La “demutualizzazione” delle banche cooperative ? Jean‐Louis Bancel – presidente Crédit Coopératif Leno, 27 febbraio 2015 (Traduzione interna, solo il testo pronunciato fa fede) Signore e Signori , È un onore e un piacere parlare oggi davanti alle banche cooperative italiane, sul tema delle sfide che hanno difronte entrambe, sia le banche popolari che le banche di credito cooperativo. Parlo da straniero ‐ e quindi mi asterrò dall’intervenire negli affari interni italiani ‐ ma anche come un cooperatore che vi può portare il suo punto di vista di un professionista a capo di una banca cooperativa di 122 anni di età, di Presidente del AIBC (Associazione Internazionale delle Banche Cooperative – [settore dell’Alleanza Cooperativa Internazionale] ), ma anche come membro del Consiglio di amministrazione dell'ICA ‐ Alleanza Cooperativa Internazionale, e soprattutto di Presidente del Comitato dei principi cooperativi, che l’ICA ha istituito. 1. La situazione attuale creata dal governo ha provocato un terremoto, ma bisogna essere consapevoli che uno degli effetti inaspettati della crisi del 2008 è una nuova ondata di dilagante demutualizzazione in Paesi guidati da governi liberali. Possiamo fare riferimento ai movimenti delle placche tettoniche : il grande accumulo di tensioni e vincoli porta a delle rotture brutali (terremoto). Prima di riflettere sulla situazione italiana mi piacerebbe farvi conoscere una realtà globale e un paradosso (3 anni dopo che l'ONU ha promosso l'anno internazionale delle cooperative): un movimento di demutualizzazione, spesso nascosto, è impresso sempre più spesso dalle agenzie internazionali per consentire un presumibile migliore adattamento dei Paesi alle sfide della globalizzazione. Ad esempio Cooperative Bank (UK), le cooperative agricole giapponese (con l’aggiunta della questione delle banche e assicurazioni), oggi le banche cooperative italiane. Domani le banche cooperative austriache o tedesche? Non sviluppero’ le cause sulle quali probabilmente torneremo nel dibattito. Alcuni elementi noti della situazione del settore bancario italiano: troppi giocatori in un campo, troppo piccoli. Una mancanza di trasparenza nella governance, una difficoltà ad affrontare le sfide di domani. Il settore bancario cooperativo italiano è un buon riflesso del settore bancario cooperativo europeo: buona resistenza alla crisi finanziaria ma difficile resistenza alla crisi dell'economia reale. Tuttavia le banche cooperative sono indispensabili per la bio‐diversità di modelli di business e di conseguenza per la resilienza dell'economia. Abbiamo visto le tensioni accumulate per vari motivi e per l'incapacità dell'Italia a procedere da sola con adattamenti propri. 1 Le principali cause nazionali: ‐ i governi che, per vari motivi, non sono stati in grado di tracciare una rotta, nel quadro di un dibattito democratico sulla ristrutturazione del settore bancario nazionale. Di conseguenza il governo oggi "compra alla cieca" ciò che trova sullo scaffale del Fondo Monetario Internazionale. Tuttavia, la storia recente ha dimostrato che anche il Fondo Monetario Internazionale potrebbe essersi sbagliato. ‐ Una Banca Centrale a lungo fuori gli standard accettati in una democrazia: apertura alla società civile e difficoltà a tracciare il percorso delle riforme che intende realizzare. Oggi c'è il rischio che si comporti come un organismo esecutivo. ‐Un settore di banche cooperative non abbastanza unito, come le federazioni cooperative (anche se i recenti cambiamenti annunciati sono fonte di speranza) e non abbastanza aperte sul resto del movimento cooperativo europeo e globale. 2. Le argomentazioni avanzate per modificare i principi cooperativi fondamentali si basano su falsi dogmi. Dal 2007 il FMI è interessato alle banche cooperative europee e manifesta chiaramente il suo approccio. Il rapporto Fonteyne del 2007 (Cooperative Banks in Europe—Policy Issues) Per la prima volta le banche cooperative rientrano nel radar del FMI. È una buona relazione. Due osservazioni essenziali meritano di essere commentate: 1° le banche cooperative sono sovra capitalizzate e non hanno un ROI (redditività) sufficiente. Sarebbe da ridere se non si dovessere piangere per la miopia del FMI pochi mesi prima della crisi finanziaria del 2008. 2 ° c'è un problema di governance nelle banche cooperative perché il management ha il controllo reale sulle riserve che può "dirottare" dalla sorveglianza della cooperativa. Da qui la proposta sull'introduzione di amministratori indipendenti. ‐il rapporto Eva Gutierez del 2008 (The Reform of Italian Cooperative Banks : Discussion of Proposal) sulla governance delle banche cooperative italiane che è la declinazione della relazione Fonteyne. ‐Il rapporto Nadège Jassaud del 2014 ( Reforming the Corporate Governance of Italian Banks) che seguendo lo studio FSAP (Financial Sector Assessement Program) sul settore bancario italiano relaziona con proposte di governance per le fondazioni che controllano gruppi bancari e la governance delle banche cooperative. Davanti a questi approcci sembra che l'Italia abbia “giocato con l’orologio”. Oggi non è assolutamente sorprendente che accada il terremoto. Prima di introdurre elementi di apertura e discussione nella parte terza dell’incontro, vorrei dimostrare che i postulati dell'approccio si basano su falsi dogmi che non porteranno nessuna vera cura per l'economia italiana. 2 Nel XXI secolo la medicina si basa su un approccio scientifico (basato su prove) e non su formule che rasentano la ciarlataneria. a ‐ I dogmi “antigalileiani” su cui si basa l'approccio adottato oggi "La forma cooperativa, nel modo in cui c’è in Italia, rende molto difficile la ricapitalizzazione" nel discorso del signor Carmelo Barbagallo, capo dell'autorità di vigilanza della Banca d'Italia del 12 febbraio 2015. I fatti contraddicono questa affermazione. Ad esempio la ricapitalizzazione dei gruppi bancari francesi (crédit agricole, casse di risparmio e banche popolari) a supporto delle attività di banca d’affari. Questo approccio è basato sul capitale 'fiducia' dei soci. Il livello del risparmio delle famiglie in Italia permette di immaginare un percorso simile al nostro. Le autorità di vigilanza dovrebbero evitare di cadere nella sindrome "chi vuole uccidere il suo cane lo accusa di aver la rabbia”. È anche sbagliato credere che difronte alle crisi le banche capitalistiche possano meglio ricapitalizzare. L'esempio britannico è la perfetta dimostrazione con la Royal Bank of Scotland e la Lloyds Bank che hanno dovuto essere nazionalizzate. Vi potrei parlare anche di un caso molto emblematico come quello della Northen Rock, che era una società cooperativa (building society) che è stata demutualizzata, quotata in borsa e che il governo britannico ha dovuto poi nazionalizzare. Il principio una persona un voto "aggrava, secondo la teoria di costi di agenzia, il conflitto proprietario ‐ gestore", nella relazione Eva Gutierrez . La teoria dell'agenzia applicata alle cooperative viene sistematicamente richiamata dal FMI. Questa teoria elaborata per le società per azioni è contestata dai teorici dell’impresa basata sul modello degli stakeholder che meglio si applica alle cooperative. La lettura dei testi di Jean Tirole, premio Nobel in economia, sulla co‐petizione, in contrasto con la competizione, dove parla di cooperative, è certamente più illuminante. E’ necessario senza alcun dubbio che le strutture cooperative europee e internazionali contribuiscano a modernizzare “la ratio” delle nostre agenzie internazionali. b ‐ Bisogna anche rilevare il movente dell’arricchimento privato che anima i fanatici del “crimine della demutualizazione”. Alcuni troveranno forte la parola 'crimine', ma io la assumo pienamente, io qualifico di crimine le misure che, anche se prese legalmente, sono in contraddizione con gli impegni internazionali e le norme costituzionali di un Paese. Prima di tutto si deve ricordare l'articolo 45 della Costituzione italiana dedicato alle cooperative. Questo articolo si collega con le garanzie fornite dal diritto internazionale alle cooperative. Prima di tutto diritto europeo. Ricordiamo che l'articolo 58 del trattato di Roma riconosce la differenza cooperativa nelle imprese private. Ne consegue che il diritto europeo non può essere richiamato come argomento per la cancellazione delle differenze cooperative, soprattutto nel campo della governance. Oltre ad essere un membro dell'ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) e dell'ONU l'Italia è vincolata dalle dichiarazioni di tali autorità internazionali che riconoscono i principi cooperativi dell'ICA che il diritto nazionale deve rispettare. 3 Non sono qui a negare il diritto di un Paese di governare in modo indipendente, ma tutti dovrebbero rispettare gli impegni internazionali. Infine mi sembra importante ricordare che dietro qualsiasi crimine, soprattutto per reati economici, c’è un movente ben preciso. L'esperienza della demutualizzazione britannica sotto il governo Thatcher è stato chiaramente analizzata in un rapporto pubblicato nel 2003 dal ICMIF (Federazione Internazionale delle Cooperative e Mutue di Assicurazione) di cui ero in quel momento Presidente. Cio’ che motiva la demutualizzazione è il miraggio e l’appetito del guadagno, l'appropriazione personale del bene comune, vale a dire le riserve delle cooperative. E’ un ruolo che in inglese di definisce “carpetbaggers” ("profittatori di situazioni confuse”) È sorprendente vedere l'evoluzione dei corsi azionari di alcune banche popolari quotate all'annuncio della posizione del governo italiano. Demutualizzare non serve per aiutare le banche cooperative o mutualistiche in difficoltà. Permette ad alcuni di appropriarsi delle banche cooperative più interessanti per i loro compagni di borsa. Il governo italiano si dovrebbe ricordare l’esperienza della Northen Rock inglese: alla fine della storia sono i contribuenti che hanno pagato i profitti intascati dagli speculatori. Sono dunque tutti irricevibili gli argomenti del FMI? No, alcuni meritano attenzione e proposte di risposta provenienti dal settore cooperativo stesso. 3 ‐ Le domande fondamentali che ci vengono poste possono essere risolte da un maggiore impegno cooperativo e da una maggiore forza del movimento cooperativo nel mondo a ‐ il primo argomento che merita una risposta dal settore cooperativo stesso riguarda il possesso del capitale. Non è scioccante interrogarsi sulla revisione dei valori massimi di detenzione del capitale da parte dei soci purché i cooperatori mantengano il controllo dell'accesso al capitale, per evitare che i “carpet baggers” non rientrino dalla finestra e a condizione che questo non pregiudichi il principio cooperativo "una persona ‐ un voto”. Dato il livello del risparmio delle famiglie italiane, penso che questo percorso che è riuscito in Francia, dove la legislazione cooperativa nazionale impone una bassissima remunerazione per le azioni (meno del 2% nel 2014) dovrebbe essere in grado di operare anche in Italia, a condizione che ci sia la fiducia verso le banche cooperative italiane. In questa stessa ottica non è vietato pensare che i cooperatori con alta capacità di risparmio possono sottoscrivere azioni, con titoli eleggibili per “Tier1” o “Tier2” di Basilea 3. Dopo di che si è sempre a tempo per sollecitare il mercato. b – rafforzare il controllo dei cooperatori sul management. Questo è un argomento chiave, ma penso che non sia abolendo la regola “una persona‐un voto” che questo può davvero essere raggiunto. Va ricordato che la Commissione europea aveva messo in discussione questa regola per imporre la regola “un’azione‐ un voto”. Questa soluzione è stata eliminata perché gli stessi promotori (Commissario Mac Grevy) non sono stati in grado di dimostrare la superiorità di questa regola per una buona governance al di 4 fuori della sola problematica della “share holder value” . Altre piste pienamente rispettose dei principi cooperativi possono essere considerate: rafforzare il carattere democratico delle elezioni, rafforzare le prerogative del Consiglio di amministrazione, affinché i rappresentanti dei cooperatori eseguano tutte le missioni previste dalla direttiva CRD 4. Rafforzare il modo di rendicontare introducendo un dispositivo di revisione del sistema di governance cooperativa, come esiste in Francia o in Germania. c‐ Cooperazione tra le cooperative (sesto principio cooperativo) mi sembra un'emergenza assoluta all'interno di una rete, considerando di implementare in modo serio un meccanismo qualificabile come "Schema di Garanzia Istituzionale" o di un organo centrale come espresso nella direttiva CRD 4. In questo campo è importante condividere con il know‐how e l'esperienza di altre banche cooperative appartenenti all’Associazione Europea delle Banche Cooperative (EACB) o all’ Associazione Internazionale delle Banche Cooperative (IACB). d ‐ nell'ipotesi di contribuire al consolidamento del settore bancario nazionale, le autorità pubbliche italiane mantengano la loro disponibilità a consultare le assemblee generali delle cooperative per verificare la loro volontà di rimanere cooperativi. E’ necessario che la votazione si svolga in completa trasparenza sui dati finanziari affinché i soci non vendano il loro bene comune per un piatto di lenticchie. In questo momento l'educazione cooperativa deve svolgere il suo ruolo per produrre un voto cosciente e informato e almeno che possa essere considerato democratico. Conclusione Le soluzioni finora menzionate si focalizzano quasi esclusivamente sulla governance delle banche cooperative, a partire da presupposti imprecisi che hanno dimostrato, nella migliore delle ipotesi, di essere inefficaci e nel peggiore dei casi di essere pericolosi per l'economia di un Paese. Infine, credo che un Paese deve essere padrone del suo destino. Alcune domande sono sul tavolo da tanto tempo e penso che possiamo trovare soluzioni compatibili con i principi cooperativi. Vi ricordo questa storica massima di Charles Gide: "né rivoluzionari, né soddisfatti”. Il futuro vi appartiene, se lo volete. 5 
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1 La “demutualizzazione” delle banche cooperative