POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N.46) ART.1, COMMA 1, DCB ROMA SABATO 4 MAGGIO 2013 ASSEMBLEA DEM TRIONFO T UKIP I Inghilterra al voto, va forte il p partito anti-Ue. Chi ha paura d A PAGINA 3 del Grillo inglese? Indifferente al toto-segretario, Renzi vigila sul percorso verso il congresso. Puntando ad A PAGINA 2 avere incarichi nella segreteria ■ ■ COSTITUZIONE IN PARLAMENTO LETTANOMICS Bruxelles promette all’Italia l’uscita dalla procedura di infrazione, lo spread cala a 250 A PAGINA 2 e crollano i rendimenti dei Btp LARGHE INTESE IN CRISI EDITORIALE Cosa può fare e non fare la Convenzione per le riforme Ma la Rete non è solo paura FILIPPO SENSI MARCO OLIVETTI A L a Convenzione sulle riforme costituzionali è già diventata, prima ancora della sua effettiva istituzione, un tema controverso, non solo per la sua composizione (e per l’ipotesi, invero un po’ bizzarra, che essa sia presieduta da Silvio Berlusconi), ma per ogni suo profilo: ragione giustificativa, poteri, limiti. L’idea di una Convenzione non è certo nuova nel costituzionalismo occidentale. L’esempio forse più risalente è il parlamento straordinario convocato nel 1660 per restaurare gli Stuart dopo la prima rivoluzione inglese, seguito poi nel 1688 da quello che chiamò sul trono Guglielmo d’Orange, dopo la cacciata di Giacomo II (la cosiddetta glorious devolution). Ma la stessa denominazione venne utilizzata per definire l’organo che elaborò a Filadelfia nel 1787 la Costituzione degli Stati Uniti e, pochi anni dopo, la Costituzione francese del 1793. SEGUE A PAGINA 5 ■ ■ CONGRESSO Normalizzatori all’opera. Ma il partito non torna indietro DAVIDE FARAONE «A bbiamo portato in parlamento, con le primarie, alcune persone che in questi giorni hanno dimostrato di non avere consapevolezza del proprio compito, in un momento in cui va rilanciato il ruolo del parlamento». Ecco, queste affermazioni dell’ex presidente del partito Rosy Bindi, unite alla volontà espressa da qualche dirigente del Pd, di abolire le primarie per la selezione del segretario del Pd, già dal prossimo congresso, mi fanno sospettare l’inizio di una seria campagna di “normalizzazione”. L’intervista di Massimo D’Alema sul Corriere della Sera, la sua determinazione nell’indicare le tappe, sa tanto di «ragazzi, non sentite la campanella? La ricreazione è finita!». Tutto parte da una premessa, il caos di questi mesi nel Pd e in parlamento è da addebitare alle reclute, alla mancanza di uomini d’ordine in parlamento. SEGUE A PAGINA 5 ANNO XI • N°88 € 1,00 Silvio padre costituente è troppo Il Pd unito divide la maggioranza Da Renzi a Fassina, veti sul Cavaliere presidente della Convenzione. Il Pdl si ribella. Intanto il sindaco di Firenze prepara la svolta “neo-laburista”. E su Cuperlo sta a guardare GIOVANNI COCCONI S arà anche un governo delle larghe intese. Sarà anche il primo del post-antiberlusconismo. Ma la sola idea del Cavaliere presidente della Convenzione per le riforme è sufficiente per ricompattare tutto il Pd, un partito senza segretario e con un candidato in pectore (Gianni Cuperlo) che non mette d’accordo tutti. Per Matteo Renzi Berlusconi presidente «sarebbe inaudito», per il neo-viceministro Stefano Fassina serve «una figura di garanzia», ma la sostanza è chiara: il Pd non esclude di affidare a un esponente del Pdl la presidenza della costituenda assemblea ma questo non può essere il Caimano. Tra l’altro i dem sono disposti anche a non far pesare il premio di maggioranza nella composizione della Convenzione (secondo la regola di un terzo al Pd, un terzo al Pdl e uno al Movimento 5 Stelle) ma gli alleati insistono sul nome di Berlusconi: «La nomina tocca a noi». Accantonata (e forse in via di risoluzione la grana Imu) la Convenzione apre un nuovo caso politico, alla vigilia della doppia mozione con testo identico che Camera e Senato si avviano a far approvare per dare vita al nuovo organismo, al quale Letta ha legato la durata del proprio governo. Un’assemblea che dovrebbe essere composta anche da non parlamentari ma sulla cui legittimità costituzionale obietta un giurista come Stefano Rodotà, il presidente della repubblica mancato, di fatto il personaggio che continua a compattare il fronte dell’opposizione. Intanto, ospite del festival sulla tv di Dogliani (Cuneo), Renzi ribadisce il suo appoggio a Letta (più che al suo governo) ma non fa nomi per il nuovo segreterio del partito che sarà votata dall’assemblea il prossimo 11 maggio. «In questi sei mesi sono praticamente stato candidato a tutto, – dice il sindaco – ma a questo giro non mi candido». E i suoi spiegano: «Ogni giorno spunta un nome nuovo. Ci dicano qual è quello giusto. Matteo non si metterà a litigare, se lo farà andar bene». Insomma, alla fine potrebbe arrivare anche un clamoroso via libe- ) P O L I T I C A L LY C O R R E C T _ Cécile e Laura, le parole sono importanti ra (almeno temporaneo) anche a Cuperlo, lanciato da Giovani turchi e da una parte dell’ex maggioranza bersaniana. Il Rottamatore sembra più preoccupato di preparare quella che qualcuno già chiama la svolta neolaburista. «La riforma Fornero va completamente riscritta» dice citando le proposte di Tito Boeri, meno “liberiste” di quelle di Pietro Ichino. E le idee di Blair? «Non sono più adatte nel 2013». @GiovanniCocconi ■ ■ ROBIN Micciché Quanto scandalo per Micciché viceministro alla pubblica ■ ■ ALESSANDRO LANNI ■ ■ amministrazione. In fondo in S ono due i luoghi comuni che tutti i fieri oppositori del politically correct tengono come punti cardinali della loro battaglia: la differenza etnica e di genere. Il refrain l’abbiamo imparato ormai: «Non conta il linguaggio che uso per parlare di te, ma quello che penso veramente», «non conta se sei uomo o donna: quel che è importante è quel che fai». Il tema c’è ma l’Italia può permettersi di passare sopra la forma e le parole? Pare ancora di no. Nell’arco di un paio di giorni un ministro come Cecile Kyenge e la presidente della camera Laura Boldrini hanno scosso le acque di quello strano paese, il nostro, nel quale si mette in discussione la correttezza politica del linguaggio senza che questa sia mai divenuta uno standard comune. SEGUE A PAGINA 4 via XX Settembre se lo ricordano ancora: si fermava sempre fino a tardi. ll’improvviso la Rete è diventato un posto oscuro, limaccioso. Non che non si sapesse da tempo, come ci ha spiegato da anni ormai Evgeny Morozov. Eppure, chissà, magari sull’onda della vittoria di Obama in America o del boom di Beppe Grillo alle elezioni, qualcuno si era fatto il film che la democrazia diretta fosse ormai una realtà adamantina, gravida soltanto di opportunità da cogliere. E invece. Con una intervista importante, la presidente della camera Laura Boldrini ha posto la questione delle campagne d’odio, dell’hate speech sulla Rete. Che non è questione che riguarda una singola persona, ma più in generale la forma delle nostre relazioni, il senso del nostro stare assieme, la dignità e la responsabilità nella sfera pubblica, ampliata e moltiplicata dai social network. C’è chi ha voluto vedere nel tema posto da Boldrini il pericolo di un bavaglio alla libertà di espressione, non crediamo sia questo il caso: la presidente della camera parla, piuttosto, di una «battaglia culturale». Esiste già una normativa che mette in condizione di colpire stalker e predicatori d’odio online, si tratta di applicare le leggi che già esistono. Magari ragionando insieme anche, ma non solamente, del lato oscuro della Rete, di come questo specchio digitale rifletta quanto di buono e quanto di assai meno buono ci abiti e agiti, ci inquieti. Parallelamente, lo stesso Movimento 5 Stelle è finito nel mirino di un cyberattacco che ha aperto come una scatoletta di tonno le caselle private di posta elettronica di vari parlamentari. Partono denunce (sacrosante), si lamentano ritardi nell’intervento, si chiedono tutela e indagini. Lo sghignazzo sui pifferi di montagna lo lasciamo ad altri: va riquadrato, piuttosto, il tentativo, da parte dei grillini, di non consegnare la Rete all’ombra del ricatto, della minaccia; di rivendicarne il potenziale di liberazione, cambiamento, partecipazione. In fondo, è in questa natura ancipite di Internet, nella sua identità anfibia, la cifra del suo formidabile – etimologico – potere. Che può essere veicolo di empowerment, di emancipazione e di lotta contro gli stereotipi, come auspica, se non abbiamo capito male, Boldrini. Oppure un buco nero di aggressività, un pauroso incubo monadico, una condanna a vita. A noi, alla fine, la scelta. @nomfup Chiuso in redazione alle 20,30