8 Diritto tributario italiano Voluntary disclosure: limiti e conseguenze tributarie Roberto Bianchi Dottore commercialista, Revisore legale in Bologna e Ravenna, Professore a contratto di diritto tributario Università degli studi di Firenze, Dipartimento Scienze Giuridiche Docente Didacom Guida al fisco e master norme e tributi de Il Sole 24 Ore Editorialista e pubblicista tributario IPSOA Wolters Kluwer, Giuffrè, Maggioli, Studio Cioni & Partners, Bologna Ci siamo posti il problema di cosa potrebbe accadere qualora un’istanza di collaborazione volontaria dovesse arenarsi. Cosa si verificherebbe se si appalesasse una crisi di collaborazione discendente dal fatto che un contribuente, che ha presentato la propria domanda di affioramento e che ha pertanto reso edotta l’Amministrazione finanziaria in merito a tutte le contingenze oggetto di emersione, non riuscisse per qualsivoglia motivo a perfezionare la procedura di “voluntary disclosure”? Il contribuente si troverebbe calato in una situazione di grande difficoltà, avendo esposto integralmente tutti gli elementi rilevanti ai fini dell’accertamento, senza poter beneficiare degli effetti premiali previsti dall’istituto della collaborazione volontaria. Proviamo a capirne qualcosa di più 1. I postulati dell’istituto Il novellato accordo tra Agenzia delle Entrate e partecipanti alle spese dello Stato, identifica un procedimento che permette ai contribuenti, in passato “infedeli”, di “bonificare” il patrimonio frutto dell’evasione, inviando all’Agenzia delle Entrate un’autodenuncia esaustiva e corrispondendo integralmente le imposte e i relativi interessi dovuti per tutte le annualità ancora accertabili, alla data di presentazione della dichiarazione di emersione. La “voluntary disclosure” rappresenta un coacervo di norme di legge in forza delle quali si è tentato di individuare un sofisticato compromesso tra le necessità di accertamento e di gettito dell’Amministrazione finanziaria, da una parte, e il bisogno di tutele per quei contribuenti che, in passato, hanno presentato dichiarazioni dei redditi infedeli, violando coscientemente una serie di prescrizioni normative, dall’altra. Il risultato generato da questo esperimento, mosso dall’ambizione non celata di contemperare due esigenze completamente divergenti, lo si può rappresentare come una sorta di “giano bifronte” [1] che da una parte si pone l’obiettivo di incoraggiare i contribuenti non collaborativi a trasformarsi in soggetti adempienti in modo permanente, concedendo loro un’ultima occasione[2] per garantirsi una sostanziale riduzione delle sanzioni comminabili agli inadempimenti del passato, ma che dall’altra desidera garantire anche la “compliance” dei contribuenti che si sono dimostrati onesti, imponendo a chi volesse regolarizzare le proprie precedenti infrazioni, di corrispondere integralmente le imposte evase e i relativi interessi senza ottenere il benché minimo sconto, assicurandosi esclusivamente la riduzione delle pene pecuniarie e la depenalizzazione di gran parte dei reati connessi a questo tipo di trasgressioni, compiute negli anni oggetto di emersione. Per i partecipanti alle spese dello Stato, che in passato hanno evaso i tributi, la “collaborazione volontaria” rappresenta l’occasione conclusiva per fare emergere e rientrare i patrimoni sottratti artificiosamente alla tassazione nel nostro Paese, beneficiando di un rilevante ridimensionamento delle pene pecuniarie. Tutto ciò raffigura certamente un’opportunità poiché consente di beneficiare di sanzioni ridotte, ma contestualmente rappresenta altresì un pericolo, in quanto la disciplina di emersione volontaria cela per il momento delle ombre, dal punto di vista normativo, che lasciano presagire prospettive preoccupanti per i contribuenti e per i professionisti che li assistono e che si trovano a essere implicati nella menzionata procedura di emersione dei patrimoni, detenuti al di fuori dei confini nazionali. Un postulato deve tuttavia essere scolpito nella pietra: chi decide di non salire sul bus della “voluntary disclosure” e, di conseguenza, di vanificare la possibilità di accedere volontariamente a questo procedimento di composizione agevolata, deve essere ben conscio del fatto che, qualsivoglia Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 atto aggiuntivo scaturente dagli introiti criminosi, avrebbe tutte le potenzialità per perfezionare la fattispecie del reato di autoriciclaggio[3] , punito con la reclusione a partire da due e fino a otto anni e che prevede la confisca dei patrimoni oggetto di evasione tributaria. La sanzione comminabile risulta essere molto severa e, come sostenuto[4] da Stefano Cavallini e Luca Troyer, la “voluntary disclosure” e il nuovo reato di autoriciclaggio rappresentano la carota e il bastone che l’ordinamento penale e tributario intende brandire per fare riemergere i patrimoni detenuti sia in Italia che all’estero. È opportuno ricordare che, in un primo momento, l’ottica era quella di far rientrare, nel procedimento di emersione, esclusivamente i capitali illecitamente detenuti al di là dei confini nazionali, mentre in seguito il legislatore ha optato per un ampliamento soggettivo e oggettivo dell’ambito di applicazione. 2. Gli oneri e le motivazioni A questo punto ci siamo chiesti: ma quali sono gli oneri del procedimento di emersione e, prima di ogni altra cosa, per quale motivo un contribuente che possiede delle somme ingenti fuori dai confini nazionali e sulle quali non ha corrisposto i tributi dovuti e non ha ottemperato agli obblighi di monitoraggio tributario dovrebbe, in questo momento, autodenunciarsi corrispondendo le imposte evase senza sconti e gli interessi in misura piena? Che utilità ne trae? E di quali rischi si fa carico se decide di non aderire al procedimento di emersione volontaria? La “voluntary disclosure” non va confusa né con un condono, né tantomeno con uno scudo fiscale; non vengono contemplate diminuzioni sulle imposte e l’empio partecipante alle spese dello Stato che accetta di acconsentire al procedimento di emersione e, di conseguenza, di autodichiararsi evasore fiscale, sarà tenuto a corrispondere integralmente i tributi evasi per le annualità di imposta per le quali il termine per l’accertamento non risulta essere decaduto, oltre agli interessi corrispondenti. Ma allora in che cosa è possibile individuare la convenienza ad aderire alla collaborazione volontaria da parte del contribuente infedele? In prima battuta si garantisce uno sconto importante sulle sanzioni amministrative connesse all’omessa o incompleta compilazione del quadro RW, oltre che sulle sanzioni relative all’omessa e/o infedele dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e delle relative addizionali, delle imposte sostitutive, dell’Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), dell’Imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA) e degli obblighi dei sostituti di imposta; ma il vantaggio più rilevante, che si accaparra il partecipante alle spese dello Stato, è rappresentato dalla non punibilità dei reati dichiarativi[5] e, di conseguenza, non esclusivamente l’omessa (articolo 5) o l’infedele dichiarazione (articolo 4), ma bensì anche la dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false (articolo 2) o altri artifici (articolo 3), oltre all’impunità per i reati di omesso versamento di ritenute certificate (articolo 10-bis) e di omesso versamento IVA (articolo 10-ter), che si ricollegano agli inadempimenti posti in essere dal contribuente[6] , oltre alla piena valenza agli accordi con Liechtenstein, Svizzera e Monte Carlo, rilevanti al fine del loro riconoscimento quali “Paesi black list con accordo” [7] esclusivamente in caso di adesione alla collaborazione volontaria. La “voluntary disclosure” rappresenta un procedimento del quale è possibile beneficiare esclusivamente nella circostanza in cui non siano già stati avviati, nei confronti del contribuente, né controlli né tantomeno verifiche[8]; ed è proprio questo il contesto per il quale la procedura di “collaborazione volontaria” viene considerata un atto spontaneo del soggetto partecipante alle spese dello Stato; pertanto, per poter aderire alla “disclosure”, non devono essere stati notificati “avvertimenti” nei confronti dei contribuenti interessati, ed è al tempo stesso necessario comprendere che si tratta di una procedura diversa da tutte quelle in cui ci siamo imbattuti nel recente passato in quanto, come già più volte ricordato, le imposte e gli interessi devono essere corrisposti in maniera globale; inoltre non è tollerato in alcuna accezione l’anonimato del soggetto emergente, peculiarità che ha invece caratterizzato gli scudi fiscali del 2001[9] , del 2003[10] e del 2009[11] , così come non è ammessa l’autodenuncia parziale da parte del contribuente e, di conseguenza, vige l’obbligo codificato di far emergere integralmente il patrimonio che si detiene al di fuori dei confini italici, in quanto è necessario dichiarare con precisione “certosina” in quale maniera e con l’assistenza e la collaborazione di chi, le attività detenute oltre frontiera siano state occultate per consentire all’Amministrazione finanziaria di mantenere la facoltà di utilizzare i dati e le informazioni raccolti per effettuare accessi e verifiche nei confronti dei soggetti coobbligati e/o collusi. Di conseguenza questo procedimento di “emersione volontaria” appare, in prima battuta, di gran lunga meno favorevole degli scudi fiscali nei quali ci siamo imbattuti nel primo decennio del XXI. secolo, ed è proprio per questo motivo che ci troviamo a interrogarci sul motivo per il quale, chi non ha aderito agli scudi fiscali del 2001, del 2003, del 2009 dovrebbe aderire alla “collaborazione volontaria” introdotta dalla L. n. 186/2014. Ma fornire una risposta a questa domanda risulta essere molto agevole: è cambiato il contesto internazionale[12] e nazionale nel quale gli operatori economici si trovano a operare; intorno agli evasori si sono serrate sempre di più le maglie, il segreto bancario sta per cadere definitivamente e, di conseguenza, tutte le istituzioni – internazionali e nazionali – si sono impegnate negli ultimi anni per isolare gli Stati[13] che rappresentavano l’ultima roccaforte europea del segreto 9 10 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 bancario. Ciò premesso appare ancor più evidente come la “voluntary disclosure” raffiguri l’ultimo bus per gli evasori italiani che vogliono regolarizzare la propria posizione e definire un accordo onorevole con il fisco nazionale. 3. La relazione intercorrente tra le imposte IVIE e IVAFE e l’emersione volontaria Con la Circolare n. 27/E/2015, l’Agenzia delle Entrate, relativamente all’Imposta sul valore degli immobili situati all’estero (di seguito IVIE) e l’Imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (di seguito IVAFE) ha stabilito di fare propria una linea di condotta solo in parte congruente con il contenuto testuale della disposizione, ampliando l’ambito di applicazione della collaborazione volontaria anche all’IVIE e all’IVAFE. Tali imposte non risultano in nessuna circostanza citate dalla disciplina e la menzionata Circolare ammette che in alcun passaggio vengano richiamate palesemente. Il documento di prassi comunque afferma che una “lettura logico sistematica delle disposizioni in materia di procedura di collaborazione volontaria porta a ritenere che i benefici previsti dalla stessa possano essere riconosciuti anche con riguardo a tali imposte, per le quali, con riferimento al versamento, alla liquidazione, all’accertamento, alla riscossione, alle sanzioni e ai rimborsi nonché al contenzioso trovano applicazione le disposizioni previste per l’imposta sul reddito delle persone fisiche”. L’Ufficio tenta di far risaltare che, nella filosofia che guida il procedimento di emersione, la completezza delle informazioni e la collaborazione del contribuente qualificano il processo; per garantirne il perfezionamento i partecipanti alle spese dello Stato sono pertanto chiamati a mettere a disposizione dell’Ufficio tutti i documenti e le informazioni necessari per addivenire alla quantificazione degli eventuali maggiori imponibili, con riferimento anche ai contributi previdenziali e alle patrimoniali IVAFE e IVIE. Sulla scorta di queste pur imperfette motivazioni, le due imposte sul patrimonio all’estero sono ritenute anch’esse rientranti nella procedura di collaborazione volontaria internazionale, sebbene in carenza di violazioni in tema di monitoraggio fiscale e pertanto assoggettate alle pene pecuniarie, definite al minimo edittale e ridotte nella misura di un quarto. Non viene in alcun modo preclusa al partecipante alle spese dello Stato la possibilità di regolarizzare la propria posizione ai fini dell’IVIE e dell’IVAFE accedendo all’istituto del ravvedimento operoso. Sebbene sia stato fatto emergere dalla dottrina che l’IVIE e l’IVAFE non avrebbero potuto essere ricomprese all’interno del procedimento di emersione, l’interpretazione estensiva della disciplina caldeggiata dall’Amministrazione finanziaria si concretizza in un vantaggio per il contribuente e per il professionista che lo consiglia. Tanto è vero che il partecipante alle spese dello Stato potrà scegliere se optare per il ravvedimento operoso, anticipando la notifica di un avviso di accertamento per le menzionate patrimoniali, oppure se approfittare della riduzione sulle sanzioni nella misura disposta dalla collaborazione volontaria. In merito all’attività del dottore commercialista che assiste il contribuente nella procedura di emersione, non viene previsto che tali tributi vengano determinati all’interno della relazione esplicativa, né che il loro valore sia indicato nell’istanza di collaborazione volontaria. La Circolare n. 27/E/2015 ha precisato che devono essere prodotti “i documenti e le informazioni per la determinazione degli eventuali maggiori imponibili agli effetti anche dei contributi previdenziali e delle imposte IVAFE e IVIE”: in teoria tale documentazione dovrebbe essere già stata recuperata dai professionisti beneficiando del lavoro svolto dagli intermediari esteri per consentire la regolarizzazione delle violazioni in tema di monitoraggio fiscale e di imposte sui redditi. Tuttavia, il procedimento non potrebbe mai essere ritenuto invalido per l’insufficienza degli elementi necessari a liquidare l’IVIE e l’IVAFE, in quanto la Circolare ministeriale è stata resa pubblica nel tardo pomeriggio di giovedì 16 luglio 2015, e pertanto in prossimità delle vacanze estive, circostanza che complica notevolmente il reperimento dagli istituti di credito stranieri di eventuale documentazione integrativa entro la scadenza, prevista a tutt’oggi al 30 settembre 2015. 4. I prelievi consistenti non giustificati e il denaro detenuto in cassette di sicurezza Il chiarimento rappresentato dalla Circolare n. 27/E/2015 in merito ai prelievi non ha convinto gli operatori del settore interessati alla procedura di emersione volontaria. A parere dell’Agenzia delle Entrate, gli insufficienti chiarimenti relativi ai prelevamenti di valore significativo che depauperano il patrimonio illecitamente posseduto al di fuori dei confini nazionali, potrebbe costare il respingimento della domanda di emersione per lacune della medesima. Questo perché, la carente o infedele dimostrazione del rimpatrio, nel territorio nazionale delle disponibilità, o del loro impiego, potrebbe essere rappresentativa della circostanza che detti denari siano stati utilizzati per creare o acquisire un’analoga attività, al di fuori dei confini nazionali, volontariamente esclusa dal procedimento di emersione. Tuttavia, pur in vigenza della facoltà di effettuare tutte le verifiche ritenute necessarie, l’Amministrazione finanziaria in tale circostanza non possiede l’autorità per precludere la possibilità di depositare l’istanza di collaborazione volontaria a un contribuente nei confronti del quale ha un indimostrato “sospetto” circa la detenzione di attività finanziarie possedute all’estero e non riemerse, in considerazione del fatto che quanto viene dichiarato dal contribuente fa fede sino a prova contraria[14]. Il documento di prassi, infine, chiarisce che la soglia dei prelievi “per uso personale” considerata “ragionevole” dovrebbe essere individuata, in buona sostanza, nel rendimento degli investimenti illegalmente posseduti al di fuori dei confini nazionali[15]. Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Relativamente ai contanti conservati all’interno di cassette di sicurezza e che si ha la volontà di fare emergere, la linea sposata dall’Ufficio non ci convince sino in fondo in quanto, se da un verso ammette l’utilizzabilità delle “prove indirette” per supportare un prelievo effettuato dal conto estero e poi destinato alla cassetta di sicurezza, dall’altro richiede, come esempio, che, in tale circostanza, sia comprovato un accesso in una cassetta di sicurezza locata presso un istituto di credito italiano[16] in un periodo prossimo rispetto a quello nel quale si è dato corso ai prelievi. Ma la questione si complica notevolmente qualora il partecipante alle spese dello Stato avesse ingenuamente trasferito quel denaro contante all’interno della cassaforte della propria abitazione, anche nel caso in cui fosse in grado di documentare, grazie all’intervento di un notaio, l’esistenza di quelle somme[17] all’interno della cassetta di sicurezza domestica. obbliga a far salvi gli effetti degli atti impositivi, cronologicamente successivi a quelli di controllo). 5. Il decreto sulla certezza del diritto e le questioni ancora da definire Il Consiglio dei ministri del 31 luglio 2015[18] ha approvato, in via definitiva, il nuovo decreto sulla “certezza del diritto”, specificando l’ambito applicativo del raddoppio dei termini per violazioni penali tributarie, nonché la fase transitoria. Per prima cosa, si conferma, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 8 comma 2 L. n. 23/2014, che il raddoppio opera a condizione che la denuncia penale, per reati ricadenti nel D.Lgs. n. 74/2000, sia presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria del termine. Ciò si è reso necessario per evitare che l’Amministrazione finanziaria, in forza del differente orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 247/2011, abbia a disposizione un tempo eccessivamente lungo per notificare gli atti impositivi, e che, di conseguenza, tale possibilità si concretizzi in una maniera per eludere il termine ordinario di decadenza. Inoltre, vengono fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire e dei processi verbali di constatazione (articoli 5 D.Lgs. n. 218/1997 e 24 L. n. 4/1929) notificati o dei quali il contribuente abbia avuto conoscenza entro la data in cui entra in vigore il decreto, “sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015”. Non sono fatti salvi, ai fini del raddoppio con denuncia presentata, elementi rinvenuti oltre il termine ordinario di decadenza, i questionari, gli inviti a comparire ex articolo 32 del Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 600/1973, le richieste di informazioni su indagini bancarie, i processi di verifica giornalieri e quelli di accesso. La norma è molto chiara nel fare riferimento esclusivamente alle due tipologie di atti indicate. Occorre inoltre una vincolante coincidenza tra il contenuto del verbale e quello dell’atto impositivo. Nell’ipotesi in cui un verbale, già consegnato prima dell’entrata in vigore del decreto e inerente a un’annualità ormai decaduta, contenga rilievi penalmente rilevanti solo ai fini IVA, durante la fase dell’accertamento, l’Amministrazione finanziaria potrà contestare, entro il termine raddoppiato, solo una maggiore IVA, e non certamente le altre imposte come l’IRPEF o l’IRES. Si precisa, però, che il raddoppio opera per le denunce presentate dall’Amministrazione finanziaria all’interno della quale viene ricompresa anche la Guardia di Finanza. Da ciò si dovrebbe dedurre che, se, ora come allora, è certa l’applicabilità del raddoppio quando la denuncia è inviata ai sensi dell’articolo 331 del Codice di procedura penale (di seguito CPP) (ad esempio al termine della verifica, dopo la redazione del processo verbale di constatazione), non è, e non sarà, così per le denunce inviate ai sensi dell’articolo 330 CPP. Si tratta delle denunce notificate non in occasione del controllo fiscale, ma in seguito a indagini eseguite dalla polizia giudiziaria e, sebbene la notifica avvenga a mezzo della Guardia di Finanza, non si rientra all’interno dell’ambito applicativo dell’articolo 331 CPP. Il secondo elemento concerne la decorrenza della nuova norma, in ragione del fatto che la legge delega impone di fare salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di entrata in vigore del decreto. Il Governo pare aver trovato una soluzione “intermedia”, che possa bilanciare equamente le esigenze dei contribuenti e quelle dell’Erario. Infatti, per prima cosa si ribadisce, come da testo precedente, che rimangono salvi gli effetti degli atti impositivi già notificati alla data di entrata in vigore del decreto (cosa che appare dovuta, visto che la legge delega, parlando di atti di controllo, implicitamente Il D.Lgs. sulla certezza del diritto ha introdotto delle migliorie anche sul fronte della salvaguardia dai reati penalmente rilevanti. Anche le attività e le imposte riferite ad anni per i quali siano decaduti i termini per l’accertamento fiscale (quattro per la dichiarazione infedele e cinque per l’omessa dichiarazione) hanno la facoltà di accedere alla collaborazione volontaria beneficiando della riduzione delle sanzioni amministrative tributarie e della non punibilità penale. La formulazione vigente della “voluntary disclosure” non permette l’estensione dei benefici della procedura di emersione spontanea anche ai reati antecedenti all’arco temporale dei cinque anni[19]. Pertanto in precedenza si correva il rischio di regolarizzare dal punto di vista amministrativo senza riuscire a fare altrettanto dal punto di vista penale, nel caso di possesso all’estero di capitali anche precedentemente agli anni 2009 e 2010. Oltre a ciò, e pertanto prescindendo da questa vicenda per la quale molti studi professionali hanno già predisposto un buon numero di istanze di “voluntary disclosure” che vengono tenute in “stand by” in attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto sulla certezza del diritto che ha consentito di conoscere 11 12 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 gli anni ancora accertabili e pertanto da definire, esistono altre criticità che si riferiscono ai rapporti fra Amministrazione finanziaria e contribuenti, in tutti i casi nei quali questa procedura, che trova il suo avvio nell’istanza presentata all’Agenzia delle Entrate, durante il suo percorso, per una ragione o per un’altra, si imbatta in un intoppo, si interrompa e non riesca a giungere a quella che è la sua naturale e sperata conclusione. In tutti i casi in cui si manifesta una crisi di collaborazione tra partecipante alle spese dello Stato e Amministrazione finanziaria, la “voluntary disclosure” rischia di insabbiarsi con una serie di conseguenze molto pericolose sia per il contribuente, sia per i suoi consulenti. Tentiamo in concreto di comprendere in quali problematiche ci si può imbattere una volta presentata l’istanza e quest’ultima, per un motivo o per un altro, sebbene sia stato correttamente completato il lavoro di raccolta dei dati, delle informazioni e dei documenti richiesti dai funzionari dell’Amministrazione finanziaria e dell’Ufficio centrale per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali (UCIFI), dovesse incappare, suo malgrado, in un intoppo. Quali sono le tutele del contribuente nel caso in cui la procedura di emersione volontaria non si definisca? L’interrogativo ce lo si pone poiché, qualora una “voluntary disclosure” non si chiuda con l’adesione in quanto l’Amministrazione finanziaria e il contribuente non riescono a trovare un accordo sull’oggetto dell’emersione, si verifica la peculiare circostanza che il contribuente, dopo essersi autodenunciato e, di conseguenza, dopo aver fornito all’Agenzia delle Entrate tutti i documenti e le informazioni relative alle proprie attività estere e dopo aver ricostruito tutte le evoluzioni che il patrimonio in emersione ha sviluppato nel corso degli anni e i correlati redditi che nel frattempo ha generato, e dopo avere infine calcolato le imposte e gli interessi dovuti, si viene a trovare nella particolare situazione in conseguenza della quale, se l’Amministrazione finanziaria decide di non portare a conclusione la procedura di adesione, non ha vie di scampo. Ma quale tipo di tutela possiamo ipotizzare a salvaguardia del contribuente in tutti quei casi in cui la “voluntary disclosure” non si riesca a perfezionare? Un preliminare problema viene generato dalla stessa norma che disciplina la “collaborazione volontaria” e che in realtà non fa alcuna chiarezza in merito al contraddittorio endoprocedimentale, che dovrebbe instaurarsi tra Amministrazione finanziaria e contribuente nel momento in cui viene depositata l’istanza, seppur prima di giungere al provvedimento conclusivo della “emersione volontaria”. Nel nuovo comma 5-quater D.L. n. 167/1990[20] si fa menzione all’“invito al contraddittorio”[21]; tuttavia proseguendo nella lettura della disciplina, nei commi successivi, troviamo menzionato l’“invito a comparire”[22], facendo risaltare la peculiare correlazione tra queste due differenti tipologie di convocazione. L’invito a comparire ci fa tornare in mente in maniera un poco vessatoria l’articolo 32 D.P.R. n. 600/1973 e pertanto la contingenza nella quale il contribuente viene chiamato in causa non per instaurare un contraddittorio con l’Ufficio, ma bensì per fornire informazioni e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento ed è pertanto la disciplina stessa che ci porta sulla difensiva in quanto risulta strutturata in maniera tale da non consentire di comprendere, anche a un lettore attento, se il menzionato contraddittorio endoprocedimentale[23] debba effettivamente essere istituito in quanto tale, oppure si pone il problema di dover comparire di fronte all’Amministrazione finanziaria, esclusivamente per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento; ciò rappresenta una peculiare sovrapposizione della disciplina che si aggroviglia involontariamente tra l’invito al contraddittorio e quello a comparire. Il problema si accentua ulteriormente considerando che, quando la disciplina statuente la “voluntary disclosure” regolamenta la data fissata per la comparizione, la stessa collega questo momento non all’instaurazione del contraddittorio ma all’adesione ai contenuti dell’invito, come se l’approvazione potesse avvenire senza che il contribuente abbia avuto modo, in precedenza, di confrontarsi con l’Amministrazione finanziaria per determinare i contenuti dell’accertamento al quale aderire. Si tratta di problematiche di natura tecnica che molto probabilmente scaturiscono esclusivamente da un’imperfetta formulazione della norma e che possono essere superate attraverso una interpretazione sistematica; tuttavia qualche dubbio su questa carenza, che sgorga specificamente dalla norma, non ci abbandona definitivamente; non è possibile non riconoscere ai dirigenti centrali dell’Agenzia delle Entrate di essersi costantemente espressi in modo molto favorevole al contribuente e, in considerazione di ciò, il contraddittorio tra le parti si ritiene che verrà sicuramente instaurato[24]; tuttavia non siamo ancora riusciti a comprendere se il contraddittorio debba considerarsi preventivo oppure se il contribuente sia chiamato a comparire esclusivamente per sottoscrivere l’adesione, così come predisposta anticipatamente dall’Ufficio. A nostro parere esistono ragioni sistematiche per ritenere che il contraddittorio endoprocedimentale debba sempre essere instaurato in quanto, la necessità di esperire il contraddittorio prima di giungere alla stesura del provvedimento finale, rappresenta una necessità da tempo affermata dalla giurisprudenza comunitaria della Corte di Giustizia dell’Unione europea (di seguito CGUE)[25] , che considera necessaria la partecipazione attiva del contribuente già nella fase di formazione del provvedimento amministrativo, indipendentemente dalla possibilità concessa al partecipante alle spese dello Stato, di proporre ricorso successivamente alla notifica di tale provvedimento; di conseguenza il contraddittorio dovrà necessariamente avvenire prima che il provvedimento venga notificato al contribuente. Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Tuttavia la questione appare ancora controversa; non possiamo infatti non considerare che è pendente di fronte alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione un’ordinanza attraverso la quale la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha richiesto esplicitamente alle Sezioni Unite di fornire un chiarimento sulle eventuali conseguenze della violazione del diritto al contraddittorio e, di conseguenza, su quelle che saranno le ripercussioni qualora il diritto al contraddittorio endoprocedimentale non venisse rispettato. Restiamo pertanto in attesa di una sentenza delle Sezioni Unite, che auspicabilmente si adeguerà a quella della giurisprudenza della CGUE; tra l’altro non possiamo dimenticare che una soluzione normativa espressa, può giungere anche attraverso l’attuazione della delega fiscale in quanto è previsto al suo interno un passaggio nel quale si disquisisce effettivamente di contraddittorio e pertanto anche in quel punto potrebbe essere introdotta una norma che dovrebbe fare chiarezza, una volta per tutte, in merito all’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale. Tuttavia, nonostante questa ricostruzione sistematica, la giurisprudenza della CGUE e le buone intenzioni espresse dall’Amministrazione finanziaria, se il menzionato contraddittorio non venisse attivato in seguito a un procedimento di “voluntary disclosure”, quali sono le tutele che competono al contribuente? Sicuramente spetta la salvaguardia differita[26] rappresentata dalla possibilità di ricorrere contro l’atto finale; tuttavia in questa prospettiva il contribuente perderebbe immediatamente il beneficio delle sanzioni ridotte nella misura di un sesto e, di conseguenza, subirebbe un pregiudizio imputabile esclusivamente alla possibilità di reagire solo differitamente. Le istanze recanti l'indicazione dei maggiori imponibili esteri da assoggettare a tassazione dovranno essere presentate telematicamente. Sarà l'Ufficio a liquidare imposte e sanzioni dovute, previo invio di una relazione accompagnatoria che fornisca una ricostruzione fattuale e giuridica delle violazioni da regolarizzare. 6. Le problematiche connesse alla presentazione dell’istanza di “voluntary disclosure” Ma quali ulteriori disfunzioni, in aggiunta a quella che grava persistentemente sul contraddittorio endoprocedimentale, sono in grado di rappresentarsi[27] e affliggere la procedura di emersione? All’interno della procedura di “collaborazione volontaria” è possibile focalizzare ulteriori alterazioni. Qualora un contribuente invii un’istanza di “voluntary disclosure”, ricostruendo per filo e per segno ogni passaggio della propria posizione e, di conseguenza, il proprio patrimonio accumulato all’estero e i proventi generati da quest’ultimo, ma la sua istanza non ricevesse alcuna risposta da parte dell’Agenzia delle Entrate, circostanza che non ci sentiamo di escludere, su quali garanzie procedimentali potrà contare il partecipante alle spese dello Stato nell’ipotesi di silenzio da parte dell’Amministrazione finanziaria? L’Ufficio potrebbe decidere di non rispondere a una istanza di “voluntary disclosure” in quanto potrebbe ritenerla inammissibile ovvero non sufficientemente avvalorata dalla documentazione prodotta, perfino dopo l’eventuale integrazione richiesta al contribuente anche se puntualmente fornita da quest’ultimo. In questa malaugurata circostanza il contribuente dovrà attendersi un avviso di accertamento, notificato nelle modalità e nei termini ordinari e tutto ciò anche qualora le obiezioni effettuate dall’Agenzia delle Entrate non risultassero corrette. L’unica tutela per il contribuente, che possiamo individuare, consiste nell’interpretare la mancata emissione dell’invito a comparire quale silenzio rifiuto a dar seguito all’istanza e, di conseguenza, essere considerato atto impugnabile nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 19 D.Lgs. n. 546/1992. Proseguendo la nostra riflessione sui potenziali ostacoli al perfezionamento dell’istanza di emersione volontaria, ci corre l’obbligo di esaminare la circostanza nella quale il contribuente riceva l’invito a comparire dall’Amministrazione finanziaria, ma non condivida la quantificazione delle imposte e degli interessi effettuata dall’Ufficio nonché delle relative sanzioni. In questa peculiare contingenza, qualora il partecipante alle spese dello Stato non provvedesse a corrispondere, entro quindici giorni dalla notifica, le somme riportate nell’invito a comparire, la procedura di emersione non si potrebbe perfezionare. Il contribuente conserverà certamente la facoltà di avviare la procedura di accertamento con adesione ma, anche in questa circostanza, vanificherà il beneficio della riduzione delle sanzioni nella misura di un sesto del dovuto non avendo aderito alla quantificazione effettuata dall’Ufficio. Il contribuente pertanto, non sottoscrivendo l’atto di adesione predisposto dall’Amministrazione finanziaria quale conclusione della fase di contraddittorio, non perfezionerà la procedura di emersione e, di conseguenza, il partecipante alle spese dello Stato subirà un accertamento in base alle regole ordinarie. Tuttavia il mancato accordo comporterà ulteriori pericoli per il contribuente quali il raddoppio dei termini di accertamento e delle sanzioni[28] , la contestazione dei reati tributari ed eventualmente penali che il contribuente stesso ha provveduto a confessare all’Amministrazione finanziaria e la conseguente decadenza della prevista tutela penale[29]. Pertanto il rifiutare ciò che l’Ufficio propone in fase di adesione, conduce il contribuente in un vicolo cieco, con la pericolosa conseguenza che Paesi come il Liechtenstein, la Svizzera e il Principato di Monaco vengano considerati come non collaborativi, in quanto la qualificazione di Paese black list con accordo viene riconosciuta per queste nazioni esclusivamente in presenza 13 14 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 di una “voluntary disclosure”, con il conseguente raddoppio dei termini di accertamento, delle sanzioni e la contestazione degli eventuali reati penali/tributari. 7. L’impugnabilità dei verbali relativi all’accertamento con adesione Sulla base delle considerazioni effettuate ci siamo chiesti se il contribuente avesse la facoltà di impugnare i verbali interni relativi all’accertamento con adesione o il verbale negativo che chiude il procedimento di accertamento. Una parte autorevole della dottrina[30] ritiene che sia possibile ricorrere contro tutti gli atti che manifestino una pretesa tributaria individuata, senza la necessità di attendere che la stessa arrivi alla forma autoritativa di uno degli atti impugnabili previsti dall’articolo 19 D.Lgs. n. 546/1992. Tuttavia, qualora decidessimo di utilizzare questa più ampia visione, argomentando che si tratta di un atto che determina una pretesa tributaria individuata e pertanto impugnabile, come potremmo ricorrere avverso a un atto, nel caso di specie un verbale negativo che dovrebbe chiudere il procedimento, il cui contenuto difficilmente si presta a formare oggetto di un processo di “impugnazione-merito” [31] come quello tributario, o meglio come potremmo utilizzare un verbale che chiude negativamente la procedura di adesione, considerandolo un atto che consente di entrare nel merito e di conseguenza di instaurare un giudizio dinnanzi a una Commissione Tributaria? Nel caso in cui non riuscissimo a trovare una risposta convincente alle nostre domande potremmo sempre fare affidamento alla tutela estrema, rappresentata dalla cosiddetta “tutela differita”; il contribuente potrà ricorrere contro l’avviso di accertamento che gli sarà notificato all’indomani del mancato perfezionamento della procedura di emersione e in quella sede potrà far valere, in ogni caso, il suo diritto a beneficiare della procedura di emersione in ragione di quanto indicato nell’istanza e con l’obiettivo di ottenere, in sede contenziosa, la dichiarazione di “illegittimità derivata” [32] dell’atto impugnato da parte della Commissione Tributaria adita. Di conseguenza, il contribuente avrà la facoltà di far valere il proprio diritto a beneficiare della procedura di emersione in forza di quanto indicato nell’istanza e non sulla rideterminazione effettuata dall’Ufficio. La Suprema Corte di Cassazione ha affermato esplicitamente che, impugnando l’iscrizione a ruolo generata dall’Amministrazione finanziaria che non ha ritenuto accoglibile l’istanza di condono, il contribuente avrebbe potuto sempre far valere, tra le proprie difese, anche quella relativa al diritto di beneficiare del condono negato dall’Amministrazione finanziaria. Pertanto risulta essere possibile, in fase di tutela differita, ricorrendo contro l’avviso di accertamento notificato secondo le modalità ordinarie dell’Amministrazione finanziaria, far valere il diritto di beneficiare della procedura di “voluntary disclosure”, con tutto quello che ne consegue in termini di sanzioni ridotte, depenalizzazione e così via. 8. Le problematiche connesse alla riscossione L’ultima disfunzione che possiamo prevedere in fase di perfezionamento del procedimento di emersione è quella circoscritta alla fase della riscossione, nel caso in cui il contribuente non ottemperi agli obblighi di versamento scaturenti dall’avviso di accertamento con adesione o dall’avviso di irrogazione delle sanzioni. Anche in questa circostanza la procedura va in crisi, ma la contingenza ci preoccupa solo parzialmente in quanto anche la peggior conseguenza, seppur gravosa per il contribuente, risulterebbe plausibile in quanto, il partecipante alle spese dello Stato ha comunque accettato e sottoscritto le determinazioni del “quantum debeatur”[33] effettuata in contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria, sebbene non abbia adempiuto alle obbligazioni tributarie direttamente scaturenti dal perfezionamento della “collaborazione volontaria”. Anche in questa circostanza, saltata la “voluntary disclosure”, si applicheranno le norme generali e di conseguenza le imposte, gli interessi e le sanzioni piene e scatteranno i reati penali/ tributari; ma la questione, tutto considerato, non ci preoccupa oltre misura in quanto la scelta di non pagare tempestivamente quanto accettato e sottoscritto in fase di contraddittorio, rappresenta una circostanza difficilmente difendibile. Altro fronte critico della procedura di “voluntary disclosure” afferisce al diritto del contribuente di avvalersi della facoltà di non rispondere. La procedura di emersione implica che il contribuente debba rendere edotta l’Agenzia delle Entrate circa le violazioni commesse in merito alla normativa sul monitoraggio fiscale e, nel dettaglio, sia le violazioni dichiarative in connessione con gli archivi esteri oggetto di emersione, sia quelle non in connessione con gli archivi esteri. Nel rilasciare le menzionate dichiarazioni a fronte delle richieste da parte dell’autorità fiscale, come per esempio la richiesta di consegnare materiale probatorio suscettibile di causare autoincriminazioni penalmente rilevanti, ci siamo chiesti se il contribuente possa avvalersi della facoltà di non rispondere o fosse tenuto a rispondere esaustivamente. L’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (di seguito CEDU) ci fornisce qualche informazione aggiuntiva in quanto in essa si afferma che il diritto al silenzio oltrepassa i confini del processo penale e risulta essere opponibile anche all’interno dei processi amministrativi. In materia sanzionatoria la Corte europea dei diritti dell’uomo (di seguito Corte EDU), alla quale si è conformata la Corte di Cassazione, ha stabilito che in presenza di determinati requisiti, la lite sulla sanzione penale e la lite sulla sanzione amministrativa rientrano nel Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 campo di applicazione dell’articolo 6 CEDU, in quanto le controversie assumono carattere penale considerata la gravità delle loro conseguenze e ciò garantirebbe la possibilità di far valere il diritto al silenzio. Tuttavia in una procedura caratterizzata dalla collaborazione volontaria il “nemo tenetur” pare contrastare energicamente il principio di leale collaborazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente, che sta alla base dell’emersione volontaria e se pertanto un contribuente decidesse volontariamente di collaborare risulterebbe complicato ipotizzare di poter beneficiare del diritto al silenzio in quanto in evidente contrasto con quanto disposto dallo statuto dei diritti del contribuente sul principio di leale collaborazione tra Amministrazione finanziaria e partecipante alle spese dello Stato. In aggiunta a ciò non si può fare a meno di ricordare che per la Suprema Corte di Cassazione il principio del silenzio[34] non risulta essere costituzionalizzato[35] e, pertanto, il contribuente è sempre tenuto a produrre documenti attendibili all’Ufficio non avendo il diritto di mentire; se lo facesse commetterebbe un reato appositamente introdotto dal legislatore, caratterizzato dalle false esibizioni e dalle false comunicazioni all’Amministrazione finanziaria[36] , immesso nel nostro ordinamento nel corso del 2011 per tutelare il principio della sincera e fattiva collaborazione con l’Ufficio; ed è proprio per questo motivo che il diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere difficilmente potrà essere invocato all’interno del procedimento di “emersione volontaria”. in relazione al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo – mentre dall’altro sono tenuti a osservare l’obbligo della riservatezza, anche questo tutelato dalla legge in quanto la violazione all’obbligo del riserbo – sempre che il fatto non costituisca un reato più grave – viene punito con l’arresto da sei mesi a un anno e con un’ammenda che può raggiungere la cifra di 50’000 euro. In verità esistono delle correlazioni nella giurisprudenza comunitaria[37] a tutela del silenzio del contribuente, tuttavia in una procedura caratterizzata dalla collaborazione spontanea che deve essere totale, come affermato sia dalla norma sia dai documenti di prassi[38], riscontriamo un evidente contrasto tra il diritto ad avvalersi della facoltà di non rispondere e il principio della leale e completa collaborazione, che dovrebbe caratterizzare la procedura di emersione volontaria; a fronte di tutto ciò non siamo in grado di prevedere la direzione verso la quale potrà indirizzarsi la giurisprudenza di merito e di legittimità, pur temendo che, avendo gli ermellini già affermato in passato che il principio del nemo tenetur non è costituzionalizzato[39], non esistano elementi particolarmente fondati per tutelare il contribuente utilizzando questo strumento di difesa. All’interno della L. n. 186/2014 è contenuta una disposizione ad hoc a tutela del professionista che dispone che, qualora il contribuente, nell’ambito della procedura di emersione, esibisca o trasmetta documenti falsi in tutto o in parte o fornisca dati che non rispondono al vero, quest’ultimo viene punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. La disciplina prevede inoltre che il partecipante alle spese dello Stato sia tenuto a rilasciare, al professionista che lo assiste, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale attesti che gli atti e i documenti, consegnati per espletare l’incarico, sono veritieri e che i dati e le notizie fornite sono rispondenti al vero. Individuata una tutela indiretta del professionista all’interno della norma sulla “voluntary disclosure” nella dichiarazione che si ottiene dal contribuente, tutto ciò non ci porta a escludere la responsabilità dell’esperto in quanto quest’ultimo, consapevole del “mendacio”, potrebbe accollarsi il rischio dell’eventuale falsità dei documenti nonostante la dichiarazione sostitutiva rilasciata dal contribuente. Il professionista quindi, ottenuto il conferimento dell’incarico, deve verificare attentamente la clientela attraverso il compimento di tutte le attività di controllo previste dalla normativa, soprattutto qualora sospetti il riciclaggio o abbia dei dubbi in merito alla veridicità delle informazioni e dei documenti ricevuti. 9. La responsabilità dei professionisti L’ultimo profilo di rischio della “voluntary disclosure” è rappresentato dalla responsabilità dei professionisti in quanto, il reato di false comunicazioni all’Amministrazione finanziaria può riguardare anche gli esperti che assistono i contribuenti nella procedura di emersione e che redigono la relazione di accompagnamento. I professionisti si vengono a trovare tra l’incudine e il martello in quanto, da un lato devono adempiere agli obblighi previsti avendo riguardo alle informazioni possedute o acquisite nell’ambito della loro attività istituzionale o professionale – ove peraltro, in presenza di indicatori di rischio, dovrebbero ottenere dai clienti informazioni ulteriori sulla natura e sullo scopo delle operazioni da svolgere e, se ne ricorrono i presupposti, segnalare all’autorità giudiziaria questo tipo di operazioni che presentano elementi di sospetto Ebbene, tutto ciò considerato, si possono riscontrare i presupposti per opporre il segreto professionale? Può il professionista tutelarsi utilizzando il segreto professionale nello stesso modo in cui il contribuente può proteggersi ricorrendo al “nemo tenetur”? L’unico elemento di collegamento che abbiamo individuato, seppure con una tutela relativa, è rappresentato dall’articolo 8 CEDU[40] sia con riferimento alle verifiche compiute dall’Amministrazione finanziaria presso lo studio, sia in relazione alla tutela della corrispondenza che il professionista intrattiene con i propri clienti. Ci sono due sentenze del 2008[41] della Corte EDU e una sentenza del 2008 della Corte Costituzionale[42] che danno degli elementi per opporre il segreto professionale; tuttavia non siamo in grado di sapere quanto questi principi possano “tenere” nei confronti di una procedura di emersione volontaria per il fatto che si tratta di un procedimento spontaneo, facoltativo e integrale. 15 16 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Dall’Amministrazione finanziaria abbiamo avuto in più di un’occasione le più ampie assicurazioni in merito alla compliance delle loro strutture preposte, ma tuttavia solo quando ci troveremo di fronte al funzionario dell’Agenzia delle Entrate comprenderemo il loro reale atteggiamento. Ciò che ci sentiamo di consigliare ai contribuenti emergenti e ai professionisti che li assistono durante la procedura di emersione, al fine di circoscrivere le proprie rispettive responsabilità[43] è di menzionare, in sede di richiesta di documenti, di dati e di notizie da parte degli Uffici, il diritto a non esibire, trasmettere o fornire documenti o notizie di cui l’Amministrazione finanziaria è già in possesso[44]. Nel caso invece di generiche richieste di esibizione di documentazione che verranno effettuate dall’Ufficio, esistendo casi in cui il procedimento di “voluntary disclosure” richiede la predisposizione di masse enormi di documenti, riteniamo opportuno far verbalizzare che non è l’intenzione del contribuente quella di sottrarsi alla richiesta dell’Ufficio ma che, in virtù del principio di collaborazione, si chiede che venga specificato per iscritto a quale anno, a quale tipo di imposta e a quale particolare documento si riferisce la richiesta. Certamente non si vuole rischiare di apparire scarsamente collaborativi ma proprio per questo sarà necessario comprendere con la massima precisione quale tipo di documentazione l’Amministrazione finanziaria sta richiedendo; si potrebbe far verbalizzare per esempio, qualora l’Ufficio richieda documentazione bancaria, che al momento il contribuente è impossibilitato a produrla ma che per quella documentazione è stata presentata la richiesta di copia o di estratto all’istituto di credito di riferimento, per evitare di divenire inadempienti a causa dei ritardi accumulati da soggetti terzi. 10. Conclusioni Nei casi di diniego dovremo pertanto provvedere a impugnare l’avviso a comparire facendo formalizzare il rifiuto anche all’interno del verbale di mancata adesione, in modo da avere a disposizione un atto da contestare e al quale applicare, eventualmente, tutte le tutele cautelari del caso poiché, nel momento in cui a un contribuente verrà notificato un avviso di accertamento confezionato con le regole ordinarie, lo stesso, a nostro sommesso avviso, avrà sostanzialmente già perduto. A Vostro parere, sarebbe piacevole per un difensore, ma ancor di più per il proprio assistito, trovarsi davanti a un giudice tributario a disquisire di denari occultati in Liechtenstein, dissertando su improbabili commi della norma e sulla loro interpretazione? Noi siamo convinti che si sia già perduto ancor prima di iniziare a discutere. Per questo motivo sarà necessario verificare, prima che l’istanza venga presentata, che “every stone has to be turned” [45] e che, di conseguenza, non si possa incappare in qualche inconveniente che impedisca il perfezionamento della collaborazione volontaria richiesta. Riteniamo pertanto che il non aver individuato una corsia preferenziale di gestione delle crisi di collaborazione, prevedendo che tutto rifluisca nell’ordinario tritarifiuti del procedimento e del contenzioso tributario, rappresenti una delle carenze più rilevanti di questo istituto giuridico così importante e attuale. Elenco delle fonti fotografiche: http://giornalesm.com/wp-content/uploads/2015/07/Voluntar yDisclosure-3-Imc.jpg [03.08.2015] http://www.infoinsubria.com/wp-content/uploads/2015/06/Voluntary. jpg [03.08.2015] http://www.forexinfo.it/IMG/arton23817.jpg [03.08.2015] http://www.studiogiallo.eu/wp-content/uploads/2015/06/svizzerabanche.jpg [03.08.2015] http://www.uniteis.com/dw/wp-content/uploads/2015/06/voluntarydisclosure.jpg [03.08.2015] http://static.milanofinanza.it/upload/img/TMFI/201503201927058232/ img402234.jpg [03.08.2015] http://w w w.notaiobonifrancesco.it/site_files/wp-content/uploads/2014/12/documenti700.jpg [03.08.2015] http://giornalesm.com/wp-content/uploads/2014/07/Banche-Svizzerein-Italia.jpg [03.08.2015] Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 [1] Giano (latino: Ianus) è il Dio degli inizi, materiali e immateriali, ed è una delle divinità più antiche e più importanti della religione romana, latina e italica. Solitamente è raffigurato con due volti, poiché il Dio può guardare il futuro e il passato ma anche perché, essendo il Dio della porta, può guardare sia all’interno sia all’esterno. A causa di un errore d’interpretazione del cosiddetto fegato di Piacenza, si è ritenuto che fosse stato venerato anche presso gli Etruschi con il nome di Ani. [2] Questa volta non più rinnovabile. [3] È stato introdotto con l’articolo 3 della Legge (di seguito L.) n. 186/2014, l’articolo 648-ter1 del Codice penale, cosiddetto “Autoriciclaggio”, oltre che una modifica all’articolo 25-octies del Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 231/2001, che terrà adesso in considerazione anche questo nuovo reato (entrata in vigore il 1. gennaio 2015). L’autoriciclaggio consiste nell’attività di occultamento dei proventi derivanti da crimini propri; si riscontra soprattutto a seguito di particolari reati, come ad esempio: l’evasione fiscale, la corruzione e l’appropriazione di beni sociali. [4] Cavallini Stefano/Troyer Luca, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino ingombrante”, in: Diritto penale contemporaneo. [5] Articoli da 2 a 7 D.Lgs. n. 74/2000. Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 L. n. 205/1999. [6] È stato approvato dal Consiglio dei Ministri del 26 giugno 2015 il testo del D.Lgs. sulla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario. La bozza, ora alle Camere per l’approvazione definitiva, contiene la tanto attesa modifica dei reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, così come era stato sancito nella legge delega fiscale. [7] Che si aggiungono allo sblocco delle posizioni di San Marino e Lussemburgo. [8] Sono validi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative, i processi verbali di constatazione della Guardia di Finanza e gli inviti a comparire di cui il contribuente ne ha avuto conoscenza entro la data di entrata in vigore del D.Lgs. ma a condizione che questi atti di controllo con la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015. [9] Decreto legge (di seguito D.L.) n. 350 del 2001. [10] Articolo 1 comma 2-bis D.L. n. 12/2002 (L. n. 73/2002) e articoli da 6 a 6-quinquies D.L. n. 282/2002 (L. n. 27/2003). [11] L’articolo 13-bis D.L. n. 78/2009, convertito, con integrazioni e modificazioni, dalla L. n. 102/2009, successivamente corretto dal D.L. n. 103/2009. [12] Oggi ci sono gli accordi dei 51 Paesi e dal 2018 con i dati 2017 ci sarà lo scambio di informazioni automatico, oltre agli accordi bilaterali, ad esempio quelli che hanno firmato la Svizzera, il Liechtenstein e il Principato di Monaco sulla base dell’articolo 26 del Modello OCSE di Convenzione fiscale. [13] Svizzera, Monte Carlo, Jersey, eccetera. [14] Che, se provata, comporta conseguenze penali gravi in capo al contribuente. [15] In mancanza di versamenti di contante. [16] Posseduta presso un intermediario finanziario nazionale. [17] Anche solo parzialmente. [18] Il Consiglio dei ministri del 31 luglio 2015 ha approvato in via definitiva il decreto legislativo sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente. [19] I tempi della prescrizione penale risultano essere più lunghi rispetto a quelli di decadenza dell’accertamento tributario. [20] D.L. n. 167/1990. Rilevazione a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori; D.L. convertito con modificazioni dalla L. n. 227/1990, norma che attualmente disciplina la collaborazione volontaria. [21] Il contribuente può essere invitato dall’Agenzia delle Entrate ad avviare un contraddittorio su un’ipotesi di pretesa fiscale e sui motivi che l’hanno determinata. Se il contribuente accetta il contenuto dell’invito (ossia la pretesa tributaria contenuta nello stesso), beneficia di un regime sanzionatorio agevolato (le sanzioni sono ridotte a un sesto del minimo previsto per legge). Nel caso in cui, invece, il contribuente non intenda aderire al contenuto dell’invito - rinunciando, in tal modo, al regime sanzionatorio agevolato - può recarsi presso l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate nel luogo e nella data stabiliti, per avviare il contraddittorio, e fornire elementi o dati che consentano di modificare in tutto o in parte la pretesa dell’Amministrazione finanziaria. La definizione dell’invito al contraddittorio si realizza con l’acquisizione dell’assenso del contribuente e il pagamento delle somme dovute, entro il quindicesimo giorno antecedente la data fissata per la comparizione. Per ulteriori informazioni consultare la relativa scheda adempimento “Adesione all’invito al contraddittorio”. Attenzione: la possibilità di aderire, con conseguente riduzione delle sanzioni, esiste per gli inviti al contraddittorio in materia di imposte sui redditi, di imposta sul valore aggiunto e di altre imposte indirette, notificati entro il 31 dicembre 2015. [22] Il primo momento di confronto tra Agenzia delle Entrate e contribuente si ha mediante la notifica dell’invito a comparire. Tramite tale atto, il contribuente viene invitato, appunto, a comparire per fornire dati e notizie rilevanti nonché per esibire documenti relativamente alle spese sostenute nel corso dell’anno, o alle spese presunte dal Decreto Ministeriale del 24 dicembre 2012, relative al mantenimento di beni nella sua disponibilità, come autovetture, natanti e immobili. Ricevuto l’invito a comparire, il contribuente ha l’obbligo di presentarsi alla data fissata per l’incontro e, se le giustificazioni che egli adduce vengono ritenute persuasive, la pratica potrà subito essere archiviata. Occorre evidenziare che, la mancata comparizione del contribuente può comportare l’irrogazione di una sanzione amministrativa da 258 a 2’065 euro. In linea di principio, i documenti che non vengono prodotti a seguito di circostanziata e specifica richiesta contenuta nell’invito non potranno più essere utilizzati in momenti procedimentali successivi (ciò non succede se nell’invito è presente un generico invito a produrre documenti idonei a giustificare la totalità delle spese sostenute). [23] La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 19667/2014 ha riconosciuto anche nel nostro ordinamento la giusta rilevanza al “contraddittorio endoprocedimentale” affermando che “il contraddittorio endoprocedimentale […] costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa” e costituisce condizione di legittimità della pretesa tributaria. [24] In una sorta di lascia o raddoppia perché nella normativa si lascia intendere che se non passa l’istanza così com’è, si verrà chiamati a corrispondere le sanzioni nella misura di un terzo anziché in quella di un sesto. [25] CGUE, 18 dicembre 2008, causa C-349/07, in: GT-Riv. dir. trib., 2009, pagina 203 con commento di Marcheselli Alberto, Il diritto al contraddittorio nel procedimento amministra- tivo tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario. Il precedente di tale decisione si può rinvenire nella sentenza Cipriani, 12 dicembre 2002, causa C-395/00 in materia di accise relativa ad una controversia fra Distillerie Fratelli Cipriani S.p.A. contro Ministero delle Finanze. [26] Come riconosciuta dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite Civile, sentenza del 16 marzo 2009, n. 6315. [27] Che tuttavia riteniamo possano essere superate attraverso o disposizioni normative o sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione o i buoni uffici dell’Amministrazione finanziaria in fase di contraddittorio. [28] Per gli investimenti detenuti nei Paesi black list con accordo “Svizzera, Liechtenstein, Principato di Monaco”. [29] Compreso il reato di autoriciclaggio. [30] Glendi Cesare, La giurisdizione nel quadro evolutivo di nuovi assetti ordinamentali, in: Dir. Prat. Trib., 2009, pagina 773; Nicotina Ludovico, L’ampliamento della giurisdizione tributaria ex articolo 2 D.Lgs. n. 546 del 1992: un’interpretazione costituzionalmente orientata, in: Dir. Prat. Trib., 2008, pagina 151; Basilavecchia Massimo, Funzione impositiva e forme di tutela, Torino 2009, pagina 29; Tesauro Francesco, Manuale del processo tributario, Torino 2009, pagina 82; Falsitta Gaspare, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova 2008, pagina 546; Cantillo Michele, Aspetti critici del processo tributario nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, in: Rass. trib., 2010, pagina 13; Russo Pasquale, L’ampliamento della giurisdizione tributaria e del novero degli atti impugnabili: riflessi sugli organi e sull’oggetto del processo, in: Rass. trib., 2009, pagina 1585; Perrone Leonardo, I limiti della giurisdizione tributaria, in: Rass. trib., 2006, pagina 707; Carinci Andrea, Dall’interpretazione estensiva dell’elenco degli atti impugnabili al suo abbandono: le glissment progressif della Cassazione verso l’accertamento negativo nel processo tributario, (commento a Cass., 15/06/2010, n. 14373, sez. Tributaria; Cass., 06/07/2010, n. 15946, sez. Tributaria), in: Riv. dir. trib., 2010, pagine 10 e 617; Tsbet Giuliano, Verso la fine del principio di tipicità degli atti impugnabili?, in: GT-Riv. giur. trib., 2008, pagina 507, Allorio, “sugli istituti giuridici che si atteggiano spesso in modo non conforme a quelli che sono gli schemi precostituiti e [...] alla loro storia ideale”, sviluppato in un famoso saggio del 1946, dopo la pubblicazione della fondamentale opera di costui sul diritto processuale tributario. [31] Il processo tributario, non è annoverabile tra quelli di “impugnazione-annullamento” ma tra i processi di “impugnazione-merito” in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato ma alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio. [32] L’illegittimità derivata è un istituto di matrice dottrinaria che attiene al rapporto tra atti amministrativi che presentano un legame di presupposizione. Accade spesso, infatti, che nel contesto di una serie procedimentale lunga e complessa, l’Amministrazione addivenga al provvedimento finale come estrinsecazione ultima di una serie di tappe (obbligate o meno), delimitate dalla emanazione di atti autonomi, ma connessi con quelli successivi e con quelli precedenti. D’altronde, il procedimento amministrativo viene proprio definito come il complesso di atti giuridici collegati secondo un meccanismo stabilito dalla legge e volti ad uno stesso fine. In tale ambito può quindi facilmente svilupparsi la relazione logico-giuridica che ci interessa: un provvedimento (presupponente) può quindi derivare parte, o la totalità, dei suoi presupposti da uno o più atti amministrativi pregressi, ciò sia in chiave 17 18 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 cronologica che anche soltanto logica. [33] L’espressione indica la valutazione che il giudice deve compiere, dopo aver accertato l’esistenza del diritto vantato, per quantificare in denaro la prestazione dovuta dalla parte soccombente. [34] Il diritto al silenzio si applica agli interrogatori della polizia giudiziaria e nei tribunali. L’imputato dovrebbe avere il diritto di astenersi dal rendere testimonianza e, di conseguenza, di non divulgare il contenuto del suo teorema difensivo prima del processo. Le leggi degli Stati membri riconoscono il diritto al silenzio nel corso delle indagini preliminari durante gli interrogatori della polizia giudiziaria o del pubblico ministero. Tuttavia, il modo in cui l’imputato viene informato di tale diritto è diverso nei singoli Stati e per garantirne il rispetto occorre che l’imputato ne abbia conoscenza. Secondo il citato Studio sulle prove, in molti Stati membri esiste l’obbligo di informare l’imputato del suo diritto al silenzio. Tale obbligo è previsto dalla Costituzione, dalla legge o dalla giurisprudenza. Alcuni Stati membri hanno dichiarato che la prova ottenuta in violazione di tale obbligo potrebbe essere considerata inammissibile, mentre altri sostengono che la mancata comunicazione all’accusato dell’esistenza di questo diritto potrebbe integrare gli estremi di un reato o costituire un motivo di appello contro la sentenza di condanna. Questo diritto non è assoluto. Qualora un giudice tragga conclusioni sfavorevoli dal silenzio dell’imputato, esistono fattori che determinano se sono stati violati il diritto a un giusto processo. Le conclusioni devono essere dedotte solo dopo che l’accusa abbia provato i fatti prima facie. Il giudice ha allora facoltà discrezionale di trarre le conclusioni dai fatti come rappresentati in udienza. Solo le deduzioni basate sul “buon senso” (common sense) sono ammissibili e nella sentenza devono essere esposte le ragioni su cui si fonda la decisione. La prova contro l’imputato deve essere una prova schiacciante; in tal caso può essere utilizzata la prova ottenuta mediante pressione indiretta. Il riferimento sul punto resta la causa Murray contro Regno Unito, nella quale la Corte EDU ha dichiarato che se i fatti fossero provati prima facie, e se l’onere della prova continuasse a restare a carico dell’accusa, dal silenzio dell’imputato si potrebbero dedurre conclusioni sfavorevoli. Obbligare l’imputato a rendere testimonianza non è stato ritenuto in contrasto con la CEDU, mentre vi sarebbe violazione della CEDU se una condanna fosse basata solo o principalmente sul rifiuto di testimoniare. Ricavare conclusioni sfavorevoli dal silenzio dell’imputato potrebbe essere considerata una violazione del principio della presunzione di non colpevolezza a seconda dell’importanza che i giudici nazionali attribuiscono a questo silenzio in sede di valutazione degli elementi probatori e del grado di coartazione esercitato. Le prove dell’accusa devono essere sufficientemente solide per esigere una replica. Il giudice nazionale non può ritenere l’imputato colpevole solo perché questi si è avvalso del diritto al silenzio. Solo quando le prove contro l’imputato “richiedono” una spiegazione che egli potrebbe fornire, dall’eventuale rifiuto di spiegazioni potrebbe dedursi, secondo un ragionamento fondato sul buon senso, che non esiste alcuna spiegazione possibile e che l’imputato è colpevole. Al contrario, se gli argomenti dell’accusa hanno una forza probatoria così debole che non richiedono una replica, avvalersi del diritto al silenzio non consente di concludere che l’imputato è colpevole. La Corte EDU ha precisato che le conclusioni ragionevoli dedotte dal comportamento dell’imputato non devono avere l’effetto di spostare l’onere della prova dall’accusa alla difesa, violando in tal modo il principio di presunzione di non colpe- volezza. La Corte EDU non ha stabilito se tale diritto si applichi anche alle persone giuridiche. La CGUE ha dichiarato che le persone giuridiche non hanno un diritto assoluto al silenzio; esse devono rispondere alle domande relative ai fatti, ma non possono essere obbligate ad ammettere l’esistenza di una infrazione. [35] Cass. n. 25242 del 2006 nella quale viene ribadita l’irrilevanza del silenzio della parte a fronte di una domanda o un’eccezione tardiva: ne consegue che la valutazione relativa alla novità della domanda o dell’eccezione è integralmente rimessa al potere del giudice; Cass. n. 19543 del 2005; Cass., a Sezioni Unite, 25 febbraio 2000, n. 45; Cass., 16 ottobre 2009, n. 21967; Cass., 26 marzo 2009, n. 7269; Cass., 27 giugno 2011, n. 14027; Cass. n. 415/2013; Cass., 26 maggio 2014, n. 11765; Cass., 11 aprile 2014, n. 8539; Cass., 17 settembre 2007, n. 34928. [36] Reato di false esibizioni e false comunicazioni al Fisco introdotto nel nostro ordinamento giuridico con il D.L. n. 201/2011, articolo 11, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 214/2011. [37] CGUE del 24 aprile 2012, causa C-571/2010, Kamberaj, paragrafo 63: “[…] il rinvio operato dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE alla CEDU non impone al giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con essa”. [38] L. n. 186/2014 e Circolare n. 10/E del 2015. [39] Cass. n. 20032/2001: “il principio del «nemo tenetur» non è costituzionalizzato e, comunque, la circostanza (della configurabilità del reato) è recessiva rispetto all’obbligo di concorso alle spese pubbliche, secondo la propria capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost.”; Cass. n. 179975/2013; Cass. n. 415/2013; Cass., 26 maggio 2014, n. 11765; Cass., 11 aprile 2014, n. 8539; Cass., 17 settembre 2007, n. 34928. [40] Diritto al rispetto della vita privata e familiare. [41] La Corte di Strasburgo ha imposto l’alt alle perquisizioni nelle redazioni a tutela delle fonti dei giornalisti. “Gli Stati contraenti sono vincolati ad uniformarsi alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo dà delle norme della Cedu” (sentenze n. 348-349/2007). [42] Sentenza n. 39/2008 della Corte Costituzionale. [43] Che tuttavia non risultano essere perfettamente definite. [44] Al contribuente, in forza dell’articolo 6, comma 4, L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente) non possono essere richiesti documenti o informazioni già necessariamente in possesso dell’Amministrazione finanziaria, la quale, anche ai sensi dell’articolo 18, n. 2, L. n. 241/1990 è tenuta d’ufficio ad acquisire o produrre il documento in questione o copia di esso. [45] Ogni sasso deve essere girato.