INDAGINI CHIMICO-MINERALOGICHE SU CERAMICA A PASTA GRIGIA PROVENIENTE DALLA PUGLIA CENTRALE* In questo lavoro sono presentati i risultati delle analisi chimiche e mineralogiche, effettuate su sedici campioni di ceramica a pasta grigia. Scopo della ricerca è stato quello di fornire informazioni sulle caratteristiche mineralogiche e chimiche dei frammenti scelti per le analisi. La definizione della composizione chimica e mineralogica dei frammenti ha inoltre permesso: di confrontarli con i campioni analizzati negli studi precedenti; di effettuare ipotesi in merito alle tecniche produttive (composizione dell'argilla utilizzata e temperatura di cottura); infine di individuare differenze e analogie chimico-mineralogiche tra i frammenti studiati, nel tentativo di identificare i depositi di provenienza della materia prima utilizzata. Ma naturalmente solo analisi basate su un campione più ampio e quindi più rappresentativo potranno dare risposte definitive; questa ricerca quindi si inserisce in un programma di analisi che dovrà essere necessariamente completato in futuro da altri studi. Sono stati scelti per questa ricerca otto frammenti provenienti dagli scavi effettuati nel 1991/92, sulla sommità della collina di Botromagno (Gravina in PugliaBari). Sono stati sottoposti alle stesse analisi anche otto frammenti provenienti dagli scavi di Monte Sannace del 1976/83, con lo scopo di ottenere dati di confronto da ceramica simile per forme e tecniche, ma di altra provenienza. I frammenti sono stati selezionati in quanto rappresentativi delle caratteristiche fisiche dell'argilla e della vernice della ceramica a pasta grigia dei due centri. I frammenti ceramici La ceramica a pasta grigia è un tipo ceramico costituito da forme in argilla grigia con superfici ricoperte da una ' vernice" di colore variabile dal grigio al nero presente nell'Italia meridionale soprattutto in contesti datati tra il II e il I secolo a.C. (GIARDINO 1980; PRAG 1992). Ceramica in argilla grigia è comunque stata trovata in numerosi centri della costa mediterranea datata genericamente dal III secolo a.C. ad età augustea (MOREL 1981; PRAG 1992). La ceramica a pasta grigia in particolare è una produzione dell'Italia meridionale che inizia ad apparire in contesti archeologici alla fine del III secolo a.C. ed è raramente attestata dopo il I secolo a.C. Si caratterizza per il colore grigio dell'argilla, ma ha caratteristiche tecniche variabili, sia per quanto riguarda il colore che il trattamento delle superfici (GIARDINO 1978). Alla luce dei recenti studi B e ormai chiaro che essa si distingue nettamente dalla campana C di Lamboglia (1952) a cui era stata assimilata in passato, con quella ha in comune solo il colore dell’argilla e, in alcuni casi delle superfici (PELAGATTI 1970; GIARDINO 1978; ROSSI 1989). Attualmente si può supporre che la campana C, classificata da Lamboglia, sia una delle tante produzioni di ceramica in argilla grigia di questo periodo (PRAG 1982).[262] * Lavoro eseguito con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Comitato 15.[261] In questo caso, i frammenti scelti per le analisi provengono da due insediamenti delta Puglia centrale: Botromagno e Monte Sannace. Il primo insediamento è posto sulla collina di Botromagno (SMALL 1992) (Fig. 1); tale collina aveva la possibilità di essere facilmente collegata agli altri centri collocati nella Fossa Bradanica o nelle sue immediate vicinanze, e si trovava sulla rotta della via Appia (VINSON 1972). Botromagno inoltre è collegata da un corridoio naturale di facile percorribilità e accesso, che attraversa il centro delle Murge, ad Altamura e a Monte Sannace (SMALL 1992). L'area è ricca di giacimenti argillosi affioranti ("Argille di Gravina"), appartenenti alla formazione delle Argille Subappennine (AZZAROLI et. al. 1968). Il secondo insediamento si colloca in un'ampia e fertile pianura, al centro delle Murge, su di un rilievo posto a 5 Km a nord-est dell'abitato attuale di Gioia del Colle (BA) (Fig. 1). La collina è caratterizzata da versanti ripidi, difficilmente accessibili ad esclusione di quello meridionale. Non affiorano estesi depositi argillosi nelle immediate vicinanze di Monte Sannace e le argille più vicine sono poste a ovest e sud-ovest, ai margini della Fossa Bradanica; anche in questo caso sono "Argille di Gravina", appartenenti alla formazione delle Argille Subappennine (AZZAROLI et. al. 1968a). Le Argille di Gravina fanno parte della successione terrigena pleistocenica del bacino lucano, che è un'unità paleogeografica della Fossa Bradanica (Fig. 2), compreso tra la catena appenninica a ovest e le Murge pugliesi a est (DELL'ANNALAVIANO 1991). Dal punto di vista mineralogico, le argille di quest'area appartengono ad una famiglia piuttosto omogenea di argille granulometricamente molto fini, caratterizzata da abbondanti minerali argillosi, buona presenza di carbonati e quantità minori di quarzo e feldspati. I minerali argillosi sono costituiti da illite (prevalente), smectite, clorite e caolinite (DELL'ANNA-LAVIANO 1986). La scelta dei campioni è stata effettuata in base alle caratteristiche macroscopiche degli impasti e della vernice, per verificare anche se esiste una effettiva corrispondenza tra queste e la composizione chimica e mineralogica dei frammenti. I primi otto frammenti scelti per le analisi provengono dagli scavi del 1991/92 effettuati nell'area denominata “Fondo Lucatuorto”, posto sulla sommità della collina di Botromagno (Gravina in Puglia-Bari). I risultati degli scavi non sono ancora editi. I campioni provengono da due unità stratigrafiche caratterizzate da una notevole concentrazione di materiale archeologico, frammentario (nella US 147), ma anche integro ( nella US 163). La prima unità stratigrafica (US 163) è costituita da uno strato di terreno coperto dal crollo di una struttura; la seconda (US 147) è costituita dal riempimento di una fossa, posta immediatamente al di sotto del terreno agricolo. Gli altri otto frammenti provengono invece dagli scavi effettuati dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia tra il 1976 e il 1983 sulla collina di Monte Sannace (Gioia del Colle-Bari). I frammenti provengono da strati differenti, ma tutti datati entro la prima metà del I secolo a.C. Tutti i frammenti sono editi (ROSSI 1989). I campioni provenienti da Botromagno appartengono a forme aperte generalmente datate tra la metà del II e il I secolo a.C. La forma più diffusa tra i frammenti considerati e il piatto a vasca piana o quasi piana con basso orlo verticale o ripiegato verso il basso; inoltre sono presenti coppe carenate o con orlo scanalato. L'argilla è di colore grigio e generalmente compatta e omogenea. La vernice e molto scura e uniforme nei frammenti 2, 4 e 7; grigio bruno irregolarmente distribuita nei frammenti 1 e 3; grigio bruno uniformemente distribuita nei frammenti 5, 6 e 8. Per quanto riguarda i campioni provenienti da Monte Sannace, anche in questo caso appartengono a forme aperte datate tra il II e il I secolo a.C. Le forme più rappresentate sono i piatti a orlo verticale e orizzontale e le coppe a profilo concavo. L'argilla è di colore grigio, generalmente compatta e omogenea. La vernice è grigio bruno uniformemente (frammenti 9,10,15Jo irregolarmente distribuita (frammenti 11, 12, 13, 14, 16). Le analisi chimiche e mineralogiche Sono state effettuate sui campioni analisi sia chimiche sia mineralogiche. Per quanto riguarda la procedura d'analisi, è stato seguito un itinerario basato su tre fasi principali: nella prima fase sono state determinate prima le caratteristiche mineralogiche e petrografiche dei frammenti, per ottenere informazioni relative alla composizione degli impasti e ai processi produttivi;[264] poi sono state individuate le caratteristiche chimiche per avere dati sul materiale di partenza. Nella seconda fase sono stati presi in considerazione i dati mineralogici e chimici editi sulle argille della zona. Nella terza fase, i dati, ottenuti dai frammenti, sono stati posti a confronto con quelli pubblicati sulle argille locali. La strumentazione e le metodologie utilizzate sono le seguenti: le analisi mineralogiche sono state effettuate tramite osservazione al microscopio da mineralogia e diffrattometria di raggi X (XRD) per determinare le fasi cristalline dei minerali presenti nell'argilla; Tè analisi chimiche sono state condotte con fluorescenza di raggi X (XRF) sugli elementi maggiori. I risultati delle analisi sono riportati e discussi tenendo sempre presente la provenienza dei frammenti: campp. 1-4, dalla US 163 da Botromagno; campp. 5-8, dalla US 147 da Botromagno; campp. 9-16, da Monte Sannace. Osservazione al microscopio da mineralogia Al microscopio da mineralogia, i primi quattro frammenti di Botromagno mostrano in sezione sottile caratteristiche simili. La matrice è fine, scura e omogenea nei campioni 2 e 4, molto fine, scura e parzialmente omogenea nei campioni 1 e 3. I granuli sono parzialmente isorientati, soprattutto in prossimità delle superfici. Sono presenti vacuoli di piccole dimensioni probabilmente causati anche dalla trasformazione dei carbonati. Data la finezza dell'impasto, è possibile riconoscere solo piccoli cristalli di quarzo, feldspati e calcite. Per quanto riguarda la vernice, quando è visibile, costituisce uno strato nettamente individuabile con le stesse caratteristiche mineralogiche dell'impasto, ma ancor più fine e più scuro sul bordo esterno. I frammenti successivi di Botromagno hanno in sezione sottile caratteristiche simili ai precedenti. La matrice è fine, scura e omogenea nei campioni 7 e 8, molto fine, scura e parzialmente omogenea nei campioni 5 e 6. I granuli sono per lo più isorientati, soprattutto in prossimità delle superfici. Sono presenti vacuoli di piccole dimensioni probabilmente causati anche dalla trasformazione dei carbonati. Data la finezza dell'impasto, è possibile riconoscere piccoli cristalli di quarzo, feldspati e calcite, talvolta secondaria. Per quanto riguarda la vernice, quando è visibile, costituisce uno strato nettamente individuabile con le stesse caratteristiche mineralogiche dell'argilla del corpo vascolare, ma molto più fine e più scuro sul bordo esterno. I frammenti di Monte Sannace hanno in sezione sottile caratteristiche simili a quelli di Botromagno. Anche in questo caso, la matrice è fine, scura e omogenea in alcuni campioni (nn. 9-10-11-12-13-16), molto fine, scura e parzialmente omogenea in tutti gli altri. I granuli sono per lo più isorientati, soprattutto in prossimità delle superfici. Sono presenti vacuoli di piccole dimensioni probabilmente causati anche dalla trasformazione dei carbonati. Data la finezza dell'impasto, è possibile riconoscere solo piccoli cristalli di quarzo, feldspati e calcite, talvolta secondaria. Per quanto riguarda la vernice, quando è visibile, costituisce uno strato nettamente individuabile con le stesse caratteristiche mineralogiche dell'impasto, ma molto più fine e più scuro sul bordo esterno. Dal punto di vista granulometrico, è interessante notare che tutti i frammenti sono costituiti da materiale fine, frutto senz'altro di un'accurata selezione e lavorazione della materia prima.[265] I frammenti, che presentano una granulometria dei clasti visibili relativamente meno fine, mostrano anche una maggiore omogeneità degli stessi; al contrario quelli che presentano anche clasti più fini sono più eterogenei nelle dimensioni degli stessi. A questo proposito si potrebbe ipotizzare l’utilizzo di un'argilla con le stesse caratteristiche mineralogiche, ma con diversa granulometria, oppure l'addizione alla materia prima di base di un altro tipo di argilla o di smagranti esterni (BUKO 1984). Per quanto riguarda il trattamento delle superfici, la maggior parte dei frammenti presenta granuli isorientati o parzialmente isorientati nelle parti più superficiali: probabilmente le superfici sono state accuratamente pareggiate per favorire l'aderenza della vernice. La netta demarcazione tra corpo e vernice, fa supporre che quest'ultima venisse applicata dopo la completa finltura del prodotto, immediatamente prima della cottura. La cosiddetta "vernice" mostra le stesse caratteristiche mineralogiche dell'argilla che costituisce i corpi vascolari, le uni- che differenze si riscontrano nella granulometria (la vernice è costituita da materiale molto più fine) e nel colore (la vernice è leggermente più scura sul bordo esterno). La composizione mineralogica della vernice non è individuabile a causa della finissima granulometria, ma si è già detto che la risposta della vernice alla luce polarizzante del microscopio da mineralogia, sia a nicols incrociati, sia a nicols paralleli, è simile a quella degli impasti argillosi che costituiscono gli stessi corpi vascolari. Gli studi precedenti, effettuati su ceramica a vernice nera di epoca classica ed ellenistica e su ceramica a vernice rossa di epoca romana, hanno dimostrato che la cosiddetta "vernice" era in realtà costituita da argilla illitica con le stesse caratteristiche dell'argilla utilizzata per il corpo vascolare con un arricchimento di ossidi di ferro (TITE et al. 1982; JONES 1986; NOBLE 1988). Alla luce di quanto è stato detto e sulla base delle osservazioni al microscopio, si può ragionevolmente supporre che la vernice grigio-bruna che ricopre le superfici della ceramica a pasta grigia sia costituita da argilla molto fine, accuratamente decantata, con le stesse caratteristiche chimiche e mineralogiche dell'argilla utilizzata per il corpo vascolare. Analisi per diffrattometria di raggi X L'analisi è stata effettuata utilizzando un diffrattometro per polveri Philips, con radiazioni CuKa filtrata su Ni. Ai campioni è stata preventivamente asportata la parte esterna, per evitare che la composizione mineralogica delle vernici influenzasse in qualche modo i risultati. I frammenti 1 e 3 sono costituiti da argilla meno compatta rispetto a quella utilizzata per i frammenti 2 e 4, inoltre questi ultimi sono ricoperti da vernice nera, lucente e uniforme, mentre la vernice dei frammenti 1 e 3 è di colore grigio bruno opaca e apparentemente diluita. Dal punto di vista mineralogico i quattro campioni presentano delle differenze apparenti, ma tutto sommato costituiscono un gruppo omogeneo. Analizzando i risultati delle analisi (Tab. 1), si nota che i campioni 1 e 3 mostrano una scarsa presenza di minerali argillosi; quarzo costantemente molto abbondante; più o meno discreta quantità di feldspati e di pirosseni diopsidici. Mentre nei campioni 2 e 4 si registrano: maggior presenza di minerali argillosi; quarzo costantemente molto abbondante; scarsa quantità di feldspati; assenza di pirosseni, ma buona presenza di calcite. [266] Le argille presenti nella zona hanno una composizione di base costituita da abbondanti minerali argillosi (illite, smectite, caolinite e clorite), medio-alta quantità di quarzo e feldspati; più o meno buona presenza di carbonati (cfr. supra); se nella composizione mineralogica dei campioni queste percentuali non sono rispettate, non è dovuto necessariamente ad una diversa provenienza dei manufatti, ma alle trasformazioni che la materia prima ha subito durante il processo produttivo: eliminazione dei carbonati in eccesso, che potrebbero compromettere la buona tenuta dell'impasto, durante la lavorazione; mentre durante la cottura, deidrossilazione e collasso dei minerali argillosi (clorite e caolinite tra 450° e 750 °C; smectite tra 750° e 850 °C; illite dopo 950 °C, RICE 1987); trasformazione dei carbonati in CaO e CO2 tra 600° e 900°-1000 °C (RICE 1987;TOHNSON et. al. 1988); formazione di nuovi minerali (e.g. gehlenite e pirosseni diopsidici a 850 °C, MAGGETTI 1981). Fatta questa premessa, risulta chiaramente che le differenze riscontrate tra i campioni, a livello mineralogico, sono causate dalle differenti temperature di cottura a cui sono stati sottoposti i manufatti: i campioni 1 e 3, per la presenza del pirosseno diopsidico, hanno certamente superato gli 850 °C di temperatura; inoltre la quasi totale scomparsa dei carbonati e la scarsissima presenza di illite fanno supporre che la temperatura di cottura sia stata di circa 950°/1000 °C. Mentre per quanto riguarda i campioni 2 e 4, nel primo caso la temperatura di cottura e stabilita tra i 750° e gli 850 °C, per l'assenza della smectite (che per l’appunto si trasforma in questo intervallo) e per l'assenza di minerali di neoformazione a 850 °C; nel secondo caso la presenza della smectite fa presupporre una temperatura di cottura intorno ai 750 °C. L'aspetto meno compatto dell'argilla dei frammenti 1 e 3 è determinato anche dalla trasformazione quasi completa dei carbonati, che hanno lasciato al loro posto piccole fessure e vacuoli. A livello macroscopico i frammenti 5-6-8 non presentano differenze evidenti nella strutturazione degli impasti e nel tipo di vernice utilizzata, eccetto il n° 7 che presenta una vernice più scura. Dal punto di vista mineralogico (Tab. 1) i frammenti 5-6-7-8 presentano scarsi minerali argillosi, quarzo costantemente abbondante, discrete o buone quantità di feldspati, variabile presenza di pirosseni diopsidici, scarsa presenza dì carbonati (eccetto che nel campione 7). Rispetto agli altri, i campioni 7 e 8 hanno in più una quantità variabile di gehlenite, che li differenzia dai campioni 5 e 6. Per quanto riguarda la temperatura di cottura, tutti i campioni hanno certamente superato gli 850 °C; probabilmente è stata superata anche la temperatura di 950 °C, come si deduce dalla quasi totale scomparsa dei carbonati primari e dalla poco rilevante presenza di illite; in ogni caso non è stata superata la temperatura di 1050 °C, in quanto a questa temperatura avviene la trasformazione della gehlenite. Un discorso a parte merita il campione 7: anche in questo caso, per i motivi sopra esposti, è stata raggiunta una temperatura superiore agli 850 °C, ma la buona quantità di calcite presente nel frammento, farebbe supporre che questa temperatura non sia stata superata di molto, oppure si potrebbe ipotizzare che questa calcite non fosse quella presente originariamente nell'impasto, ma sia stata assorbita dal frammento durante l'interramento, come talvolta accade (MAGGETTI 1981). In questo caso, l'osservazione della sezione sottile del frammento, al microscopio da mineralogia, permette di accogliere la seconda ipotesi. I frammenti 9-10-11-12-13-14-15-16 presentano variazioni nel tipo d'impasto e nelle vernici, a livello macroscopico. Dal punto di vista mineralogico (Tab. 1) tutti i campioni sono costituiti da scarsi minerali argillosi; abbondante presenza di quarzo; più o meno buona quantità di feldspati; discretamente presenti i pirosseni diopsidici; scarsa quantità di carbonati (eccetto che nel campione 9). Nei campioni 9-10-11-1213-14-16 sono presenti inoltre quantità variabili di gehlenite. Per quanto riguarda la temperatura di cottura, tutti i frammenti hanno superato gli 850 °C, data la presenza di diopside e gehlenite; la scarsa presenza di carbonati e di illite fa supporre che sia stata superata anche la temperatura di 950 °C. Il campione 9, come il 7, presenta una buona quantità di calcite; anche in questo caso si può ipotizzare o che non sia stata superata di molto la temperatura di 850 °C, perciò la calcite non si è trasformata completamente, o che si tratti di calcite secondaria, assorbita dal frammento durante l'interramento, come conferma l'osservazione al microscopio da mineralogia della sezione sottile corrispondente.[268] Come si può notare dalla tabella riassuntiva (Tab. 1), tutti i campioni si possono dividere in tre gruppi: il primo gruppo è costituito dai frammenti 2 e 4 che presentano buone quantità di minerali argillosi e calcite e nessun minerale di neoformazione a 850 °C (gehlenite e pirosseni diopsidici); il secondo gruppo è costituito dai campioni 1-3-5-6-15, nei quali sono presenti pirosseni diopsidici, ma non gehlenite; nel terzo gruppo, campioni 7-8-9-10-11-12-13-14-16, sono rappresentati ambedue i minerali di neoformazione a 850 °C (gehlenite e diopside). Si è già detto che le differenze mineralogiche che si riscontrano tra i campioni del primo gruppo e tutti gli altri sono apparenti, in quanto determinate da differente temperatura di cottura. L'elemento che differenzia il secondo gruppo dal terzo è la presenza o meno di gehlenite, minerale di neoformazione a 850 °C. In questo caso non è possibile parlare di differenze nella temperatura di cottura, in quanto la presenza di pirosseni diopsidici indica che in tutti i frammenti sono stati superati gli 850 °C, ma solo m alcuni frammenti si è formata la gehlenite. In alcuni esperimenti effettuati in precedenza su alcuni tipi ceramici, tra i quali terra sigillata e ceramica grigia del III-I secolo a.C., si è potuto notare che la presenza e l'assenza di gehlenite sono determinate da alcuni fattori: - la gehlenite si sviluppa solamente in argilla di granulometria superiore ai 2mm (PETERS-JENNI 1973); - la gehlenite si forma durante la cottura, ma si decompone nel periodo di interramento in prodotti secondari, soprattutto calcite (HEIMANN-MAGGETTI 1979); -la gehlenite si forma durante la cottura, ma si trasforma in anorthite se la temperatura di cottura supera i 1100 °C (MAGGETTI 1981). Per quanto riguarda il primo punto, non vi è nulla che in questo caso possa sostenere il contrario, infatti la struttura degli impasti della ceramica a pasta grigia è visibilmente molto compatta e omogenea, ed è molto probabile che per ottenere un prodotto così fine fosse effettuata una selezione e decantazione della materia prima, come d'altra parte confermano le osservazioni effettuate al microscopio da mineralogia sulle sezioni sottili degli stessi campioni. Difficile da accettare la seconda motivazione, in quanto la presenza o l'assenza di gehlenite è stata riscontrata in frammenti provenienti dalla stessa unità stratigrafica, che avevano avuto le medesime modalità d'interramento, e in ogni caso non si registra corrispondenza tra l'assenza di gehlenite e la presenza di calcite secondaria. Anche il terzo punto non è applicabile in questo caso, infatti se i frammenti avessero superato i 1100 °C, i diffrattogrammi non avrebbero registrato la pur scarsa presenza dei minerali argillosi e, talvolta, della calcite, e anche i feldspati e i pirosseni diopsidici non sarebbero stati così chiaramente leggibili. In definitiva, l'unica ipotesi sostenibile in questo caso è che i frammenti, dove la gehelenite è assente, siano costituiti da materiale molto fine, granulometricamente inferiore ai 2mm. In conclusione si può affermare che i frammenti analizzati si possono distinguere in due gruppi in base alla temperatura di cottura: frammenti che sono stati sottoposti a temperature comprese tra i 750° e 850 °C circa (2-4); frammenti che sono stati generalmente cotti a temperature comprese tra i 950° e 1050 °C circa (tutti gli altri). Il primo gruppo si caratterizza nettamente a livello macroscopico per il tipo di vernice più spessa e più scura. All'interno del secondo gruppo, si può effettuare un'ulteriore distinzione tra ceramica a pasta grigia fine e ceramica a pasta grigia molto fine, con granulometria < 2mm. Si riscontrano le stesse caratteristiche mineralogiche nella terra sigillata trovata tra gli scarti di alcune fornaci a Lousonna (Svizzera), datata tra il III e il I secolo a.C. [269] Anche in questo caso, in alcuni frammenti, la formazione di gehlenite è inibita dall'estrema finezza dell'argilla. Inoltre le stesse officine producevano anche un tipo di ceramica grigia che possiede composizione mineralogica simile a quella riscontrata nei frammenti di Botromagno e Monte Sannace: - quarzo + pirosseno diopsidico + feldspato + illite; - quarzo + pirosseno diopsidico + gehlenite + feldspato (MAGGETTI 1981). Le analisi chimiche Ciascun frammento è stato sottoposto ad analisi chimica degli elementi maggiori, mediante fluorescenza di raggi X (XRF), utilizzando uno spettrometro Philips PW1480/10 con radiazioni di Cr ed i suggerimenti diFRANZINI et al. (1975) per la correzione degli effetti di matrice. Ai campioni è stata preventivamente asportata la parte esterna, per evitare che la composizione chimica delle vernici influenzasse in qualche modo i risultati. I primi quattro frammenti analizzati mostrano tra loro differenze significative; infatti si può facilmente notare (Tab. 2) che i campioni 1 e 3 hanno concentrazioni di elementi pressoché identiche tra loro, ma nettamente differenti da quelle dei campioni 2 e 4, soprattutto per quanto riguarda il contenuto di SiO2 Al2O3 e MgO. I campioni successivi mostrano tra loro alcune differenze, anche se meno evidenti rispetto al gruppo precedente (Tab. 3). Il campione 7 per il minor contenuto di SiO e Al O , e la. maggiore presenza di CaO sembra avere un chimismo simile ai campioni 2 e 4, al contrario i campioni 6 e 8, pur con qualche variazioni, sembrano assimilabili ai campioni 1 e 3. Un comportamento anomalo ha il campione 5, infatti ha valori molto differenti a quelli dei campioni 2 e 4, nel contempo si registra un maggior contenuto di SiO2 , e una quantità di AL2O3 e CaO leggermente inferiore a quella dei frammenti 1-3-6-8. Nei campioni di Monte Sannace (Tab. 4) colpisce l'uniformità, pressoché assoluta, dei frammenti, in considerazione anche del fatto che gli stessi frammenti provengono da saggi e strati differenti, inoltre mostrano variazioni sia a livello macroscopico, nel tipo di vernice, sia dal punto di vista granulometrico e mineralogico. L'unico elemento che presenta vafori leggermente differenti è il campione 9, dove però l'alto contenuto di CaO potrebbe essere determinato dalla presenza della calcite secondaria rilevata nell'osservazione dell'analisi della sezione sottile corrispondente. In definitiva, il minor contenuto di Al2O3, e di SiO2 nei frammenti 2, 4 e 7 potrebbe indicare una minore presenza di minerali argillosi, sostenuta da una più rilevante presenza di carbonati. Inoltre nei campioni 2 e 4 si rileva un contenuto di MgO che non trova riscontro ne negli altri frammenti, ne nella composizione chimica delle argille della Puglia e detta Basilicata. Si potrebbe supporre che il magnesio in eccesso possa essere stato assorbito dal frammento durante il periodo di interramento, ma allo stato attuale delle ricerche è difficile dimostrare quest'ipotesi, in considerazione anche del fatto che i frammenti hanno subito le stesse modalità d'interramento dei campioni 1 e 3, dove la quantità di magnesio è nella norma. Non si può affermare che la presenza di MgO sia da collegare ad una abbondanza di minerali argillosi in quanto la percentuale relativa di Al2O3 (anch'esso imputabile ai minerali argillosi) è inferiore alla media. Un'ipotesi più plausibile potrebbe essere la presenza nella materia prima di una particolare concentrazione di dolomite (CaMg(CO3)2), in considerazione anche della più accentuata presenza di CaO.[270] Infatti la dolomite è un carbonato costantemente presente nei depositi di argille subappennine e caratterizza particolari livelli delle Murge baresi (DELL'ANNA-LAVIANO 1991). In tutti i campioni sono presenti rilevanti quantità di Fe2O3. Le argille in Puglia e in Basilicata, costituiscono ampi e prorondi depositi e sono per lo più appartenenti alla formazione delle Argille Subappennine (DELL’ANNA et al. 1980).[271] Tab. 2 - Risultati delle analisi chimiche dei frammenti 1-4. Tab. 3 - Risultati delle analisi chimiche dei frammenti 5-8. Tab. 4 - Risultati delle analisi chimiche dei frammenti 9-16. In queste due regioni, le Argille Subappennine si sono sviluppate in due cicli sedimentari marini, riferibili rispettivamente al Pliocene inferiore medio e al Pliocene superiore-Pleistocene (Fig. 2). In Lucania affiorano nella parte centro-meridionale e lungo le valli del Bradano e del Basente in Puglia nelle incisioni vallive della Daunia, del Tavoliere, della Fossa Bradanica e della penisola salentina (DELL'ANNA et al. 1980). Le Argille Subappennine presentano in media una frazione siltosa e sabbiosa più abbondante di quella argillosa. La loro composizione mineralogica è generalmente costituita da circa 40-50% di minerali argillosi, il restante è formato da minerali non argillosi, tra i quali predominano i carbonati (abbondante calcite e subordinata dolomite). La composizione chimica mostra in media una relativa prevalenza di SiO2 su Al2O3 e Fe2O3, inoltre è presente una sensibile quantità di CaO, determinata dall'abbondanza di calcite (DELL'ANNA et al. 1980). Nei pressi di Botromagno e di Monte Sannace, affiorano estesi depositi di Argille Subappennine, per lo più appartenenti alle formazioni geologiche del bacino lucano, che è a sua volta un'unità paleogeografica della Fossa Bradanica. Si conosce la composizione granulometrica, mineralogica e chimica di questi affioramenti grazie ai numerosi campionamenti effettuati e analizzati in passato. In tutti i depositi studiati sono presenti abbondanti minerali argillosi (x = 57) buona presenza di carbonati (calcite= 21 e dolomite x= 3), discreta di quarzo (x = 15) e pochi feldspati (x = 4). I depositi addossati alla fascia murgiana presentano alcune differenze rispetto a quelli appenninici. Infatti i primi presentano in media un contenuto più basso di minerali argillosi (x = 51) e più alto di carbonati (x = 28). Di conseguenza, nella composizione chimica delle argille, prospicienti le Murge, aumenta il contenuto di CaO e diminuisce il valore relativo all'alluminio, contenuto nei minerali argillosi. I dati relativi alla composizione x granulometrica evidenziano l'estrema finezza del materiale argilloso, che presenta una forte concentrazione nella frazione < 2mm soprattutto nei depositi relativi al versante appenninico. Se si prende in esame (Tab. 5) la composizione chimica di alcuni campioni prelevati da depositi di argille della Fossa Bradanica si nota una notevole corrispondenza con i dati emersi dall'analisi chimica dei trammenti. Le lievi variazioni di alcuni valori possono essere facilmente giustificate: la maggiore presenza di AL2O3, nei frammenti è dovuta alla selezione di materiale con una maggiore percentuale di minerali argillosi, per lo stesso motivo sono presenti quantità inferiori di CaO, inoltre bisogna considerare che durante la lavorazione del materiale venivano in parte eliminati i carbonati in eccesso (soprattutto frammenti calcarei e macrofossili, costantemente presenti nelle Argille Subappennine). Per quanto riguarda i valori di Fe2O3 la loro maggiore presenza nei frammenti potrebbe essere stata causata dalla selezione di materiale ricco di minerali argillosi e quindi di ossidi di ferro amorfi, sempre abbondanti nelle argille fini. Alla luce di quanto si è detto, è chiara la corrispondenza tra la composizione chimica delle Argille Subappennine del bacino lucano e i frammenti in questione, si può quindi agevolmente supporre che questi frammenti appartengano a un tipo ceramico prodotto in quest'area. Si è potuto notare inoltre che la composizione chimica dei frammenti è assolutamente omogenea nei frammenti provenienti da Monte Sannace, mentre ha delle variazioni nei frammenti provenienti da Botromagno. Alcuni frammenti di Botromagno (1-3-6-8) sono certamente riconducibili a quelli di Monte Sannace, altri mostrano tra loro una certa affinità (2-4 e 7?), uno (5) non è assimilabile a nessuno dei gruppi precedenti.[272] A questo punto sono state effettuate analisi chimiche con le stessa strumentazione e metodologia su due frammenti di impasto chiaro grossolano di chiara provenienza locale, trovati insieme ai frammenti 1-2-3-4 di Botromagno (Tab. 6). Si è potuto notare la netta corrispondenza nelle percentuali di SiO2, TiO2, AL2O3, Na2O e di K2O dei due frammenti di impasto con i frammenti 2 e 4 di Botromagno, mentre le variazioni nel contenuto di CaO, sono dovute alla scarsa depurazione dell'argilla degli impasti. In conclusione si può ipotizzare che con ogni probabilità i frammenti 2 e 4, siano frutto di una produzione locale individuabile nel centro stesso posto sulla collina di Botromagno o nelle immediate vicinanze. Le differenze che sono state riscontrate nella composizione mineralogica tra i frammenti 2 e 4 e tutti gli altri avvalorano quest'ipotesi. I frammenti 1-3-6-8 di Botromagno e tutti i frammenti di Monte Sannace hanno probabilmente la medesima provenienza. Le dif¬ ferenze che sono state riscontrate nella composizione mineralogica (presenza o assenza di gehlenite) e, di conseguenza, granulometrica (frazione < o > 2m m) possono essere state determinate dall'utilizzo di differenti strati di uno stesso deposito o/e diverse tecniche di lavorazione del medesimo materiale. Il frammento 7 di Botromagno potrebbe essere assimilato con qualche riserva ai frammenti 2 e 4. Il frammento 5 di Botromagno non ha confronti immediati con gli altri. È difficile effettuare confronti con la composizione chimica dei frammenti di ceramica a pasta grigia o/e campana C, analizzati in precedenza (PRAG et Al. 1974; HATCHER et al. 1980; PIKE-FULFORD 1983; CUOMO DI CAPPIO 1992), in quanto sono state utilizzate differenti tecniche d'analisi. Ma si può notare che, anche nelle ricerche precedenti, questo tipo ceramico risulta di probabile provenienza locale o regionale (PIKE-FULFORD 1983); [273] inoltre, a Morgantina in Sicilia (CUOMO DI CAPPIO 1992), è stata rilevata la presenza di ceramica di produzione locale insieme a ceramica probabilmente importata da un centro vicino, come è stato verificato anche per la pasta grigia analizzata di Botromagno. Tab. 5 - Composizione chimica di alcune argille del bacino lucano (da DELL'ANNA-LAVIANO 1991). Tab. 6 - Composizione chimica di due frammenti di impasto da Botromagno. Conclusioni Dopo aver analizzato la composizione granulometrica, mineralogica e chimica di alcuni frammenti in ceramica a pasta grigia, è possibile trarre alcune conclusioni. L'osservazione delle sezioni sottili al microscopio da mineralogia ha permesso di rilevare che tutti i campioni analizzati sono costituiti da argilla fine o molto fine. Questo dato trova conferma nell'analisi mineralogica, infatti, in alcuni campioni, non è stata riscontrata dopo gli 850 °C formazione di gehlenite, minerale che si forma a questa temperatura nell'argilla con frazione granulometrica superiore ai 2mm. La composizione mineralogica dei frammenti fa ritenere che le forme ceramiche di appartenenza siano state cotte a temperature molto elevate, che raggiungono nella maggior parte dei casi i 950°-1000 °C. Le superfici dei frammenti sono ricoperte da uno strato che presenta le stesse caratteristiche degli impasti, ma granulometricamente molto più fine e più scuro specialmente nella parte più esterna. Si può concludere quindi che con ogni probabilità la cosiddetta "vernice" è costituita dalla stessa argilla utilizzata per il corpo del vaso, sottoposta ad un processo di raffinamento più accurato ed arricchita con maggiori quantità di composti di ferro o carboniosi. Gli stessi procedimenti che sono stati riscontrati, negli studi precedenti, nella produzione della vernice nera classica ed ellenistica e della vernice rossa di epoca romana. I risultati delle analisi chimiche confermano che la materia prima utilizzata è sostanzialmente quella reperibile in tutta l'area della Fossa Bradanica. Ma sono possibili alcune puntualizzazioni: tutti i frammenti di Monte Sannace e i frammenti nn. 1-3-6-8 di Botromagno, hanno dei riscontri così stringenti nella composizione chimica e mineralogica, che è difficile pensare ad una diversa provenienza o ad un differente standard produttivo. I frammenti nn. 2 e 4 (ma probabilmente anche il 7) di Botromagno possiedono una composizione chimica molto simile a quella di due frammenti (d'impasto chiaro) di chiara produzione locale, sicché è possibile ipotizzare una loro produzione in loco, in considerazione anche che la temperatura di cottura registrata in questi frammenti (non superiore agli 850 °C circa) poteva essere raggiunta anche in una manifattura più artigianale. Alcune differenze, rispetto ai campioni precedenti, si riscontrano nella composizione chimica del frammento n° 5 di Botromagno, ma trattandosi di un un unico esemplare non è statisticamente rilevabile. In conclusione si possono definire due gruppi: - I gruppo: frammenti 1-3-6-8 di Botromagno e tutti i frammenti di Monte Sannace; -II gruppo: frammenti 2-4 (7?) di Botromagno. Nel caso del primo gruppo si potrebbe agevolmente definire un'unica provenienza, attualmente non localizzaoile con certezza. Il secondo gruppo è costituito da frammenti di qualità relativamente più scadente, prodotti nello stesso centro posto sulla collina di Botromagno o nelle sue immediate vicinanze.[274] Alla luce di quanto è stato detto, si può ipotizzare in questo caso l'esistenza in ambito regionale di un centro produttivo di ceramica a pasta grigia fine o molto fine con vernice di colore grigio-bruno. Inoltre si rileva la presenza di una manifattura locale a Botromagno di ceramica a pasta grigia di minore qualità, con vernice molto scura e uniforme. ANGELA CIANCIO, ANTONELLA DELL'ANNA, ROCCO LAVIANO Bibliografia A. AZZAROLI, U. PERNO, B. RADINA, 1968, Note Illustrative della Carta Geologica d'Italia, Foglio 188, Gravina di Puglia, Roma A. AZZAROLI, B. RADINA, G. RICCHETTI, A. VALDUGA, 1968a, Note Illustrative della Carta Geologica d'Italia, Foglio 189, Altamura, Roma. A. BUKO, 1984, Problems and research prospects in the determination of the provenance of pottery, “WorldA”, 15,3, pp. 348-365. N. 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