TERAPIA DELL’EMBOLIA POLMONARE ACUTA ALLA
LUCE DELLE NUOVE LINEE GUIDA
EUGENIO VINCI ed ANNA MARCHESE
UOC CARDIOLOGIA OSPEDALE UMBERTO I° SIRACUSA
CLASSIFICAZIONE
L’embolia polmonare (EP) è definita come l’occlusione acuta parziale o completa di uno o più rami delle arterie
polmonari, da parte di materiale embolico di origine extra-polmonare, molto frequentemente a partenza venosa.
Nelle attuali linee guida europee
1
per la diagnosi ed il trattamento dell’EP, la classificazione clinica è basata sul
livello di rischio di mortalità precoce, definita come mortalità intraospedaliera o a 30 giorni.
Questa stratificazione permette di distinguere tra EP ad alto rischio in presenza di shock o ipotensione persistente, ed
EP a non alto rischio in assenza di shock o ipotensione all’ingresso.
Nei pazienti con EP a non alto rischio viene considerata un’ ulteriore stratifcazione basata sulla presenza e/o assenza di
markers clinici di rischio e sul PESI o sPESI score.
I pazienti normotesi con PESI class ≥ III (o sPESI ≥1) sono definiti a rischio intermedio.
Nell’ambito del rischio intermedio vengono prese in considerazione due ulteriori categorie : “intermedia ad alto
rischio” in cui sono presenti segni di disfunzione ventricolare destra ed elevati livelli di biomarkers di danno cardiaco,
ed “intermedia a basso rischio” in cui la funzione ventricolare destra è normale e/o i biomarkers cardiaci rientrano
nella norma.
I pazienti con PESI class I-II o sPESI zero, con funzione ventricolare destra e biomarkers cardiaci nella norma sono
considerati a “ basso rischio”1.
In sintesi l’EP può essere , pertanto, classificata in tre gruppi principali 1-2:
1) Embolia polmonare a rischio elevato (massiva): condizione di compromissione respiratoria o
emodinamica, con shock e/o sincope e/o ipotensione (definita come una pressione sistolica <90 mmHg per almeno
15 minuti, o che richieda supporto di inotropi, se non causata dall’insorgenza di una nuova aritmia, ipovolemia, sepsi o
disfunzione ventricolare sinistra) o spiccata bradicardia con segni e sintomi di shock.
2) Embolia polmonare a rischio intermedio, suddivisa in :
1
a- EP a rischio intermedio-alto: embolia polmonare acuta senza ipotensione (pressione sistolica ≥ 90 mmHg) con
PESI class III-V o sPESI ≥ 1 e riscontro positivo di un marker di disfunzione ventricolare destra e positività dei
markers cardiaci di danno miocardico.
b- EP a rischio intermedio-basso: embolia polmonare acuta senza ipotensione (pressione sistolica ≥ 90 mmHg) con
PESI class III-V e sPESI ≥ 1 con riscontro di marker di disfunzione ventricolare destra e di danno miocardico
entrambi negativi, o solo uno positivo.
3) Embolia polmonare a rischio basso (non massiva): embolia polmonare acuta con PESI class I-II o
sPESI 0 e markers di danno miocardico e disfunzione ventricolare destra negativi.
Nella tabella I sono riportati i markers di disfunzione ventricolare destra ed i biomarkers di danno miocardico presi in
considerazione dalla linee guida europee.
MARKERS CLINICI
MARKERS DI DISFUNZIONE VN DX
Shock
Dilatazione ventricolare destra,
Sovraccarico pressorio,
ipocinesia all’ecocardiogramma
Ipotensione
Aumento BNP o NT proBNP,
H-FABT
MARKERS DI DANNO
MIOCARDICO
TNI
TNT
TABELLA I
L’importanza di questa classificazione deriva dalle diverse strategie terapeutiche adottate nelle varie classi di rischio.
TRATTAMENTO DELL’ EMBOLIA POLMONARE ACUTA A RISCHIO
ELEVATO ED INTERMEDIO-ALTO
I pazienti con EP ad alto rischio possono presentarsi in arresto cardio-respiratorio (in questo caso la probabilità di
decesso nei primi 60 minuti è di circa il 10%), oppure con funzioni vitali conservate ma instabili. In questi casi
l’immediato supporto delle funzioni emodinamiche e respiratorie, e la terapia anticoagulante con eparina non frazionata
devono essere immediatamente avviati.
2
TROMBOLISI
Le attuali linee guida
1
indicano la terapia trombolitica come trattamento di scelta per la riperfusione primaria del
circolo polmonare nei pazienti con embolia polmonare ad alto rischio.
Daniels et al.3 hanno evidenziato come il beneficio maggiore della trombolisi sia riscontrato quando il trattamento viene
avviato entro 48h dall’insorgenza dei sintomi, ma la terapia trombolitica può rivelarsi ugualmente utile nei pazienti con
sintomatologia insorta da 6-14 giorni.
Per quanto riguarda il confronto fra diversi farmaci trombolitici, 100 mg di rtPA in 2h hanno determinato un
miglioramento emodinamico ed angiografico più rapido rispetto ad una dose di urochinasi di 4400 UI/kg/h
somministrata in 12-24h e rispetto ad un’infusione di streptochinasi di 100 000 UI/h 1.
Le controindicazioni alla trombolisi nell’EP sono desunte dalle linee guida dello STEMI,
nel caso dell’embolia
polmonare a rischio elevato le controindicazioni considerate assolute nello STEMI, possono essere considerate relative.
Rimane ancora controverso il ruolo della trombolisi nei pazienti affetti da embolia polmonare a rischio intermedio.
Nel MOPETT
4
, studio pilota condotto su 121 pazienti affetti da embolia polmonare a rischio intermedio , è stato
effettuato un confronto tra pazienti trattati con una “dose sicura” di tPA , corrispondente a circa la metà di quella
impiegata per la trombolisi standard , ed un gruppo di controllo non sottoposto a trombolisi, ma trattato solo con
anticoagulanti. Gli endpoints primari dello studio erano l’ipertensione polmonare (definita come un valore di pressione
arteriosa polmonare sistolica superiore a 40 mmHg) e la combinazione di ipertensione polmonare e recidiva di EP.
L’incidenza di ipertensione polmonare a 28 mesi è stata del 16% nel gruppo sottoposto a trombolisi, contro il 57 % del
gruppo di controllo (p<0,001), mentre quella dell’endpoint combinato è stata del 16% contro il 63% (p<0,001).
Nel gruppo tPA non si sono verificate recidive, mentre se ne sono registrate tre nel gruppo di controllo (p=0,007). In
entrambi i gruppi si è osservata una riduzione della pressione polmonare, ma l’entità della riduzione è stata di gran
lunga maggiore nei pazienti trattati con tPA rispetto ai controlli. Inoltre, in nessuno dei due gruppi si sono avuti
sanguinamenti maggiori, ma la durata del ricovero è risultata minore nei pazienti sottoposti a trombolisi.
Lo studio, pertanto, ha evidenziato come la maggior parte dei pazienti con EP a rischio intermedio-alto potrebbe essere
trattato con trombolisi in modo sicuro utilizzando una dose modificata di tPA, ed una dose ridotta di anticoagulanti in
concomitanza, permettendo di ridurre i tempi di degenza, nonché l’insorgenza di ipertensione polmonare nel lungo
termine. Da sottolineare, tuttavia, quali limiti del MOPETT, la piccola popolazione di pazienti trattati e il disegno in
aperto dello studio, che potrebbe aver portato ad attribuire un peggioramento clinico che richiedeva la somministrazione
di tPA ad una percentuale più elevata di pazienti.
3
Recentemente lo studio PEITHO5, un trial di fase III randomizzato, condotto in doppio cieco su 1006 pazienti, ha
valutato l'efficacia clinica e la sicurezza della terapia fibrinolitica con un singolo bolo di tenecteplase, in aggiunta alla
normale terapia anticoagulante con eparina, in pazienti normotesi con embolia polmonare acuta a rischio intermedio.
L’endpoint principale dello studio era il decesso o uno scompenso emodinamico entro 7 giorni dal trattamento, mentre
gli endpoint primari di sicurezza erano il sanguinamento maggiore extracranico e l’ictus ischemico o emorragico nei 7
giorni dopo la randomizzazione.
I pazienti deceduti o che hanno sviluppato uno scompenso emodinamico sono stati il 2,6% (13 su 506) nel gruppo
tenecteplase e il 5,6% (28 su 499) nel gruppo placebo, differenza che si traduce in una riduzione del rischio del 66%
con tenecteplase rispetto alla sola eparina (odds ratio 0,44; IC al 95% 0,23-0,87; P = 0,02).
Tuttavia, non si è osservata alcuna riduzione significativa della mortalità al momento della randomizzazione e a sette
giorni nel gruppo tenecteplase rispetto al gruppo di controllo (1,2% contro 1,8%; P = 0,42), né della mortalità a 30
giorni dal trattamento (2,4% contro 3,2% rispettivamente; P = 0,42). I risultati mostrano che nei pazienti a rischio
intermedio, l’anticoagulazione di routine nei casi di embolia polmonare acuta è sufficiente, dal momento che la
mortalità complessiva a 7 giorni in questi pazienti è bassa (l’1,8%) e non differisce in maniera significativa da quella
dei pazienti sottoposti alla trombolisi in aggiunta alla terapia anticoagulante (1,2%).
In questo studio, inoltre, l’aggiunta di tenecteplase all’eparina ha comportato un aumento significativo delle emorragie
extracraniche (6,3% contro 1,2%; P < 0,001) e degli ictus (2,4% - 12 casi, di cui 10 di ictus emorragico - contro 0,2% un solo caso di ictus emorragico - nel gruppo placebo; P = 0,003). È importante sottolineare che soltanto 17 pazienti su
500 tra quelli trattati con la sola eparina hanno dovuto ricorrere alla trombolisi di salvataggio, e il rischio complessivo si
può minimizzare cominciando solo con l’anticoagulante ed eseguendo la trombolisi di salvataggio solo in quei pazienti
che mostrano un peggioramento emodinamico nel corso del trattamento con eparina.
Le conclusioni dello studio evidenziano come nei pazienti affetti da embolia polmonare a rischio intermedio, la terapia
fibrinolitica prevenga lo scompenso emodinamico, ma aumenti il rischio di emorragie maggiori ed ictus. Da qui la
necessità di stratificare i pazienti in funzione del rischio di morte e di quello emorragico, e di sottoporli ad un attento
monitoraggio clinico, riservando la trombolisi ai pazienti che sviluppano segni di scompenso di circolo potenzialmente
fatale.
Emerge, sulla scorta di questi risultati, la necessità di migliorare la sicurezza dell’attuale trattamento trombolitico nei
pazienti ad elevato rischio emorragico.
4
TROMBECTOMIA PERCUTANEA
In presenza di controindicazione alla trombolisi o, come terapia aggiuntiva nel caso in cui questa non abbia portato ad
un miglioramento delle condizioni emodinamiche, la trombectomia percutanea può essere impiegata per riaprire il
tronco polmonare parzialmente occluso o le arterie polmonari principali, in quanto valida opzione salvavita nei centri
che non dispongano di chirurgia.
Le casistiche disponibili includono complessivamente più di 500 pazienti in studi non randomizzati con un successo
clinico pari all’87% e con una mortalità compresa tra 0% e 80%6.
Al momento attuale la disostruzione meccanica dei trombi nelle arterie polmonari prevede l’utilizzo di vari devices,
con quattro principali meccanismi d’azione:
1) frammentazione meccanica mediante guide, cateteri, pigtail, palloni, inserimento di stent, con dispositivi che
consentono di frammentare il trombo con embolizzazione dei frammenti sottili nelle zone più distali dell’albero
polmonare, 2) aspirazione, 3) trombectomia reolitica, 4) trombectomia rotazionale 1.
Tra i diversi dispositivi
il sistema AngioJet, che agisce mediante reolisi del materiale trombotico, presenta un
interessante profilo di sicurezza ed efficacia. Questo device consiste di un catetere dotato di un lume attraverso il quale
si inietta ad alta velocità soluzione fisiologica allo scopo di creare un effetto Venturi, frammentare i trombi circostanti
riassorbendo attraverso un altro lume i detriti frammentati7.
La trombectomia percutanea può effettuata
in associazione alla trombolisi allo scopo di frammentare l'embolo,
esponendo una superficie più ampia all'azione del trombolitico. La combinazione di frammentazione con catetere e
trattamento trombolitico si è mostrata più efficace rispetto alla sola trombolisi .
Le complicazioni maggiori legate alla procedura percutanea sono in genere rare e possono essere ulteriormente ridotte
tenendo presente che lo scopo della procedura non è la lisi completa del trombo , ma la sua frammentazione.
Vi è unanime consenso nel ritenere che le procedure con catetere debbano essere eseguite solo nelle arterie principali,
poiché la frammentazione all’interno dei rami secondari risulta di scarsa utilità e, al contrario, potrebbe danneggiare
strutture più delicate con il rischio di perforarle. È fondamentale che la procedura sia terminata non appena si riscontri
un miglioramento emodinamico8.
Nonostante la trombectomia percutanea, con o senza trombolisi loco-regionale, abbia dimostrato un' alta percentuale di
successo clinico, mancano al momento attuale evidenze cliniche basate su trials randomizzati sull'efficacia delle
singole tecniche percutanee.
Un innovativo approccio “farmaco-meccanico” sembra essere costituito dall'impiego di un trattamento trans-catetere
che prevede la sinergia tra trombolisi ed ultrasuoni erogati nelle arterie polmonari.
5
La
trombolisi catetere-guidata associata agli ultrasuoni (USAT) combina l'approccio trombolitico
percutaneo convenzionale con l'utilizzo di ultrasuoni ad alta frequenza ((2,2 MHZ), che di per sé non hanno il potere di
lisare il trombo, ma provocano la disgregazione e separazione delle maglie di fibrina aumentando la permeabilità del
trombo al fibrinolitico.
L'EKOSonic Endovascular System è un device sviluppato per il trattamento USAT, che si compone di tre unità: un
catetere di rilascio del trombolitico (IDDC), il device rimovibile MicroSonic che contiene multipli e piccoli trasduttori
di ultrasuoni, e l'unità di controllo Ekosonic. L'inserzione del catetere viene effettuata nel laboratorio di emodinamica
attraverso la vena femorale, e consente l'infusione continua di trombolitico in concomitanza dell'erogazione
intravascolare degli ultrasuoni.
Tale sistema è stato utilizzato nel trial ULTIMA (Ultrasound-Assisted Catheter-Directed Thrombolysis for Acute
Intermediate-Risk Pulmonary Embolism)pubblicato recentemente su Circulation9.
Si tratta di un trial multicentrico che ha arruolato 59 pazienti affetti da embolia polmonare acuta a rischio intermedio
che si presentavano all'ingresso con un rapporto tra le dimensioni del ventricolo destro e di quello sinistro (RV/LV)
misurato ecograficamente ≥ 1.
I pazienti sono stati trattati in rapporto 1:1 con eparina non frazionata (UHF) e USAT con rt-PA 10-20 mg nell’arco di
15 ore (30 pazienti), oppure con la sola UHF. L’endpoint primario era la variazione del rapporto RV/LV tra il basale e
le 24 ore successive. I risultati hanno evidenziato che nei pazienti sottoposti alla trombolisi si è avuta una riduzione
statisticamente significativa del rapporto RV/LV nelle 24 ore, mentre i pazienti trattati solo con l' eparina non hanno
mostrato alcun miglioramento significativo di questo parametro. Nel primo caso, infatti, la media del rapporto RV/LV è
passata da 1,28 ± 0,19 al basale a 0,99 ± 0,17 dopo 24 ore ( P < 0,001), mentre nel secondo non c’è stata alcuna
variazione statisticamente significativa (da 1,20±0.14 a 1.,17±0,20; P = 0,31). A 90 giorni non si sono avuti episodi di
scompenso cardiaco, recidiva embolica o sanguinamenti maggiori in entrambi i gruppi. Si sono registrati un decesso
per cancro pancreatico (nel gruppo trattato con la sola eparina) e quattro sanguinamenti minori (di cui tre nel gruppo
sottoposto alla USAT)9.
Gli autori concludono che nei pazienti con embolia polmonare a rischio intermedio, la trombolisi transcatere assistita
con ultrasuoni è clinicamente superiore alla terapia anticoagulante con la sola eparina nel far regredire la dilatazione del
ventricolo destro nell’arco di 24 ore, senza aumentare le complicanze emorragiche.
La trombectomia percutanea può rappresentare nel suo complesso una validissima opzione terapeutica nei pazienti
affetti da embolia polmonare acuta a rischio alto ed intermedio-alto. Al momento attuale essa sembra essere
verosimilmente sottoutilizzata, e scarsamente impiegata soprattutto in quei pazienti con embolia polmonare a rischio
6
intermedio potenzialmente fatale. L'attuazione di strategie terapeutiche piu' incisive e di una rete Hub-Spoke potrebbe
agevolare l' applicazione di una metodica salvavita nell'ambito di un'emergenza cardiovascolare, quale è appunto
l'embolia polmonare acuta, al pari di ciò che avviene attualmente per l'infarto miocardico acuto con sopralivellamento
del tratto ST8.
EMBOLECTOMIA POLMONARE CHIRURGICA
Nelle strutture con cardiochirurgia, l’embolectomia polmonare viene indicata dalle linee guida come alternativa
terapeutica in quei pazienti con EP a rischio elevato, nei quali la terapia trombolitica sia assolutamente controindicata o
si sia dimostrata inefficace1.
I pazienti con storia di dispnea cronica e grave ipertensione polmonare che manifestano un episodio di EP acuta è
probabile che siano affetti da ipertensione polmonare cronica trombolembolica (CTEPH). In queti casi il trattamento di
scelta è rappresentato dall’ endarterectomia polmonare da eseguirsi presso centri specializzati10.
FILTRI CAVALI
L’inserimento sistematico di un filtro cavale non è raccomandato nei pazienti con tromboembolismo venoso (TEV).
L’utilizzo di filtri venosi può essere considerato solo in quei pazienti che presentino controindicazioni assolute alla
terapia anticoagulante o ad elevato rischio di recidiva di TEV, come avviene nel periodo
immediatamente successivo ad un intervento neurochirurgico o di chirurgia maggiore, e nelle donne in gravidanza che
sviluppano trombosi diffusa durante le settimane che precedono il parto. Non appena sia possibile somministrare con
sicurezza gli anticoagulanti, i filtri temporanei devono essere rimossi; tuttavia, non esistono dati di studi randomizzati
prospettici che definiscano il tempo di utilizzo ottimale dei filtri cavali1
7
TRATTEMENTO DELL’ EMBOLIA POLMONARE ACUTA A RISCHIO
INTERMEDIO-BASSO E BASSO
ANTICOAGULANTI
Le attuali linee guida europee raccomandano nella maggior parte dei casi di EP acuta a rischio non elevato non
complicata da insufficienza renale grave, il trattamento con eparine a basso peso molecolare (EBPM) o fondaparinux
per via sottocutanea, che non richiedono monitoraggio di laboratorio, e sono preferiti rispetto all’eparina non frazionata
per il minor rischio di complicanze emorragiche e di trombocitopenia indotta da eparina .
Nei pazienti ad elevato rischio emorragico e in quelli con insufficienza renale grave od obesità severa, tuttavia, l’eparina
non frazionata è raccomandata come terapia iniziale, con lo scopo di raggiungere un aPTT compreso tra 1.5 e 2.5 volte i
valori di controllo1.
Il trattamento iniziale con UHF, EBPM o fondaparinux deve essere proseguito per almeno 5 giorni e può essere
sostituito con gli antagonisti della vitamina K (VKas) solo dopo il conseguimento di valori di INR tra 2 e 3 per almeno
2 giorni consecutivi.
I VKas sono stati il trattamento di scelta per oltre 50 anni e rimangono tutt’ora gli anticoagulanti orali maggiormente
utilizzati nella EP11.
Nella pratica clinica , tuttavia, essi presentano delle ben note limitazioni e controindicazioni, che hanno portato ad una
crescente attenzione verso l’utilizzo di nuovi anticoagulanti orali (NAO) con maggiore profilo di tollerabilità e
maneggevolezza.
In considerazione dei risultati dei principali trials clinici sul trattamento con NAO nella fase acuta della EP, questi
farmaci sono stati indicati dalle attuali linee guida come un’alternativa al trattamento standard con eparina ed
antagonisti della vitamina K.
I trials condotti concludono, infatti, per la “non inferiorità” di rivaroxaban, dabigatran ed apixan ( attualmente approvati
nell’ UE per il trattamento dell’EP acuta) ed un potenziale profilo di sicurezza maggiore rispetto al trattamento
standard.
La tabella II, tratta dalle attuali linee guida europee, riassume i principali trials condotti sull’utilizzo dei NAO nell’EP
acuta.
In corso il trial che valuterà l’efficacia e sicurezza di Edoxaban nel trattamento acuto dell’embolia polmonare.
8
TABELLA II Trials clinici sul trattamento con NAO nel tromboembolismo venoso
L’EP a basso rischio, infine, definisce una categoria di pazienti che non presentano fattori di rischio primari correlati
all’EP, e per i quali può essere pianificata una dimissione precoce con un trattamento anticoagulante domiciliare, a
condizione di poter fornire un’assistenza ambulatoriale adeguata. In questi pazienti devono, pertanto, essere sempre
presi in considerazione sia i fattori di rischio preesistenti ed aspecifici del singolo paziente sia il rischio emorragico.
La durata della terapia deve essere personalizzata dopo un’attenta valutazione del rischio/beneficio.
La durata breve della terapia (almeno tre mesi) deve essere basata su fattori di rischio rimovibili e transitori (es. un
intervento chirurgico, od un’immobilizzazione), mentre una durata più lunga deve essere basata su fattori di rischio
permanenti1.
9
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10
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