Il dialetto opaco Lezione del 14 novembre 2014 Come si diceva in una delle scorse lezioni, le parole in dialetto della LG sono trasparenti (cioè i giovani le usano comprendendone il significato) Ma esistono anche parole dialettali OPACHE, che continuano a esistere senza che se ne capisca il significato. Tali sono spesso i NOMI PROPRI DI LUOGO (toponimi) e i COGNOMI (antroponimi). Chi saprebbe dire, per esempio, cosa significa il cognome Ferrari? Ferraro è uno dei cognomi relativi ai mestieri: Si tratta di una forma dialettale che corrisponde all’italiano “ferraio” (dal latino FERRARIUM), cioè ‘colui che lavora il ferro, fabbro’. Questo cognome è diffuso sia nell’Italia Meridionale, sia in quella settentrionale, dove prevale la forma Ferrari (con la variante Ferreri), che rappresenta il terzo cognome italiano più frequente. Con lo stesso significato abbiamo in Sardegna Frau da FABRUM (a cui corrispondono i cognomi italiani Fabbro, Favaro ecc.) . Nei dialetti i derivati di FERRARIUM erano più diffusi rispetto a quelli di FABRUM (che è prevalso in italiano): infatti il cognome Ferrari è molto più diffuso di Fabbri. Allo stesso modo non è trasparente (almeno, non lo è per tutti) un altro cognome relativo a un mestiere: Manganaro. Il mangano era un arnese usato nell’àmbito dell’irrigazione e della filatura; dunque il “manganaro” era l’operaio che lavorava nelle filande di seta. Parole dialettali come Ferraro e Manganaro risultano opache perché è scomparso dall’uso l’oggetto a cui si riferiscono. Dunque tra le parole dialettali opache ci sono quelle relative ai mestieri agricoli e artigianali di un tempo Mentre tali mestieri sono ormai scomparsi, le parole che li designavano sono rimaste cristallizzate nei cognomi, come una sorta di fossili della lingua. Molti cognomi italiani derivanti da mestieri sono di origine greca: Sìclari ‘secchiaio’; Laganà ‘venditore di ortaggi’; Barilà ‘bottaio’; Azzarà ‘pescatore’; Cassarà ‘fabbricante di stuoie’; Catricalà ‘venditore di catricule, ossia trappole per uccelli’; Floccari ‘lanaiolo’. Nessuno oggi conosce il significato di queste parole: sono forme del tutto opache. A volte i cognomi relativi ai mestieri sono rappresentati da geosinonimi Al cognome toscano Macellai (con la variante Macellari in altre aree) corrispondono, nello stesso significato, cognomi come Beccari, Beccaria in Piemonte; Pancari e Pancaro in Calabria; Carner, Carnera, Carneri nel Nord-Est; Bucceri in Sicilia (con la variante calabrese Buccieri). Come scrive Enzo Caffarelli in Dimmi come ti chiami e ti dirò perché (Laterza, 2013), coloro che portano questi cognomi “sono tutti discendenti di macellai”. Spesso uno stesso cognome assume forme diverse nei vari dialetti Giovanni diventa, per esempio, Gianni, Zanni, Nanni, Ianni, Vanni, Scianni. Per questo nessuno dei cognomi derivanti da Giovanni, che pure è stato per secoli il nome maschile più diffuso in Italia, si collocano nel primi 250 posti della graduatoria italiana dei cognomi. C’è una frammentazione in varianti diverse a seconda dei dialetti. Invece la frammentazione tra Rossi al centro-nord e Russo al sud non ha impedito che il primo cognome italiano sia Rossi e il secondo Russo. Gli influssi di sostrato sono particolarmente evidenti nei cognomi Per esempio i cognomi che terminano in -aghi sono lombardi e sono pluralizzioni di nomi di luogo: Inzaghi da Inzago (Milano); Binaghi da Binago (Como); Osnaghi da Osnago (Lecco). Questa terminazione in -ago dei nomi di luogo lombardi proviene dal suffisso celtico -aco. Al sud, derivano da un suffisso greco i cognomi in iti, come Catanzariti, Caminiti. Tale suffisso indicava la provenienza da un certo luogo. Il fatto che in Italia per molti secoli si siano usati i dialetti è uno dei motivi alla base della ricchezza e della varietà dei cognomi italiani. L’italiano si è affermato tardi rispetto a quanto è accaduto nel caso di altre lingue nazionali; i cognomi hanno dunque mantenuto le caratteristiche dei dialetti da cui derivano e non hanno avuto modo di regolarizzarsi e uniformarsi. Ciò ha determinato una pluralità di forme che trova riscontro in poche altre lingue. La stessa opacità si riscontra nei nomi dei luoghi (toponimi) Pensiamo, ad esempio, all’Aspromonte: questo nome non ha nulla a che fare con l’asprezza, ma è sinonimo di “Monte Bianco”: àspros in greco significava appunto ‘bianco’. Altri esempi di nomi di luogo opachi: Gallo, in Campania (da gualdo, a sua volta derivante dal longobardo wald ‘bosco’); Fano nelle Marche dal lat. FANUM ‘tempio’.