STUDIO LEGALE LUPI & ASSOCIATI
FACTORING – La qualificazione giuridica del contratto di factoring
a cura di Nicola Concia
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“[…]la qualificazione giuridica del factoring, nel suo momento genetico originario e
nello sviluppo attuativo del rapporto che da esso trae origine, ben lungi dal potersi
inquadrare in un mandato, si traduce invece in una pluralità di negozi traslativi della
titolarità dei crediti, in forza dei quali il factor assume la legittimazione ad esigerne e
riceverne l’adempimento iure proprio e non per conto di altri […]”
Tribunale di Padova, sentenza n. 3310 del 31 ottobre 2014
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Il Tribunale di Padova, con la sentenza in epigrafe, riesamina la dibattuta questione
relativa alla qualificazione giuridica del negozio di factoring soffermandosi in
particolare sulla causa tipica di detta particolare tipologia di contratto.
Il factoring è un contratto atipico, che in quanto tale non esaurisce i suoi effetti in una
semplice cessione di crediti d’impresa, ma comprende altri obblighi, tra cui
l’amministrazione aziendale, la semplificazione della contabilità, la riscossione dei
crediti presso i clienti del cedente, nonché l’acquisizione di una fonte di liquidità di
immediata disponibilità attraverso l’erogazione di anticipazioni.
Le ragioni che hanno reso difficile il raggiungimento di una definizione condivisa
dell’istituto risiedono su di un equivoco di fondo: la disciplina speciale di cui alla L. 21
febbraio 1991 n. 52 non introduce una disciplina del contratto di factoring contenendo
esclusivamente regole relative alla cessione dei crediti di impresa.
Impropriamente, dunque, si parla di una legge sul factoring. La stessa, infatti, non opera
una tipizzazione dell’attività di factoring che per la sua complessità non consente di
identificare il factor quale mero cessionario potendo, come precisato, fornire prestazioni
di natura diversa a favore del fornitore/cedente1.
L’art. 1 della l. 21 febbraio 1991 n. 52 individua nella fattispecie una serie di requisiti
oggettivi e soggettivi, stabilendo, in relazione ai primi, che la cessione debba compiersi
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“Ciò perché il factoring è un contratto atipico con oggetto e previsioni contrattuali più ampie rispetto a
quelle previste dalla l. 21 febbraio 1991 n. 52 sulla cessione dei crediti d’impresa, la cui disciplina si
sovrappone a quella del contratto atipico di factoring senza assorbirlo, né sopprimerlo” (Tribunale di
Genova 10 agosto 2000 in Fallimento, 2001, 517).
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a titolo oneroso ed avere ad oggetto crediti di natura pecuniaria che derivino da contratti
stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa2.
La norma limita l’operatività della cessione ai soli crediti aventi ad oggetto una somma
di denaro, escludendo così quelli non pecuniari cedibili in base alla disciplina
codicistica. Vengono poi prese in considerazione le sole cessioni effettuate verso
corrispettivo rimanendo escluse quelle poste in essere ad altro titolo.
Nello stesso senso si è pronunciato il Tribunale di Padova con il provvedimento in
commento, secondo cui “[…] manca una definizione legislativa del contratto di
factoring, limitandosi l’art. 1 della legge 21.2.91 n. 52 ad individuare quali presupposti
della sua operatività il fatto che la cessione di crediti pecuniari verso corrispettivo sorti
da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa sia posta in essere da un
imprenditore nella veste di cedente e da una banca ovvero da un intermediario
finanziario […]”.
Il Tribunale di Padova dedica poi attenzione alla cedibilità dei crediti futuri “[…]
quanto espressamente sancito dall’art. 3 della richiamata legge 21.2.91 n. 52. Il quale
a sua volta stabilisce - che i crediti possano essere ceduti anche prima che siano
stipulati i contratti dai quali sorgeranno;
- che i crediti esistenti o futuri possano essere ceduti anche in massa;
- che la cessione in massa dei crediti futuri possa avere ad oggetto solo crediti che
sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a
ventiquattro mesi;
- che la cessione in massa dei crediti si debba considerare con oggetto determinato
anche con riferimento a crediti futuri, ove sia indicato il debitore ceduto, salvo quanto
prescritto nel terzo comma […]”.
Dovranno, pertanto, prendersi in considerazione anche per i crediti singoli le medesime
regole dettate per le cessioni in massa: la cessione (sia che riguardi crediti singoli sia
che riguardi masse di crediti) è subordinata, dunque, alla duplice condizione della
individuazione del debitore e/o del limite temporale dei ventiquattro mesi per la
stipulazione del contratto da cui il credito sorgerà.
Per ciò che attiene la conseguenza del difetto dei suddetti requisiti, questa non potrà che
essere la nullità della cessione per indeterminabilità dell’oggetto nell’ipotesi di mancata
individuazione del debitore. Nel caso in cui sia previsto un periodo superiore a
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La cessione di crediti pecuniari verso corrispettivo è disciplinata dalla presente legge, quando
concorrono le seguenti condizioni:
a) il cedente è un imprenditore;
b) i crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell'esercizio dell'impresa;
c) il cessionario è una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal testo unico delle leggi in
materia bancaria e creditizia emanato ai sensi dell'art. 25 comma 2, della legge 19 febbraio 1992, n. 142,
il cui oggetto sociale preveda l'esercizio dell'attività di acquisto di crediti d'impresa (4).
2.Resta salva l'applicazione delle norme del codice civile per le cessioni di credito prive dei requisiti di
cui al comma 1.
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ventiquattro mesi per la stipula dei contratti fonte dei crediti ceduti, si determinerà la
nullità della sola clausola e la sostituzione con il termine dei ventiquattro mesi previsto
dalla norma (da ritenersi) imperativa, ai sensi dell’art. 1419, comma secondo, cod. civ.
La norma introduce un elemento di notevole semplificazione poiché consente che venga
stipulato un unico atto di cessione per ogni singolo debitore, avente ad oggetto i crediti
presenti e quelli futuri che sorgeranno entro l’arco di due anni, anziché una serie più
numerosa di cessioni.
La sentenza in commento affronta poi l’annosa questione relativa all’interpretazione
della causa di detta particolare tipologia di contratto. Poiché il contratto di factoring è
un negozio a causa variabile, lo stesso può assolvere diverse funzione a seconda dei
casi, sicché, seguendo i principali orientamenti interpretativi, il contratto può avere
causa mandati o causa vendendi.
Secondo un primo filone, la natura del contratto avrebbe una prevalente causa di
mandato quando le prestazioni essenziali del contratto siano la cessione dal fornitore dei
crediti d’impresa verso la correlativa obbligazione del factor di gestione,
amministrazione e riscossione degli stessi (debitamente remunerato), senza previsione
di un prezzo corrispettivo mediante la regolamentazione del rapporto con periodo
rendiconto ed accessorietà dell’obbligazione del factor di effettuare anticipazioni sugli
importi dei crediti ceduti prima del loro incasso attraverso il riconoscimento di un
compenso e di interessi sul capitale anticipato3.
Un secondo orientamento ravviserebbe, invece, la causa del contratto di factoring
prevalentemente nella vendita, rispetto alla pur presente, ma subordinata funzione
gestoria: considerando il factor un acquirente a tutti gli effetti che si obbliga ad
acquistare i crediti del cedente, fornendogli una serie di altri servizi collegati.
Gli anticipi versati dal factor alla fornitrice/cedente rappresenterebbero un pagamento
parziale del corrispettivo per la cessione dei crediti, in quanto calcolati in rapporto al
valore nominale dei crediti ceduti e indipendentemente dall’assunzione della garanzia
dell’adempimento del debitore ceduto.
La sentenza in commento, seguendo detto secondo orientamento, stabilisce che il
contratto di factoring debba ritenersi caratterizzato da una prevalente causa di scambio
con effetto traslativo definitivo (causa vendendi) e non già da una causa meramente
gestoria. Secondo il Tribunale di Padova “[…] la qualificazione giuridica del factoring,
nel suo momento genetico originario e nello sviluppo attuativo del rapporto che da esso
trae origine, bel lungi dal potersi inquadrare in un mandato, si traduca in una pluralità
di negozi traslative della titolarità dei crediti, in forza dei quali il factor assume la
legittimazione ad esigerne e riceverne l’adempimento iure proprio e non per conto di
altri, venendo a costituire i versamenti da lui effettuati al cedente atti di pagamento
parziale anticipato del corrispettivo delle cessione cosicché, al momento della
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Tribunale di Genova 17 ottobre 1994 in Fallimento 1995, 3, 315 con nota di MESSINA;
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riscossione del credito ceduto, il factor non assume una duplice posizione di debitore
della restituzione dell’ammontare incassato e di creditore di quanto anticipatamente
erogato, bensì di mero debitore verso il cedente del saldo del corrispettivo tra il presso
della cessione e l’anticipazione effettuata al netto dei costi gravanti sul cedente, di
guisa che non si configura neppure una compensazione in senso giuridico […]”.
La qualificazione del contratti assume particolare rilievo, in caso di fallimento del
cedente: qualora si ravvisi che i contraenti abbiano attribuito prevalenza alla causa
vendendi rispetto alla funzione gestoria, troverebbe applicazione il disposto di cui
all’art. 5 L. n. 52/91, secondo cui la cessione del credito è opponibile al fallimento del
cedente, dichiarato fallito dopo la data del pagamento qualora il factor abbia pagato, in
tutto o in parte, il corrispettivo ed il pagamento abbia data certa.
Qualora il contratto abbia invece una prevalente causa mandati, le cessioni sono
soggette alla disciplina comune della cessione dei crediti e non a quella particolare
dettata dalla l. n. 52/91, di conseguenza, il factor perderebbe la legittimazione a
riscuotere i crediti per conto del fallito e, per recuperare le anticipazioni concesse,
dovrebbe far domanda di insinuazione al passivo del fallimento.
Nel giudizio conclusosi con la sentenza in commento, la procedura invocava la non
applicabilità della disciplina speciale ma solo la normativa ex art. 67 L.F. Il Tribunale,
come sopra precisato, ha ritenuto non corretta la classificazione del contratto: “[…] Né,
d’altro canto, pare fondatamente sostenibile l’opinione secondo cui la normativa in
esame non sarebbe soggetto alla legislazione speciale del factoring in considerazione
della causa mandati sottesa agli accordi in questione, sostanzialmente identici a quelli
conclusi tra “[…] “ e “[…]”, giacché, come già più sopra si è avuto modo di precisare,
i predetti rapporti, ben lungi dal potersi inquadrare nello schema di un mandato,
assumono al contrario la natura di una pluralità di negozi traslativi della titolarità dei
crediti, in forza dei quali il factor assume la legittimazione ad esigerne e riceverne
l’adempimento iure proprio e non per conto di altri”.
Prima, pertanto, dell’entrata in vigore della disciplina speciale di cui alla L. 52/1991 la
sorte dei pagamenti relativi ai crediti ceduti al factor in caso di fallimento del cedente
risultava incerta, in quanto nessuna legge era intervenuta prima a disciplinare il
contratto in questione.
L’intervento del legislatore non ha fugato le perplessità poiché, nonostante l’art. 1 delle
legge in commento attribuisca chiaramente causa vendendi alla cessione dei crediti
d’impresa, in giurisprudenza non sono mancate pronunce che affermano che il contratto
di factoring abbia causa gestoria e che la legge speciale, in tali ipotesi, non sia
applicabile.
Occorre, pertanto, indagare di volta in volta la reale natura della causa del contratto
atipico di factoring al fini dell’opponibilità al fallimento del cedente della cessione ex
art. 5 L. 52/91
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