record, spread in tensione e salta il vertice europeo ............................12
 “Bene la manovra di Tremonti ma l’altissimo indebitamento
rimane il vostro punto debole” ...................................................................13
 Auto, è record per la seconda mano ogni 120 vendute 70 sono usate .........15
 Deloitte dà una mano a Don Verzè:
patrimonio rivalutato di 20 milioni ...........................................................16
 Innovazione al lavoro ....................................................................................17
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UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
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(Valerio Massimo)
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Tremonti: senza pareggio
il debito ci divora
«Questione europea: come sul Titanic, non si salvano neppure i passeggeri di prima
classe»
ROMA — «Senza il pareggio di bilancio il debito pubblico, un mostro che viene dal nostro passato,
divorerebbe il futuro nostro e quello dei nostri figli. Il Paese ci guarda: governo, maggioranza e opposizione, certamente diversi, ma oggi qui non troppo divisi. E per questo sono orgoglioso» . Nell’Aula
del Senato, che ha appena approvato la manovra, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ringrazia
l’opposizione, spiega che un provvedimento così «non si fa se non per il bene comune» , ma torna a
lanciare l’allarme sul futuro dell’Italia. Indissolubilmente legato ad un’Unione Europea senza anima
politica che rischia di «fare la fine del Titanic» se non ritroverà ambizione e solidarietà. Alla manovra
in sé il ministro dedica solo pochi minuti del suo intervento. Giusto il tempo di sottolineare che, oltre
al percorso che porterà il deficit «allo zero assoluto» e non più solo «vicino al pareggio» , contiene sedici azioni per la crescita dell’economia. Tutto il resto del suo discorso è riservato alle traversie
dell’Unione Europea, scossa dalla nuova ondata di speculazione e di sfiducia dei mercati ed arrivata
ormai «al dilemma e al dramma dell’euro» , al punto di non ritorno: «o si va avanti— dice Tremonti —
o si va a fondo» . «Siamo in un paradosso, l’area dell’euro è oggettivamente la più ricca e meno indebitata del mondo, ma la percezione che ne hanno i mercati non riflette questa forza» . Anzi. «A giudicare dagli spread sui titoli tedeschi — dice il ministro — i mercati ritengono oggi ad alto rischio gli investimenti in un’area pari al 40%della zona euro» . «Nessuno ci può credere ma è proprio questo il
problema. Più che di speculazione finanziaria è un problema di credibilità e fiducia politica: perché
credere in una moneta fatta da 17 diversi Stati-nazione, governata da 17 diversi governi controllati da
17 diversi parlamenti? Nella storia prima viene lo Stato e poi la moneta, ma con l’euro di è invertito
l’ordine» . Ciò che manca in Europa è un governo politico. «I trattati sono come i matrimoni, di norma
contratti nella buona e nella cattiva sorte, ma non sono così i trattati dell’Unione, dove il bene è la regola e il male solo l’eccezione» . In un momento nero come questo, mancano ancoraggi certi. «La salvezza può venire solo dalla politica, ma non deve fare più errori. Non possiamo dire a primavera a
Bruxelles che i titoli sovrani sono garantiti e poi a Dauville, in autunno, che tutto può essere perso» .
Troppa titubanza e troppi egoismi, sottolinea Tremonti. «La soluzione o è comune, europea, o non è,
senza illusioni di salvezza per nessuno. Come sul Titanic, non si salvano neppure i passeggeri di prima
classe» dice il ministro. Un riferimento implicito alle indecisioni della Germania, come quello diretto
ad alcuni Paesi europei dove «sembra che si antepongano i problemi interni alla costruzione comune» .
Per il ministro dell’Economia serve «una visione alta sul nostro futuro, serve una governance capace di
guidare unitariamente e autorevolmente i 17 paesi membri verso un destino comune» . In una parola,
basterebbero «gli eurobond» , cioè obbligazioni garantite dagli stati membri, in pratica dei titoli di stato europei. Tremonti li propone senza successo dal 2003, ma qualcosa sta cambiando. L’Economist,
ieri, li ha rilanciati come possibile soluzione alla crisi. Un bel passo avanti, se si pensa che i primi ad
affossare gli eurobond di Tremonti, allora, furono proprio i britannici, terrorizzati dall’idea del «superstate» europeo.
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Grande Stevens: gli ordini? Sarebbe
un errore cancellarli
MILANO — Dice che, in manovra, quella norma «c’entrava tanto quanto il decreto "salva-Fininvest"».
Cioè zero. E questa è la forma. Poi (anzi: prima) c’è la sostanza: «E chi lo garantirebbe, dopo, il diritto alla difesa sancito dalla Costituzione? Chi lo garantirebbe, per cominciare, ai non abbienti? Andiamo.
L’Ordine serve ai cittadini, non agli avvocati» .
È a questo punto che Franzo Grande Stevens ricorre al paradosso: «Gli avvocati ne farebbero volentieri a
meno» .
Naturalmente lo sa bene, che non è vero. Che è talmente poco vero che mercoledì, primo giorno di discussione della manovra, contro l’abolizione degli albi professionali i penalisti, i civilisti, i notai che sono anche
deputati o senatori si sono rivoltati minacciando il no su tutto, pazienza se l’Italia già ballava sul baratro
della crisi di fiducia nel Paese, «o quella misura viene tolta o siamo pronti persino a far cadere Giulio
Tremonti» .
Spettacolo da casta senza vergogna, si è detto, che probabilmente non è piaciuto nemmeno a Grande Stevens. Ma se è così, se lo tiene per sé. L’avvocato dell’Avvocato — ossia di Giovanni Agnelli ieri, del gruppo ancora oggi — ai colleghi legali eletti in Parlamento non ha risparmiato strali. L’ultimo due mesi fa. Ora
però no. Vede molta demagogia, nella lettura di quanto è successo al Senato. E quei colleghi, adesso, li difende. Non d’ufficio.
Dura da spiegare, avvocato, perché ai cittadini si chiedano sacrifici su sanità e pensioni e poi si erigano le barricate per blindare privilegi professionali. L’Ordine ce l’hanno medici, giornalisti, architetti. Sono però i suoi colleghi, il club parlamentare organizzato e rumoroso...
«Forse. Ma abolire gli Ordini è un errore. È la Costituzione che garantisce il diritto alla difesa per ogni
cittadino. E nel caso degli avvocati, lo ripeto, se sparisse l’Ordine chi dovrebbe nominare il difensore
d’ufficio a quanti non possono permettersi di pagare parcelle? Oppure ai minori? O ai latitanti?» .
Dei latitanti, magari, al pensionato che da lunedì dovrà pagare i ticket sanitari importerà ben poco.
«Ma stiamo parlando della Costituzione. Anche difendere le Brigate rosse non era popolare. E, proprio
perché rifiutavano lo Stato, gli stessi brigatisti avvocati non ne volevano. È toccato all’Ordine di Torino
trovare la soluzione che ha garantito la Carta e, con essa, quella Repubblica che i terroristi volevano abbattere. L’abbiamo pagato con la vita del nostro presidente di allora, Fulvio Croce. Quindi, come vede...»
.
D’accordo, ma oggi? Gli Ordini, il vostro come il nostro, sono visti solo ed esclusivamente come baluardi del corporativismo.
«L’Ordine degli avvocati esiste in tutti i Paesi civili. E serve a tutelare prima di tutto il cittadino, al quale
oltretutto non costa nulla. Ma è all’Ordine che ci si rivolge se si ritiene di non aver ricevuto un trattamento
corretto, trasparente, professionale dal proprio legale. E dunque: possiamo liberalizzare le tariffe, ma certo non la difesa. Poi, insisto: se uno si ammala avrà sempre un ospedale che lo cura. Se invece non può
permettersi un avvocato? Chi dovrebbe provvedere?» .
Non era stato lei, due mesi fa, a mettere nel mirino gli avvocati che sono anche parlamentari?
«Certo, ma per tutt’altre ragioni. Lì sì, c’è conflitto d’interesse: il Parlamento fa le leggi, gli avvocati con
le leggi lavorano... È scandaloso che proprio noi siamo gli unici professionisti che possono continuare a
esercitare anche durante il mandato» .
Se poi il risultato è questo, si capisce perché la gente parli di casta.
«Lo capisco anch’io. Ma in questo caso è sbagliato» .
Sentir però minacciare di far saltare manovra e ministri...
«Questo è un altro discorso. Però: perché mettere gli Ordini in manovra? C’entrano tanto quanto il "salva-Fininvest"» .
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Bernanke: l’Italia
non rischia il salvataggio
ROMA— «L’Italia non è la Grecia, ha i conti migliori»: » : il sostegno arriva da oltreoceano ed è il
presidente della Federal reserve Usa, Ben Bernanke ad esprimerla nel corso di un’audizione presso la
Commissione bancaria del Senato a Washington. Il nostro Paese «non è in pericolo di salvataggio come non lo è la Spagna» prosegue Bernanke il quale precisa come uno dei punti di forza dell’Italia siano le banche: «Sono in buona forma» dice. Le tensioni dell’Europa, «che non sono determinate solo da
questioni economiche ma anche politiche» , rimbalzano dunque negli Stati Uniti, che di problemi ne
hanno già tanti per loro conto. Anche lì è arrivato l’avvertimento di Moody’s di un possibile declassamento, ma non sembra risentirne Wall Street, che invece reagisce negativamente alla smentita di Bernanke su un nuovo intervento a breve della Fed a sostegno dell’economia Usa. Dopo l’Fmi arriva dunque anche l’incoraggiamento del banchiere centrale Usa. Il Tesoro supera poi il test dell’asta dei Btp,
richiesti in misura più ampia dell’offerta e tutti assegnati anche se con rendimenti che prendono il volo, come era stato martedì per i Bot. E in Senato passa la supermanovra varata dal governo per garantire il raggiungimento dell’obiettivo del pareggio di bilancio entro il 2014. Ma la Borsa e i mercati non
reagiscono: in una giornata caratterizzata dal ritorno su tutte le piazze europee del nervosismo nelle
quotazioni, dopo due sedute di pausa, Piazza Affari torna a scendere e chiude in perdita dell’
1,07%sulla scia, ancora una volta, del calo dei titoli bancari. Sui mercati i Btp decennali continuano a
soffrire: il differenziale coi Bund tedeschi torna ad ampliarsi e dopo aver toccato i 300 punti base si
stabilizza poco sotto i 290 punti, a 288. Le pressioni non riguardano solo l’Italia, va peggio ai titoli
della Spagna, per non parlare di quelli di Grecia, Irlanda e Portogallo. «Continuano a pesare i timori di
una propagazione della crisi ad altri paesi dell’Eurozona» e in generale «all’economia reale» , spiega la
Bce, nel suo bollettino mensile. In cui si legge pure che l’ampliarsi degli spread deriva anche molto
all’incremento della domanda di titoli tedeschi, diventati sempre più appetibili come beni rifugio. Incombe l’incertezza sulla soluzione della crisi di Atene da parte dell’Europa e aumenta la richiesta di
investimenti sicuri. Oltre che la speculazione. L’asta dei Btp di ieri, però, viene considerata un successo dagli operatori anche se il rendimento dei titoli a 15 anni è schizzato ai massimi, il 5,90%,
dall’introduzione dell’Euro. L’importante, spiegano, è che siano stati collocati senza difficoltà a ridosso della misura massima prevista: la forchetta dell’offerta andava dai 3 ai 5 miliardi di euro e ne sono
stati emessi e venduti 4,96 miliardi. In particolare la domanda dei Btp a 15 anni è stata pari a 2,6 miliardi contro 1,72 miliardi offerti. Il Btp a 5 anni è stato assegnato con un rendimento del 4,9%, massimo dal giugno 2008, con una domanda quasi doppia rispetto all’offerta. Perde Piazza Affari ma
chiudono in calo anche le altre borse europee: Londra cede l’1,01%, Parigi l’1,11%e Francoforte lo
0,73%.
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Debito americano
L’uomo dei Tea Party
fa infuriare Obama
Hillary Clinton: nel 2012 lascio la politica
NEW YORK— Nervosismo alla Casa Bianca. L’accordo sul debito non si trova e Barack Obama si infuria
con Eric Cantor, leader dei repubblicani nella Camera dei rappresentanti. «Eric non costringermi a mettere
le carte sul tavolo perché io lo faccio davanti ai cittadini americani. Chiaro? Ci vediamo domani» . È tarda
sera di mercoledì a Washington (notte fonda in Italia): fine del quarto giorno consecutivo di trattativa con
un solo risultato sul tavolo da esaminare: le parole del presidente. «Don’t call my bluff» , siamo
all’anticamera dell’insulto, un’espressione usata per mandarsi a quel paese. Civilmente, certo, ma in modo
netto. Ieri sera il negoziato è ripartito, faticosamente, da qui. Ma questa volta il Presidente ha fissato una
scadenza: o si trova una soluzione entro stasera, oppure si cercherà un’altra strada. Lo scatto del Presidente
rivela comunque quanto sia alta la tensione. L’agenzia di rating Moody’s ha annunciato che è pronta a rivedere la tripla A sui bond del Tesoro, se non si arriverà all’intesa entro il 2 agosto, la scadenza entro la
quale va aumentato il tetto del debito fissato per legge (14,3 mila miliardi di dollari). Senza contare la pressione, ormai anche politico-diplomatica, del governo di Pechino il quale è titolare di una larga quota di
bond Usa. Ieri mattina il segretario al Tesoro Timothy Geithner ha escluso che si possa sforare la «deadline» : non ci sarebbero più fondi per pagare gli assegni delle pensioni e gli interessi maturati sul debito. Il
negoziato, però, è inchiodato sul veto posto dai repubblicani: si può discutere sui tagli alla spesa pubblica,
ma nessuna disponibilità a prendere in considerazioni aumenti di tasse, qualunque sia lo strumento usato
(compresa dunque l’eliminazione di alcune agevolazioni fiscali). Dall’altra parte Obama vuole presentarsi
al Paese con una «manovra bilanciata» che imponga «anche ai più ricchi la condivisione dei sacrifici» . È
una contrapposizione tutta politica, uno scontro che finora ha impedito di entrare nel merito delle cifre. In
realtà, più passano i giorni e più la delegazione repubblicana al tavolo della Casa Bianca si presenta divisa.
All’inizio il gioco era nelle mani di John Boehner, presidente della Camera (dove il partito repubblicano è
in maggioranza). Un esponente della vecchia scuola liberal-liberista, con idee classiche (magari un po’prevedibili), ma corretto e ordinato. Tanto che Obama gli ha riconosciuto più volte di muoversi sempre «con
spirito costruttivo» . Ma ai lati stanno emergendo quelli che all’inizio sembravano due semplici comparse.
Il senatore Mitch McConnell (leader della minoranza al Senato, controllato dai democratici) spinge per sfilare il partito dalla trattativa, lasciando al Presidente l’intera responsabilità di decidere che cosa tagliare e
quali imposte aumentare. Ancora ieri McConnell, interprete della destra conservatrice classica, si è fatto
sentire. I repubblicani devono presentarsi davanti agli elettori con la coscienza a posto: è Obama che ha
portato il Paese nelle condizioni di aumentare il debito, sarà lui a risponderne davanti agli americani.
Sull’altro versante si agita Eric Cantor, forte della sua posizione di capogruppo alla Camera e, soprattutto,
dell’appoggio dei Tea Party, il movimento di ispirazione populista in forte crescita nelle retrovie del partito. La linea di Cantor è ancora politicamente più perfida: aumentare di pochissimo il tetto del debito, in
modo da costringere Obama a presentarsi ogni due-tre mesi in Parlamento da qui fino al 2012, anno delle
presidenziali. Di fatto un modo di prendere in ostaggio l’intera politica dell’amministrazione. Così il capo
della Casa Bianca, partito domenica scorsa con il piglio decisionista, si è trovato, giorno dopo giorno, ad
affondare nelle sabbie mobili. E intanto Cantor, 48 anni, nato a Richmond in Virginia, origini ebraiche, anti
abortista e contrario alla ricerca sulle cellule staminali ricavate da embrioni, vive il suo momento di notorietà. L'altra sera, dopo la mezza rissa con il Presidente, ha improvvisato una conferenza stampa in cui ha
tranquillamente ammesso che Obama non sopporta il suo ruolo sempre più cruciale nella trattativa. E poi
ha ironicamente minimizzato sull’accaduto. «Dite che c’è stato uno scontro? Boh, a me ha detto che ci rivediamo oggi… » . Da seguire.
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Via il braccio destro di don Verzé
MILANO — Tocca alla Santa Sede. Oggi dovrebbe prendere in mano le redini del San Raffaele, se
don Luigi Verzé vorrà. Gli uomini del Vaticano formalmente nominati dal prete-manager (che altrettanto formalmente può ancora revocarli) entreranno in un consiglio di amministrazione che si annuncia
blindato. Il fondatore del polo ospedaliero ha un’età (91 anni) che ovunque, al di fuori del suo ospedale, gli sarebbe offerta una poltrona da presidente onorario col potere di firmare le lettere di auguri natalizi. Al San Raffaele, nonostante il virtuale commissariamento e il disastroso indebitamento, don Verzé
ha invece tuttora poteri fondamentali che gli provengono da una struttura decisionale e societaria
(l’associazione che controlla la fondazione che controlla tutto) in cui le azioni non si contano e non si
pesano perché non ci sono: c’è lui al posto delle azioni. Ecco perché sono in molti a temere i «colpi di
scena» di don Verzé, come benevolmente li chiamano. Oggi si riunisce il cda della Fondazione Monte
Tabor che governa il gruppo schiacciato da quasi un miliardo di debiti e costretto a fronteggiare i decreti ingiuntivi dei fornitori non pagati. È una riunione riservatissima: fuori perfino i consulenti finanziari e legali che hanno predisposto il piano di salvataggio sottoscritto dalle banche; dentro invece, su
specifica richiesta, il medico personale di don Verzé. All’ordine del giorno ci saranno tre punti. Il primo è il via libera al concordato preventivo su cui le banche creditrici hanno già dato il loro assenso. È
un concordato in continuità che prevede un accordo in Tribunale con i fornitori e un commissariamento giudiziale. Il secondo punto è l’avvio della riorganizzazione societaria con la creazione di una
holding in cui confluiranno le attività ospedaliere. Vi sarebbero ancora resistenze da parte di don Verzé
che vorrebbe confermare l’attuale assetto, con la fondazione al centro del business. Il terzo punto sul
tavolo del cda dovrebbe segnare la svolta: la redistribuzione dei poteri. Si vedrà quali poteri residui rimarranno a don Verzé, confermato presidente, e se il prete manager riuscirà a far cooptare le sue candidate, Gianna Maria Zoppei e Raffaella Voltolini, allargando il cda da 7 a 9 membri. I nuovi consiglieri targati Vaticano sono Giuseppe Profiti, Ettore Gotti Tedeschi (presidente dello Ior), Vittorio Malacalza (imprenditore) e Giovanni Maria Flick (giurista ex ministro). Si aggiungono i due professori,
Massimo Clementi (Università Vita Salute San Raffaele) e Maurizio Pini (Bocconi), espressione della
charity internazionale che per adesso è ancora nell’ombra. Nel frattempo Mario Cal, il braccio destro
di don Verzé, è alle prese con il nastro adesivo per chiudere gli scatoloni del trasloco. La sua stagione
da vicepresidente operativo è finita. Adesso tocca a Profiti, docente universitario, ex alto dirigente della Regione Liguria e dell’ospedale Galliera, presidente dell’ospedale Bambin Gesù di Roma, in rapporti stretti con il Segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone e un mese fa condannato anche in appello
a sei mesi per concorso in turbativa d’asta in una storia di mazzette per le mense ospedaliere di Genova.
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Il Fondo monetario avverte
«Banche Ue, poco capitale»
«Servono piani pubblici credibili in caso di fallimento»
NEW YORK — Banche con pochi capitali. Sistema finanziario «ancora vulnerabile» . Il Fondo monetario prevede una serie «di rischi» per il sistema Europa, avvertendo che «l'effetto Grecia» non si è esaurito. Il passaggio è contenuto nel rapporto inviato nei giorni scorsi a Parigi per la riunione delle delegazioni del «G-20» . L’analisi parte dalla considerazione che la crisi del debito in tre Paesi europei,
(Grecia appunto, Irlanda e Portogallo), continua a tenere sotto pressione diverse banche europee. Nello
stesso tempo, si legge, «nonostante alcuni sforzi di raccogliere capitali (in previsione di un nuovo ciclo
di "stress test") la capitalizzazione delle banche in Europa resta relativamente bassa, in confronto con
gli istituti americani» . Inoltre «alcune banche nell’Europa periferica restano fortemente dipendenti
dalla liquidità della Banca centrale europea, come si deduce dagli alti e crescenti tassi di interesse sui
bond emessi» . La cosa forse più interessante è l’esame delle possibili dinamiche in caso di ulteriori
strette finanziarie. In questo momento «le banche nell’area dell’euro sono in ritardo rispetto
all’esigenza di rafforzare i coefficienti patrimoniali (il cosiddetto "core tier 1", n. d. r.)» . Un punto di
debolezza che potrebbe generare instabilità a catena, un po’come è accaduto tre anni fa, con la crisi
dei mutui sub-prime. Gli economisti del Fondo, come sempre, non citano casi particolari, di questa o
quella banca. Ci sono, però, tabelle e riferimenti ai singoli Paesi. Nel grafico della «bassa capitalizzazione» , l’Italia figura nella posizione di medio-bassa classifica, subito dopo la Francia e, tra gli europei, davanti solo al Portogallo, alle banche tedesche regionali e all’Irlanda. In compenso la posizione
delle aziende di credito italiane è la meno esposta di tutti nei confronti dei tre Paesi più a rischio (di
nuovo Grecia, Irlanda e Portogallo). Da questo punto di vista gli istituti italiani corrono meno rischi rispetto, nell’ordine, a Germania, Gran Bretagna, Spagna e Francia. Ma il documento non tiene conto
degli ultimi sviluppi di mercato, con l’attacco della speculazione contro l'Italia. E le nostre banche, da
sempre, sono la sponda fondamentale per il collocamento dei titoli di Stato. La conclusione del Fondo
vale, invece, anche per questi giorni: se il «sistema finanziario è vulnerabile» , ogni ritardo da parte dei
governi può causare tempeste sui mercati..
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Il sogno (mancato) di Bondi
«Non sono riuscito nel salto»
MILANO— «Parmalat doveva fare un salto dimensionale. Non ci siamo riusciti. Io non ci sono riuscito. È stata una sconfitta» : è la prima volta che Enrico Bondi, ex amministratore delegato e «gran risanatore» dell’azienda di Collecchio, parla dei suoi anni alla guida del gruppo, dal dicembre 2003 — subito dopo il crac — fino all’assemblea dello scorso giugno. E lo fa senza nascondere l’amarezza di non
aver saputo gestire la fase successiva al risanamento della società ed il «salto di qualità» che sarebbe
stato necessario per mantenerne l’indipendenza. All’Università Bocconi, dove si tiene un convegno organizzato nell’ambito del Festival dell’economia di Trento e dedicato proprio al caso del gruppo di
Collecchio, Bondi guarda indietro ripercorrendo gli anni del risanamento di Parmalat fino all’Opa Lactalis: «Il mio convincimento è stato che in questo mercato la dimensione fa premio. La liquidità doveva servire a crescere e fare un salto importante» . L’uomo che ha risanato Parmalat dopo il crac finanziario da oltre 14 miliardi di euro fa ammenda per la gestione del post risanamento, da lui orchestrata:
una volta rimesso in piedi, il colosso del latte poteva contare su un tesoretto di liquidità per oltre 1,4
miliardi, ma per il passo successivo «è mancato il coraggio» . «Abbiamo avuto modo di accumulare
liquidità — ricorda Bondi— ma io non sono riuscito a fare il salto di qualità. Avevo ricevuto mandato
di trasformare Parmalat nella capogruppo di una filiera agroalimentare basata in Italia. Non ci sono
riuscito» . Così, prosegue, «invece di integrare qualcosa in Parmalat, Parmalat è stata integrata in qualcosa» . È vero che la società era «un bocconcino dorato» , ha detto il manager, ribadendo però subito
dopo di avere seguito la logica secondo cui «sarebbe stato facile spendere i soldi, difficile sarebbe stato
spenderli in maniera utile. Abbiamo aspettato che maturassero i tempi per fare il salto qualità. Non ce
l’abbiamo fatta, è capitato al contrario» . Messi da parte i rimpianti, Bondi si è rivolto ai nuovi vertici
francesi di Parmalat, che dopo il tracollo ed il faticoso risanamento hanno preso in consegna il rinato
gruppo italiano: «Al nuovo gruppo faccio le congratulazioni per l’operazione fatta e i migliori auguri
di successo. Se questo accade, sono felice e lo sono anche perché Parmalat è stata risanata e il mercato
è stato ripagato» . Poi, l’auspicio che l’identità dell’azienda di Collecchio non vada perduta: «Spero
che la parte italiana possa avere un ruolo importante» .
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La misure
Manovra più forte,
48 miliardi a regime
con il maxi-taglio dei bonus familiari
Ticket da lunedì, in pensione più tardi con 40 anni di contributi
Il relatore parla di 70 miliardi di impatto totale, ma non è questa la correzione-deficit
ROMA - Il governo ieri, in tempo record, ha incassato il passaggio della manovra al Senato, oggi il
provvedimento arriva alla Camera: l´entrata in vigore del testo è prevista già lunedì.
Ma rispetto alle prime ipotesi –per la necessità di salvarsi dalla tempesta finanziaria in corso - con il
passaggio a Palazzo Madama le misure che dovranno garantire l´equilibrio dei conti pubblici entro il
2014 sono uscite decisamente rafforzate. Fra aggravi e anticipi ora la manovra, a regime, vale 48 miliardi: prima del maxi-emendamento introdotto dal governo si fermava a 25,3 cui andavano sommati i
14,7 miliardi che dovevano entrare nelle casse dello Stato grazie agli effetti prodotti dalla legge delega su fisco e assistenza.
Ora tali quote, con il maximendamento, sono state blindate grazie ad una sorta di "clausola di salvaguardia" che ha fatto scoppiare proteste e polemiche. Se entro il 2013 le deleghe su fisco e assistenza non produrranno gli effetti previsti il governo potrà comunque assicurarsi i risultati introducendo tagli lineari su tutte le 480 agevolazioni fiscali (deduzione e detrazioni) che i contribuenti applicano ora
al momento della dichiarazione dei redditi.
Dalle detrazioni per figli a carico al bonus per le ristrutturazioni della casa, da quelli per gli asili-nido a
quelle sull´ università: il taglio sarà del 5% nel 2013 e del 20 a partire dal 2014 (anche se ieri il relatore Pichetto Fratin ha precisato che «il governo con successivi decreti potrà escludere alcune categorie»). L´aggravio introdotto con il maxi-emendamento rafforza però anche il peso degli interventi previsti nei primi due anni: oltre 2 miliardi saranno garantiti già da quest´anno grazie all´intervento sulle
accise dei carburanti e 2,4 miliardi, nel 2012, entreranno nelle casse dello Stato grazie all´asta sulle
frequenze telefoniche (anche se Gentiloni, Pd, dubita che questo gettito per le frequenze possa arrivare, «neanche il governo ci crede davvero, dice»). Di peso anche l´introduzione immediata dei ticket
sanitari e le misure previste per chi va in pensione con 40 di contributi (le date slitteranno prima di
uno, poi fino a tre mesi). Poiché la manovra è articolata su più anni, Pichetto Fratin ha parlato di interventi complessivi per 70 miliardi, sommando ogni anno le vecchie misure oltre alle nuove, ma la correzione al deficit resta di 48 miliardi.
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Il dossier
Irpef, stangata sui redditi-medio bassi
tra figli e spese mediche
anche 700 euro in più
Cgia: per famiglie con 34 mila euro possibili aggravi di 168 euro nel 2013 e di 674 nel 2014
Scure su carichi familiari, assegni al coniuge e ristrutturazioni, se non passa la delega
ROMA - Meno welfare. Saranno le famiglie, soprattutto quelle a reddito fisso, con figli a carico e a
basso reddito, a pagare il conto più salato per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014. La manovra che oggi il Parlamento approverà in via definitiva mette una seria ipoteca sul futuro del nostro sistema assistenziale. Di certo sarà diverso. E potrebbe restringersi di molto se non sarà varata la riforma fiscale.
I mercati e gli organismi europei hanno chiesto al ministro dell´Economia, Giulio Tremonti, di rendere
più credibili e stringenti gli effetti della sua annunciata riforma del fisco. Così se la riforma, affidata a
una delega, non andrà in porto entro il 2013 scatterà una vera mannaia (la cosiddetta "clausola di
salvaguardia") sulle agevolazioni fiscali: un taglio lineare, teoricamente indistinto, del 5 per cento su
tutte le voci per il 2013 e un altro, questa volta del 20 per cento, per il 2014. Meno spese previste per
4 miliardi di euro il primo anno e per 20 miliardi il secondo. Da qui l´allarme che produce sul piano sociale la misura varata ieri per rafforzare la manovra. Ciascun contribuente rischia di perdere fino a 5700 euro all´anno per minori detrazioni e deduzioni fiscali. Vuol dire sostanzialmente più Irpef. Più
tasse per tutti. Sarà lo stesso ministro dell´Economia a decidere quali voci eventualmente escludere
dalla sforbiciata.
Ce ne sono 483 di agevolazioni fiscali. Ogni anno rappresentano un mancato gettito per le casse dello Stato di oltre 161 miliardi. È un pezzo significativo del nostro welfare state, dove sicuramente ci sono distorsioni, iniquità, sovrapposizioni e anche furbizie da disboscare. Ma un taglio lineare potrebbe
significare per le famiglie più costi per l´istruzione dei figli, per gli asili, per le cure sanitarie e mediche,
per le attività sportive, per le assicurazioni e la previdenza integrativa, per l´affitto. E pure per le ristrutturazioni immobiliari. Meno trasferimenti al no profit. Una crepa profonda nel patto sociale. In più
eliminare o attenuare il meccanismo delle agevolazioni fiscali potrebbe favorire il ricorso ai rapporti in
nero, all´evasione e all´elusione fiscale. Perché se non si può detrarre una spesa si può avere meno
interesse a farsi rilasciare la ricevuta fiscale. Ma c´è di più. C´è, per esempio, come ha detto ieri il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, il fatto che, «rispetto ai principali paesi europei, le
famiglie italiane sono oggetto di ulteriori costi dovuti all´inefficienza del nostro sistema pubblico, che
gli altri non subiscono». «Mi riferisco ai lunghissimi tempi di attesa per effettuare le visite specialistiche che costringono molte persone a rivolgersi alle strutture private, oppure all´inadeguatezza del nostro sistema di trasporto pubblico che spesso obbliga molti italiani, ad esempio per recarsi al lavoro,
ad usare l´automobile privata». Per tutto questo il taglio alle agevolazioni inciderà sulla vita reale delle
persone. La Cgia ha elaborato un paio di simulazioni: gli effetti dei tagli su una famiglia con entrambi i
genitori lavoratori, un figlio a carico e un reddito complessivo di quasi 35 mila euro; e su una famiglia
monoreddito (40 mila) e due figli a carico. Nel primo caso la tassazione crescerà di 168 euro nel 2013
e di ben 674 nel 2014; nel secondo di 149 euro nel primo anno e di 595 nel secondo. Si vede come
un meccanismo di puri tagli lineari produce un effetto perverso danneggiando di più le famiglie a reddito basso, quelle che attualmente posso detrarre di più.
Il sistema delle agevolazioni costruito negli anni per stratificazione premia più le famiglie che le imprese. Dei 161 miliardi, 21,5 vanno all´area "famiglia sanità", poco più del doppio di quanto previsto
per le aziende almeno sul versante delle imposte dirette. E dalle famiglie, ipotizzando i tagli lineari rispettivamente del 5 e del 20 per cento, arriverà nel 2013 un miliardo in più di tasse, cifra che salirà a
4,2 miliardi nel 2014.
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I mercati
Btp record,
spread in tensione
e salta il vertice europeo
La Bce: rischio contagio. Banche, oggi gli stress test
Fmi: è allarme per i Pil. Borse giù Bernanke: l´Italia non ha bisogno di aiuti esterni
ROMA - Salta il vertice straordinario della Ue sulla crisi del debito sovrano mentre il governo Berlusconi appronta la manovra, la Bce lancia l´allarme-contagio e l´Italia piazza Btp per quasi 5 miliardi a
tassi record: 5,90% nei caso dei buoni a 15 anni, il massimo dal lancio dell´euro; 4,93% per i buoni
quinquennali, il top dal 2008. Subito fibrillano gli spread (differenziali di rendimento) tra i titoli pubblici
dei Paesi deboli e il bund tedesco: quelli italiani tornano per un po´ sopra quota 300. Soffrono le Borse europee e Milano perde l´1,07%. Come sempre nei momenti di tensione sale l´oro, il bene rifugio
per eccellenza: sfiora i 1600 dollari l´oncia, il massimo storico.
E dunque slitta a data da destinarsi, probabilmente la prossima settimana, la riunione dei capi di Stato
e di governo dedicata ai guai del debito sovrano e prevista per oggi. Il rinvio è dovuto ai tanti dubbi
tedeschi sul nuovo piano di salvataggio della Grecia: non c´è accordo su come procedere per affrontare la crisi, considerata centrale per attutire gli attacchi speculativi contro i partner più fragili, Italia inclusa. Sono in corso consultazioni «intense» delle diplomazie economiche europee e una riunione
delle banche creditrici di Atene si svolge anche a Roma, presso il Tesoro. Ma il vertice si terrà solo
«al momento opportuno». Il cancelliere Angela Merkel detta comunque le condizioni: perché la riunione abbia luogo «il presupposto è che si trovi un accordo su un nuovo programma per la Grecia». Il
Fmi avverte: bisogna agire «con urgenza»; aumentano i rischi al ribasso per l´economia mondiale.
La notizia del mancato summit si catapulta sui mercati, già preoccupati per il rischio-contagio, per le
sorti del debito Usa e per l´esito degli stress test bancari attesi per oggi: vi sarebbero 10-15 istituti non
in regola, su 91, ma nessun italiano. Lo stesso governatore Draghi, a più riprese, ha parlato di banche
«solide» e «adeguatamente capitalizzate». Gli operatori guardano alle mosse della Bce che, nel suo
Bollettino, parla espressamente di «timori per la propagazione della crisi ad altri Paesi, oltre a Grecia,
Irlanda e Portogallo». Sostiene anche che sono queste le paure alla base dei sobbalzi degli spread e
all´origine del «significativo intensificarsi dei flussi verso investimenti-rifugio», a cominciare appunto
dall´oro e dall´argento che pure vola a 38.8 dollari, il top da sei settimane. Chiede una «azione decisa» in fatto di risanamento, con misure dettagliate «per il 2012 e oltre»: «E´ fondamentale per persuadere gli operatori di mercato della natura durevole delle politiche correttive»; «le circostante sono
molto difficili».
In questo contesto, l´Italia non vive un giorno sereno. La temuta asta di Btp, considerata un banco di
prova per la tenuta del Paese, va in porto: la domanda tiene ma il rendimento vola. Alla notizia, gli
spread si riallargano fino a quota 302 per poi chiudere a 291; la Borsa vira in negativo. Non aiutano le
buone parole spese dal presidente della Fed Ben Bernanke che parla di situazione italiana «molto
migliore» rispetto a quella greca: Roma e Madrid non hanno bisogno di salvataggi. Duro l´Economist:
se la crisi si sposta all´Italia, l´euro finisce «sul filo del rasoio». Sono in rosso tutte le piazze Ue, in
preda ai timori per la crisi del debito Ue e Usa. Da Londra (-1,01%) a Parigi (-1,11), da Francoforte (0,73) a Madrid (-0,71), ovunque domina il segno meno. Anche a Zurigo (-0,73), Stoccolma (-1,49),
Atene (-050), Dublino (-0,61). Wall Street in lieve calo.
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Il Commissario Ue per gli Affari economici: non sono misure a scoppio ritardato
“Bene la manovra di Tremonti
ma l’altissimo indebitamento
rimane il vostro punto debole”
Rehn: stallo politico sul salvataggio della Grecia
BRUXELLES - Commissario Olli Rehn, la crisi finanziaria sta aggravandosi. La Banca centrale
teme che il contagio si estenda ad altri Paesi. E i governi europei non riescono neppure a mettersi d´accordo su una data per un vertice straordinario. Ma possiamo davvero aspettare settembre senza fare nulla?
«Sono in corso intensi negoziati sulle misure da prendere per la Grecia e per evitare la diffusione del
contagio. Toccherà al presidente Van Rompuy decidere se convocare o meno un vertice straordinario. Comunque la Commissione europea e gli stati membri non stanno seduti a guardare in attesa che
succeda qualcosa. L´ultimo Eurogruppo è giunto a conclusioni importanti aprendo la strada ad un uso
più flessibile dell´Efsf, il fondo salva stati. Capiamo l´urgenza della situazione. Sappiamo bene che i
mercati aspettano decisioni, e in fretta. Da un punto di vista tecnico, tutto è pronto: ora quello che occorre è un impulso politico».
Ma gli europei sono profondamente divisi sul fatto che si debba coinvolgere il settore privato
nel salvataggio di Atene. Lei che ne pensa? L´Europa dovrebbe riacquistare il debito greco
anche senza un contributo del settore privato?
«Esistono sul tavolo opzioni per coinvolgere i privati. Ma dobbiamo essere certi che le modalità adottate non portino a qualche effetto negativo di rimbalzo. Il riacquisto del debito greco è una opzione.
Ed è appoggiata dalla comunità bancaria internazionale rappresentata dall´International Institute of
Finance. Ma ci sono anche altre possibilità. Sfortunatamente nessuno ha la bacchetta magica. Qualsiasi scelta presenta pro e contro, il che spiega perché la discussione sia così vivace. Ma ci arriveremo».
L´Eurogruppo, come lei ricordava, ha deciso di rafforzare il fondo salva stati e renderlo più
flessibile. Questo vuol dire che sarà autorizzato a comprare i titoli greci sul mercato secondario?
«Stiamo valutando diverse possibilità. L´allungamento delle scadenze del prestito è un modo per alleviare l´onere degli Stati in difficoltà. Rivedere la politica dei tassi praticata dall´Efsf è un´altra opzione
allo studio. Anche l´ampliamento degli strumenti che il fondo può usare per intervenire sui mercati è
una ipotesi in discussione. La Commissione chiede fin dall´inizio della crisi di avere a disposizione il
più ampio ventaglio di strumenti possibile. Ora sta emergendo un consenso che questo è necessario».
Intanto il debito italiano è sotto attacco. Gli interessi sui Btp continuano a salire. Come mai?
Nonostante l´alto debito, si è sempre sostenuto che i fondamentali economici dell´Italia sono
sani. Perché invece siamo considerati un anello debole dell´area euro?
«Vorrei sottolineare che l´Italia ha seguito una politica di bilancio giustamente prudente durante la crisi. Grazie a questo, il deficit è aumentato meno che nella media dell´Eurozona nel 2009 e nel 2010 è
risultato inferiore alle aspettative: 4,6 per cento del Pil invece che 5 per cento. I dati di cui disponiamo
fino a giugno, indicano che anche per il 2011 l´attuazione delle misure è in carreggiata. Ma naturalmente l´altissimo debito pubblico rimane un punto vulnerabile dell´economia italiana, in particolare in
questo clima di forte incertezza e di timore del rischio da parte dei mercati. Per questo il Consiglio ha
chiesto all´Italia di sostanziare con misure concrete il piano di aggiustamento che prevede il pareggio
di bilancio per il 2014. Mi ha fatto quindi molto piacere l´adozione del nuovo pacchetto pluriennale di
misure. Penso che la procedura accelerata in Parlamento sia la giusta risposta alle recenti turbolenze
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dei mercati e confermi la forte determinazione dell´Italia a far calare il proprio debito in modo accelerato».
Il governo ha proposto un pacchetto di misure rinforzato. Ma il grosso delle manovra è rinviato
al 2013-2014, a dopo le elezioni politiche. Pensa che questo sia un messaggio sufficientemente credibile per i mercati?
«Non direi che lo sforzo di aggiustamento sia posticipato. Non dimentichiamo che questa nuova manovra si aggiunge ad un altro pacchetto di misure pluriennali adottate nel 2010 per riportare il deficit al
di sotto del 3 per cento nel 2012. Guardiamo le cifre. Il programma di stabilità presentato dall´Italia in
aprile prevede una decisa riduzione del deficit dal 3,9 per cento nel 2011 al 2,7 nel 2012, all´1,5 nel
2013 e allo 0,2 nel 2014. Complessivamente, questa strategia ambiziosa comporto uno sforzo di bilancio in termini strutturali pari allo 0,8 per cento del Pil nel 2011 e all´ 1 per cento del Pil per ogni anno dal 2012 al 2014. Quindi non direi che è una manovra a scoppio ritardato. E il nuovo pacchetto
aumenta lo sforzo di risanamento indicando le misure concrete per raggiungere gli obiettivi del 2013 e
2014. Il fatto che le misure adottate ora abbiano effetto in un orizzonte di tre anni sottolinea la credibilità della strategia di risanamento perché, sul medio termine, la mette al riparo dalle variabili del ciclo
politico».
Che cosa potrebbe fare ancora il governo per migliorare le prestazioni economiche del Paese?
«La lista sarebbe lunga. Mentre la crisi ha cambiato le priorità di molti Paesi, quelle dell´Italia restano
invariate: occorre migliorare il potenziale di crescita del Paese. Il Programma Nazionale di Riforma
presentato dall´Italia in aprile contiene molti elementi che vanno nella direzione giusta. Ma nel complesso non sembra sufficientemente ambizioso. Per questo il Consiglio ha chiesto all´Italia di migliorare ulteriormente il funzionamento del mercato del lavoro, delle professioni e dei servizi locali. Ma per
chiudere su una nota positiva, trovo che il recente accordo sulla contrattazione aziendale promette di
allineare meglio i salari alla produttività, e quindi di migliorare la competitività dell´economia italiana».
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Auto, è record per la seconda mano
ogni 120 vendute, 70 sono usate
Boom di cancellazioni per le moto: chi rottama non ricompra
In Valle d´Aosta e Toscana tiene il mercato delle immatricolazioni, ma è crollo al Sud
ROMA - Meglio tenersi la propria vecchia auto o acquistarne una di seconda mano. Magari pagata
dieci volte meno di un modello super accessoriato appena uscito di fabbrica.
Con la crisi che bussa alla porta delle famiglie, il mercato dell´usato, a leggere gli ultimi dati dell´Aci,
sembra vivere una stagione di gloria e sbaraglia la temibile concorrenza del nuovo. È una tendenza
che dura ormai dal 2010 e che si consolida soprattutto negli ultimi mesi.
Secondo il bollettino mensile dell´Automobile Club, a giugno il mercato dell´usato ha mostrato i muscoli e i passaggi di proprietà delle auto hanno segnato un incremento dell´1% rispetto allo stesso
mese del 2010. In pratica ogni 100 autovetture nuove ne sono state vendute 141 usate. Anche allargando lo sguardo al primo semestre dell´anno, l´affare di seconda mano prende piede: le auto guadagnano il 2,6% con le moto che accelerano a più 4%.
Crescono invece le "radiazioni", le cancellazioni, ma soltanto per le due ruote che registrano un progresso a due cifre (+19,2%). Al contrario i proprietari delle auto entrano con meno frequenza nei concessionari e preferiscono tenersi la vettura rinunciando alle "radiazioni", in calo del 6,1%. In questo
caso ogni 100 autovetture nuove ne sono state eliminate dalla circolazione soltanto 67. In totale, da
gennaio le cancellazioni crescono per i motocicli (+2,7%) mentre crollano del 23% nel caso delle auto.
Questi numeri descrivono uno stato di crisi profonda del settore ed evidenziano una crescente propensione al risparmio degli automobilisti. Che preferiscono acquistare un buon usato, oppure portare
fino all´ultimo respiro la vecchia macchina, piuttosto che passare al più oneroso nuovo. L´Italiano resta infatti molto legato alla propria vettura: quelle a benzina con più di 20 anni di vita sono il 14,1% del
totale del parco vetture, più o meno lo stesso numero di quelle più giovani e immatricolate fino a 3
anni fa.
L´usato batte il nuovo anche nella Capitale dell´auto: a Torino nei primi cinque mesi del 2011 sono
state acquistate e iscritte al Pra 48mila 339 vetture nuove contro quasi 55mile auto usate (7mila in più
rispetto al nuovo) mentre ne sono state rottamate 24mila. Le uniche Regioni dove le immatricolazioni
battono i passaggi di proprietà sono la Valle d´Aosta (4.526 nuove contro 4.257 usate) e la Toscana,
80mila contro 75mila (i dati sono al netto delle mini-volture, quelle che tanti italiani fanno in favore dei
concessionari, pratiche che falsano il mercato dell´usato)
Il record negativo per le immatricolazioni, invece, è segnato soprattutto nel Meridione e nelle Isole dove la congiuntura pesa maggiormente e dove i costi dei carburanti sono maggiori rispetto a quelli del
resto del Paese. Per questo in Puglia, Sicilia, Sardegna, Calabria, Basilicata e Molise si assiste ad
una vera a propria corsa all´usato con un picco in Campania dove sono passate di mano 127mila auto usate contro 35mila nuovi acquisti. Complessivamente in Italia nei primi cinque mesi del 2011 sono
state vendute 1 milione e 222mila vetture usate, contro le 821mila nuove immatricolate.
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Deloitte dà una mano a Don Verzè
patrimonio rivalutato di 20 milioni
Gli immobili brasiliani valutati 57 milioni grazie a perizie pagate dal San Raffaele
MILANO - Deloitte regala 20 milioni a Don Verzè. La consulenza sui conti dell´ospedale che oggi verrà illustrata nel consiglio di amministrazione della Fondazione che governa l´ospedale di Don Luigi
Verzè, grazie alle rivalutazioni straordinarie aumenta da 10 a 30 milioni il patrimonio della Fondazione. «La situazione patrimoniale straordinaria - si legge nel rapporto - presenta un patrimonio netto di
31,2 milioni, dopo impatti negativi relativi a svalutazioni, minusvalenze e altre rettifiche per 61,2 milioni, e impatti positivi relativi ad assets destinati alla vendita/dismissioni per complessivi 82,1 milioni».
La fotografia è al 31 marzo 2011 (parla anche di un rosso trimestrale di 17 milioni) ed è la base da cui
dovrà partire chi vorrà rilanciare la struttura ospedaliera. Stando ai dati, di certo c´è un ulteriore buco
nel patrimonio da 61,2 milioni di euro, dovuto soprattutto a operazioni compiute nel campo
dell´edilizia. Perdite vere che Deloitte controbilancia con alcune rivalutazioni effettuate solo sulla carta. Il patrimonio rimane positivo (31,2 milioni), perché a fare da contrappeso c´è una rivalutazione
complessiva degli asset di oltre 80 milioni, attribuibile per lo più agli immobili brasiliani e "certificata"
da consulenti pagati dallo stesso San Raffaele. La rivalutazione dovrà trovare una corrispondenza reale quando questi asset dovranno essere venduti.
La zavorra maggiore è la partecipazione in EdilRaf, il braccio immobiliare del San Raffaele, che tra
crediti dubbi e valore di carico è stato svalutata per quasi 28 milioni di euro. «Il management - si legge
nel rapporto - li ha ritenuti pressoché integralmente non recuperabili». L´altro pozzo senza fondo è la
Finraf, la holding alla quale fanno capo le società che gestiscono l´aereo e l´elicottero del San Raffaele, con una svalutazione di oltre 9 milioni di euro. Le note positive dovrebbero arrivare dall´ospedale
di Bahia (una rivalutazione di 57 milioni di euro) e dalla cessione della Blu Energy, la joint venture
nell´energia con il re delle bonifiche Giuseppe Grossi (22,7 milioni).
Come si sia potuto arrivare a un tale dissesto lo accennano con toni alquanto edulcorati i revisori della Deloitte: «Il sistema di controllo interno il cui impianto risale alla fine del 2008, appare ancora in fase di impostazione. Risulta necessario rafforzare la cultura del controllo e il numero di risorse dedicate». In realtà quel controllo non c´è mai stato e Don Verzè è stato il padre padrone di tutto. Ora però a
pagarne le conseguenze potrebbe essere il suo ex scudiero, Mario Cal, il consigliere delegato che ieri
ha liberato il proprio ufficio e che nei giorni scorsi è già stato sentito due volte in procura dal pm Luigi
Orsi. Oggi in consiglio verrà vagliata la via del concordato preventivo, una proposta che la prossima
settimana arriverà al Tribunale fallimentare di Milano. L´udienza potrebbe tenersi già giovedì 21 luglio.
La via della rinascita non sarà facile. Nei primi tre mesi dell´anno, il margine operativo lordo del gruppo era di soli 3 milioni di euro, pari al 2% del valore della produzione contro il 7% dell´anno prima.
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ASSSSO
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FORMAZIONE
Innovazione al lavoro
“Molte aziende”spiega Giorgio Fossa, presidente di Fondimpresa, “hanno presentato piani di
aggiornamento del personale non solo per i giovani ma anche per gli over 45”.
La Commissione europea sta destinando molti soldi alle reti superveloci e all’
accesso a
internet. In Italia la digitalizzazione è ancora poco diffusa
Solo l´83 per cento delle imprese italiane utilizzano la banda larga, scontando così un forte
ritardo rispetto agli altri paesi del Vecchio continente
L´Italia dell´innovazione sta risalendo, lentamente, la china. Ma potrebbe non bastare per riagguantare i paesi che nel mondo stanno spendendo di più in Ict (Information and communication technology),
come Cina e India. Il mercato mondiale dell´informatica e delle telecomunicazioni (tlc) ha infatti ripreso la sua crescita a ritmi pre-crisi, passando dal -1,5 per cento del 2009 al +4,9 per cento del 2010, in
linea con la crescita del 5 per cento del pil globale. Secondo gli ultimi dati Assinform, l´associazione
italiana che fa parte di Confindustria per l´information technology, nel 2010 il mercato italiano dell´Ict
ha registrato un giro di affari di 60.230 milioni di euro, in calo del 2,5 per cento rispetto al 2009, anno
nel quale però il calo si attestava a quota 4,2. Da notare che il settore tlc (apparati, terminali e servizi
per reti fisse e mobili) ha trainato verso il basso il mercato con un -3 per cento (41.800 milioni di euro), che è stato in parte compensato da un -1,4 per cento dell´It (18.430 milioni di euro).
Il 2011 si è aperto con una battuta d´arresto (-1,3 per cento nell´It) ma comunque arrivano segnali incoraggianti, secondo il presidente Assinform Paolo Angelucci, dal comparto del software (+0,4 per
cento a fine marzo) e dalla «componente innovativa dei servizi di tlc» che copre il 30 per cento del totale. Interessante anche il settore del cloud computing (che consente l´accesso alle risorse aziendali
indipendentemente da dove ci si trova e dallo strumento che si usa) che vale 130 milioni di euro e che
dovrebbe triplicare nei prossimi due anni. Dalle grandi un grosso impulso alla risalita ma anche le piccole e le medie hanno contribuito fortemente ad alimentare il mercato con incrementi della domanda
di It nell´ordine del 5 per cento circa.
«Il calo è decisamente più contenuto rispetto a quello registrato l´anno precedente» commenta Giorgio Fossa, presidente di Fondimpresa, che quest´anno finanzierà i progetti che, tramite la formazione,
riescano a portare concretamente l´innovazione nelle pmi manifatturiere. «E probabilmente stiamo già
andando verso un´inversione di tendenza. Infatti moltissime aziende presentano a Fondimpresa piani
formativi, per giovani ma anche per over 45, per fare innovazione in tutte le sue forme». Anche la
Commissione europea sta lanciando forti input in questa direzione: nella proposta di bilancio pluriennale 2014-2020 destina cifre ingenti, si parla di oltre mille miliardi di euro, a obiettivi come le reti superveloci per l´accesso a internet, le piccole e medie imprese, la ricerca e l´innovazione. E proprio
sulla banda larga l´Italia sconta un ritardo pesante col resto d´Europa con solo l´83 per cento delle
imprese che usano internet veloce.
A preoccupare per l´anno in corso è ancora la scarsa diffusione della cultura della digitalizzazione
come motore di sviluppo, come se fosse appannaggio di poche virtuose imprese. Infatti l´Italia sconta
ancora un forte ritardo rispetto al resto dell´Europa a 27, sebbene anche nel Vecchio continente la
crescita nell´Ict sia al palo, con un calo nel 2010 dell´1 per cento, per effetto di un recesso nelle tlc (2,5 per cento), non riequilibrato dall´It, che comunque ha fatto registrare un +1,2 per cento).
«L´innovazione non può svilupparsi senza le professionalità necessarie a promuoverla e a gestirla. La
formazione è l´unico modo per acquisirle. Serve una formazione personalizzata che si affianca alla
consulenza degli esperti» continua Fossa. «La crisi sta facendo crescere rapidamente, anche nelle
imprese più piccole, la consapevolezza che l´innovazione è un investimento vitale e non una spesa.
Tanti fattori la ostacolano nelle pmi, difficoltà di accesso al credito, legami deboli con la ricerca, carenza di professionalità interne. Formazione e rapporto con le università diventano quindi indispensabili».
Rassegna Stampa del giorno 15 Luglio 2011
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
pagina17
La Fiba-Cisl
augura a tutti voi
una giornata serena!!
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Luugglliioo
ppeerr uunnaa nnuuoovvaa
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Rassegna Stampa del giorno 15 Luglio 2011
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
pagina18
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Venerdì 15 Luglio 2011