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Diritto tributario italiano
Voluntary disclosure:
limiti e conseguenze tributarie
Roberto Bianchi
Dottore commercialista,
Revisore legale in Bologna e Ravenna,
Professore a contratto di diritto tributario Università degli studi di Firenze, Dipartimento Scienze Giuridiche
Docente Didacom Guida al fisco e master norme e tributi de Il Sole 24 Ore
Editorialista e pubblicista tributario IPSOA Wolters Kluwer, Giuffrè, Maggioli, Studio Cioni & Partners, Bologna
Ci siamo posti il problema di cosa potrebbe accadere
qualora un’istanza di collaborazione volontaria dovesse
arenarsi. Cosa si verificherebbe se si appalesasse una
crisi di collaborazione discendente dal fatto che un
contribuente, che ha presentato la propria domanda
di affioramento e che ha pertanto reso edotta
l’Amministrazione finanziaria in merito a tutte le
contingenze oggetto di emersione, non riuscisse per
qualsivoglia motivo a perfezionare la procedura di
“voluntary disclosure”? Il contribuente si troverebbe calato
in una situazione di grande difficoltà, avendo esposto
integralmente tutti gli elementi rilevanti ai fini
dell’accertamento, senza poter beneficiare degli effetti
premiali previsti dall’istituto della collaborazione
volontaria. Proviamo a capirne qualcosa di più
1.
I postulati dell’istituto
Il novellato accordo tra Agenzia delle Entrate e partecipanti
alle spese dello Stato, identifica un procedimento che permette ai contribuenti, in passato “infedeli”, di “bonificare” il
patrimonio frutto dell’evasione, inviando all’Agenzia delle
Entrate un’autodenuncia esaustiva e corrispondendo integralmente le imposte e i relativi interessi dovuti per tutte le
annualità ancora accertabili, alla data di presentazione della
dichiarazione di emersione.
La “voluntary disclosure” rappresenta un coacervo di norme di
legge in forza delle quali si è tentato di individuare un sofisticato compromesso tra le necessità di accertamento e di gettito
dell’Amministrazione finanziaria, da una parte, e il bisogno di
tutele per quei contribuenti che, in passato, hanno presentato
dichiarazioni dei redditi infedeli, violando coscientemente una
serie di prescrizioni normative, dall’altra. Il risultato generato
da questo esperimento, mosso dall’ambizione non celata di
contemperare due esigenze completamente divergenti, lo si
può rappresentare come una sorta di “giano bifronte” [1] che da
una parte si pone l’obiettivo di incoraggiare i contribuenti non
collaborativi a trasformarsi in soggetti adempienti in modo
permanente, concedendo loro un’ultima occasione[2] per
garantirsi una sostanziale riduzione delle sanzioni comminabili agli inadempimenti del passato, ma che dall’altra desidera
garantire anche la “compliance” dei contribuenti che si sono
dimostrati onesti, imponendo a chi volesse regolarizzare le
proprie precedenti infrazioni, di corrispondere integralmente
le imposte evase e i relativi interessi senza ottenere il benché
minimo sconto, assicurandosi esclusivamente la riduzione
delle pene pecuniarie e la depenalizzazione di gran parte dei
reati connessi a questo tipo di trasgressioni, compiute negli
anni oggetto di emersione.
Per i partecipanti alle spese dello Stato, che in passato hanno
evaso i tributi, la “collaborazione volontaria” rappresenta l’occasione conclusiva per fare emergere e rientrare i patrimoni
sottratti artificiosamente alla tassazione nel nostro Paese,
beneficiando di un rilevante ridimensionamento delle pene
pecuniarie. Tutto ciò raffigura certamente un’opportunità
poiché consente di beneficiare di sanzioni ridotte, ma contestualmente rappresenta altresì un pericolo, in quanto la
disciplina di emersione volontaria cela per il momento delle
ombre, dal punto di vista normativo, che lasciano presagire
prospettive preoccupanti per i contribuenti e per i professionisti che li assistono e che si trovano a essere implicati nella
menzionata procedura di emersione dei patrimoni, detenuti al
di fuori dei confini nazionali.
Un postulato deve tuttavia essere scolpito nella pietra:
chi decide di non salire sul bus della “voluntary disclosure”
e, di conseguenza, di vanificare la possibilità di accedere
volontariamente a questo procedimento di composizione
agevolata, deve essere ben conscio del fatto che, qualsivoglia
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
atto aggiuntivo scaturente dagli introiti criminosi, avrebbe
tutte le potenzialità per perfezionare la fattispecie del reato
di autoriciclaggio[3] , punito con la reclusione a partire da
due e fino a otto anni e che prevede la confisca dei patrimoni
oggetto di evasione tributaria. La sanzione comminabile
risulta essere molto severa e, come sostenuto[4] da Stefano
Cavallini e Luca Troyer, la “voluntary disclosure” e il nuovo reato
di autoriciclaggio rappresentano la carota e il bastone che
l’ordinamento penale e tributario intende brandire per fare
riemergere i patrimoni detenuti sia in Italia che all’estero.
È opportuno ricordare che, in un primo momento, l’ottica
era quella di far rientrare, nel procedimento di emersione,
esclusivamente i capitali illecitamente detenuti al di là dei
confini nazionali, mentre in seguito il legislatore ha optato
per un ampliamento soggettivo e oggettivo dell’ambito di
applicazione.
2.
Gli oneri e le motivazioni
A questo punto ci siamo chiesti: ma quali sono gli oneri del procedimento di emersione e, prima di ogni altra cosa, per quale
motivo un contribuente che possiede delle somme ingenti
fuori dai confini nazionali e sulle quali non ha corrisposto i tributi dovuti e non ha ottemperato agli obblighi di monitoraggio
tributario dovrebbe, in questo momento, autodenunciarsi
corrispondendo le imposte evase senza sconti e gli interessi in
misura piena? Che utilità ne trae? E di quali rischi si fa carico se
decide di non aderire al procedimento di emersione volontaria?
La “voluntary disclosure” non va confusa né con un condono, né
tantomeno con uno scudo fiscale; non vengono contemplate
diminuzioni sulle imposte e l’empio partecipante alle spese
dello Stato che accetta di acconsentire al procedimento di
emersione e, di conseguenza, di autodichiararsi evasore fiscale,
sarà tenuto a corrispondere integralmente i tributi evasi per le
annualità di imposta per le quali il termine per l’accertamento
non risulta essere decaduto, oltre agli interessi corrispondenti.
Ma allora in che cosa è possibile individuare la convenienza
ad aderire alla collaborazione volontaria da parte del contribuente infedele? In prima battuta si garantisce uno sconto
importante sulle sanzioni amministrative connesse all’omessa
o incompleta compilazione del quadro RW, oltre che sulle sanzioni relative all’omessa e/o infedele dichiarazione ai fini delle
imposte sui redditi e delle relative addizionali, delle imposte
sostitutive, dell’Imposta regionale sulle attività produttive
(IRAP), dell’Imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA) e
degli obblighi dei sostituti di imposta; ma il vantaggio più rilevante, che si accaparra il partecipante alle spese dello Stato,
è rappresentato dalla non punibilità dei reati dichiarativi[5] e,
di conseguenza, non esclusivamente l’omessa (articolo 5) o
l’infedele dichiarazione (articolo 4), ma bensì anche la dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false (articolo
2) o altri artifici (articolo 3), oltre all’impunità per i reati di
omesso versamento di ritenute certificate (articolo 10-bis) e
di omesso versamento IVA (articolo 10-ter), che si ricollegano
agli inadempimenti posti in essere dal contribuente[6] , oltre
alla piena valenza agli accordi con Liechtenstein, Svizzera e
Monte Carlo, rilevanti al fine del loro riconoscimento quali
“Paesi black list con accordo” [7] esclusivamente in caso di adesione alla collaborazione volontaria.
La “voluntary disclosure” rappresenta un procedimento del
quale è possibile beneficiare esclusivamente nella circostanza
in cui non siano già stati avviati, nei confronti del contribuente,
né controlli né tantomeno verifiche[8]; ed è proprio questo il
contesto per il quale la procedura di “collaborazione volontaria”
viene considerata un atto spontaneo del soggetto partecipante alle spese dello Stato; pertanto, per poter aderire alla
“disclosure”, non devono essere stati notificati “avvertimenti”
nei confronti dei contribuenti interessati, ed è al tempo
stesso necessario comprendere che si tratta di una procedura
diversa da tutte quelle in cui ci siamo imbattuti nel recente
passato in quanto, come già più volte ricordato, le imposte
e gli interessi devono essere corrisposti in maniera globale;
inoltre non è tollerato in alcuna accezione l’anonimato del
soggetto emergente, peculiarità che ha invece caratterizzato
gli scudi fiscali del 2001[9] , del 2003[10] e del 2009[11] , così
come non è ammessa l’autodenuncia parziale da parte del
contribuente e, di conseguenza, vige l’obbligo codificato di
far emergere integralmente il patrimonio che si detiene al di
fuori dei confini italici, in quanto è necessario dichiarare con
precisione “certosina” in quale maniera e con l’assistenza e la
collaborazione di chi, le attività detenute oltre frontiera siano
state occultate per consentire all’Amministrazione finanziaria
di mantenere la facoltà di utilizzare i dati e le informazioni
raccolti per effettuare accessi e verifiche nei confronti dei
soggetti coobbligati e/o collusi.
Di conseguenza questo procedimento di “emersione volontaria”
appare, in prima battuta, di gran lunga meno favorevole degli
scudi fiscali nei quali ci siamo imbattuti nel primo decennio del
XXI. secolo, ed è proprio per questo motivo che ci troviamo
a interrogarci sul motivo per il quale, chi non ha aderito agli
scudi fiscali del 2001, del 2003, del 2009 dovrebbe aderire alla
“collaborazione volontaria” introdotta dalla L. n. 186/2014.
Ma fornire una risposta a questa domanda risulta essere
molto agevole: è cambiato il contesto internazionale[12]
e nazionale nel quale gli operatori economici si trovano a
operare; intorno agli evasori si sono serrate sempre di più le
maglie, il segreto bancario sta per cadere definitivamente e,
di conseguenza, tutte le istituzioni – internazionali e nazionali
– si sono impegnate negli ultimi anni per isolare gli Stati[13]
che rappresentavano l’ultima roccaforte europea del segreto
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bancario. Ciò premesso appare ancor più evidente come la
“voluntary disclosure” raffiguri l’ultimo bus per gli evasori italiani
che vogliono regolarizzare la propria posizione e definire un
accordo onorevole con il fisco nazionale.
3.
La relazione intercorrente tra le imposte IVIE e IVAFE e
l’emersione volontaria
Con la Circolare n. 27/E/2015, l’Agenzia delle Entrate, relativamente all’Imposta sul valore degli immobili situati all’estero
(di seguito IVIE) e l’Imposta sul valore delle attività finanziarie
detenute all’estero (di seguito IVAFE) ha stabilito di fare
propria una linea di condotta solo in parte congruente con
il contenuto testuale della disposizione, ampliando l’ambito
di applicazione della collaborazione volontaria anche all’IVIE
e all’IVAFE. Tali imposte non risultano in nessuna circostanza
citate dalla disciplina e la menzionata Circolare ammette
che in alcun passaggio vengano richiamate palesemente. Il
documento di prassi comunque afferma che una “lettura logico
sistematica delle disposizioni in materia di procedura di collaborazione
volontaria porta a ritenere che i benefici previsti dalla stessa possano
essere riconosciuti anche con riguardo a tali imposte, per le quali, con
riferimento al versamento, alla liquidazione, all’accertamento, alla
riscossione, alle sanzioni e ai rimborsi nonché al contenzioso trovano
applicazione le disposizioni previste per l’imposta sul reddito delle
persone fisiche”.
L’Ufficio tenta di far risaltare che, nella filosofia che guida il
procedimento di emersione, la completezza delle informazioni
e la collaborazione del contribuente qualificano il processo;
per garantirne il perfezionamento i partecipanti alle spese
dello Stato sono pertanto chiamati a mettere a disposizione
dell’Ufficio tutti i documenti e le informazioni necessari per
addivenire alla quantificazione degli eventuali maggiori imponibili, con riferimento anche ai contributi previdenziali e alle
patrimoniali IVAFE e IVIE.
Sulla scorta di queste pur imperfette motivazioni, le due imposte sul patrimonio all’estero sono ritenute anch’esse rientranti
nella procedura di collaborazione volontaria internazionale,
sebbene in carenza di violazioni in tema di monitoraggio
fiscale e pertanto assoggettate alle pene pecuniarie, definite
al minimo edittale e ridotte nella misura di un quarto. Non
viene in alcun modo preclusa al partecipante alle spese dello
Stato la possibilità di regolarizzare la propria posizione ai fini
dell’IVIE e dell’IVAFE accedendo all’istituto del ravvedimento
operoso. Sebbene sia stato fatto emergere dalla dottrina
che l’IVIE e l’IVAFE non avrebbero potuto essere ricomprese
all’interno del procedimento di emersione, l’interpretazione
estensiva della disciplina caldeggiata dall’Amministrazione
finanziaria si concretizza in un vantaggio per il contribuente e
per il professionista che lo consiglia.
Tanto è vero che il partecipante alle spese dello Stato potrà
scegliere se optare per il ravvedimento operoso, anticipando
la notifica di un avviso di accertamento per le menzionate
patrimoniali, oppure se approfittare della riduzione sulle
sanzioni nella misura disposta dalla collaborazione volontaria.
In merito all’attività del dottore commercialista che assiste il
contribuente nella procedura di emersione, non viene previsto
che tali tributi vengano determinati all’interno della relazione
esplicativa, né che il loro valore sia indicato nell’istanza di collaborazione volontaria. La Circolare n. 27/E/2015 ha precisato
che devono essere prodotti “i documenti e le informazioni per la
determinazione degli eventuali maggiori imponibili agli effetti anche
dei contributi previdenziali e delle imposte IVAFE e IVIE”: in teoria
tale documentazione dovrebbe essere già stata recuperata
dai professionisti beneficiando del lavoro svolto dagli intermediari esteri per consentire la regolarizzazione delle violazioni in
tema di monitoraggio fiscale e di imposte sui redditi. Tuttavia,
il procedimento non potrebbe mai essere ritenuto invalido per
l’insufficienza degli elementi necessari a liquidare l’IVIE e l’IVAFE, in quanto la Circolare ministeriale è stata resa pubblica
nel tardo pomeriggio di giovedì 16 luglio 2015, e pertanto
in prossimità delle vacanze estive, circostanza che complica
notevolmente il reperimento dagli istituti di credito stranieri
di eventuale documentazione integrativa entro la scadenza,
prevista a tutt’oggi al 30 settembre 2015.
4.
I prelievi consistenti non giustificati e il denaro detenuto
in cassette di sicurezza
Il chiarimento rappresentato dalla Circolare n. 27/E/2015 in
merito ai prelievi non ha convinto gli operatori del settore
interessati alla procedura di emersione volontaria. A parere
dell’Agenzia delle Entrate, gli insufficienti chiarimenti relativi ai
prelevamenti di valore significativo che depauperano il patrimonio illecitamente posseduto al di fuori dei confini nazionali,
potrebbe costare il respingimento della domanda di emersione
per lacune della medesima. Questo perché, la carente o infedele dimostrazione del rimpatrio, nel territorio nazionale delle
disponibilità, o del loro impiego, potrebbe essere rappresentativa della circostanza che detti denari siano stati utilizzati
per creare o acquisire un’analoga attività, al di fuori dei confini
nazionali, volontariamente esclusa dal procedimento di emersione. Tuttavia, pur in vigenza della facoltà di effettuare tutte
le verifiche ritenute necessarie, l’Amministrazione finanziaria
in tale circostanza non possiede l’autorità per precludere la
possibilità di depositare l’istanza di collaborazione volontaria
a un contribuente nei confronti del quale ha un indimostrato
“sospetto” circa la detenzione di attività finanziarie possedute
all’estero e non riemerse, in considerazione del fatto che
quanto viene dichiarato dal contribuente fa fede sino a prova
contraria[14]. Il documento di prassi, infine, chiarisce che la
soglia dei prelievi “per uso personale” considerata “ragionevole”
dovrebbe essere individuata, in buona sostanza, nel rendimento degli investimenti illegalmente posseduti al di fuori dei
confini nazionali[15].
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Relativamente ai contanti conservati all’interno di cassette
di sicurezza e che si ha la volontà di fare emergere, la linea
sposata dall’Ufficio non ci convince sino in fondo in quanto,
se da un verso ammette l’utilizzabilità delle “prove indirette”
per supportare un prelievo effettuato dal conto estero e poi
destinato alla cassetta di sicurezza, dall’altro richiede, come
esempio, che, in tale circostanza, sia comprovato un accesso
in una cassetta di sicurezza locata presso un istituto di credito
italiano[16] in un periodo prossimo rispetto a quello nel quale
si è dato corso ai prelievi. Ma la questione si complica notevolmente qualora il partecipante alle spese dello Stato avesse
ingenuamente trasferito quel denaro contante all’interno della
cassaforte della propria abitazione, anche nel caso in cui fosse
in grado di documentare, grazie all’intervento di un notaio,
l’esistenza di quelle somme[17] all’interno della cassetta di
sicurezza domestica.
obbliga a far salvi gli effetti degli atti impositivi, cronologicamente successivi a quelli di controllo).
5.
Il decreto sulla certezza del diritto e le questioni ancora
da definire
Il Consiglio dei ministri del 31 luglio 2015[18] ha approvato,
in via definitiva, il nuovo decreto sulla “certezza del diritto”,
specificando l’ambito applicativo del raddoppio dei termini
per violazioni penali tributarie, nonché la fase transitoria.
Per prima cosa, si conferma, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 8 comma 2 L. n. 23/2014, che il raddoppio
opera a condizione che la denuncia penale, per reati ricadenti
nel D.Lgs. n. 74/2000, sia presentata o trasmessa entro
la scadenza ordinaria del termine. Ciò si è reso necessario
per evitare che l’Amministrazione finanziaria, in forza del
differente orientamento espresso dalla Corte Costituzionale
con la sentenza n. 247/2011, abbia a disposizione un tempo
eccessivamente lungo per notificare gli atti impositivi, e che,
di conseguenza, tale possibilità si concretizzi in una maniera
per eludere il termine ordinario di decadenza.
Inoltre, vengono fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire
e dei processi verbali di constatazione (articoli 5 D.Lgs. n.
218/1997 e 24 L. n. 4/1929) notificati o dei quali il contribuente
abbia avuto conoscenza entro la data in cui entra in vigore
il decreto, “sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva
o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015”. Non
sono fatti salvi, ai fini del raddoppio con denuncia presentata,
elementi rinvenuti oltre il termine ordinario di decadenza, i
questionari, gli inviti a comparire ex articolo 32 del Decreto
del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 600/1973,
le richieste di informazioni su indagini bancarie, i processi di
verifica giornalieri e quelli di accesso. La norma è molto chiara
nel fare riferimento esclusivamente alle due tipologie di atti
indicate. Occorre inoltre una vincolante coincidenza tra il
contenuto del verbale e quello dell’atto impositivo. Nell’ipotesi
in cui un verbale, già consegnato prima dell’entrata in vigore
del decreto e inerente a un’annualità ormai decaduta, contenga rilievi penalmente rilevanti solo ai fini IVA, durante la
fase dell’accertamento, l’Amministrazione finanziaria potrà
contestare, entro il termine raddoppiato, solo una maggiore
IVA, e non certamente le altre imposte come l’IRPEF o l’IRES.
Si precisa, però, che il raddoppio opera per le denunce presentate dall’Amministrazione finanziaria all’interno della
quale viene ricompresa anche la Guardia di Finanza. Da ciò si
dovrebbe dedurre che, se, ora come allora, è certa l’applicabilità
del raddoppio quando la denuncia è inviata ai sensi dell’articolo
331 del Codice di procedura penale (di seguito CPP) (ad esempio
al termine della verifica, dopo la redazione del processo verbale
di constatazione), non è, e non sarà, così per le denunce inviate
ai sensi dell’articolo 330 CPP. Si tratta delle denunce notificate
non in occasione del controllo fiscale, ma in seguito a indagini
eseguite dalla polizia giudiziaria e, sebbene la notifica avvenga
a mezzo della Guardia di Finanza, non si rientra all’interno
dell’ambito applicativo dell’articolo 331 CPP.
Il secondo elemento concerne la decorrenza della nuova
norma, in ragione del fatto che la legge delega impone di fare
salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di
entrata in vigore del decreto. Il Governo pare aver trovato
una soluzione “intermedia”, che possa bilanciare equamente le
esigenze dei contribuenti e quelle dell’Erario. Infatti, per prima
cosa si ribadisce, come da testo precedente, che rimangono
salvi gli effetti degli atti impositivi già notificati alla data di
entrata in vigore del decreto (cosa che appare dovuta, visto che
la legge delega, parlando di atti di controllo, implicitamente
Il D.Lgs. sulla certezza del diritto ha introdotto delle migliorie
anche sul fronte della salvaguardia dai reati penalmente rilevanti. Anche le attività e le imposte riferite ad anni per i quali
siano decaduti i termini per l’accertamento fiscale (quattro per
la dichiarazione infedele e cinque per l’omessa dichiarazione)
hanno la facoltà di accedere alla collaborazione volontaria
beneficiando della riduzione delle sanzioni amministrative tributarie e della non punibilità penale. La formulazione vigente
della “voluntary disclosure” non permette l’estensione dei benefici della procedura di emersione spontanea anche ai reati
antecedenti all’arco temporale dei cinque anni[19]. Pertanto
in precedenza si correva il rischio di regolarizzare dal punto
di vista amministrativo senza riuscire a fare altrettanto dal
punto di vista penale, nel caso di possesso all’estero di capitali
anche precedentemente agli anni 2009 e 2010.
Oltre a ciò, e pertanto prescindendo da questa vicenda per la
quale molti studi professionali hanno già predisposto un buon
numero di istanze di “voluntary disclosure” che vengono tenute in
“stand by” in attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del
decreto sulla certezza del diritto che ha consentito di conoscere
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gli anni ancora accertabili e pertanto da definire, esistono altre
criticità che si riferiscono ai rapporti fra Amministrazione
finanziaria e contribuenti, in tutti i casi nei quali questa procedura, che trova il suo avvio nell’istanza presentata all’Agenzia
delle Entrate, durante il suo percorso, per una ragione o per
un’altra, si imbatta in un intoppo, si interrompa e non riesca a
giungere a quella che è la sua naturale e sperata conclusione.
In tutti i casi in cui si manifesta una crisi di collaborazione tra
partecipante alle spese dello Stato e Amministrazione finanziaria, la “voluntary disclosure” rischia di insabbiarsi con una serie
di conseguenze molto pericolose sia per il contribuente, sia
per i suoi consulenti. Tentiamo in concreto di comprendere in
quali problematiche ci si può imbattere una volta presentata
l’istanza e quest’ultima, per un motivo o per un altro, sebbene
sia stato correttamente completato il lavoro di raccolta dei
dati, delle informazioni e dei documenti richiesti dai funzionari
dell’Amministrazione finanziaria e dell’Ufficio centrale per
il contrasto agli illeciti fiscali internazionali (UCIFI), dovesse
incappare, suo malgrado, in un intoppo.
Quali sono le tutele del contribuente nel caso in cui la procedura di emersione volontaria non si definisca? L’interrogativo
ce lo si pone poiché, qualora una “voluntary disclosure” non si
chiuda con l’adesione in quanto l’Amministrazione finanziaria
e il contribuente non riescono a trovare un accordo sull’oggetto dell’emersione, si verifica la peculiare circostanza che il
contribuente, dopo essersi autodenunciato e, di conseguenza,
dopo aver fornito all’Agenzia delle Entrate tutti i documenti e
le informazioni relative alle proprie attività estere e dopo aver
ricostruito tutte le evoluzioni che il patrimonio in emersione
ha sviluppato nel corso degli anni e i correlati redditi che nel
frattempo ha generato, e dopo avere infine calcolato le imposte e gli interessi dovuti, si viene a trovare nella particolare
situazione in conseguenza della quale, se l’Amministrazione
finanziaria decide di non portare a conclusione la procedura di
adesione, non ha vie di scampo.
Ma quale tipo di tutela possiamo ipotizzare a salvaguardia
del contribuente in tutti quei casi in cui la “voluntary disclosure”
non si riesca a perfezionare? Un preliminare problema viene
generato dalla stessa norma che disciplina la “collaborazione
volontaria” e che in realtà non fa alcuna chiarezza in merito al
contraddittorio endoprocedimentale, che dovrebbe instaurarsi
tra Amministrazione finanziaria e contribuente nel momento
in cui viene depositata l’istanza, seppur prima di giungere al
provvedimento conclusivo della “emersione volontaria”. Nel nuovo
comma 5-quater D.L. n. 167/1990[20] si fa menzione all’“invito
al contraddittorio”[21]; tuttavia proseguendo nella lettura della
disciplina, nei commi successivi, troviamo menzionato l’“invito
a comparire”[22], facendo risaltare la peculiare correlazione tra
queste due differenti tipologie di convocazione.
L’invito a comparire ci fa tornare in mente in maniera un poco
vessatoria l’articolo 32 D.P.R. n. 600/1973 e pertanto la contingenza nella quale il contribuente viene chiamato in causa
non per instaurare un contraddittorio con l’Ufficio, ma bensì
per fornire informazioni e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento ed è pertanto la disciplina stessa che ci porta sulla
difensiva in quanto risulta strutturata in maniera tale da non
consentire di comprendere, anche a un lettore attento, se il
menzionato contraddittorio endoprocedimentale[23] debba
effettivamente essere istituito in quanto tale, oppure si pone
il problema di dover comparire di fronte all’Amministrazione
finanziaria, esclusivamente per fornire dati e notizie rilevanti ai
fini dell’accertamento; ciò rappresenta una peculiare sovrapposizione della disciplina che si aggroviglia involontariamente
tra l’invito al contraddittorio e quello a comparire. Il problema
si accentua ulteriormente considerando che, quando la disciplina statuente la “voluntary disclosure” regolamenta la data
fissata per la comparizione, la stessa collega questo momento
non all’instaurazione del contraddittorio ma all’adesione ai
contenuti dell’invito, come se l’approvazione potesse avvenire
senza che il contribuente abbia avuto modo, in precedenza,
di confrontarsi con l’Amministrazione finanziaria per determinare i contenuti dell’accertamento al quale aderire. Si tratta
di problematiche di natura tecnica che molto probabilmente
scaturiscono esclusivamente da un’imperfetta formulazione
della norma e che possono essere superate attraverso una
interpretazione sistematica; tuttavia qualche dubbio su questa carenza, che sgorga specificamente dalla norma, non ci
abbandona definitivamente; non è possibile non riconoscere
ai dirigenti centrali dell’Agenzia delle Entrate di essersi costantemente espressi in modo molto favorevole al contribuente e,
in considerazione di ciò, il contraddittorio tra le parti si ritiene
che verrà sicuramente instaurato[24]; tuttavia non siamo
ancora riusciti a comprendere se il contraddittorio debba
considerarsi preventivo oppure se il contribuente sia chiamato
a comparire esclusivamente per sottoscrivere l’adesione, così
come predisposta anticipatamente dall’Ufficio.
A nostro parere esistono ragioni sistematiche per ritenere
che il contraddittorio endoprocedimentale debba sempre
essere instaurato in quanto, la necessità di esperire il contraddittorio prima di giungere alla stesura del provvedimento
finale, rappresenta una necessità da tempo affermata dalla
giurisprudenza comunitaria della Corte di Giustizia dell’Unione europea (di seguito CGUE)[25] , che considera necessaria
la partecipazione attiva del contribuente già nella fase di
formazione del provvedimento amministrativo, indipendentemente dalla possibilità concessa al partecipante alle spese
dello Stato, di proporre ricorso successivamente alla notifica di
tale provvedimento; di conseguenza il contraddittorio dovrà
necessariamente avvenire prima che il provvedimento venga
notificato al contribuente.
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
Tuttavia la questione appare ancora controversa; non
possiamo infatti non considerare che è pendente di fronte
alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione un’ordinanza attraverso la quale la Sezione Tributaria della Corte
di Cassazione ha richiesto esplicitamente alle Sezioni Unite
di fornire un chiarimento sulle eventuali conseguenze della
violazione del diritto al contraddittorio e, di conseguenza, su
quelle che saranno le ripercussioni qualora il diritto al contraddittorio endoprocedimentale non venisse rispettato. Restiamo
pertanto in attesa di una sentenza delle Sezioni Unite, che
auspicabilmente si adeguerà a quella della giurisprudenza
della CGUE; tra l’altro non possiamo dimenticare che una
soluzione normativa espressa, può giungere anche attraverso
l’attuazione della delega fiscale in quanto è previsto al suo
interno un passaggio nel quale si disquisisce effettivamente
di contraddittorio e pertanto anche in quel punto potrebbe
essere introdotta una norma che dovrebbe fare chiarezza, una
volta per tutte, in merito all’obbligatorietà del contraddittorio
endoprocedimentale.
Tuttavia, nonostante questa ricostruzione sistematica, la
giurisprudenza della CGUE e le buone intenzioni espresse
dall’Amministrazione finanziaria, se il menzionato contraddittorio non venisse attivato in seguito a un procedimento
di “voluntary disclosure”, quali sono le tutele che competono al
contribuente? Sicuramente spetta la salvaguardia differita[26]
rappresentata dalla possibilità di ricorrere contro l’atto finale;
tuttavia in questa prospettiva il contribuente perderebbe
immediatamente il beneficio delle sanzioni ridotte nella
misura di un sesto e, di conseguenza, subirebbe un pregiudizio
imputabile esclusivamente alla possibilità di reagire solo differitamente.
Le istanze recanti l'indicazione dei maggiori imponibili esteri
da assoggettare a tassazione dovranno essere presentate
telematicamente. Sarà l'Ufficio a liquidare imposte e sanzioni
dovute, previo invio di una relazione accompagnatoria che
fornisca una ricostruzione fattuale e giuridica delle violazioni
da regolarizzare.
6.
Le problematiche connesse alla presentazione dell’istanza
di “voluntary disclosure”
Ma quali ulteriori disfunzioni, in aggiunta a quella che grava
persistentemente sul contraddittorio endoprocedimentale,
sono in grado di rappresentarsi[27] e affliggere la procedura
di emersione? All’interno della procedura di “collaborazione
volontaria” è possibile focalizzare ulteriori alterazioni. Qualora
un contribuente invii un’istanza di “voluntary disclosure”, ricostruendo per filo e per segno ogni passaggio della propria
posizione e, di conseguenza, il proprio patrimonio accumulato
all’estero e i proventi generati da quest’ultimo, ma la sua
istanza non ricevesse alcuna risposta da parte dell’Agenzia
delle Entrate, circostanza che non ci sentiamo di escludere,
su quali garanzie procedimentali potrà contare il partecipante
alle spese dello Stato nell’ipotesi di silenzio da parte dell’Amministrazione finanziaria? L’Ufficio potrebbe decidere di non
rispondere a una istanza di “voluntary disclosure” in quanto
potrebbe ritenerla inammissibile ovvero non sufficientemente
avvalorata dalla documentazione prodotta, perfino dopo
l’eventuale integrazione richiesta al contribuente anche se
puntualmente fornita da quest’ultimo. In questa malaugurata
circostanza il contribuente dovrà attendersi un avviso di
accertamento, notificato nelle modalità e nei termini ordinari
e tutto ciò anche qualora le obiezioni effettuate dall’Agenzia
delle Entrate non risultassero corrette. L’unica tutela per il
contribuente, che possiamo individuare, consiste nell’interpretare la mancata emissione dell’invito a comparire quale
silenzio rifiuto a dar seguito all’istanza e, di conseguenza,
essere considerato atto impugnabile nel rispetto di quanto
disposto dall’articolo 19 D.Lgs. n. 546/1992.
Proseguendo la nostra riflessione sui potenziali ostacoli al
perfezionamento dell’istanza di emersione volontaria, ci corre
l’obbligo di esaminare la circostanza nella quale il contribuente
riceva l’invito a comparire dall’Amministrazione finanziaria, ma
non condivida la quantificazione delle imposte e degli interessi
effettuata dall’Ufficio nonché delle relative sanzioni. In questa
peculiare contingenza, qualora il partecipante alle spese dello
Stato non provvedesse a corrispondere, entro quindici giorni
dalla notifica, le somme riportate nell’invito a comparire, la
procedura di emersione non si potrebbe perfezionare.
Il contribuente conserverà certamente la facoltà di avviare la
procedura di accertamento con adesione ma, anche in questa
circostanza, vanificherà il beneficio della riduzione delle sanzioni nella misura di un sesto del dovuto non avendo aderito
alla quantificazione effettuata dall’Ufficio. Il contribuente
pertanto, non sottoscrivendo l’atto di adesione predisposto
dall’Amministrazione finanziaria quale conclusione della fase
di contraddittorio, non perfezionerà la procedura di emersione
e, di conseguenza, il partecipante alle spese dello Stato subirà
un accertamento in base alle regole ordinarie.
Tuttavia il mancato accordo comporterà ulteriori pericoli per il
contribuente quali il raddoppio dei termini di accertamento e
delle sanzioni[28] , la contestazione dei reati tributari ed eventualmente penali che il contribuente stesso ha provveduto a
confessare all’Amministrazione finanziaria e la conseguente
decadenza della prevista tutela penale[29]. Pertanto il rifiutare ciò che l’Ufficio propone in fase di adesione, conduce il
contribuente in un vicolo cieco, con la pericolosa conseguenza
che Paesi come il Liechtenstein, la Svizzera e il Principato
di Monaco vengano considerati come non collaborativi, in
quanto la qualificazione di Paese black list con accordo viene
riconosciuta per queste nazioni esclusivamente in presenza
13
14
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
di una “voluntary disclosure”, con il conseguente raddoppio dei
termini di accertamento, delle sanzioni e la contestazione
degli eventuali reati penali/tributari.
7.
L’impugnabilità dei verbali relativi all’accertamento con
adesione
Sulla base delle considerazioni effettuate ci siamo chiesti se
il contribuente avesse la facoltà di impugnare i verbali interni
relativi all’accertamento con adesione o il verbale negativo che
chiude il procedimento di accertamento. Una parte autorevole
della dottrina[30] ritiene che sia possibile ricorrere contro tutti
gli atti che manifestino una pretesa tributaria individuata,
senza la necessità di attendere che la stessa arrivi alla forma
autoritativa di uno degli atti impugnabili previsti dall’articolo
19 D.Lgs. n. 546/1992.
Tuttavia, qualora decidessimo di utilizzare questa più ampia
visione, argomentando che si tratta di un atto che determina
una pretesa tributaria individuata e pertanto impugnabile,
come potremmo ricorrere avverso a un atto, nel caso di specie
un verbale negativo che dovrebbe chiudere il procedimento, il
cui contenuto difficilmente si presta a formare oggetto di un
processo di “impugnazione-merito” [31] come quello tributario,
o meglio come potremmo utilizzare un verbale che chiude
negativamente la procedura di adesione, considerandolo un
atto che consente di entrare nel merito e di conseguenza di
instaurare un giudizio dinnanzi a una Commissione Tributaria?
Nel caso in cui non riuscissimo a trovare una risposta
convincente alle nostre domande potremmo sempre fare affidamento alla tutela estrema, rappresentata dalla cosiddetta
“tutela differita”; il contribuente potrà ricorrere contro l’avviso
di accertamento che gli sarà notificato all’indomani del mancato perfezionamento della procedura di emersione e in quella
sede potrà far valere, in ogni caso, il suo diritto a beneficiare
della procedura di emersione in ragione di quanto indicato
nell’istanza e con l’obiettivo di ottenere, in sede contenziosa,
la dichiarazione di “illegittimità derivata” [32] dell’atto impugnato
da parte della Commissione Tributaria adita. Di conseguenza,
il contribuente avrà la facoltà di far valere il proprio diritto a
beneficiare della procedura di emersione in forza di quanto
indicato nell’istanza e non sulla rideterminazione effettuata
dall’Ufficio. La Suprema Corte di Cassazione ha affermato
esplicitamente che, impugnando l’iscrizione a ruolo generata
dall’Amministrazione finanziaria che non ha ritenuto accoglibile l’istanza di condono, il contribuente avrebbe potuto
sempre far valere, tra le proprie difese, anche quella relativa
al diritto di beneficiare del condono negato dall’Amministrazione finanziaria. Pertanto risulta essere possibile, in fase di
tutela differita, ricorrendo contro l’avviso di accertamento
notificato secondo le modalità ordinarie dell’Amministrazione
finanziaria, far valere il diritto di beneficiare della procedura
di “voluntary disclosure”, con tutto quello che ne consegue in
termini di sanzioni ridotte, depenalizzazione e così via.
8.
Le problematiche connesse alla riscossione
L’ultima disfunzione che possiamo prevedere in fase di perfezionamento del procedimento di emersione è quella circoscritta
alla fase della riscossione, nel caso in cui il contribuente non
ottemperi agli obblighi di versamento scaturenti dall’avviso
di accertamento con adesione o dall’avviso di irrogazione
delle sanzioni. Anche in questa circostanza la procedura va
in crisi, ma la contingenza ci preoccupa solo parzialmente in
quanto anche la peggior conseguenza, seppur gravosa per il
contribuente, risulterebbe plausibile in quanto, il partecipante
alle spese dello Stato ha comunque accettato e sottoscritto
le determinazioni del “quantum debeatur”[33] effettuata in
contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria, sebbene
non abbia adempiuto alle obbligazioni tributarie direttamente
scaturenti dal perfezionamento della “collaborazione volontaria”.
Anche in questa circostanza, saltata la “voluntary disclosure”, si
applicheranno le norme generali e di conseguenza le imposte,
gli interessi e le sanzioni piene e scatteranno i reati penali/
tributari; ma la questione, tutto considerato, non ci preoccupa
oltre misura in quanto la scelta di non pagare tempestivamente
quanto accettato e sottoscritto in fase di contraddittorio, rappresenta una circostanza difficilmente difendibile.
Altro fronte critico della procedura di “voluntary disclosure”
afferisce al diritto del contribuente di avvalersi della facoltà
di non rispondere. La procedura di emersione implica che il
contribuente debba rendere edotta l’Agenzia delle Entrate
circa le violazioni commesse in merito alla normativa sul
monitoraggio fiscale e, nel dettaglio, sia le violazioni dichiarative in connessione con gli archivi esteri oggetto di emersione,
sia quelle non in connessione con gli archivi esteri. Nel
rilasciare le menzionate dichiarazioni a fronte delle richieste
da parte dell’autorità fiscale, come per esempio la richiesta
di consegnare materiale probatorio suscettibile di causare
autoincriminazioni penalmente rilevanti, ci siamo chiesti se il
contribuente possa avvalersi della facoltà di non rispondere o
fosse tenuto a rispondere esaustivamente.
L’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (di
seguito CEDU) ci fornisce qualche informazione aggiuntiva in
quanto in essa si afferma che il diritto al silenzio oltrepassa i
confini del processo penale e risulta essere opponibile anche
all’interno dei processi amministrativi. In materia sanzionatoria la Corte europea dei diritti dell’uomo (di seguito Corte EDU),
alla quale si è conformata la Corte di Cassazione, ha stabilito
che in presenza di determinati requisiti, la lite sulla sanzione
penale e la lite sulla sanzione amministrativa rientrano nel
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
campo di applicazione dell’articolo 6 CEDU, in quanto le controversie assumono carattere penale considerata la gravità
delle loro conseguenze e ciò garantirebbe la possibilità di far
valere il diritto al silenzio.
Tuttavia in una procedura caratterizzata dalla collaborazione
volontaria il “nemo tenetur” pare contrastare energicamente il
principio di leale collaborazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente, che sta alla base dell’emersione volontaria
e se pertanto un contribuente decidesse volontariamente di
collaborare risulterebbe complicato ipotizzare di poter beneficiare del diritto al silenzio in quanto in evidente contrasto con
quanto disposto dallo statuto dei diritti del contribuente sul
principio di leale collaborazione tra Amministrazione finanziaria e partecipante alle spese dello Stato. In aggiunta a ciò
non si può fare a meno di ricordare che per la Suprema Corte
di Cassazione il principio del silenzio[34] non risulta essere
costituzionalizzato[35] e, pertanto, il contribuente è sempre
tenuto a produrre documenti attendibili all’Ufficio non avendo
il diritto di mentire; se lo facesse commetterebbe un reato
appositamente introdotto dal legislatore, caratterizzato dalle
false esibizioni e dalle false comunicazioni all’Amministrazione
finanziaria[36] , immesso nel nostro ordinamento nel corso del
2011 per tutelare il principio della sincera e fattiva collaborazione con l’Ufficio; ed è proprio per questo motivo che il diritto
di avvalersi della facoltà di non rispondere difficilmente potrà
essere invocato all’interno del procedimento di “emersione
volontaria”.
in relazione al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo
– mentre dall’altro sono tenuti a osservare l’obbligo della
riservatezza, anche questo tutelato dalla legge in quanto la
violazione all’obbligo del riserbo – sempre che il fatto non
costituisca un reato più grave – viene punito con l’arresto da
sei mesi a un anno e con un’ammenda che può raggiungere la
cifra di 50’000 euro.
In verità esistono delle correlazioni nella giurisprudenza comunitaria[37] a tutela del silenzio del contribuente, tuttavia in
una procedura caratterizzata dalla collaborazione spontanea
che deve essere totale, come affermato sia dalla norma sia dai
documenti di prassi[38], riscontriamo un evidente contrasto tra
il diritto ad avvalersi della facoltà di non rispondere e il principio
della leale e completa collaborazione, che dovrebbe caratterizzare la procedura di emersione volontaria; a fronte di tutto
ciò non siamo in grado di prevedere la direzione verso la quale
potrà indirizzarsi la giurisprudenza di merito e di legittimità,
pur temendo che, avendo gli ermellini già affermato in passato
che il principio del nemo tenetur non è costituzionalizzato[39],
non esistano elementi particolarmente fondati per tutelare il
contribuente utilizzando questo strumento di difesa.
All’interno della L. n. 186/2014 è contenuta una disposizione
ad hoc a tutela del professionista che dispone che, qualora il
contribuente, nell’ambito della procedura di emersione, esibisca o trasmetta documenti falsi in tutto o in parte o fornisca
dati che non rispondono al vero, quest’ultimo viene punito con
la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. La disciplina
prevede inoltre che il partecipante alle spese dello Stato sia
tenuto a rilasciare, al professionista che lo assiste, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale attesti che
gli atti e i documenti, consegnati per espletare l’incarico, sono
veritieri e che i dati e le notizie fornite sono rispondenti al vero.
Individuata una tutela indiretta del professionista all’interno
della norma sulla “voluntary disclosure” nella dichiarazione che
si ottiene dal contribuente, tutto ciò non ci porta a escludere
la responsabilità dell’esperto in quanto quest’ultimo, consapevole del “mendacio”, potrebbe accollarsi il rischio dell’eventuale
falsità dei documenti nonostante la dichiarazione sostitutiva
rilasciata dal contribuente. Il professionista quindi, ottenuto
il conferimento dell’incarico, deve verificare attentamente la
clientela attraverso il compimento di tutte le attività di controllo previste dalla normativa, soprattutto qualora sospetti
il riciclaggio o abbia dei dubbi in merito alla veridicità delle
informazioni e dei documenti ricevuti.
9.
La responsabilità dei professionisti
L’ultimo profilo di rischio della “voluntary disclosure” è rappresentato dalla responsabilità dei professionisti in quanto, il
reato di false comunicazioni all’Amministrazione finanziaria
può riguardare anche gli esperti che assistono i contribuenti
nella procedura di emersione e che redigono la relazione di
accompagnamento. I professionisti si vengono a trovare tra
l’incudine e il martello in quanto, da un lato devono adempiere
agli obblighi previsti avendo riguardo alle informazioni possedute o acquisite nell’ambito della loro attività istituzionale
o professionale – ove peraltro, in presenza di indicatori di
rischio, dovrebbero ottenere dai clienti informazioni ulteriori
sulla natura e sullo scopo delle operazioni da svolgere e, se
ne ricorrono i presupposti, segnalare all’autorità giudiziaria
questo tipo di operazioni che presentano elementi di sospetto
Ebbene, tutto ciò considerato, si possono riscontrare i presupposti per opporre il segreto professionale? Può il professionista
tutelarsi utilizzando il segreto professionale nello stesso modo
in cui il contribuente può proteggersi ricorrendo al “nemo
tenetur”? L’unico elemento di collegamento che abbiamo
individuato, seppure con una tutela relativa, è rappresentato
dall’articolo 8 CEDU[40] sia con riferimento alle verifiche
compiute dall’Amministrazione finanziaria presso lo studio, sia
in relazione alla tutela della corrispondenza che il professionista intrattiene con i propri clienti. Ci sono due sentenze del
2008[41] della Corte EDU e una sentenza del 2008 della Corte
Costituzionale[42] che danno degli elementi per opporre il
segreto professionale; tuttavia non siamo in grado di sapere
quanto questi principi possano “tenere” nei confronti di una
procedura di emersione volontaria per il fatto che si tratta di
un procedimento spontaneo, facoltativo e integrale.
15
16
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
Dall’Amministrazione finanziaria abbiamo avuto in più di
un’occasione le più ampie assicurazioni in merito alla compliance delle loro strutture preposte, ma tuttavia solo quando
ci troveremo di fronte al funzionario dell’Agenzia delle Entrate
comprenderemo il loro reale atteggiamento. Ciò che ci
sentiamo di consigliare ai contribuenti emergenti e ai professionisti che li assistono durante la procedura di emersione, al
fine di circoscrivere le proprie rispettive responsabilità[43] è
di menzionare, in sede di richiesta di documenti, di dati e di
notizie da parte degli Uffici, il diritto a non esibire, trasmettere
o fornire documenti o notizie di cui l’Amministrazione finanziaria è già in possesso[44].
Nel caso invece di generiche richieste di esibizione di documentazione che verranno effettuate dall’Ufficio, esistendo
casi in cui il procedimento di “voluntary disclosure” richiede la
predisposizione di masse enormi di documenti, riteniamo
opportuno far verbalizzare che non è l’intenzione del contribuente quella di sottrarsi alla richiesta dell’Ufficio ma che,
in virtù del principio di collaborazione, si chiede che venga
specificato per iscritto a quale anno, a quale tipo di imposta
e a quale particolare documento si riferisce la richiesta.
Certamente non si vuole rischiare di apparire scarsamente
collaborativi ma proprio per questo sarà necessario comprendere con la massima precisione quale tipo di documentazione
l’Amministrazione finanziaria sta richiedendo; si potrebbe
far verbalizzare per esempio, qualora l’Ufficio richieda documentazione bancaria, che al momento il contribuente è
impossibilitato a produrla ma che per quella documentazione
è stata presentata la richiesta di copia o di estratto all’istituto
di credito di riferimento, per evitare di divenire inadempienti a
causa dei ritardi accumulati da soggetti terzi.
10.
Conclusioni
Nei casi di diniego dovremo pertanto provvedere a impugnare
l’avviso a comparire facendo formalizzare il rifiuto anche
all’interno del verbale di mancata adesione, in modo da avere
a disposizione un atto da contestare e al quale applicare,
eventualmente, tutte le tutele cautelari del caso poiché, nel
momento in cui a un contribuente verrà notificato un avviso di
accertamento confezionato con le regole ordinarie, lo stesso,
a nostro sommesso avviso, avrà sostanzialmente già perduto.
A Vostro parere, sarebbe piacevole per un difensore, ma ancor
di più per il proprio assistito, trovarsi davanti a un giudice
tributario a disquisire di denari occultati in Liechtenstein,
dissertando su improbabili commi della norma e sulla loro
interpretazione? Noi siamo convinti che si sia già perduto
ancor prima di iniziare a discutere. Per questo motivo sarà
necessario verificare, prima che l’istanza venga presentata,
che “every stone has to be turned” [45] e che, di conseguenza, non
si possa incappare in qualche inconveniente che impedisca il
perfezionamento della collaborazione volontaria richiesta.
Riteniamo pertanto che il non aver individuato una corsia preferenziale di gestione delle crisi di collaborazione, prevedendo
che tutto rifluisca nell’ordinario tritarifiuti del procedimento e
del contenzioso tributario, rappresenti una delle carenze più
rilevanti di questo istituto giuridico così importante e attuale.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://giornalesm.com/wp-content/uploads/2015/07/Voluntar yDisclosure-3-Imc.jpg [03.08.2015]
http://www.infoinsubria.com/wp-content/uploads/2015/06/Voluntary.
jpg [03.08.2015]
http://www.forexinfo.it/IMG/arton23817.jpg [03.08.2015]
http://www.studiogiallo.eu/wp-content/uploads/2015/06/svizzerabanche.jpg [03.08.2015]
http://www.uniteis.com/dw/wp-content/uploads/2015/06/voluntarydisclosure.jpg [03.08.2015]
http://static.milanofinanza.it/upload/img/TMFI/201503201927058232/
img402234.jpg [03.08.2015]
http://w w w.notaiobonifrancesco.it/site_files/wp-content/uploads/2014/12/documenti700.jpg [03.08.2015]
http://giornalesm.com/wp-content/uploads/2014/07/Banche-Svizzerein-Italia.jpg [03.08.2015]
Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
[1] Giano (latino: Ianus) è il Dio degli inizi, materiali e immateriali, ed è una delle divinità più antiche e
più importanti della religione romana, latina e italica. Solitamente è raffigurato con due volti, poiché
il Dio può guardare il futuro e il passato ma anche
perché, essendo il Dio della porta, può guardare sia
all’interno sia all’esterno. A causa di un errore d’interpretazione del cosiddetto fegato di Piacenza, si
è ritenuto che fosse stato venerato anche presso gli
Etruschi con il nome di Ani.
[2] Questa volta non più rinnovabile.
[3] È stato introdotto con l’articolo 3 della Legge (di
seguito L.) n. 186/2014, l’articolo 648-ter1 del Codice penale, cosiddetto “Autoriciclaggio”, oltre che una
modifica all’articolo 25-octies del Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 231/2001, che terrà adesso
in considerazione anche questo nuovo reato (entrata in vigore il 1. gennaio 2015). L’autoriciclaggio
consiste nell’attività di occultamento dei proventi
derivanti da crimini propri; si riscontra soprattutto a
seguito di particolari reati, come ad esempio: l’evasione fiscale, la corruzione e l’appropriazione di beni
sociali.
[4] Cavallini Stefano/Troyer Luca, Apocalittici o
integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino
ingombrante”, in: Diritto penale contemporaneo.
[5] Articoli da 2 a 7 D.Lgs. n. 74/2000. Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e
sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 L. n.
205/1999.
[6] È stato approvato dal Consiglio dei Ministri del
26 giugno 2015 il testo del D.Lgs. sulla revisione del
sistema sanzionatorio penale tributario. La bozza, ora
alle Camere per l’approvazione definitiva, contiene
la tanto attesa modifica dei reati tributari previsti dal
D.Lgs. n. 74/2000, così come era stato sancito nella
legge delega fiscale.
[7] Che si aggiungono allo sblocco delle posizioni di
San Marino e Lussemburgo.
[8] Sono validi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni
amministrative, i processi verbali di constatazione
della Guardia di Finanza e gli inviti a comparire di
cui il contribuente ne ha avuto conoscenza entro la
data di entrata in vigore del D.Lgs. ma a condizione
che questi atti di controllo con la pretesa impositiva
o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre
2015.
[9] Decreto legge (di seguito D.L.) n. 350 del 2001.
[10] Articolo 1 comma 2-bis D.L. n. 12/2002 (L. n.
73/2002) e articoli da 6 a 6-quinquies D.L. n. 282/2002
(L. n. 27/2003).
[11] L’articolo 13-bis D.L. n. 78/2009, convertito, con
integrazioni e modificazioni, dalla L. n. 102/2009,
successivamente corretto dal D.L. n. 103/2009.
[12] Oggi ci sono gli accordi dei 51 Paesi e dal 2018
con i dati 2017 ci sarà lo scambio di informazioni
automatico, oltre agli accordi bilaterali, ad esempio
quelli che hanno firmato la Svizzera, il Liechtenstein
e il Principato di Monaco sulla base dell’articolo 26
del Modello OCSE di Convenzione fiscale.
[13] Svizzera, Monte Carlo, Jersey, eccetera.
[14] Che, se provata, comporta conseguenze penali
gravi in capo al contribuente.
[15] In mancanza di versamenti di contante.
[16] Posseduta presso un intermediario finanziario
nazionale.
[17] Anche solo parzialmente.
[18] Il Consiglio dei ministri del 31 luglio 2015 ha
approvato in via definitiva il decreto legislativo
sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente.
[19] I tempi della prescrizione penale risultano
essere più lunghi rispetto a quelli di decadenza
dell’accertamento tributario.
[20] D.L. n. 167/1990. Rilevazione a fini fiscali di
taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli
e valori; D.L. convertito con modificazioni dalla L. n.
227/1990, norma che attualmente disciplina la collaborazione volontaria.
[21] Il contribuente può essere invitato dall’Agenzia delle Entrate ad avviare un contraddittorio su
un’ipotesi di pretesa fiscale e sui motivi che l’hanno
determinata. Se il contribuente accetta il contenuto dell’invito (ossia la pretesa tributaria contenuta
nello stesso), beneficia di un regime sanzionatorio
agevolato (le sanzioni sono ridotte a un sesto del
minimo previsto per legge). Nel caso in cui, invece,
il contribuente non intenda aderire al contenuto
dell’invito - rinunciando, in tal modo, al regime sanzionatorio agevolato - può recarsi presso l’Ufficio
dell’Agenzia delle Entrate nel luogo e nella data
stabiliti, per avviare il contraddittorio, e fornire elementi o dati che consentano di modificare in tutto o
in parte la pretesa dell’Amministrazione finanziaria.
La definizione dell’invito al contraddittorio si realizza con l’acquisizione dell’assenso del contribuente
e il pagamento delle somme dovute, entro il quindicesimo giorno antecedente la data fissata per la
comparizione. Per ulteriori informazioni consultare
la relativa scheda adempimento “Adesione all’invito
al contraddittorio”. Attenzione: la possibilità di aderire, con conseguente riduzione delle sanzioni, esiste
per gli inviti al contraddittorio in materia di imposte
sui redditi, di imposta sul valore aggiunto e di altre
imposte indirette, notificati entro il 31 dicembre
2015.
[22] Il primo momento di confronto tra Agenzia delle Entrate e contribuente si ha mediante la
notifica dell’invito a comparire. Tramite tale atto,
il contribuente viene invitato, appunto, a comparire per fornire dati e notizie rilevanti nonché per
esibire documenti relativamente alle spese sostenute nel corso dell’anno, o alle spese presunte dal
Decreto Ministeriale del 24 dicembre 2012, relative al mantenimento di beni nella sua disponibilità,
come autovetture, natanti e immobili. Ricevuto l’invito a comparire, il contribuente ha l’obbligo di
presentarsi alla data fissata per l’incontro e, se le
giustificazioni che egli adduce vengono ritenute persuasive, la pratica potrà subito essere archiviata.
Occorre evidenziare che, la mancata comparizione
del contribuente può comportare l’irrogazione di
una sanzione amministrativa da 258 a 2’065 euro. In
linea di principio, i documenti che non vengono prodotti a seguito di circostanziata e specifica richiesta
contenuta nell’invito non potranno più essere utilizzati in momenti procedimentali successivi (ciò non
succede se nell’invito è presente un generico invito
a produrre documenti idonei a giustificare la totalità
delle spese sostenute).
[23] La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la
sentenza n. 19667/2014 ha riconosciuto anche
nel nostro ordinamento la giusta rilevanza al “contraddittorio endoprocedimentale” affermando che “il
contraddittorio endoprocedimentale […] costituisce un
principio fondamentale immanente nell’ordinamento cui
dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa” e costituisce condizione di
legittimità della pretesa tributaria.
[24] In una sorta di lascia o raddoppia perché nella normativa si lascia intendere che se non passa
l’istanza così com’è, si verrà chiamati a corrispondere
le sanzioni nella misura di un terzo anziché in quella
di un sesto.
[25] CGUE, 18 dicembre 2008, causa C-349/07,
in: GT-Riv. dir. trib., 2009, pagina 203 con commento di Marcheselli Alberto, Il diritto al
contraddittorio nel procedimento amministra-
tivo tributario è diritto fondamentale del diritto
comunitario. Il precedente di tale decisione si può
rinvenire nella sentenza Cipriani, 12 dicembre 2002,
causa C-395/00 in materia di accise relativa ad una
controversia fra Distillerie Fratelli Cipriani S.p.A. contro Ministero delle Finanze.
[26] Come riconosciuta dalla Corte di Cassazione, a
Sezioni Unite Civile, sentenza del 16 marzo 2009, n.
6315.
[27] Che tuttavia riteniamo possano essere superate
attraverso o disposizioni normative o sentenza delle
Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione o i
buoni uffici dell’Amministrazione finanziaria in fase
di contraddittorio.
[28] Per gli investimenti detenuti nei Paesi black list
con accordo “Svizzera, Liechtenstein, Principato di
Monaco”.
[29] Compreso il reato di autoriciclaggio.
[30] Glendi Cesare, La giurisdizione nel quadro evolutivo di nuovi assetti ordinamentali, in: Dir. Prat.
Trib., 2009, pagina 773; Nicotina Ludovico, L’ampliamento della giurisdizione tributaria ex articolo
2 D.Lgs. n. 546 del 1992: un’interpretazione costituzionalmente orientata, in: Dir. Prat. Trib., 2008,
pagina 151; Basilavecchia Massimo, Funzione
impositiva e forme di tutela, Torino 2009, pagina 29;
Tesauro Francesco, Manuale del processo tributario,
Torino 2009, pagina 82; Falsitta Gaspare, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova 2008,
pagina 546; Cantillo Michele, Aspetti critici del processo tributario nella recente giurisprudenza della
Corte di Cassazione, in: Rass. trib., 2010, pagina 13;
Russo Pasquale, L’ampliamento della giurisdizione
tributaria e del novero degli atti impugnabili: riflessi sugli organi e sull’oggetto del processo, in: Rass.
trib., 2009, pagina 1585; Perrone Leonardo, I limiti
della giurisdizione tributaria, in: Rass. trib., 2006,
pagina 707; Carinci Andrea, Dall’interpretazione
estensiva dell’elenco degli atti impugnabili al suo
abbandono: le glissment progressif della Cassazione
verso l’accertamento negativo nel processo tributario, (commento a Cass., 15/06/2010, n. 14373, sez.
Tributaria; Cass., 06/07/2010, n. 15946, sez. Tributaria), in: Riv. dir. trib., 2010, pagine 10 e 617; Tsbet
Giuliano, Verso la fine del principio di tipicità degli
atti impugnabili?, in: GT-Riv. giur. trib., 2008, pagina
507, Allorio, “sugli istituti giuridici che si atteggiano
spesso in modo non conforme a quelli che sono gli schemi
precostituiti e [...] alla loro storia ideale”, sviluppato in
un famoso saggio del 1946, dopo la pubblicazione
della fondamentale opera di costui sul diritto processuale tributario.
[31] Il processo tributario, non è annoverabile
tra quelli di “impugnazione-annullamento” ma tra
i processi di “impugnazione-merito” in quanto non
è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto
impugnato ma alla pronunzia di una decisione di
merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal
contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio.
[32] L’illegittimità derivata è un istituto di matrice dottrinaria che attiene al rapporto tra atti
amministrativi che presentano un legame di presupposizione. Accade spesso, infatti, che nel contesto di
una serie procedimentale lunga e complessa, l’Amministrazione addivenga al provvedimento finale
come estrinsecazione ultima di una serie di tappe
(obbligate o meno), delimitate dalla emanazione
di atti autonomi, ma connessi con quelli successivi
e con quelli precedenti. D’altronde, il procedimento amministrativo viene proprio definito come il
complesso di atti giuridici collegati secondo un meccanismo stabilito dalla legge e volti ad uno stesso
fine. In tale ambito può quindi facilmente svilupparsi la relazione logico-giuridica che ci interessa: un
provvedimento (presupponente) può quindi derivare parte, o la totalità, dei suoi presupposti da uno
o più atti amministrativi pregressi, ciò sia in chiave
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Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015
cronologica che anche soltanto logica.
[33] L’espressione indica la valutazione che il giudice
deve compiere, dopo aver accertato l’esistenza del
diritto vantato, per quantificare in denaro la prestazione dovuta dalla parte soccombente.
[34] Il diritto al silenzio si applica agli interrogatori della polizia giudiziaria e nei tribunali.
L’imputato dovrebbe avere il diritto di astenersi dal
rendere testimonianza e, di conseguenza, di non
divulgare il contenuto del suo teorema difensivo
prima del processo. Le leggi degli Stati membri riconoscono il diritto al silenzio nel corso delle indagini
preliminari durante gli interrogatori della polizia giudiziaria o del pubblico ministero. Tuttavia, il modo in
cui l’imputato viene informato di tale diritto è diverso
nei singoli Stati e per garantirne il rispetto occorre che l’imputato ne abbia conoscenza. Secondo il
citato Studio sulle prove, in molti Stati membri esiste l’obbligo di informare l’imputato del suo diritto
al silenzio. Tale obbligo è previsto dalla Costituzione, dalla legge o dalla giurisprudenza. Alcuni Stati
membri hanno dichiarato che la prova ottenuta in
violazione di tale obbligo potrebbe essere considerata inammissibile, mentre altri sostengono che la
mancata comunicazione all’accusato dell’esistenza
di questo diritto potrebbe integrare gli estremi di
un reato o costituire un motivo di appello contro la
sentenza di condanna. Questo diritto non è assoluto. Qualora un giudice tragga conclusioni sfavorevoli
dal silenzio dell’imputato, esistono fattori che determinano se sono stati violati il diritto a un giusto
processo. Le conclusioni devono essere dedotte solo
dopo che l’accusa abbia provato i fatti prima facie. Il
giudice ha allora facoltà discrezionale di trarre le
conclusioni dai fatti come rappresentati in udienza.
Solo le deduzioni basate sul “buon senso” (common
sense) sono ammissibili e nella sentenza devono
essere esposte le ragioni su cui si fonda la decisione.
La prova contro l’imputato deve essere una prova schiacciante; in tal caso può essere utilizzata la
prova ottenuta mediante pressione indiretta. Il riferimento sul punto resta la causa Murray contro Regno
Unito, nella quale la Corte EDU ha dichiarato che
se i fatti fossero provati prima facie, e se l’onere della prova continuasse a restare a carico dell’accusa,
dal silenzio dell’imputato si potrebbero dedurre
conclusioni sfavorevoli. Obbligare l’imputato a
rendere testimonianza non è stato ritenuto in contrasto con la CEDU, mentre vi sarebbe violazione
della CEDU se una condanna fosse basata solo o
principalmente sul rifiuto di testimoniare. Ricavare conclusioni sfavorevoli dal silenzio dell’imputato
potrebbe essere considerata una violazione del
principio della presunzione di non colpevolezza a
seconda dell’importanza che i giudici nazionali attribuiscono a questo silenzio in sede di valutazione
degli elementi probatori e del grado di coartazione
esercitato. Le prove dell’accusa devono essere sufficientemente solide per esigere una replica. Il giudice
nazionale non può ritenere l’imputato colpevole solo
perché questi si è avvalso del diritto al silenzio. Solo
quando le prove contro l’imputato “richiedono” una
spiegazione che egli potrebbe fornire, dall’eventuale rifiuto di spiegazioni potrebbe dedursi, secondo
un ragionamento fondato sul buon senso, che non
esiste alcuna spiegazione possibile e che l’imputato
è colpevole. Al contrario, se gli argomenti dell’accusa hanno una forza probatoria così debole che non
richiedono una replica, avvalersi del diritto al silenzio non consente di concludere che l’imputato è
colpevole. La Corte EDU ha precisato che le conclusioni ragionevoli dedotte dal comportamento
dell’imputato non devono avere l’effetto di spostare
l’onere della prova dall’accusa alla difesa, violando
in tal modo il principio di presunzione di non colpe-
volezza. La Corte EDU non ha stabilito se tale diritto
si applichi anche alle persone giuridiche. La CGUE ha
dichiarato che le persone giuridiche non hanno un
diritto assoluto al silenzio; esse devono rispondere
alle domande relative ai fatti, ma non possono essere
obbligate ad ammettere l’esistenza di una infrazione.
[35] Cass. n. 25242 del 2006 nella quale viene ribadita l’irrilevanza del silenzio della parte a fronte di
una domanda o un’eccezione tardiva: ne consegue
che la valutazione relativa alla novità della domanda
o dell’eccezione è integralmente rimessa al potere
del giudice; Cass. n. 19543 del 2005; Cass., a Sezioni Unite, 25 febbraio 2000, n. 45; Cass., 16 ottobre
2009, n. 21967; Cass., 26 marzo 2009, n. 7269; Cass.,
27 giugno 2011, n. 14027; Cass. n. 415/2013; Cass.,
26 maggio 2014, n. 11765; Cass., 11 aprile 2014, n.
8539; Cass., 17 settembre 2007, n. 34928.
[36] Reato di false esibizioni e false comunicazioni al
Fisco introdotto nel nostro ordinamento giuridico
con il D.L. n. 201/2011, articolo 11, convertito, con
modificazioni, dalla L. n. 214/2011.
[37] CGUE del 24 aprile 2012, causa C-571/2010,
Kamberaj, paragrafo 63: “[…] il rinvio operato dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE alla CEDU non impone al
giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di
diritto nazionale e detta convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la
norma di diritto nazionale in contrasto con essa”.
[38] L. n. 186/2014 e Circolare n. 10/E del 2015.
[39] Cass. n. 20032/2001: “il principio del «nemo
tenetur» non è costituzionalizzato e, comunque, la circostanza (della configurabilità del reato) è recessiva
rispetto all’obbligo di concorso alle spese pubbliche,
secondo la propria capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost.”; Cass. n. 179975/2013; Cass. n.
415/2013; Cass., 26 maggio 2014, n. 11765; Cass.,
11 aprile 2014, n. 8539; Cass., 17 settembre 2007, n.
34928.
[40] Diritto al rispetto della vita privata e familiare.
[41] La Corte di Strasburgo ha imposto l’alt alle
perquisizioni nelle redazioni a tutela delle fonti
dei giornalisti. “Gli Stati contraenti sono vincolati ad
uniformarsi alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo dà delle norme della Cedu” (sentenze n.
348-349/2007).
[42] Sentenza n. 39/2008 della Corte Costituzionale.
[43] Che tuttavia non risultano essere perfettamente definite.
[44] Al contribuente, in forza dell’articolo 6, comma
4, L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente) non
possono essere richiesti documenti o informazioni
già necessariamente in possesso dell’Amministrazione finanziaria, la quale, anche ai sensi dell’articolo
18, n. 2, L. n. 241/1990 è tenuta d’ufficio ad acquisire
o produrre il documento in questione o copia di esso.
[45] Ogni sasso deve essere girato.
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