Sulle soluzioni intere di un’equazione di
secondo grado
Claudio Di Menno Di Bucchianico e Enrico Rogora
22 Maggio, 1996
In questo articolo ci occuperemo di alcuni aspetti elementari di uno dei
problemi più antichi ed affascinanti della matematica: capire le proprietà
delle soluzioni intere di un’equazione algebrica. Rientra in questo ambito
il famoso problema di escludere, per n ≥ 3, l’esistenza di soluzioni intere
non banali dell’equazione xn + y n = z n (ultimo teorema di Fermat), la cui
soluzione completa, ottenuta nel 1995 dopo tre secoli di tentativi da Andrew
Wiles, costituisce uno dei successi più spettacolari della matematica contemporanea. Il modesto scopo dell’articolo è quello di introdurre il lettore a
questi problemi attraverso l’analisi di alcuni esempi semplici e stimolanti.
Consideriamo un’equazione omogenea di secondo grado della forma
ax2 + by 2 + cz 2 = 0
(1)
con a, b, c numeri interi, nessuno dei quali nullo. Per comodit‘a, in questo
articolo, chiameremo trinomia una tale equazione. Una soluzione intera di
un’equazione trinomia è una terna di numeri interi (m, n, p) tali che
am2 + bn2 + cp2 = 0.
(2)
Poiché una equazione trinomia è omogenea, valgono le proprietà seguenti:
i) La terna (0, 0, 0) è soluzione per ogni valore di a, b e c; questa soluzione
si dice soluzone banale.
ii) Se la terna (m, n, p) è soluzione di un’equazione trinomia, allora per
ogni intero k, anche la terna (km, kn, kp) è soluzione della stessa equazione.
1
Una soluzione intera non banale di un’equazione trinomia si dice primitiva
se gli interi che la costituiscono sono privi di fattori comuni. Ogni soluzione
intera non banale determina un’unica soluzione primitiva, ottenuta dividendo
gli interi che la costituiscono per il loro massimo divisore comune (M.C.D.).
Esistono equazioni trinomie la cui unica soluzione è la soluzione banale,
per esempio tutte quelle per cui a, b e c sono interi non nulli dello stesso
segno. Si noti che queste equazioni non ammettono neppure soluzioni reali
non banali. È importante notare che esistono equazioni trinomie che, pur
avendo soluzioni reali non banali, non ammettono alcuna soluzione primitiva.
Per esempio l’equazione
x2 + y 2 − 3z 2 = 0.
(3)
Per dimostrare questo fatto trasformiamo l’equazione (3) in una equazione
più semplice. Ponendo x = 2X + Y − Z, y = X + 2Y − Z, z = −X − Y + Z,
l’equazione (3) si trasforma nell’equazione
2X 2 + 2XY + 2Y 2 − Z 2 = 0.
(4)
Dalla (4) si riottiene la (3) con la sostituzione X = x + z, Y = y + z,
Z = −x + y + 3z. Pertanto, ogni soluzione intera della prima si trasforma
in una soluzione intera della seconda e viceversa; basterà quindi dimostrare
che la seconda equazione non ammette soluzioni primitive.
Lo studio dell’equazione (4), fu uno dei primi problemi affrontati da Fermat. Nell’anno 1636 egli annunciò in una lettera al matematico Roberval, di
aver dimostrato la non esistenza di soluzioni primitive di questa equazione a
prezzo di un grandissimo sforzo, come ci ricorda André Weil nel suo bellissimo
libro sulla storia della Teoria dei Numeri1 . Lo sforzo richiesto oggi è assai
minore, anche grazie ai contributi dello stesso Fermat, che però, all’epoca dei
suoi primi lavori, aveva a disposizione solo le teniche sviluppate da Diophanto
(1600 A.C.), che erano inadeguate per lo studio di questi problemi.
Tornando all’equazione (4), se (m, n, p) fosse una sua soluzione intera non
banale, dividendo per un eventuale fattore comune possiamo assumere che
tale soluzione sia primitiva, ovvero che m n e p non abbiano fattori comuni.
Poiché
2m2 + 2mn + 2n2 = p2 ,
(5)
1
A. Weil, Teoria dei numeri. Storia e matematica da Hammurabi a Legendere, 1993
Einaudi
2
il numero p2 , e quindi p deve essere pari. Essendo la soluzione primitiva,
almeno uno tra m ed n deve essere dispari e quindi m2 + mn + n2 deve essere
dispari, pertanto 2m2 + 2mn + 2n2 non può essere divisibile per quattro. Ma
p è pari, quindi p2 deve essere divisibile per quattro e l’uguaglianza (5) non
può verificarsi.
La dimostrazione che abbiamo presentato si fonda sulle regole elementari che governano la parità della somma e del prodotto di due numeri, cioè
che il prodotto di due numeri pari è pari, il prodotto di due numeri dispari è dispari e il prodotto di un numero pari con un numero dispari è pari.
L’approfondimento di questa semplice idea porta alla teoria delle congruenze,
iniziata da Fermat e sviluppata in modo sistematico da Gauss nelle Disquisitiones Aritmeticae. Daremo un cenno di questa teoria, limitatamente
ai nostri scopi, rimandando al libro Che cosa è la Matematica di Courant
e Robbins2 per una descrizione, sempre introduttiva ma più approfondita,
dell’argomento.
Sia
ax2 + by 2 + cz 2 = 0
(6)
un’equazione trinomia tale che a, b, c non abbiano fattori comuni e sia
(m, n, p) una sua soluzione primitiva. Si verifica il fatto seguente:
per ogni intero h esistono degli interi (X, Y, Z), privi di fattori
comuni tali che aX 2 + bY 2 + cZ 2 è divisibile per h. Infatti, basta
scegliere X = m, Y = n, Z = p.
Viceversa, supponiamo di non sapere se l’equazione (6) ammette soluzioni
primitive. Supponiamo però di scoprire l’esistenza di un intero h per il quale
siamo in grado di dimostrare che non esistono interi X, Y, Z, privi di divisori
comuni, e tali che aX 2 + bY 2 + cZ 2 sia divisibile per h. Per quanto abbiamo
appena osservato questo è sufficiente per concludere che la nostra equazione
non ammette soluzioni primitive.
Questo approccio al problema di escludere l’esistenza di soluzioni di un’equazione
trinomia, è molto efficace perché, come vedremo, è molto più facile decidere
se esistono interi tali che ax2 + by 2 + cz 2 è divisibile per un dato intero h che
decidere se l’equazione ax2 + by 2 + cz 2 = 0 ammette soluzioni primitive. Allo
scopo introduciamo il concetto di congruenza. Dati tre interi r, s, t, si dice
2
R. Courant - H. Robbins Che cosa è la Matematica 1985 Bollati Boringhieri
3
che r è congruo ad s modulo t e si scrive r ∼
= s mod t, se r − s è divisibile per
2
2
2
t. Data l’equazione trinomia ax + by + cz = 0, una terna di interi (m, n, p)
tale che
am2 + bn2 + cp2 ∼
(7)
= 0 mod h,
cioè tale che am2 + bn2 + cp2 è divisibile per h, si dice soluzione della congruenza associata all’equazione (6) modulo l’intero h. Una terna di interi
(m, n, p) privi di divisori comuni e soluzione della congruenza (7) si dice
soluzione primitiva della congruenza.
Ogni soluzione di un’equazione è soluzione di ogni congruenza associata ma possono esistere soluzioni di una congruenza associata che non sono
soluzioni della equazione originaria. Per esempio la terna (0, 1, 1) è soluzione
della congruenza
2x2 + y 2 + z 2 ∼
= 0 mod 2,
ma non dell’equazione
2x2 + y 2 + z 2 = 0.
Il motivo per cui le congruenze sono oggetti più semplici delle equazioni, è
contenuto nell’affermazione che segue:
se esiste una soluzione (m, n, p) di una congruenza modulo un
intero h, allora esiste anche una soluzione (m0 , n0 , p0 ) tale che
m0 , n0 , p0 sono interi compresi tra 0 e h − 1.
La dimostrazione di questo fatto è molto semplice e la riportiamo per
completezza. Siano (m, n, p) tre interi soluzione della congruenza
ax2 + by 2 + cz 2 ∼
= 0 mod (h)
e siano rm , rn ed rp i resti della divisione di n, m e p per h; gli interi rm , rn
ed rp sono compresi tra zero e h − 1. Vogliamo dimostrare che anche la terna
(rm , rn , rp ) è soluzione della congruenza. Infatti,
am2 + bn2 + cp2 = a((m − rm ) + rm )2 + b((n − rn ) + rn )2 + c((p − rp ) + rp )2 =
[(m−rm )(a(m−rm )+2arm )+(n−rn )(a(n−rn )+2arn )+(p−rp )(a(p−rp )+2arp )]+
2
+arm
+ brn2 + crp2 .
4
Ora, il secondo membro, essendo uguale al primo, è divisibile per h e anche
2
la quantità tra parentesi quadra è divisibile per h. Allora arm
+ brn2 + crp2 è
divisibile per h, da cui la tesi.
Abbiamo dimostrato che una congruenza è risolubile se e solo se esiste una
soluzione costituita da numeri compresi tra 0 e h − 1. È evidente quindi che
la risolubilità o meno di una congruenza modulo un intero h è un problema
decidibile dopo un numer finito di tentativi, contrariamente al problema di
decidere se un’equazione ammette soluzioni intere.
Ricapitolando, la teoria delle congruenze fornisce la tecnica fondamentale
(impiegata da Eulero ma apparentemente già nota a Fermat), per escludere
l’esistenza di soluzioni primitive di un’equazione trinomia:
bisogna cercare un intero h tale che la congruenza associata alla
data equazione modulo h, sia priva di soluzioni primitive.
Un teorema dovuto a Legendre, che enunceremo più precisamente nel seguito,
afferma che:
per le equazioni di secondo grado, l’esistenza di soluzioni primitive
di ogni congruenza associata non è solo condizione necessaria per
l’esistenza di soluzioni primitive dell’equazione stessa, ma è anche
condizione sufficiente.
Questo non vale per equazioni di grado superiore; per esempio ogni congruenza associata all’equazione 3x3 + 4y 3 + 5z 3 = 0, ammette soluzioni primitive, ma l’equazione stessa ammette la sola soluzione intera banale.
Nel 1659, in una lettera ad Huygens, Fermat affermò di aver sviluppato
un metodo generale per decidere quando una equazione trinomia ammette
soluzioni primitive e nel caso come determinarle. Purtroppo, il padre della
moderna teoria dei numeri non ci ha lasciato nulla di scritto su questo suo
metodo, come sulla dimostrazione della maggior parte delle sue affermazioni.
Il primo a pubblicare un algoritmo efficace, fu il grande matematico italiano
Gian Luigi Lagrange nel 1768, cioè ben cento anni dopo la citata lettera di
Fermat. Prima di descrivere il metodo di Lagrange, è opportuno fare due
premesse.
La prima è che tutte le equazioni trinomie del tipo z 2 = Ax2 + y 2 ammettono
soluzioni intere non banali, per esempio la soluzione (0, 1, 1).
La seconda è la definizione di residuo quadratico modulo un intero:
5
Si dice che un intero a è residuo quadratico modulo b, se esiste un
intero c, tale che a ∼
= c2 mod b.
La teoria dei residui quadratici è stata per secoli uno dei capitoli fondamentali
della teoria dei numeri. Fermat, Eulero, Legendre e Gauss furono alcuni dei
matematici che contribuirono allo sviluppo di questa teoria. Al solito, non ci
resta che raccomandare al lettore la lettura dell’opera di Weil per addentrarsi
in questo altro affascinante capitolo della teoria dei numeri.
Descriviamo ora il metodo di Lagrange in generale, illustarandolo con un
esempio non banale. Sia data un’ equazione trinomia
ax2 + by 2 + cz 2 = 0
con abc 6= 0, per esempio l’equazione
234x2 − 18y 2 − 2z 2 = 0.
(8)
Possiamo assumere che a, b e c non abbiano lo stesso segno, altrimenti
l’equazione non ammette soluzioni, esclusa ovviamente quella banale. Il
primo passo consiste nel trasformare l’equazione data in un’equazione della
forma
z 2 = Ax2 + By 2
(9)
con A e B interi non entrambi negativi e privi di quadrati. È possibile
ottenere ciò con una sostituzione lineare, cioè introducendo nuove variabili
x0 , y 0 , z 0 legate alle vecchie da formule del tipo
x = a11 x0 + a12 y 0 + a13 z 0
y = a21 x0 + a22 y 0 + a23 z 0
z = a31 x0 + a32 y 0 + a33 z 0
dove la matrice dei coefficienti aij è una matrice razionale con determinante
diverso da zero, e quindi invertibile. (Dopo la sostituzione conviene cambiare
nome alle variabili x0 , y 0 , z 0 e chiamarle di nuovo x, y, z,).
Si dimostra facilmente che, essendo il determinante della matrice aij diverso da zero, da ogni soluzione intera della prima equazione si ottiene una
soluzione intera della seconda e viceversa.
6
Nell’esempio (8), prima dividiamo per 2 e otteniamo l’equazione equivalente
z 2 = 117x2 − 9y 2 ,
(10)
poi operiamo la sostituzione lineare
x = 1/3x0 y = 1/3y 0 z = z 0
e otteniamo l’equazione (z 0 )2 = 13(x0 )2 − (y 0 )2 , ovvero, cambiando nome alle
variabili, l’equazione
z 2 = 13x2 − y 2 .
(11)
Si verifica immediatamente che se (m, n, p) è soluzione dell’ equazione (11),
allora (3m, n, p) è soluzione dell’equazione (10). Viceversa, se (α, β, γ) è
soluzione dell’equazione (10), allora (α, 3β, 3γ) è soluzione dell’equazione
(11).
Il secondo passo consiste semplicemente nel controllare se A o B sono
uguali a 1, nel qual caso l’equazione trasformata, come abbiamo già osservato
ammette soluzioni primitive da cui si ricavano le soluzioni dell’equazione
originaria.
Il terzo passo consiste nel controllare se l’equazione z 2 = Ax2 + By 2 è
priva di soluzioni primitive. Il controllo da effettuare è il seguente:
se |A| ≤ |B| e se A non è residuo quadratico modulo |B|, allora
l’equazione (9) non ammette soluzioni primitive.
Per la dimostrazione di questo criterio rimandiamo al libro di Weil.
Illustriamo il terzo passo nel nostro esempio. Per effettuare il controllo
sull’equazione (11), prima trasformiamo l’equazione
z 2 = 13x2 − y 2
nell’equazione equivalente
z 2 = −x2 + 13y 2
con la sostituzione lineare che scambia x con y in modo da garantire che
|A| ≤ |B|. Poi, effettuiamo il controllo sull’equazione cosı̀ ottenuta. Essendo
−1 un residuo quadratico modulo 13 (infatti −1 − 52 = 2 · 13), non è possibile
7
concludere che l’equazione è priva di soluzioni primitive. Per determinarne
il carattere bisogna quindi compiere il quarto passo.
Il quarto passo consiste nel trovare una sostituzione lineare che trasformi
l’equazione z 2 = Ax2 + By 2 dove A è residuo quadratico modulo |B|, in una
equazione della forma z 2 = A0 x2 + B 0 y 2 con |B 0 | < |B|.
Nel nostro esempio operando la sostituzione
x = (5/26)X + (1/26)Z
y = (1/13)Y
z = (5/26)Z − (1/26)X
otteniamo l’equazione
Z 2 /26 = −X 2 /26 + Y 2 /13,
da cui, moltiplicando per 26 e reintroducendo le variabili x, y, z, otteniamo
l’equazione
z 2 = −x2 + 2y 2 .
A questo punto si itera il metodo descritto, a partire dal secondo passo.
Usando un procedimento di discesa infinita, forse il più grande contributo
di Fermat alla teoria dei numeri, Lagrange dimostrò che dopo un numero
finito di passi l’equazione originaria si trasforma in una equazione equivalente
del tipo z 2 = Ax2 + By 2 tale che:
B = ±1 come nell’esempio da noi considerato, oppure;
l’equazione non è risolubile in virtù del criterio di cui al terzo
passo.
Nel primo caso si conoscono tutte le soluzioni intere dell’equazione trasformata e quindi si possono ricostruire tutte le soluzioni dell’equazione originaria
ripercorrendo all’inverso le sostituzioni lineari che abbiamo introdotto. Nel
secondo caso si conclude che l’equazione trasformata e quindi l’equazione
originaria, sono prive di soluzioni.
Il metodo di Lagrange risolve quindi completamente il problema di decidere in un numero finito di passi, quando un’equazione trinomia è risolubile
e permette di trovarne le soluzioni. Lascia però aperto il problema di trovare
un criterio semplice per decidere a priori la risolubilità o meno di un’equazione
trinomia in funzione dei soli numeri a, b e c.
8
Nel 1785 il matematico francese Adrien-Marie Legendre, analizzando accuratamente il metodo di Lagrange trovò un criterio che formulò nel modo
seguente.
Teorema 1 (Legendre, 1785) Siano a, b, c interi non tutti dello stesso segno
e tali che abc sia privo di quadrati e non nullo. Allora l’equazione trinomia
ax2 + by 2 + cz 2 = 0
ammette una soluzione intera non banale se e solo se −bc, −ca e −ab sono
residui quadratici modulo |a|, modulo |b|, modulo |c| rispettivamente.
In seguito si preferı̀ dare una diversa formulazione del teorema di Legendre,
che mettesse in luce il legame tra la risolubilità di una equazione trinomia e
la risolubilità di tutte le congruenze che se ne deducono.
Teorema 2 Siano a, b, c interi non tutti dello stesso segno e tali che abc sia
privo di quadrati e non nullo. Allora l’equazione trinomia
ax2 + by 2 + cz 2 = 0
ammette una soluzione intera non banale se e solo se le congruenze
ax2 + by 2 + cz 2 ∼
= 0 mod pn hanno soluzioni proprie per ogni potenza pn di
ogni primo p.
Questa è la formulazione del teorema di Legendre cui abbiamo fatto rifermento in precedenza e può riassumersi dicendo che una equazione trinomia
ha soluzioni primitive se e solo se ha una soluzione reale (ovvero a, b e c non
hanno lo stesso segno) e ognuna delle congruenze associate ha soluzioni primitive. Questo stesso risultato vale anche per forme quadratiche non degeneri
in un numero qualsiasi di variabili (teorema di Hasse), ma come abbiamo già
avuto modo di sottolineare, non si estende ad equazioni omogenee di grado
superiore.
In ogni caso, il principio secondo il quale le proprietà delle soluzioni intere
di una equazione a coefficienti interi sono governate dalle proprietà delle
soluzioni di tutte le congruenze che se ne deducono, noto come principio
di Hasse, è una guida importante per lo studio di analoghe questioni per
equazioni omogenee di grado superiore. Il passo successivo consiste nello
studiare equazioni omogenee di terzo grado in tre variabili. Ancora oggi
9
lo studio delle proprietà aritmetiche di queste equazioni costituisce uno dei
campi più fecondi della matematica. L’insieme delle soluzioni intere di tali
equazioni ha una struttura algebrica molto ricca ed intricata. Per studiare
tale insieme sono necessarie teorie molto sofisticate, di cui non è possibile
dare neppure un breve cenno in questa sede. Diremo soltanto che lo sviluppo
recente di alcune di queste teorie ha permesso al matematico inglese Andrew
Wiles di risolvere uno dei problemi più famosi della matematica, noto come
ultimo teorema di Fermat, cioè il problema di escludere, per n ≥ 3, l’esistenza
di soluzioni intere non banali dell’equazione xn + y n = z n .
10
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