UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI SASSARI
FACOLTA' DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA
_____________________________________________
Presidente Prof. Antonio Azara
Timectomia per Miastenia Gravis:
il ruolo dell’infermiere al passo con
l’evoluzione tecnologica.
Relatore:
Prof. Federico Attene
Tesi di Laurea di:
Sanna Erica
ANNO ACCADEMICO 2014/2015
INDICE
INTRODUZIONE…………………………………………………γ
CAPITOLO 1: LA MIASTENIA GRAVIS………………………6
1.1 Elementi generali della Miastenia Gravis
1.2 Cenni storici
1.3 Epidemiologia
1.4 Patogenesi
1.5 Trasmissione neuromuscolare
1.6 Segni e sintomi
1.7 Diagnosi
CAPITOLO 2: IL TIMO………………………………………….22
2.1 Generalità del timo
2.2 Neoplasie del timo
2.3 Segni e sintomi delle neoplasie del timo
CAPITOLO 3: IL TIMOMA………………………………………β9
3.1 Generalità del timoma
3.2 Quadro clinico
3.3 Diagnostica
CAPITOLO 4: LA TERAPIA…………………………………….γ5
1
4.2 Trattamento clinico
4.3 Timectomia sternotomica open
4.4 Chirurgia video-assistita (VATS)
CAPITOLO 5: ASSISTENZA INFERMIERISTICA……………49
5.1 Pre- operatorio
5.2 Tempo Intraoperatorio
5.3 Decorso post- operatorio
DISCUSSIONE……………………………………………………58
CONCLUSIONI…………………………………………………...64
VOCI BIBLIOGRAFICHE………………………………………..67
2
INTRODUZIONE
La miastenia gravis è una malattia del tutto particolare, già il
nome la dice lunga in questo senso. Un nome latino, che si
addice a una malattia importante, e, sicuramente, la miastenia
non è una patologia banale.
E’ complicata in tutto, nelle sue manifestazioni, spesso subdole
e incostanti, nelle difficoltà che il paziente vive quasi
regolarmente prima di arrivare alla diagnosi, nel percorso
terapeutico che necessita dell’impiego di farmaci complessi nel
loro utilizzo e “pesanti” per quanto riguarda la loro possibilità di
dar luogo a effetti collaterali. Si tratta di terapie delicatissime
che vanno frequentemente modificate a seconda delle bizzarre
fluttuazioni della malattia. È una patologia imprevedibile che
costringe chi ne è colpito a non abbassare mai la guardia
perché non si sa mai quale “tiro” può sferzare.
È complicata perché richiede, anche dal punto di vista
assistenziale, medici che siano quasi totalmente dedicati a lei,
per comprenderla in tutte le sue infinite sfaccettature, così da
3
riuscire a “domarla” nei loro pazienti. È complicata anche
perché tutti quelli che ne vengono coinvolti, sia in veste di
ammalati, che di medici dedicati, troveranno mille difficoltà
presso le istituzioni sanitarie nella ricerca disperata delle tutele
necessarie per questa malattia.
Tutto ciò principalmente perché è una malattia poco conosciuta,
anche nell’ambiente sanitario e intorno alla quale ci sono pochi
interessi economici e “politici”. È però, a mio avviso, una
malattia, se così si può dire, affascinante, anche proprio per
tutte queste sue peculiarità.
È certamente straordinaria per tutte le sue implicazioni emotive
che coinvolgono completamente la sfera affettiva di chi ne è
colpito, modificando spesso radicalmente la personalità di
questi ammalati.
Chi esce dal tunnel di questa malattia, o comunque riesce a
conviverci bene, è una persona cambiata nella sua visione del
mondo. È quasi sempre una persona che apprezza di più le
“vere” cose della vita e spesso sviluppa molto più amore verso
gli altri.
4
È per questo che, nonostante la miastenia abbia totalmente
distrutto la mia adolescenza e la mia prima giovinezza, è una
malattia che oggi io amo molto.
Come si fa ad amare una malattia?
È stata come una bomba atomica nella mia esistenza, ma pian
piano mi ha comunque concesso di ricostruire la mia vita “pietra
su pietra” e di questo oggi le sono profondamente grata.
Non tutte le malattie ti danno questa possibilità.
Ho così, piano piano, cominciato ad amarla sempre di più, fino
a capire che è proprio questo che lei vuole per diventare docile
e mansueta.
L’Amore, del resto, è capace di compiere qualsiasi miracolo.
5
CAPITOLO 1 La Miastenia Gravis
1.1
Elementi generali della Miastenia Gravis
La miastenia gravis è una malattia che può costringere uomini e
donne a fare i conti con un corpo che improvvisamente non
riesce più a rispondere ai loro comandi. Colpisce infatti i
muscoli, facendo perdere loro, progressivamente, tono e forza.
La persona colpita dalla malattia all’improvviso nota una strana
“assurda” stanchezza nel compiere anche semplici movimenti
come alzare un braccio o stringere un oggetto tra le mani. Può
non riuscire a tenere ben aperti gli occhi, perché non riesce a
sollevare le palpebre, può vedere “doppio”, può avere difficoltà
a camminare, a masticare, a deglutire, a parlare. La voce può
diventare prima nasale e poi essere quasi incomprensibile. E,
nei casi più estremi, si può arrivare fino all’impossibilità a
respirare in maniera autonoma.
Tutta la nostra vita è una continua “messa in moto” di tantissimi
muscoli. Se questi sono inefficienti, anche alcune funzioni vitali
possono diventare impossibili. (Vivere la Miastenia, 2006).
1.2
Cenni storici
6
Secondo fonti storiche questa patologia fu descritta per la prima
volta nel 1672 dal medico e anatomista inglese Thomas Willis, il
quale riportò nell’opera “De Anima Brutorum” il caso di una
donna che durante una prolungata conversazione diventava
“muta come un pesce”, cioè perdeva temporaneamente la
capacità di parlare, recuperandola solo dopo qualche ora di
riposo.
Le prime conoscenze sulle caratteristiche fisiopatologiche della
miastenia risalgono però soltanto alla fine del 1800 grazie agli
studi di Willhelm Erb (1879) e Samuel Goldflam (1893), che
evidenziarono la presenza nei loro pazienti di una paralisi
bulbare. Per questo motivo, per molti anni questa patologia fu
chiamata Sindrome di Erb e Goldflam.
Il termine attualmente utilizzato fu coniato per la prima volta da
Friederich Jolly (1895) il quale definì Myasthenia gravis
pseudopuralytica, descrivendo con l’espressione “miastenia” le
caratteristiche
cliniche
tipiche
della
malattia
(dal
greco
myastheneia, debolezza muscolare), con il termine “gravis” la
difficile curabilità tipica del passato (le attuali terapie sono in
grado di attuare un buon controllo della malattia e della sua
7
sintomatologia, perciò oggi si propone di eliminare questo
termine
dalla
denominazione
della
malattia),
e
con
l’espressione “pseudoparalitica” l’assenza all’esame autoptico
di lesioni anatomopatologiche nel sistema nervoso centrale.
La causa della malattia rimane un mistero fino al 1960, quando
Simpson propose che la miastenia gravis avesse una eziologia
autoimmune e che, in particolare, fosse causata da anticorpi
contro il recettore dell’acetilcolina. (Evoli A. 1995).
1.3
Epidemiologia
La miastenia gravis è da considerarsi una malattia rara,
sebbene la sua prevalenza, stimata intorno ai 100-200 casi per
milione di abitanti, sia aumentata nel tempo, molto
probabilmente grazie alle migliori capacità diagnostiche e
terapeutiche e all’aumento della longevità della popolazione
generale. (Vincent A. 2008).
Questa patologia può colpire tutte le razze ed entrambi i sessi,
e l’età di insorgenza varia a seconda del sesso: le donne
colpite, sono più frequentemente quelle tra i 20 e i 30 anni,
mentre negli uomini i sintomi si manifestano principalmente
8
oltre i 50 anni. Tuttavia questa patologia può colpire persone di
qualsiasi età.
Sino a qualche anno fa la prevalenza sembrava essere
maggiore
nel
sesso
femminile,
tuttavia
recenti
studi
epidemiologici confutano questi dati dimostrando che, con
l’aumentare della vita media della popolazione, gli uomini
risultano essere maggiormente colpiti rispetto alle donne.
(Aiello., 1997).
La prevalenza in Italia è di circa 10-11 casi su 100.000 abitanti.
Studi epidemiologici eseguiti sulla popolazione del nord-est
sardegna hanno dimostrato una prevalenza di 11.1 casi per
100.000 abitanti, con una differenza non significativa con le
altre zone dell’Italia e dell’Europa.
L’esordio della miastenia gravis nell’infanzia è raro in Europa e
nel nord America, rappresentando il 10-15% dei casi, ma, è
molto più comune nei paesi asiatici dove nel 50% dei casi
l’esordio si ha sotto i 15 anni. (Pal J., 2011).
Esistono anche forme di miastenia neonatale. In questa forma
di miastenia (che si verifica nel 10-20% dei neonati con madre
9
affetta da miastenia) il feto riceve gli anticorpi attraverso la
placenta e si ha quindi un trasferimento “passivo” della
sintomatologia (il neonato appare ipotonico e mostra una certa
riluttanza
a
succhiare
nella
fase
dell’allattamento);
fortunatamente, nella stragrande maggioranza dei casi, il
problema si risolve in modo spontaneo nel giro di alcune
settimane con la degradazione degli anticorpi trasmessi dalla
madre.
1.4
Patogenesi.
La patogenesi della miastenia gravis è da ricondursi ad un
attacco autoimmune anticorpo-mediato. Nella maggior parte dei
casi gli anticorpi sono diretti contro il recettore dell’acetilcolina.
Questo è una proteina composta da quattro subunità (βα, , δ
e
nell’adulto) la cui attivazione da parte dell’ acetilcolina
rilasciata dalla terminazione nervosa sinaptica determina
l’attivazione di una cascata di eventi che porta alla contrazione
muscolare. In genere l’anticorpo riconosce un epitopo sito sul
complesso acetilcolina-recettore (AchR) e ciò determina il
blocco,
l’internalizzazione
e la
distruzione
dello
stesso
recettore. Gli anticorpi diretti contro il recettore dell’acetilcolina
10
sono presenti in circa l’85% dei pazienti affetti dalla forma
generalizzata e nel 50-60% dei pazienti con la forma
esclusivamente oculare.
L’origine autoimmune della miastenia, in passato, è stata
sospettata sulla base di diversi dati: in primo luogo la maggiore
incidenza di altre malattie autoimmuni nel paziente stesso e nei
suoi familiari; in secondo luogo la frequente associazione tra
Miastenia Gravis e patologie timiche.
Nel 50-60% dei pazienti è infatti presente una condizione di
iperplasia ghiandolare (soprattutto nei pazienti con esordio
precoce della malattia), nel 10% si riscontra un timoma, mentre
nei rimanenti casi il timo è istologicamente normale in rapporto
all’età. L’associazione tra miastenia e patologie timiche è
dovuta al fatto che il timo è un organo linfatico primitivo,
responsabile della maturazione dei linfociti T e dell’attivazione
dei processi di immunità centrale. Non si conoscono ancora le
cause eziologiche responsabili dell’anomalo funzionamento
della ghiandola timica, ma, probabilmente la predisposizione
genetica ha una notevole influenza.
11
La Miastenia Gravis soddisfa i severi criteri per la diagnosi di
una malattia autoimmune anticorpo-immediata:
(a) Gli anticorpi (Ab) sono presenti nel sito della patologia,
quindi nella giunzione neuromuscolare;
(b) Le immunoglobuline (Ig) derivate da pazienti miastenici
possono indurre i sintomi della Miastenia Gravis se
iniettati in roditori;
(c) L’immunizzazione di animali con AChR induce la
malattia;
(d) Terapie atte a rimuovere gli anticorpi possono diminuire
la gravità dei sintomi della Miastenia Gravis.
1.5
Trasmissione neuromuscolare
Le fibre muscolari sono innervate da fibre nervose
mieliniche che originano dai grandi motoneuroni delle
corna anteriori del midollo spinale. Alla sua estremità,
ogni fibra nervosa si ramifica più volte per andare a
stimolare diverse fibre muscolari.
La terminazione nervosa prende contatto con la fibra
muscolare, formando una connessione o sinapsi chimica
nota come giunzione neuromuscolare (o placca motrice).
12
A livello della giunzione neuromuscolare, l’assone del
motoneurone innerva una regione specializzata della
membrana muscolare.
In prossimità della placca, la fibra motrice perde il suo
rivestimento mielinico e si suddivide in numerose, sottili
branche terminali. Ciascuna di queste, forma, alla sua
estremità, un grappolo di bottoni sinaptici, ricoperti da un
sottile strato di cellule di Schwann.
Il bottone sinaptico e la membrana della fibra muscolare
sono separati dalla fessura sinaptica, che consente
l’acetilcolinesterasi (AChE); questo spazio sinaptico è
occupato da un sottile strato reticolare spugnoso, la
lamina basale, che si stende su numerosi ripiegamenti
della membrana muscolare, detti pieghe giunzionali.
Nel bottone terminale sono presenti: mitocondri, che
forniscono energia destinata prevalentemente alla sintesi
del mediatore eccitatorio, l’acetilcolina (ACh); vescicole
sinaptiche,
in
cui
l’acetilcolina
viene
rapidamente
accumulata; zone attive, ispessimenti della membrana
13
presinaptica
dove
avviene
il
rilascio
del
neurotrasmettitore.
La membrana presinaptica è attraversata dai canali Ca++
voltaggio-dipendenti che, ad ogni potenziale d’azione,
permettono l’ingresso di ioni calcio nella terminazione,
promuovendo la fusione delle vescicole sinaptiche con la
membrana presinaptica e la conseguente liberazione di
acetilcolina nello spazio sinaptico.
A riposo, le vescicole contenenti il neurotrasmettitore
sono ancorate al citoscheletro del bottone presinaptico
per mezzo di proteine note come sinapsine. All’arrivo del
potenziale d’azione, in conseguenza dell’ingresso di ioni
calcio, si ha la fosforilazione delle sinapsine ed il distacco
delle vescicole, le quali si dirigono verso la membrana
presinaptica.
L’entrata di calcio per apertura di canali localizzati nei
pressi
delle
zone
attive,
consente
il
rilascio
del
neurotrasmettitore attraverso pori di fusione che si
aprono; all’esocitosi fa seguito
la ricostruzione delle
14
vescicole,
le
quali
vengono
riciclate
e
riutilizzate
ripetutamente.
A livello postsinaptico, l’acetilcolina si lega a recettori
situati all’apice delle pieghe giunzionali.
Il recettore è una proteina integrale di membrana,
composta da cinque sub unità; ogni sub unità contiene
quattro regioni idrofobiche che vanno a costituire strutture
ad α-elica che attraversano interamente la membrana a
formare un canale tubulare (recettore-canale).
Affinchè il canale si possa aprire, è necessario che due
molecole di acetilcolina si leghino alle due sub unità,
determinando
una
variazione
conformazionale
del
recettore a cui segue un ingresso netto di ioni Na+ e la
comparsa di un potenziale sinaptico depolarizzante
(potenziale di placca). Il numero di canali attivati che si
aprono è limitato dalle quantità di acetilcolina che
raggiungono la membrana post-sinaptica. Questi, tuttavia,
depolarizzando la cellula post-sinaptica, attivano i canali
per il Na+, situati nelle immediate vicinanze della placca
motrice. L’apertura di tali canali porta all’innesco, nella
15
fibra muscolare, di un potenziale d’azione che diffonde
lungo tutto il sarcolemma. I complessi recettore-canale,
aperti dal legame con l’acetilcolina, si chiudono poi, per
un meccanismo intrinseco, in un tempo variabile tra 1 e
10 ms.
1.6 Segni e sintomi
La caratteristica della miastenia è una debolezza muscolare
che aumenta durante i periodi di attività e migliora dopo un
periodo di riposo.
Nonostante la miastenia possa interessare ogni muscolo
volontario, alcuni muscoli, come quelli che controllano l’occhio e
i
movimenti
delle
palpebre,
l'espressione
facciale,
la
masticazione, il parlare e la deglutizione, sono spesso, anche
se non sempre, coinvolti nella malattia. Anche i muscoli che
controllano il collo e i movimenti degli arti possono essere
interessati.
16
L'inizio della malattia può essere rapido e improvviso. I sintomi
spesso non vengono riconosciuti immediatamente come quelli
della miastenia; alcuni pazienti ricevono una diagnosi corretta
soltanto dopo più di un anno dall'esordio della malattia. In molti
casi, il primo sintomo evidenziabile è la debolezza dei muscoli
oculomotori, il paziente si lamenta quindi di vederci doppio
(diplopia) o ha un abbassamento di una o di entrambe le
palpebre (ptosi palpebrale). In altri casi i primi segni possono
essere la difficoltà nella deglutizione e la voce nasale che può
diventare quasi incomprensibile.
I sintomi, che variano in tipo e severità, possono includere una
ptosi palpebrale (abbassamento di una o di tutte e due le
palpebre), diplopia (vederci doppio), dovuta alla debolezza dei
muscoli che controllano i movimenti oculari, instabilità nella
stazione eretta, debolezza nelle braccia, nelle mani, nelle dita,
nelle
gambe
e
nel
collo,
cambio
dell'espressione
facciale, disfagia (difficoltà nella deglutizione), fiato corto, e
voce alterata, spesso nasale (rinolalia), dovuta alla debolezza
dei muscoli faringei.
17
La difficoltà nella deglutizione può provocare la caduta di cibo,
bevande o saliva in grosse quantità che può esitare in una
polmonite
ab
muscolatura
ingestis.
esofagea
Venendo
con
spesso
rischio
di
interessata
sviluppare
la
un
megaesofago acquisito, il sintomo clinico principale è il
rigurgito.
1.7 Diagnosi
La diagnosi della miastenia può essere complessa da
formulare, perché i sintomi possono essere subdoli e difficili da
distinguere da situazioni normali e da altri disordini neurologici.
Un esame completo del paziente può rivelare affaticabilità,
scomparsa o inibizione del riflesso patellare, con la debolezza
che migliora dopo il riposo e peggiora con la ripetizione dello
sforzo.
Sono molto indicative la cessazione dei sintomi dopo iniezione
di un farmaco che inibisce la degradazione dell'acetilcolina
(Test al tensilon), la dimostrazione di un abbassamento dei
potenziali elettrici dei muscoli con stimolazione ripetuta
(decremento elettromiografico, test di Desmedt) e la presenza
18
di
anticorpi
contro
frequentemente
i
recettori
dell'acetilcolina
o
contro
un’altra
proteina
giunzione
della
meno
neuromuscolare (MuSK).
Nelle
forme
oculari
e
in
una
minoranza
delle
forme
generalizzate non si trovano auto-anticorpi (casi siero-negativi).
Gli esami diagnostici sono completati da un esame di
tomografia o risonanza magnetica del torace, in quanto la
miastenia è spesso associata a iperplasia del timo o più
raramente ad un timoma (tumore benigno del timo, struttura
linfatica che fa parte del sistema immunitario e si trova dietro lo
sterno). Nella miastenia oculare uno o più degli esami
diagnostici possono risultare negativi; in questo caso, un
tentativo di farmacoterapia può confermare la diagnosi se porta
alla risoluzione dei sintomi.
Esami ematici
Se si sospetta la miastenia un esame del sangue viene
effettuato per identificare gli anticorpi diretti contro il recettore
dell'acetilcolina (AChR).
19
Il
test
ha
una sensibilità
dell'80-96%
nella
miastenia
generalizzata, ma nella miastenia limitata ai muscoli oculari
(miastenia oculare) il test può essere negativo fino al 50% dei
casi. In circa il 50% dei pazienti con miastenia generalizzata
negativa per la presenza di anticorpi anti-AchR sono presenti
anticorpi diretti contro il recettore chinasico muscolo-specifico.
Elettromiografia a singola fibra
Il test chiamato elettromiografia a singola fibra valuta la
variazione di intervallo di tempo (jitter) tra due scariche
elettriche muscolari consecutive: è il tempo indispensabile per
raggiungere nuovamente la soglia necessaria a generare un
altro potenziale d’azione. Nelle Unità Motorie integre questo
intervallo di tempo è costante; se il jitter è aumentato, allora c’è
un problema alla giunzione neuromuscolare.
Esami radiologici
20
Una radiografia del torace viene frequentemente eseguita; essa
può indirizzare verso diagnosi alternative, e può anche
identificare alterazioni del mediastino dovute alla presenza di
un timoma.
L' esame radiologico del torace con o senza mezzo di contrasto
(nel caso già si sospetti la patologia è opportuno utilizzarne uno
non istolesivo perché può venire accidentalmente aspirato) può
evidenziare
un
computerizzata del
megaesofago.
torace
(con
mezzo
Una tomografia
di
contrasto),
o
una risonanza magnetica sono gli esami più indicati per
identificare i timomi.
21
CAPITOLO 2 Il timo
2.1 Generalità del timo
Il timo è
un
organo
linfoepiteliale
situato
nel mediastino
anteriore e per una piccola parte nel collo.
Ha una forma a piramide quadrangolare e con un peso che può
variare dai 12 g alla nascita ai 30 g nel periodo di massimo
sviluppo.
Dal momento della nascita il timo va incontro ad una
progressiva
di tessuto
involuzione
adiposo,
fino
e
una
a
conseguente
costituire
il
infiltrazione
corpo
adiposo
retrosternale. Una quota di parenchima timico ad ogni modo
rimane funzionale anche nell'adulto.
La principale funzione del timo è di organo linfoide primario per
lo sviluppo dei linfociti T, funzione che si attua già negli stadi più
precoci dello sviluppo prenatale.
Il timo è un organo impari e mediano che risulta essere l'unione,
durante lo sviluppo, di due formazioni pari e simmetriche: i lobi
timici.
22
Con la sua forma di piramide quadrangolare, presenta una
base inferiore che risiede nel mediastino e un apice superiore
che trova posto nel collo e che può essere diviso in corni timici,
due prolungamenti. La superficie presenta una configurazione
lobulare.
Nel timo si distinguono: una faccia anteriore, una posteriore e
due margini laterali.
La faccia anteriore presenta rapporti:

Alla base del collo con: la fascia cervicale media e i muscoli
sottoioidei;

nel mediastino anteriore con: il manubrio e la parte superiore
del corpo dello sterno, con i vasi toracici interni e le
estremità sternali dei primi 4-6 spazi intercostali.
Tra la faccia anteriore del timo e la parte anteriore della gabbia
toracica, si trovano interposti, la fascia endotoracica, le
inserzioni sternali dei muscoli sternotiroidei e trasversi del
torace, i seni pleurali costomediastinici e i margini anteriori dei
polmoni.
La faccia posteriore presenta rapporti con:
23

alla base del collo: la trachea e le arterie carotidi comuni;

nel mediastino: la vena cava superiore, il segmento
ascendente dell’arco aortico.
La faccia posteriore, inoltre, poggia sul pericardio che ricopre i
tratti di origine dell'aorta e del tronco polmonare.
I margini laterali, risalendo per terminare nel collo in vicinanza
delle vene giugulari interne, traggono rapporto con la pleura
mediastinica e i polmoni. In particolare, a sinistra, tra pleura e
timo decorrono i vasi perdicardiofrenici e il nervo frenico.
Il timo non possiede mezzi di fissità particolarmente sviluppati.
L'organo aderisce al pericardio posteriormente. Il foglietto
posteriore della fascia cervicale media contribuisce a delimitare
la loggia timica, chiusa anteriormente dalla fascia endotoracica
dello sterno. Il timo presenta blande aderenze con le pareti
della loggia timica.
Il ruolo principale del timo, sia alla nascita che nella vita adulta
(seppur in maniera ridotta), è quella di permettere la
maturazione dei linfociti T fornendo un ambiente a loro adatto
24
perché si susseguano tutti gli stadi di sviluppo e avvengano i
dovuti eventi di selezione.
2.2 Neoplasie del timo
Esistono tre tipologie principali di tumori che possono originare
nel timo: timoma, carcinoma timico e carcinoide timico.
Timoma
Circa il 90% dei tumori che si sviluppano nel timo sono timomi.
Questi tumori hanno origine nelle cellule epiteliali che rivestono
il timo e spesso crescono lentamente, diffondendosi raramente
al di fuori del timo stesso. Tuttavia, alcuni timomi sono più
25
aggressivi e possono estendersi ai tessuti ed agli organi
circostanti (polmoni e pleura).
Il timoma è un tumore che colpisce soprattutto nella fascia di
età tra i 40 e i 60 anni, senza differenze significative tra uomini
e donne. Cause e fattori di rischio del timoma sono ancora
sconosciuti. Alcune persone affette da timoma sono anche
portatrici di disturbi autoimmuni. La miastenia gravis, riscontrata
in almeno il 30% dei casi, è la patologia autoimmune più
spesso associata al timoma. Nella miastenia, gli impulsi nervosi
non sono trasmessi in maniera corretta ai muscoli, causando
così una grave debolezza muscolare.
Carcinoma timico
Il carcinoma timico rappresenta circa il 5-10% dei tumori del
timo. Come il timoma, anche il carcinoma timico deriva dalle
cellule epiteliali che rivestono il timo. Tuttavia, all’osservazione
al microscopio queste cellule appaiono molto diverse dalle
cellule timiche normali. Inoltre, i carcinomi timici crescono più
rapidamente dei timomi e generalmente si diffondono più
frequentemente in altre sedi, tanto che il trattamento del
carcinoma timico è più articolato del trattamento del timoma.
26
Carcinoide timico
I carcinoidi timici sono tumori neuroendocrini, ossia originati
dalle cellule che producono gli ormoni e che rivestono gli organi
dell’apparato digerente e i polmoni, e sono caratterizzati da una
lenta evoluzione. Sebbene i carcinoidi siano la tipologia più
comune di tumore neuroendocrino, quelli che originano nel timo
sono piuttosto rari. Colpiscono più frequentemente gli uomini
che le donne e hanno una tendenza maggiore a diffondersi in
altre sedi o a recidivare rispetto ai timomi. I carcinoidi timici
sono spesso associati alla sindrome di neoplasia endocrina
multipla tipo 1, una rara malattia genetica che può indurre una
iperproduzione di ormoni da parte delle ghiandole paratiroidee,
della ghiandola pituitaria e del pancreas.
2.3 Segni e sintomi delle neoplasie del timo
Molti tumori del timo non provocano sintomi e vengono scoperti
in occasione di esami eseguiti per altri motivi. Se presenti,
invece, i sintomi possono includere:

tosse persistente

debolezza muscolare

compressione toracica o dolore toracico
27

difficoltà respiratoria
Alcuni carcinoidi timici si caratterizzano per una ipersecrezione
di ACTH, una sostanza che provoca un eccesso di produzione
di cortisolo e di altri ormoni da parte delle ghiandole surrenali.
Questa condizione può provocare:

aumento ponderale

debolezza muscolare

diabete

aumento dei peli superflui su viso e corpo

cute sottile o imbrunita
28
CAPITOLO 3 Il timoma
3.1 Generalità del timoma
È costituito da cellule differenziate, accompagnate da linfociti
non tumorali sparsi in quantità più o meno abbondante, nelle
cellule epiteliali. Rappresenta il 90% dei tumori del timo. Le
forme invasive rappresentano il 30% dei casi e presentano:

capsula incompleta con invasione delle strutture circostanti

tropismo per i linfatici del connettivo sottopleurico.
La diagnosi di timoma, data la storia clinica indolente, può
essere spesso occasionale, infatti almeno il 30% dei pazienti è
asintomatico al momento della diagnosi. Quando sono presenti
sintomi,
spesso
molto
vaghi,
sono
da
ricondurre
alla
compressione locale o all’infiltrazione delle strutture circostanti:
i più frequenti sono dolore toracico, tosse, dispnea, paralisi di
un emidiaframma. I timomi possono tuttavia essere associati a
numerose sindromi paraneoplastiche: la più frequente è senza
dubbio la Miastenia Gravis, che è presente nel 30-45% dei
pazienti,
mentre
l’aplasia
eritroide
pura
e
l’ipogammaglobulinemia ricorrono nel β-5% dei casi. Circa il 10-
29
15% dei pazienti affetti da Miastenia Gravis presenta un tumore
timico e nella maggior parte dei casi si tratta di timomi di tipo A
o B. Alcuni studi sembrerebbero dimostrare che i pazienti affetti
da timoma e miastenia hanno una prognosi migliore rispetto ai
non miastenici
3.2 Quadro clinico
La grande maggioranza dei timomi è composta da tumori
citologicamente poco
aggressivi, con
una
prognosi
più
favorevole rispetto ai carcinomi timici. Sono state proposte
molte classificazioni istologiche, la più recente è quella
proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Questo
sistema suddivide i tumori timici in 6 sottogruppi (A, AB, B1, B2,
B3, e C). I tumori di tipo A sono composti da cellule epiteliali
fusate senza segni di atipia. I tumori di tipo AB sono simili al
tipo A, ma presentano foci di linfociti neoplastici. I tumori di tipo
B sono composti da cellule epitelioidi, e sono suddivisi in tre
sottotipi a seconda della proporzione tra cellule epiteliali e
linfoidi. I tumori di tipo C sono i carcinomi timici. Il sistema di
stadiazione è quello proposto da Masaoka, che prevede sei
30
stadi (I, IIa, IIb, III, IVa, IVb) e si basa sull’invasione macro- o
microscopica nelle strutture del mediastino.
I tumori allo stadio I sono capsulati e non presentano segni di
invasività;
quelli
allo
stadio
IIa
presentano
invasioni
macroscopiche nel tessuto adiposo circostante o nella pleura,
mentre quelli allo stadio IIb presentano micro-invasioni. Lo
stadio III è caratterizzato da invasioni macroscopiche negli
organi vicini, e agli stadi IVa e IVb si osservano metastasi
rispettivamente pleuriche o pericardiche, oppure ematiche e
linfatiche.
A
Cellule epiteliali fusate.
AB
Simili ad A ma con foci di
linfociti neoplastici
B1, B2, B3
Cellule epitelioidi
C
Carcinomi timici
Stadio I
Capsulati e senza segni di
invasività
31
Stadio Iia
Invasioni macroscopiche nel
tessuto adiposo circostante o
nella pleura
Stadio Iib
Micro- invasioni
Stadio III
Invasioni
macroscopiche
a
livello degli organi vicini
Stadio IVa- Ivb
Metastasi
pleuriche
o
pericardiche
L’incidenza del timoma è simile nei maschi e nelle femmine, e
l’età di comparsa è piuttosto varia, anche se c’è un picco tra la
terza e la quarta decade di vita. Circa un terzo dei pazienti è
asintomatico, mentre gli altri possono presentare sintomi legati
alla massa intratoracica, o sintomi legati alla Miastenia Gravis.
3.3 Diagnostica
La diagnosi di timoma è basata sull’osservazione radiografica di
una massa nel mediastino anteriore. Generalmente questo è
sufficiente per fare diagnosi di timoma, mentre è necessaria
32
una biopsia quando ci sono i sintomi di un linfoma o sia
necessario
un
trattamento
chemioterapico
prima
della
rimozione chirurgica del tumore.
ESAMI

Radiografia del torace.
Spesso la neoplasia viene ignorata dalla persona, perché non
fornisce sintomi di rilievo, e casualmente grazie ad una normale
radiografia può venire diagnosticata. La diagnosi di timoma è
radiologica. Alla radiografia del torace, la neoplasia si presenta
spesso come una massa lobulata situata nel mediastino
superiore, vicino alla giunzione tra il cuore e i grossi vasi.

TAC.
Necessaria per determinare l’estensione della lesione, il
rapporto con le strutture adiacenti e l’eventuale diffusione
pleurica e pericardica, inoltre può essere determinante nel
diagnosticare neoplasie di piccole dimensioni, non apprezzabili
con una radiografia standard del torace. La biopsia chirurgica
della lesione non è consigliata in caso i tumori timici capsulati,
33
per il rischio di disseminazione; si rende invece necessaria nel
caso di tumori non resecabili o per diagnosi differenziale con
altre neoplasie maligne del mediastino anteriore al fine di una
corretta scelta terapeutica.
34
CAPITOLO 4 La terapia
4.1 Trattamento clinico
Il trattamento del timoma dipende dalla presentazione clinica, in
particolare dall’invasività locale. La chirurgia è sicuramente il
più utilizzato. Tutti i pazienti affetti da timoma, ad eccezione di
quelli affetti da neoplasie non resecabili o con metastasi a
distanza, dovrebbero essere sottoposti a intervento chirurgico
con asportazione completa della lesione anche se infiltra organi
circostanti non vitali (pleura, pericardio, polmone). L’accesso
chirurgico scelto nella maggior parte dei casi è la sternotomia
longitudinale mediana anche se in caso di grosse lesioni che si
estendono
al
cavo
pleurico
è
preferibile
l’approccio
toracotomico postero-laterale. Più recentemente, per lesioni
capsulate e di piccole dimensioni, vengono praticate anche
timectomie
mini-invasive
mediante
accessi
chirurgici
toracoscopici o grazie all’utilizzo del robot. Localizzazioni
pleuriche (reimpianti pleurici) possono manifestarsi anche dopo
anni dall'intervento chirurgico. Questi reimpianti possono
comunque
essere
rimossi
chirurgicamente
con
accesso
35
toracotomico. Inoltre, più recentemente, è stata introdotta la
chemioipertermia, che consiste nel lavaggio del cavo pleurico
con sostanze chemioterapiche ad alte temperature per circa 1
ora, al fine di sfruttare l'effetto sia dell’ alta temperatura che
quello chemioterapico.
4.2 Timectomia sternotomica open
Il paziente sta in posizione supina, con le braccia abdotte su
poggia braccia; viene effettuata un’incisione mediana a partire
dal giugulo.
Quindi si divide la fascia pettorale, l’incisione del periostio e la
dissezione del legamento intraclavicolare.
Si esegue la sternotomia con lo sterno tomo e si procede ad
aprire lo sterno; può conseguirne sanguinamento, che è
possibile trattare con della cera per osso.
Previa legatura e sezione delle vene timiche, si sezionano i
legamenti sterno-pericardici con bisturi elettrico, forbici e
bipolare, e si completa la timectomia.
36
A discrezione del chirurgo, è possibile inserire dei drenaggi
facendo attenzione a non ledere i vasi epigastrici superiori.
Quindi si procede con la sutura dello sterno, poi della fascia
pettorale, della linea alba sotto-xifoidea (per evitare laparocele),
e infine della cute.
Preparazione strumenti:
TORACE
Strumenti da taglio e sutura:
37
 4 manici bisturi
 Forbici standard rette e curve
 Forbici da dissezione curve
 Porta-aghi
Spatole e divaricatori:
 Spatole di Richardson
38
 Spatole di Farabeuf
 Divaricatore di DeBackey
 Spatole da polmone
Pinze da presa:
 Kocher retti
39
 Pinze di Collin
 Pinze ad anello
 Pinze di Allis
 Pinze da bronco
Pinze di manipolazione:
 Pinze anatomiche
 Pinze chirurghiche
 Pinze di DeBackey
Pinze da emostasi e dissezione:
40
 Pinze mosquito
 Pinze di Crile
 Pinza Mixter
 Pinze di Rochester
 Passafilo
 Pinze vascolari
Accessori:
41
 Ciotole grandi e medie
 Porta tamponi
 Spilla raccogli strumenti
 Fissatelli traumatici
 Garze
 Teleria
(per
confezionare
un
campo
chirurgico
quadrangolare che esponga tutta la parete anteriore del
torace, dal mento all’area sotto-xifoidea e da un
capezzolo all’altro)
 Fili sutura e lame
4.3 Chirurgia Video-Assistita (VATS)
La VATS ha raggiunto la pratica della chirurgia toracica
generale; si è evoluta a partire dalla procedura diagnostica
chiamata toracoscopia. La prima procedura toracoscopia è
stata effettuata dal medico svedese Hans Christian Jacobeus
nel 1910.
42
Col tempo, con il miglioramento della risoluzione delle immagini
e degli strumenti, hanno permesso ai chirurghi di spingersi oltre
l’indagine diagnostica.
Obiettivo della VATS è ridurre il dolore post-operatorio, senza
però compromettere i principi tipici della chirurgia toracica open.
In pochi anni la VATS si è evoluta fino a diventare l’approccio
preferenziale per le più comuni patologie chirurgiche toraciche,
tra cui, quella mediastinica.
Il paziente viene posizionato supino con una spezzatura a
livello dorsale in modo da esporre gli spazi intercostali.
Il braccio sinistro verrà posizionato dietro la testa e il braccio
destro sul reggi-braccio.
L’ingresso si effettua preferibilmente sull’emitorace sinistro;
comunque, al fine di completare la timectomia può essere
necessario l’approccio controlaterale, contestuale o in una
successiva sessione operativa.
43
MATERIALE:
44
 Cestelli: addome e torace
 Sternotomo
(pneumatico,
elettrico
o
a
batteria)
 Kit video (in genere si utilizzano 4 Trocar, per 3°, 4°, 5° e
6° spazio intercostale)
 Kit lavaggio
 Ottica 30°
 Bipolare
 Clip da 5 mm
 Cotonini chirurgici
 Sonicision
45
 2 canule aspirazione (10mm e 5mm)
 1 estrattore o coccodrillo
 1 cavo luce
Preparazione cestello addome:
PINZE (9)
 2 pinze chirurgiche;
 2 pinze anatomiche;
 3 pinze vascolari lunghe;
 2 pinze vascolari medie;
DIVARICATORI (20)
 4 farabeuf (2 medi e 2 piccoli);
 2 mathieu;
 2 blefarostati;
 1 valva piccola;
 3 valve lunghe e larghe;
 1 valva lunga e stretta;
46
 3 valve medie e larghe;
 3 valve di bracci;
 1 spatola malleabile;
ASPIRATORI (4)
 1 grosso;
 1 sottile;
 1 saratoga;
 1 da sangue;
PORTA-AGHI (13)
 2 lunghi (1 delicato/1 grosso);
 3 lunghi delicati;
 2 medi delicati;
 1 titanio delicato;
 2 da fascia;
 2 da cute;
 1 delicato piccolo;
FORBICI (10)
47
 7 operatore (3 lunghe, 2 medie e 2 corte);
 1 aiuto robusta;
 1 potz;
 1 strumentista.
Preparazione carrello d’urgenza:
 Tamponcini;
 Sternotomo
(a
mano,
elettrico
o
a
batteria);
 Bisturi;
 Fili d’acciaio;
 Fascette;
 Porta aghi
48
 Forbici
 Divaricatore sternale;
 2 bengolea;
 2 duval;
 1 passafili;
 2 pinze vascolari;
 1 debakey curvo, 1 retto e 1 angolato;
 Porta aghi da cute,vascolari e da fascia;
 Fili di sutura
49
CAPITOLO 5 Assistenza infermieristica
5.1 Pre- operatorio
La preparazione del paziente che deve sottoporsi a un
intervento chirurgico, prevede diverse procedure che mirano
soprattutto alla prevenzione delle infezioni e al sollievo
dall’ansia correlata all’esperienza chirurgica che il paziente
stesso proverà; questo vale, quindi, anche per il paziente che
dovrà sottoporsi a timectomia.
Ci si concentra quindi sull’informazione da parte di medici,
infermieri e anestesisti, di tutto ciò che il paziente dovrà
affrontare, sui tipi di anestesia e di induzione; il paziente discute
con il personale sanitario i timori dell’ultimo minuto.
E’ di fondamentale importanza anche preparare la cute,
attraverso la doccia preoperatoria, la tricotomia, la disinfezione
della cute, la profilassi antibiotica e la preparazione intestinale.
Tricotomia. La tricotomia si effettua come preparazione ad un
intervento chirurgico per migliorare la visione del campo
operatorio. La rasatura deve essere immediatamente prima
dell’intervento in quanto associata a un minor tasso di infezione
50
del sito chirurgico. E’ importante prestare molta attenzione a
non provocare lesioni durante la rasatura in quanto potrebbero
diventare sede di infezione da microorganismi. E’ necessario
spiegare al paziente il motivo della tricotomia e quindi
informarlo della procedura. Occorre un rasoio monouso, garze
pulite, forbici, telini e guanti monouso non sterili.
Profilassi antibiotica. La somministrazione profilattica di
antibiotici ha lo scopo di impedire che i microrganismi a contatto
con il campo operatorio, arrivino al sito chirurgico.
Nella
maggior
parte
dei
casi,
deve
essere
iniziata
immediatamente prima dell’ anestesia, e comunque nei 30-60
minuti prima dell’incisione della cute.
Inoltre, prima dell’intervento chirurgico, occorre:
-controllare la glicemia se il paziente è diabetico per evitare l’
iperglicemia nel periodo perioperatorio;
-incoraggiare l’astinenza dal fumo almeno nei 30 giorni
precedenti l’intervento.
Il fumo infatti, è legato a complicazioni chirurgiche: polmoniti,
infezioni delle ferite, insufficienza respiratoria, arresto cardiaco,
51
infarto miocardico, prolungamento della degenza, ictus, sepsi e
shock. Chi fuma ha un rischio doppio di polmonite, intubazioni
non programmate, ventilazione meccanica e morte.
Qualche giorno prima dell’intervento occorre sospendere o
sostituire l’assunzione di anticoaugulanti.
Prima
dell’intervento
chirurgico
è
compito
dell’operatore
sanitario e del medico, chiedere al paziente di firmare il
consenso informato.
Il consenso informato è la manifestazione di volontà che il
paziente, informato in maniera esauriente dal medico sulla
natura e gli sviluppi del percorso terapeutico, dà per
l’effettuazione di interventi di natura invasiva sul proprio corpo.
Il consenso informato è un momento importante nel rapporto
che il terapeuta intrattiene con il paziente.
Esso è funzionale, da un lato, a fondare la fiducia del paziente
nel
terapeuta
e,
dall’altro,
a
rendere
partecipe,
responsabilizzandolo, il paziente sulle ragioni e la fondatezza
del percorso terapeutico individuato, secondo scienza e
coscienza, dal medico. Tale aspetto, nell’attuale evoluzione sia
52
della scienza medica che della legislazione, non si fonda più
solo sulla maggiore o minore sensibilità del medico, ma si
configura soprattutto come un preciso diritto del cittadino nella
sua veste di paziente. In sintesi, il diritto del paziente di
formulare un consenso informato all’intervento “appartiene ai
diritti inviolabili della persona, ed è espressione del diritto
all’autodeterminazione in ordine a tutte le sfere ed ambiti in cui
si svolge la personalità dell’uomo, fino a comprendere anche la
consapevole adesione al trattamento sanitario (con legittima
facoltà di rifiutare quegli interventi e cure che addirittura
possono salvare la vita del soggetto)”.
La decisone di fare
l’intervento, infatti, è del paziente; il consenso proteggerà il
paziente, il chirurgo, l’anestesista, e tutta l’equipe.
Rispetto alla valutazione clinica per un qualsiasi intervento
clinico, il paziente miastenico deve essere sottoposto a
un’approfondita valutazione neurologica preoperatoria.
Essa, mira a capire il grado di severità della malattia, in quanto,
nessun paziente viene sottoposto ad intervento senza il
consenso del neurologo, che può provvedere, con motivazioni
valide, ad annullare, o almeno, posticipare, l’intervento,
53
predisponendo sedute di plasmaferesi e somministrazione di
immunoglobuline.
Quando si decide che il paziente può essere sottoposto
all’intervento,
vengono
effettuati
i
comuni
accertamenti
preoperatori ematochimici, Rx torace, ECG, e, a seconda dei
casi, TC o RM torace, quando ritenuto necessario.
Molto importante è anche la prova spirometrica, attraverso la
quale l’anestesista e il pneumologo, possono decidere se
programmare il post-operatorio in reparto di degenza o in
Terapia Intensiva.
5.2 Tempo intraoperatorio
E’ necessario, al momento del trasferimento o dell’arrivo del
paziente in sala operatoria, offrire informazioni riguardo le
procedure e i tempi di intervento.
E’ importante accertarsi della disponibilità in sala, di farmaci
non di routine, emoderivati e altri strumenti e medicazioni. Stare
attenti
ad
identificare
aspetti
che
possono
incidere
negativamente sul paziente (temperatura, umidità, rischi
54
elettrici, potenziali fonti di contaminazione come polveri, sangue
sul pavimento, capelli non coperti, ecc).
Una volta sedato, non lasciare mai solo il paziente.
Durante l’intervento, viene monitorato con elettrocardiogramma,
pressione arteriosa invasiva dall’arteria radiale di destra
(posizionata dopo l’induzione dell’anestesia).
Vengono incannulate due vene periferiche, una di mediogrosso calibro per l’infusione di liquidi, e una riservata
all’infusione di farmaci.
Il catetere venoso centrale è utilizzato solo se l’anestesista lo
ritiene necessario.
Nella giornata dell’intervento, il neurologo rivaluta il grado di
compenso del paziente,lo stato della muscolatura bulbare e se
lo ritiene opportuno, può considerare di nuovo in accordo con
l’anestesista, il trasferimento del paziente in Terapia Intensiva.
Vengono raccolte informazioni riguardo l’analgesia postoperatoria, le problematiche insorte durante la degenza postoperatoria (crisi miasteniche, insufficienza respiratoria, eventi
cardiovascolari, complicanze infettive, plasmaferesi, ecc),
55
l’eventuale trasferimento in Terapia Intensiva e le motivazioni,
la rimozione dei drenaggi e i tempi di degenza.
5.3 Periodo post-operatorio
Durante il periodo post-operatorio è necessario assicurarsi che
il paziente non abbia complicanze respiratorie, e incoraggiarlo
ad eseguire gli esercizi con lo spirometro. Accertare il livello di
dolore, utilizzando anche le apposite scale di valutazione e
monitorare questo fino alla completa scomparsa di dolore.
Favorire, se possibile, una mobilizzazione precoce, aiutando il
paziente a curare la propria igiene personale (a letto o in
bagno); favorire la prima alzata dal letto, preoccupandosi della
valutazione dei parametri vitali prima e dopo qualsiasi attività.
Ispezionare la ferita: bordi, integrità delle suture, rossore,
colore, gonfiore, la tensione o la presenza di drenaggi.
Controllare anche la reazione cutanea al cerotto o al bendaggio
troppo stretto.
56
Al momento della pubblicazione delle prime timectomie era
stata registrata una mortalità operatoria del 10-30% (casistiche
degli anni ‘40- ‘60).
Negli anni a venire grazie ai progressi chirurgici, a nuove
terapie mediche, e all’impiego di nuovi agenti anestetici oltre
che alla possibilità di assistenza postoperatoria in Unita di
Terapia Intensiva si è assistito alla riduzione di mortalità e
morbilità post operatorie (inferiore al 1% o nullo).
Oggi, molte equipe realizzano l’estubazione in sala di risveglio
o in rianimazione da γ0 minuti a β ore dopo l’intervento purchè
siano presenti i criteri di estubazione validi per qualunque
paziente:
riscaldamento,
stato
di
coscienza
normale,
spirometria soddisfacente, corretta forza muscolare, normali
gas nel sangue.
La ripresa del trattamento anticolinesterasico postoperatorio è
necessaria anche nel paziente sottoposto a timectomia. In
questo caso infatti la vita media degli anticorpi anti AchR è più
lunga ed i malati che andranno incontro ad una remissione
completa vedranno i benefici solo dopo molti mesi. Tuttavia
57
esiste un periodo di durata variabile (da qualche ora a due
giorni) in cui non c’è bisogno del trattamento, anzi i pazienti
possono essere più sensibili agli anticolinesterasici.
La ripresa della terapia è variabile, alcuni ricominciano al
risveglio, sia con metà dose che con una dose normale anche
se sono state documentate riprese più tardive (dalle 24 alle 72
ore).
58
DISCUSSIONE
Il trattamento chirurgico delle masse del mediastino, ha da
sempre privilegiato molte vie di accesso, data la complessita’
dell’area da trattare. La sternotomia e la toracotomia, sono,
classicamente, gli accessi chirurgici utilizzati dalla chirurgia “a
cielo aperto”. Negli ultimi anni, la chirurgia, ha subito una
profonda trasformazione. Grazie all’evoluzione tecnologica che
ha favorito lo sviluppo e l’applicazione di tecniche mini-invasive,
si e’ assistito ad una vera rivoluzione nella pratica chirurgica
quotidiana,
anche
in
campo
toracico.
Dalla
classica
toracoscopia Jacobaeus, con finalita’ diagnostiche, si e’ arrivati
ad una toracoscopia esclusivamente chirurgica, largamente
impiegata per molte patologie tra cui quella mediastinica. La
scelta della la tecnica piu’ appropriata dipende dalle finalita’
dell’intervento (diagnostico e/o terapeutico), per questo, la
videotoracoscopia risulta essere la tecnica che e’ in grado di
soddisfare più di tutte entrambe le esigenze. Nonostante i tanti
vantaggi della VATS (minor trauma, riduzione del dolore postoperatorio,
ecc…),
alcuni
limiti
sono
da
considerare,
specialmente la visione bidimensionale e lo scarso movimento
59
della strumentazione. Tutto questo si concretizza in una
difficolta’ di valutazione visiva, che risulta piana e priva di
profondità. In tutti gli interventi di timectomia effettuati in
Videochirurgia robotica non c’è stata alcuna complicanza
intraoperatoria.
La procedura risulta essere molto ben tollerata dai pazienti, il
decorso post-operatorio è solitamente buono e il ricorso al
ricovero in Terapia Intensiva risulta essere inferiore rispetto ai
pazienti operati a “cielo aperto”. Tali risultati sono dovuti al
minor trauma chirurgico, alla riduzione del dolore postoperatorio dovuto alla integrità anatomica dello sterno.
La durata degli interventi ha avuto tempi variabili, da un minimo
di 2.40 h ad un massimo di 4 ore. La permanenza media dei
drenaggi e’ stata di β-3 giorni e la degenza media di 3-6 gg.
In un caso è stato necessario un secondo intervento eseguito
per via toracoscopia contro laterale per la presenza di un
piccolo residuo timico dopo il primo intervento.
60
Tutti i pazienti sono stati dimessi in ottime condizioni e ritornati
ai livelli preoperatori di attivita’ fisica entro 10 gg dall’intervento.
La tecnica migliore per realizzare la timectomia rimane però
sempre poco chiara.
Alcuni prediligono un approccio
transcervicale attraverso una piccola incisione aiutato da un
divaricatore sternale. Altri preferiscono un trans-sternale, o un
approccio toracoscopico video-assistito.
Nel gennaio 2008, il medico Ali Sadrizadeh, riporta i dati che
emergono da una revisione di 100 consecutive timectomie
sternotomiche in open su pazienti con Miastenia gravis
utilizzando le cartelle cliniche e interviste telefoniche.
I sintomi dei pazienti sono stati classificati prima dell'intervento
e successivamente (nei successivi 6 mesi), utilizzando la
classificazione di Osserman:
0 = asintomatici, 1 = segni e sintomi oculari, 2 = lieve debolezza
generalizzata,
3
=
moderata
debolezza
generalizzata,
disfunzione bulbare, o entrambi, e 4 = grave debolezza
generalizzata, disfunzione respiratoria, o entrambi. Sono stati
61
revisionati 61 pazienti di sesso femminile e 39 pazienti maschi
con un'età media di 38 anni (dai 14 agli 84). La degenza media
è stata di 1 giorno. Non ci sono stati morti e nessuna
complicanza significativa. 78 pazienti che hanno subito l’
intervento chirurgico, dopo 12 mesi sono stati sottoposti ad
analisi. In questi pazienti, il grado di Osserman è migliorato,
partendo da 3,0 nel pre-operatorio, per arrivare a 1.0 dopo
l'intervento chirurgico.
Il confronto tra chirurgia e trattamento medico sono poco chiari,
in quanto, all'osservazione si può notare che si verificano
remissioni spontanee, che diversi approcci chirurgici hanno
riportato diversi risultati, e che alcuni pazienti avranno bisogno
di anni per godere del miglioramento dopo la timectomia. La
conclusione di uno studio è stata che i pazienti in terapia
farmacologica hanno avuto un tasso di remissione dell'8%, e un
tasso di mortalità del 43%, contro il 34% e il 14%,
rispettivamente,
per
i
pazienti
sottoposti
a
trattamento
chirurgico. La timectomia come trattamento aggiuntivo per la
miastenia gravis è considerato ormai lo standard di cura, con i
migliori risultati ottenuti in genere nei pazienti più giovani.
62
Resta il dubbio invece per quanto riguarda l'approccio
chirurgico ottimale per raggiungere una completa asportazione
del timo. In tutti i casi, però, qualsiasi decisione si prenda per
quanto riguarda la scelta dell’intervento da attuare, il torace
deve essere pronto ad un'eventuale sternotomia mediana e il
paziente è informato che la trasformazione dell’intervento a
sternotomia potrebbe essere necessaria.
Sono state analizzate un centinaio di timectomie sternotomiche
eseguite a Barnes-Jewish Hospital con miastenia gravis
associata. L'intervallo di tempo medio tra la diagnosi e
l'intervento era 1-7 anni.
Il tempo operatorio medio è stato di 104 minuti.
La durata
media della degenza postoperatoria era 1-22 giorni. L’ 85% dei
pazienti sono stati dimessi nel primo giorno postoperatorio, il
96% nelsecondo giorno postoperatorio.
Non sono state necessarie trasfusioni di sangue.
63
8 pazienti hanno riscontrato complicanze ma non c’è stato
nessun decesso nei γ0 giorni successivi all’intervento. Un
paziente ha sviluppato crisi miastenica profonda al risveglio.
I dati riportati nel lavoro evidenziano inoltre che l’ 85% dei
pazienti ha migliorato uno o più gradi di Osserman; il 63% ha
migliorato di due o più gradi di Osserman. Il 35% era in
remissione (sintomatico e diminuzione dei farmaci), e il 71%
non aveva più alcun sintomo. Un paziente ha riferito un
peggioramento di un grado di Osserman, e il 14% dei pazienti
non ha riferito alcun cambiamento del grado di Osserman dopo
la timectomia, ma quasi tutti hanno richiesto meno farmaci
rispetto a prima dell'intervento chirurgico.
64
CONCLUSIONI
Da questo studio, si deduce quanto sia importante che
l’infermiere stia al passo con l’evoluzione tecnologica.
Questo però, non è il parere di tutti; molti, infatti, affermano che
la tecnologia abbia allontanato il professionista dal malato,
dimenticando quindi il concetto del “prendersi cura”.
Importante testimonianza a riguardo,
è quella di Tiziano
Terzani nel suo libro “Un altro giro di giostra” (2004), che nei
suoi viaggi alla ricerca di una cura per il suo cancro, aveva a
disposizione le migliori tecnologie e le migliori strutture, ma gli
mancava sempre qualcosa; egli scrive “le impressioni del
paziente sono inutili, le immagini, le cifre, i tracciati sfornati dalle
macchine sono molto più affidabili. Per la medicina moderna, la
sola ricerca da fare è nell’ obiettività di quei dati e non nella
soggettività del malato”. Poi aggiunge alcune considerazioni sul
metodo: “indubbiamente c’era in questo approccio distaccato
dal paziente e dalle sue reazioni qualcosa di estremamente
positivo e di efficiente, ma il fatto che venissi sempre più trattato
65
come un insieme di pezzi e mai come unità, mi lasciava
sottilmente insoddisfatto”.
D’altro canto, è importante capire che lo scopo fondamentale in
ambito ospedaliero è quello di associare soluzioni tecnologiche
ai bisogni clinici e assistenziali, partendo dal presupposto che la
tecnologia deve “partecipare” a un processo il cui scopo finale è
sempre quello di soddisfare i bisogni del malato.
L’evoluzione del profilo professionale e l’abrogazione del
mansionario (1999), ha permesso all’infermiere di prendere
decisioni, assieme alle altre figure professionali, riguardo lo
sviluppo e la diffusione delle tecnologie biomediche.
L’aggiornamento costante, garantito dal sistema ECM, ha
permesso all’infermiere di stare al passo con il progresso
scientifico e tecnologico.
In conclusione quindi, non è la tecnologia a depersonalizzare
l’infermiere, piuttosto come e quando il singolo professionista la
applica,
tenendo
conto
della
propria
esperienza,
delle
conoscenze acquisite, delle linee guida, protocolli e procedure,
66
senza mai dimenticare che oltre al curare è fondamentale
prendersi cura del paziente; non si deve diventare un operatore
invisibile, nascosto dietro una macchina o dietro una procedura,
è importante guadagnare la fiducia del paziente per diventare
un affidabile interlocutore.
67
VOCI BIBLIOGRAFICHE CORRELATE
1.Aiello I. […et al] Epidemiology of Myasthenia Gravis in
Northwestern Sardinia. 1997.
2.Angelini C. Le malattie neuromuscolari. Piccin. 1994
3.Angelini C. Miastenia Grave. Piccin
4.Angelini C. […et al] Neurologia clinica. Esculapio. 2010
5.Di Lorenzo E. […et al] Myasthenia gravis. Rivista sintetica
e studio patogenetico. Pontificia. 1963
6.Evoli A. Myasthenia Gravis and associated autoimmune
diseases. 1995.
7.Evoli A. […et al] Familial autoimmune Myasthenia Gravis.
1995.
8.Mancini G. L’infermiere strumentista. Masson. 2006
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9.Ricciardi R. […et al] Vivere la miastenia. Milano, Franco
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10.Sardu C. […et al] Population based study of 12
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[…et
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Manuale
di
infermiere
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12. Terzani T. Un altro giro di giostra. Collana I grandi,
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13.Vincent A. Nature medicine. 2001.
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SITOGRAFIA
1.www.viverelamiastenia.it
2.www.medicinaeinformazione.com
3.www.strumentistaso.altervista.org
4.www.ipasvi.it
5. www.pubmed.com
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Non mi hanno fatto mancare mai nulla, mai. Non solo dal
punto di vista materiale. Hanno riposto in me tante speranze
e aspettative, e spero di non averli delusi neanche per un
secondo. Un grazie commosso va a Mamma e Babbo. Sono
una figlia fin troppo fortunata.
Insieme a loro, un sentito grazie va ai miei fratelli, Carlo e
Antonio. Senza di voi la mia vita sarebbe infinitamente
noiosa! E’ impossibile rendere conto di quanto siete
importanti, per cui mi limito a dire che non vi cambierei con
nessuno.
A Paola, che ha camminato accanto a me in questi tre anni.
Abbiamo riso e pianto insieme ed è sicuramente il ricordo
più bello e intenso di questa esperienza. Grazie Amica mia!
Grazie ad Antonio: tra alti e bassi, contro tutto e tutti, mi ha
sopportata e supportata e ha respirato con me le emozioni e
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le tensioni di quest’ ultimo periodo sempre con Amore e
TANTA pazienza!
Grazie a tutti i fantastici amici della casa del J.S., che hanno
festeggiato con me i successi, e dimenticato con me gli
insuccessi.
Un grazie infinito va anche al Dott. Federico Attene per
avermi accompagnata con costanza in questo percorso e per
avermi regalato parte del suo tempo e delle sue conoscenze
per la stesura di questa tesi.
Per finire, grazie a te, G., che oggi più che mai torni alla
mente.
Sono sicura che lassù starai brindando con me!
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