Fonti di finanziamento delle PMI: il mercato dei “Minibond” Tanto tuonò che piovve! A fine 2012, nel tentativo di dare impulso all’economia in recessione, l’allora Ministro Passera ha rispolverato un paio di strumenti finanziari, noti da tempo, che in Italia non avrebbero mai potuto decollare se non in forza di una disciplina civilistica e fiscale di maggior favore: si tratta dei Minibonds (banalmente, delle normali “obbligazioni”) e delle cambiali finanziarie (le ex commercial paper di antica memoria e di alterna fortuna). I due “nodi” sciolti che hanno permesso a questi due strumenti di trovare (forse) nuova vita, si chiamano “art. 2412 del codice civile” e “Dlgs 237/96”. In pratica le aziende Italiane, per vincolo civilistico tutto domestico, pur potendo da sempre emettere obbligazioni, non potevano farlo per importi superiori al loro “patrimonio netto” (capitale + riserve) . In tutti i casi ove l’emittente poi non fosse stato quotato, lo strumento non avrebbe potuto beneficiare di una serie di vantaggi fiscali posti in capo sia all’emittente che al sottoscrittore. Questo di fatto ha condannato all’oblio le obbligazioni. Per non parlare delle cambiali finanziarie che facevano venire i brividi all’Italiano medio solo per il loro nome, e subito dopo per la sfilza di marche da bollo (con retrogusto amaro della colla), che era necessario incollarvi sopra… La riformulazione della norma avvenuta con i “decreti crescita” del Governo Monti, poi convertiti in Legge, ha di fatto eliminato i due vincoli sopra citati, permettendo alle imprese di avvicinarsi (almeno da un punto di vista teorico) al mondo delle obbligazioni e delle cambiali finanziarie con maggiori chances di successo. Giova ricordare che le imprese Italiane hanno “dipendenza” dal sistema bancario per il 92% contro il 30% degli Stati Uniti. Interessante l’audizione di banca d’Italia alla Camera dei deputati tenutasi il 16 ottobre scorso, che traccia un profilo sintetico sulla condizione delle imprese Italiane e soprattutto delle Banche. Queste ultime, a livello aggregato, in ossequio alla disciplina c.d. “Basilea 3” (che è qualcosa di più di una semplice ridente città della Svizzera), dovranno sempre più fare attenzione all’erogazione del credito (vecchio e nuovo), in relazione al rischio ponderato sottostante. A livello aggregato esse dovranno complessivamente “ridurre” il credito e non “ampliarlo” anche se ovviamente i saldi interni potrebbero vedere aziende alle quali esso verrà ancora ampliato e aziende verso le quali resterà come oggi o verrà gradualmente ridotto. Il CsC (Centro Studi Confindustria) ha pubblicato recentemente uno studio dal quale si evince che la sola domanda attesa di maggior credito da parte delle imprese nei prossimi cinque anni assomma a non medo di 90 miliardi di euro. Altri studi analoghi stimano invece in 150 miliardi di euro la domanda di nuovo credito, oltre ovviamente alla gestione (e magari alla razionalizzazione) di quello già oggi esistente. Sono numeri importanti con i quali ci si dovrà presto confrontare. Tutto pronto dunque per passare dalla banca al mercato? Certamente no. Il mercato deve attrezzarsi e completare la “filiera” idonea a sfruttare queste nuove opportunità, e talune imprese devono imparare nuove metodologie di comunicazione, intendendo con ciò l’apertura alla trasparenza e alle informazioni da fornire tassativamente al mercato. Vediamo questi due punti fondamentali, organizzazione del mercato e sforzo di trasparenza delle imprese: 1. Il mercato ha reagito ai Minibonds positivamente ma con un certo scetticismo. Le grandi banche chiamano Minibond (in quanto la struttura di questo strumento è di fatto la stessa sia per i relativamente “piccoli” bond emessi dalle PMI che per le grandi sizes delle grandi aziende emittenti non quotate, quali Barilla, Bormioli, Guala, Cerved, ecc), operazioni di size quasi sempre compresa tra 75 e 300 milioni di Euro (taglie forti) e su quelle taglie la grande banca si muove con assoluta dimestichezza (parliamo però di una quindicina di operazioni in totale in tutta Italia e in tutta la storia dei Minibonds). A seguire, scendendo nella scala delle “sizes” ci sono le “taglie medie”, operazioni cioè che scaturiscono da emittenti con un centinaio di milioni di fatturato, forte vocazione all’export, ebitda robusto, compreso tra 5 e 20 milioni di euro, indebitamento bancario sotto soglia, patrimonio adeguato, piano industriale in espansione che preveda acquisizioni e investimenti. Su questo cluster hanno sbandierato il loro interesse prestigiosi fondi esteri (USA) ma vien da chiedersi: serve altro? … E’ di tutta evidenza che tutti vorrebbero aziende “fatte così” ma forse il tessuto economico Italiano è costituito da un altro tipo di impresa. Ed è forse proprio al di sotto delle “taglie medie” che si potrebbe aprire un mondo: la “small size”, quella fatta di PMI che fatturano da 5 a 50 milioni, con ebitda in grado di assolvere al servizio del debito e con i propri piani di espansione o di investimento che naturalmente sono lo scopo principale alla base dell’emissione di Minibonds. Per quanto attiene alla crescita dei volumi dell’impresa, la cambiale finanziaria potrebbe rivelarsi un valido integratore al “castelletto sbf delle banche” (conto anticipi fatture) e/o al factoring, diversificando le fonti di indebitamento e andando a coprire quei gap che gli altri due strumenti per loro struttura non riescono a colmare. Certo è che per “costruire” un’emissione con questi due nuovi strumenti servono un po’ di professionisti: avvocati d’affari, fiscalisti, un revisore dei conti, (quando possibile) una garanzia sull’emissione (magari non richiesta all’imprenditore ma ad una struttura pubblica), un advisor dell’emittente, un intermediario con funzione di “arranger” dell’operazione (che sappia cioè “collocarlo” sul mercato) ed infine il personaggio fra i più preziosi se non il più prezioso: “il sottoscrittore del bond”, dunque “il mercato”, quel “famoso” soggetto evanescente, forse un po’ invadente ma pieno di liquidità da fare invidia. Nel mondo in questo momento il dato di M1 (in pratica la liquidità a vista) ammonta a 55.000 miliardi di USD, una cifra quasi impronunciabile! Dal punto di vista dell’impresa standard (PMI Italiana tendenzialmente coincidente con l’imprenditore che fa tutto, dal commerciale al rapporto con le banche e con il commercialista…), può apparire certamente difficile poter “digerire” e “governare” una filiera così complessa. Ecco allora che può essere costruita dagli operatori di mercato una “filiera” capace di fare tutto “chiavi in mano”, un po’ come quando nei concerti rock arriva il tir con dentro tutta l’attrezzatura, le luci, il palco, i microfoni, eccetera e una miriade di formichine in un baleno monta il palco e consente l’esecuzione dell’artista. Il cantante deve solo arrivare un’ora prima del concerto e accordare lo strumento. Bene, ci sono intermediari finanziari (e Unicasim è uno di questi) in grado di porsi come “coordinatori dell’intera filiera”, avendola preventivamente creata, aggregando accanto a sé i migliori avvocati, i migliori fiscalisti, i revisori dei conti, gli attributori di rating, e avendo creato i necessari contatti con il mercato, oltre ovviamente ad avere le competenze necessarie per strutturare sotto il profilo tecnico l’emissione. In questo modo l’imprenditore si ritrova un unico interlocutore in grado di rendere il servizio completo, dall’analisi di fattibilità al placement, (ad un costo omnicomprensivo e soprattutto sostenibile) senza la necessità di andare alla ricerca di tanti consulenti esterni per ciascuna fase del processo, cosa che una PMI forse non potrebbe permettersi. 2. Con riferimento al secondo tema, le aziende devono però impegnarsi davvero a crescere nella trasparenza verso l’esterno. Già oggi sopra una certa soglia di fatturato è facile trovare strutture organizzative più articolate con tanto di direttori finanziari, tesorieri, direttori amministrativi, alta direzione, bilancio certificato, e qui la cosa è più facile. La PMI Italiana resta peraltro come sopra si diceva molto legata alla figura dell’imprenditore di riferimento, da sempre restìo ad aprire la porta di casa al mondo esterno. Questo è un limite nel caso si voglia andare sul mercato perché il mercato è generoso di liquidità ma avido di informazioni (e per certi versi un po’ invasivo). L’Azienda deve strutturarsi per fornire le informazioni periodiche al mercato sull’andamento della gestione, così come per tutte quelle notizie che si definiscono price sensitives, nonché sulle prospettive del business che possano essere connesse, nel bene o nel male, con la restituzione del prestito ricevuto. Ci sarà dunque da intraprendere un percorso “psicologico/comportamentale” da parte dell’Impresa e anche per questo un intermediario serio e indipendente che coordini l’intero processo di avvicinamento al mercato, potrà dare all’imprenditore un aiuto in tal senso. La volontà anche associazionistica è quella di poter far evolvere le imprese verso il mercato e da qui la nascita delle “scuole alte”, con i progetti “Più Borsa” e “Progetto Elite” di Borsa Italiana, finalizzati a portare verso il mercato le PMI nazionali più virtuose. In conclusione, si tratta di un mercato che nasce oggi sotto una nuova veste e che appare come promettente stante l’impossibilità di premere ulteriormente sulla leva del credito bancario. Per fare questo una delle possibili soluzioni, alternativa all’avventurarsi da soli, potrebbe essere quella di affidarsi ad una filiera “chiavi in mano”, che possa seguire tutto il processo a costi ragionevoli per l’emittente. L’imprenditore deve però assumere come driver principale quello di essere trasparente con il mercato e questo gli consentirà di “farsi conoscere”. Quando l’imprenditore e l’impresa sono conosciuti dal mercato, il mercato risponderà con altrettanta fiducia sia nel caso di bond che (chissà mai in futuro...) in caso di equity. Dovremo tutti metterci testa a cuocere con impegno e umiltà ma forse si apre una nuova era per le nostre PMI.