Caso clinico Titolo articolo anche lungo [ come s i fa ] Osteomielite acuta in età pediatrica L’ osteomielite è un’infezione batterica dell’osso e/o del midollo generalmente localizzata a livello della metafisi. Il quadro clinico si caratterizza per la presenza di almeno un dato tra febbre (T> 37,5°C), leucocitosi (GB> 13000/ml), aumento della VES (>20mm/h) ed emocoltura positiva, associata ad una o più delle seguenti: presenza di segni locali di flogosi, positività della scintigrafia ossea con 99mTc, alterazioni indicative di osteomielite alla RX, TC o RMN1. Le osteomieliti possono essere distinte in acute, subacute o croniche. La forma acuta, più frequente in età pediatrica, è caratterizzata dall’insorgenza acuta di febbre e dolore osseo che, in caso di coinvolgimento degli arti inferiori o superiori, può determinare zoppia e/o non uso dell’arto. L’incidenza di OA nei bambini dei Paesi sviluppati si aggira intorno a 1:5000 casi/anno, con una frequenza doppia nei maschi rispetto alle femmiAnna Fedi ne (M:F=2:1); questo si può in parte Sandra Trapani attribuire alla maggior incidenza di Donatella Lasagni Tommaso Bondi traumi nel sesso maschile. In generaMassimo Resti le le osteomieliti sono più frequenti Dipartimento di Pediatria – Università nei bambini più piccoli, in rapido di Firenze e Azienda accrescimento osseo, con picco di Ospedaliero-Universitaria incidenza intorno a 3 anni. Circa la Meyer, Firenze AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 Definizione ed epidemiologia 37 La prognosi dell’OA è oggi molto buona: mortalità inferiore all’1% nei Paesi sviluppati e complicanze piuttosto rare, pur con il rischio di disabilità a lungo termine. Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica Tabella 1. Microrganismi isolati da pazienti con osteomielite e loro associazione clinica Associazione clinica più frequente Microrganismo Microrganismo più frequente in Staphylococcus aureus (meticillino – ogni tipo di osteomielite sensibile o resistente) Infezione associata alla presenza Stafilococchi coagulasi-negativi o di corpi estranei Propionibacterium spp. Forme associate a infezioni nosocomiali Enterobacteriaceae, Pseudomonas aeruginosa, Candida spp. Associazione con morsi/punture/ Streptococchi e/o batteri anaerobi ferite, piede diabetico o ulcere da decubito Drepanocitosi Salmonella spp., S. aureus, o Streptococcus pneumoniae Infezione da HIV Bartonella henselae o Bartonella quintana Morsi umani o animale Pasteurella multocida o Eikenella corrodens Pazienti immunocompromessi Aspergillus spp., Candida albicans, o Mycobacteria spp. Popolazioni ad elevata prevalenza di tubercolosi Mycobacterium tuberculosis Popolazioni in cui alcuni patogeni sono endemici Brucella spp., Coxiella burnetii, funghi che si trovano in specifiche aree geografiche (coccidiodomicosi, blastomicosi, istoplasmosi) Modificata da Lew DP, Waldvogel FA. Osteomyelitis. Lancet 2004;364:369-379 Tabella 2. Meccanismi patogenetici dell’osteomielite acuta in età pediatrica Via ematogena focolai infettivi distanti (cute, vie respiratorie e urinarie, etc.), colonizzazione cateteri intravascolari Contaminazione diretta o per continuità traumi di entità più o meno rilevante e microtraumi ripetuti, lesioni causate da ferite profonde e penetranti, punture e morsi di animali, procedure terapeutiche (es: vaccinazioni), diagnostiche (es: prelievi di routine) o chirurgiche e manovre invasive in generale AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 38 Contaminazione indiretta processo infettivo dei tessuti molli circostanti o per contiguità (cellulite, sinusite, mastoidite, etc.) metà dei casi si verifica al di sotto dei 5 anni e, di queste, il 25% in bambini al di sotto di un anno2,3. L’osteomielite del bambino più piccolo, spesso acuta, per cause anatomiche e di vascolarizzazione dell’epifisi può complicarsi con artrite settica, infezioni dei tessuti molli e pseudoparalisi delle estremità coinvolte. Inoltre nei neonati e nei lattanti l’OA può più spesso essere multifocale4. Eziopatogenesi A tutte le età, l’agente eziologico più frequente è Staphylococcus aureus seguito da Streptococco β emolitico di gruppo A (SβEGA) e Haemophilus influenzae tipo b (Hib), che riveste un ruolo maggiore nei Paesi economicamente meno sviluppati, dove il vaccino non è disponibile. La percentuale di emocolture e colture ossee positive varia dal 20% al 90% e S. aureus è generalmente responsabile di oltre l’80–90% di questi casi. L’epidemiologia dell’OA si è recentemente modificata, per l’aumentata incidenza di forme causate da S.aureus meticillino-resistente acquisito in comunità (CA-MRSA), che si caratterizzano per interessamento osseo multifocale, decorso più aggressivo e maggior frequenza di complicanze3. CA-MRSA causa circa il 10% delle osteomieliti nella maggior parte dei Paesi, ma sta assumendo crescente importanza negli USA, dove è responsabile di circa il 40-50% dei casi di OA . Altri agenti eziologici sono: Streptococcus pneumoniae (soprattutto sotto i 2 anni di età), Pseudomonas aeruginosa (bambini immunocompromessi o forme di OA del piede, da ferite penetranti), enterobatteri Gram-negativi, streptococchi di gruppo B e più raramente Kingella kingae, Bartonella henselae e Brucella melitensis nelle forme a localizzazione vertebrale, Salmonella spp (pazienti con drepanocitosi), Candida spp e Aspergillus spp (bambini immunocompromessi e neonati), Yersinia enterocolitica nei talassemici e Mycobacterium tubercolosis, raro nei Paesi economicamente più sviluppati, ma ancora frequente in quelli meno sviluppati, soprattutto dopo la rapida diffusione dell’infezione da HIV. M. tuberculosis ha un elevato tropismo per la colonna vertebrale (nel 50% dei casi si localizza in tale sede) e per la sinovia, ma interessa anche segmenti ossei al di fuori delle scheletro assiale2. Un’eziologia polimicrobica è più comune nei bambini con OA da traumi o da infezioni dei tessuti molli contigui (Tabella 1). La patogenesi dell’OA è ampiamente conosciuta; la diffusione dell’infezione all’osso avviene attraverso tre vie: ematogena, più frequente nel neonato e nel bambino con normale assetto immunitario; continuità o contaminazione diretta, più comune nei bambini più grandi e negli adulti; · · L’OA è una patologia in aumento negli ultimi anni, specie in età pediatrica. Talora diagnosticata con ritardo, dovrebbe considerarsi una “urgenza clinica”, dal momento che un suo tempestivo riconoscimento e un’adeguata terapia antibiotica ne determinano la guarigione, evitando cronicizzazione e complicanze. Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica Localizzazione e sintomatologia L e più frequenti localizzazioni sono femore e tibia (⅔ dei casi), seguiti dagli arti superiori (20%) che, insieme al calcagno costituiscono le seconde sedi per frequenza; cranio, bacino e rachide costituiscono il restante 10%. L’osteomielite pelvica non è molto comune e si riscontra in circa il 2–11% dei casi e in bambini più grandi (> 7 anni). La localizzazione è in genere unica, ma sono possibili focolai multipli in caso di grave processo setticemico. La sede è in genere la metafisi. Nei bambini con anemia falciforme, sono invece tipicamente interessate le diafisi delle ossa lunghe, probabilmente come conseguenza di precedenti infarti ossei associati a impilamento dei globuli rossi e vasocclusione. Può concomitare artrite dell’articolazione adiacente che può essere sterile (se la metafisi ossea, sede primaria di infezione, è extra-articolare come in caso di OA di tibia e femore) oppure settica (in caso di metafisi intra-articolare, come accade se è interessata l’anca). La OA si presenta con insorgenza acuta di dolore osseo molto vivo alla digitopressione, zoppia e/o non uso dell’arto interessato, calore e rossore sovrastante se il pus ha perforato il periostio, febbre di tipo settico; non sempre però quest’ultima è presente fin dall’inizio con tali caratteristiche. Il dolore spontaneo o evocato è presente dal 65% al 100% dei casi. La limitazione funzionale si verifica nel 50% circa dei bambini, mentre la pseudoparalisi in percentuale variabile dal 52% all’84%. I segni locali di flogosi possono o meno essere presenti all’esordio: la tumefazione è riferita dal 54% al 79% dei casi; il calore e l’iperemia nel Diagnosi L a diagnosi di osteomielite, principalmente clinica, si pone in presenza di due dei seguenti aspetti: segni clinici (febbre, dolorabilità localizzata, eritema, edema); aspirazione di materiale purulento dall’osso; emocoltura o coltura ossea positiva; evidenza di osteomielite a RX, scintigrafia o RMN. L’emocoltura dovrebbe essere sempre richiesta in caso di dolore osseo e febbre; se positiva permette di individuare l’agente eziologico responsabile e confermare la diagnosi. L’esame colturale su aspirato o biopsia ossea consente una diagnosi definitiva in caso di OA ematogena. Nei casi in cui entrambe queste metodiche forniscono risultato negativo, un esame istologico su biopsia ossea può rilevare le alterazioni infiammatorie tipiche dell’osteomielite. Si sottolinea inoltre come le metodiche di biologia molecolare quali la Polymerase Chain Reaction (PCR), rendano possibile l’identificazione del genoma batterico su sangue periferico 39 più raramente responsabile dello sviluppo di OA. In relazione ai tre diversi meccanismi patogenetici, numerosi sono i possibili fattori di rischio: focolai infettivi distanti (cute, vie respiratorie e urinarie), traumi più o meno rilevanti e microtraumi ripetuti (in circa ⅓ dei casi), ferite profonde e penetranti, punture o morsi di animali, particolari manipolazioni chirurgiche, procedure terapeutiche (vaccinazioni) e diagnostiche (puntura lombare, prelievi di routine, puntura dal tallone per esami di screening, etc.), processi infettivi dei tessuti molli circostanti (cellulite, sinusite, mastoidite, etc). Un rischio maggiore è associato anche alla concomitanza di patologie quali diabete mellito, emoglobinopatie come anemia falciforme, malattie granulomatose croniche e stati di immunodeficienza congenita e acquisita (Tabella 2). 27–68% e nel 16–82% dei casi rispettivamente. Anche per la febbre, le percentuali variano dal 40% al 93%. Questo sottolinea come, anche in apiressia, sia possibile il sospetto diagnostico di OA1‑4. È importante sottolineare, però, che le manifestazioni cliniche differiscono in base all’età del paziente e al sito di infezione. L’OA nel neonato si manifesta tipicamente 2–8 settimane dopo la nascita con esordio subdolo: il neonato può presentarsi apparentemente in buone condizioni generali senza segni/sintomi sistemici, con solo tumefazione locale o ridotta mobilità dell’arto interessato (pseudoparalisi); questo è legato principalmente allo scarso sviluppo del suo sistema immunitario, incapace di montare un’adeguata risposta immune5. Nel lattante i sintomi sistemici possono invece prevalere su quelli locali ed il quadro clinico è più simile alla sepsi. Le osteomieliti a sede vertebrale e pelvica, benché rare, pongono particolari difficoltà diagnostiche. L’osteomielite vertebrale, più frequente a sede lombosacrale e nei bambini di oltre 8 anni, può infatti essere inizialmente asintomatica anche per 3–4 mesi, per poi presentarsi acutamente con la comparsa di febbre e dolore sordo e costante alla schiena5. Per le osteomieliti pelviche, invece, la difficoltà risiede nella tardiva diagnosi definitiva. La sintomatologia (febbre, zoppia e dolore localizzato ad anche, glutei, inguine) suggerisce in prima battuta un’artrite settica dell’anca, molto più frequente dell’osteomielite pelvica. L’esame obiettivo rivela insorgenza di dolore associato alla mobilizzazione dell’anca, ma il range di movimento è conservato. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 o contaminazione indiretta da un focolaio · contiguità infettivo adiacente, che costituisce il meccanismo Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 40 Figura 1a. RX bacino e femore destro in paziente con quadro di osteomielite acuta da S. aureus a carico del femore destro e piomiosite dell’arto inferiore destro. Figura 1b. RX arto inferiore destro in paziente con quadro di osteomielite acuta da S. aureus a carico del femore destro e piomiosite dell’arto inferiore destro. Figura 1c. Particolare RX femore distale e ginocchio destro in paziente con quadro di osteomielite acuta da S. aureus a carico del femore destro e piomiosite dell’arto inferiore destro. o su materiale infetto, anche in cado di esame colturale negativo. L’identificazione dell’agente patogeno, con una qualsiasi delle metodiche sopra citate, è possibile complessivamente nel 5–60% dei casi. Gli esami ematochimici, pur aspecifici, sono comunque molto utili al momento del sospetto clinico e della diagnosi iniziale. La conta dei GB non è un indice molto sensibile, risultando spesso normale; un loro aumento non è quindi da considerarsi un indicatore affidabile. L’emocromo con formula deve comunque sempre essere eseguito, dato che la leucemia è fra le patologie da porre in diagnosi differenziale. Nelle diverse casistiche VES e PCR risultano aumentate in percentuali variabili6,7. La PCR aumenta nell’arco di 24–48 ore dall’esordio e torna a valori normali dopo una settimana di adeguata terapia; la sua rapida cinetica è utile per monitorare la risposta al trattamento e predire il decorso della malattia con una sensibilità maggiore rispetto a VES e conta dei GB. La VES invece aumenta più lentamente e ritorna ai valori normali in circa 3-4 settimane. Un lavoro di Lorrot sul ruolo dei marker di flogosi nelle infezioni osteoarticolari, riporta un aumento della VES e della PCR nell’80% dei casi o più, rispettivamente6. I risultati di Georgens si discostano poco dai suddetti, mentre quelli di Peltola et al, mostrano percentuali maggiori: aumento della PCR nel 95% dei casi e della VES nel 94%. Quest’ultimo lavoro ribadisce il ruolo preponderante della PCR, ma sottolinea che l’incremento combinato di PCR e VES fornisce una sensibilità assai elevata (pari al 98%) nella diagnosi di infezioni osteoarticolari7. Pertanto, in un quadro di febbre e dolore osseo, l’aumento di uno o di entrambi questi parametri rappresenta un forte elemento di sospetto. Di recente anche la procalcitonina (PCT) è stata proposta come marker utile nel predire severe infezioni, ma la sua sensibilità in caso di infezioni osteoarticolari sembra essere bassa6. La diagnosi definitiva di OA si ottiene con gli esami strumentali, utili per definire sede ed estensione di malattia e rilevare l’eventuale presenza di raccolte purulente o il coinvolgimento di strutture adiacenti come spazio epidurale, fisi ed epifisi o articolazioni. In tutti i pazienti con sintomi localizzati per sospetta OA è raccomandata l’esecuzione di una RX standard all’esordio, con cui è possibile escludere la presenza di fratture o malignità, condizioni che ne mimano la sintomatologia3,8. Essa, nella maggior parte dei casi, è normale e può restare tale per i primi 10–20 giorni. Sono infatti necessari almeno 3 giorni dopo la colonizzazione batterica dell’osso per osservare le prime alterazioni a carico dei tessuti molli, almeno una settimana per visualizzare la tumefazione dei muscoli e dei tessuti sottocutanei e l’obliterazione dei piani fasciali e fino a due settimane perché si apprezzino scollamento periostale, neoformazione ossea e lesioni litiche (anomalie specifiche dell’OA): prima che queste ultime si rendano visibili oltre il 50% della matrice ossea deve essere erosa (Fig. 1a, b, c). La percentuale di RX patologiche all’esordio riportata in letteratura è molto variabile e, solo in alcuni lavori, sovrapponibile. La presenza di risultati così contrastanti può essere at- Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica microcircolazione ossea da parte del pus in presenza di un ascesso. Un quadro scintigrafico “freddo”, da valutare con attenzione, solitamente è indicativo di malattia più avanzata o aggressiva, che richiede trattamento più intensivo. La specificità della scintigrafia oscilla fra il 70% e il 85%1–3 e la quota relativamente elevata di falsi positivi è legata alla difficoltà nel differenziare l’OA da una flogosi dei tessuti molli o delle articolazioni adiacenti; la specificità è inoltre ridotta in presenza di recenti traumi, recenti interventi chirurgici, diabete, protesi. L’introduzione di metodiche multifase (bifasica o trifasica) ne ha migliorato la specificità. La scintigrafia trifasica con 99mTc nella OA mostra un aumento di uptake nelle prime due fasi (fase angiografica e del blood pool), seguito da un ulteriore incremento focale di uptake a livello del segmento osseo interessato (fase osteotropa). Una scintigrafia positiva nelle tre fasi indica la presenza di osteomielite con una sensibilità elevata, che oscilla dal 73% al 100%8. La scintigrafia risulta una tecnica vantaggiosa: si positivizza precocemente (di solito nelle prime 48 ore dall’esordio); i risultati sono disponibili rapidamente; ha un’elevata sensibilità; è relativamente poco costosa; di rado richiede la sedazione del piccolo paziente; consente di visualizzare l’intero scheletro. Quest’ultimo aspetto è molto utile nei bambini più grandi in cui si sospetti un’osteomielite cronica multifocale e nei neonati, che spesso hanno localizzazioni multiple di malattia. Gli svantaggi sono, invece, la bassa sensibilità nelle forme neonatali (<30%), la bassa sensibilità e specificità nelle forme pelviche e vertebrali e la necessità di dosi di radiazioni relativamente elevate9. La RMN è attualmente la migliore indagine strumentale, in termini di sensibilità e specificità, nei pazienti in cui segni e sintomi siano ben localizzati; se, al contrario, le manifestazioni cliniche non consentono una precisa localizzazione, è preferibile in prima istanza l’esecuzione della scintigrafia ossea total-body. La RM ha il vantaggio di avere sia elevata sensibilità (82–100%) che specificità (75–96%). Unici svantaggi sono i costi elevati e i lunghi tempi di esecuzione che possono richiedere la sedazione. La diagnosi si pone in presenza di due dei seguenti aspetti: segni clinici (febbre, dolorabilità localizzata, eritema, edema); emocoltura o coltura ossea positiva; aspirazione di materiale purulento dall’osso; evidenza di osteomielite all’imaging diagnostico. 41 · · · · · · AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 tribuita alla sua scarsa sensibilità, rispetto alle altre tecniche diagnostiche. L’ecografia, per quanto non invasiva, è una tecnica operatore-dipendente; in mani esperte le modificazioni in corso di OA si rendono evidenti non prima di 48 ore dall’inizio dell’infezione, tempo comunque inferiore a quello della RX. È particolarmente utile nel mostrare il grado di interessamento di tessuti molli e muscolari, la presenza di raccolte fluide sottoperiostali e l’eventuale concomitanza di artrite settica. Nei bambini con drepanocitosi l’ecografia, in grado di distinguere la flogosi da un infarto osseo, dovrebbe essere eseguita come primo esame strumentale. Alterazioni ecografiche precoci e indicative di OA comprendono la tumefazione dei tessuti molli juxtacorticali associata a sollevamento o ispessimento del periostio; un’aumentata reazione periostale con successiva formazione di raccolte sottoperiostali (nei ⅔ dei casi) e, più raramente, di un ascesso periostale; infine si rendono evidenti brecce ed erosioni corticali9. Non esiste opinione concorde sulla reale utilità di questa metodica nell’iter diagnostico dell’OA; numerosi lavori mostrano la sua scarsa utilità in questo campo, accanto ad altri che ne documentano una sensibilità e specificità elevate. Scintigrafia e RMN risultano essere le metodiche più accurate all’esordio di malattia. Per la scintigrafia, la maggior parte dei Centri utilizza fosfati o fosfonati, come il metilene difosfonato, marcati con tecnezio 99-m (99mTc-MDP); questi composti formano legami covalenti con i cristalli di idrossiapatite, mentre fluiscono all’interno dell’osso. L’uptake è aumentato in caso di aumentato flusso sanguigno, infiammazione e attività osteoblastica alterata. A causa dell’aumentata vascolarizzazione della regione metafisaria, nei neonati e nei bambini più piccoli, sono necessarie immagini di alta qualità e risoluzione per differenziare l’aumentato uptake fisiologico da quello patologico. La sensibilità di questa tecnica nella diagnosi di OA oscilla fra il 60% e il 95%3,8. Oltre il 90% delle scintigrafie ossee positive mostra immagini “calde” da incrementato uptake del radiofarmaco causato da un aumento dell’attività osteblastica e dall’iperemia dell’osso e dei tessuti molli. Le aree “fredde” (da ridotto uptake), meno comunemente indicative di OA, sono invece dovute all’ischemia focale, provocata dalla compressione della Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 42 A tutte le età, l’agente eziologico più frequente è lo Staphylococcus aureus. Numerosi altri patogeni devono essere considerati però qualora dall’anamnesi emergano fattori o patologie predisponenti allo sviluppo di OA. La ipointensità del midollo osseo nelle immagini T1pesate (legata a infezione e infiammazione attiva) rappresenta l’alterazione più suggestiva di OAE, con sensibilità prossima al 100%8. Il reale vantaggio della RMN consiste nella sua capacità di fornire informazioni anatomiche molto dettagliate, delineando il coinvolgimento dei tessuti molli (raccolte fluide, ascessi, tenosinoviti), muscolari e delle strutture articolari1. È inoltre molto utile in contesti particolari: nei neonati e nei bambini piccoli permette di definire con precisione il coinvolgimento cartilagineo (incluse le regioni di accrescimento osseo); nelle osteomieliti vertebrali e pelviche, individua precocemente la formazione di un eventuale ascesso; nei casi che necessitano di chirurgia guida gli interventi stessi; permette la diagnosi nei casi di forte sospetto, con scintigrafia ossea negativa8. La TC fornisce immagini dell’osso e dei tessuti molli circostanti ad elevata risoluzione spaziale e di contrasto; può fornire una dettagliata rappresentazione della zona corticale e della sua distruzione, della reazione periostale e delle alterazioni dei tessuti molli. Ha però un ruolo limitato nella diagnosi di OA nel neonato e nel bambino in generale; è utilizzata primariamente con lo scopo di delineare con precisione l’estensione del processo flogistico, soprattutto in zone anatomicamente complesse quali l’articolazione sacro-iliaca e la colonna vertebrale. La sensibilità e la specificità della TC nella diagnosi di OA non sono note con precisione, ma risultano certamente inferiori a quelle della RM. Il suo utilizzo dovrebbe quindi essere limitato a particolari circostanze e non dovrebbe far parte dell’usuale iter diagnostico8. Approccio terapeutico L a terapia dell’OA si basa principalmente sull’utilizzo di antibiotici per via endovenosa, da somministrare il più precocemente possibile, in quanto la prognosi dipende essenzialmente dalla rapidità con cui viene instaurata la terapia. La scelta della terapia antibatterica è inizialmente empirica, basata sull’età del paziente e sul più probabile patogeno in causa, tenendo conto sia del potere battericida del farmaco, sia della sua capacità di penetrazione nell’osso. Attualmente si ricorre con sempre maggiore frequenza all’associazione di due antibiotici ad attività sinergica. L’utilizzo di approcci terapeutici peculiari e di farmaci antibatterici per coprire microrganismi Gram-negativi o inusuali dovrebbe essere riservato a particolari categorie di pazienti come neonati, immunocompromessi, bambini con drepanocitosi, con ferite penetranti del piede e fratture scomposte, soggetti provenienti da zone ad elevata prevalenza di CA-MRSA o a copertura vaccinale bassa o nulla per Hib. Nel trattamento empirico iniziale, rimanendo lo S. aureus l’agente eziologico più frequente, si raccomanda l’impiego di una penicillina anti-stafilococcica semisintetica, penicillinasi-resistente (es: oxacillina). La clindamicina costituisce un’alternativa per i pazienti allergici alle beta-lattamine; oltre alla buona attività anti-stafilococcica, la clindamicina ha un’ampia attività anche contro gli anaerobi e può essere utile in caso di infezioni da ferite penetranti o da fratture scomposte. L’utilizzo delle cefalosporine di terza generazione da sole non è considerato sufficiente, data la loro scarsa copertura per S. aureus, ma trova un’applicazione in associazione alla penicillina. Nelle OA sostenute da CA-MRSA, la scelta terapeutica iniziale è controversa e si basa sui pattern locali di suscettibilità; le opzioni terapeutiche più accreditate sono: teicoplanina, clindamicina come singola terapia; l’aggiunta di gentamicina a una penicillina β-lattamasi-resistente; vancomicina (non da tutti raccomandata per il rischio di emergenza di organismi resistenti); linezolid10. Condizioni particolari impongono modificazioni all’uso empirico degli antibiotici. Nei pazienti con drepanocitosi, i batteri enterici Gram-negativi (Salmonella) sono comuni patogeni al pari di S.aureus; le cefalosporine ad ampio spettro quali il cefotaxime e il ceftriaxone devono essere aggiunte agli anti-stafilococcici. Per i pazienti immunocompromessi è consigliabile instaurare sempre una terapia combinata: vancomicina e ceftazidime o piperacillina-clavulanato e un aminoglicoside sono le associazioni più spesso riportate in letteratura. In seguito all’identificazione dell’agente eziologico, la terapia antibatterica può essere modificata sulla base dell’antibiogramma. Se il patogeno non è identificato ma le condizioni del paziente Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica la scelta dei pazienti da candidare alla terapia sequenziale deve essere quindi fatta con attenzione13,14. Il trattamento chirurgico dell’OA non è ancora stato oggetto di studi prospettici randomizzati, pertanto non è attualmente codificato un approccio standardizzato. Quando si ottiene un aspirato sottoperiostale o metafisario francamente purulento, è generalmente indicata una procedura di drenaggio chirurgico. Un debridement chirurgico può essere indicato anche in caso di ferite penetranti, presenza di osso necrotico, o in caso di fallimento della terapia antibiotica. Conclusioni OA risulta essere una patologia di grande interesse e in aumento negli ultimi anni, specie in età pediatrica. Tale condizione è talora diagnosticata con ritardo; è invece da considerarsi una vera e propria “urgenza clinica”, dal momento che un suo tempestivo riconoscimento e quindi un’adeguata terapia antibiotica ne determinano la guarigione, evitando sia la cronicizzazione che le complicanze (deformità scheletriche, arresto della crescita e lesione delle cartilagini articolari). La diagnosi delle patologie muscolo-scheletriche è essenzialmente clinica, basata su anamnesi e su un’attenta valutazione della sintomatologia generale e dell’obiettività locale. Le manifestazioni cliniche all’esordio di un quadro di OA, riportate nelle diverse casistiche in letteratura, sono pressoché sovrapponibili sottolineando come la presenza di dolore, limitazione funzionale/zoppia e segni locali di flogosi costituiscano un importante elemento di sospetto. La febbre, pur essendo un importante segno clinico riscontrato in molti casi, può tuttavia non essere presente. Gli esami di laboratorio non sono specifici: gli indici di flogosi hanno una buona sensibilità, ma una bassa specificità e possono, in alcuni casi, risultare normali. Perciò solo la combinazione di segni clinici (febbre, dolore, limitazione funzionale) e di VES e PCR aumentate rendono fortemente sospetta una forma settica. Dalla nostra analisi della letteratura emerge che, pur rimanendo la RX standard, l’esame di prima istanza con cui escludere rapidamente altre condizioni cliniche che possono mimare la sintomatologia della OA è la RM, in grado di fornire nella quasi totalità dei pazienti la conferma precoce del sospetto diagnostico. Anche la scintigrafia si è rivelata un’indagine sensibile che fornisce indicazioni utili, specie in situazioni particolari. In conclusione, pur essendo gli esami di laboratorio e strumentali un utile supporto per la diagnosi e il monitoraggio del processo infettivo, il gold 43 L’ AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 migliorano, si prosegue la terapia antibiotica intrapresa; al contrario, in assenza di riduzione della PCR o di miglioramento clinico entro 48–72 ore si impone una revisione della scelta terapeutica e deve essere valutata la possibilità di una aspirazione, biopsia o intervento chirurgico, così come di una patologia non infettiva. Pertanto, nei primi giorni di terapia parenterale, la valutazione delle condizioni cliniche resta lo strumento più importante per stimare la risposta alla terapia, associata alla valutazione dei parametri di laboratorio – conta dei globuli bianchi, VES, PCR6,7. Tradizionalmente, la terapia parenterale viene eseguita per un periodo di 4–6 settimane. Attualmente in letteratura non c’è unanime consenso a proposito della via di somministrazione e della durata adeguata della terapia antibiotica per l’OA nei bambini, passando dai 3 giorni di Cole11 ai 21–50 di Dich e Nelson12. Nei bambini sono stati da tempo suggeriti trattamenti più brevi e con una terapia sequenziale parenterale-orale. Alcuni studi osservazionali datati mostrano un’associazione fra breve durata della terapia antibiotica (inferiore a tre settimane) e peggiore outcome o ricadute più frequenti12. Al contrario, altri studi dimostrano come si ottenga una completa guarigione con assenza di fallimenti terapeutici, dopo una terapia endovenosa di breve durata seguita da un ciclo di terapia antibiotica orale per 3–4 settimane13 e come non si riscontrino differenze nel tasso complessivo di guarigioni dopo 6 mesi di follow-up fra gruppi di pazienti trattati con terapia antibiotica parenterale di breve e lunga durata prima della transizione alla terapia orale. Sebbene si sia cercato di dimostrare, con risultati incoraggianti, l’efficacia e la sicurezza di una terapia endovenosa di breve durata (3–7 giorni), è importante sottolineare che non sono stati mai condotti trial randomizzati controllati né studi comparativi e che i dati a nostra disposizione derivano solo da studi osservazionali o retrospettivi. Pertanto un trattamento della durata di 4–6 settimane è considerato ancora lo standard terapeutico14. La maggior parte degli autori concorda nel sostenere che la durata del trattamento deve essere individualizzata e che la decisione di iniziare la terapia orale dovrebbe essere presa sulla base delle condizioni del singolo paziente, dopo attenta valutazione del miglioramento di segni clinici e di laboratorio. I pazienti con presentazione atipica di malattia, immunocompromessi o con patologie sottostanti, con infezioni fungine o micobatteriche, con indizi di cronicità, complicanze o risposta ritardata alla terapia, sono sottoposti a un trattamento parenterale e orale di maggiore durata e ad uno stretto follow-up, per evitare l’insorgere di complicanze. Viste le conseguenze che possono derivare da un eventuale fallimento terapeutico, Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica standard per la diagnosi di forme settiche osteo-articolari si fonda sul sospetto clinico del pediatra di fronte ad un bambino con dolore osseo. Caso Clinico F. 6 anni, si reca dal curante per febbre e dolore alla gamba sinistra da 3 giorni. Negati traumi; non segni locali di flogosi. Viene prescritta terapia antibiotica, antiinfiammatoria e steroidea. Successivamente scompare la febbre ma aumenta il dolore, anche notturno e compaiono iperemia cutanea e tumefazione sotto il ginocchio sinistro per cui viene condotta al PS dove esegue: esami ematici: VES 75 mm/h; PCR 4,48 mg/dl; RX gamba: rarefazione alla metafisi prossimale della tibia sinistra; ecografia ginocchio: falda fluida e imbibizione dei tessuti molli. La paziente viene ricoverata. All’ingresso è febbrile; l’esame articolare mostra area calda, arrossata, tumefatta, dolente alla palpazione a livello del 3° prossimale tibia sinistra. Nel sospetto di osteomielite si inizia terapia con ceftriaxone e oxacillina. L’emocoltura è positiva per Staphylococcus aureus. Nei primi giorni l’area di flogosi si estende, la febbre persiste e la PCR incrementa (11 mg/dL). Per tale motivo si sostituisce oxacillina con vancocina. La RM della gamba mostra estesa disomogenea alterazione di segnale al terzo prossimale tibia sinistra con aree più ipointense nelle immagini T1-pesate con più sfumata iperintensità estesa alla fisi; reazione periostale con interposizione di materiale purulento che si estende anteriormente ai tessuti AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 44 · · · Bibliografia 1. Goergens ED, McEvoy A, Watson M et al. Acute osteomyelitis and septic arthritis in children. J Paediatr Child Health 2005;41:59-62. 2. Steer AC, Carapetis JR. Acute hematogenous osteomyelitis in children. Recognition and Management. Pediatr Drugs 2004;6(6):333-346. 3. Karmazyn B. Imaging approach to acute hematogenous osteomyelitis in children: an update. Semin Ultrasound CT MRI 2010;31:100-106. 4. Kaplan SL. Osteomyelitis in Children. Infect Dis Clin N Am 2005;19:787-797. 5. Offiah AC. Acute osteomyelitis, septic arthrits and discitis: differences between neonates and older children. Eur J Radiol 2006;60(2):221-32. molli con distruzione della corticale; alterazione di segnale delle strutture muscolari e cutaneo-sottocutaneo adiacenti (reperti compatibili con osteomielite acuta con reazione periostale e raccolta ascessualizzata anteriormente in sede extraossea). Viene effettuato intervento di toilette chirurgica. La ricerca di genoma batterico (mediante PCR) e l’esame colturale su materiale prelevato sono positivi per S. aureus. Data la positività della ricerca di tossina Leucocidina Panton Valentine viene aggiunta clindamicina, con successivo sfebbramento, progressivo miglioramento dei segni locali di flogosi, riduzione del dolore e ripresa dei movimenti della gamba. Per comparsa di rash durante infusione di vancocina, l’allergologo consiglia infusione lenta del farmaco e somministrazione di antistaminico. Dopo una settimana, per la ricomparsa di rash pruriginoso, si reintroduce oxacillina in associazione a rifampicina, in accordo con l’allergologo. Viene inoltre intrapreso programma fisioterapico riabilitativo con ripresa della deambulazione con canadesi con sfioro a terra. Dopo 3 settimane F. sta bene: non dolore né segni di flogosi a livello della gamba, indici di flogosi negativi; la RX mostra ancora disomogenea composizione ossea metadiafisaria prossimale della tibia e apposizione periostea. La bambina viene dimessa con rifampicina per 15 giorni, deambulazione con canadesi e programma di follow-up pediatrico, ortopedico e fisioterapico per 6 mesi. Al controllo dopo 3 mesi F. non ha più presentato dolore, ha ripreso a deambulare autonomamente, gli esami ematici sono negativi e la RM evidenzia significativa evoluzione riparativa del focolaio osteomielitico; a 6 mesi la RX è pressoché normalizzata 6. Lorrot M, Fitoussi F, Faye A et al. 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