Pericolosità da frana
• Le frane sono molto diffuse nel nostro paese, costituendo
spesso il principale vincolo geoambientale all’uso di molte
aree. Un'indagine del 1970 ha censito oltre 3.000 frane
attive in Italia; attualmente nel nostro paese è in corso un
nuovo aggiornamento dell’archivio frane (progetto IFFI). Fra
i principali eventi franosi che hanno funestato il nostro paese
in tempi recenti si possono citare la frana del Vaiont del
1963, quella di Ancona del 1983, quella della Val Pola
(Valtellina) del 1987
La Frana del Vajont
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Il 9 ottobre 1963 una frana dalle eccezionali dimensioni di oltre 300 milioni di metri cubi di roccia si staccò dal versante
settentrionale di Monte Toc (provincia di Belluno), precipitando nel sottostante lago artificiale che era stato realizzato
mediante la costruzione di una diga ad arco in calcestruzzo che aveva sbarrato la gola del torrente Vajont, affluente di
sinistra del Fiume Piave.
Il corpo di frana riempì parzialmente il lago artificiale e risalì sul versante opposto per circa 140 m. L’impatto della frana
nel lago ebbe l’effetto di proiettare l’acqua dell’invaso contro la sponda destra per un’altezza di circa 260 m sopra il
livello del lago, con una azione paragonabile a quella di un pistone. L’acqua ricadde propagandosi sia verso monte che,
soprattutto, verso valle; in questa direzione si generò un’onda che scavalcò il coronamento della diga (che resse in
maniera eccellente all’urto) e che percorse in pochi minuti la ripida gola del torrente, lunga circa 1,5 km, scaricandosi
quindi nella piana alluvionale del Piave. La massa d’acqua, valutata in circa 40 x 106 mc, investi e spazzò via buona parte
dell’abitato di Longarone e di altri centri minori. I morti furono valutati in oltre 2.000, anche se non fu mai possibile
accertarne l’esatto numero.
La tragedia del Vajont consente di mettere in luce il problema della sorveglianza di pendii instabili e della prevedibilità
delle frane soprattutto in presenza di situazioni ad alto rischio ambientale.
Infatti il versante settentrionale di Monte Toc era già stato identificato come instabile sin dagli studi geologici
preliminari effettuati durante la fase progettuale. Terminata la costruzione della diga, non appena si iniziò l’invaso del
serbatoio, ebbero a manifestarsi alcuni movimenti di modesta entità (maggio 1960) e successivamente (novembre dello
stesso anno) un franamento di cospicue dimensioni (700.000 mc di roccia) in occasione del massimo invaso, che provocò
nel lago un’onda di 10 m di altezza che si infranse contro la diga.
Contemporaneamente si evidenziò una frattura lungo il versante del monte che segnava il limite della massa in procinto di
franare; per tenere sotto controllo il movimento vennero quindi posti alcuni capisaldi sul corpo di frana. Da questo
momento è possibile seguire l’evoluzione del fenomeno nei diagrammi costruiti riportando l’entità degli spostamenti subiti
dai capisaldi. L’osservazione mostra la relazione diretta fra il livello dell’acqua nell’invaso e l’accelerazione del fenomeno
fino al momento in cui le curve tendono a farsi verticali, indicando un valore infinito della velocità.
Si può dire che l’evoluzione del fenomeno era scritta nel diagramma di spostamento dei capisaldi e che era possibile
prevedere l’approssimarsi del franamento vero e proprio, anche se non era possibile prevederne le modalità che
mostrarono un carattere di eccezionalità, soprattutto per quanto riguarda l’estrema velocità assunta dal materiale in
frana nella fase culminante del movimento.
Il disastro poteva dunque essere evitato eliminando le cause che mantenevano ed incrementavano le condizioni di
instabilità del versante (prime fra tutte l’eccessiva altezza raggiunta dall’acqua nell’invaso, come concordemente ammesso
dai numerosi studi e perizie eseguiti dopo la frana) o, quantomeno, se ne poteva azzerare (o ridurre drasticamente) il
costo in vite umane, ricorrendo all’evacuazione delle zone abitate che potevano essere investite dall’onda di piena, una
volta che ci si fosse reso conto dell’approssimarsi del franamento.
Mancò allora molto probabilmente nei tecnici preposti alla sorveglianza dell’impianto (tutti deceduti nel disastro) la
percezione delle reali proporzioni del fenomeno e della sua evoluzione spazio-temporale; mancò sicuramente nelle
istituzioni preposte al governo ed alla tutela del territorio un organismo in grado di stimare la situazione di rischio e
prendere tempestivamente le opportune decisioni.
PROBLEMATICHE
DEL
RISCHIO
DA
FRANA
Definizione della tipologia dell’evento
franoso
Frane, dimensioni e velocità
Frane, cause e fattori
Approcci metodologici alla valutazione
della Pericolosità da frana
Il contributo della tecnologia GIS
La schedatura delle frane e la
realizzazione di progetti di riassetto
idrogeologico del territorio
APPROCCI PER LA
VALUTAZIONE
DELLA
PERICOLOSITA’ DA
FRANA
Intensità - Determinazione della
tipologia (severità, geometria e
meccanica del fenomeno atteso)
Probabilità – tempo di ritorno del
fenomeno
METODI QUALITATIVI E
QUANTITATIVI
METODI DIRETTI ED INDIRETTI
VINCOLI
•Scala
•Potere predittivo - calibrazione
•Stabilità
•Oggettività/riproducibilità
•Costi (inferiori al danno!)
APPROCCI PER LA VALUTAZIONE DELLA
PERICOLOSITA’ DA FRANA
INTENSITA’ – ATTIVAZIONE E TIPOLOGIA
Metodo deterministico: modellazione geotecnica dei versanti (sarebbe il
metodo più rigoroso, ma richiede molti parametri e presenta instabilità)
Metodo analitico: si basa sull’analisi geomorfologica delle frane e degli
agenti di dissesto, dai quali si determina l’evoluzione morfologica attesa
(è un metodo fortemente soggettivo)
Metodo parametrico: vengono a-priori scelti i parametri di controllo che
vengono indicizzati in funzione del minore o maggiore grado di
predisposizione al dissesto che determinano (la scelta dei parametri
spesso è soggettiva, così come il criterio di indicizzazione)
Metodo statistico: dall’analisi spazio-temporale combinata della delle
frane e di alcuni parametri di controllo si individuano pattern degli
attributi morfologici che configurano condizioni di pericolosità (richiede
archivi-frane non disponibili)
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Rischio geologico 5