La Comunicazione Interculturale
A cura di Tiziana Fortino
P.O.R FSE 2007-2013
OBIETTIVO COMPETITIVITÀ REGIONALE E OCCUPAZIONE
Asse V- Trasnazionalità e interregionalità –
Obiettivo operativo m.1
Linea di Attività m.1.1
AZIONI DI INFORMAZIONE, FORMAZIONE E
TRASFERIMENTO DI
BUONE PRASSI IN TEMA DI IMMIGRAZIONE E
INTERCULTURA
CIG 42596706E1
La Comunicazione Interculturale
Etimologia
Dal latino cum = con e munire = legare, costruire
Communico = mettere in comune, far partecipe. Nella sua prima definizione è
l'insieme dei fenomeni che comportano il trasferimento di informazioni.
E’ solo una questione di trasferimento delle informazioni?
E’ un processo attraverso cui i partecipanti:
 condividono e creano informazioni, co-costruiscono significati attraverso
processi di feedback e reciproci aggiustamenti
usano uno o più codici e differenti livelli di formalizzazione, consapevolezza,
intenzioni ecc.
(Maria Di Mauro)
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La comunicazione interculturale
Comunicazione tra persone che appartengono a culture differenti,
ognuno con uno specifico obiettivo
 Processo di negoziazione di “cornici” culturali, in cui gli assunti
culturali alla base della comunicazione necessitano di essere esplicitati
al fine di evitare possibili fraintendimenti, determinati da:
• differenze verbali e non verbali
• assunto di similarità
• preconcetti e stereotipi
• tendenza a giudicare
• sentimenti di ansia e meccanismi di difesa
(Maria Di Mauro)
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La comunicazione interculturale
 Verbale
Paraverbale (modo in cui viene detto qualcosa: cadenza, pause, velocità
velocità ecc.)
Non verbale
 Linguaggio del corpo (es. espressioni facciali, gesti e postura ecc.)
 Prossemica: i gesti, il comportamento, lo spazio e le distanze all'interno di
di una
comunicazione verbale e non verbale
 Cronemica:
Cronemica: concetto di tempo nei contesti umani, la sua percezione, organizzazione
organizzazione e
manifestazione.
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Ogni comunicazione è, in un certo, senso intercuturale. Ogni relazione, a
qualsiasi livello delle interazioni quotidiane, si caratterizza per un miscuglio di
somiglianze e differenze, di vicinanza e di lontananza, che in u na particolare
ricombinazione producono e manifestano, quello che è il nostro rapporto con
l’altro (Simmel,
Simmel, 1908)
La comunicazione Interculturale non riguarda solo gli immigrati ma noi stessi e il
modo in cui viviamo ed in cui guardiamo il mondo.
La presenza ed i contatto con persone provenienti da altri paesi non introduce una
nuova questione ma radicalizza, piuttosto, le difficolt à legate alla comunicazione
interpersonale in quanto tale: l’altro, a qualunque, cultura appartenga (inclusa la
nostra), ha sempre un margine di opacità e quindi sfugge sempre ai nostri sforzi di
comprensione.
Con lo svilupparsi dei processi di globalizzazione che hanno determinato
l’estensione, l’intensificazione e l’accelerazione delle relazioni tra le culture
diverse su scala mondiale, la comunicazione interculturale è divenuta ancor più
rilevante, inevitabile e necessaria.
(Maria Di Mauro)
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Viviamo in un mondo interculturale
Le società multiculturali e multietniche sono contesti all’interno dei quali
interagiscono e si formano le identità sia individuali che collettive.
In essi, l’immigrazione non è un fattore connesso ad un periodo di tempo
determinato ma rappresenta un elemento complesso e stabile.
I migranti rappresentano una parte della composizione e dell’organizzazione
socio-economica e relazionale su cui si basa la società italiana. Sono
portatori non solo di risorse, aspettative e bisogni, ma di una molteplici
identità (linguistiche, culturali, religiose e sociali) che esigono nuovi saperi,
conoscenze e risposte mediate.
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Cosa si intende per cultura e differenze culturali?
Cosa sono le identità?
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La Cultura

è la messa in pratica dell’esperienza del vivere in un sistema
coordinato di esseri umani (Bennett, Castiglioni, 2001)

è un insieme complesso di conoscenze, di credenze, di espressioni
artistiche, di concezioni morali, di diritto, costume e tutte quelle
capacità che gli esseri umani acquisiscono come membri di una
società

include qualunque forma di attività umana, anche materiale ed
artistica, e non solo di carattere spirituale e ideazionale. I costumi, le
abitudini, i modelli di comportamento, le differenti abilità pratiche
umane che, spesso, sono forme di adattamento anche all’ambiente
fisico in cui gli esseri umani vivono, fanno parte della civiltà e quindi
della cultura.
 il primo a darne una definizione fu, nel 1871, l’antropologo britannico
E. B. Tylor
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Fino alla metà del 900, la cultura era sinonimo di erudizione
personale o di una civiltà che si era distinta per aspetti legati alla cultura
oggettiva. Tale concezione implicava una contrapposizione tra “colti” ed
“incolti”, facendo rientrare in quest’ultima categoria le cosiddette “società
illetterate”, prive in molti di casi di civiltà tramandate tramite la scrittura.
Negli anni ‘20-30, prevaleva un paradigma assolutistico che
concepiva la realtà e la cultura in un’univoca visione. Le diverse culture si
posizionavano lungo un continuum alle cui estremità c’era, da un lato, la
cultura ideale ed evoluta e, dall’altro, la cultura da civilizzare.
Nel trentennio successivo (fino agli anni ‘60) si sviluppò un paradigma
relativista, che concepiva la realtà e la cultura in termini deterministici,
influenzate da una prospettiva che nasce in un contesto, il quale, a sua
volta, è influenzato dalla storia di ognuno e da quella del paese, da ciò
che ha appreso e/o assimilato.
(Di Mauro Maria)
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Nell’ambito di questo approccio si sviluppa uno dei modelli più diffusi per
spiegare il concetto di cultura, ossia la metafora dell’icesberg,
utilizzata per distinguere:

gli aspetti visibili (parte emersa dell’icesberg) e superficiali della cultura, quali
la lingua, l’arte, il cibo, i costumi, gli usi, le tradizioni, le istituzioni ecc..
- cultura oggettiva

gli aspetti invisibili (parte sommersa dell’icesberg), tutti quei significati che
connotano in maniera specifica un gruppo umano, come i valori, le
relazioni di genere e ruolo, gli stili di comunicazione verbale e non
verbale, i concetti di giustizia, amicizia ecc. - cultura soggettiva
Se, da un lato, questo approccio enfatizza l’importanza di aumentare la
consapevolezza rispetto agli elementi invisibili della cultura per
evitare o ridurre i rischi di fraintendimento culturale; dall’altro ha il
limite di non generare di per sé competenza interculturale, che può
svilupparsi invece, solo, attraverso l’agire , l’esperire situazioni o
contesti multiculturali.
(Maria Di Mauro)
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A partire dagli anni ‘70-80, si è sviluppato il paradigma costruttivista
secondo cui ogni realtà, come ogni interazione, non esiste di per sé.
Ciascun attore è costruttore della realtà che sta “emergendo” in un
determinato momento. Tale costruzione si basa su:

processi di oggettivizzazione, che usano come media il linguaggio o
altri codici comunicativi

processi di interpretazione e di attribuzione di significati soggettivi.
Ciascun attore sociale cerca di comprendere cosa sta pensando il
proprio interlocutore, in base ai propri assunti, intenzioni, interessi e
obiettivi. Questo tentativo di mutua comprensione porta alla
costruzione di una terza cultura fondata sul tentativo di reciproco
adattamento tra diversi interlocutori.
(Maria Di Mauro)
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Sviluppare competenze interculturali significa:
 acquisire conoscenze sulle specificità o le dimensioni culturali dei
diversi Paesi (modello icesberg)
ma soprattutto
 sviluppare capacità di agire in modo efficace in diversi contesti,
attraverso l’assunzione e l’integrazione di diverse e multiple prospettive
del mondo e delle relazioni (worldviews o mindsets)
La competenza interculturale consente l’utilizzo di una ampia gamma
di modalità e strategie comunicative.
(Maria Di Mauro)
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In questa prospettiva, nel 1993, Bennett ha sviluppato il Development
Model Intercultural Sensitivity (DMIS), che descrive come facciamo
esperienza delle differenze culturali attraverso sei livelli indicati lungo un
continuum che va dai comportamenti etno-centrici a comportamenti etnorelativi
Esperienza della differenza
Negazione
Difesa
Minimizzazione
Fasi etnocentriche
Accettazione
Adattamento
Integrazione
Fasi etnorelative
Si passa da un livello di sensibilità interculturale che va dal più basso
(negazione) al più alto (integrazione), basato sulla reciproca comprensione.
Nella VI fase di integrazione, ad esempio, si è in grado di immedesimarsi nella
cultura dell’altro e di usare una gamma di modalità e di stili, percettivi,
comunicativi e comportamentali a seconda delle situazioni.
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 Etnocentrismo, si riferisce all’uso del proprio insieme di regole e di
abitudini per giudicare l’altro, mettendo la propria cultura al centro.
E’ caratterizzato da tre livelli:
 negazione
 difesa
 minimizzazione
 Etno-relativismo quando si assume che la propria cultura sia
esperita come una tra le molte.
Le fasi che lo caratterizzano sono:
 accettazione
 adattamento
 integrazione
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Riassumendo: il concetto di cultura, nel tempo, si è amplificato ed
evoluto, andando ad includere modelli di comportamento, di
comunicazione e di valori di diversi gruppi di riferimento, a cui noi
tutti prendiamo parte anche se in maniera differente. Si può
parlare di cultura nazionale,etnica, regionale, di genere
orientamento sessuale, generazionale ecc.
La cultura è intesa come relazione, costruzione sociale, soggetta a
vari cambiamenti e l’identità culturale è il frutto di continue
negoziazioni e intrecci con questioni di tipo politico, sociale ed
economico.
(Castiglioni, 2005).
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Identità culturale
L’identità culturale è un processo attraverso il quale i soggetti
costruiscono le loro identità in un flusso di continua identizzazione.
(Castiglioni, 2005).
La nostra identità culturale è simile a un mosaico o meglio un
flusso caleidoscopio che non ad un icesberg e va molto al di là
della cultura nazionale (Whorf, 1956)
Identità = Complessità
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Sebbene riconosciamo in noi stessi questa complessità, quindi la
presenza di più identità, raramente riusciamo a farlo nei confronti di
chi consideriamo “straniero”.
Alcuni esempi:
cosa colpisce di più se pensiamo a
 una persona del Maghreb?
 donna immigrata curda, madre, moglie, professionista, figlia ecc. ?
(Castiglioni, 2005)
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Se la risposta è “marocchino” oppure “immigrata” o “curda”:
 prevale una approccio razzista, dietro al quale c’è l’incapacità di
attribuire ad altri la stessa articolazione di identità culturale che
applicheremo con noi stessi.
 siamo in uno stato etnocentrico, poiché ci sentiamo al centro del
mondo e guardiamo le altre culture solo attraverso una delle
possibili forme con cui si presenta.
 si nega o si esclude:
• l’esistenza di diverse identità culturali che variano in base al luogo
in cui ci si trova. In una scuola per l’infanzia, ad esempio, prevarrà
l’identità di madre della donna
• la percezione che le persone hanno di sé, la quale può essere
molto diversa dall’immagine che viene imposta dall’esterno
(Castiglioni, 2005)
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Solo quando le persone sono in grado di osservare e descrivere la
loro cultura e si considerano parte attiva di questa esperienza, che il
termine cultura può riferirsi anche a un’identità
Siamo noi a tracciare i confini della nostra appartenenza in base a
come la percepiamo: un afroamericano, per esempio, è da
considerarsi così per eredità culturale e non per fattori genetici.
Inoltre, “avere la pelle scura” possono fare di un individuo un “nero”
ma non necessariamente tale individuo ha vissuto un’acculturazione
afroamericana
(Castiglioni, 2005)
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E’ errato parlare di alterità attraverso la nazionalità o l’etnia.
Dall’interazione, ad esempio, di due gruppi possono nascere delle identità
che non sono ascrivibili all’identità di nessuno dei due gruppi.
In ogni società esistono sempre dei campi di interazione, degli spazi di
condivisione, di incontro, di contatto tra gruppi socio-culturali diversi.
È proprio in queste zone che avvengono fenomeni di meticciato, di
sincretismo. Per tali motivi, l’identità etnica non può che essere relativa
e situazionale, le identità individuali e collettive non sono innate ed
immutabili ma sono influenzate e mutano al mutare delle circostanze
sociali.
Bisogna accettare di vivere in degli spazi in cui dei “noi” particolari vivono
accanto a dei “loro” altrettanto particolari, ciascuno con una sua faccia
e una sua storia.
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L’ approccio interculturale si fonda sulla relazione con l’altro,
attraverso cui è possibile riconoscere le culture, le appartenenze, le
identità non come realtà omogenee ma spazi di scambio, risorse per
l’azione, narrazioni condivise e contestate

Capire e rispettare le differenze significa ridurre le distanze che
intercorrono tra le culture diverse ed agire in modo che la società
multiculturale dia vita a nuove identità e dinamiche senza chiusure e
divisioni

Conoscere l’altro, la sua realtà storica, culturale e religiosa è uno degli
aspetti fondamentali per la realizzazione di una convivenza pacifica ed
è utile a smantellare e superare stereotipi e pregiudizi
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