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IL CAFFÈ
18 maggio 2014
tra
virgolette
S
piace dover contraddire
Massimo Recalcati, lanciatissimo nel salotto di Fabio
Fazio e in dirittura d’arrivo per
diventare il nuovo Francesco Alberoni. Conchita Wurst, la cantante vincitrice dell’Eurovision
Song Festival, che si è concluso
a Copenhagen lo scorso sabato
(per la Svizzera gareggiava il ticinese Sebalter) non è affatto il
trionfo della tendenza middlesex. Per capirci: la terra di nessuno collocata tra i maschi e le
femmine. Neanche dell’identità
liquida – quanti danni ha fatto
anche Zygmunt Baumann, poveri noi – rivendicata da chi considera un grande passo avanti le
cinquanta sfumature di sesso
che Facebook ora concede agli
utenti.
Per chi passa le sue serate rileggendo la “Critica della ragion
pura” di Immanuel Kant - come
consiglia di fare Umberto Eco,
che però da giovane studiava
Superman preferendo l’integrazione all’apocalisse – Conchita
Wurst è il nome d’arte dell’austriaco Tom Neuwirth. Ancora
niente? Vabbé, andiamo al dunque: è la splendida signora che
sale sul palco con i capelli lunghi, il vestito da sera scollato, le
ciglia da sballo. E una curatissima barba scura. Con una voce e
uno stile capaci di rimettere a
Conchita Salsiccia
non è affatto il trionfo
dei generi sfumati
schermi
MARIAROSA MANCUSO
nuovo anche la più scontata
canzone del mondo: “My Heart
Must Go On” (da quando Céline
Dion la cantava in “Titanic”, l’abbiamo sentita un miliardo di
volte con crescente irritazione).
Spiace dove contraddire
Massimo Recalcati, ma Conchita Wurst (sì, come salsiccia) non
è affatto il trionfo del middlesex
o dei generi sfumati in cerca di
definizione. Né merita di essere
adottata come bandiera dalle
associazioni che una volta difendevano i diritti dei gay o delle
lesbiche, e ora per far fronte alle
crescenti permalosità dicono
“queer”, cioè bizzarro.
Conchita Wurst è il trionfo di
chi sostiene che i sessi sono due.
Punto. E che sono due anche i
generi (termine più chic, perché
non riconduce alla fisiologia).
Poiché i sessi sono due, il travestimento ha sempre fatto spettacolo, consentendo di giocare
TOM
NEUWIRTH
Nei panni di
Conchita
Wurst, la drag
queen barbuta
ha vinto
l’Eurovision
Song Festival
libri
Inconscio collettivo
come anima sociale
S
MARCO BAZZI
con l’uno e con l’altro: nulla è
più noioso dell’indistinto o degli
stracci unisex. Marlene Dietrich
era sexy con lo smoking, come si
conviene a una femmina con
addosso un completo maschile.
Conchita Wurst è sexy – quando
canta e quando dà lezioni di
trucco su internet – come si conviene a un uomo barbuto in abi-
Il travestimento ha
sempre fatto spettacolo,
ma i sessi sono due
to da sera tempestato di lustrini.
Davvero vogliamo perdere
questo divertimento, peraltro
già cavalcato da Jovanotti che
con la barba faceva la signorina
buonasera in tv? Gli ermafroditi
hanno un posto di riguardo in
tutte le culture, lo psicoanalista
Recalcati dovrebbe essere il primo a saperlo.
GLI ARCHETIPI
DELL’INCONSCIO
COLLETTIVO
Carl Gustav
Jung
(Boringhieri)
pesso parliamo di “immaginario collettivo”, o
“coscienza collettiva”. Anche in riferimento a temi politici o sociali. Nell’immaginario collettivo
dei ticinesi, per esempio, possiamo dire che i frontalieri sono visti come persone che sottraggono lavoro
alla popolazione locale. O che le casse malati “affamano” gli assicurati. O possiamo dire che il federalismo è radicato nella coscienza collettiva degli svizzeri.
Ma l’immaginario, che si forma con la diffusione
martellante di tesi dominanti, ha anche una dimensione più profonda e ancestrale, perché inconscia.
È quello che lo psichiatra Carl Gustav Jung chiamò “inconscio collettivo”. Una delle opere chiave
dello psichiatra svizzero è proprio “Gli archetipi
dell’inconscio collettivo” (Boringhieri).
Partiamo dall’inconscio collettivo, che secondo Jung “è una parte della psiche che si può
distinguere in negativo dall’inconscio personale
per il fatto che non deve, come questo, la sua esistenza all’esperienza personale”.
E spiega: “Oltre alla nostra coscienza immediata, che è di natura del tutto personale e che riteniamo essere l’unica psiche solo empirica, esiste un secondo sistema psichico di natura collettiva, universale e impersonale, che è identico in tutti
gli individui. Quest’inconscio collettivo non si sviluppa individualmente, ma è ereditato. Esso consiste in forme preesistenti, gli archetipi”. Gli archetipi
sono idee o immagini innate. I principali sono il “sé”,
l’ombra, l’anima.
“Incontro con se stessi significa anzitutto l’incontro con la propria Ombra. L’Ombra è, in verità,
come una gola montana, una porta angusta la cui
stretta non è risparmiata a chiunque scenda alla profonda sorgente”. L’acqua, spiega Jung, è il simbolo più
corrente dell’inconscio. “Chi guarda nello specchio
dell’acqua vede per prima cosa la propria immagine.
Chi va verso se stesso rischia l’incontro con se stesso.
Lo specchio non lusinga; mostra fedelmente quel
che in lui si riflette, e cioè quel volto che non mostriamo mai al mondo, perché lo veliamo per mezzo della
persona, la maschera dell’attore. Ma dietro la maschera c’è lo specchio che mostra il vero volto”.
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Conchita Salsiccia non è affatto il trionfo dei generi sfumati