Azione Cattolica Italiana La scuola ci sta a cuore Riflessioni e proposte sul Documento “La Buona scuola” La scuola ci sta a cuore 1 Indice: LA SCUOLA CI STA A CUORE 3 “QUESTIONE EDUCATIVA” E SCUOLA: PRIORITÀ PER IL PAESE 4 QUALE IDEA DI SCUOLA É PRESENTE NEL DOCUMENTO? E QUALE SCUOLA DESIDERIAMO? 7 DIRITTO ALLO STUDIO 8 LA QUALITÀ DELLA SCUOLA: ORIZZZONTE A CUI TENDERE 9 LOTTA ALLA DISPERSIONE: RESPONSABILITÀ E COMPITO 10 SCUOLA DELL’INFANZIA: QUASI UNA CENERENTOLA 10 SCUOLA SECONDARIA DI 1° GRADO: ASSENTE INGIUSTIFICATA 11 BIENNIO UNITARIO (O QUASI...) 12 LA “QUESTIONE” DOCENTI 12 LA VALUTAZIONE INTERNA ED ESTERNA 14 ATTENZIONE ALLA DIDATTICA 15 RAPPORTO SCUOLA-LAVORO 16 L’ESPERIENZA DELL’ALTERNANZA 17 EDILIZIA SCOLASTICA 17 EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA 18 PARTECIPAZIONE E ORGANI COLLEGIALI 19 VERSO UNA PIENA AUTONOMIA SCOLASTICA 19 IN BREVE… 21 I componenti della commissione - Gioele Anni - Adelaide Iacobelli - Andrea Facciolo - Franco Venturella - Mirella Arcamone - Maria Luisa Ierace - Paolo Reineri - Manuel Mussoni - Annamaria Basile - Concetta Amore - Maria Alfonsina Caponi 2 La scuola ci sta a cuore LA SCUOLA CI STA A CUORE L’Azione Cattolica Italiana, associazione ecclesiale di laici impegnati ad animare cristianamente la società secondo la novità del Vangelo, attraverso le sue articolazioni e Movimenti rappresenta le diverse componenti presenti nel tessuto socio-culturale del Paese (dai bambini, agli adolescenti, ai giovani, agli adulti, alle famiglie). Essa ne condivide le difficoltà e le speranze, ponendosi in ascolto dei nuovi bisogni e delle domande di senso, lasciandosi interpellare dai problemi posti da un mondo attraversato da forti tensioni e da una frammentazione individualistica che rende sempre più difficile il compito educativo, anche per la mancanza di un orizzonte etico condiviso e la scarsa collaborazione tra Istituzioni. Fedele al compito di educare le generazioni al senso «del bene, del bello, del vero» (cfr. discorso di Papa Francesco al mondo della scuola, 10/5/2014), l’AC si fa compagna di viaggio di quanti cercano di dare ragioni di vita e di speranza. Da questo impegno deriva la cura della formazione della persona al discernimento, alla coscienza critica, alla libertà interiore, al bene comune, perché la vita religiosa, politica, civile e sociale diventi più aderente ai diritti e alla dignità di ogni persona, e ognuno possa contribuire a realizzare una condizione umana più fraterna, equa e solidale, capace di accogliere con onestà intellettuale la pluralità degli orientamenti culturali, ritenendo la diversità come ricchezza. Per questo, volendo continuare a testimoniare quell’attenzione alla scuola che l’Associazione esprime ordinariamente attraverso il Movimento Studenti (MSAC) e il Movimento di Impegno Educativo (MIEAC) – oltre che con la passione di tanti soci insegnanti – l’AC non vuole far mancare il proprio contributo al confronto in atto sul documento governativo dal titolo “La buona scuola”, ponendo degli interrogativi, ma soprattutto offrendo riflessioni e proposte. L’AC, infatti, è pienamente consapevole che la scuola occupa un posto centrale nella vita di ogni persona e della società, e che una buona scuola è presupposto indispensabile per la crescita della convivenza civile e democratica. L’AC crede in una scuola comunità educante e luogo dove si esercita la corresponsabilità: la scuola educa istruendo, attraverso i saperi e le discipline, l’acquisizione di conoscenze e competenze, utilizzando metodi adeguati e strategie efficaci per accompagnare e migliorare i percorsi educativi e i processi di insegnamento/apprendimento. Ciò comporta che la scuola si assuma il compito di: • consegnare il patrimonio culturale che ci viene dal passato, perché non vada disperso e possa essere messo a frutto; • preparare al futuro introducendo i giovani alla vita adulta, fornendo loro quelle competenze indispensabili per essere protagonisti all’interno del contesto culturale, economico e sociale in cui vivono; • accompagnare il percorso di formazione personale che uno studente compie, sostenendo la sua ricerca di senso e il faticoso processo di costruzione della propria personalità sul piano cognitivo, affettivo, relazionale. La scuola ci sta a cuore 3 “QUESTIONE EDUCATIVA” E SCUOLA: PRIORITÀ PER IL PAESE Merito del Documento “La buona scuola”, contrariamente a quanto avvenuto in anni recenti, è l’intenzione di rimettere la scuola, e chi in essa vive e lavora, al centro delle scelte politiche. Punto fermo, infatti, è il credere che il futuro del Paese è garantito da una buona scuola, e che per realizzarla sono necessari l’impegno e la responsabilità di tutti. In questo periodo di transizione, la scuola è stata costretta a pagare un prezzo troppo alto e non è più in grado di sostenere la frustrazione derivante dal senso di abbandono e di trascuratezza, che ha finito per generare in chi la abita una stanchezza diffusa e una sfiducia nel futuro. Il fatto che la scuola torni ad occupare un posto fondamentale nel dibattito e nell’interesse della Comunità nazionale costituisce, di per sé, motivo di speranza. Il Documento considera, dunque, la formazione delle nuove generazioni come priorità per la crescita del Paese, sulla linea già da tempo intrapresa dai Paesi OCSE a partire dall’indagine della Commissione Delors (1997), che invitava a scommettere sulla formazione non solo come il vero tesoro da custodire e sostenere, ma anche come agente di sviluppo. Gli altri Paesi hanno creduto e scommesso. L’Italia no, anzi ha continuato a depauperare questo patrimonio, ritenendo che investire nella scuola e nella ricerca fosse una spesa improduttiva. Per l’inerzia dei governi, il progressivo taglio delle risorse umane ed economiche, la disattenzione della stessa società civile, molti problemi attendono ancora una soluzione, mentre nella scuola si vive un disagio diffuso tra le diverse componenti, in quanto l’Istituzione fa fatica a rinnovare se stessa per rispondere, con libertà e creatività progettuale, alle sfide di oggi. Per questo, l’invito a cambiare direzione appare largamente condiviso. Si auspica ora che non si tratti ancora una volta di un’occasione mancata, e che alle parole seguano i fatti. Alla scuola servono, soprattutto, risorse certe per l’attività ordinaria e autonoma dei singoli istituti. Il timore che sorge, scorrendo la bozza di Legge finanziaria, è che la gran parte delle risorse stanziate per “La buona scuola” possano servire soltanto per l’immissione in ruolo dei docenti precari. La Legge di stabilità, infatti, contemporaneamente all’istituzione di un fondo ad hoc per la realizzazione della proposta governativa, penalizzerebbe di nuovo la possibilità di alcuni fondamentali interventi (valorizzazione professionalità docente, formazione del personale, edilizia, innovazione, laboratori, attività integrative...). Va anche sottolineato il fatto che, forse per la prima volta, un governo invita i cittadini a esprimersi liberamente su un progetto di cambiamento mediante la pubblica consultazione. Questa scelta sottolinea la volontà democratica di condivisione e collaborazione nella realizzazione di un piano di rinnovamento di un’istituzione complessa come la scuola. Si tratta di un’intenzionalità apprezzabile per la novità e l’originalità, a patto che a essa corrisponda realmente un ascolto autentico e una volontà di assumersi la responsabilità delle scelte e delle decisioni. In particolare, la “buona scuola”, come pure ogni innovazione o cambiamento, non può nascere e svilupparsi senza un maggiore coinvolgimento dei soggetti direttamente in causa, cioè dei docenti, degli studenti, del personale e delle famiglie. La sfida infatti è di costruire una scuola “in cui tutti possano riconoscersi”, sentendosi protagonisti dei processi di cambiamento, cogliendone il senso complessivo e trovando modalità e strumenti per una coerente applicazione nella vita ordinaria della scuola. Ugualmente apprezzabili e condivisibili sono gli enunciati di valore cui invece occorre ispirarsi e tendere. Tuttavia, pur comprendendo le ragioni della genericità di alcune affermazioni che veicolano cambiamenti radicali (la natura del documento impone rinvii a ulteriori specificazioni 4 La scuola ci sta a cuore rispetto alla realizzazione concreta), emergono diverse criticità che lasciano perplessi. Non sempre alle enunciazioni di valore corrispondono orientamenti di realizzazione congruenti. A uno sguardo attento traspare la tendenza a mutare aspetti settoriali e di superficie, comunque collegati al risparmio e alla politica dei “tagli”, mascherata dal coinvolgimento dei privati e dei cittadini e da una diversa gestione degli stessi fondi. “La scuola è di tutti e di ciascuno”: senza dubbio, ma armonizzare sotto vari aspetti queste due istanze sembra estremamente complicato. Occorre ancora una volta prendere in mano la Costituzione e leggere con attenzione quanto vi è affermato nel complesso e nello specifico rispetto alla scuola, chiedendosi, al momento del cambiamento normativo e organizzativo, se si sta veramente rispondendo ai criteri fondamentali che la ispirano. Per questo, sembra utile e opportuno sottolineare con forza alcuni elementi fondamentali da tenere presenti: Nessuna riforma è valida se non fa riferimento a una visione dell’uomo rispettosa della centralità della persona e delle esigenze profonde di ogni soggetto; ogni persona è titolare del diritto alla formazione e deve essere posta nelle condizioni di sviluppare al meglio attitudini e potenzialità, perché a nessuno sia negato l’accesso ai gradi più alti del sapere e della conoscenza; pertanto occorre rimuovere ogni ostacolo che possa, in qualche modo, impedirne la piena realizzazione. La scuola non può ridursi a un’azienda. Si configura anzi come “comunità educante”, che “interagisce con la più vasta comunità sociale e civica” (DL n.297/94). Pertanto, non è possibile applicare alla scuola modelli aziendalistici, anche se essa deve agire secondo criteri di efficienza ed efficacia, tenendo presenti i principi della Carta costituzionale, le finalità e gli obiettivi indicati dal legislatore, secondo quanto già previsto nelle “Indicazioni nazionali per il curricolo” e nei nuovi ordinamenti della scuola secondaria di II grado. Non si parte dall’anno zero. La definizione di “Buona scuola” può indurre al fraintendimento che quella realizzata fino a oggi sia da considerare una cattiva scuola: sarebbe decisamente ingeneroso nei confronti di quanti abbiano sviluppato in questi anni un ricco patrimonio di esperienze, come quelle realizzate nel campo della sperimentazione e innovazione. Attraverso un encomiabile impegno, infatti, diverse scuole hanno potuto conseguire risultati significativi, sia in ordine a traguardi di eccellenza, quanto a quelle di inclusione e di recupero delle situazioni di svantaggio psicologico e sociale. Basti pensare che l’integrazione degli alunni con cittadinanza non italiana è avvenuta attraverso un’azione educativa e didattica gestita dal basso nelle aule scolastiche, mettendo in campo una forte progettualità nel contesto di una pedagogia interculturale. La riforma non può riguardare soltanto interventi d’ingegneria strutturale, burocraticoamministrativa, ma deve mirare essenzialmente a delineare un orizzonte condiviso e una “visione pedagogica e didattica complessiva” coerente con le esigenze di continuità, progressività, flessibilità, orientatività del percorso formativo, in cui si possano coniugare istruzione ed educazione, sapere teorico ed esperienza, in cui non ci sia una precoce divaricazione tra il braccio e la mente, tra percorsi liceali e indirizzi tecnico-professionali: a tutti deve essere garantita la possibilità di acquisire conoscenze, competenze e di sviluppare capacità relazionali, progettuali, creative e critiche. La scuola ci sta a cuore 5 Occorre tener presente l’esigenza di mettere al centro “i bisogni, gli interessi, le aspirazioni, i sogni di realizzazione degli studenti, le attese delle loro famiglie, il lavoro degli insegnanti”. Si impone la necessità di legare insieme solidarietà, equità ed eccellenza. Per far questo, la scuola deve recuperare la sua rilevanza nella società e inserirsi pienamente nei processi di cambiamento in atto, sapendo raccogliere le sfide della complessità, delle nuove tecnologie e dei nuovi saperi. E’ indispensabile far riscoprire l’importanza che la scuola riveste nel contesto del processo di educazione, di istruzione e di formazione delle persone. Educare bambini, ragazzi e giovani alla responsabilità, al sapere critico e alla partecipazione; assicurare l’acquisizione di un patrimonio essenziale di conoscenze e competenze, fornendo gli strumenti necessari per l’analisi e la lettura autonoma della realtà e per un libero e originale inserimento nei processi di cambiamento costituiscono il fondamento per lo sviluppo sociale, civile e democratico e per il futuro del Paese. Proveremo dunque con questo contributo a declinare concretamente alcune sfide e prospettive che derivano dalle considerazioni fin qui esposte. 6 La scuola ci sta a cuore QUALE IDEA DI SCUOLA É PRESENTE NEL DOCUMENTO? E QUALE SCUOLA DESIDERIAMO? Analizzando il Documento si notano passaggi interessanti circa un’idea di scuola aperta, democratica, inclusiva, flessibile, competente, comunità di pensiero, ricerca...che però rischiano di essere contraddetti da successive scelte od omissioni. Da pag. 5 in avanti si auspica una scuola volano del Paese, protagonista dello sviluppo, luogo di curiosità, di sperimentazione, di acquisizione di competenze su cui bisogna investire per costruire futuro. Da tutto il documento, però, finisce per emergere il quadro di docenti non valorizzati (dove sono le risorse per riequilibrare la loro retribuzione a quella europea? Dove per adeguare il contratto? Si può premiare il cosiddetto merito – cfr. più avanti – solo per il 66% dei docenti, a costo zero, se non risparmiando?). Per trasformare in realtà le intenzioni espresse sono necessari con urgenza investimenti e sinergie professionali per combattere la dispersione e il disagio in tutte le sue forme, così come per la valorizzazione delle diversità e il sostegno all’alfabetizzazione e all’integrazione degli alunni/e migranti. Emergono con evidenza alcune esigenze: formare classi meno numerose delle attuali, rivedendo le disposizioni riguardanti il tetto massimo di alunni per classe, abbassandolo ulteriormente nei casi in cui siano inserite persone diversamente abili; garantire un effettivo diritto allo studio a tutti i soggetti: il diritto all’educazione, all’istruzione, alla formazione, a partire dalla gratuità della scuola statale, sia per l’accesso, sia per i libri di testo, sia per il trasporto, nella forma dell’obbligo scolastico e formativo dai 3 ai 18 anni; predisporre progetti di personalizzazione, offrendo a ciascuno una risposta alle proprie esigenze di crescita e a tutti la possibilità di superare le eventuali difficoltà incontrate. In questo senso, la non ammissione alla classe successiva dovrebbe essere possibile solo se, dopo aver adottato interventi personalizzati per superare le relative difficoltà di apprendimento, non si siano registrati risultati efficaci; valorizzare contitolarità, collegialità, corresponsabilità nella fase di progettazione e realizzazione delle attività didattiche, nella valutazione degli apprendimenti e nel recupero del gap maturato, rispettando tempi e ritmi di apprendimento, in base alle possibilità di ciascuno. Questo affinché nessuno resti indietro, e non ci si ritrovi invece costretti ad abbassare gli obiettivi (per bambini stranieri, in handicap, socialmente e culturalmente svantaggiati) e allargare il solco che separa i ‘Gianni’ delle nostre scuole dai ‘Pierini’ (per i primi, sosteneva don Milani, la scuola è tutta difficile, mentre per i secondi è tutta facile); garantire una scuola aperta tutto il giorno (pag. 8 et alia). Tale impegno richiede un investimento ingente per adeguare le strutture, non solo in termini di sicurezza, ma anche di vivibilità (mense, spazi per i docenti e il loro lavoro pomeridiano, spazi per la conservazione del materiale di alunni e docenti, luoghi per lo studio, biblioteche, luoghi per le attività organizzate in sinergia con il territorio, palestre, aule musicali e teatrali...); nonché la piena utilizzazione del personale ausiliario, in grado di assicurare accoglienza, supporto, La scuola ci sta a cuore 7 sicurezza, controllo, adeguatezza e pulizia degli spazi. Tale intenzione mal si concilierebbe con la Legge di stabilità, che prevede di poter ottenere risparmi dalla riduzione del personale ATA. Solo in questo modo, tuttavia, l’apertura pomeridiana, in particolare nelle scuole superiori potrebbe anche essere gestita in modo consapevole dallo spirito di iniziativa degli studenti e delle studentesse, in concorso con tutte le agenzie del territorio, facendo diventare ciascuna scuola un luogo di produzione e fruizione culturale, di crescita, di socializzazione, di cittadinanza consapevole, fuori dai percorsi didattici in senso stretto, eppure in sinergia con essi. Basti pensare che in certi territori a rischio solo la scuola rimane come luogo di animazione culturale, perché spesso altre realtà gestite dai privati (comprese quelle istituzionali) sono del tutto assenti, in quanto qualsiasi investimento in quelle zone potrebbe rischiare di non avere alcun ritorno economico; facilitare la possibilità degli scambi e dei passaggi tra i diversi indirizzi e percorsi dell’istruzione e della formazione professionale, attraverso il sistema dei crediti e la certificazione delle competenze, in modo da favorire i processi di ri-orientamento degli studenti, utilizzando, nell’ambito dell’autonomia organizzativa e didattica, attività di accompagnamento e di supporto, e promuovendo intese tra le scuole, secondo quanto già sperimentato in questi anni con esiti positivi. Tale azione, lasciata alla responsabilità delle scuole, potrà essere utile per ridurre la dispersione scolastica e garantire il “successo formativo” auspicato dalla legge sull’autonomia. DIRITTO ALLO STUDIO Studiare è un diritto riconosciuto dalla nostra Costituzione fin dalle primissime righe. Pur se nella Carta costituzionale non si utilizza mai la formula “diritto allo studio”, gli articoli 3, 33 e 34 concorrono a realizzare questo concetto. Il “diritto allo studio” non è certamente un investimento a perdere, da parte dello Stato, al quale interessa che i ragazzi di oggi possano studiare liberamente, arrivare a «un pieno sviluppo» della persona, crescere in conoscenza. Per due motivi basilari. Primo, perché uno Stato democratico deve preoccuparsi di avere cittadini consapevoli, formati, liberi e responsabili. Secondo, perché gli studenti di oggi saranno i lavoratori di domani: e altrettanto ovviamente, lo Stato ha interesse a educare persone che sappiano sviluppare le proprie capacità per metterle a disposizione della società, per generare crescita economica, ma anche e soprattutto sviluppo umano e culturale. La scuola dunque è il luogo di espressione dei talenti, unici e straordinari, che ciascuna persona umana porta dentro di sè. Lo Stato tutela l’educazione di questi talenti attraverso la scuola, che è un diritto per tutti, senza alcuna distinzione. Purtroppo, oggi, il diritto allo studio non è garantito a tutti. Come nella famosa “Fattoria degli animali” di Orwell, potremmo dire che “alcuni studenti sono più eguali degli altri”. In che senso? Semplice: dal 1977, il “diritto allo studio” è una materia di competenza regionale. Dunque sono le Regioni a dover garantire a tutti gli studenti del loro territorio la possibilità di accedere all’istruzione e poi di «raggiungere i più alti gradi degli studi». Lo Stato, tuttavia, non definisce i servizi e i contributi minimi che ogni Regione è tenuta a offrire ai suoi studenti. Le Regioni decidono pertanto secondo specifiche leggi regionali. Finché lo Stato italiano non proporrà dei criteri minimi per garantire il diritto allo studio su tutto il ter- 8 La scuola ci sta a cuore ritorio nazionale, continueremo ad avere degli studenti “più eguali degli altri” in base alla Regione in cui vivono. D’altra parte, se a causa della crisi, le Regioni sono chiamate a contribuire con ulteriori tagli, questi potranno facilmente ricadere sui servizi e sull’assistenza alle fasce deboli. “La buona scuola” deve assolutamente prendersi un impegno sul diritto allo studio. Per questo ci vuole una “legge quadro nazionale”: nel rispetto delle autonomie territoriali, poi, ogni Regione potrà decidere liberamente se e come potenziare il diritto allo studio. Ma almeno i livelli minimi di partenza devono essere uguali per tutti. Altrimenti, non potremo parlare di vera “eguaglianza” tra gli studenti di tutta Italia. Il Forum delle associazioni studentesche ha da tempo formulato una proposta di “Legge quadro nazionale sul diritto allo studio”. Con essa, si richiede che siano stabilite delle “prestazioni essenziali” che ogni Regione sia tenuta a fornire agli studenti a seconda del reddito delle loro famiglie. In particolare, si propone di individuare due tipi di servizi: - servizi sussidiari (borse di studio e sovvenzioni; contributi economici per le tasse scolastiche; contributi economici per gli studenti eccellenti, anche in forma di finanziamenti per esperienze extra scolastiche di potenziamento; servizi di ristorazione e contributi per il vitto; servizi di trasporto e forme di agevolazione della mobilità; fornitura gratuita o semi-gratuita dei libri di testo e degli strumenti didattici indispensabili); - servizi alla persona (sussidi e servizi individualizzati per studenti diversamente abili e per studenti migranti; supporti per alunni ricoverati in ospedali e in case di cura e riabilitazione; servizi telematici per studenti che, a motivo di condizioni particolari di salute o di vita , sono impossibilitati a raggiungere l’istituto scolastico; supporti economici, organizzativi o di altro genere per realizzare progetti attivati dalle istituzioni scolastiche, dalle autonomie locali o dai soggetti senza scopo di lucro). LA QUALITÀ DELLA SCUOLA: ORIZZONTE A CUI TENDERE A fronte di una consapevolezza accresciuta e diffusa del ruolo decisivo che l’istruzione svolge per la crescita delle persone e per lo sviluppo civile, democratico ed economico, non sempre ci si è impegnati per creare le condizioni necessarie per una scuola di qualità per tutti, cercando una possibile mediazione tra la cura delle eccellenze e il recupero dei ragazzi in difficoltà. In questi anni, sono stati certamente conseguiti alcuni importanti risultati: in particolare quello di alfabetizzazione, attraverso lo sviluppo della scolarizzazione, che ha avuto ulteriori progressi ancora in anni recenti, tanto che la percentuale dei diplomati, tra 25 e 34 anni, è oggi pari al 64%, mentre per la fascia di età tra 55 e 64 anni essa è pari solo al 28%. Tuttavia, il 21% dei giovani fra 18 e 24 anni esce dal sistema di istruzione senza un diploma o una qualifica professionale; il 41% degli studenti viene promosso con debiti formativi e solo uno su quattro riesce a colmarli. Ma la questione che pone maggiori problemi è quella che deriva dall’analisi dei risultati delle indagini internazionali: esse convergono nell’evidenziare che, nei diversi gradi di istruzione, i livelli di apprendimento risultano inferiori a quelli di altri paesi industrializzati, almeno in alcune aree del Paese. Se, da una parte, si possono registrare significativi successi nella quantità di istruzione, il ritardo storico non è ancora stato colmato, soprattutto per quanto riguarda la qualità degli ap- La scuola ci sta a cuore 9 prendimenti: sono ancora troppo numerosi i ragazzi italiani che risultano “poveri di competenze”; il sistema presenta forti divari fra Nord, Centro e Sud ed è poco equo, dato che l’alta segmentazione riflette quella di tipo sociale. Mettere, dunque, la qualità del sistema formativo al centro dell’azione pubblica, valorizzandone i punti di forza e superando i ritardi, «può essere un canale decisivo per la ripresa della crescita della produttività e della mobilità sociale del Paese» (Quaderno bianco sulla scuola – MIUR 2007). Per la realizzazione degli obiettivi, occorre migliorare l’efficacia dell’azione educativa e didattica, attraverso l’efficienza degli strumenti, l’adozione di metodologie attive, l’uso sapiente delle nuove tecnologie, in modo da garantire la serietà degli studi e la credibilità dei percorsi scolastici. LOTTA ALLA DISPERSIONE: RESPONSABILITÀ E COMPITO Vi è ancora una questione aperta, e decisiva, per il nostro sistema formativo: quella dei ragazzi che si perdono lungo la strada. Nonostante i progressi realizzati, ancora oggi, purtroppo, possiamo sottoscrivere quello che don Milani e i ragazzi di Barbiana stigmatizzavano con amarezza: «La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde», e spesso ci si rassegna a prendere atto che paradossalmente «la scuola diventa un ospedale che cura i sani e respinge i malati» (cfr. Lettera a una professoressa). In base a recenti statistiche del MIUR, la scuola perde lungo un ciclo superiore il 18 per cento degli iscritti: quasi uno su cinque, una percentuale drammatica, che porta l’Italia a posizionarsi al quartultimo posto nella graduatoria dei Paesi UE. I risultati dell’indagine OCSE-PISA 2013 hanno evidenziato, ancora una volta, le disuguaglianze e i ritardi della scuola italiana nel garantire agli alunni le competenze necessarie. Il deficit culturale è un grave campanello d’allarme che dovrebbe richiamare tutti a un maggiore senso di responsabilità. Appare evidente che il “rischio abbandono” colpisce le aree del Paese in cui sono maggiormente presenti situazioni di disagio economico-sociale, di svantaggio culturale e linguistico, spesso derivanti dalla presenza di persone di recente immigrazione. Il fatto, poi, che la stessa indagine metta in luce il permanere di una scarsa mobilità sociale testimonia che lo Stato non è riuscito, attraverso il suo sistema di istruzione e formazione, a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale e di garantire l’uguaglianza dei cittadini. Alla luce di ciò, si fa presto a pervenire all’amara constatazione che «il nostro è un sistema iniquo» (B. Vertecchi, La scuola iniqua, 2013). Bisogna rendersi conto che la scuola non diventa di qualità se boccia di più, ma se crea ambienti significativi; se migliora i processi di insegnamento/apprendimento; se eleva il livello delle competenze; se sa utilizzare strategie didattiche più aggiornate e motivare gli alunni, dando senso allo studio di contenuti che devono far parte del bagaglio essenziale di ciascuno; se sa farsi promotrice di reti virtuose sul territorio, incentivando la partecipazione dei soggetti sociali; se, infine, è in grado di fornire strumenti adeguati per la comprensione della società e del mondo che cambia. SCUOLA DELL’INFANZIA: QUASI UNA CENERENTOLA Siamo lontanissimi dagli obiettivi di Lisbona 2020 e Barcellona sui quali il nostro governo si era impegnato. Ritenuta decisiva dalle ricerche socioeconomiche per predire il futuro successo scolastico (versus dispersione) e le relative opportunità di lavoro, e valutata fondamentale nelle 10 La scuola ci sta a cuore ricerche psicopedagogiche per compensare il gap determinato dall’ambiente socioculturale di partenza, la frequenza della scuola dell’infanzia rappresenta un elemento qualificante, decisivo, predittivo del percorso scolastico di un individuo. Per questo deve essere pubblica, obbligatoria, gratuita, inserita a pieno titolo nel sistema formativo nazionale. In tale direzione si muovono le “Indicazioni nazionali per le scuole dell’infanzia e del primo ciclo”, in cui la scuola dell’infanzia viene compresa, in modo quasi vincolante per un sano e coerente sviluppo, nel percorso curricolare. Prevenire lo svantaggio socio-culturale è un dovere per tutta la comunità ed è anche un modo per garantire un efficace sostegno all’impegno educativo di tutte le famiglie, specie di quelle svantaggiate e che non possono disporre di risorse adeguate. Tale soluzione si impone, per giustizia, in un momento in cui il peso delle nuove povertà incide più che nel passato. SCUOLA SECONDARIA DI 1° GRADO: ASSENTE INGIUSTIFICATA Reputiamo grave l’assenza di ogni riferimento alla scuola secondaria di I grado, segmento decisivo e problematico del nostro sistema scolastico, perché ponte tra la scuola primaria e la secondaria di II grado e per la delicatezza della stagione di vita degli alunni - adolescenti. È necessaria una riflessione psicosociologica sulla età della preadolescenza e dello sviluppo cognitivo dei nativi digitali, notevolmente cambiato rispetto al passato e con ampliamento delle possibilità multitasking, ma anche con una riduzione della concentrazione e con un ritardo della maturazione del pensiero astratto e logico formale; contemporanea precocizzazione dello sviluppo psicosessuale, dei bisogni e desideri socialmente indotti e della ricaduta dei cambiamenti sopraggiunti a livello del contesto scolastico (questa riflessione coinvolge scuola media, sceltaorientamento, biennio superiori, rapporto scuola-famiglia-territorio). Il tema, affrontato con serietà, porterebbe a scelte coraggiose e innovative relative ai curricoli, ai tempi, alle discipline, alla didattica, all’organizzazione scolastica. Di fronte a questi mutati contesti, sarebbe importante favorire l’azione collegiale dei docenti, in senso orizzontale e verticale: ad esempio migliorando la capacità progettuale in team; o ancora, utilizzando la compresenza che permette anche di attivare una didattica laboratoriale, individualizzata e almeno pluridisciplinare, se non interdisciplinare, con l’effetto di abituare gli allievi a una visione del sapere più unitaria e complessa in luogo di una strutturazione delle conoscenze “a compartimenti stagni”. Uscendo dalla primaria si passa alla specificità delle discipline, ma si deve saper condurre gradualmente l’alunno a padroneggiare la realtà nella sua unitarietà. Per questo le arti, le letterature, le scienze dovrebbero essere valorizzate come strumenti di conoscenza interdisciplinare di sé, dell’altro, della natura, del mondo e, nello stesso tempo, di promozione dell’impegno sociale e civile (diritti, doveri, legalità, giustizia, volontariato...). Questo segmento del sistema scolastico, insomma, necessita di un serio intervento sul riordino dei cicli scolastici. Si potrebbe per esempio immaginare di collegare un anno alla scuola primaria e un anno alla secondaria superiore? O, forse, si potrebbe ritornare alla proposta Berlinguer, che prevedeva sette anni di sviluppo coerente e unitario attraverso l’elaborazione di un curricolo “verticale”. La scuola ci sta a cuore 11 BIENNIO UNITARIO (O QUASI...) Sarebbe auspicabile introdurre il biennio unitario o parzialmente unificato. Ritardare la scelta dell’istruzione superiore a un tempo di maggiore maturità e consapevolezza potrebbe consentire, in una parte flessibile di orario, di pre-orientarsi; potrebbe inoltre garantire una più solida formazione di base unitaria da cittadini e futuri lavoratori, aiutando a riavvicinare i due binari paralleli e lontani dell’istruzione secondaria superiore che radicalizzano differenze sociali e impediscono la formazione di tecnici di tipo superiore. L’istruzione professionale, a volte anche quella tecnica, rischia di rimanere, infatti, purtroppo nell’alveo della scelta di scarto di chi ha meno ‘talenti’, di chi è meno abbiente o con meno aspettative di crescita-mobilità sociale. Riguardo alla secondaria superiore, ancora, occorre riflettere su una strutturazione che risponda insieme all’esigenza di fornire saperi comuni fondamentali e al bisogno di differire la scelta dell’indirizzo di studi. Pochi studenti adolescenti hanno chiaro cosa diventare “da grandi” e oggi più che mai sarebbe vantaggioso scegliere all’inizio del triennio. Sarebbe pertanto auspicabile, nell’arco del biennio, potenziare i percorsi di orientamento, attraverso attività che permettano allo studente di appropriarsi di modelli di pensiero e di ricerca caratteristici di ciascuna macroarea costituente il triennio (umanistica, scientifica, tecnico-professionale, artistica, musicale, con la relativa articolazione in indirizzi specifici), in modo da poter poi scegliere con piena consapevolezza sulla base delle proprie attitudini e capacità. Già nel passato sono stati proposti bienni comuni tesi a fornire una solida preparazione di base. Non si tratta dunque di inventare da zero. Esistono ricerche che possono essere recuperate e confrontate per costruire una proposta adeguata ai nostri tempi, prevedendo magari anche una durata diversa dei cicli (ad esempio, primaria e secondaria inferiore) e l’estensione dell’obbligo fino a 18 anni. Il nodo fondamentale diventa quello di elaborare un curricolo per competenze integrato, che crei continuità tra i cicli scolastici in modo tale che in ciascun ciclo si lavori al conseguimento delle competenze necessarie per il ciclo successivo. Anche qui esistono ricerche e sperimentazioni (come quelle del progetto VIVES 2) che forniscono esempi e indicazioni operative. La definizione di un curricolo di competenze in continuità tra i cicli è essenziale per garantire progressività della formazione ed eguaglianza nell’accesso alle opportunità formative. LA “QUESTIONE” DOCENTI Per fare una “buona scuola” ci vogliono “buoni insegnanti”. L’insegnante oggi è chiamato ad assumersi, individualmente ma anche attraverso la comunità professionale, le responsabilità di rispondere ai nuovi bisogni formativi e alle molte sfide che interpellano la scuola. Non basta solo la conoscenza, anche aggiornata, delle discipline; occorrono competenze comunicative e didattiche, capacità di adattare i processi d’insegnamento/apprendimento ai nuovi bisogni formativi degli studenti, saper progettare e valutare per competenze, saper costruire un “curricolo”, gestire le dinamiche della classe, avere un atteggiamento positivo verso il lavoro collegiale, stabilire relazioni significative con i diversi soggetti che compongono la comunità scolastica. In tale contesto si inquadra il tema della valorizzazione della professione docente. Non si può pensare al rinnovamento delle strategie didattiche e alla riqualificazione dei processi d’insegnamento/apprendimento se non si investe sulla scuola e sugli insegnanti: una categoria che è 12 La scuola ci sta a cuore andata sempre più perdendo il riconoscimento sociale, spesso costretta ad affrontare in solitudine problemi molto più vasti e complessi, legati alla frammentazione, alla sfida interculturale, alla caduta del patto tra istituzioni educative e, soprattutto, non sostenuta dalle famiglie, anch’esse attraversate da una situazione di crisi permanente che le rende fragili e meritevoli esse stesse di attenzione e di aiuto. Motivare dunque i docenti è la prima e inderogabile esigenza, ridefinendone il profilo e lo status. In “La buona scuola” risulta centrale il problema annoso della professionalità, della carriera e del merito: cuore della proposta di scuola del governo. Dalla lettura del Documento emergono come elementi di novità che: degli insegnanti, solo il 66% avranno la progressione di stipendio (scatti di merito) per il giudizio di un “Nucleo interno di valutazione”; tutti i docenti si troveranno catalogati attraverso un portfolio personale, accessibile in rete da tutti, sulla base di tre tipi di crediti (didattici, formativi e professionali); i docenti mediamente bravi, per avere più possibilità di maturare lo scatto, potrebbero volersi trasferirsi in scuole dove la media dei crediti maturati dai docenti è più bassa; gli insegnanti perderanno la titolarità nella propria scuola, riacquisendola in modo più flessibile in una rete di scuole e non solo con mansioni didattiche, ma in alcuni casi anche con mansioni di organizzazione del lavoro; verrà introdotta la figura del “docente mentor”; il dirigente potrà chiamare dal “catalogo” on line i docenti per formare la squadra vincente con cui giocare la partita. Nel documento è però imprecisato chi valuterà cosa e come: si dice solo che ci sarà un esterno, un docente mentor e probabilmente il dirigente. Sembra ovvio premiare i migliori e meritevoli, ma introdurre una differenza di redditi e prestigio, una gerarchia di ruoli in un corpo collettivo, senza che quelle gerarchie siano condivise, sentite come legittime, implica dei rischi e può distruggere lo spazio della cooperazione. Ciò può anzi accentuare competizione e individualismo che non portano benefici al sistema. Un conto è retribuire di più chi lavora di più, un altro stabilire chi è un buon insegnante e chi non lo è. La valorizzazione professionale di un docente, con un aumento di retribuzione, dovrebbe essere un’integrazione e non una sostituzione dei benefici legati all’anzianità. Perché contrapporre anzianità e merito? Una proposta di rinnovamento della scuola e dei docenti in termini di meritocrazia dovrebbe pensare ad una previsione del 100% legata alla bravura di tutti gli insegnanti. E’ chiaro che anche qui si pensa a una sorta di “numero chiuso” che inevitabilmente genererà individualismo e spirito di concorrenza in luogo dell’auspicabile inclinazione (oggi ancora poco presente nella scuola secondaria) alla cooperazione e alla collaborazione. Si annida in questa impostazione individualistica della professione docente, ancorata alla ricerca di una premialità a scapito degli altri, un pericolo devastante soprattutto in quelle scuole dove da anni si sperimentano e si attuano metodologie solidali, come per esempio quelle riconducibili al “cooperative learning” o alla “peer education”. Il modello proposto finirebbe per avere una ricaduta negativa, sotto il profilo educativo, anche negli studenti, alimentando ulteriori forme di arrivismo, competizione, ricerca individualistica del successo. La scuola ci sta a cuore 13 Non può esserci nessuna azione educativa e didattica efficace e significativa senza un lavoro collegiale. Nella scuola non esiste l’esploratore solitario, il docente chiuso in un’autoreferenzialità destinata ad essere improduttiva. Che dire poi del docente “mentor”? O meglio di quel gruppo di docenti “mentor” pari al massimo al 10% dei docenti della scuola che godranno di un contributo aggiuntivo e continueranno a maturare crediti consolidando così probabilmente la loro posizione? E come invogliare i docenti a scegliere le scuole collocate in contesti urbani degradati, ritenute “ad alto rischio”, dove il tasso di abbandoni è molto elevato, dove le strutture sono fatiscenti? In che modo è possibile misurare e valutare l’impegno e l’efficacia, quando, per vari motivi legati al contesto socio-culturale, i risultati appaiono carenti? Spesso, in queste scuole, si trovano docenti non per scelta, ma per destino. Al contrario, in queste situazioni di frontiera sarebbe necessario poter destinare insegnanti più competenti e adeguatamente preparati a gestire situazioni complesse, capaci di mettersi sulla strada per recuperare allo studio coloro che, diversamente, potrebbero diventare manovalanza della mala vita organizzata. Per questi docenti, occorrerebbe pensare a forme di incentivazione e a sistemi premiali. Inoltre, sarebbe del tutto paradossale premiare i docenti e assegnare più fondi a quelle scuole che, per condizione sociale e contesto ambientale, possono esibire più alti standard di qualità, anziché assicurarli a quelle con risultati più bassi, a causa di condizioni socio-culturali più difficili e povere, al fine di migliorarne l’offerta formativa e incoraggiare quei docenti che in queste scuole di frontiera scommettono il loro impegno professionale ed umano (scuole in ospedale, in carcere, in zone ad alto rischio di abbandoni o di criminalità). Ancora una volta, ritorna alla mente il paradosso di don Milani: una scuola come un ospedale che cura i sani e manda i malati al loro destino. Questo tipo di società della competizione e dello scarto è in contrasto con i principi di uguaglianza, di giustizia, di solidarietà, del diritto alla formazione, che la nostra Costituzione pone a fondamento della democrazia. LA VALUTAZIONE INTERNA ED ESTERNA Accanto alla valutazione dei docenti, in relazione all’autonomia, si parla di valutazione e autovalutazione degli Istituti. Negli anni precedenti sono state realizzate diverse modalità interne ed esterne; il documento propone il Sistema Nazionale di Valutazione (SNV), già previsto nel 2013. Forse occorre ragionare su strumenti specifici legati alla realtà scolastica che deve attuare la valutazione della propria attività formativa, dell’organizzazione che si è data ai sensi dell’autonomia e del funzionamento che ha progettato. Sia per i docenti che per le scuole occorre pensare a una molteplicità di parametri e di fonti valutative da utilizzare nella valutazione per evitare errori o deformazioni di giudizio e, in relazione alle persone, ingiustizie e discriminazioni o parzialità. Tali parametri devono riferirsi anche alle caratteristiche specifiche del territorio di appartenenza della scuola, dell’utenza e delle condizioni di partenza con il relativo eventuale “gap” tra competenze degli studenti e requisiti necessari al successivo anno di corso o ciclo di studi. E’ difficile pensare che Indire e Invalsi, di fatto dipendenti dal Ministero e sottodimensionati qualitativamente e quantitativamente, possano svolgere questa funzione. È necessario porre 14 La scuola ci sta a cuore con determinazione la questione dell’inadeguatezza dei test Invalsi, così come sono attualmente strutturati, a valutare il processo di apprendimento degli studenti, processo molto complesso soggetto a molteplici ed eterogenee variabili. Ogni istituzione scolastica, con lo scopo di meglio rispondere ai bisogni specifici dei propri allievi e allieve, avvia un percorso periodico di autovalutazione che rappresenta un processo dinamico di riflessione sul proprio operato, sulla propria capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati e formalizzati nel piano dell’offerta formativa. Un percorso che richiede formazione e competenze. Per questo le istituzioni scolastiche, partendo dall’ascolto degli allievi/e dei genitori, potrebbero avvalersi dell’apporto di professionisti, i quali con un «occhio esterno», non giudicante ma professionalmente competente, aiuterebbero il mondo della scuola a guardare se stesso per migliorarsi. ATTENZIONE ALLA DIDATTICA Se – come il Documento “La buona scuola” sostiene - l’obiettivo non è solo il prodotto, una conoscenza già confezionata da trasmettere, ma il processo del conoscere, l’apertura alle domande e ai dubbi, ai desideri di giovani e adulti (anche degli adulti, perché una scuola di insegnanti depressi e demotivati, a sua volta, non può che deprimere e demotivare), allora urgono scelte di qualità dal punto di vista metodologico: le attività laboratoriali, i momenti ludici e soprattutto il lavoro di gruppo. Quest’ultimo ci sembra particolarmente importante in una società sempre più avviata sulla strada dell’individualismo, in cui, quindi, il valore della collaborazione e del lavoro cooperativo va recuperato e rivalutato. La scuola, nel nostro tempo, può ambire a diventare un presidio di socialità. È necessario ritornare sui curricoli, ridare davvero spazi, tempi e personale ai laboratori, rendere possibile la flessibilità, le compresenze, la progettazione e valutazione per competenze e non per contenuti. Quello che veramente conta, infatti, è formare un “uomo polivalente”, una persona che ha “appreso ad apprendere”, che ha consapevolezza delle proprie possibilità e dei propri limiti, in grado di acquisire con efficacia nuove conoscenze, tecniche, competenze. Quel che conta è aiutare un allievo a costruire la sua impalcatura, i suoi quadri concettuali, il suo orizzonte di senso, la sua capacità critica, la sua autonomia di giudizio; un lessico, delle categorie interpretative flessibili e dei metodi attraverso i quali cercare, selezionare, apprendere, ricostruire in maniera produttiva e critica il proprio essere, il proprio sapere, il proprio saper fare, il proprio vivere con gli altri. Questo per la scuola primaria vuol dire: ritorno e ampliamento delle classi a tempo pieno e dei moduli a 30 ore, alle compresenze per didattica flessibile e reale personalizzazione processi di apprendimento, per il recupero, la costituzione dei gruppi di livello, delle classi aperte, dell’interclasse. Vuol dire ancora tornare a valorizzare il lavoro in team. Per la secondaria superiore: flessibilizzazione del gruppo classe (graduale passaggio da gruppo compatto ad esperienze per interessi, livelli, pre-orientamento), nuove opportunità di compresenza e moduli interdisciplinari, promozione al lavoro in team e con soggetti del territorio. Una scuola così «offre a ciascuno le opportunità sia per recuperare le proprie parti deboli che per nutrire le proprie parti forti, inclinazioni, talenti. Dedica spazi e tempi per fare scoprire a ognuno le proprie parti nascoste, non conosciute. Questo approccio necessita di un tempo-scuola La scuola ci sta a cuore 15 duale, con momenti per tutti e momenti secondo i diversi bisogni. Chiama al superamento della rigida corrispondenza tra aula e classe. Il che richiede, necessariamente, il fatto che le aule diventino dei laboratori tematici, delle botteghe cognitive, pensati per livelli di competenza, con obiettivi e crediti modulari soprattutto dopo la scuola primaria, e che siano i ragazzi a girare anziché i docenti, facendo così privilegiare il gruppo di lavoro su compito rispetto alla lezione frontale. Tutto questo muta i termini stessi del governo degli spazi, della didattica, delle docenze. Ciò implica di allargare il tempo per il confronto tra insegnanti, di pensare a un organico a ciò funzionale, di rivedere il contratto scuola» (Marco Rossi Doria, “Equità e differenza: è la scuola democratica”. L’Unità, 9/10/2010). RAPPORTO SCUOLA-LAVORO La scuola, nella missione delineata dal Legislatore, non è finalizzata al lavoro, per quanto questo nodo sia da riprendere dalle fondamenta. Nella parte dedicata al rapporto tra scuola e lavoro – in cui pure si parla di laboratori, curiosità, creatività giovanile... – non compare mai la qualità specifica dello spazio scolastico, la natura relazionale tipica della scuola. Quello spazio asimmetrico ma condiviso che è il tessuto anche emozionale in cui si costruiscono ricerca e sapere. Dove non si tratta solo di trasmettere conoscenze già confezionate, ma di partire da domande e desideri, dubbi e curiosità. Dove l’arte e la musica non sono risorse turistiche da imparare a vendere, ma strumenti per la conoscenza di sé e del mondo. Gratuiti. Per certi versi, inutili. La scelta dell’utilità e della spendibilità immediata è una via di corto respiro, mentre la scuola deve garantire l’acquisizione di schemi e categorie concettuali, griglie mentali, che consentano di utilizzare e applicare conoscenze e competenze anche in contesti diversificati per la soluzione di problemi complessi, inediti, ma che possono essere oggetto di intelligente esplorazione. Nel testo non c’è l’attenzione necessaria al riavvicinamento tra i percorsi dell’istruzione tecnica e professionale e quella liceale, punto di snodo per equità sociale e sviluppo armonico del paese. Paradossalmente, lo scenario che viene prefigurato è quello del lavoro fisso, stabile, in cui le competenze non devono essere continuamente aggiornate. Per questo, è superata la concezione che lavorare nel tempo scuola renda in futuro buoni lavoratori. Cambiano continuamente codici e linguaggi, come cambiano i posti di lavoro che non saranno più garantiti per l’intera vita. Questo scenario dà senso e razionalità (razionalità proprio economica) a una scuola e a una conoscenza che non cerca di inseguire le trasformazioni immediate del lavoro, che non si concentra sui “software”, in mutazione continua, ma lavora sull’“hardware”, o sui sistemi operativi. Il sapere che un tempo si diceva “disinteressato” forse è diventato il più interessante, più “utile” nella società liquida. Un sapere precocemente professionalizzante rischia di non preparare a quelle mutazioni, di non insegnare a stare dentro – ma anche fuori e sopra – questo mondo di alfabeti sempre più complessi. In ogni caso, in quelle esperienze (che a questo punto assumono valore di laboratorio sperimentale e non di pre-inserimento) è necessario regolamentare dettagliatamente la conduzione dei percorsi da parte della scuola, le finalità formative (e non professionalizzanti), i tempi alternati (in cui prevalga il tempo scuola), la ricaduta sulla formazione integrale e futura, i diritti dello studente nello spazio-tempo del tirocinio-apprendistato. 16 La scuola ci sta a cuore L’ESPERIENZA DELL’ALTERNANZA L’alternanza scuola/lavoro rappresenta una parte fondamentale della proposta di riforma. Essa deve essere accompagnata dall’adozione di uno “Statuto delle studentesse e degli studenti in stage”, con lo scopo di integrare il già esistente “Statuto delle studentesse e degli studenti”, per stabilire garanzie, diritti e doveri dei ragazzi in azienda. Il percorso di formazione dell’alternanza scuola/lavoro, infatti, necessita di un “patto a tre” tra scuola, impresa e studente/famiglia. È importante che ciascuna componente si assuma con impegno la propria parte di responsabilità, affinché l’esperienza lavorativa risulti armonica ed efficace nella maturazione di competenze da parte dei ragazzi. Per lo stesso motivo, è importante prevedere durante le ore di alternanza scuola/lavoro anche un percorso di formazione degli studenti sui temi della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro, attraverso corsi che le aziende potrebbero realizzare insieme agli insegnanti delle scuole interessate. Sul fronte dell’orientamento, per mappare le esigenze e le opportunità di lavoro, si possono utilizzare le competenze presenti nel territorio, se vengono dotate di specifici finanziamenti. Dobbiamo poi rilevare che l’alternanza deve essere garantita a tutti gli studenti in modo uguale. Se l’alternanza fosse organizzata a livello di singoli territori, vi sarebbero (come accade già ora) aree con più possibilità dove i ragazzi troveranno diverse aziende disponibili ad accoglierli nel loro percorso, e aree invece svantaggiate, dove non vi sono aziende, oppure queste non sono disponibili ad accogliere studenti. Per questo pensiamo sia necessario un filtro territoriale da parte del MIUR (USR, UST) per organizzare l’alternanza scuola/lavoro sui territori. Si suggerisce, inoltre, che sia prevista la possibilità per gli studenti di trasferirsi per l’alternanza in zone diverse dalla propria, senza oneri aggiuntivi per la famiglia. Pensiamo poi che sia positiva la possibilità di sfruttare il programma Erasmus+ per far sì che i ragazzi possano avere esperienze di alternanza scuola anche all’estero, ma riteniamo che occorra prioritariamente far sì che vi possano accedere gli studenti meritevoli, anche se privi di mezzi. Nello specifico del progetto di impresa didattica, poi, bisogna censire le esperienze attualmente in essere per favorire lo scambio tra insegnanti ed estenderle anche in diverse scuole: si potrebbe anche pensare a una vetrina nazionale per i progetti migliori. Per fare questo, serve anche un’attenta formazione dei docenti tecnici e del personale dei laboratori. Proprio riguardo ai laboratori, infine, è evidente che essi debbano essere potenziati e adeguatamente attrezzati, facendo sì che siano usati dagli studenti e dalle scuole “in rete” anche al pomeriggio per implementare le conoscenze già sviluppate con gli insegnanti al mattino. Un’ultima attenzione riguarda i luoghi di aggregazione con finalità sociali, quali possono essere gli oratori e i centri giovanili in genere. Sarebbe importante guardare a tali spazi non solo per il loro valore ludico e ricreativo, ma anche come ambiti in cui promuovere esperienze di formazione in dialogo con la scuola: si potrebbe così valorizzare un’educazione alla laboriosità in dialogo con il territorio, capace di formare alla dimensione sociale del lavoro stesso. EDILIZIA SCOLASTICA Parlando di strutture come i laboratori, e della loro potenzialità effettiva, si pone naturalmente anche il problema dell’edilizia scolastica. Occorre affrontarlo creando strutture adatte all’accoglienza degli studenti, al loro benessere e all’apprendimento, “sanando” in tutti i sensi le La scuola ci sta a cuore 17 strutture esistenti, sfruttando anche le strutture statali e degli enti locali attualmente non utilizzate o sottoutilizzate presenti in ogni territorio. Ciò comporta un forte investimento economico e una semplificazione delle procedure burocratiche relative, ma è assolutamente irrinunciabile – se si vuole realizzare una “buona scuola” – che essa sia prima di tutto sicura e risulti quale ambiente ottimale di crescita. La necessità di avere spazi idonei allo svolgimento dell’attività formativa è un atto dovuto. Esistono ancora strutture precarie e fatiscenti, non in regola con le norme di sicurezza. Spesso le scuole sono ospitate in locali non destinati ad hoc (ex conventi, caserme, appartamenti…). Non basta la semplice azione di restauro, ma occorre un piano di interventi progressivi, in modo che in tempi certi tutte le scuole possano essere messe a norma e vengano costruiti nuovi edifici rispondenti alle esigenze di una scuola moderna. EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA La scuola italiana fatica moltissimo nell’educazione alla cittadinanza attiva. La restrizione di una materia fondamentale come la Geografia ha tolto la possibilità di fornire agli studenti le competenze minime per orientarsi in un mondo complesso come quello contemporaneo. La formalizzazione di un’ora settimanale di “Cittadinanza e costituzione”, ma priva di un monte ore autonomo, ha poi comportato che molti dei nostri ragazzi escano dal percorso scolastico senza assolutamente le minime conoscenze del sistema statale e continentale di cui si trovano a essere protagonisti con il voto. Una simile assenza di consapevolezza nell’esercizio della vita civile e sociale provoca dei rischi per la vita democratica del Paese. Per questo la scuola deve tornare a farsi carico di trasmettere le basilari competenze di cittadinanza attiva. Per cominciare, noi proponiamo l’istituzione di un’ora settimanale di educazione civica per tutte le scuole e tutte le classi dell’istruzione superiore secondaria: in quest’ora, con i programmi differenziati di anno in anno, dovrebbero rientrare le conoscenze essenziali a partecipare in modo attivo nel contesto democratico nazionale ed europeo; potrebbero essere inoltre inclusi nell’educazione civica anche i lineamenti di economia, che giustamente sono proposti da “La buona scuola”. Tale ora di educazione civica andrebbe aggiunta al monte ore canonico, e potrebbe essere affidata ai laureati dell’area umanistica, per esempio di scienze politiche. All’ora di educazione civica, poi, bisogna però assolutamente affiancare esperienze di cittadinanza attiva sperimentata sul territorio: l’educazione civica, infatti, è un sapere che ha bisogno dei suoi contenuti formale, ma che prima di tutto identifica un “essere”. Percorsi analoghi, con modalità differenti, vanno strutturati pure per gli altri cicli del sistema scolastico. Si tratta di una riflessione cui teniamo molto, perché è troppo importante rispondere all’analfabetismo partecipativo di molti ragazzi. Lo vediamo sui territori anche riguardo a “La buona scuola”: le realtà più avanzate, le associazioni, le Consulte provinciali ne parlano, ma tanti ragazzi e pure insegnanti non ne sanno abbastanza. E questo, noi crediamo, non tanto o non solo per un generico disinteresse, quanto proprio perché la scuola, nella media delle esperienze, ha rinunciato a generare interesse per il bene comune. 18 La scuola ci sta a cuore PARTECIPAZIONE E ORGANI COLLEGIALI Una proposta formale e informale di educazione alla cittadinanza, tuttavia, non è sufficiente per la crescita del senso civico degli studenti, se non viene sostenuta dall’esperienza personale di costruzione del bene comune. Nel 1974, con i decreti delegati, venivano introdotti nelle scuole italiane gli Organi Collegiali (Oo.Cc.) per riconoscere il diritto degli studenti e delle famiglie di partecipare alla costruzione della vita della scuola. Durante gli anni sono state avanzate diverse proposte di modifica della composizione, dei compiti e delle funzioni dei vari organi. Anche nel rapporto del Governo si manifesta l’intento di ridisegnare la governance interna della scuola, ma l’accenno che viene presentato è insufficiente per riuscire a capire quali modifiche vogliono essere apportate. Gli OO.CC. vivono una crisi oggettiva. Consigli di classe deserti, assemblee d’istituto improduttive sono purtroppo una triste abitudine. Tuttavia, siamo ancora convinti della bontà di questi strumenti. Tanto più nella scuola dell’autonomia! Che altro è infatti l’autonomia scolastica, se non la decentralizzazione dei processi decisionali in un contesto di corresponsabilità e partecipazione attiva di tutti i soggetti della scuola? Nella scuola dell’autonomia tutte le parti – studenti, docenti, famiglie, personale – devono avere spazi in cui esprimere la propria opinione, e costruire insieme l’offerta formativa più adatta al singolo istituto. Gli organi collegiali, dunque, non vivono una crisi di senso, bensì di consapevolezza. Per questo ogni possibile modifica non può essere pensata solo secondo criteri di efficienza. Ripensare gli organi collegiali non significa mutare gli aspetti formali e procedurali della rappresentanza, ma trasformare questi spazi di confronto in luoghi di crescita personale e della comunità scolastica. In particolare riguardo l’aspetto formativo, vogliamo sottolineare che ogni possibile cambiamento della governance deve considerare l’importanza della formazione alla partecipazione responsabile e alla rappresentanza. Non si può pretendere un atteggiamento responsabile negli spazi di partecipazione se non verranno previsti percorsi di educazione agli organi collegiali. Se non verranno previsti obbligatoriamente dei percorsi di formazione alla rappresentanza si rischierà di continuare ad avere poca consapevolezza di diritti e doveri, rendendo vani tutti gli sforzi di ripensamento degli OO.CC. VERSO UNA PIENA AUTONOMIA SCOLASTICA La “buona scuola” può realizzarsi se viene liberata da un apparato centralistico-burocratico che tende a paralizzarla, apparato organizzato e diretto da persone lontane dalla vita reale delle istituzioni scolastiche, in quanto provengono dalla carriera amministrativa, tanto da apparire un corpo estraneo. Il processo di autonomia, più formale che sostanziale, è rimasto inceppato, quasi “sotto tutela”, perdendo quel vigore iniziale carico di attese andate deluse. Tutto viene determinato dal centro e la scuola è un semplice terminale. Lo sta a testimoniare tutto il coacervo di ordinanze, circolari, note, comunicazioni, che viene prodotto ai diversi livelli (nazionale, regionale, provinciale). È improcrastinabile portare a compimento, in maniera coerente, il processo di riorganizzazione del Ministero e di decentramento amministrativo a livello Regionale. Occorre vigilare affinché la ridefinizione degli assetti a livello territoriale non risponda a criteri di accentramento La scuola ci sta a cuore 19 burocratico-gestionale, ma dia origine a strutture leggere di coordinamento, di servizio per le istituzioni scolastiche autonome, in base al principio di sussidiarietà, riconoscendo la piena titolarità e soggettività alle singole istituzioni scolastiche, chiamate a erogare un servizio formativo di qualità e a rispondere direttamente dei risultati. Occorre, perciò, passare dalla semplice proclamazione di principio a una pratica effettiva della governance. L’autonomia è lo snodo fondamentale dei processi di cambiamento, in quanto, attraverso la possibilità di adattamento del modello organizzativo ai bisogni concreti delle persone, nel rispetto delle norme generali, essa trova la sua piena attuazione nell’elaborazione del Piano dell’Offerta Formativa, nella definizione di un “curricolo” funzionale alla “piena valorizzazione e realizzazione della persona umana”. Si tratta di dar vita ad una scuola che, rafforzata nella propria soggettività, sa aprirsi al territorio, alle altre scuole autonome e agli altri Enti e soggetti educativi che, a vario titolo, sono coinvolti e possono contribuire all’attuazione di un progetto di scuola condiviso e alla verifica dei risultati, attraverso strumenti di valutazione interna ed esterna. In questo senso l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo è destinata a favorire non solo l’innovazione metodologica e disciplinare, ma la riflessione sulle valenze formative delle nuove tecnologie e sulla loro integrazione nei processi formativi, attraverso anche gli scambi di informazione e di documentazione tra scuole in rete. «Possiamo dire che l’autonomia scolastica funziona se c’è una leadership diffusa e condivisa, se c’è una buona collaborazione tra gli insegnanti e un loro diretto coinvolgimento nella gestione dell’organizzazione dell’insegnamento-apprendimento. In tal caso l’autonomia scolastica diventa un ingrediente importante per il successo dell’Istruzione» (dalla relazione di Andreas Scleicher, Direttore generale dell’educazione all’OCSE, al seminario internazionale “Acchiappanuvole” di ADIINDIRE). Tutto questo presuppone un corpo docente stabile, che garantisca la permanenza nella stessa scuola per tempi sufficientemente lunghi, e non soggetto, dunque, a continue richieste di cambiamento di sede per trasferimento, assegnazione provvisoria, utilizzazione, esonero: elementi tutti che rendono precaria la progettazione educativa e didattica del POF, la valutazione dell’efficacia del processo di insegnamento/apprendimento, l’elaborazione e la verifica del curricolo di scuola. Inoltre, la scuola deve essere in grado di organizzarsi in tempo per assolvere al proprio compito. Questo concretamente significa che devono essere garantite alcune condizioni di “ordinaria” amministrazione, che rientrano già nelle normali competenze: 1) le nomine e le operazioni di mobilità di tutto il personale devono essere completate entro il 31 agosto di ogni anno, per consentire un naturale e corretto avvio del nuovo anno scolastico; 2) la permanenza nella stessa scuola del personale per almeno cinque anni o per l’intera durata del ciclo, al fine di garantire una comunità professionale stabile, che si assume la responsabilità della progettazione e della verifica finale degli apprendimenti; il turnover, infatti, rende difficile o vanifica qualsiasi progettazione curricolare, che richiede la permanenza dei docenti e una condivisione di compiti a lungo o medio termine; 3) emanazione di ordinanze e circolari permanenti entro il 31 agosto di ogni anno; 4) attribuzione di risorse certe entro il 31 agosto (escogitare un sistema che permetta alle scuole di predisporre bilanci e contabilità ad anno scolastico e non ad anno solare) 5) Organico funzionale stabile per le attività curricolari, per il sostegno, l’alfabetizzazione, l’integrazione, la lotta alla dispersione e al disagio. La scuola 20 ci sta a cuore in ... e v e br La scuola ci sta a cuore Riconoscere alle istituzioni scolastiche risorse adeguate rispetto ai compiti da svolgere. Tali risorse dovrebbero essere già a disposizione delle scuole al 31 agosto di ogni anno. Legge quadro nazionale sul diritto allo studio. Estensione del diritto allo studio fino a 18 anni (obbligo scolastico). Superare il legame merito-competizione, elemento estraneo alla cultura della scuola. Obbligatorietà della scuola dell’infanzia (o almeno dell’ultimo anno di scuola dell’infanzia). Diminuire il tetto massimo di alunni per classe, abbassando ulteriormente nei casi in cui siano inserite persone diversamente abili. Riordino dei cicli (3 infanzia - 7 primo ciclo - 5 secondo ciclo, con biennio unitario e triennio di indirizzo, recuperando un anno). Formazione e aggiornamento dei docenti obbligatori e di qualità. La scuola ci sta a cuore 21 Revisione migliorativa degli Organi collegiali (con specificazione delle competenze, superando il rischio dell’autoreferenzialità). Autovalutazione e valutazione esterna di tutte le scuole del sistema pubblico integrato, intesa come etica della responsabilità in ordine ai risultati di apprendimento per migliorare l’offerta formativa. Migliorare l’integrazione tra istruzione e formazione professionale, perché ogni alunno possa essere meglio accompagnato nella individuazione del percorso formativo coerente con le personali attitudini e potenzialità. Prevedere un Sistema Nazionale di Valutazione indipendente dal MIUR per la valutazione degli apprendimenti, dei Processi e dei risultati. Raccogliere la sfida dell’interculturalità. La presenza di soggetti portatori di culture diverse deve essere vissuta come risorsa, potenziando il confronto, mettendo in atto percorsi di accoglienza e di condivisione, anche mediante l’utilizzazione dei mediatori culturali. Impegnare la scuola su temi fondamentali, con un monte/ore obbligatorio: la conoscenza della Costituzione; l’educazione alla cittadinanza attiva; la tutela del territorio; l’educazione alla corporeità; la prevenzione del disagio; l’educazione alla pace e alla tutela dei diritti umani. 22 La scuola ci sta a cuore