UIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRETO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE I SCIEZE STORICHE E FORME DELLA MEMORIA Corso di Storia delle Istituzioni Politiche titolare prof.ssa Anna Gianna Manca Le costituzioni del ovecento di Giovannini Alessandro matr. 143706 AO ACCADEMICO 2010/2011 1. ITRODUZIOE Il presente lavoro si basa sullo studio delle costituzioni europee del Novecento ed è diviso in tre parti. Nella prima sarà fatta luce sulle caratteristiche generali delle costituzioni del XX secolo, con riferimento al saggio di Silvio Gambino e Maria Rizzo dal titolo Le costituzioni del ovecento, inserito nel volume Il ovecento a scuola a cura di Armando Vitale. La seconda parte prenderà in esame le modalità di nascita di una costituzione; in particolare ci si concentrerà sul Grundgesetz, la costituzione tedesca nata dopo il secondo conflitto mondiale. In questo caso si farà riferimento al saggio di Gustavo Gozzi L’esperienza costituzionale tedesca dalla Costituzione di Weimar alla Legge fondamentale di Bonn, inserito nel volume La Costituzione italiana a cura di Maurizio Fioravanti e Sandro Guerrieri. La terza e ultima parte sarà invece dedicata ai metodi di attuazione di una costituzione appena entrata in vigore. Ci si richiamerà questa volta alla Costituzione Italiana del secondo dopoguerra e in particolare al libro di Livio Paladin Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana. Alla fine del saggio avremo così un quadro generale che non tratterà solamente le caratteristiche salienti delle costituzioni del XX secolo da un punto di vista teorico, ma che comprenderà anche esempi concreti di nascita e di applicazione di due particolari carte costituzionali. 1 2. LE COSTITUZIOI DEL XX SECOLO La vera forza delle costituzioni novecentesche consistette nel completamento e nel superamento del costituzionalismo dello Stato liberale che, sorto per garantire potere politico alla borghesia, divenne alla fine un elemento di equilibrio tra parti sociali in conflitto1. Con il costituzionalismo novecentesco infatti si ebbe una maggiore attenzione per quanto riguardava i diritti, le libertà e l’uguaglianza degli individui. Nelle costituzioni ottocentesche invece tutti questi fattori rappresentavano solo una facciata dietro cui si celava il dominio della borghesia. Nello Stato liberale vi era una discrepanza fra la sua struttura teorica, composta da persone uguali e libere dinnanzi alla legge, e la sua struttura reale, che invece garantiva il potere politico alla sola borghesia. Lo Stato liberale era in realtà uno Stato monoclasse, in cui i protagonisti della rivoluzione economica, ovvero i nuovi ceti industriali e possidenti, rivendicavano non solo libertà in campo economico, ma anche partecipazione politica. La borghesia iniziò infatti a mettere le mani, oltre che sulla sfera economica, anche sulla sfera statale. Tutto ciò fu facilitato dal comportamento dello Stato che da un lato rimase estraneo agli accordi economici tra privati e dall’altro protesse libertà e proprietà dei ceti borghesi2. Il parlamento rappresentava l’organo centrale nello Stato liberale. Questa istituzione avrebbe dovuto rispecchiare il popolo ma si rivelò un’entità ben poco rappresentativa in quanto la sua composizione fu prevalentemente borghese. I vari parlamenti furono infatti formati sulla base di vincoli come il censo o l’istruzione. Il suffragio ristretto consentiva alla borghesia di dominare la rappresentanza parlamentare. Se a livello teorico quindi lo Stato liberale si identificava come uno Stato formato da uomini uguali, nella realtà si configurava invece come uno Stato composto da uomini diseguali, lontano da una società sempre più proletaria e aperta alla democrazia e al socialismo3. Una vera e propria svolta si ebbe fra ‘800 e ‘900, quando prese forma una democrazia di massa che si poggiava sui partiti, ossia su quelle associazioni di persone 1 Silvio Gambino, Maria Rizzo, Le costituzioni del ovecento, in Il ovecento a scuola, a cura di Armando Vitale, Roma, Donzelli, 2001, p. 165. 2 S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 159-161. 3 S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 163-164. 2 accumunate da una stessa finalità politica. La comparsa sulla scena politica dei partiti diede il via a quel rinnovamento che portò alla dissoluzione della democrazia di stampo liberale4. Vediamo ora nel concreto come avvenne questo delicato passaggio da uno Stato liberale a uno Stato caratterizzato dalla presenza attiva dei partiti, prendendo come riferimento la Costituzione tedesca di Weimar del 1919. La Costituzione di Weimar è l’emblema della modernizzazione dello Stato liberale, il quale, dopo aver dato voce alla volontà della borghesia, si avviò a instaurare diritti di uguaglianza e libertà per tutte le persone, superando ostacoli come le discriminazioni dovute al censo o all’istruzione. La priorità da affidare alla sfera sociale andò comunque di pari passo alla volontà di conservazione del sistema economico capitalistico; si venne cioè a creare un compromesso fra borghesia e proletariato, fra diritto alla proprietà e finalità sociali. I diritti sociali promossi dalla Costituzione di Weimar infransero prima di tutto la tradizionale brevità delle costituzioni ottocentesche che infatti non risultavano quasi mai sufficientemente dettagliate. Da quel momento s’iniziò ad inserire nella carta costituzionale tutto ciò che riguardava uno Stato5. I costituenti tedeschi impegnati nella creazione della Carta Costituzionale di Weimar non si limitarono a mettere in primo piano l’allargamento della rappresentanza parlamentare. Vennero infatti create una serie di istituzioni destinate a neutralizzarsi l’una con l’altra nel caso di abusi o prevaricazioni. Accanto ad un parlamento che si faceva portavoce di tutto il paese (entrò in vigore il suffragio universale sia maschile che femminile relativo a tutti coloro che avevano compiuto vent’anni), si collocò per esempio la figura del Presidente del Reich, elemento di equilibrio fra potere legislativo e potere esecutivo. Il Presidente del Reich, eletto a sua volta dal popolo, aveva infatti il potere di sciogliere il parlamento e sospendere alcuni diritti fondamentali degli individui, proclamando lo stato di emergenza. Lo stato di emergenza poteva venir dichiarato qualora l’ordine e la sicurezza risultassero minacciati6. La Costituzione di Weimar aveva quindi al proprio centro due strumenti d’autorità diversi ma allo stesso tempo legittimati dal popolo. Accanto a questi vi era poi un organo esecutivo collegiale formato dai vari ministri e dal Cancelliere, che non solo rimaneva in carica grazie alla fiducia del parlamento, ma che era 4 S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., p. 164. S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., p. 169. 6 Articolo 48 della Costituzione di Weimar. 5 3 anche responsabile delle azioni del Presidente del Reich. Le ordinanze del Presidente infatti dovevano essere sempre controfirmate da un membro del governo7. Se da un lato la Costituzione di Weimar fallì, aprendo le porte al partito nazionalsocialista che conquistò il potere attraverso vie legali, dall’altro rappresentò il tentativo riuscito di trasformare uno Stato liberale monoclasse, tipico del XIX secolo, in uno Stato pluriclasse. Le prime costituzioni del ‘900 differirono da quelle ottocentesche non solo per la maggior fiducia accordata ai diritti delle persone o per l’allargamento della rappresentanza parlamentare, ma anche per la volontà di superare la guida monarchica. Il parlamento cioè non avrebbe dovuto continuamente chiedere spazio e poteri al sovrano. Avrebbe dovuto saper imporre le proprie decisioni in modo autonomo. La costituzione iniziò poi ad essere vista non più come un semplice pezzo di carta incapace di porre un limite alla volontà del sovrano. Sarebbe dovuta divenire uno strumento “rigido”, da rispettare e applicare. Non sarebbe stato più possibile modificarla senza il consenso di maggioranze parlamentari più ampie di quelle richieste per la normale attività legislativa. Occorrevano di conseguenza organi e meccanismi che garantissero l’efficacia della costituzione in modo tale da sottolinearne la superiorità rispetto a tutte le altre norme giuridiche esistenti8. Un altro elemento innovativo delle costituzioni novecentesche fu la grande importanza attribuita ai giuristi. Nell’800 i monarchi concedevano le carte costituzionali senza studiarle troppo, non coinvolgendo cioè nella stesura personalità esperte come giuristi o costituzionalisti. Nel ‘900 invece le assemblee che si accingevano a dar vita alle carte costituzionali erano composte dai giuristi più famosi dell’epoca. Non sempre però le costituzioni dei primi anni del Novecento andarono in questa direzione social-democratica. Nell’Europa post bellica infatti emersero regimi totalitari in cui non si trova traccia di quel rinnovamento democratico che aveva permesso di superare le strutture dello Stato liberale. Il primo paese dove sorse uno stato totalitario che si sostituì ad una democrazia liberale fu l’Italia degli anni ’20. Qui si passò da una forma di governo parlamentare ad una forma di governo monopartitica. Il partito unico era rappresentato dal movimento fascista. Al vertice dell’esecutivo venne a trovarsi il leader di questo partito unico: Benito Mussolini. Il partito fascista aveva quindi nelle mani sia le funzioni legislative che le funzioni esecutive. Fondamentale nell’ascesa del regime fascista fu la 7 8 S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 170-171. S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., p. 174. 4 debolezza dello Statuto Albertino del 1848, la prima costituzione dell’Italia unitaria. Lo Statuto Albertino risultò essere una costituzione troppo fragile, che non pose limiti alle sue possibili modifiche, al cambiamento delle sue direttive. Pur non venendo mai abrogato divenne un semplice contenitore di leggi private di ogni legittimazione9. Ancora più estrema fu l’esperienza del nazionalsocialismo in Germania. Se in Italia infatti vi fu una sorta di trasformazione in senso autoritario dello Stato liberale, in Germania vi fu un vero e proprio sovvertimento. La Costituzione di Weimar venne delegittimata attraverso la soppressione dei partiti politici, la cancellazione delle libertà individuali e dei vari organi costituzionali, la concentrazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario nelle mani di Adolf Hitler, leader del partito unico. Tutto ciò avvenne nel rispetto delle legalità costituzionali10, dimostrando come la presenza di vincoli di revisione nella costituzione non rappresentasse ancora uno strumento efficace11. A partire dal secondo dopoguerra si può notare invece l’affermarsi del concetto di supremazia della costituzione. Questa sorta di sovranità attribuita alla costituzione conferì per la prima volta immediata validità ai principi e alle norme contenute in essa, trasformando così anche i diritti fondamentali degli individui in diritti inviolabili. La superiorità della costituzione divenne uno strumento di tutela e garanzia. I valori che erano contenuti in essa rappresentarono perciò un qualcosa che andava al di sopra della legge ordinaria, al riparo da ogni violazione e sopruso. Le costituzioni del secondo dopoguerra presero quindi le distanze sia da quelle dell’800 che da quelle dei primi decenni del XX secolo. Le costituzioni sorte nell’800 erano infatti caratterizzate da una raccolta di leggi astratte e prive di reale legittimazione. Quelle nate nei primi decenni del ‘900, pur comprendendo la necessità di salvaguardare e distinguere la carta costituzionale dalle leggi ordinarie, non riuscirono sempre a garantire il successo della democrazia. Le nuove costituzioni europee sorte nel secondo dopoguerra attribuirono ad un apposito organo il fondamentale compito di impugnare e annullare le norme che andavano contro la legge superiore. Questo organo venne identificato nella Corte Costituzionale, che non solo fu dotata di un compito “negativo”, ovvero la sanzione di leggi ritenute anticostituzionali, ma abbracciò anche un compito “positivo”, cercando di adeguare la costituzione alla vita politica, economica e sociale del paese12. 9 S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 177-178. Come nel caso italiano, anche la Costituzione tedesca venne sconvolta senza venir abrogata. 11 S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., p. 179. 12 S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 183-190. 10 5 Altro aspetto molto importante delle costituzioni del secondo dopoguerra, oltre alla difesa dei diritti umani e al principio di superiorità, fu la legittimazione giuridica dei partiti politici che vennero finalmente riconosciuti come elementi di aggregazione, rappresentanza e partecipazione. Tramite il partito, il singolo cittadino si inseriva ora nelle strutture dello Stato, faceva sentire la propria voce, partecipava attivamente alla vita politica. I partiti politici rappresentarono il collegamento tra Stato e società che dunque cessarono di essere due realtà distinte. Lo Stato, grazie ai partiti, iniziò ad inserirsi realmente all’interno della società; allo stesso tempo la società si insinuò nelle maglie dello Stato13. Con le costituzioni del secondo dopoguerra lo Stato intervenne anche nella sfera economica lasciandosi definitivamente alle spalle il laisser faire, ovvero il principio del liberalismo economico che non vedeva di buon occhio l’intromissione dell’apparato pubblico. Questo intervento avvenne però senza privilegiare determinate categorie o individui. Il fine consisteva nell’applicare meccanismi di Welfare che comportassero benefici per tutta la popolazione. Lo Stato democratico si tramutò quindi in Stato sociale. Divenne prioritaria la difesa delle categorie sociali economicamente più fragili che si esplicò con l’introduzione della giustizia retributiva. Una tassazione più pesante avrebbe dovuto gravare sui ceti più abbienti mentre vari sussidi e aiuti avrebbero dovuto alleviare le spese che gravavano sul bilancio delle famiglie più povere. Lo Stato si fece anche imprenditore offrendo stimoli per l’occupazione, per la produzione, per rianimare il mercato14. Queste costituzioni del Novecento mostrano però oggi una crisi che è dovuta, per riflesso, alle difficoltà che incontra lo Stato contemporaneo. In primo luogo vi è il dissesto dello Stato sociale. Non sempre all'enunciazione dei diritti sociali da parte di norme costituzionali corrisponde l’obbligo della pubblica amministrazione ad erogare le relative prestazioni. I diritti sociali rappresentano quindi diritti che lo Stato proclama ma che non sempre sono realmente effettivi. Il secondo elemento di crisi è dato da uno Stato sempre meno sovrano, sempre meno padrone di un sistema economico che si allarga ormai oltre i suoi confini. Viviamo nell’era della globalizzazione e lo Stato è vittima di una realtà in continuo sviluppo. Il terzo e ultimo fattore di crisi riguarda il declino dello Stato pluripartitico. I partiti smettono infatti di essere l’anello di congiunzione fra Stato e società 13 14 S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., p. 193. S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 195-196. 6 e finiscono per essere superati da altre forme di comunicazione e azione politica come immagini e messaggi diretti che passano attraverso i media. A ciò si deve aggiungere il malessere interno ai partiti che con i loro atteggiamenti sempre meno credibili e sempre più rivolti al proprio tornaconto, minano la loro stessa legittimità15. Tuttavia, nonostante questa crisi, le costituzioni continuano ad essere considerate un elemento fondamentale nell’equilibrio e nell’ordinamento della società, delle istituzioni e dei poteri di uno Stato. 15 S. Gambino, M. Rizzo, Le costituzioni del ovecento, cit., pp. 198-202. 7 3. LA ASCITA DEL GRUDGESETZ Dopo aver visto le caratteristiche principali delle carte costituzionali del Novecento, passiamo ad analizzare da vicino come viene creata una costituzione. Prenderemo in esame il Grundgesetz tedesco. Grundgesetz o Legge fondamentale è il nome dell’attuale costituzione tedesca che entrò in vigore il 23 maggio 1949 e che venne inizialmente considerata provvisoria. Agli inizi del 1948 le potenze occidentali diedero alle tre zone in cui era suddivisa e occupata la Germania Ovest, la possibilità di creare un’organizzazione statale. I vari Länder che componevano la Germania Ovest decisero però di non creare una vera e propria Assemblea Costituente, causa il carattere ancora provvisorio dello Stato tedesco. I vari Landtage16 preferirono infatti inviare proprie rappresentanze affinché formassero un Parlamentarischer Rat. Compito del Parlamentarischer Rat sarebbe stato quello di elaborare una costituzione provvisoria, il Grundgesetz, da presentare poi ai vari Landtage per l’approvazione conclusiva. Il Grundgesetz venne effettivamente accettato dai Länder nel corso della deliberazione conclusiva che si tenne tra il 18 e il 21 maggio 194917. Fin dal momento in cui fu promulgata, il 23 maggio 1949, la Legge fondamentale venne considerata provvisoria, in attesa della riunificazione tedesca. Solo allora infatti si sarebbe realizzata, secondo le volontà dei costituenti, la vera e propria costituzione18. La Legge fondamentale venne considerata provvisoria anche perché quest’ultima fu creata seguendo orientamenti espressi in larga misura dalle forze di occupazione. Nel luglio del 1948 i governatori militari delle tre zone occupate della Germania Ovest consegnarono infatti ai Länder una sorta di “mandato costituzionale”. In questo mandato si esortava l’Assemblea Costituente ad elaborare una forma di governo di tipo federale in cui vi fossero garanzie nei confronti degli ordinamenti dei Länder e riguardo i diritti e le libertà individuali. Se la costituzione non avesse seguito queste indicazioni generali, i governatori militari potevano non autorizzarne la ratifica19. 16 Termine utilizzato per definire l’organo parlamentare di ciascun stato federale della Germania (Land). Gustavo Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca dalla Costituzione di Weimar alla Legge fondamentale di Bonn, in La Costituzione italiana, a cura di Maurizio Fioravanti e Sandro Guerrieri, Roma, Carocci, 1998, p. 247. 18 In realtà, al momento della riunificazione tedesca, si decise di mantenere, pur con qualche modifica, la costituzione occidentale. 19 G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 250. 17 8 Nella composizione del Grundgesetz vi furono frequenti dibattiti fra i costituenti tedeschi e i governatori militari alleati. Un primo grande contrasto emerse riguardo le competenze dei Länder nei confronti delle imposte. Mentre la visione tedesca voleva istituire un’autorità centrale a cui affidare l’amministrazione di tutte le imposte federali comprese quelle dei vari Länder, la visione alleata prevedeva la ripartizione delle competenze sulle imposte fra governo e singoli Stati tedeschi. Alla fine prevalse la tesi alleata. Un secondo punto di attrito riguardò il termine da adottare per nominare la nuova costituzione. I tedeschi prevedevano l’uso della parola Grundgesetz (“Legge fondamentale”) invece di Verfassung (“Costituzione”) per sottolinearne così il carattere provvisorio. Questo contrasto venne risolto battezzando la costituzione Grundgesetz Vorläufige Verfassung ovvero “Legge fondamentale – Costituzione Provvisoria”20. Facciamo ora un passo indietro e vediamo nei particolari come avvenne la creazione della Legge fondamentale. Il 25 luglio del 1948 i Ministerpräsidenten dei vari Länder istituirono una commissione di esperti per elaborare le linee principali di un Grundgesetz da sottoporre poi al Parlamentarischer Rat. La commissione si riunì nel castello di Herrenchiemsee in Baviera a partire dal 1° agosto. Il Parlamentarischer Rat iniziò invece i lavori il 1° settembre. Nel Parlamentarischer Rat entrarono a far parte i rappresentanti dei vari Landtage. Nel caso del Grundgesetz quindi non ci fu l’elezione diretta da parte del popolo di un’Assemblea Costituente. Queste persone provenienti dai Landtage erano comunque ritenute i rappresentanti legittimi della popolazione tedesca che risiedeva nelle zone occupate21. Il dibattito costituzionale all’interno del Parlamentarischer Rat si orientò attorno a due questioni principali. Prima di tutto occorreva rafforzare il governo poiché una debole guida, a suo tempo, non aveva saputo opporsi alla dittatura nazionalsocialista. In secondo luogo si volevano rafforzare le garanzie dei diritti fondamentali degli individui22, tra cui i diritti politici. Allo stesso tempo però si cercò limitare tali garanzie nell’interesse della sicurezza dello Stato23. Attorno a questi due punti centrali si ebbero quindi tutta una serie di discussioni che riguardarono non solo come assicurare stabilità all’esecutivo ma anche come, e con quali criteri, compilare il catalogo dei diritti fondamentali delle persone. 20 G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., pp. 250-251. G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 266. 22 Per diritti fondamentali degli individui si intendono: diritto alla vita, uguaglianza davanti alla legge, libertà di fede e di coscienza, libertà di espressione, libertà di riunione, libertà di associazione, libertà della professione, inviolabilità del domicilio, ecc.. 23 G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 249. 21 9 Per quanto riguarda la stabilità del governo, la commissione di Herrenchiemsee elaborò un progetto secondo il quale doveva essere il Bundestag, ovvero il Parlamento Federale, ad eleggere a maggioranza il Cancelliere24. Se fosse mancata questa maggioranza spettava al Presidente Federale nominarlo. Il Bundestag, a sua volta, avrebbe potuto esprimere la propria sfiducia nei confronti del Cancelliere ma solamente in presenza dell’indicazione di un successore. Questa sfiducia, come venne precisato successivamente dal Parlamentarischer Rat, doveva essere espressione della maggioranza dei membri del Bundestag. Si cercò in questo modo di evitare le debolezze che contraddistinsero la Costituzione di Weimar, la quale comunque influì sulla nuova forma di governo adottata dalla Legge fondamentale. L’esecutivo infatti non doveva basarsi solo sulla figura del Cancelliere ma anche sul principio collegiale, principio in base al quale la volontà di un organo è frutto del concorso di tutte le persone partecipanti al collegio, e sul principio dell’autonomia e della responsabilità del singolo ministro all’interno del proprio ufficio25. Per quanto riguarda invece il catalogo dei diritti fondamentali, l’accordo fra socialisti e liberali impose la limitazione di quest’ultimo ai tradizionali diritti individuali di libertà, escludendo così i diritti sociali. In particolare, il partito dei socialdemocratici vedeva, nell’allargamento dei diritti fondamentali ai diritti sociali, un limite all’azione del legislatore. Furono escluse quindi dal Grundgesetz materie di ambito economico e sociale come il diritto al lavoro, l’assistenza pubblica, la partecipazione dei sindacati alle decisioni economiche, che rientrarono di conseguenza nei compiti ordinari del legislatore. Sul rifiuto di ampliare il catalogo dei diritti delle persone pesarono altri due fattori. In primo luogo il carattere provvisorio del Grundgesetz. Per la maggior parte dei membri del Parlamentarischer Rat era ancora troppo presto per fare previsioni sulla futura struttura sociale ed economica della Germania. In secondo luogo influì la volontà, già accennata precedentemente, di tutelare ma allo stesso tempo limitare i diritti fondamentali del cittadino per la protezione della costituzione stessa26. La difesa della Legge fondamentale rappresentò d’altronde un aspetto significativo nei dibattiti interni al Parlamentarischer Rat. In caso di necessità, per scongiurare eventuali attacchi alla democrazia, fu deciso di sospendere alcuni diritti fondamentali. Così l’articolo 18 afferma che chi abusa della libertà di espressione, della libertà di stampa, della libertà di riunione, della libertà di insegnamento, perderà questi diritti. L’articolo 21 aggiunge che saranno sciolti tutti quei 24 Il Cancelliere incarna le funzioni di Capo del Governo. G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., pp. 265-266. 26 G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., pp. 254-256. 25 10 partiti volti a “danneggiare o eliminare l’orientamento democratico e liberale”27. La possibilità di restrizione di tutti quei diritti visti come minaccia per la costituzione democratica, escludeva automaticamente la necessità di adottare misure di sicurezza pubblica come il famoso articolo 48 della Costituzione di Weimar28. Ma quale organo doveva assumersi la responsabilità di difendere il Grundgesetz? Gli articoli 18 e 21 stabiliscono che il Bundesverfassungsgericht, ovvero il Tribunale Costituzionale Federale, divenga l’organo centrale di tutela del Grundgesetz, con il compito di pronunciarsi riguardo “questioni di incostituzionalità”. La creazione e le competenze del Bundesverfassungsgericht furono oggetto di aperte discussioni sia all’interno della commissione di Herrenchiemsee che all’interno del Parlamentarischer Rat. Alla fine però si optò per la sua istituzione, ponendolo su un gradino superiore alla sfera legislativa, amministrativa e giudiziaria. Il Bundesverfassungsgericht doveva allo stesso tempo difendere i diritti fondamentali degli individui dagli eventuali abusi delle maggioranze parlamentari. Il modello di Tribunale Costituzionale cui si ispirò la commissione di Herrenchiemsee fu quello enunciato all’art. 60 della Costituzione bavarese del 1946. In questo articolo si menzionava un Verfassungsgerichtshof con competenze relative alla custodia e alla garanzia della Costituzione29. I diritti fondamentali delle persone non potevano però essere difesi solo dal Bundesverfassungsgericht. Occorreva che questi diritti assumessero all’interno del Grundgesetz una posizione centrale che li rendesse immediatamente validi, poiché “non sono delle mere declamazioni, delle dichiarazioni e direttive, non sono raccomandazioni” come affermò Carlo Schmid membro del Partito Socialdemocratico Tedesco30. I diritti fondamentali cioè non dovevano essere compressi dalle leggi ordinarie. Tutto ciò trovò applicazione nell’articolo 1, comma 3°, del Grundgesetz che eleva infatti i diritti a norme giuridiche immediatamente valide. L’articolo 19 poi stabilisce delle garanzie precise contro l’intervento del legislatore. Se infatti l’articolo 18 consente allo Stato di intervenire per porre un freno a questi diritti, l’articolo 19 stabilisce entro quali limiti questo potere politico può essere applicato31. 27 G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 257. G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 258. 29 G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., pp. 258-259. 30 G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 262. 31 In particolare, l’articolo 19 sottolinea come “in nessun caso un diritto fondamentale può essere leso nel suo contenuto essenziale” e che “chiunque è leso nei suoi diritti dal potere pubblico può adire l'autorità giudiziaria”. 28 11 L’importanza dei diritti fondamentali per i costituenti tedeschi del secondo dopoguerra si nota anche da un altro elemento. Mentre infatti nella costituzione di Weimar i diritti fondamentali furono posti nella seconda parte della carta costituzionale, dietro la struttura e le funzioni del Reich, nel Grundgesetz trovano posto all’inizio, davanti alla parte che tratta l’organizzazione dello Stato32. Il Grundgesetz, ritenuto fin dalla sua creazione una costituzione provvisoria, finì poi per rappresentare stabilmente la vera e propria carta costituzionale del popolo tedesco. Quando infatti avvenne la riunificazione tedesca (1990), si decise semplicemente di mantenere valido l’intero corpo della Legge fondamentale, modificandolo solo in alcuni punti. 32 G. Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., pp. 262-263. 12 4. L’ATTUAZIOE DELLA COSTITUZIOE ITALIAA Una costituzione non si limita a nascere e ad entrare in vigore. Una costituzione infatti deve passare dall’aspetto teorico all’aspetto pratico, ossia deve essere attuata. Prenderemo come modello, per dare un esempio di applicazione di una carta costituzionale, la Costituzione Italiana. La Costituzione Italiana, che entrò in vigore il 1° gennaio 1948, affiancò a norme considerate precettive, ovvero introduttive di norme giuridiche immediate, “norme direttive o programmatiche”, la cui efficacia era subordinata ad un intervento legislativo. Queste norme programmatiche si presentarono, nell’insieme, come un mosaico: alcuni tasselli vennero subito presi in considerazione dai legislatori, altri invece rimasero accantonati per più tempo33. Nel periodo in cui si svolsero i lavori dell’Assemblea Costituente, il Governo non interferì nella preparazione della costituzione. Con l’inizio della prima legislatura (dal 1948 al 1953) il Governo De Gasperi cominciò però ad incidere nell’attuazione di quest’ultima. Spettò infatti al Governo la selezione delle previsioni costituzionali da attuare e quelle invece da rinviare. Si venne così a creare un quadro suddiviso in quattro parti: vi furono iniziative destinate a non ricevere alcuna attuazione nemmeno in futuro; iniziative che sarebbero state attuate solamente a molti anni di distanza; iniziative rinviate nonostante sollecitazioni governative e infine iniziative che si sarebbero giovate di un qualche successo già durante il periodo degasperiano34. Rientrarono nella prima categoria previsioni quali la struttura e le funzioni dei sindacati (art. 39 della Costituzione) e dei consigli di gestione delle aziende (art. 46 della Costituzione)35. Le iniziative che il Governo evitò di trattare, considerandone l’attuazione un evento prematuro per i tempi, riguardarono soprattutto il Consiglio Superiore della Magistratura e la giustizia militare. Al posto del Consiglio Superiore della Magistratura si continuò a fare 33 Livio Paladin, Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 75. L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 89. 35 L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 90. 34 13 affidamento su un ordinamento giudiziario posto nelle mani del Ministero di Grazia e Giustizia. Non venne riorganizzato nemmeno il Tribunale Supremo Militare36. Nella terza categoria rientrarono invece le riforme regionali. In mancanza di una legge elettorale regionale, per altro prevista dal 1° comma dell’articolo 122 della Costituzione, l’unico prodotto della prima legislatura fu la legge Scelba 10 febbraio 1953, n. 62, riguardante il funzionamento degli organi delle Regioni a statuto ordinario. Questa legge però, invece che lasciare alle singole Regioni autonomie statutarie e legislative, finiva per divenire troppo puntigliosa e restrittiva. Dovranno trascorrere 17 anni prima dell’elezione dei Consigli regionali37. Considerando queste prime tre categorie, non può destare meraviglia il giudizio negativo, dei costituzionalisti e dei giuristi italiani, nei confronti del Governo De Gasperi in tema di attuazione delle previsioni costituzionali. Se da una parte Crisafulli parlava di “Costituzione tradita”, dall’altra Calamandrei sottolineava la singolare capacità del Governo nel “disfare una Costituzione”38. Vi era da più parti la convinzione che l’immobilismo costituzionale degli anni tra il 1948 e il 1953 fosse voluto dalla stessa maggioranza del Parlamento. Quel che è certo è che il Governo De Gasperi dovette affrontare pesanti difficoltà politiche e contrasti che sicuramente non favorirono l’attuazione della Costituzione. De Gasperi e la Democrazia Italiana infatti non vollero governare da soli ma al contrario cercarono di coinvolgere tutti i partiti (compreso il Movimento sociale italiano che non venne messo al bando nonostante il divieto di ricostruire il partito fascista), nel tentativo di salvaguardare le fondamenta stesse della democrazia. In quello stesso periodo comunque, accanto al “congelamento” della Costituzione, furono gettate solide basi per l’entrata in funzione, nella seconda legislatura, della Corte Costituzionale. Queste solide basi erano rappresentate dalla legge 11 marzo 1953, n. 87, riguardante il funzionamento della Corte Costituzionale39. Con la seconda legislatura (dal 1953 al 1958) si andarono a definire meglio alcune istituzioni previste dalla Carta Costituzionale come il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei Ministri e le Camere del Parlamento. In particolare, a partire dal 1953, il Presidente del Consiglio dovette rassegnarsi al ruolo di mediatore tra le forze politiche costituenti la maggioranza di Governo, invece che porsi come guida della propria 36 L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 92. L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 94-96. 38 L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 97. 39 L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 99. 37 14 coalizione. All’opposto, il Capo di Stato, grazie alla figura di Gronchi, crebbe la propria influenza40. La seconda legislatura è però importante anche per una serie di attuazioni normative destinate a caratterizzare nel profondo la Costituzione. Essenziale fu per esempio la formazione della Corte Costituzionale, l’organo preposto alla difesa della Costituzione. Questa istituzione aveva fra i suoi compiti principali quello di giudicare la legittimità costituzionale delle leggi. La stessa Costituzione e poi il Parlamento avevano per altro previsto due sole tipologie di sentenze spettanti ai giudici della Corte: la decisione di accoglimento dei testi legislativi impugnati o la decisione di rigetto. Fin dal 1956 però la Corte utilizzò un terzo tipo di sentenza: la sentenza interpretativa di rigetto, destinata nella pratica a riscrivere i testi di leggi impugnati. In questi casi quindi la Corte Costituzionale si trasformò in una sorta di terza Camera del Parlamento41. La seconda legislatura ebbe anche il merito della creazione di due altri organi previsti dalla Costituzione: il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) e il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Sia il CNEL che il CSM videro però sminuito il loro ruolo rispetto a quanto stabilito dalla Costituzione. La legge istitutiva 5 gennaio 1957, n. 33, riguardante il CNEL, fece in modo infatti di non rendere obbligatoria la consultazione dell’organo da parte di Camere e Governo in materia economica e sociale. L’attività del Consiglio si limitò quindi alle sole indagini e alle ricerche nel settore economico. Con la legge istitutiva 24 marzo 1958, n. 195, vennero invece realizzati i presupposti per la creazione del Consiglio Superiore della Magistratura, ossia l’organo di garanzia della magistratura. La legge però dava largo spazio alle ingerenze del Ministero di Grazia e Giustizia soprattutto riguardo le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni del personale della magistratura ordinaria42. Al pari della seconda legislatura, anche la quinta legislatura (dal 1968 al 1972) fu protagonista nel produrre un numero rilevante di leggi che attuarono o semplicemente integrarono le disposizioni costituzionali. Questa mole di lavoro fu tale da far ritenere, per la prima volta nella storia della Repubblica, che la Costituzione fosse stata portata a compimento quasi del tutto. Ciò avvenne all’interno di un quadro politico difficile. La 40 L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 125-129. L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 143-144. 42 L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 144-149. 41 15 quinta legislatura fu infatti caratterizzata da un succedersi di governi fragili (ben 6 in 4 anni)43. Proprio in quegli anni di crisi politica, fra il ’70 e il ’72, furono approvate una serie di leggi che portarono all’entrata in funzione delle Regioni a statuto ordinario. Nel giugno del 1970 si tennero finalmente le elezioni regionali che furono anticipate, nel maggio dello stesso anno, dall’entrata in vigore della legge n. 281, che doveva disciplinare l’ordinamento finanziario delle Regioni. La legge n. 281, pur risultando incompleta, sostituì l’articolo 9 della legge Scelba che costringeva i Consigli regionali a legiferare solamente su materie di secondaria importanza. Ora era possibile per le Regioni legiferare anche riguardo temi importanti, pur sempre nei limiti delle competenze territoriali. La legge n. 281 ha però allo stesso tempo limitato le autonomie delle Regioni ordinarie dal punto di vista delle entrate finanziarie, disciplinando fortemente imposte e tasse. Un’altra limitazione all’entrata in vigore delle Regioni riguardò il passaggio alla sfera regionale degli uffici e delle funzioni statali previsti dall’articolo 117 della Costituzione (tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, professioni, tutela della salute, protezione civile, ecc.). Se l’articolo 17 della legge n. 281 sottolineò come questo trasferimento dovesse avvenire “per settori organici di materie”, il Governo operò invece suddividendo fra periferia e centro le competenze riguardanti ciascuna materia regionale. Le funzioni affidate alle amministrazioni regionali risultarono di conseguenza molto circoscritte. La riforma che portò all’istituzione delle Regioni era quindi ancora lontana dall’avere una vera e propria conclusione44. Negli anni successivi alla quinta legislatura però qualcosa mutò. Attraverso la leggedelega 22 luglio 1975, n. 382, ma soprattutto con il decreto presidenziale 24 luglio 1977, n. 616, vi fu una ridefinizione delle materie di competenza regionale che andò oltre le indicazioni dell’articolo 117 della Costituzione. Grazie infatti al decreto n. 616 si ebbe un più completo trasferimento delle funzioni statali alle Regioni, anche se non si poté ancora scrivere la parola “fine” sui rapporti fra Stato e Regioni. Il decreto presidenziale d’altronde non risolveva le varie concorrenze fra Regione, Comune e Provincia, lasciando largo spazio alle amministrazioni comunali nella sfera dei servizi sociali45. La quinta legislatura vide anche l’attuazione della legge riguardante i referendum. Questa sorta di “democrazia diretta” non aveva mai trovato entusiastici pareri tra le 43 L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 243. L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 254-257. 45 L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 264-265. 44 16 maggiori forze politiche in Parlamento, che non volevano perdere il controllo della podestà legislativa. L’approvazione della legge n. 352 del 1970 disciplinò però il ricorso alle consultazioni referendarie previste all’articolo 75 della Costituzione. Determinante per l’applicazione concreta della legge n. 352 fu l’accoglimento della proposta legislativa relativa all’introduzione del divorzio (legge 1° dicembre 1970, n. 898). Per evitare infatti che la questione concernente l’abrogazione o meno della legge n. 898 determinasse in Parlamento una spaccatura troppo netta fra le forze politiche, il Governo decise di ricorrere alle consultazioni referendarie previste dalla Costituzione46. Nel 1971 vennero introdotti anche dei nuovi regolamenti parlamentari che dovevano portare a compimento gli articoli 64 e 72 della Costituzione. Scopo di questi regolamenti era dare centralità al Parlamento, ossia fornire alle due Camere compiti di controllo e di indirizzo della vita politica del paese. Si vedano a questo proposito le cosiddette “risoluzioni parlamentari”, destinate non solo a manifestare pareri ma anche indirizzi che avrebbero dovuto vincolare il Governo stesso. Le aspirazioni delle Camere non trovarono però applicazione nella realtà, sottolineando come il Parlamento italiano fosse principalmente un Parlamento legislatore47. La quinta legislatura si occupò anche delle riforme riguardanti i diritti e i doveri dei cittadini. Fondamentale a questo proposito fu l’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, grazie alla legge 20 maggio 1970, n. 300. Questa normativa, oltre a trattare la “dignità e le libertà dei lavoratori” dedicò ampio spazio alle libertà e alle attività sindacali48. Con la legge-delega 9 ottobre 1971, n. 825, invece si consentì al Governo di adottare un’organica riforma tributaria che riequilibrasse i criteri approssimativi alla base delle varie forme di prelievo. Con questa legge si volle per esempio modificare il metodo con cui veniva definita l’imposta comunale di famiglia, metodo ancorato all’apparente agiatezza del gruppo familiare. Si cercò anche di rimediare allo squilibrio fra imposte dirette e imposte indirette, squilibrio che favoriva le seconde rispetto alle prime. Tuttavia, negli anni successivi, ci vollero ulteriori decreti legislativi per portare a compimento la riforma tributaria49. Anche la sesta legislatura (dal 1972 al 1976) proseguì sulla strada dell’attuazione costituzionale. In questo periodo l’attenzione venne rivolta alla riforma del servizio 46 L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 266-267. L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 276. 48 L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., p. 279. 49 L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 283-284. 47 17 pubblico radiotelevisivo ma soprattutto alla formazione del nuovo diritto di famiglia, che risulterà una tra le più solide attuazioni costituzionali degli anni settanta. Il nuovo ordinamento riguardante il diritto di famiglia (legge 19 maggio 1975, n. 151) poneva l’accento sul rapporto paritario tra i coniugi, trasformando la potestà maritale in potestà dei genitori, valorizzando il lavoro della donna nell’ambito familiare e prescrivendo, in via di principio, la comunione dei beni acquistati nel corso del matrimonio50. Come si è potuto notare, l’attuazione della Costituzione Italiana non avvenne con immediatezza ma fu caratterizzata da varie tappe che toccarono più legislazioni. A partire dal 1956, anno in cui entrò in funzione, un ruolo fondamentale in tutte queste attuazioni lo ebbe la Corte Costituzionale. Se da un lato infatti la Corte ha posto rimedio alle omissioni del legislatore, dall’altro ha ripulito l’ordinamento giuridico da tutte quelle norme contrastanti con le disposizioni costituzionali. Il tutto utilizzando strumenti che hanno consentito di risolvere varie controversie nella piena affermazione dei valori costituzionali51. Ciò ha permesso di superare quell’ostruzionismo denunciato da Calamandrei all’inizio degli anni ’50, facilitando l’applicazione di riforme sempre più numerose. 50 L. Paladin, Per una storia costituzionale, cit., pp. 292-294. Ad esempio la Corte Costituzionale respinse le accuse di illegittimità rivolte al decreto presidenziale 24 luglio 1977, n. 616, che ridefiniva le materie di competenza regionali. Secondo alcuni questo decreto si spingeva oltre le indicazioni fornite dall’articolo 117 della Costituzione. La Corte Costituzionale rispose che le leggi ordinarie potevano ridefinire i limiti delle competenze regionali in base alle nuove considerazioni delle funzioni da svolgere in quegli ambiti. 51 18 BIBLIOGRAFIA • Silvio Gambino, Maria Rizzo, Le costituzioni del ovecento, in Il ovecento a scuola, a cura di Armando Vitale, Roma, Donzelli, 2001. • Gustavo Gozzi, L’esperienza costituzionale tedesca dalla Costituzione di Weimar alla Legge fondamentale di Bonn, in La Costituzione italiana, a cura di Maurizio Fioravanti e Sandro Guerrieri, Roma, Carocci, 1998. • Livio Paladin, Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana, Bologna, Il Mulino, 2004. 19