Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
AA. 2009-2010
Capitolo 4. Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
4.1 Metodi di risoluzione.
Si consideri l’equazione di secondo grado (o quadratica).
ax2 + bx + c = 0.
In essa il coefficiente direttore a lo si assume diverso da 0, per non tornare alle equazioni di primo
grado. Vi sono diversi metodi per risolverla in generale. Come visto in 2.4, si hanno documenti
antichi che attestano lo studio di equazioni di secondo grado e di metodi, forse ad hoc, ma
abbastanza generali, per risolverle. La tavoletta mostrata in 2.4 reca tracce del metodo di
completamento del quadrato, come strategia risolutiva.
Tale metodo in uso anche oggi viene qui presentato in due versioni e in generalità, prescindendo dai
valori particolari dei coefficienti che in certi casi permettono soluzioni più rapide.
4.1.1. Il 1° metodo di completamento del quadrato. Si moltiplichino entrambi i membri
dell’equazione per 4a, si ottiene 4a2x2 + 4abx + 4ac = 0. Ora si aggiunge e si toglie b2, ottenendo
4a2x2 + 4abx + b2 – b2 + 4ac = 0. Tale espressione con semplici calcoli si può trascrivere come
(2ax+b)2 = b2 – 4ac. Estraendo la radice quadrata di entrambe i membri e con qualche ulteriore
trasformazione si ottiene la formula
x=
− b − b 2 − 4ac
− b + b 2 − 4ac
∨x=
.
2a
2a
E’ importante che a ≠ 0, per non annullare i denominatori.
Si sono trovate in questo modo le soluzioni dell’equazione in quanto
− b − b 2 − 4ac
a
2a
=
+b
− b − b 2 − 4ac
b 2 + b 2 − 4ac + 2b b 2 − 4ac − b 2 − b b 2 − 4ac
+c = a
+
+c =
2a
2a
4a 2
2b 2 − 4ac + 2b b 2 − 4ac − 2b 2 − 2b b 2 − 4ac + 4ac
= 0 . Analogamente per l’altra radice
4a
− b + b 2 − 4ac
a
2a
=
2
2
+b
− b + b 2 − 4ac
b 2 + b 2 − 4ac − 2b b 2 − 4ac − b 2 + b b 2 − 4ac
+c =a
+
+c =
2a
2a
4a 2
2b 2 − 4ac − 2b b 2 − 4ac − 2b 2 + 2b b 2 − 4ac + 4ac
= 0.
4a
119
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4.1.2. Il 2° metodo di completamento del quadrato. Se invece che per 4a si moltiplicano entrambi i
membri dell’equazione per 4c si ottiene 4acx2 + 4bcx + 4c2 = 0. Si toglie e aggiunge b2x2 e così
facendo si ha 4acx2 – b2x2 + b2x2 + 4bcx + 4c2 = 0. Con semplici trasformazioni si ricava
x2(4ac – b2) + (bx + 2c)2 = 0, da cui (bx + 2c)2 = x2(b2 – 4ac). Estraendo la radice quadrata si ha
bx + 2c = − x b 2 − 4ac ∨ bx + 2c = x b 2 − 4ac . Si trattano separatamente i due casi: nel primo si
ottiene x − b − b 2 − 4ac = 2c , da cui x =
x − b + b 2 − 4ac = 2c , da cui x =
x=
2c
− b − b 2 − 4ac
2c
− b + b 2 − 4ac
2c
2
− b − b − 4ac
∨x=
. Nel secondo si ottiene
. Quindi l’equazione ha soluzioni date da
2c
2
− b + b − 4ac
.
Per semplicità di calcolo si ponga δ = b 2 − 4ac e quindi δ2 = b2 – 4ac.
Si tratta di soluzioni in quanto nel primo caso si ha
2c
a
−b −δ
2
+b
2c
4ac 2
2bc
+c = 2
+
+c =
2
−b −δ
b + δ + 2bδ − b − δ
(
) (
2
(2b − 4ac + 2bδ )(b + δ )
)
− 4ac 2 (b + δ ) + 2bc 2b 2 − 4ac + 2bδ − c 2b 2 − 4ac + 2bδ (b + δ )
(
− 4abc 2 − 4ac 2δ + 4b3c − 8abc 2 + 4b 2cδ − c 2b3 + 2b 2δ − 4abc − 4acδ + 2b 2δ + 2bδ 2
(2b2 − 4ac + 2bδ )(b + δ )
)=
− 4abc 2 − 4ac 2δ + 4b3c − 8abc 2 + 4b 2cδ − 2b3c − 2b 2cδ + 4abc 2 + 4ac 2δ − 2b 2cδ − 2bcδ 2
(2b2 − 4ac + 2bδ )(b + δ )
2b3c − 8abc 2 − 2bc(b 2 − 4ac)
(2b2 − 4ac + 2bδ )(b + δ )
=
2b3c − 8abc 2 − 2b3c + 8abc 2
(2b2 − 4ac + 2bδ )(b + δ )
=
= 0.
Resta il problema di vedere se con le due formule risolutive si ottengano soluzioni diverse oppure le
stesse.
Si ha
− b − b 2 − 4ac
2c
b 2 − (b 2 − 4ac) − 4ac
b 2 − b 2 + 4ac − 4ac
−
=
=
= 0 e pure
2a
2
− b + b 2 − 4ac 2a − b + b 2 − 4ac
2a − b + b − 4ac
− b + b 2 − 4ac
2c
b 2 − (b 2 − 4ac) − 4ac b 2 − b 2 + 4ac − 4ac
−
=
=
=0,
2a
2
− b − b 2 − 4ac 2a − b − b 2 − 4ac
2a − b − b − 4ac
quindi
si
tratta di espressioni diverse per le stesse soluzioni.
La formula risolutiva ottenuta con secondo metodo di completamento del quadrato, rispetto a quella
120
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più consueta che si trova in ogni testo di algebra della scuola superiore, ha il vantaggio di fornire
contemporaneamente (in modo complicato) le soluzioni per le equazioni di primo e secondo grado.
Infatti la formula
x=
− b − b 2 − 4ac
− b + b 2 − 4ac
∨x=
2a
2a
non è applicabile nel caso che a = 0, cioè che l’equazione sia di primo grado.
Con la formula risolutiva
x=
2c
2
− b − b − 4ac
∨x=
2c
− b + b 2 − 4ac
nel caso a = 0, si ha b2-4ac = b2, quindi bisogna eliminare il primo caso perché il denominatore si
c
annulla, ma nel secondo si ottiene, fatti i calcoli, x = − , che è la soluzione di bx+c=0.
b
4.1.3. La trasformazione a radici aumentate. E’ un procedimento utilizzato la prima volta da
Cardano o da Tartaglia attorno al 1530 per le equazioni di terzo grado e poi a
quelle di quarto, ma è applicato alle equazioni di secondo grado da Viète nel
1601. Si consideri sempre la stessa equazione di secondo grado
ax2 + bx + c = 0.
(1)
Si sostitusce x con y+h, ottenendo a(y+h)2 + b(y+h) + c = ay2 +2ahy + ah2 + by
Girolamo Cardano
(1501-1576)
+ bh + c = 0. Con qualche calcolo si ha
ay2 + (2ah+b)y + ah2 + bh + c = 0.
(2)
Dalla sostituzione fatta se y0 è soluzione della (2), y0+h è soluzione della (1). Si osservi meglio la
(2). Se h fosse soluzione della (1), allora sarebbe ah2 + bh + c = 0 e la (2) si ridurrebbe a ay2 +
(2ah+b)y = 0, che ha per soluzioni y = 0 ∨ y = −
x=h∨ x=−
2ah + b
. Quindi si avrebbero le soluzioni della (1)
a
2ah + b
ah + b
+h = −
. Perciò nel caso che sia nota una soluzione della (1) se ne trova
a
a
la seconda con poca fatica.
Il coefficiente del monomio y nella (2) è la derivata prima del termine noto rispetto a h.
Si può imporre la condizione che tale coefficiente sia nullo, il che comporta h = −
la
(2)
in
ay 2 +
b2 b2
−
+c = 0,
4a 2a
vale
121
a
dire
y2 =
b 2 − 4ac
4a 2
.
b
, trasformando
2a
Si
ha,
quindi,
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
y=−
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b 2 − 4ac
b 2 − 4ac
∨y=
. La ricerca del valore di h ricorda l’individuazione della ascissa
2a
2a
del vertice di una parabola. Risalendo alle soluzioni della (1), ricordando che x = y + h, si ottiene
ancora
x=
− b − b 2 − 4ac
− b + b 2 − 4ac
∨x=
.
2a
2a
4.1.4. Il discriminante. In tutti questi metodi si giunge all’espressione b2 – 4ac, al numeratore o al
denominatore. Tale termine è quindi fondamentale per la risoluzione dell’equazione. Esso è formato
con i coefficienti dell’equazione e prende il nome di discriminante dell’equazione; serve per
decidere (discriminare) se l’equazione ha due radici coincidenti. Infatti se il discriminante è nullo,
usando la prima formula risolutiva, le radici divengono entrambe eguali a x = −
seconda divengono uguali a x = −
b
, mentre con la
2a
2c
.
b
La differente espressione di questi due valori può sorprendere, ma si rifletta che b2 – 4ac = 0, da cui
−
2c
b
− 4ac + b 2
− −
=
= 0.
b
2a
2ab
Nella prassi didattica, il termine b2 – 4ac viene indicato col simbolo ∆. Spesso gli studenti (ed anche
l’insegnante) parlano del “delta”, come se fosse un valore esplicito. In questo modo vedono questa
scrittura come una notazione. Di fatto si tratta di altro. Nella teoria generale delle equazioni si prova
il seguente fatto
Teorema del polinomio derivato. Sia a0xn+a1xn-1+…+an-1x+an = 0 un’equazione algebrica di grado
n a coefficienti in
. Il numero complesso β è una soluzione di molteplicità s > 1 dell’equazione
data se e solo se β è radice di molteplicità s-1 del polinomio derivato na0xn-1+(n-1)a1xn-2+…+an-1.
Dimostrazione. Sia β una soluzione di molteplicità s dell’equazione di grado n. Per il Corollario 1
(§2.2) si può scrivere il polinomio f(x) a primo membro della equazione come a0(x-β)sg(x), ove
s∈
e 1 < s e g(x) un polinomio che non contiene il fattore (x – β). Si considera ora il polinomio
f’(x) derivato di f(x). Esso è ottenibile sfruttando la regola di derivazione di una funzione prodotto di
altre due come f’(x) = sa0(x-β)s-1g(x) + a0(x-β)sg’(x) = sa0(x - β)s-1(g(x) +
1
(x-β)g’(x)). Sempre per
s
il Corollario 1 si può affermare che β è radice con molteplicità s-1 del polinomio derivato.
Viceversa se β è radice con molteplicità s-1 del polinomio derivato f’(x), per il Corollario 1, esiste
122
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un polinomio h(x) che non contiene il fattore (x – β) tale che f’(x) = na0(x-β)s-1h(x). Integrando, il
n
n
secondo membro per parti, si ha f(x) + c = a0(x-β)s h(x) - a0(x-β)s k(x). In questa espressione k(x)
s
s
è un polinomio che si ottiene integrando h(x) e quindi tale da non contenere il fattore (x-β). E’
n
sufficiente scegliere come primitiva la funzione f(x) per avere f(x) = a0(x-β)s(h(x) – k(x)) . Il
s
polinomio (h(x)-k(x)) non è divisibile per il fattore (x-β) e non è nullo, dato che il grado di k(x) è
eguale al grado di h(x) + 1. Pertanto β è radice di f(x) con molteplicità s.
Questo semplice teorema ha importanza quando non si hanno metodi semplici per determinare le
radici di un polinomio. Una tecnica è quella di ridurre il grado (sperando in questo modo di
semplificare il problema della determinazione delle radici). Siccome il procedimento di derivazione
(di una funzione polinomiale) è abbastanza semplice, si prova a considerare il polinomio derivato
che grado minore e si cercano le radici di tale nuovo polinomio. Trovatele, si controlla se una o più
di tali radici è radice anche del polinomio di partenza. Se ciò accade, mediante la divisione tra
polinomi, si riduce il grado dell’equazione di partenza di almeno 2.
Questa tecnica è però abbastanza costosa.
Verso la fine del XIX secolo, visti i risultati poco soddisfacenti per la
determinazione dell’espressione analitica delle equazioni algebriche di
grado superiore al quarto, sono state tentate altre strade. In particolare la
strada dei polinomi risultanti. Sylvester ha proposto di evidenziare se due
James Joseph Sylvester
(1814 – 1897)
polinomi (non necessariamente uno e il suo polinomio derivato) hanno radici comuni calcolando un
determinante costituito dai coefficienti del due polinomi, messi in modo opportuno. La sua proposta
è la seguente: siano p e q due polinomi aventi, rispettivamente, i gradi positivi m ed n che
scriviamo:
p0xm + p1xm-1+ … + pm-1x + pm
q0xn + q1xn-1 + … + qn-1x + qn
La matrice di Sylvester associata a p e q è una matrice quadrata di ordine pari alla somma dei gradi
dei due polinomi. In essa la prima riga è data dai coefficienti del primo polinomio (che sono m+1),
seguiti da n-1 zeri, per un totale di n+m termini. Le righe successive si ottengono spostando di una
colonna i coefficienti del polinomio p e premettendo ad essi gli zeri necessari, finché nella m-esima
riga il coefficiente pm si trova nella n+m-esima colonna della matrice. La riga m+1-esima inizia con
gli n+1 coefficienti del secondo polinomio seguiti da m-1 zeri e poi nelle righe successive si
continua lo spostamento fino alla riga n+m. Il determinante della matrice di Sylvester si chiama
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risultante di Sylvester dei due polinomi. Il calcolo del risultante è ottenuto mediante somme,
differenze, prodotti dei coefficienti dei due polinomi.
Se il risultante di Sylvester dei due polinomi si annulla, i due polinomi hanno una radice comune.
Un semplice esempio può convincere il lettore. Si chiede di trovare una relazione tra i coefficienti
a,b,c e a’, b’,c’ in modo che i polinomi
ax2 + bx + c
a’x2 + b’x + c’
e
abbiano una radice comune, evitando i casi banali: quali coefficienti proporzionali o c = c’ = 0.
Questo problema si risolve semplicemente conoscendo la teoria dei risultanti, infatti il risultante è
dato da un determinante quadrato di ordine 4 di semplice calcolo e così facendo:
a b c 0
a b c
b c 0
0 a b c
= a ⋅ b' c' 0 + a '
⋅ a b c = a(ac’2 + cb’2 - ca’c’ - bb’c’) + a’(b2c’ + c2a’ - acc’ a ' b' c' 0
a ' b ' c ' a ' b' c '
0 a ' b' c '
bcb’) = a2c’2 + acb’2 – aca’c’ – abb’c’ + b2a’c’ + c2a’2 – aca’c’ – bca’b’ = a2c’2 + c2a’2– 2aca’c’
+ ab’(cb’ – bc’) + ba’(bc’ – cb’) = (ac’ – ca’)2 – (cb’ – bc’)(ba’ – ab’).
L’annullarsi dell’espressione del risultante dà la condizione per cui i due polinomi hanno radici
comuni.
Si può ottenere lo stesso risultato per via algebrica, con un po’ più di fatica, ma con più
soddisfazione per la comprensione, in quanto il procedimento ricavato dal risultato di Sylvester è
‘opaco’. La prima idea è quella di considerare il sistema algebrico:
ax 2 + bx + c = 0
a'x 2 + b'x + c'= 0
Però questo approccio non è utile per risolvere il problema posto: non interessa conoscere le radici
dei polinomi, che eventualmente vengono date da questo sistema, bensì serve determinare una
relazione tra i coefficienti in modo che i due polinomi abbiano almeno una radice comune, radice di
cui non interessa il valore.
Un secondo approccio è quello di imporre che le soluzioni delle due equazioni siano eguali, ma si
vede subito che dovendo trattare quattro casi diversi, forse è meglio cercare altre strade più
semplici, anche perché ci sono poi da fare complessi calcoli coi radicali. Si noti inoltre che con
questo approccio è indispensabile che a, a’
0.
Prendendo le mosse da quello che Polya chiama il metodo dei due luoghi, bisogna analizzare meglio
le due relazioni e per fare ciò in modo efficiente basta un minimo cambio di punto di vista e il
problema si riesce a risolvere in termini semplici. Le soluzioni di ax2 + bx + c = 0, sono anche le
ascisse dei punti comuni alla retta di equazione cartesiana ay + bx + c = 0 e della parabola di
equazione y = x2. Procedendo su questa strada si possono cercare le soluzioni del sistema
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Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
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ay + bx + c = 0
a 'y + b'x + c '= 0
y = x2
Dalle prime due si ottiene
x = (ac’-a’c)/(a’b-ab’) e y = (b’c-bc’)/(a’b-ab’),
a patto che (a’b-ab’)
0, condizione che geometricamente afferma che le due rette, rappresentate
analiticamente con le prime due equazioni del sistema, non sono parallele, quindi il sistema è
risolubile.
Sostituendo nella terza si ottiene
(ac’-a’c)2/(a’b-ab’)2 = (b’c-bc’)/(a’b-ab’) ,
quindi,
(ac’ – a’c)2 - (a’b – ab’)(b’c – bc’) = 0.
(1)
Si osservi però che la (1) è più generale della espressione che la precede: se a = a’ = 0, cioè non si
stanno considerando equazioni di secondo grado, è anche ab’ - a’b = 0, e la (1) vale, mentre la
precedente perde di significato.
.
Nel caso di un polinomio di secondo grado e del suo polinomio derivato il risultante di Sylvester è
a b c
dato dal determinante di ordine 3, 0 2a b = 2ab2 – 4a2c – ab2 = a(b2 – 4ac). Dato che il
2a b 0
coefficiente direttore si assume non nullo, per avere un’equazione di secondo grado, il determinante
si annulla se b2 – 4ac = 0, quindi il discriminante è b2 – 4ac, vale a dire il termine il cui annullarsi
indica la presenza di radici multiple, si ottiene dal risultante di Sylvester del polinomio e del
polinomio derivato.
Nel caso particolare del polinomio di terzo grado x3 + px + q, il polinomio derivato è di secondo
grado ed è dato da 3x2 + p. Il risultante di Sylvester di questi due polinomi ha ordine 5 ed è dato da
1
0
3
0
0
0
1
0
3
0
p
0
p
0
3
q
p
0
p
0
0
1
q
0
0 = 1⋅
3
0
0
p
0 p q
0
p 0 0
1
+ 3⋅
0 p 0
3
3 0 p
0
p q 0
p 0 0
0 p q
0 p q
= 1 ⋅1 ⋅ 0 p 0 + 1 ⋅ 3 ⋅ p 0 0 +
0 p 0
3 0 p
3 0 p
3 0 p
p q 0
p q 0
− 3 ⋅1 ⋅ 0 p 0 + 3 ⋅ 3 ⋅ 0 p q = p 3 − 3 p 3 − 3 p 3 + 9 p 3 + 27q 2 = 4 p 3 + 27q 2
3 0 p
3 0 p
L’espressione (4p3 + 27q2) è quindi il discriminante per la particolare equazione di terzo grado x3 +
125
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px + q = 0.
4.1.5. L’estrazione di radice.
A differenza da quanto avviene per le equazioni di primo grado, per esprimere le soluzioni di
un’equazione di secondo grado, oltre alla struttura di campo, serve che si possa eseguire l’estrazione
di radice quadrata. Pertanto certe equazioni possono non essere risolubili, ed altre ammettere più
soluzioni. Analizziamo ad esempio la tavola di Cayley della moltiplicazione del campo
7.
Da essa si controlla che, a parte 0, solo 1, 2 e 4 hanno radici quadrate e ne hanno due. Ad esempio
l’equazione 3x2 + 4x + 3 = 0 (che interpretata in
7,
o in
non ha soluzioni (reali)), ha soluzione in
in quanto il discriminante 4 4 – 4 3 3 = 2 – 4 2 = 2 - 1 = 1 ha radici 1 e 6, quindi le soluzioni
sono date da x =
− 4 − 42 − 4 ⋅ 3 ⋅ 3
−4+ 1
3+6
3 +1
∨x=
, da cui x =
∨x=
. Ma essendo
2⋅3
6
6
6
l’inverso di 6 ancora 6 si ha x = 2 6 ∨ x = 4 6, quindi x = 5 ∨ x = 3. Sostituendo si prova che 5 e 3
sono le soluzioni cercate.
6 0 6 5 4 3 2 1
L’equazione 3x2 + 5x + 4 = 0 invece non è risolubile dato che 52 – 4 4 3
5 0 5 3 1 6 4 2
= 4 – 2 3 = 4 – 6 = 4 + 1 = 5, che non è presente in alcuna delle caselle
4 0 4 1 5 2 6 3
3 0 3 6 2 5 1 4
2 0 2 4 6 1 3 5
1 0 1 2 3 4 5 6
0 0 0 0 0 0 0 0
0 1 2 3 4 5 6
bordate di giallo e a sfondo grigio.
La formula risolutiva risulta applicabile in questa forma solo se ha
senso considerare la moltiplicazione per 4. In
2
o in
3
le soluzioni
delle equazioni di secondo grado vanno cercate in altro modo, ad
esempio sostituendo direttamente tutti i (pochi) possibili elementi di
tali campi.
Qualche esempio di equazione di secondo grado è risolubile anche in
2
un anello, ad esempio x – 5x + 6 = 0, che ha discriminante 25 – 24 = 1 è risolubile anche in
in
quanto applicando la formula risolutiva, anche se la presenza di una frazione non sarebbe ammessa,
si ottiene x =
5 −1
5 +1
∨x=
, dunque x = 2 ∨ x = 3. Si prova poi che tali numeri interi relativi sono
2
2
effettivamente soluzioni.
4.2. Alcuni esempi tratti dai documenti.
4.2.1. I metodi dell’antichità mesopotamica. Nel § 2.4 si è commentato un testo mesopotamico che
presenta il problema che in termini odierni si può scrivere nella forma
126
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x2 – x = 870.
La tavoletta risolve esplicitamente tale problema mediante il metodo del completamento del
quadrato, tenendo però conto solamente della soluzione positiva dell’equazione, 30.
Il testo sembra però fare riferimento ad un procedimento generale utilizzabile per risolvere i
problemi che possono essere formulati come:
x2 – px = q,
ove p e q sono numeri positivi (naturali), scelti in modo che
p
2
2
+ q sia un quadrato perfetto. Il
problema è evidentemente costruito con queste condizioni, con la complicazione, per noi, di capire
le scritture sessagesimali.
Il procedimento è quello di aggiungere ad entrambi i membri la quantità
x 2 − px +
p
2
2
=
p
2
2
+ q . Il primo membro si può scrivere come x −
p
2
2
p
2
2
, ottenendo
. Anche il secondo si
può scrivere come un quadrato, in quanto si ci si è assicurati preventivamente che lo fosse. Pertanto
si ha x =
p
2
2
+q +
p
.
2
La letteratura matematica dell’antico paese dei due fiumi mostra altri esempi. In un altro testo si
incontra un problema che si può generalizzare e tradurre in termini odierni mediante l’equazione
ax2 + bx = c.
I coefficienti che qui compaiono devono ritenersi numeri positivi. Oggi, dopo avere portato il
termine noto a primo membro, cambiandogli di segno, potremmo affermare che l’equazione è
risolubile, in quanto il discriminante è strettamente positivo poiché somma di due quantità positive,
proprio grazie al cambiamento di segno. Il testo procede diversamente: moltiplica entrambi i
membri per il coefficiente direttore, ottenendo
(ax)2 + b(ax) = ac.
Questa equazione viene risolta ponendo y = ax e poi applicando il metodo di completamento del
quadrato, come il precedente. E’ importante osservare che questo procedimento presenta, forse per
la prima volta nella storia, una trasformazione algebrica in ausilio della procedura di soluzione.
Un altro tipo di equazione presente in documenti antichi della Mesopotamia è l’equazione
x2 + q = px.
In tale caso non è però detto che valori arbitrari di p e q rendano l’equazione risolubile. Infatti
l’equazione in forma normale si scriverebbe x2 – px + q = 0 e il discriminante è dato da p2 – 4q.
127
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
AA. 2009-2010
Perché l’equazione sia risolubile bisogna che p2 ≥ 4q.
I testi antichi, anticipando le formule di Viète, trovano la soluzione mediante un procedimento che
può essere schematizzato mediante un sistema algebrico simmetrico di secondo grado:
x+ y = p
.
xy = q
Ora i documenti antichi scelgono i coefficienti in modo che si possa effettuare l’estrazione di radice
quadrata ed in tal modo trasformano il sistema di secondo grado in un sistema di primo grado.
x+ y p
= . Elevando al quadrato entrambe i membri di
2
2
Dalla prima equazione del sistema si ha
quest’ultima eguaglianza e sottraendo xy si ha
x+ y
2
2
quadrata di entrambi i membri, ottenendo
x+ y
2
2
eseguire
x+ y
2
p
2
2
il
2
calcolo
2
x
− xy =
2
−q
in
questo
xy
y
+ +
2
2
2
modo
− xy =
x
2
è
2
p
− xy =
2
− xy =
p
2
2
− q . Da qui si estrae la radice
2
− q . Si noti che per potere
indispensabile
xy
y
− +
2
2
è un quadrato perfetto, allora si ottiene
x+ y x− y p
y=
−
= −
2
2
2
p
2
2
2
x− y
=
2
x=
che
2
p2
≥
4q.
Ma
. Se anche il termine
x+ y x− y p
+
= +
2
2
2
p
2
2
−q ;
−q .
Si trovano così le due soluzioni dell’equazione. Anche la seconda soluzione ha senso per gli antichi,
essendo
p
≥
2
p
2
2
− q . Questi procedimenti sono presenti anche nelle opere di Diofanto.
4.2.2. La Proposizione II.5 degli Elementi. Anche per le equazioni di secondo grado, nella Grecia
classica si preferiscono metodi di algebra geometrica. Stavolta si fa uso di proposizioni tratte dal
secondo libro, in particolare la Proposizione 5:
«Se si divide una retta in parti eguali e diseguali, il rettangolo compreso dalle parti diseguali della retta, insieme
col quadrato della parte compresa tra i punti di suddivisione, è uguale al quadrato della metà della retta. »
Vediamone la dimostrazione. Intanto retta, come sempre in Euclide, deve intendersi segmento.
Euclide usa poi una figura geometrica che è caduta in disuso, lo gnomone che nel caso di rettangoli,
è un parente stretto della squadra del muratore. Euclide pone all’inizio del secondo libro la
Definizione II.2
«Si chiama gnomone, in ogni parallelogramma, uno qualunque dei parallelogrammi posti attorno ad una sua
128
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
diagonale insieme coi due complementari.
AA. 2009-2010
»
Con queste precisazioni si può ora seguire la dimostrazione di Euclide.
C
«Infatti si divida una retta AB in parti eguali in C ed in parti
B
D
diseguali in D; dico che il rettangolo compreso da AD, DB,
A
insieme col quadrato di CD, è uguale al quadrato di CB. Su CB
O
L
K
M
H
N
P
E
difatti si descriva il quadrato CEFB (I. 46) e si tracci la
congiungente BE, per D si conduca DG perpendicolare all’una o
F
G
all’altra indifferentemente delle rette AB, EF, per H si conduca
ancora KM parallela all’una o all’altra indifferentemente delle rette
CL, BM (I.31 e I.30). E poiché il complemento CH è uguale al
complemento HF (I.43), si aggiunga in comune [ai due] DM; tutto quanto CM è quindi uguale a tutto quanto DF. Ma
CM è uguale ad AL, poiché pure AC è uguale a CB (I.36); anche AL, DF sono perciò eguali (noz.com.I). Si aggiunga in
comune ai due CH; quindi tutto quanto AH è uguale al(sic!) gnomone NOP. Ma AH è il rettangolo di AD, DB – difatti
DH è uguale a DB –-; anche il gnomone NOP è perciò uguale al rettangolo di AD, DB (noz.com. I). Si aggiunga in
comune ai due LG, che è uguale al quadrato di CD; quindi la somma del gnomone NOP e di LG è uguale al quadrato di
CD (noz.com.III). Ma la somma del gnomone NOP e di LG costituisce tutto quanto il quadrato CEFB, che è descritto su
CB; il rettangolo compreso da AD, DB, insieme col quadrato di CD, è perciò uguale al quadrato di CB.»
Il disegno aiuta a comprendere quanto provato.
4.2.3. Le applicazioni delle aree. Per alcuni studiosi il metodo di applicazione delle aree,
deriverebbe dalle ricerche dei pitagorici, i quali, a loro volta, avrebbero sistematizzato le soluzioni
di alcuni problemi pratici della matematica pre-ellenica. I problemi di applicazione nascono da un
sistema di secondo grado in due incognite x e y, pensate come lati (di un rettangolo) e dei quali è
nota la somma o la differenza, sapendo l’area del rettangolo. Siamo quindi in presenza dei tre tipi di
sistemi (secondo le notazioni odierne)
x+ y = b
xy = c 2
x− y = b
xy = c 2
y−x =b
xy = c 2
Certamente può stupire la distinzione tra tali sistemi che oggi potrebbero essere sintetizzati in uno
solo, ammettendo che x, y e x-y siano quantità positive o negative. Ma ciò non era consentito nella
matematica antica. Quindi i due ultimi sistemi sono motivati dal fatto che y sia minore di x (il
secondo sistema), oppure che x sia minore di y (il terzo sistema).
Si possono riscrivere i tre sistemi nella forma
(1)
y = b−x
xy = c 2
(2)
y = x−b
xy = c 2
da cui, per sostituzione si ottengono le equazioni
(1)
x(b-x) = c2
129
(3)
y = x+b
xy = c 2
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
(2)
x(x-b) = c2
(3)
x(x+b) = c2.
AA. 2009-2010
Focalizzando l’attenzione sul confronto tra il rettangolo di lati x e b e quello di lati x e y
(equivalente ad un quadrato di lato c), facendo intervenire come ‘terzo incomodo’ il quadrato di lato
x. questi sistemi prendono nomi diversi.
La (1) viene detta applicazione ellittica, dato che il rettangolo che si forma con lati x e y, è ‘minore’
del rettangolo di lati x e b in quanto manca del quadrato di lato x (cioè xb = c2 + x2).
La (2) e la (3) vengono entrambe dette applicazioni iperboliche in quanto il rettangolo di lati b e x
risulta in eccesso,una volta rispetto al quadrato di lato x ed una volta rispetto al rettangolo di lati x e
y (cioè per (2) xb = x2 – c2, essendo y < x si ha pure xy < x2, quindi c2 < x2; per (3) xb = c2 – x2, in
quanto x < y, da cui x2 < c2). Si noti che nell’applicazione ellittica xb viene descritto mediante una
somma, mentre nelle due applicazioni iperboliche xb viene descritto con una sottrazione e si
confronti il fatto con i segni presenti nelle equazioni canoniche di un’ellisse e di un’iperbole.
Quella introdotta nella Proposizione I.44, nella quale si introduce appunto il termine applicazione, è
l’applicazione parabolica, cioè l’applicazione applicazione, data dal problema di costruire un
rettangolo di dato lato equivalente ad un rettangolo assegnato, vale a dire associato all’equazione
ax = bc.
Euclide nella Proposizione I.44 generalizza il problema alla costruzione di un parallelogramma di
area assegnata e con angoli assegnati. In questo caso è ax che si ottiene senza segni di operazione di
addizione e sottrazione e si confronti questo con l’equazione canonica di una parabola.
Anche le applicazioni ellittiche ed iperboliche vengono poi generalizzate nel libro V, utilizzando la
teorie delle grandezze. Ma nel libro II sono presentate, anche per motivi di minimalità delle
richieste assiomatiche, le applicazioni ellittica (Prop. II.5) e iperbolica (Prop. II.6), senza fare
ricorso alle proporzioni (e alla similitudine).
4.2.4. Contenuti algebrici della Proposizione II.5. Vediamo ora come questa, ritenuta come una
delle più importanti proposizioni di Euclide, aiuti a risolvere le equazioni di secondo grado,
cercando inoltre di capire quali contributi all’Algebra siano ‘nascosti’ sotto la veste geometrica.
Se al posto di AC si pone a ed al posto di CD si pone b, allora AD = a+b; DB = a - b, per cui si può
riscrivere l’enunciato della Proposizione II.5 come (a + b)(a - b) + b2 = a2, ovvero
(a + b)(a – b) = a2 – b2.
E’ questa un’eguaglianza ben nota del calcolo letterario, che trova negli Elementi la sua versione
geometrica. Di fatto, risponde al problema di come trovare un rettangolo equivalente alla differenza
di due quadrati.
130
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
AA. 2009-2010
La Proposizione II.5 può essere interpretata anche come una proposizione sui rettangoli
isoperimetrici. Infatti tutti i rettangoli che hanno lati eguali a due segmenti in cui il segmento è
diviso da un punto arbitrario hanno tutti semiperimetro eguale al segmento dato. Ora per ottenere il
quadrato di lato AC, ai rettangoli di lati AD e DB bisogna aggiungere il quadrato di lato CD.
Pertanto il quadrato in cui non c’è da aggiungere nulla è quello che ha per lato AC, per il quale C =
D e il quadrato da aggiungere si annulla, quindi il quadrato di lato AC è il rettangolo di area
massima di fissato (semi)perimetro.
Veniamo ora a risolvere il sistema (1)
x+ y = b
, l’applicazione ellittica, o equivalentemente
xy = c 2
l’equazione (1) x(b-x) = c2. E’ dato un segmento b di estremi A e B e si vuole suddividere in due
mediante un punto D in modo che i due segmenti risultanti diano un rettangolo equivalente ad un
quadrato assegnato.
La forma normale della (1) è data da x2 – bx + c2 = 0. Il discriminante di tale equazione è b2 – 4c2,
che è non negativo solo se
b ± b 2 − 4c 2 b
= ±
2
2
b
2
2
b
2
2
≥ c 2 , vale a dire se c ≤
b
−c , x = −
2
2
b
2
2
b
. In questo caso si ha, tenendo conto che
2
b
−c ∨ x = +
2
2
b
2
2
− c2
La costruzione geometrica della soluzione si ottiene come segue:
A D'
b
c
P
C
dato il segmento b di estremi A e B di cui C sia il punto medio,
x
DB
y
sull’asse del segmento si scelga un punto P in modo che C e P siano
gli estremi del segmento c. Considerata la circonferenza di centro P
e raggio pari al segmento AC, la si intersechi con AB. Si ottengono
due punti D e D’. Ora dalla Proposizione II.5 si ha AD DB + CD2 = AC2, da cui AD DB = AC2 –
CD2 ed avendo scelto PD = AC, si può scrivere AD DB = PD2 – CD2. Dal Teorema di Pitagora
(Prop. I.47), PD2 – CD2 = PC2, quindi AD DB = c2. Se si pone AD = x e DB = y, si ha x + y = b, e
dalla Proposizione provata, xy = c2, vale a dire x(b-x) = c2.
Ora si può controllare che la costruzione fornisce le soluzioni geometriche della (1). Per la
Proposizione II.5, si può dedurre che in qualunque modo si scelga il punto D si ha
x(b − x) +
b
−x
2
2
=
b
2
2
Questa proprietà algebricamente può sembrare un’ovvietà: basta svolgere i calcoli. Al primo
membro si ha bx – x2 +
b2
b2
- bx + x2 =
, ma sicuramente dal punto di vista geometrico lo è
4
4
131
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
meno. Sostituendo x(b-x) con c2 si ha c2 + x −
b
+
2
soluzione x =
b
2
2
b
2
2
=
b
2
2
AA. 2009-2010
, quindi x −
b
=
2
2
b
2
− c 2 , da cui la
− c2 .
Nella costruzione però compaiono due punti simmetrici rispetto a C, D e D’. Anche il prodotto
AD’ BD’ = c2, ma questo avrebbe voluto dire considerare la radice negativa del discriminante,
perché si è supposto che x indichi un segmento maggiore di
quindi si avrebbe anche
b
−x
2
2
b
2
=
2
2
b
b
. D’altra parte
−x
2
2
− c , da cui
b
x= −
2
b
2
2
2
− c2
= x−
b
2
2
,
e questo
giustificherebbe la presenza del punto D’, anche se di fatto equivale a considerare la radice negativa
di
b
2
2
− c 2 . Si può dunque ipotizzare che il motivo per cui tale caso non venga preso in
considerazione dipenda dalla possibilità di trattare anche i numeri negativi (cosa che confligge con
la considerazione delle grandezze).
L’equazione (1) x(b-x) = c2, trattata numericamente, si ritrova in Fibonacci nel XIII secolo. Egli
propone l’equazione 4x – x2 = 3 che risolve mediante il procedimento illustrato, anche se la
presenza dei numeri porta a problemi di non omogeneità dei dati, per cui nella Grecia di Euclide
non sarebbe stata accettata.
b
2
Risolta col metodo indicato, visto che
2
− c 2 = 4 – 3 = 1 si ha x = 2 +1 = 3. La radice che i greci
non consideravano è invece x = 2 – 1 = 1.
4.2.5. Le applicazioni iperboliche. Alla base della
risoluzione
A
problema
posto
dalle
cosiddette
applicazioni iperboliche, tradotte con le equazioni (2) e
C
B
(3) c’è la Proposizione II.6:
K
D
«Se si divide per metà una linea retta, ed un’altra le è aggiunta
per diritto, il rettangolo compreso da tutta la [prima] retta più
O
L
N
del
quella aggiunta e dalla retta aggiunta, insieme col quadrato della
H
metà [della prima], è uguale al quadrato della retta composta
P
E
M
G
dalla metà [della prima] e dalla retta aggiunta. »
Come si vede l’enunciato (e la dimostrazione) di questa
F
132
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
AA. 2009-2010
Proposizione ricorda quello della Proposizione precedente. La differenza importante che nella Prop.
II.5 è dato il segmento ed un suo punto, qui si dà un segmento e si considera un punto esterno,
grazie alla ‘retta aggiunta per diritto’, noi diremo il prolungamento del segmento.
In breve l’enunciato si può esprimere (in modo non completamente corretto) come la relazione
AD BD + CB2 = CD2.
L’enunciato della Proposizione II.6, tradotto algebricamente, dipende dalla nominalizzazione usata,
vale a dire dalla scelta dell’incognita. Ponendo AD = x, si ha BD = x – b, CD = x 2
2
cui x( x − b ) +
b
2
sempre CB =
b
. Pertanto con questa scelta diversa si può riscrivere la Proposizione II.6 come
2
x(b + x) +
b
2
2
x(b − x) + x −
2
b
+x .
2
=
b
2
= x−
b
2
b
b
e CB =
per
2
2
2
=
b
2
2
; se, invece, si assume BD = x, si ha AD = b + x, CD = x +
Confrontato
con
la
traduzione
della
Proposizione
b
e
2
II.5,
si comprende come è facile passare dall’uno all’altro. Cambiando di
segno a x si ha, dalla scrittura algebrica della Proposizione II.5, − x(b + x) + − x −
quindi portando a secondo membro x +
b
2
2
= x(b + x) +
b
2
2
b
2
2
=
b
2
2
,
. Si può quindi affermare che oggi le
due proposizioni possono essere identificate come una sola.
Geometricamente il passaggio dall’una all’altra si ottiene facendo coincidere D con B, e così
nell’espressione di AD, b+x, si deve porre x = 0 e l’asserto diviene la banalità
b
2
2
=
b
2
2
. Ma per
accettare questo passaggio bisogna fare ricorso allo zero e ad un principio di continuità (cioè che
facendo variare con ‘continuità’ i segmenti le proprietà rimangano invariate), entrambi del tutto
estranei ad Euclide. Anche il fatto di considerare il doppio segno davanti ad una radice non è
accettato da Euclide che non possedeva i numeri negativi e che quando deve considerare il doppio
segno, fa trattazioni separate. Anzi nel libro X, dedicato prevalentemente agli irrazionali, raddoppia
la trattazione in corrispondenza di ciascuno dei segni. Euclide evita sempre di considerare quella
sorta di passaggio intermedio che prevede l’annullarsi di una o più grandezze in gioco (sempre con
continuità), quelli che a scuola si chiamano casi limite.
L’equazione di secondo grado (2) x(x-b) = c2 in forma normale è data da x2 – bx – c2 = 0. Il
discriminante di tale equazione è positivo ed è dato da b2+4c2, somma di due quadrati, dunque
133
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
l’equazione ha soluzione. Si ha x =
b
+
2
b
2
2
b
+c ∨ x = −
2
2
AA. 2009-2010
b
2
2
+ c 2 . Di queste due soluzioni,
b
2
solo la prima è accettabile per la mentalità del tempo: dato che
2
+ c2 ≥
b
, la seconda
2
soluzione è da scartare perché negativa.
L’equazione di secondo grado (3) x(b+x) = c2 in forma normale è data da x2 + bx – c2 = 0. Il
discriminante di tale equazione è positivo ed è dato da b2+4c2, somma di due quadrati, dunque
l’equazione ha soluzione. Si ha x =
b
2
2
b
+ c2 − ∨ x = −
2
b
2
2
+ c2 −
soluzioni, solo la prima è accettabile per la mentalità del tempo, dato che
b
. Di queste due
2
b
2
2
+ c2 ≥
b
, la
2
seconda soluzione è da scartare perché si tratta di un termine negativo.
La costruzione geometrica che risolve entrambi i problemi è la seguente: si consideri il segmento b
di estremi A e B. Sia C il punto medio di tale segmento. Da B si
mandi la perpendicolare al segmento AB e sia P un punto tale
b
che il segmento di estremi B e P sia c. Si unisca P con C. Ora si
x
D'
A
C
B
c
D
consideri la circonferenza di centro in C e raggio CP. Le
intersezioni di tale circonferenza con i prolungamenti di AB
siano D (dalla parte di B) e D’ dalla parte di A. Il segmento BD
P
è la soluzione dell’equazione. Infatti CD è eguale a CP. Per il
Teorema di Pitagora applicato al triangolo CPB, CD2 = CP2 =
CB2 + BP2. Grazie alla Prop. II.6, AD BD + CB2 = CD2. Sostituendo in questa eguaglianza al posto
di CD2 la sua espressione trovata mediante il Teorema di Pitagora, si ottiene AD BD + CB2 = CB2 +
BP2. Sottraendo lo stesso termine CB2, si ha AD BD = BP2. Se quindi si esprime AD con b+x e BD
con x (come in figura a lato) si ha (b+x)x = c2; se si esprime AD con x e BD con x – b, si ha x(b-x) =
c2.
Nel III secolo a.C. Apollonio di Perge introdurrà i nomi di parabola, ellisse e
iperbole nel suo trattato sulle coniche (le sezioni di un doppio cono
illimitato con un piano) prendendo a prestito i termini usati per classificare
le applicazioni delle aree. Apollonio trovò infatti che ciascuna delle tre
specie di coniche è in relazione con una delle tre specie di applicazioni delle
aree.
134
Apollonio di Perge
262 – 190 a.C.
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
AA. 2009-2010
4.2.6. L’equazione x2 = ab. Anche questo tipo di equazione si risolve mediante considerazioni
geometriche. Stavolta si usa la Proposizione II.14, l’ultima proposizione del libro II degli Elementi.
«Costruire un quadrato uguale ad una figura rettilinea data.»
Questo risultato porta a compimento una serie di altri risultati parziali per giungere a provare che è
possibile trovare la quadratura di un qualsivoglia poligono. Infatti si prova che per ogni poligono si
può trovare una figura rettilinea (un quadrilatero) e da questo un rettangolo (I.45) ed infine, grazie a
questo asserto, un quadrato.
La Proposizione II.14 può essere interpretata come il risultato di una proporzione: a : x = x : b, con
x il medio proporzionale tra a e b. Euclide affronta questo problema nel libro V, ma ora non ha
ancora introdotto la teoria delle grandezze. Risolve il quesito applicando la Proposizione II.5,
trasformando il rettangolo nella differenza di due quadrati e poi, grazie al teorema di Pitagora, in un
quadrato. Si può inoltre interpretare questa proposizione come il procedimento di estrazione di
radice quadrata, ma questo approccio è più
moderno,
F
in
esclusivamente
quanto
il
fatto
vede
nell’equazione
numerico
e
non
geometrico.
Per risolvere l’equazione, dato il rettangolo,
x
ABCD, si prolunga il lato AD dalla parte di D con
A
a
M
D
b
E
un segmento DE uguale a DC. Sia M il punto
medio di AE. Si costruisce la semicirconferenza di
centro M e raggio AM. Si prolunga, dalla parte di
B
C
D, il segmento CD fino ad incontrare la
semicirconferenza in un punto F. Il segmento DF è la soluzione. Infatti per la Proposizione II.5, il
rettangolo ABCD sommato al quadrato di MD è uguale al quadrato di ME, cioè il rettangolo ABCD
è uguale alla differenza del quadrato di lato MF e del quadrato di lato MD, cioè per il teorema di
Pitagora applicato al triangolo rettangolo MDF, uguale al quadrato del cateto DF. In simboli
a+b
2
2
−
a+b
2
−b
2
=
2( a + b )b
2
− b 2 = ab.
4.2.7 Risoluzione di sistemi di secondo grado simmetrici. Si è già visto che in alcuni documenti
mesopotamici, databili attorno al 3700 a.C., si propone la soluzione di sistemi algebrici di secondo
grado riducendoli a sistemi di primo grado, mediante una sorta di regula fratrum. Anche nel mondo
greco tale problema si è proposto e la risposta di Euclide è offerta dalla Proposizione II.8, una delle
più utilizzate in ambito dell’algebra geometrica
135
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
AA. 2009-2010
«Se si divide a caso una linea retta, il quadruplo del rettangolo compreso da tutta la retta e da una delle sue parti,
insieme col quadrato della parte rimanente, è eguale al quadrato descritto, come su una sola linea retta, sulla
somma di tutta la linea retta iniziale e della detta parte».
È interessante osservare che tale Proposizione è posta nel secondo libro, quello maggiormente
dedicato ad aspetti algebrici, ma per dimostrarla si fa uso solo di nozioni comuni e di risultati del
primo libro degli Elementi. La sua collocazione è dunque da ritenersi una scelta di gradualità delle
difficoltà, effettuata da Euclide nella sua presentazione, svelando così la funzione didattica che il
testo doveva avere.
Non si presenta qui per brevità la dimostrazione di tale proposizione, ritenendo che gli esempi di
dimostrazione offerti prima siano sufficienti a comprendere le strategie dimostrative di Euclide.
Vediamo cosa afferma la Proposizione una volta tradotta algebricamente: 4ab + (a-b)2 = (a+b)2, una
banalità dal punto di vista algebrico (non importa se a > b, dato che la differenza (a-b) compare solo
al quadrato).
Il sistema che viene risolto mediante la Proposizione II.8 è
x+ y = s
xy = p
Elevando al quadrato la prima equazione si ottiene (x+y)2 = s2. Dalla Proposizione II.8 si può
scrivere 4xy + (x-y)2 = (x+y)2. Ora si osserva che se x e y sono quantità positive, dalla eguaglianza
scritta si ha 4xy < (x+y)2. Si può dunque sottrarre 4xy da (x+y)2 ottenendo (x-y)2 = (x+y)2 – 4xy. Ma
per i dati del sistema e i passaggi precedenti, si ricava (x-y)2 = s2 – 4p. Mediante l’estrazione di
radice quadrata si riduce il sistema di partenza a
x+ y=s
x − y = s2 − 4 p
, che è di primo grado. Non si
tratta di un sistema equivalente nel senso algebrico odierno: il sistema di secondo grado ha due
soluzioni, date dalla coppia ordinata
scambiando le componenti
s − s2 − 4 p s + s2 − 4 p
,
2
2
e dalla coppia ordinata ottenuta
s + s2 − 4 p s − s2 − 4 p
,
. Il sistema di primo grado ha per
2
2
soluzione solo la seconda coppia ordinata, in quanto verifica la condizione y < x, coerente con la
scelta del ‘tutto’ e della ‘parte’. Pertanto i due sistemi sono equivalenti dal punto di vista degli
antichi (greci o mesopotamici).
La Proposizione II.8, anche se si presenta sotto forma diversa, dal punto di vista algebrico è
connessa strettamente sia alle Proposizioni II.5 e II.6. Ad esempio nella relazione
136
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
x( a + x) +
a
2
2
=
a
+x
2
2
AA. 2009-2010
che si è vista a proposito della Proposizione II.6. Ora basta porre x = 2p
e a+x = 2q, da cui a = 2q – 2p, quindi
a
a
= (q − p ) e + x = (q − p ) + 2 p = q + p . Con queste
2
2
trasformazioni la precedente uguaglianza diventa 2p 2q + (q-p)2 = (q+p)2, che a parte la scrittura del
primo coefficiente è esattamente la traduzione algebrica della Proposizione II.8.
4.2.8. Altre Proposizioni di Algebra geometrica nel II libro degli Elementi. Il secondo libro degli
Elementi contiene altri risultati che possono essere visti come la traduzione geometrica di fatti
algebrici ben noti. Qui si citano solo gli enunciati e si commentano dal punto di vista algebrico.
La Proposizione II.1 afferma:
«Se si dànno due rette, e si divide una di esse in quante parti si voglia, il rettangolo compreso dalle due rette è
uguale alla somma dei rettangoli compresi dalla retta indivisa e da ciascuna delle parti dell’altra».
Si tratta della dimostrazione geometrica della proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto
all’addizione. Infatti, tradotta algebricamente, la si può esprimere come l’eguaglianza
a(b+c) = ab + ac. Casi particolari della II.1 sono la II.2 e la II.3: la prima si può tradurre
nell’eguaglianza a(a+b) + b(a+b) = (a+b)2; la seconda in (a+b)b = ab + b2.
La Proposizione II.4 afferma
«Se si divide a caso una linea retta, il quadrato di tutta la retta è uguale alla somma dei quadrati delle parti e del
doppio del rettangolo compreso dalle parti [stesse].»
Il testo è esplicito: (a+b)2 = a2 + b2 + 2ab.
La Proposizione II.7 afferma
«Se si divide a caso una linea retta, il quadrato di tutta la retta e quello di una delle parti, presi ambedue insieme
sono uguali al doppio del rettangolo compreso da tutta la retta e dalla detta parte, insieme col quadrato della
parte rimanente»
Tradotta algebricamente si afferma a2 + b2 = 2ab + (a – b)2, da cui (a – b)2 = a2 – 2ab + b2.
Si esprime così per evitare la sottrazione. Oggi non ci si pone il problema se a sia maggiore di b
oppure no.
La Proposizione II.9 afferma:
«Se si divide una linea retta in parti eguali e diseguali, la somma dei quadrati delle parti diseguali è il doppio
della somma del quadrato della metà della retta e del quadrato della parte compresa fra i punti di divisione. »
La
traduzione
algebrica
di
questa
proposizione
137
è,
supposto
che
a
< x,
2
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
x 2 + ( a − x) 2 = 2
a
2
2
+ x−
a
2
AA. 2009-2010
2
. Il calcolo porta a verificare immediatamente questo asserto.
L’interesse algebrico consiste nel fatto che da questa proposizione si può desumere un
procedimento numerico per il calcolo approssimato della radice quadrata.
Gli asserti di Euclide possono essere visti come esempi di algebra retorica ed è impegnativo, talora,
interpretarli correttamente dal punto di vista sia geometrico, sia algebrico. A differenza di altri
esempi di documenti antichi, con l’algebra geometrica si possono utilizzare i parametri, vale a dire
si forniscono tecniche risolutive generali indipendenti dai valori numerici. Negli altri esempi finora
visti, si offrono per specifiche equazioni, soluzioni mediante
metodi che talora sono applicabili solo in quel caso e non in
generale.
4.2.9 Le equazioni di secondo grado in Al-gebr we’l
mukabula. Il testo di al-Khowarizmi, che ha dato nome a tutto
Muhammad ibn Musa al-Khowarizmi
(780-850)
il campo disciplinare che ci interessa, è stato scritto nel IX secolo. Secondo alcuni studiosi la parola
al-gebr o al-jabr, significa, in arabo, restaurazione, e si riferisce al fatto che una quantità
determinata può aggiungersi o togliersi ad entrambi i membri di un’equazione senza alterarne le
soluzioni. Alcuni altri studiosi ritengono che al-gebr provenga da una antica voce babilonese usata
per indicare proprio la scienza o teoria delle equazioni. Anche della parola al-mukabala vengono
fornite varie interpretazioni; le più accreditate dànno per significato la parola semplificazione,
quindi il ridurre i termini simili. Per altri studiosi significherebbe mettere due cose faccia a faccia,
oppure confrontare o paragonare , cioè mettere in equazione.
Un altro termine che si incontra spesso in questa opera è al-hatt, che viene usato quando in
un’equazione si divide per il coefficiente direttore in modo da ottenere un’equazione con il
coefficiente direttore eguale a 1 (un polinomio monico).
Il nome stesso del matematico è entrato nella letteratura, trasformato in algoritmo.
Nel testo di al-Khowarizmi (ri)compare, dopo Diofanto, una quantità incognita che prende un nome
specifico, cosa o radice di una pianta. Egli usa il termine dirham per indicare i numeri (è il nome
dell’odierna moneta ufficiale del Marocco), say’, (cosa), ma anche gizr (radice) per indicare
l’incognita, mal (possedimento) per indicare il quadrato dell’incognita. Il termine gizr indica la
radice di una pianta, ma viene usato da al Kowarizmi anche per indicare la radice quadrata (che
anche oggi è la radice per antonomasia). In Italiano-Latino si useranno i termini cosa e censo per
indicare, rispettivamente l’incognita e il suo quadrato.
Il fatto che la radice sia incognita è una metafora naturalistica, dato che si tratta della parte della
138
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
AA. 2009-2010
pianta che non appare alla superficie. Assieme alle cose compaiono anche i censi. Censo significa
area, terreno posseduto, possedimento, e quindi indica il quadrato.
Nel primo capitolo di Al-gebr we’l mukabula si trattano le equazioni di secondo grado del tipo:
censi uguali a cose. Si tratta quindi delle equazioni di secondo grado incomplete del tipo ax2 = bx. Il
titolo del capitolo lascerebbe pensare a metodi generali, invece nel testo di Al-Khowarizmi si
trovano tre esempi: x2 = 5x;
x2
= 4 x ; 5x2 = 10x, di cui fornisce le soluzioni x = 5; x = 12 e x = 2.
3
Come si vede non viene considerata la radice 0.
Nel capitolo II si tratta il caso di censi uguali a numeri, ancora un caso di equazione incompleta,
con tre esempi e nel terzo capitolo si tratta di cose uguali a numeri, equazioni di primo grado, con
tre esempi. Il numero tre di esempi è motivato dal fatto di considerare il coefficiente direttore
maggiore, uguale o minore di 1.
I capitoli IV, V e VI sono dedicati alle equazioni complete. Ma, non avendo i coefficienti negativi,
si devono trattare tre casi, appunto, uno per capitolo. Il capitolo IV è dedicato a equazioni del tipo
censi e cose uguali a numeri, vale a dire ax2 + bx = c. Di tale tipo di equazioni vengono forniti i
seguenti tre esempi:
x2 + 10x = 39
2x2 + 10x = 48
1 2
x + 5x = 28.
2
Di queste, che sono tutte equazioni a discriminante positivo, il testo fornisce solo le soluzioni
positive, rispettivamente: x = 3; x = 3; x = 4. Negli esempi la condizione di omogeneità, tipica
dell’algebra geometrica non è rispettata.
Per risolvere la prima al-Khowarizmi usa un metodo
geometrico. Si rappresenta con un segmento di estremi A e B
E
pari a x e si costruisca il quadrato di tale lato. Si prolungano i
lati AB dalla parte di A e AD dalla parte di D di un segmento
A
B
AE uguale a DF uguale a 5. Si completa il quadrato ELGB. Il
punto F è un punto del segmento di estremi L e G. Lo
5
x
D
H
C
gnomone BEHDFG ha area pari a x2 + 10x che è 39.
5
Aggiungendo ad esso il quadrato HLFD, che ha area 25, si
ottiene l’intero quadrato avente per area 39 + 25 = 64. Ma il
L
G
F
quadrato di lato EB ha area data da (5+x)2. Si conclude (5+x) = 8, da cui x = 3. È ovvio che
l’argomentazione precedente non aiuta per risolvere x2 + 10x = 40, a riprova che i valori espliciti dei
139
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
AA. 2009-2010
coefficienti sono scelti da chi propone l’equazione, per riuscire a risolverla.
Tale procedimento appare geometrico solo in superficie, in quanto non si sfruttano proprietà o
risultati di Geometria, ma solo una visualizzazione. Ed inoltre non si attiene alla omogeneità tipica
della geometria. Di fatto si tratta di un metodo di completamento del quadrato di tipo algebrico, in
cui ruolo chiave è dato dai coefficienti assegnati.
Nel capitolo V si tratta delle equazioni del tipo censi e numero uguale a cose, vale a dire equazioni
del tipo ax2 + c = bx. In questo caso il discriminante potrebbe essere negativo, ma gli esempi, anzi
l’unico esempio presentato, x2 + 21 = 10x, ha discriminante 25 – 21 > 0. Vengono fornite le due
soluzioni 3 e 7, anche stavolta l’argomentazione è sostenuta da considerazioni geometriche che
fanno pensare ad un qualche tipo di generalità, ovvero alla soluzione dell’equazione x2 + q = px,
(grazie ad un al-hatt). Questa equazione oggi la possiamo scrivere anche (p-x)x = q. Si distinguono
due casi: x <
p
p
oppure x ≥ . Nel primo, sia AB = p (la confusione tra segmento e sua misura è
2
2
frequente nel testo). Sia M il punto medio di AB. Sia C un punto compreso tra M e B in modo che
CB = x, di conseguenza AC = p – x e MC =
p
− x Si costruisce il quadrato di lato BC, BCDE. Si
2
prolunga il lato DE dalla parte di D in modo da trovare il punto F tale che DF = AC. Si ha
evidentemente FE = AB = p. Per M si conduca la perpendicolare a AB (asse di AB) che incontra FE
in G e sia H un punto di tale retta sul prolungamento di MG, dalla parte di G in modo tale che GH =
GD = MC =
p
− x . Per H si mandi la parallela a AB e la si intersechi con la retta AF, ottenendo
2
il punto J e così HJ =
p
. Su HJ si individua poi il punto K in modo tale che HK = HG =
2
sia L il punto di FG tale che GHKL sia un quadrato di lato
p
−x e
2
p
−x .
2
Da questa costruzione si ha che i rettangoli FJKL e
K
J
L
F
H p/2-x
G
CMGD sono equivalenti in quanto GD = GL per
E
D
costruzione, GE e GF eguali per costruzione e DE =
FL
perché
differenza
di
segmenti
eguali.
Riassumendo si hanno le relazioni: AB = EF = p;
A
p/2-x
p-x
M
C
x
B AM = MB = GE = FG = AJ = JH = MH = p ; BC =
2
BE = ED = DC = FL = JK = x; AC = FD = p-x; MC
= GD = GH = LG = LK = KH =
p
− x . Lo gnomone AJKLGM è dato dalla ‘somma’ di AFGM e di
2
140
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
AA. 2009-2010
FJKL, ed è equivalente alla ‘somma’ di AFGM e di CMGD. Ma per tale gnomone si ha AJKLGM =
AM AJ - GH
p p
− +x
2 2
2
=
AC CB, da cui GH
2
=
p
2
2
2
p
−
−x
2
= ( p − x) x , vale a dire
p p
+ − x = q Si ha quindi ( p − x) ⋅ x = q .
2 2
Nel secondo caso,
p
< x la figura rimane inalterata, solo che stavolta si ha AC = x e CB = p – x, di
2
conseguenza si hanno le relazioni AB = EF = p; AM = MB = GE = FG = AJ = JH = MH =
p
; BC =
2
BE = ED = DC = FL = JK = p - x; AC = FD = x; MC = GD = GH = LG = LK = KH = x −
p
. In tale
2
2
2
caso si ha AJKLGM = AM AJ - GH = AC CB, da cui GH =
dire
p
p
−x+
2
2
p
2
2
p
− x−
2
2
= x( p − x) , vale a
p
p
+x−
= q Si ha quindi ( p − x) ⋅ x = q .
2
2
Il VI capitolo è dedicato alle equazioni del tipo cose e numero uguale a censi, cioè equazioni del
tipo bx + c = ax2, che sono equazioni a discriminante positivo. Viene mostrato l’unico esempio 3x +
4 = x2, con la sola soluzione positiva x = 4.
4.2.10. Le equazioni di secondo grado in Cartesio. A Cartesio si devono studi su come determinare
i segni delle eventuali soluzioni reali di un’equazione di secondo grado.
Sia ax2 + bx + c = 0 un’equazione di secondo grado a coefficienti in
. In base
alle formule di Viète, dette x1 e x2 le eventuali soluzioni reali dell’equazione, si ha
b
a . È evidente che il segno di c è positivo se le due radici sono
c
a
x1 ⋅ x2 =
a
x1 + x2 = −
Cartesio
(1596 - 1650)
concordi. Senza perdita di generalità si può supporre che il coefficiente direttore dell’equazione sia
positivo, per cui le due radici sono concordi se e solo se c è positivo. Di qui si può decidere il segno
delle due radici guardando il segno di b. Se b è positivo, allora –b è negativo, quindi le due radici
sono entrambe negative. Se b è negativo, allora le due radici sono entrambe positive. Se c è
negativo, allora le due eventuali radici reali hanno segni opposti. Quella che ha valore assoluto
maggiore è quella il cui segno è opposto al segno di b. Se le due radici sono positive, allora b è un
numero negativo e c positivo. Se le due radici sono negative, b è un numero positivo e pure c
positivo. Se le due radici hanno segno opposto, il segno di c è negativo.
141
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
AA. 2009-2010
Tutta questa casistica viene riassunta dai concetti di permanenza e variazione dei segni: siano a, b e
c numeri reali positivi. L’equazione ax2 + bx + c = 0, nel caso in cui il discriminante non sia
negativo, ha due radici concordi e negative, tante quante sono le permanenze del segno a partire da
sinistra andando a destra. L’equazione ax2 - bx + c = 0, nel caso in cui il discriminante non sia
negativo, ha due radici concordi e positive, tante quante sono le variazioni di segno (in questo caso
2). L’equazione ax2 + bx – c = 0 ha sicuramente radici reali, dato che il discriminante è sicuramente
non negativo, inoltre le due radici sono di segno opposto e quella di maggiore valore assoluto è
negativa, ma i segni delle radici sono in concordanza col numero delle permanenze e delle
variazioni dei segni: una permanenza ed una variazione. Alla stessa conclusione si giunge nel caso
ax2 – bx – c = 0, sempre un’equazione a discriminante non negativo, stavolta però la radice di
valore assoluto maggiore è una radice positiva; e si ancora una variazione ed una permanenza.
Non ostante che già a partire da Erone e Diofanto, sia nota la formula classica per la soluzione
dell’equazione di secondo grado, ripresa poi da Khayyam che la esprime in termini generali e nota
anche al matematico indiano Bhàskara (1114 – 1185) ed
altri, Cartesio, nella Géométrie (1637) propone metodi
geometrici di soluzione.
Si consideri il segmento c di estremi A e B. Per B si
conduca un segmento b di estremi B e C, perpendicolare
Omar Khayyam
(1048-1131)
ad AB. Sia O il punto medio di BC. Si consideri la
semiretta di origine A passante per O e siano P e Q i
Erone di Alessandria
(10-75)
punti di intersezione della semiretta con la circonferenza di centro O e raggio OB. In base alla
Proposizione III.36 degli Elementi, il segmento AB è medio proporzionale tra i segmenti AP e AQ,
cosa che scriviamo in modo suggestivo, ma scorretto, come AP AQ = AB2. Ovviamente si ha PQ =
BC, quindi se x è il segmento di estremi A e P, si può scrivere x(x+b) = c2.
C
b
Q
O
P
B
c
A
142
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
AA. 2009-2010
4.2.11. La soluzione dell’equazione x2 + px + q = 0 secondo Steiner. Ancora nel
XIX secolo il fascino della geometria era molto grande, tanto da invogliare lo
Steiner a proporre una soluzione geometrica per l’equazione di secondo grado (con
coefficiente direttore 1), nel caso di realtà delle radici. Di fatto la sua proposta è a
metà tra l’approccio geometrico ‘puro’
o sintetico alla maniera di Euclide e
C
O
analitica è assai sviluppata.
Si consideri quindi l’equazione x2 + px + q = 0, con p ≠
s1
N
QB
r
quello analitico, dato che nel XIX secolo la geometria
t
U P
M
Jacob Steiner
(1796-1863)
A
0. Nel piano un sistema di riferimento cartesiano
s2
ortogonale di origine O e si considerino i punti C 0,
1
2
e U(0,1). Si disegni ora la circonferenza di centro C e raggio CO e la retta t per U tangente alla
circonferenza (quindi la retta y = 1), che risulta parallela all’asse delle ascisse. Sia P −
posto sulla tangente t, ed il punto Q −
1
,1 , punto
p
q
,0 (nel disegno si assume p < 0 e q > 0, per avere due
p
variazioni, quindi due soluzioni positive, ma casi diversi possono facilmente rappresentarsi). Sia r la
retta che congiunge i punti PQ e siano M e N i punti di intersezione di PQ con la circonferenza. La
retta s1 che congiunge U e M interseca l’asse delle ascisse in A e la retta s2 congiungente U e N
interseca l’asse delle ascisse in B. Le ascisse α e β, rispettivamente di A e B, sono soluzioni
dell’equazione assegnata.
Infatti i triangoli UMP e AMQ hanno gli angoli UMP = AMQ, perché opposti al vertice, UPM =
MQA perché angoli alterni interni delle parallele x (asse delle ascisse) e t tagliate dalla retta r.
Quindi i triangoli UMP e AMQ sono simili. Pertanto UP : UM = AQ : AM, o anche UP : AQ = UM :
AM. Si consideri ora la congiungente OM. Il triangolo MOU è rettangolo perché iscritto in una
semicirconferenza, quindi l’angolo OMU è retto, vale a dire OM è l’altezza relativa all’ipotenusa
nel triangolo rettangolo AOU e quindi UM e AM sono, rispettivamente, le proiezioni di OU e OA
sull’ipotenusa AU. Per il primo Teorema di Euclide si ha OU2 = UM AU e OA2 = AM AU.
Dividendo membro a membro si ha OU2 : OA2 = UM : AM. Grazie alla prima proporzione si può
ora affermare che OU2 : OA2 = UP : AQ vale a dire 1 : α 2 = −
−
α2
p
=α +
1
q
: α+
. Svolgendo i calcoli si ha
p
p
q
, vale a dire α2 + αp + q = 0, provando così che α è una radice dell’equazione data.
p
143
Matematiche complementari I – Capitolo 4 Teoria e storia delle equazioni di secondo grado.
AA. 2009-2010
Per provare la stessa cosa per β, si procede come prima, vale a dire si considerano i triangoli simili
QNB e UNP, per i quali si può stabilire la similitudine QB : BN = UP : UN, ovvero QB : UP = BN :
UN. Si osserva che ON è l’altezza relativa all’ipotenusa UB nel triangolo rettangolo OBU e come
prima si ha OB2 : OU2 = BN : NU, da cui OB2 : OU2 = QB : UP, quindi β 2 : 1 = β +
Svolgendo i calcoli si ha −
β2
p
=β+
q
1
:− .
p
p
q
, da cui β2 + pβ + q = 0.
p
Per trovare soluzioni reali la retta r deve distare da C non più di
1
. Tale retta per due punti
2
1
y −1
p
assegnati ha equazione
=
, vale a dire (px +1) = (q – 1)(y – 1), cioè
q 1 0 −1
− +
p p
x+
px + 1 + (1-q)y + q - 1= 0, vale a dire px + (1-q)y + q = 0 Il quadrato della distanza di C da r è dato
da
1
p ⋅ 0 + (1 − q ) ⋅ + q
2
p 2 + (q − 1) 2
è maggiore di
(q + 1) 2
2
2
4( p + (q − 1) )
2
=
1 q
− +q
2 2
2
(q + 1) 2
=
. Se il quadrato della distanza di C da r
p 2 + (q − 1) 2 4( p 2 + (q − 1) 2 )
1
, la retta r non interseca la circonferenza. Per avere intersezioni bisogna che
4
≤
1
, quindi che q2 + 2q + 1 ≤ p2 + q2 – 2q + 1, cioè che p2 – 4q ≥ 0, ritrovando così
4
il discriminante che ora assume un interessante significato geometrico.
E’ evidente che se p,q < 0, oppure se p > 0 e q < 0, allora i punti P e Q hanno ascisse di segno
discorde (nel primo caso P positiva e Q negativa; nel secondo P negativa e Q positiva), quindi la
retta r interseca sempre la circonferenza, dato che p2 – 4q è la somma di due numeri positivi.
Si noti anche come questo approccio mescoli proprietà di geometria analitica con altre di natura
euclidea. Infine la costruzione proposta da Steiner ha il pregio di permettere di determinare le
soluzioni di un’equazione di secondo grado con la sola riga, una volta assegnata una circonferenza
fissa.
144
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MC 09_10Cap4 - Università degli Studi di Parma