Visita All’alto Corso
Del Fiume Piave
IL BACINO DEL FIUME PIAVE
Il bacino del Piave tra Perarolo e Fener presenta una linea spartiacque che partendo da Nervesa e
procedendo verso occidente comprende le seguenti cime principali : ad occidente Montello (369) ;
Gappa (1776) Presolan(1481) Avena (1453) Marmolada (3342) ; ecc mentre a settentrione il Piz Boe’
(3151) il M. Cristallo (3235) ; le tre cime di Lavaredo (2998) ecc ; mentre ad oriente Siera (2448)
Fortezza (2779) Cavallo (2251) Col Visentin (1763).
Le sorgenti scaturiscono a quota 2037 alle pendici meridionali del gruppo del Peralba ( m 2693) ed il
corso si svolge inizialmente in direzione SW poco a monte della confluenza con l’Anisei ; piega quindi a
S-SW fino alla confluenza con il f Rai ; successivamente torna a scorrere in direzioneSW fino alla
prossimita’ dell’abitato di S. Giustina Bellunese da dove inizia un’ampia conversione per giungere al
termine del proprio bacino montano chiuso a Nervesa della Battaglia con una superficie totale di
3899 km2
IL Bacino del F. Piave confina ad Ovest con quelli del Brenta e dell’Adige, a Nord con quelli dell’Adige
e della Dravae ad Est con quelli del Tagliamento e del Livenza.
Tra gli affluenti del Piave i piu’ importanti, con un bacino superiore a 100 km2 sono :
•l Boite (396 km2), in destra, dopo il Cordevole il piu’ importante affluente, che sgorga dalle
pendici del pozzo Sliga.
•il Mae’ (232 km2) in destra che si origina dalla Forcella Moiazzetta.
•il Tesa (136 km2 )in sinistra i cui deflussi sono immessi nel Livenza.
•Il Cordevole ( km 867 km2) in destra con le sorgenti del gruppo Sella
•Il Sonna(137 km2) in destra che nasce dalle pendici del Marangon e del Peruzze
•Il soligo (126 km2) in sinistra che proviene dai laghi di Revine.
Vi sono tre laghi :
•Il lago di Alleghe (0.45 km2)
•il lago di Misurina (0.15 km2)
•il lago di S. Croce sul Tesa (136 km2) con un bacino imbrifero di 120x106 km2 ma le portate da
esso derivate vengono immesse artificialmente nel Meschio, affluente del Livenza.Il suo
naturale emissario il F. Rai, affluente del Piave, attualmente ha la sola funzione di scarico di
troppo pieno.
Sappada
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Siamo al confine tra Veneto e Friuli ma, curiosamente, Sappada assomiglia di piu' all' alto adige...
fu infatti fondata da genti dell'area germanofona, venute da oltre l'odierna catena di confine.
Dal versante veneto si sale dal Comelico, piuttosto facilmente (fermarsi lungo la strada a vedere
l'orrido dell'acquatona); dal versante friulano la salita non sarebbe granche' se non fosse per 800m.
assassini al 12-15%
In cima (cima Sappada), vista su Sappada più in basso e sulle vette che fanno da passaggio tra
Dolomiti e Carnia. Da cima Sappada si sale in 8 km alle sorgenti del Piave, con bella vista al
cospetto del Peralba. La salita mette a dura prova con un paio di tratti da circa 1,5 km. con punte
del 15%, soprattutto il primo con degli strettissimi tornantini.
In seguito alle vicende storiche ed alla posizione geografica, punta settentrionale del Veneto,
Sappada costituisce una vera e propria isola etnica e linguistica.
Pare che la vallata sia stata colonizzata intorno al 1000 da profughi tirolesi, forse attratti dai
ricchi giacimenti minerari. Ancora oggi il dialetto parlato dagli abitanti è tedesco, o meglio di tipo
bavaro-tirolese. Sappada si distingue, agli occhi del turista, per le case antiche, i prati curati e
l'aspetto complessivo ordinato di tutto il paese. Il paese, formato da undici distinte borgate, si
estende tra il Comelico e il Canale di Gorto, in una conca soleggiata contornata da montagne
spettacolari. Simbolico è il monte Peralba dove si trovano le sorgenti del Piave.
Le borgate costituiscono dei "minipaesi", ognuna con una sua chiesa ed una propria storia. Quelle si
Sappada Vecchia sono le meglio conservate, con case e rustici in legno del XVII secolo. Meritano
una visita la Casa Solero, in Dorf, le cascatelle del rio, in borgata Muhlbach, illuminate di sera ed
il Museo Etnografico, borgata Bach.
L'escursionista conta di ben 60 Km di sentieri, tra i quali spicca la Val Sesis, dominata dalla mole
bianca del Monte Peralba (Hochweisstein, pietra bianca).
In inverno il comprensorio dispone di 14 sciovie e 4 seggiovie per quasi 50 km di piste in totale.
Per gli amanti del fondo c’è un anello di 15 km molto apprezzato da atleti di alto livello.
Caratteristiche maschere il legno e specialità locali, come ricotta e prosciutto, si possono
acquistare in diversi negozi del centro del paese.
Il territorio
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Gli annali storici relativi a quest'area di montagna riportano spesso tragedie collegate ad eventi naturali.
Piogge torrenziali che si trasformano in inondazioni, scosse sismiche che provocano danni ingenti alle
abitazioni, crolli parziali o totali di pezzi di montagna. Questi eventi, nel giro di poche ore, annientavano
decenni di dura fatica e di cospicui investimenti, mandando rapidamente in fumo una ricchezza costruita con
immani sacrifici dalle popolazioni alpigiane. La popolazione, con il solo apporto dei singoli, ha sempre saputo
ricostruire i centri distrutti, gran parte dei quali edificati nelle vicinanze di corsi d'acqua, in prossimità
quindi di un importante elemento naturale che se favoriva l'espandersi di una certa struttura produttiva,
dall'altra, con le sue piene periodiche, provocava danni notevoli alla comunità. L'inondazione del 1882 portò
addirittura alla scomparsa definitiva di vari insediamenti, che non furono più ricostruiti sul vecchio sito. I
precedenti storici relativi a questi avvenimenti sono molti, tanto da costituirne un pensiero costante nella
vita di un popolo che, soprattutto nel passato, ha dovuto fare i conti con una natura non sempre prodiga.
Per quanto riguarda la tragedia del Vajont, le avvisaglie di quanto poteva succedere si erano avute dapprima
con la frana di Pontesei nella vicina valle di Zoldo, e poi con quella del 4 novembre 1960, che aveva
interessato proprio il versante instabile del M. Toc. Sarebbe stato sufficiente cogliere il significato del
toponimo della montagna suddetta (Toc = monte che va a pezzi, a tocchi), o delle montagne vicine, per evitare
una delle più grandi tragedie del genere umano............. ma ancora una volta altri interessi vennero
considerati prioritari rispetto alla vita di migliaia di persone umane.
precedenti storici
La frana del M. Toc del 9 ottobre 1963 sicuramente può definirsi un avvenimento eccezionale viste le sue
tragiche conseguenze, ma sicuramente non è stata l'unica nel panorama territoriale di natura montagnosa di
questa zona.
Da un documento storico che risale a Catullo si deduce che dalle falde del M. Peron, nei pressi del paese di
Mas situato alle porte dell'Agordino, si staccò un'enorme frana che sbarrò il passaggio sul fondovalle.
Il Taramelli riporta il resoconto di un'altra frana, di dimensioni ancor più grandi, al confine tra le province di
Belluno e Treviso, in corrispondenza del Passo di Fadalto e di un'altra nei pressi di Belluno che provocò, a
quanto sembra, anche il crollo del ponte sul Piave, che congiungeva Borgo Piave alla città.
Dal M. Antelao si ricordano diverse frane a rigoroso intervallo di tempo: 1347, 1737, 1814, 1868 con la
scomparsa dei villaggi di Sala, Taolen, Marceana e con un inventario di danni impressionanti. Settanta
abitazioni distrutte, trecento persone morte, quattrocento animali, centinaia di ettari di terreno coltivato
sepolti per sempre..........
Nella Conca Ampezzana, nel 1951, dal M. Faloria si staccò una frana con un fronte di circa 200 metri, che
arrivò a ridosso del lago di Costalares.
Il lago di Alleghe si formò nel 1771 a seguito di una frana caduta dal M. Spiz e che causò anche la sepoltura di
tre villaggi: Ariete, Fucine e Merin, sessanta vittime e la morte di un centinaio di bovini.
Nella valle di S. Lucano prima nel 1748 e poi nel 1908 e nel 1925 si verificarono delle grosse frane che
investirono e distrussero parte dei centri di Prà e Lagunaz, con 28 morti ed una decina di feriti.
La frana di Pontisei
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la frana di Pontesei funzionamento, sebbene favorisca un miglioramento della condizione umana,
porta un prezzo alto da pagare: l'inevitabile scompenso al patrimonio naturale.
Nel bacino idroelettrico di Pontesei, costruito sul torrente Maè nella Val Zoldana, nel 1959 si era
consumata una tragedia che poteva risultare ben più grave di quanto avvenuto e che doveva essere
di monito al Vajont. Le caratteristiche tecniche della frana in questione la fanno assomigliare in
modo evidente alla frana del M. Toc. Pontesei era collegato a monte con il serbatoio di Vodo di
Cadore e a valle con il bacino stesso della diga del Vajont. Una condotta a sifone alimentava il suo
serbatoio, essendo il bacino imbrifero del Vajont insufficiente per questa mansione.
Secondo alcune testimonianze diverse fessure erano comparse sulla sponda sinistra del vallone,
fatto che costrinse l'ing. Linari ad avvertire la popolazione di un pericolo concreto. Fu preso anche
il provvedimento di interrompere il traffico sulla strada in sponda sinistra, dirottandolo sulla
sponda destra. Nelle ore che precedettero l'evento il terreno si muoveva a vista d'occhio ed una
fessura di 50 cm si era prodotta lungo la sede stradale. Alle ore 7 del 22 marzo 1959 una frana,
staccatasi dalle falde del M. Castellin e dello Spiz San Pietro, con un fronte di circa 500 metri ed
un volume di circa 3 milioni di metri cubi, precipitò nel lago artificiale di Pontesei. Il movimento,
avvenuto circa 500 metri a monte dello sbarramento, fu rapidissimo; avvenne in un tempo massimo
di due-tre minuti, e provocò un'onda stimata di circa 20 metri di altezza. Il livello del lago, in quel
momento, era all'incirca di 13 metri sotto il livello della cresta della diga che fu scavalcata di
parecchi metri dall'onda. L'evento provocò un morto, la distruzione di un ponte del peso di settanta
tonnellate, ed aveva posto in pericolo di morte gli occupanti di una corriera che fu investita
comunque dall'onda e che si salvarono solo grazie alla pronta inversione di marcia dell'autista.
Inoltre, dal punto di vista morfologico, la frana portò alla formazione di una penisola in mezzo al
bacino che ne ridusse considerevolmente il volume d'invaso.
Anche qui, nonostante i movimenti franosi fossero conosciuti da tempo e tenuti sotto controllo, non
si riuscì, o non si volle, prevedere l'evento. Quest'ultima ipotesi sarebbe anche confermata dal
fatto che all'incidente non venne dato particolare risalto, anzi fu cautelativamente occultato per
non creare allarmismi che potessero compromettere la realizzazione del progetto Vajont. I periti che
successivamente si occuparono delle cause della frana determinarono che si trattava del franamento
di una falda superficiale di materiale detritico di uno spessore notevole, che raggiungeva in alcuni
punti anche i 20 metri.
A Pontesei quindi l'acqua aveva dimostrato la sua potenza distruttiva, sotto la spinta di una frana
di modeste dimensioni, paragonabile ad un centesimo di quella del Vajont........
La frana del 4 novembre
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Neanche due anni dopo la frana di Pontesei, nel Vajont si ebbero le prime avvisaglie della tragedia.
Una massa di circa 800.000 metri cubi di materiale, a 600 metri a monte della diga in località
Piano della Pozza, precipita nel bacino, dando luogo ad un'onda di 2 metri che, all'impatto con la
superficie della diga si solleva fino ad un'altezza di 10 metri. Non si registrano danni, ma il fatto
era un monito fin troppo evidente.
Il livello del lago, in quel momento in corso di invaso, era a quota 650. Da circa due mesi, cioè da
quando il livello dell'acqua aveva raggiunto quota 630, si erano registrate delle forti
accelerazioni nelle velocità degli spostamenti ai capisaldi controllati (circa 4 cm al giorno). Il
movimento franoso si poteva già considerare parte integrante di quello futuro, in quanto comparve
anche la lunga fessura perimetrale della frana del 1963. Questa, apparsa sulle pendici
settentrionali del M. Toc, assunse l'aspetto di una gigantesca M che si sviluppò per più di 2500
metri. Iniziava presso la strada, a quota 1.030, risaliva fino a quota 1.360, discendeva a 930
metri nel bacino Messalezza risalendo nuovamente a 1200 metri; si attestava infine a quota 800.
A seguito di questo evento venne imposto il provvedimento di svaso, che consentì anche di
osservare la base del Colle Isolato, dove l'acqua aveva eroso l'humus vegetale. Questa superficie,
ammasso di roccia fratturata, appoggiava su ghiaie di fiume stratificate.
Si intensificarono anche gli studi e le ricerche per arrivare a diagnosi più precise e fu scavata,
sul fianco destro della valle, una galleria di sorpasso con lo scopo di prevenire l'eventualità che
l'acqua del lago, nel caso la frana lo dividesse in due, non potesse più venir convogliata nella
galleria di derivazione. Tutti questi apparivano quasi dei tentativi di esorcizzare una tragedia che
aveva, anche fisicamente, definito i suoi ineluttabili contorni. La giornalista Tina Merlin scrive in
quei giorni: "Si era dunque nel giusto quando, raccogliendo le preoccupazioni della popolazione, si
denunciava l'esistenza di un sicuro pericolo costituito dalla formazione del lago. E il pericolo
diventa sempre più incombente. Sul luogo della frana il terreno continua a cedere, si sente un
impressionante rumore di terra e sassi che continuano a precipitare. E le larghe fenditure sul
terreno che abbracciano una superficie di interi chilometri non possono rendere certo tranquilli".
Le montagne del Vajont
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le montagne del Vajont
Il monte Toc è situato in una vallata che sicuramente non ha fatto dormire sonni tranquilli, nei
secoli, ai suoi abitanti. La tragedia non era dunque del tutto inaspettata.
Il Taramelli, in un resoconto del passato, dichiarava: "un enorme scoscendimento nella valle del
torrente Vajont, tra il meschino paese di Erto e quello ancor più povero che viene dopo (trattasi
evidentemente di Casso - N.d.R.). La massa calcare franò dall'altezza di 1200 metri dai fianchi del
M. Borgà e la ferita negli strati giuresi e liassici par fatta ieri". Giulio Cesare Carloni e Renzo
Mazzanti nel libro Aspetti geomorfologici della frana del Vajont descrivono: "una prima frana di
dimensioni oggi non calcolabili con precisione, ma senza dubbio non paragonabile a quelle della frana
dell'ottobre 1963, si è staccata presumibilmente in epoca preistorica, dal fianco sinistro lungo la
parete di incisione torrentizia per finire sul fianco opposto".
Anche nel XVIII° secolo una frana, staccatasi sempre dalle pendici del M: Borgà, per poco non
travolse il paesino di Casso, e anche successivamente la montagna ha sempre scaricato qualche
masso.
IL progetto Boite-PiaveMaè-Vajont
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1940 - il progetto "Boite - Piave - Vajont"
Il 22 giugno 1940 la SADE presentò al Ministero dei Lavori Pubblici, attraverso l'ufficio del Genio Civile di Belluno, una
domanda di "Derivazione dai fiumi Boite - Piave - Vajont: fusione e coordinamento di precedenti domande". Il progetto
prevedeva lo sbarramento del Piave in corrispondenza del ponte Rauza, presso Pieve di Cadore, e la creazione di un
serbatoio nel quale sarebbero confluite le acque del Boite presso Vodo, scaricandole vicino Sottocastello. Qui sarebbe nata
una centrale per l'utilizzazione del dislivello relativo. Dal serbatoio del Piave le acque sarebbero state convogliate, in
galleria, al serbatoio del Vajont e da qui alla grande centrale di Soverzene. La fusione integrale di vari progetti
precedenti era diretta ad ottenere la concessione per la maggiore potenza utilizzabile, sfruttando inoltre anche alcuni
affluenti di sinistra del Piave, le cui portate sarebbero state immesse direttamente nel Vajont. Le centrali avrebbero
avuto le seguenti caratteristiche:
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Sottocastello: portata media mc/sec 6.90 - salto medio metri 173.50 - Potenza nominale media HP. 15.692
·
Soverzene: portata media mc/sec 36.10 - salto medio metri 255.65 - Potenza nominale media HP. 123.053
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Il serbatoio di Ponte Rauza, sul Piave, avrebbe avuto una capacità di circa 49 milioni di mc, mentre quello del
Colomber, sul Vajont, di circa 59 milioni.
Per tutti i serbatoi progettati la SADE chiese anche l'esonero del canone per la derivazione, salvo la quota spettante agli
enti locali, la facoltà di sottoporre a contributo i fondi irrigabili, contributi governativi per la spesa e l'esecuzione
dell'opera e naturalmente i benefici fiscali per le imposte indirette.
Il 15 ottobre 1943 il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici espresse voto favorevole al progetto, previa visione dello
stesso, delle opposizioni del Genio Civile di Belluno e delle controdeduzioni della SADE. Negli anni seguenti (1945 - 1946)
il voto fu confermato ed integrato.
1948 - il progetto "Boite - Piave - Maè - Vajont - Val Gallina"
Il progetto esecutivo fu presentato il 18 maggio 1948, con varianti e modifiche al progetto di massima e ai dati di
concessione, con lo scopo di migliorare l'utilizzazione delle acque. In particolare si chiedeva lo spostamento della presa da
Vodo a Valle di Cadore, con la modifica della portata e del salto della centrale di Sottocastello; un piccolo spostamento a
monte dei rigurgiti provocati sia dalla diga di Pieve che da quella del Colombèr; una derivazione della Val Gallina, nuova,
con creazione di un serbatoio ed utilizzazione del relativo bacino.
Naturalmente la domanda includeva ancora una nuova richiesta delle sovvenzioni ed agevolazioni previste dal Testo Unico
11 dicembre 1933, ritenute indispensabili per coprire parzialmente il disavanzo economico dell'impresa. Veniva altresì
puntualizzato che la produzione annua di oltre 750 milioni di KWh avrebbe contribuito in modo cospicuo alla ripresa
economica nazionale. Nella nuova relazione geologica Dal Piaz distingueva la valle del Vajont in due settori vallivi con
caratteri morfologici completamente diversi; confermava per la parte inferiore della vallata la possibilità di impiantare
una diga di sbarramento di altezza considerevole anche se la parte superiore era caratterizzata "dalla presenza di
vastissimi rivestimenti di materiali detritici di natura morenica e specialmente franosa che rivestono i fianchi del
bacino". Secondo Dal Piaz una frana, staccatasi dalle pendici del monte Borgà, si era accumulata in epoca antica sul fondo
valle, risalendo in parte la sponda opposta. Successivamente le acque del Vajont avevano inciso la massa nel suo punto
inferiore. Ma la frase della relazione che doveva forse allarmare era relativa ad una zona, il Pian di Pineda che, secondo il
luminare "non mancherà di dar luogo, specialmente in conseguenza a fenomeni di svaso, a distacchi e smottamenti più o
meno notevoli". In generale un po' tutta la relazione geologica iniziava a mettere in dubbio le perfette condizioni
morfologiche della vallata, ma si rimandava a successivi studi che avrebbero chiarito in via definitiva l'entità del
problema, se problema doveva essere...........
Sistema
PiaveBoite-MaèVajont
Cadore
Cadore Regione storico-geografica del Veneto settentrionale, in provincia di Belluno. Estesa per circa
1200 km2, costituisce un'entità morfologica ben definita, che corrisponde all'alto bacino
idrografico del fiume Piave; il limite meridionale è situato all'altezza della località di Termine di
Cadore. La regione, che si spinge fino alle Alpi Carniche, al confine con l'Austria, comprende il
settore sudorientale delle Dolomiti e culmina a 3264 m nel monte Antelao.
Anticamente abitato dai catubrini, poi cadorini, dai quali avrebbe tratto il nome, il Cadore riuscì a
conservare sempre, pur passando sotto diverse dominazioni (dai romani ai longobardi, dai franchi
agli imperatori di Germania, dalla Repubblica di Venezia all'impero austroungarico), ampi privilegi e
soprattutto una larga autonomia amministrativa, in particolare nella gestione del territorio:
istituzione tipica è stata ed è tuttora l'uso in comune della maggior parte del patrimonio. boschivo
e del pascolo indiviso, rimasti di proprietà pubblica, per garantire la sopravvivenza alle genti
montane più isolate.
Silvicoltura, allevamento e una vera e propria specializzazione industriale, quella della produzione di
occhiali, sono le tipiche attività economiche; ma il turismo, estivo e invernale, ha assicurato nuova
ricchezza alla popolazione. Tra i principali centri, molti dei quali sono appunto località di
villeggiatura, si ricordano Pieve di Cadore, Santo Stefano di Cadore, Calalzo di Cadore e Auronzo,
nel cui comune è situato il piccolo centro di Misurina, affacciato su uno dei più famosi laghetti
delle Alpi (il lago di Misurina appunto), in cui si specchia il monte Cristallo (3216 m).
Tiziano Vecellio
iziano Vecellio (Pieve di Cadore 1490 ca. - Venezia 1576), pittore italiano; fu l'artista preminente della scuola
veneziana e una delle figure chiave nella storia dell'arte occidentale. Secondo alcune ricostruzioni della sua
biografia, compì la sua formazione artistica con Gentile Bellini e in seguito con Giovanni Bellini, per quanto
nelle sue opere si riconoscano influssi del solo Giovanni.
L'influenza di Giorgione
Il primo documento sull'attività di Tiziano risale al 1508, quando gli fu commissionata, insieme a Giorgione,
ladecorazione ad affresco dell'esterno del Fondaco dei Tedeschi a Venezia, opera di cui rimangono pochi
frammenti. Tiziano fu profondamente influenzato dal pittore di Castelfranco Veneto, tanto che risulta
controversa l'attribuzione di alcuni dipinti del primo decennio del Cinquecento, come ad esempio L'adultera (Art
Gallery, Glasgow); il Concerto campestre (1510 ca., Louvre, Parigi), un tempo unanimemente attribuito a
Giorgione, ora è normalmente ascritto a Tiziano o a una collaborazione tra i due.
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Opere giovanili
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La prima opera datata e certamente di sua mano sono i tre affreschi con i Miracoli di sant'Antonio da Padova,
che Tiziano dipinse per la Scuola del Santo a Padova, nel 1511. In una serie di scene narrative, i personaggi sono
ritratti entro paesaggi descritti in modo quasi impressionistico. Nei quadri immediatamente successivi di
Tiziano, corpi e materia assunsero una densità e una consistenza sempre più sensuali, le inquadrature nel
paesaggio divennero più realistiche, i colori sfumati e intensi, ma comunque armoniosi: si vedano ad esempio Le
tre età dell'uomo (1513 ca., National Gallery, Edimburgo) e Amor sacro e amor profano (1515 ca., Galleria
Borghese, Roma). La svolta stilistica culminò nei tre Baccanali che Tiziano dipinse per il duca di Ferrara,
Alfonso d'Este, tra il 1518 e il 1522 (Offerta a Venere e Baccanale degli Andrii, entrambi al Prado, Madrid, e
Bacco e Arianna, National Gallery, Londra).
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Gli stessi elementi di sensualità e monumentalità si ritrovano nelle composizioni sacre dell'epoca, come nella
potente Assunta (1516-1518), dipinta per l'altare maggiore della chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari a
Venezia, con la quale Tiziano si affermò come massimo pittore veneziano. In un'altra opera per la stessa chiesa,
la Pala Pesaro (1518-1526), Tiziano adottò un tipo di composizione mossa che evoca l'infinito; imitata da Paolo
Veronese e dai Carracci, finì per diventare uno dei punti di partenza del barocco. La Madonna con il Bambino non
è più collocata al centro della scena, ma di lato, seduta sulla scalinata di un grandioso tempio di forme antiche
accanto a due gigantesche colonne.
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Sia nelle opere profane sia in quelle religiose di questo periodo si può apprezzare un'originale rielaborazione
della pittura rinascimentale romana e fiorentina, studiata in particolare nell'interpretazione di Michelangelo e
Raffaello: Tiziano coniuga la monumentalità e il dinamismo dello stile centro-italiano con il tradizionale
cromatismo veneto, la pennellata libera e il luminismo di Giovanni Bellini e Giorgione.
Ritratti
Celebre fin dal 1516, quando fu nominato pittore ufficiale della Serenissima, Tiziano ricevette
commissioni di ritratti da regnanti, nobili e letterati. Inizialmente vicini alla vena sognante di
Giorgione (si consideri il cosiddetto Ariosto della National Gallery di Londra), assunsero presto
una maggiore corposità e divennero sia immagini idealizzanti e celebrative, sia acuti ritratti
psicologici; caratteristico ne fu il taglio a mezza figura e con le mani in vista, come nell'Uomo dal
guanto (1520, Louvre). Tiziano ritrasse i duchi di Urbino, Ferrara, Mantova, Carlo V (1532-33,
Prado) e il papa Paolo III, conferendo ai soggetti un aristocratico distacco e un'opulenza
contenuta, come si vede nel ritratto di Federigo Gonzaga (1526 ca., Prado). Gli sfondi neutri dei
primi ritratti furono talvolta sostituiti da elementi scenici sapientemente disposti, rimasti
capisaldi del ritratto formale fino ai nostri giorni.
Opere
tarde
Nell'ultimo periodo della sua vita Tiziano dipinse con maggiore scioltezza e carica espressiva: le
forme perdettero gradualmente solidità, mentre il colore acquistò intensità, steso in pennellate
vibranti (Ratto di Europa, 1559-1562 ca., Gardner Museum, Boston). Ancora più inquietanti sono
l'Apollo e Marsia (1570-1576 ca., Kromèrí", Repubblica Ceca) e Ninfa con pastore (1574 ca.,
Kunsthistorisches Museum, Vienna): qui i colori sono meno sgargianti, ma la pennellata inquieta,
della quale non si troverà l'equivalente fino al Novecento, cancella quasi completamente la forma.
Gli ultimi quadri mitologici di Tiziano, che egli chiamava "poesie", sono formidabili
rappresentazioni della potenza irresistibile e primordiale della natura.
Rientrano in questa produzione tarda anche una serie di opere a soggetto religioso, anch'esse
caratterizzate dalla dissoluzione progressiva della forma in colore e luce, spesso su sfondi bui. Ne
sono esempi l'Annunciazione (1560-1565, chiesa di San Salvatore, Venezia) e il Cristo coronato di
spine (1570 ca., Alte Pinakothek, Monaco). La smaterializzazione delle figure esprime una visione
del mondo interessata a ciò che sta oltre l'apparenza, mossa da un inquieto spirito di ricerca,
anomalo nel panorama dell'arte rinascimentale: tale tendenza culminò nella Pietà (Galleria
dell'Accademia, Venezia), dipinta da Tiziano per la propria cappella funebre e rimasta incompiuta al
momento della morte.
L'opera di Tiziano, che segnò profondamente tutta la pittura europea, inaugurò una tradizione
diversa, ma ugualmente importante, da quella lineare e classicheggiante della scuola fiorentina,
cui appartennero Michelangelo e Raffaello; questo corso alternativo, abbracciato poi da grandi
artisti quali ad esempio Rubens, Velázquez, Rembrandt, Delacroix e gli impressionisti, appare
ancora attuale ai giorni nostri.
Le morene glaciali
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Morena Accumulo di detriti di roccia di ogni dimensione granulometrica (argille,
sabbie, ghiaie e addirittura massi), prodotti dall'azione erosiva di un ghiacciaio e
successivamente trasportati e depositati dal ghiacciaio stesso. Il termine morena
indica anche la forma particolare di paesaggio costituita da questi depositi
detritici.
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Un ghiacciaio, muovendosi, strappa frammenti di roccia dai versanti e dal fondo
della valle che lo ospita: i materiali di versante vanno a costituire la cosiddetta
morena laterale, mentre il resto del detrito forma la morena di fondo. Una certa
quantità di frammenti rocciosi può anche cadere accidentalmente sul ghiaccio e
rimanervi incorporata, alimentando la cosiddetta morena interna. Inoltre, quando
si verifica la confluenza di due lingue glaciali in una valle principale, le morene
laterali lungo il lato del contatto si uniscono a formare un'unica morena mediana.
Le morene frontali, infine, sono gli accumuli di detriti a forma di mezzaluna
disposti lungo il fronte più avanzato del ghiacciaio. Quando un ghiacciaio si
ritira, rimane sul posto questo accumulo sedimentario a forma di dosso, che
talvolta può avere un'altezza sufficiente da costituire una vera e propria diga
naturale e favorire la formazione di un lago glaciale, di solito di forma stretta e
allungata. La disposizione delle morene frontali di un ghiacciaio ne testimonia i
diversi stadi di avanzamento nel tempo: mentre la prima segna il limite di massima
estensione, quelle più arretrate, denominate anche morene stadiali, corrispondono
a pause del ritiro o anche a brevi intervalli di ripresa dell'avanzata.
Autori
Borin Marco & Riccardo Amadio
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