percorso 7
La moneta e la ricchezza
Estensione on line
lezione 3
I Sud del mondo
Globalizzazione e sottosviluppo
Oggi quasi un miliardo di persone vive con meno di un dollaro al giorno,
ogni anno più di sei milioni di bambini muoiono per malattie curabili, sono
850 milioni gli esseri umani che patiscono la fame, superano il miliardo
quelle che non hanno accesso all’acqua potabile. Nei Paesi occidentali tra
le prime cause di morte ci sono le patologie legate al sovrappeso, mentre,
nel mondo povero, ogni quattro minuti qualcuno muore per mancanza di
cibo, perlopiù bambini.
Una delle ragioni di tale catastrofe risiede nel cattivo sfruttamento del
terreno arabile, gran parte del quale viene utilizzato per l’allevamento del bestiame destinato ai consumatori di carne del
Nord del pianeta, piuttosto che per cereali da riservare all’alimentazione umana. Per far ingrassare di circa mezzo chilo un
manzo occorrono oltre quattro chili di foraggio, di cui più
della metà sono cereali. L’economista Jeremy Rifkin, nei suoi
scritti, ha ben documentato lo sperpero di grano cui dà luogo
la zootecnia. «Quando un manzo di allevamento sarà pronto
per il macello, avrà consumato 1.223 chili di grano e peserà
approssimativamente 475 chilogrammi. Attualmente, negli
Stati Uniti, 157 milioni di tonnellate di cerea­li, legumi e proteine vegetali, potenzialmente utilizzabili dall’uomo, sono destinati alla zootecnia. I bovini e il resto del bestiame stanno
divorando gran parte della produzione di grano del pianeta. Il
passaggio dal cibo al mangime continua velocemente in molti Paesi in
modo irreversibile, nonostante il crescente numero di persone che muoiono
di fame». L’80% dei bambini sottonutriti vive in Paesi che, di fatto, generano un surplus alimentare, che viene, però, prodotto sotto forma di mangime animale e, di conseguenza, utilizzato dai consumatori benestanti dei
Paesi industrializzati, spesso alle prese con gravi malattie legate all’abbondanza di cibo e ad un’eccessiva assunzione di grassi animali. I poveri del
Terzo mondo, invece, muoiono perché viene loro impedito di coltivare sulle
proprie terre il grano e i cereali per alimentare se stessi e la comunità cui
appartengono.
Le grandi multinazionali, inoltre, possiedono piantagioni e terreni fertili
riservati alle colture d’esportazione, prodotti come caffè, banane, arachidi,
cotone, destinati alla vendita nei Paesi industrializzati, ma non utilizzati
per il consumo interno. Negli ultimi trent’anni i Paesi in via di sviluppo
hanno visto aumentare notevolmente le loro esportazioni; a ciò ha fatto
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riscontro, paradossalmente, l’incremento delle importazioni di prodotti alimentari, giacché le colture d’esportazione tolgono spazio ai terreni per la
produzione locale.
Aggiungiamo altri elementi alla nostra analisi del sottosviluppo. Si tratta di
una panoramica che non tiene conto delle differenze tra la varie aree prese
in esame, va da sé che i problemi descritti non riguardano tutti allo stesso
modo. Lo sfruttamento delle terre fertili, ad esempio, coinvolge ovviamente
i Paesi che ne sono dotati e non quelli che, magari, non ne dispongono, ma
non per questo non subiscono altre forme di depauperamento.
L’economia mondiale è oggi gestita dalle multinazionali dei Paesi ricchi,
che controllano il 50% dell’intera produzione industriale e sono in grado
di mettere in atto strategie che travalicano i confini nazionali. Si tratta di
società costituite con capitali provenienti da diversi Paesi occidentali, che
hanno sede in un determinato Stato, ma possiedono imprese situate in altri
Paesi, le quali, per motivi di convenienza economica, affidano a terzi le
lavorazioni dei propri prodotti. La competizione economica a livello internazionale induce ad abbassare i costi di produzione. In che modo? Trasferendo la produzione dei beni all’interno di Stati in cui la manodopera ha
un costo estremamente basso, grazie anche al largo impiego di bambinilavoratori, le norme ambientali sono meno rigide, i diritti dei lavoratori
quasi inesistenti: di conseguenza, i margini di guadagno risultano molto
più elevati.
Il fenomeno appena descritto viene definito delocalizzazione e si attua, nella pratica, appaltando la produzione a
«sottofabbriche», che liberano le multinazionali dai costi
di produzione e da ogni responsabilità di realizzazione
del lavoro.
Facciamo un esempio. La Nike, la cui sede centrale è
nell’Oregon (Stati Uniti), subappalta la sua produzione in
oltre quaranta località, soprattutto dell’Asia meridionale.
Ogni anno sei milioni di paia di scarpe sportive vengono
confezionate in Indonesia, nelle fabbriche di Tangeran e
Serang. Ecco per grandi linee il procedimento di lavorazione. Una volta stabilito il design di un determinato
modello, la casa madre trasmette i dati via Internet a una
società che elabora il prototipo. Da questo momento in poi la lavorazione
viene affidata alla fabbrica vera e propria, gestita, a sua volta, da altre società che producono le scarpe sotto la supervisione dei tecnici della Nike.
Il prodotto finito viene poi commercializzato in tutto il mondo dalla casa
madre. Le varie fasi di lavorazione richiedono, ovviamente, investimenti
economici di diversa entità: è stato calcolato che il costo di un annuncio
pubblicitario basterebbe ad aumentare il salario di un centinaio di donne
sottopagate, visto che il loro compenso giornaliero è di circa cinquanta
centesimi di euro.
Ancora un altro esempio. La Nigeria è il maggior produttore ed esportatore
di petrolio africano, quasi interamente estratto dal delta del Niger. Le compagnie petrolifere occidentali, Shell in testa, che controllano le operazioni
di estrazione ed esportazione del greggio, sono proprietarie degli oleodotti
attraverso cui viene portato alle petroliere per essere imbarcato. La gran
parte della popolazione del delta, però, non trae alcun beneficio da questa
ricchezza, anzi vive in una condizione di pesante repressione: la classe
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dirigente, corrotta e rapace, pensa solo ad arricchirsi e non a utilizzare i
proventi del petrolio per finanziare lo sviluppo. Sono molti i Governi che
non si fanno portavoce degli interessi della gente che dovrebbero rappresentare, ma si alleano con le grandi imprese per soddisfare al meglio la
propria avidità.
• Negli anni scorsi gli effetti negativi della globalizzazione hanno gravato
soprattutto sui Paesi più poveri. Le recenti crisi finanziarie hanno messo
in discussione, però, molte certezze dell’economia globale anche in Occidente.
Fai una ricerca sulla situazione economica attuale, in particolare nell’Unione
europea, poi discuti i risultati in classe con i tuoi compagni.
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percorso 7 - Simone per la scuola