Libera la ricerca Scienze Sociali 3 LIBERA LA RICERCA Un progetto Odoya - Libri di Emil nato per consentire la pubblicazione a costo zero dei libri dei ricercatori precari. La selezione dei testi è effettuata attraverso un sistema di blind referee. Le opere sono coperte da licenza Creative Commons, disponibili on line su Google Libri. Responsabili del progetto: Marco de Simoni e Michele Filippini Augusto Valeriani Effetto Al Jazeera Transnazionalismo e ibridizzazioni nei sistemi del giornalismo arabo contemporaneo Prefazione Carlo Sorrentino i libri di EMIL © 2010 Casa editrice Emil di Odoya srl isbn: 978-88-96026-27-4 Creative Commons some rights reserved I libri di Emil Via Benedetto Marcello 7 - 40141 Bologna www.ilibridiemil.it Per Silvia, Olivia e Ilde Indice Prefazione di Carlo Sorrentino Introduzione 9 13 Prima Parte Tra sistemi nazionali forti e transnazionalismo velocizzato Sistemi e confini: culture giornalistiche e globalizzazione 19 Un modello ibrido per studiare il giornalismo arabo contemporaneo 41 Seconda Parte Il sistema ibrido: la struttura dello spazio transnazionale di negoziazione Premessa 59 I valori e le pratiche della cultura giornalistica egiziana 61 Media and Politics in Egitto. Un decennio di grandi trasformazioni? 89 Il sistema regionale dell’informazione. Progetti, soggetti, strategie e nuovi equilibri 117 Terza Parte Uno spazio ibrido per negoziare la cultura giornalistica Premessa 143 I. I valori professionali nell’ambito del transnazionalismo velocizzato La percezione dei confini della comunità professionale 147 La natura della relazione con i “luoghi” del potere 161 Il ruolo dei giornalisti nella società 173 Principi etici condivisi e valore dell’obiettività 187 Nazionalismo e orgoglio nazionale 201 Uno spazio ibrido di negoziazione dei valori professionali Come il sistema nazionale resiste e come si trasforma 213 II. Le pratiche professionali nell’ambito del transnazionalismo velocizzato I processi di newsmaking 223 Il rapporto con le fonti 245 Organizzazione della redazione e professionalità dei giornalisti 257 Uno spazio ibrido di negoziazione delle pratiche professionali 273 Conclusioni 279 Tabelle Questionario Bibliografia Abstract 287 299 311 Prefazione di Carlo Sorrentino “Aspettiamo che l’occidente trovi un valido modello economico per l’informazione in rete prima di pensare seriamente a lanciarci in questo settore”, l’annotazione fra ironia e cautela di Snjay Gripta, direttore del quotidiano indiano più letto il Dainik Jagran, può essere un ottimo incipit per presentare l’interessante percorso di ricerca di Augusto Valeriani sul giornalismo nel mondo arabo. Infatti, ciò di cui parla Gripta può essere sintetizzato con due termini centrali nell’ottimo lavoro che qui presentiamo: interdipendenza e asincronia. Certamente l’interdipendenza è acuita dai processi di globalizzazione che interessano anche il mondo dei media, la cui principale caratteristica è favorire il superamento dei monopoli informativi e incrementare di conseguenza quell’articolato tessuto di vita associativa che caratterizza lo sviluppo dello spazio pubblico. La ridefinizione dello spazio pubblico incide sulle forme della società civile quale sfera intermedia fra stato e mercato. I media dunque, arricchendo il patrimonio simbolico della comunità attraverso la moltiplicazione dei punti di vista rappresentabili e rappresentati, favoriscono l'articolazione della capacità riflessiva di un sistema sociale. Non a caso il termine - ormai abusato - di società dell'informazione sta a ricordarci come le identità individuali e collettive si compongono attraverso le dimensioni interattive e negoziali che costruiscono le rappresentazioni sociali attraverso le quali ci si dispone, e si realizza, l'azione. Valeriani ben evidenzia la dimensione negoziale della comunicazione, basata sull’interdipendenza fra i soggetti, che caratterizza la sfera pubblica come luogo in cui lo scambio delle idee non è così meccanicamente determinato e segue percorsi di sviluppo e d’affermazione in cui i differenti attori e le diverse organizzazioni sociali coesistono e reciprocamente si influenzano, attivando peculiari forme di diffusione delle idee e delle critiche attraverso gli innumerevoli processi di strutturazione dei significati e i mille rivoli dei processi culturali. L'effetto liberatorio dei media dai monopoli informativi crea anch’esso nuove gerarchie normative; ma non rigidamente predeterminate dalle strutture di potere esistenti, bensì definite proprio attraverso l’allargamento degli ambiti e delle forme di discorso. In questo senso i media rappresentano un nuovo e diverso spazio sociale organizzato. Offrono l’occasione e la capacità di creare e interpretare significati ad un numero più ampio di sogget- 9 ti sociali, così da favorire nuove pratiche di costruzione di senso. Producono un allargamento e una valorizzazione di quella società civile che prima abbiamo definito “articolato tessuto di vita associativa”, in cui si elaborano i problemi e le sensibilità, poi articolati e condivisi nello spazio pubblico. Il merito di Valeriani è saper inquadrare queste considerazioni teoriche in una prospettiva molto ampia e analizzare le trasformazioni compiutesi negli ultimi anni nel giornalismo egiziano attraverso alcune chiavi interpretative che incrociano con competenza la dimensione storica – attraverso un ampio excursus che considera le peculiarità politiche, economiche e sociali dell’Egitto e le sue tradizionali e rilevanti interazioni con tutta la regione araba – con una dimensione sociologica forgiata dall’adesione al paradigma costruzionista e fenomenologico, peraltro ormai maggioritario negli studi di settore. In questo modo Valeriani ci offre con meticolosa sistematicità - specificità e articolazioni caratterizzanti la via araba al giornalismo, dove l’incrocio fra dimensione nazionale e transnazionale, favorita negli ultimi anni dallo sviluppo tecnologico, presenta un contesto particolarmente interessante per ragionare intorno alla professionalità giornalistica, ai modi in cui si forma e si trasforma continuamente. L’autore lo fa ben consapevole che l’effetto Al Jazeera deriva a sua volta da altri effetti propri di un giornalismo che in tutto il mondo sta misurandosi con trasformazioni organizzative e produttive che incidono profondamente sul modo d’intendere e di svolgere la professione. Allora il modello giornalistico occidentale, ammesso e non concesso che ne esisti uno soltanto, come opportunamente sottolinea lo stesso autore, diventa soprattutto elemento di confronto utile per analizzare come la categoria del ritardo - spesso impropriamente adoperata per raccontare i caratteri dei media e specificamente dei newsmedia in altri contesti debba essere sostituita da quella più feconda, nonché meno connotata, di asincronia. Termine con il quale intendere una caratteristica intrinseca del mutamento e particolarmente adoperata per descrivere la velocità diversa del cambiamento propria dei Paesi che hanno compiuto più di recente percorsi di modernizzazione. Il concetto di asincronia ci sembra spieghi meglio il tentativo di comprendere come le incongruenze, gli squilibri, le sfasature nelle differenti fasi di cambiamento connotino una trasformazione in cui coesistano resistenze e derive conservatrici insieme a fughe in avanti, coraggiose sperimentazioni e qualche velleitarismo. L’asincronia è ancora più evidente, poi, quando la transizione è particolarmente rapida e brusca, come nel caso del giornalismo egiziano, che ha conosciuto nell’ultimo decennio l’ingresso soprattutto di canali all news che hanno prodotto ciò che Valeriani definisce “transnazionalismo velocizzato”, definizione con la quale l’autore sottolinea la fulminea rapidità con cui molte trasformazioni si sono compiute nel mondo giornalistico egiziano, in cui il sonnacchioso mondo del giornalismo nazionale, fortemente sviluppatosi alle “dipendenze” della politica, ha incontrato le logiche dell’impresa privata e quelle del cosmopolitismo. Ovviamente, particolarmente interessante sono stati i riflessi sul lavoro giornalistico, grazie a significative trasformazioni organizzative e produttive, che spesso hanno colto il mondo giornalistico di sorpresa, costringendolo a ripensarsi, e soprattutto a ripensare il racconto giornalistico proposto e la propria cultura professionale. Proprio la cultura professionale dei giornalisti egiziani è al centro dello studio di Valeriani, che s’interroga sull’incidenza delle influenze politiche, economiche e culturali sul bagaglio professionale dei giornalisti. Valeriani considera la comunità giornalistica come comunità in- 10 terpretativa, secondo la felice definizione di Barbie Zelizer; attraverso tale concetto sviluppa la sua interessante pista di lavoro: guardare al giornalismo come alla principale istituzione attraverso cui la sfera pubblica moderna si misura con l'ambivalente esigenza di ogni soggetto di perseguire la propria affermazione individuale, ma contemporaneamente di sviluppare ambiti di condivisione che consentano di gestire la complessità. Il giornalismo è una mappa cognitiva e normativa che serve per orientarsi nella complessità, per contenere le dimensioni dell’incertezza. Una mappa utile per ristabilire un senso comune, un comune sentire che orienti l'azione e le scelte degli individui, per permettere loro di rappresentarsi la realtà, e attraverso tali rappresentazioni ricostruirla e ridefinire la propria presenza in essa. Il giornalismo in quanto specifica istituzione culturale è in grado di esprimere insieme forza cognitiva e potere normativo. E’ la risultante di un insieme di pratiche e processi continuamente in atto, che si esprimono ed evidenziano attraverso gli attori, le situazioni, le interazioni. Pertanto il giornalismo e, più in generale, i media non sono uno spazio vuoto che il più forte oppure il più ricco può riempire, bensì un’organizzazione sociale della quale è necessario conoscere codici e logiche per potervi accedere, e per riuscire a sostenervi le proprie argomentazioni, a rappresentare i propri interessi e le proprie posizioni. Ovviamente si tratta di uno spazio simbolico, ma non per questo meno in grado di generare organizzazione sociale. Valeriani si chiede come l’articolazione e l’ampliamento di questo spazio ridefinisca i caratteri della sfera pubblica e retroagisca sia sulla cultura professionale dei giornalisti egiziani sia – più generalmente - sulla costruzione di senso e sulle strutture di significato. Ne scaturisce un libro ricco e interessante, in cui è ben spiegato come le logiche attraverso cui si definisce la cultura professionale dei giornalisti dipendano dalle tante variabili di contesto intervenienti, ma poi incidano significativamente nella rappresentazione di tale contesto, in un rapporto dialettico spesso trascurato nelle discussioni intorno alle forme del discorso pubblico e ai modi di formazione dell’opinione pubblico. Questo ampio affresco riguarda una regione – quella araba – sempre più centrale nello scacchiere geo-politico ma ancora non adeguatamente studiata in Italia, specialmente nelle importanti e innovative disarticolazioni che connotano il suo sistema dei media. Valeriani mostra come sia necessario - per studiare i media e il giornalismo egiziano - conoscerne prima la storia e la cultura. Non a caso - con grande umiltà – l’autore ha studiato la lingua araba, prerequisito per indagarne la forma principale di narrazione moderna. La peculiarità del campo d’indagine, l’originalità e l’articolazione dell’approccio, nonché l’ampia conoscenza delle letterature di riferimento fanno di questo lavoro un’importante acquisizione per la letteratura italiana sui media e sui media giornalistici e fanno di Valeriani uno dei più brillanti e interessanti giovani studiosi italiani della materia, il cui futuro lavoro dovremo seguire con attenzione e fiduciosi che sappia riservarci altre piacevoli sorprese. 11 Introduzione È ormai uso comune, sia nelle opere di divulgazione, sia nelle pubblicazioni accademiche, fare riferimento al lancio del canale satellitare all news in lingua araba Al Jazeera, avvenuto nel 1996, come a una “rivoluzione” nella storia del giornalismo arabo. Non vi è dubbio che il decennio che si è appena concluso1 ha visto, complice anche la delicata e instabile situazione geopolitica che ha caratterizzato il mondo arabo e mussulmano, una condizione di grande dinamismo nel panorama delle media organization in lingua araba. Al Jazeera è stata non solo la prima all news satellitare del mondo arabo ma anche la prima televisione araba ad adottare un’organizzazione editoriale paragonabile a quella delle grandi news organization “globali” come CNN o BBC international. Questa emittente ha incontrato un sorprendente successo di pubblico tra i parlanti arabo in Medio Oriente e in tutto il mondo, si è imposta come fonte attendibile di notizie a livello regionale e globale e ha giocato un ruolo fondamentale nel lancio di altri esperimenti all news in lingua araba. Lo spazio dell’informazione satellitare in arabo è stato dunque effettivamente rivoluzionato a partire dal lancio di Al Jazeera, tuttavia limitarsi a tale analisi non consente di dare una valutazione completa dell’effettivo impatto rappresentato da questa emittente all news per la realtà del giornalismo arabo. Se alla metà degli anni Novanta si sono create le condizioni per la “rivoluzione” di Al Jazeera sul mercato dell’informazione satellitare -un mercato regionale2 e globale- resta da investigare se, e in che modo, questa trasformazione abbia determinato mutamenti nei sistemi nazionali del giornalismo in lingua araba. È dunque importante capire se Al Jazeera, e il suo modo di fare giornalismo, abbiano trasformato soltanto l’informazione satellitare o abbiano avuto effetti sul giornalismo arabo in generale. In un contesto come quello del mondo arabo il rapporto tra nazionale e transnazionale è assolutamente peculiare: da una parte infatti la lingua comune -l’arabo- e la religione comune alla maggioranza delle persone -l’islam- rappresentano un forte impulso verso lo sviluppo di La ricerca presentata in questo testo si è conlusa nell’agosto 2007, e tutti i dati e le informazioni cui si fa riferimento sono aggiornati al gennaio 2008. E’ d’obbligo informare il lettore che tanto il contesto regionale quanto quello egiziano (il caso di studio presentato) sono soggetti negli ultimi anni a trasformazioni molto rapide. 2 Si fa qui riferimento al mondo arabo mussulmano inteso come “regione”, e dunque si utilizza una accezione soprannazionale del termine. Si tratta di quelle aree che nella letteratura sulla globalizzazione vengono spesso definite “macroregioni”, in contrapposizione ai regionalismi sub-nazionali che vengono definiti “microregionalismi” (cfr. Cox 1992, pag. 34) 1 13 istanze politiche, culturali ed economiche marcatamente transnazionali, dall’altra l’organizzazione autoritaria dei sistemi politici nazionali, e la volontà da parte degli apparati statali di controllare rigidamente tutti gli aspetti della vita sociale e politica, hanno determinato un rigido “protezionismo” dei sistemi nazionali rispetto ad interferenze esterne. Lo sviluppo dei sistemi giornalistici nella regione non è stato esente dall’influenza di queste due tendenze contrastanti. Tuttavia la forte esigenza, tipica dei sistemi autoritari, di esercitare uno stretto controllo sulla circolazione di informazioni ha determinato il prevalere della seconda, favorendo il consolidarsi di sistemi giornalistici decisamente chiusi all’interno della dimensione nazionale. Sia i tentativi di elaborare progetti regionali di condivisione e di regolamentazione della circolazione di informazioni, sia gli esperimenti di broadcasting regionale si sono sempre arenati per motivi prevalentemente politici. Il rischio dell’interferenza negli affari di un paese da parte di soggetti esterni, la volontà dei governi di proteggere il monopolio statale nella possibilità di comunicare con le opinioni pubbliche, e l’abitudine a considerare i media come strumento di propaganda hanno sempre prevalso su qualsiasi dichiarata volontà di cooperazione. L’irrompere nello spazio dell’informazione in lingua araba di un soggetto transnazionale come Al Jazeera, con la sorprendente popolarità che ha acquisito presso le audience e il carattere assolutamente nuovo della sua organizzazione editoriale, merita dunque un’attenzione particolare, soprattutto in una fase in cui, per ragioni di natura tecnologica, le possibilità di fruizione di contenuti mediatici di produzione “non nazionale” non sono più facilmente controllabili da parte delle autorità nazionali. L’utilizzo di una lingua comune tra le all-news transnazionali in arabo nate in questo decennio e i news media nazionali inoltre ha determinato una condizione particolare rispetto al più ampio e complesso spettro di relazioni tra sistemi nazionali e soggetti transnanzionali che, in tutto il mondo, caratterizza il contesto dei processi di globalizzazione. Nel mondo arabo dunque porre in relazione le news organization satellitari transnazionali con i sistemi giornalistici nazionali consente di ragionare attorno allo sviluppo di particolari sistemi giornalistici possibili soltanto all’interno di un’area monolinguistica e caratterizzata da una forte vicinanza socioculturale. Questi sono sistemi ibridi che includono al loro interno, secondo dinamiche che sono tutte da studiare, soggetti nazionali e soggetti transnazionali. Stabilire le modalità di funzionamento di questi sistemi è l’obiettivo di questo studio. Un’analisi della natura di questa relazione ibrida tra newsmaker nazionali e newsmaker transnazionali consente, peraltro, di comprendere meglio anche il lavoro delle emittenti come Al Jazeera e Al Arabiya, abbandonando un approccio che le consideri soltanto all’interno dell’“iperuranio” satellitare, per vedere se i loro progetti editoriali e il loro lavoro si pongano in una posizione di confronto e/o scontro con ciò che succede all’interno dei sistemi nazionali dell’informazione nella regione. Le dinamiche di relazione tra newsmedia nazionali e newsmedia transnanzionali possono essere investigate a partire da molteplici punti di vista. All’interno di tale “galassia” questa ricerca si colloca nell’ambito degli studi sulla professione giornalistica, pertanto si focalizzerà sulla dimensione intra-professionale. Nello spazio di tale ambito di studio si è scelto di aderire ad una visione costruttivista e fenomenologica del giornalismo che si concentri sulla relazione fra giornalisti e tra giornalisti e racconto giornalistico, nella convinzione che questa ne- 14 goziazione costituisca il nocciolo del processo produttivo del giornalismo. Un approccio di questo tipo limita la possibilità di verificare l’esistenza di sistemi ibridi alla sola dimensione professionale, al lavoro dei giornalisti e alle relazioni e influenze che si possono instaurare tra professionisti e, dunque, non consente di esplorare tutte le implicazioni che tale ipotesi impica per la struttura di un news media system. Questo studio è stato pertanto affrontato nella consapevolezza di stare percorrendo soltanto una delle strade possibili, una strada che, inevitabilmente, concentrandosi soltanto su un aspetto, ha tralasciato molti altri elementi interessanti. Sicuramente però questa scelta permette di considerare se e come, con l’esplosione dell’informazione satellitare e dei media panarabi della generazione di Al Jazeera, sia mutata la condizione di lungo periodo che ha visto i giornalisti arabi, pur partendo da una stessa matrice culturale, linguistica e religiosa, negoziare le pratiche e i valori della propria cultura professionale all’interno di uno spazio marcatamente nazionale e scarsamente influenzabile dalla competizione con soggetti esterni. Non si intende con questo affermare, è bene precisarlo da subito, che non esistano tratti unitari nelle culture professionali dei giornalisti dei diversi paesi arabi, anzi si può sicuramente parlare di una “cultura giornalistica araba” che evidenzia elementi comuni. Tuttavia, fino almeno alla rivoluzione dei newsmedia panarabi, non si sono mai create le condizioni affinché la comunaza linguistica e culturale si potesse tradurre in un confronto continuo, tra modalità di produzione e tra prodotti giornalistici, tale da influenzare le rinegoziazioni quotidiane dei valori e delle pratiche dei professionisti dell’informazione. Il quesito principale è dunque il seguente: i nuovi newsmedia panarabi, con le loro coperture e il loro approccio alla notizia, entrano a far parte dei processi di negoziazione della cultura professionale messi in atto dai giornalisti che lavorano all’interno dei sistemi nazionali dell’informazione? Oppure nel mondo arabo oggi esistono due “giornalismi” che convivono nelle possibilità di fruizione del pubblico ma che restano separati e indipendenti l’uno dall’altro nella negoziazione di un sistema di valori e pratiche professionali? Per comprendere questa dinamica di negoziazione tra giornalisti nazionali e giornalisti panarabi è necessario scegliere un singolo sistema-paese come caso di studio. Si è scelto qui l’Egitto, un caso senz’altro significativo ma che non consente di trarre considerazioni valide in assoluto per gli altri paesi della regione. L’auspicio dunque è che questo rappresenti un primo esperimento pilota utile per le future ricerche che potrebbero essere svolte su altri sistemi-paese in modo da ricavare, anche attraverso un approccio comparativo, un quadro più ampio dalla relazione tra giornalismo nazionale e giornalismo transnazionale nel mondo arabo. Contemporaneamente questo studio consentirà di capire se, nel contesto in analisi, sia oggi diventato imprescindibile un approccio multisituato per studiare il processo di negoziazione della cultura giornalistica. Quella che si propone qui infatti è una metodologia di ricerca che considera parte dei sistemi dell’informazione di ogni paese arabo anche i giornalisti delle news organization panarabe e le narrazioni che essi producono: ogni sistema in questo modo perde la sua connotazione puramente nazionale per diventare uno spazio ibrido di relazione tra soggetti estremamente diversi per struttura e missione. La ricerca presentata si basa su un numero significativo di interviste, questionari e osservazioni realizzate in Egitto, Qatar e Emirati Arabi Uniti. Si tratta dunque di uno studio empirico multisituato che, attraverso un’analisi delle narrative e delle rappresentazioni che i gior- 15 nalisti hanno del proprio lavoro, dei propri valori e della propria comunità di pari, cerca di definire le dinamiche negoziali e relazionali intraprofessionali che si istaurano all’interno dei sistemi ibridi dell’informazione che caratterizzano oggi il mondo arabo. L’analisi del materiale empirico raccolto rappresenta il cuore di questa pubblicazione, nella convinzione che, considerata la scarsa disponibilità per il lettore italiano di studi sulla realtà del giornalismo arabo contemporaneo, possa essere di grande interesse avere accesso ad un vasto corpus di narrazioni prodotte dai giornalisti arabi stessi. Queste narrazioni, assieme alle osservazioni del lavoro di newsroom e alle informazioni raccolte dai questionari sono analizzate attraverso un’approccio multidisciplinare. La sociologia del giornalismo resta comunque la base su cui l’impianto analitico della ricerca è costruito. Uno studio di questo tipo è ancora più importante in un momento come questo nel quale, a ormai quindici anni dalla rivoluzione di Al Jazeera, si sono moltiplicati, anche nel mondo arabo, i contesti nei quali è possibile ottenere e scambiare informazioni, soprattutto on line. Il web 2.0 vede migliaia di siti, blog e forum dove giovani e meno giovani discutono, in arabo e in inglese, delle questioni politiche e sociali che riguardano la loro regione. Il fenomeno del social networking che ha le sue punte di diamante in Facebook e Twitter ha attecchito in maniera sorprendente nel mondo arabo, con interessanti effetti sulle modalità di discussione e di partecipazione da parte di alcuni settori delle opinioni pubbliche, in particolare dei giovani. Insomma “la rivoluzione di Al Jazeera” potrebbe essere presto “il passato”, per questo è importante comprenderne la portata altrimenti sarà impossibile relazionarsi con il “futuro”. Sono debitore, non solo per questo libro, a Marcella Emiliani che mi ha insegnato la gran parte di quello che so sul Medioriente e a Roberto Grandi che ha fatto lo stesso per quanto riguarda le teorie delle comunicazioni di massa. A questi due maestri si è aggiunto negli anni Carlo Sorrentino che, supervisionando la mia tesi di dottorato (da cui questo libro è ricavato), mi è stato al fianco nella definizione delle problematiche di ricerca, dell’impianto teorico e nell’elaborazione dei dati. Il mio interesse per il giornalismo come prodotto sociale e culturale nacque proprio, ormai un po’ di tempo fa, dalla lettura del suo “mitico” I percorsi della notizia. Diversi colleghi che studiano i media arabi in giro per il mondo mi hanno regalato spunti importanti e preziosi commenti rispetto al materiale su cui questo testo si basa. Tra questi devo ricordare innanzitutto Naomi Sakr, direttrice del Arab Media Centre dell’University of Westminster, ricercatrice generosa e amica sincera; poi, sempre a Westminster, Tarik Sabri, la mia guida negli “arab cultural studies” e Colin Sparks, che mi ha ospitato per un semestre presso il CAMRI, dove questo studio è stato inizialmente immaginato. Muhammed Aysh e Dina Matar, durante l’MRM dell’aprile 2007, con le loro osservazioni, mi hanno permesso di correggere alcune delle ingenuità e imprecisioni presenti nella mia ricerca. Donatella Della Ratta ed Enrico De Angelis sono invece i preziosi compagni italiani nella difficile impresa di capire il mondo dei media arabi. Tutti i giornalisti che in Egitto, in Qatar e a Dubai mi hanno aiutato, concesso tempo e dato informazioni hanno reso possibile questo libro che altrimenti non sarebbe mai stato scritto: a loro va la mia più sincera gratitudine. Infine devo ringraziare tutti gli amici che nei miei soggiorni e viaggi in Medioriente mi sono stati vicino e mi hanno aiutato ad entrare nel loro complesso e meraviglioso mondo. Senza la casa di Monte San Pietro riordinare tutte le note, i pensieri e i dati raccolti sarebbe stato molto più faticoso. Grazie a Silvia Moruzzi per avermi offerto un meraviglioso rifugio di lavoro in mezzo alle Dolomiti. 16 PRIMA PARTE TRA SISTEMI NAZIONALI FORTI E TRANSAZIONALISMO VELOCIZZATO Sistemi e confini: culture giornalistiche e globalizzazione 1.1 Lo studio del giornalismo: un approccio sistemico Il primo concetto che necessita di un’adeguata teorizzazione nell’ambito della ricerca che si intende presentare in questo testo è quello di “sistema dei media”3 o di “sistema dell’informazione giornalistica”. Tale concetto è particolarmente importante perché lo scopo di questo studio è proprio quello di considerare l’esistenza di un sistema, di uno spazio di relazione e di negoziazione, tra news media nazionali e news media panarabi. L’utilizzo del concetto di “sistema” nell’analisi dei mass media ha trovato particolare fortuna tra gli studi comparativi4. La maggior parte di essi guarda infatti al prodotto dei media, in un determinato contesto, come alla conseguenza di fattori strutturali e della loro interazione in un determinato sistema sociale. Un sistema dei media viene definito dunque in relazione ad un sistema socio-politico: Il nostro intento (…) è sviluppare un quadro di riferimento per la comparazione dei sistemi d’informazione giornalistica (…) e quindi proporre una serie di ipotesi su come questi siano legati strutturalmente e storicamente allo sviluppo del sistema politico (D. Hallin, P. Mancini, 2004) Coerentemente con questa idea Gosselin (2006) sottolinea come l’espressione “media system” evidenzi il legame dei media (the media’s embeddedness) ad un più ampio contesto In questo studio sono utilizzati i termini “sistema dei media”, “sistema dell’informazione giornalistica” e “sistema giornalistico”, pur mantenendosi il nostro focus sui media dell’informazione e non su quello dei media in generale. L’utilizzo del termine “sistema dei media” potrebbe dunque essere considerato non appropriato, tuttavia esso è preso dalla letteratura comparativa anglosassone che per definire i sistemi dell’informazione giornalistica parla di “media system”. 4 A partire da Four Theories of the Press: The Autoritarian, Libertarian, Social Responsability and Soviet Communist Concepts of What the Press Should Be and Do (1956) di Siebert, F.S., Peterson T. e Schramm, W., il concetto di press system o di media system è utilizzato in tutti i principali studi comparativi, si veda J. G. Blumler, M. Gurevitch (1995); J. G. Blumler, J. M. McLeod, K.E. Rosengren (a cura di, 1992); J. Curran, M. J. Park (a cura di, 2000); D. Hallin, P. Mancini (2004). 3 19 (environment) sociale politico ed economico (pag.19); Nerone (1995, pag. 17) parla di “media-in-society”. In questo senso l’obiettivo dei comparativisti, come Gurevich e Blumler o Hallin e Mancini, è quello di investigare somiglianze e differenze nei pattern che caratterizzano la relazione tra sistemi mediatici e sistemi politici e, sulla base di queste, elaborare modelli in grado di dare conto dei processi di comunicazione politica, al di là delle specifiche realtà nazionali. I sistemi nazionali dei media non sono stati analizzati soltanto in ambito occidentale in chiave comparativa. Alcuni testi come quello curato da Martin e Chaudhary (1983) o quello curato dal Curran e Park (2000) hanno tentato di proporre una classificazione dei sistemi mediatici che comprendesse anche la realtà dei paesi del blocco comunista o i paesi in via di sviluppo. Tali studi hanno avuto il merito di sottolineare la necessità di non limitare le analisi sui sistemi dei media a pochi paesi dell’Europa occidentale e all’America settentrionale. Anche questi lavori sottolineano l’importanza, nell’analisi dei sistemi dei media, di fare riferimento a come questi siano correlati alle strutture di potere all’interno della società (Curran e Park 2000, pag. 12). Blumler e Gurevich (1975; 1977; 1995) sono gli autori che hanno lavorato più approfonditamente attorno alla definizione di un framework comparativo per la “political comunication research” (1995). In tal senso i due ricercatori partono da una premessa fondamentale: An underlying assumption of such an approach is that the main features of the political communication process may be regarded as if they formed a system, such that variation in one of this component would be associated with variation in the behaviour of its other components. (pag. 12) E ancora (pag.23): The view of political communication presented in this essay draws upon the concept of a system as a set of input-output relationships that bind its costituent elements in a network of mutual dependencies. La relazione dunque è l’elemento centrale in un approccio di questo tipo: a variazioni nelle dimensioni fondanti in un sistema politico corrispondono variazioni nel sistema mediatico e nella loro relazione si sviluppano i pattern della comunicazione politica all’interno del contesto di riferimento. L’utilizzo di un approccio sistemico è interessante di per sé, al di là della declinazione comparativista che viene proposta da questi autori, perché definisce un ambiente, uno spazio di interazione tra soggetti differenti, sulla base di rapporti di relazione e di dipendenza. Questo consente di affermare che, laddove c’è relazione tra soggetti differenti c’è un sistema, e questo sistema non ha a che vedere necessariamente con confini territoriali, quanto piuttosto con l’esistenza di una struttura di rapporti. Preziosa in questo senso è anche la teorizzazione proposta da Denis McQuail in quello che è ormai diventato un pilastro della manualistica sulle teorie della comunicazione, il 20 McQuail’s Mass Communication Theory5. Nella sua rassegna sugli studi normativi6, nel momento in cui presenta i parametri attorno ai quali valutare la qualità dei media, McQuail sostiene che essi debbano essere considerati in riferimento a tre livelli: structure, conduct e performance7 (pag.192). Il livello che qui interessa maggiormente è quello di structure. La struttura è presentata infatti da McQuail (ibidem) come l’interrelazione tra gli elementi di un sistema mediatico. Anche questo approccio dunque sottolinea la centralità della relazione tra pattern complementari nella definizione di un media system. Un altro elemento interessante presente nella mass communication theory di McQuail, citato anche da Hallin e Mancini (2004, pag. 16), è quello espresso nel seguente passaggio: Nella maggior parte dei paesi i media non costituiscono alcun “sistema” singolo, con un singolo proposito o filosofia, ma sono composti da molti elementi separati, sovrapposti e spesso inconsistenti, con forti differenze di aspettative normative e effettiva regolazione. Questa riflessione impone di non considerare i sistemi mediatici come strutture omogenee al loro interno e obbliga ad investigare i rapporti di relazione, competizione e indipendenza nel momento in cui si vogliono delimitare i suoi “confini”. Un presupposto di questo tipo è imprescindibile se si vuole vedere che tipo di relazione si instauri tra news organization nazionali e news organization transnazionali, proprio perché invita a considerare la possibilità che non tra tutti i soggetti presenti si instaurino rapporti analoghi e che si possano creare “sotto” o “sovra” sistemi che non coincidono con il media system nazionale. È necessario a questo punto un ragionamento attorno alle variabili che i differenti modelli propongono nell’analisi dei sistemi dei media. È innanzitutto da sottolineare come la relazione tra sistema sociopolitico e sistema dei media si mantenga fondante, con differenti livelli di intensità e di valenza, nella stragrande maggioranza degli studi sistemici sui media (Siebert, Peterson e Schram, 1956; Seymour-Ure 1974; Blumler e Gurevich 1975; McQuail 1983; Hallin e Mancini 2004; Blumler, J. M. McLeod, K.E. Rosengren, 1992; Voltmer, 2000; J. Curran, M. J. Park, 2000; D. Hallin, P. Mancini 2004). La visione degli autori di Four theories of the press (Siebert, Peterson e Schram, 1956) secondo cui i media costituiscono sempre la variabile dipendente nella relazione con il sistema sociopolico in cui operano, appare tuttavia mitigata negli studi successivi che riconoscono come i media siano diventati in molti casi una “variabile esogena” per i sistemi politici (cfr. Mazzoleni e Shulz 2001; Robinson 2002; Mazzoleni, Stewart and Horsfield 2003; Hallin e Mancini 2004). Ad esempio in D. Hallin, P. Mancini 2004: Prima edizione 1983, quinta edizione 2005, Sage. Questi studi vengono così presentati da McQuail (2005): “Normative theory of media covers both internally chosen purposes and the claims form outside about how they (the media n.d.r.) should conduct themselves” (pag. 162). Molti degli studi comparativi, tra cui anche Four theories of the press, come evidenziano anche Hallin e Mancini (2004 pag.17) seguono un approccio di tipo normativo. 7 Secondo McQuail (2005) questi parametri sono: freedom; equality; diversity; truth and information quality; social order and information quality. In merito ai livelli di analisi il testo propone la seguente tripartizione: il primo fa riferimento al media system, il secondo alle modalità operative e al livello organizzativo e il terzo al contenuto dei media. 5 6 21 potrebbe essere ragionevole assumere che il sistema dei media di un paese essenzialmente rifletta altri aspetti della struttura sociale, per esempio il sistema partitico. Ma è altrettanto vero che le istituzioni dei media hanno un proprio impatto sulle altre strutture sociali (pag. 17). Per Blumler e Gurevich (1995) tale relazione è impostata in questo modo: What we see is two sets of institutions –political and media organizations- which are involved in the course of message preparation in much “horizontal” interaction with each other, while on a “vertical” axis, they are separately and jointly engaged in disseminating and processing information and ideas and to from the mass citizenry (pag.12) Entrambe le teorizzazioni comunque pongono come centrale nell’impostazione sistemica la relazione tra i pattern del sistema mediatico e quelli del sistema politico e in entrambe permane l’idea che un particolare sistema mediatico si sviluppi all’interno di un determinato sistema politico. I sistemi ibridi che costituiscono il focus di questo studio sono “ambienti” immaginati per investigare le trasformazioni che si generano all’interno di un sistema nazionale dell’informazione giornalistica a partire dall’interazione con elementi esogeni (le news organization panarabe). In questo framework analitico il sistema politico nazionale non può però essere lasciato fuori dall’immagine, proprio per non rischiare di considerare, come frutto di relazione con soggetti esterni al sistema nazionale, ciò che invece è la conseguenza di una trasformazione puramente interna. Per questo l’idea di un sistema ibrido, di cui entrano a far parte anche elementi esogeni, può essere investigata solo a partire da un’analisi dello sviluppo della relazione tra mass media nazionali e sistema politico nazionale. L’obiettivo di questa ricerca è vedere in che maniera i newsmedia panarabi interagiscano con i sistemi nazionali dell’informazione nel contesto del mondo arabo, scegliendo come focus quello della negoziazione della cultura professionale dei giornalisti. Pertanto deve essere considerata variabile dipendente proprio la “cultura professionale” che, sia nel modello di Hallin e Mancini che in quello di Blumler e Gurevitch, viene definita come una delle variabili centrali nella relazione tra sistema politico e sistema mediatico8. In altre parole è operativamente possibile considerare la cultura professionale che “abita” un sistema d’informazione come il risultato della relazione strutturale tra le caratteristiche di quel sistema d’informazione e quelle del sistema politico (ed economico) che ne ha caratterizzato il contesto di sviluppo. È da qui che bisogna partire nel momento in cui si vuole considerare se e come le nuove news organization panarabe, come Al Jazeera e Al Arabiya, siano oggi coinvolte nella negoziazione delle culture giornalistiche nazionali del mondo arabo. Nel primo modello (Hallin e Manicini) infatti si parla di “Sviluppo della professionalità giornalistica”, nel secondo (Gurevitch e Blumler) di “nature of the legitimizing creed of media institution”. Entrambe queste teorizzazioni considerano la questione della cultura professionale da una prospettiva che insiste specificamente sulla capacità o meno dei giornalisti di sviluppare una deontologia, una “professional rationality” (J.G. Blumler- M. Gurevich 1975, pag.177) in grado di contrastare le pressioni che possono arrivare da gruppi o soggetti dotati di potere politico o economico interessati a sostenere una particolare ideologia. Qui invece si fa riferimento ad una nozione più ampia di cultura professionale di cui daremo conto più avanti. 8 22 Questo ragionamento non deve suggerire però un’idea di omogeneità. È proprio perché non si ritiene possibile parlare di una cultura professionale condivisa da tutti i giornalisti che fanno parte di un sistema che si è scelto di adottare la prospettiva della negoziazione: alla base c’è un’idea relazionale di sistema, non di struttura omogenea. Peraltro, come evidenzia McQuail (1994, pag.133), le recenti classificazioni dei sistemi mediatici hanno prestato grande attenzione a quelle che egli definisce “intra-country differences”. Per esempio le discussioni sugli effetti dei media stanno prestando una sempre maggiore attenzione alle differenze tra il contenuto della stampa popolare e quella di qualità, tra i media locali e quelli nazionali, alle differenti caratteristiche del broadcasting pubblico e privato (ad es. Schmit-Beck 1998; Browne 1999; Voltmer 2000). Estendendo queste riflessioni ai sistemi in generale è possibile parlare di differenze intrasistemiche, differenze su cui si focalizzerà questo testo. Nello specifico l’approccio proposto in questo studio si avvicina alla visione proposta da Voltmer (2000) che, sulla base di quanto teorizzato da Eston (1990), individua due tipi di strutture caratterizzanti i sistemi dei media: la struttura formale e la struttura informale: The formal structures of media systems are bindings rules that are set by law. Since they are imposed by various forms of authoritative regulations and incentives, they result in highly stable and predictable patterns of interaction. Informal structures are based on procedures and role expectations, the most important of which are organizational goals and professional norms concerning the selection and presentation of information. (Voltmer 2000, pagg.5-6) Commentando questa bipartizione Gosselin (2006) definisce la struttura formale come struttura “hard”, caratterizzata dalle leggi sulla proprietà o dalle regolamentazioni sul contenuto, e la struttura informale come struttura “soft”, caratterizata dai valori e dalle pratiche professionali (pag. 21). Seguendo tale terminologia si potrebbe dire che questo studio si concentra sulla struttura informale, o soft, di un sistema mediatico. L’analisi che si intende proporre si concentra infatti attorno a tutti quegli aspetti della relazione tra newsmedia nazionali e newsmedia panarabi riconducibili ai giornalisti in quanto attori della negoziazione che caratterizza il giornalismo come pratica e come prodotto. Studiare l’evoluzione della struttura informale di un sistema mediatico da una prospettiva nazionale significa analizzare che tipo di cultura giornalistica si sviluppi nella relazione tra le caratteristiche politiche e socio-economiche di un paese e la struttura formale del sistema dei media di quel paese. Tuttavia qui si ritiene più appropriato adottare una prospettiva transnazionale, che tenga conto anche il ruolo dei newsmedia panarabi in tale relazione. Questo significa adottare un approccio non “stato-centrico”, non si tratta dunque di abbandonare completamente lo stato-nazione come unità d’analisi, ma di comprendere come, per studiare una realtà nazionale nel contesto dei media arabi, non sia oggi possibile limitarsi a considerare soltanto elementi nazionali. 23 1.2 Gli studi sulla globalizzazione Questa ricerca si colloca nell’ambito degli studi sulla globalizzazione nella misura in cui intende investigare relazioni tra un sistema nazionale e soggetti transnazionali. Nel dibattito sulla globalizzazione il ruolo dello stato-nazione come “central governing agency” (McMillin 2007, pag. 190) è stato fortemente messo in discussione sia da coloro che hanno assunto un’attitudine positiva nei confronti di tale processo (cfr. Fukuyama, 1992) sia da coloro che hanno visto in esso speranze ben meno rosee (cfr. McChesney, 1999). Anthony Giddens, nel celebre testo The consequence of modernity (1991), propone una definizione del processo di globalizzazione che può essere utile per coglierne le caratteristiche fondamentali e utilizzarle per considerare tale processo come una prospettiva teorica e non soltanto come un fenomeno: But what exactly is globalization, and how might we best conceptualize the phenomenon? The undue reliance which sociologists have placed upon the idea of “society”, where this means a bounded system, should be replaced by a starting point that concentrates upon analysing how social life is ordered across time and space – the problematic of time and space distanction. The conceptual framework of time-space distanction directs our attention to the complex relations between local involvments (circumstance of co-presence) and interaction across distance (the connection of presence and absence). (pag.63) Una delle idee che emergono da questo passaggio è quella che sia necessario rimettere in discussione l’idea di società come sistema chiuso e concentrarsi sulla maniera in cui la “socialità” si sviluppa all’interno delle coordinate di spazio-tempo: Globalization refers essentially to that stretching process9, in so far as the modes of connection between different social context or regions become networked across the earth’s surface as a whole. Globalization can thus be defined as the intensification of world-wide social relations which link distant localities in such a way that local happenings are shaped by events occurring many miles away and vice versa. (ibidem) Secondo Giddens dunque una delle caratteristiche fondamentali della modernità globalizzata è quella che la socialità e le relazioni si sviluppano in maniera reticolare e delocalizzata, in un processo che vede contesti sociali, lontani geograficamente, sviluppare relazioni di connessione e di influenza reciproca o meno. In questo senso adottare la prospettiva teorica della globalizzazione significa riconfigurare il mondo in termini spaziali e temporali ponendo l’accento sulle internconnessioni tra capitali, persone, luoghi, idee e immagini (cfr. Appadurai, 1990). Annabelle Sreberny-Mohammadi, una delle ricercatrici che negli ultimi vent’anni più ha ragionato attorno alle implicazioni della globalizzazione sui sistemi di comunicazione di masGiddens fa riferimento al processo di trasformazione nella relazione tra eventi e forme sociali “locali e “a distanza”: “In the modern era, the level of time-space distanction is much higher than in any previous period, and the relations between local and distance social forms and events become correspondingly stretched” (1991, pag 63). 9 24 sa, nell’intrduzione del volume collettaneo Media in global context, a Reader (1997), declina in questo modo la questione: Thinking about the concept of globalization in relation to communication it immediately becomes apparent that the “spaces” of interaction between people, information, institution and cultural traditions are being transformed. Broadly speaking, we can suggest that patterns of social interaction and information flows are increasingly occurring across national boundaries to form new bases of political and cultural identity. In contrast to the historical tendency for communication media to be used to vertically integrate societies within the contours of the nation-state, emerging patterns of social interaction, political organization and information flows are being supplemented by patterns of transnational, horizontal integration. (pag. XII) L’idea espressa è quella che la capacità sempre maggiore dei mezzi di comunicazione di massa di oltrepassare i confini dello stato nazione contribuisca alla creazione di nuove modalità di azione politica, nuove forme di organizzazione economica e allo sviluppo di identità culturali non stato-centriche (ibidem, pag XIV). La presenza di un’integrazione transnazionale orizzontale delle strutture dei media, dei processi e delle interazioni tra media e audience, definita da Mohammadi (ibidem, pag. XIII) come una delle “key feature” della globalizzazione, implicherebbe la diffusione di nuove modalità di marketing e comunicazione politica, di alterazioni, nei flussi di informazioni, che integrerebbero diverse dimensioni locali, a prescindere dai confini nazionali, e favorirebbero nuove forme di regolamentazione e proprietà delle industrie di comunicazione. La circolazione di informazioni oltre i confini degli stati, così come lo sviluppo di produttori transnazionali di contenuti mediatici, pone inevitabilmente l’attenzione sulle implicazioni culturali del fenomeno della globalizzazione. Si tratta di implicazioni di grande rilevanza per le questione sollevata da questo volume, lo studio dello sviluppo della cultura giornalistica in contesti popolati anche da soggetti transnazionali. A questo proposito si possono individuare due analisi, divergenti tra loro, dei processi di globalizzazione. La prima, sostenuta in genere dai ricercatori facenti riferimento all’approccio della political economy of mass media, supporta l’idea che la globalizzazione determini un’omogeneità culturale, poiché sempre più persone hanno accesso agli stessi prodotti culturali (cfr. Hamelink, 1983; Mattelart, 1983; Schiller 1989; Latouche, 1996). Secondo questo approccio, sviluppato in genere da posizioni neomarxiste e funzionaliste, la globalizzazione sarebbe guidata soprattutto dal desiderio delle nazioni capitaliste di mantenere la loro egemonia economica e culturale attraverso la penetrazione nei singoli mercati in tutto il mondo. Nella prospettiva della political economy il termine “globale” è spesso sinonimo di “erosione culturale e distruzione”, mentre “locale” di “luogo del mantenimento dell’autenticità culturale” (Ang 1996, pag.153). In questa prospettiva la globalizzazione è concettualizzata come un fenomeno che non determina l’emergere di un ordine internazionale aperto, quanto piuttosto il trasferimento pervasivo di significati e valori in diversi ambienti culturali (Kalyani e Kavoori 2005). La seconda prospettiva d’analisi è quella di coloro che, pur riconoscendo la grande circolazione di prodotti culturali e mediatici occidentali come associata ai fenomeni della globalizzazione, contestano l’idea che il “global media flow” rappresenti una forma di dominazione o comunque un flusso a senso unico (Kaylani e Kavoori, ibidem). Tale prospettiva è adottata 25 dai “teorici della cultura”10 che guardano alla globalizzazione come a un processo di appropriazione culturale, all’interno del quale i soggetti prendono quello che giudicano appropriato per sé e lo adattano e orientano ai loro bisogni locali (cfr. Appadurai 1996; Featherstone 1995). Nell’ambito di questa visione Barker afferma (1997): Globalization is not to be seen as a one-way flow of influence from the west to the “rest”, rather, globalization is a multi-directional and multi-dimensional set of processes” (pag.5) Questo approccio considera la globalizzazione come caratterizzata da sviluppi culturali eterogenei e decentrati e rispondenti ad un ordine che Appadurai (1990, pag. 296) definisce in questo modo: A complex, overlapping, disjuntive order which cannot be understood in terms of existing center-perifery models. Quello che emerge come centrale nelle teorizzazioni di Appadurai, Tomlinson e Featherstone è la problematicità della relazione tra globale, o comunque transnazionale, e locale. In questo senso “la globalizzazione” può essere vista come uno spazio di relazione all’interno del quale convivono sia forze che spingono all’omogeneizzazione sia forze che spingono alla frammentazione culturale e, in ogni caso, uno spazio ibrido di relazione tra locale e globale. Tale prospettiva mette in discussione la centralità dello stato nazionale come unità privilegiata d’analisi: The effects of cultural globalization are to weaken the cultural coherence in all individual nation-states, including economically powerful ones (Tomlinson 1999, pag.175). E ancora, secondo Appadurai (1996), lo stato nazionale come autorità moderna, centrale, politica ed economica è “on its way out”. Il grande merito di tale approccio è quello di considerare come i processi di globalizzazione rimettano in discussione strutturalmente le idee sull’analisi dei sistemi nazionali e pongano con decisione il tema dell’impossibilità di considerare tali sistemi chiusi in se stessi. Tuttavia l’idea, abbastanza diffusa fra gli studiosi della globalizzazione, della necessità di abbandonare lo studio dei sistemi nazionali dei media si presta ad una critica: se i confini dei sistemi nazionali diventano porosi, questo non significa che dobbiamo smettere di occuparci dei sistemi nazionali, quello che è necessario invece è elaborare nuove prospettive per analizzare un sistema che si presenta più permeabile. In tal senso la visione che guida questo studio è concorde con coloro i quali (Boyd-Barrett 1997, Straubhaar 2002, Kalyani e Kavoori, 2005) ridimensionano la visione dei “profeti della globalizzazione” che teorizzano la morte dello stato nazione: la tensione tra locale e globale non può essere l’unica prospettiva attorno cui investigare la modernità. Gli stati mantengono ancora una forte centralità nell’organizzazione della vita sociale poltica ed economica contemporanea. Molti ricercatori, afferenti a diverse discipline (ad es. Burton 2003, Hirtst and 10 Cultural theorist in inglese. Tra questi Appadurai, Tomlinson, Featherstone e altri. 26 Thompson 1995) sottolineano come lo stato nazionale continui ad esercitare un ruolo fondamentale come “policy-maker” e “boundary enforcer”. Lo stato dunque in quanto sistema si trasforma, i soggetti nazionali entrano in contatto e in relazione con soggetti transnazionali ma non per questo i “sistemi nazionali” o le “culture nazionali” cessano di esistere. Per quanto riguarda i sistemi dei media, come sottolinea anche Straubhaar (2002), anche se i mercati globali spingono per la creazione di determinate strutture finanziarie e commerciali, l’economia politica degli stati nazione continua a giocare un ruolo cruciale nel determinare la struttura, la natura e l’organizzazione dei media. E questo è ancora più vero in un contesto come quello del medioriente arabo dove la presenza di regimi autoritari determina una grande attenzione ai media, alla loro organizzazione proprietaria e ai loro contenuti. Abbandonare completamente l’idea di national media system può essere controproducente: il rischio è quello di buttare via anche il bambino con l’acqua sporca. Da questo punto di vista hanno sicuramente ragione Kalyani e Kavori (2005) quando affermano che: Hence even though globlization theorists sometimes underestimate the power of the state, the evidence would seem to indicate that the nation state continues to provide the basic frame of reference for media systems throughout the world (pag. 86) Adottare una prospettiva d’analisi che tenga conto delle dinamiche della globalizzazione significa utilizzare una metodologia d’analisi non stato-centrica. Non si tratta necessariamente di abbandonare l’analisi dei sistemi nazionali dei media, quanto piuttosto di non limitarsi a considerare gli elementi nazionali. I sistemi mediatici stanno diventando sempre più spazi ibridi11 nei quali convivono soggetti nazionali e soggetti transnazionali. All’interno di questi spazi i governi nazionali esercitano un controllo e un’influenza diversa a seconda della natura dei soggetti presenti. Quello di “ibrido”, un concetto caro agli studiosi della globalizzazione, è affascinate proprio perché consente di “deterritorializzare” i sistemi dei media, di non collegarli necessariamente ad un luogo nel loro costituirsi, quanto ad una struttura relazionale. A questa deterritorializzazione corrisponde comunque un processo di “riterritorializzazione” in uno spazio che mantiene ancora caratteristiche nazionali, perché si sviluppa all’interno di un contesto sociopolitico nazionale ma che comprende anche “territori” transnazionali. L’obiettivo di questo studio è considerare le caratteristiche della cultura giornalistica nel mondo arabo nell’ “epoca di Al Jazeera”, un contesto nel quale alcuni grandi network panarabi che utilizzano la stessa lingua dei news media nazionali riscuotono un grande successo di pubblico ed esercitano un grande fascino12 anche sui giornalisti che lavorano per le news organization nazionali. Queste news organization transnazionali diventano dunque competitor diretti 11 Questa riflessione è valida per quanto riguarda il contesto del medioriente arabo. Per quanto riguarda un contesto come quello europeo, ad esempio, la porosità dei sistemi mediatici nazionali è ancora molto minore. In tale contesto infatti, come sostiene anche McQuail (2005, pag 251) sono ancora davvero pochi i canali televisivi e le pubblicazioni che raggiungono direttamente un pubblico estero e, soprattutto per quanto riguarda le news, i mass media nazionali sono la principale fonte di informazione (cfr. Kai Hafez). Questo è spiegabile anche a causa del fatto che ogni paese europeo possiede una sua lingua, difficilmente comprensibile ai cittadini degli altri stati. 12 Che tipo di immagine i giornalisti che lavorano per i news media nazionali abbiano delle news organization panarabe e dei giornalisti che lavorano per esse, sarà una delle questioni oggetto di approfondimento in questo studio. 27 per i news media nazionali, opzioni possibili per il pubblico13 e soggetti con i quali i governi e i sistemi legislativi nazionali devono confrontarsi. Pertanto, se si utilizza una definzione “relazionale” di sistema, essi entrano in qualche modo a far parte dello stesso sistema di cui fanno parte i media nazionali, che diventa appunto uno spazio ibrido. In questa relazione e in questo spazio ibrido la dimensione nazionale non perde di senso ma acquista un senso nuovo, poiché si sviluppa in relazione con soggetti transnazionali. Nello specifico la cultura giornalistica che caratterizza questo spazio ibrido continua a mantenere dei tratti intrinsecamente nazionali ma, per essere colta in tutti i suoi aspetti, deve essere considerata anche nella sua dimensione transnazionale, cioè nel suo svilupparsi anche a partire dalle scelte e dalle routines produttive dei corrispondenti e dei giornalisti degli uffici centrali delle news organization panarabe. Anche queste news organization infatti partecipano alla costruzione del racconto giornalistico nazionale con cui giornalisti, pubblico e soggetti politici si confrontano. Si tratta di una riflessione che non si discosta molto da quella che Tomlinson (1999) definisce “deterritorialization of culture”, laddove in questo caso la cultura è una cultura professionale. Un’analisi di questo tipo deve dunque necessariamente considerare la cultura professionale nel suo sviluppo a partire dalla relazione tra sistema mediatico e sistema sociopolitico nazionale per poi includere, attraverso un approccio transnazionale, anche una dimensione ibrida. Si tratta di una dimensione che si sviluppa nella negoziazione con il prodotto informativo delle grandi news organization satellitari panarabe e con i loro uomini. La lezione degli studiosi della globalizzazione invita a cogliere i sistemi nazionali come sistemi aperti, all’interno dei quali si “innestano” soggetti esogeni. Pertanto si pone con forza il tema dell’adozione di un approccio d’analisi transnazionale. 1.3 L’approccio transnazionale Il transnazionalismo è una delle caratteristiche fondamentali della globalizzazione, l’idea che si sviluppino non solo rapporti economici tra realtà che valicano i confini nazionali ma anche spazi di relazione e costruzione di identità “transnazionali” è alla base delle teorizzazioni dell’idea di “global cultural economy”, elaborata da Arjun Appadurai (1990, 1995). Queste teorizzazioni pongono sfide interessanti agli scienziati sociali che devono elaborare nuovi framework d’analisi per cogliere questa dimensione transnazionale della contemporaneità. È una questione con cui si sono confrontati soprattutto gli antropologi14 ragionando attorno all’elaborazione di una Transnational Anthropology. Il problema che si sono posti alcuni antropologi (Glick Schiller 1992, Vertovec 1999; Riccio 2000; Gardner e Grillo 2002) è quello di coniugare il metodo etnografico con il transnazionalismo: ovvero come realizzare etnografie in una realtà caratterizzata da reti transnazionali. Proprio questa letteratura, che si inscrive 13 Secondo una ricerca dell’Arab Advisor Group di Amman realizzata tra il novembre 2004 e il gennaio 2005 su un campione di 500 persone residenti nell’area della Greater Cairo; circa il 60% dichiarava di possedere un’antenna satellitare e l’88% di questi di considerare Al Jazeera la propria fonte principale di notizie. 14 Ulf Hannerz in Flow, boundaries and Hibrids: keywords in Transnational Anthropology (1997) individua proprio nei tre concetti di “flusso”, “confine” e “ibrido” le basi della Transnational Anthropology. 28 prevalentemente all’interno degli studi di antropologia della migrazione,15 si interroga con particolare attenzione attorno all’idea di transnazionalismo. Molti antropologi si trovano d’accodo sul fatto che la novità dell’epoca della globalizzazione non sia tanto quella della creazione di relazioni transnazionali, quanto la rapidità con cui queste reti si sviluppano e l’intensità dei legami transnazionali: Il transnazionalismo (inteso come reti a lunga distanza) certamente precede la “nazione”. Ma oggi queste reti, interazioni, scambi e mobilità, funzionano intensamente ed in tempo reale (Vertovec 1999 pag. 447) Si tratta di quella che David Harvey ha definito efficacemente “compressione spaziotempo”16. Le conclusioni a cui gli antropologi arrivano, considerano il transnazionalismo come un fenomeno nel quale i migranti, attraverso le loro attività quotidiane, relazioni sociali ed economiche, creano campi sociali che attraversano i confini nazionali e fanno incontrare due società in un unico campo sociale. Adottare un approccio transnazionale nello studio di una comunità migrante significa dunque sviluppare la consapevolezza che lo studio non si può esaurire nella dimensione locale e che deve considerare anche la dimensione transnazionale che caratterizza tale comunità. Una consapevolezza che ha portato molti di questi antropologi (ad es. Riccio 2000 e Mand 2006) a condurre etnografie multisituate. Questa “consapevolezza transnazionale” può essere molto utile fuori dagli studi antropologici e si rivela preziosa anche per studiare la cultura giornalistica araba contemporanea. Per studiare tale cultura è infatti necessario individuare un nuovo framework analitico. L’obiettivo di questo studio è mostrare come la “comunità professionale” dei giornalisti di un paese arabo si estenda oggi anche al di fuori dei suoi confini nazionali e includa i giornalisti in house17 e i corrispondenti delle all news panarabe. Ecco allora la necessità di una ricerca multisituata, che si sviluppi anche nelle newsroom delle principali emittenti panarabe. Questo per analizzare se e come i giornalisti di queste emittenti transnazionali siano in qualche misura coinvolti nel processo di negoziazione della cultura professionale dei giornalisti che lavorano all’interno dei singoli sistemi nazionali. Come per i fenomeni migratori, anche per quanto riguarda i sistemi giornalistici non è una novità che si sviluppino relazioni transnazionali o che si possano invidiare caratteristiche ibride nelle culture professionali nazionali, ovvero che si creino “comunità immaginate” per dirla con Anderson (1991). L’idea che esistano caratteristiche comuni nei “giornalismi arabi”, sviluppatisi all’interno di analoghi contesti culturali e politici, non è nuova18, così come non è nuova l’idea di uno scambio di news e prodotti informativi tra i paesi della regione19. Quello L’analisi dei flussi migratori, delle reti transnazionali e della costruzione da parte dei migranti di “campi sociali” transnazionali (fenomeni che sono strettamente collegati alla globalizzazione) ha posto gli antropologi della migrazione di fronte alla necessità di elaborare una nuova concettualizzazione della disciplina e dei suoi strumenti di ricerca: un’antropologia transnazionale. 16 Nel famosissimo e citatissimo testo The conditon of Postmodernity del 1989. 17 I giornalisti che lavorano nelle newsroom centrali di questi canali. 18 Cfr. N. Mellor The making of the arab news Rowman & Littlefield, 2005. 19 I paesi della Lega Araba hanno lavorato fino dalla metà degli anni cinquanta alla costruzione di un’organizzazione regionale che si occupasse di broadcast e, già nel 1965, la quasi totalità degli stati membri aveva 15 29 che cambia è il fatto che non si possa più parlare soltanto di influenze di lungo periodo: nei sistemi nazionali dell’informazione giornalistica nel mondo arabo oggi convivono simultaneamente con i newsmedia nazionali anche news organization transnazionali panarabe. In questa compresenza di soggetti nazionali e panarabi si crea una nuova situazione che potremmo definire “transnazionalismo velocizzato”. Per questo è così importante adottare un approccio transnazionale nello studio dello spazio dell’informazione che caratterizza oggi gli stati del medioriente arabo e della cultura giornalistica che li abita. A differenza di quanto hanno fatto la maggior parte degli studi su media e globalizzazione, almeno quelli di “prima generazione” (ad es. Tunstall 1977, McBride et al. 1980), questo studio non si occupa di relazioni “centro-periferia”, ma di relazioni “all’interno della stessa periferia”. Si tratta di quella che Sinclair (Sinclair et al.1996) ha definito “sfera geolinguistica comune”. Tuttavia questa ricerca si può considerare parte degli studi sulla globalizzazione in nome della metodologia proposta e degli interrogativi che si pone. D’altro canto, come rileva Kai Hafez20, l’esistenza di aree accomunate da una stessa lingua che mantengono un’interconessione privilegiata è una delle caratteristiche fondamentali nell’era della globalizzazione. Internet stesso, presentato come il simbolo della globalizzazione dei media, non è per nulla un’unica rete globale ma è vincolato a differenze linguistiche: nelle parole di Kai Hafez “non esiste un solo internet ma c’è la rete in inglese, la rete in cinese, la rete in arabo etc.” Le barriere linguistiche dunque continuano ad esistere nell’era della globalizazzione e favoriscono relazioni privilegiate all’interno delle stesse aree geolinguistiche. In altri termini: There are natural barriers of language and culture that resist globalization. (Biltereyst, 1992 pag. 517) Al di fuori di una stessa area geolinguistica infatti esistono ancora barriere alla circolazione diretta21 di contenuti mediali, soprattutto rispetto al news content, come sottolinea anche McQuail (2005): Despite the many manifestations of media globalization, there are few media outlets (channels, publication, etc) that actually address a significantly large foreign audience directly (…) We have to consider how far the “foreign” content has been subject to “gatekeeping” controls at the point of import (for instance edited, screened and selected, dubbed or translated, given a familiar context). The main mechanism of “control” is (...) the audience demand for their “own” media content in their own language (pag. 251-252). ratificato la costituzione dell’ASBU (Arab States Broadcast Union) (Boyd, 1999). Già nel 1975 tuttavia, il rapporto riguardo alla situazione di questo sistema denunciò un sostanziale fallimento dello scambio informativo: le notizie erano vecchie e protocollari (Della Ratta, 2000). Le innovazioni teconologiche portarono, nel 1978, alla nascita di Arabvision, sistema di condivisione delle notizie sulla base delle reti di comunicazione spaziale. Se da un punto di vista tecnico quest’innovazione fu un notevole passo avanti, non fu così da un punto di vista qualitativo: la difficoltà di proporre un’informazione sulla base di “valori arabi comuni” fu accompagnata da una profonda diffidenza e paura nei confronti della circolazione di notizie (Valeriani, 2005). 20 Paper presentato nel corso del ciclo CAMRI Seminars, University of Westminster, Londra, Gennaio 2006. 21 Altro è il discorso per quanto riguarda la circolazione indiretta, attraverso le grandi news agency, che traducono direttamente o attraverso le agenzie nazionali i propri materiali. Traduzione che non è invece necessaria per i materiali video. 30 Proprio quest’ultima parte della riflessione di McQuail è particolarmente significativa per spiegare la rilevanza di questo studio all’interno delle dinamiche della globalizzazione: nel contesto del mondo arabo, news organization transnazionali soddisfano oggi le richiesta di news dei diversi pubblici nazionali in una lingua comprensibile in tutta la regione e secondo standard professionali sicuramente più elevati di quelli dei media nazionali. Per questo è interessante investigare le relazioni che si creano e gli spazi di negoziazione che si aprono tra soggetti nazionali e soggetti transnazionali. Si tratta infatti di relazioni che si sviluppano all’interno della stessa area geolinguistica e all’interno di una regione caratterizzata da una matrice culturale e religiosa comune. Questo, da un certo punto di vista, determina per i giornalisti dei media nazionali una minore diffidenza e maggiore disponibilità al “dialogo” ma, allo stesso tempo, dà origine o supporta resistenze e “nazionalismi professionali”. Ovviamente anche il sistema del giornalismo arabo non é immune da influenze completamente esogene: il giornalismo occidentale, e in particolare quello anglosassone, esercita un’influenza sulla definizione e ridefinizione della cultura giornalistica nei paesi del mondo arabo, come lo esercita in tutto il mondo (cfr. Golding 1977). 1.4 La cultura giornalistica: definizioni e problematiche d’analisi Il concetto di “cultura giornalistica” è stato presentato come il focus di questo studio, il terreno sul quale si sperimenterà un approccio transnazionale allo studio dei sistemi dell’informazione giornalistica del mondo arabo. L’idea è quella che possa essere interessante analizzare che tipo di cultura professionale si sviluppi nel contesto di “transnazionalismo velocizzato” che caratterizza oggi il medioriente arabo. Un contesto nel quale, non solo i sistemi nazionali dell’informazione sono soggetti a relazioni e a influenze indirette da parte di soggetti esogeni, ma dove news organization transnazionali entrano nel sistema delle news nazionali come competitor diretti. Il concetto di “cultura giornalistica”, pur assumendo denominazioni lievemente diverse, come evidenziato anche da Haniztsch (2006), ricorre in moltissima letteratura: “journalism culture” (Campbell 2004 pag.80; Gurevitch e Blumler 2004 pag. 337), “journalistic culture” (Donsbach e Patterson 2004 pag. 252; Hollifield, Kosicki e Beker 2001 pag. 112), “news culture” (Deuze 2005), “newspaper cultures” (Knot, Karol e Meyer 2002 pag. 26) o “culture of news production” (Shudson 2003 pag.186). Queste definizioni sono però utilizzate all’interno di teorizzazioni tra loro non necessariamente concordi. Quello che si intende fare qui è scomporre il concetto di “cultura giornalistica” in modo da arrivare a darne una definizione operativa. In questo senso si intende rispondere alle seguenti domande: Cosa significa parlare di cultura giornalistica? Chi abita questa cultura gior- 31 nalistica22? Ha senso parlare di cultura giornalistica nazionale? Che significa adottare un approccio transnazionale nello studio della cultura giornalistica? Al di là delle molteplici declinazioni che il concetto ha assunto, l’idea di “cultura giornalistica” è stata elaborata nel tentativo di dare conto della diversità culturale23 dei valori e delle pratiche giornalistiche. L’idea di pensare al giornalismo in termini di “cultura” deriva da una sintesi di differenti approcci teorici, tra cui quello della sociologia della cultura, del costruttivismo, dell’antropologia delle forme simboliche e ovviamente dei cultural studies. Come evidenzia Zelizer (2005): An emphasis on culture forces consideration of different sides of the journalistic world are common to mainstream news scolarship. Attention to the collective codes of knowledge and the belief systems by which journalists are presumed to make sense of the world has its roots in an array of academics arenas, including early work in humanistic sociology (Berger, 1963; Park 1925, 1940), symbolic interactionism (Blumer, 1969) and cultural anthropology (Geertz, 1973, Lukes, 1975). Each points in different ways to the utility of using culture to understand journalism, both as a frame of mind and as patterned conduct. (pag.199) Investigare la particolare condizione in cui si trovano oggi i sistemi dell’informazione giornalistica nel medioriente arabo è l’obiettivo generale di questa ricerca. Nello specifico si intende qui adottare una prospettiva fenomenologica che consideri in che maniera, in questa particolare situazione, i giornalisti negozino i valori e le pratiche della propria professione, e in che maniera costruiscano e ricostruiscano la propria comunità professionale. In questo senso, analogamente a quanto hanno sostenuto i Cultural Studies inglesi, è più importante il processo di ridefinizione del risultato. Secondo la prospettiva proposta da Ang (1996) infatti: Cultural Studies is interested in historical and particular meanings rather than in general types of behaviour, it is process-oriented rather than result-oriented, interpretative rather than explanatory (pag. 134) Non soltanto i ricercatori che aderiscono alla visione dei Cultural Studies inglesi hanno utilizzato un approccio di questo tipo nello studio del giornalismo. In ambito italiano, ad esempio, Carlo Sorrentino (2002) ha definito il giornalismo come: un prodotto culturale realizzato attraverso una fitta negoziazione che avviene e si definisce in specifici contesti sociali (pag. 9) Si tratta di un’espressione utilizzata da Zelizer (2005, pag. 199) e che qui vuole significare: in che maniera si possono considerare i giornalisti a partire dall’idea di cultura giornalistica? Che cosa significa adottare la prospettiva della “cultura” nello studio della professione? 23 Diversità o somiglianze. Ultimamente soprattutto parecchi ricercatori hanno cominciato a parlare dell’esistenza di una “global journalistic culture” (ad es. Reese 2001). Si tratta di un concetto molto interessante, soprattutto nell’ottica degli studi sulla globalizzazione, ma allo stesso tempo a nostro avviso può essere un concetto pericoloso e limitante perché rischia di far perdere di vista i particolarismi e le resistenze alle spinte omogeneizzanti. 22 32 insistendo, in questo modo, sul carattere negoziale del giornalismo e sulla natura contestuale di tale negoziazione. Si tratta di una riflessione molto preziosa perché, a partire da essa, è possibile affermare che la natura del processo di negoziazione dipende strettamente dai soggetti24 coinvolti. Tra tali soggetti, i giornalisti, che “attraverso le professionalità impiegate definiscono i contenuti informativi” (ibidem, pag. 11), assumono un ruolo centrale. Nel contesto del mondo arabo contemporaneo si tratta dunque di ragionare attorno alla negoziazione di valori e pratiche professionali, ma si tratta anche di considerare se esista una negoziazione intra-professionale tra i giornalisti delle news organization nazionali e quelli delle news organization panarabe. All’interno di tale contesto infatti l’elemento di novità è caratterizzato dall’arrivo di news organization panarabe che, almeno potenzialmente, fanno riferimento ad altri valori e ad altre pratiche rispetto a quelle dei media nazionali. Valori (idee) e pratiche sono peraltro alla base del paradigma culturalista così come lo definisce uno dei fondatori della Scuola di Birmingham, Stuart Hall (1980), secondo cui la cultura è costituita da questi due elementi: le idee sono le convenzioni e le norme attraverso cui una comunità condivide e rende attivi i significati mentre, attraverso il concetto di pratiche, si intende la cultura come ciò che si intesse attraverso le pratiche sociali e rappresenta la somma delle loro relazioni. Al paradigma culturalista dei Cultural Studies si può affiancare quello strutturalista secondo cui (Hall, ibidem) i significati sono una produzione sociale: un significato dominante è prodotto attraverso la regolare marginalizzazzione e delegittimazione di costruzioni alternative e la regolare legittimazione del significato dominante. Come fa notare McMillin (2007): The culturalist and the structuralist paradigms of cultural studies offered international media scholars a framework to examine how culture was articulated in a society and how it changed and was changed by its political, economic, and social structure. (pag. 49) Anche quando si fa riferimento alla cultura giornalistica è fondamentale considerare come essa si articoli e si sviluppi all’interno di un determinato sistema sociopolitico ed economico. Questa ricerca tuttavia si fonda sull’ipotesi che il sistema nazionale non sia un sistema chiuso e possa diventare parte di uno spazio ibrido, abitato da una cultura giornalistica che, pur mantenendo una forte caratterizzazione nazionale, viene negoziata anche assieme a soggetti transnazionali. Continuando con le sollecitazioni che provengono dai Cultural Studies risulta utile far riferimento al concetto di ideologia25. È sulla base di esso infatti che sono state elaborate le teorizzazioni di molti di coloro che si sono occupati della definizione di “cultura giornalistica” 24 Secondo Sorrentino tale negoziazione non coinvolge soltanto i giornalisti ma anche le fonti, ovvero “quei soggetti pubblici e privati, individuali e collettivi, protagonisti delle azioni sociali di cui parla il giornalismo” (2002, pag. 11) e pubblico dei riceventi “che esponendosi o meno a tali prodotti ne sottolinea l’interesse e il gradimento e costruisce nella vita quotidiana (…) la sfera pubblica, generatrice dei climi d’opinione” (ibidem). 25 I Cultural Studies riprendono a loro volta questo concetto soprattutto dal pensiero di Antonio Gramsci che lo sviluppa nei Quaderni del Carcere (presentati per la prima volta nella loro integrità e composizione cronologica nel 1975 nell’edizione a cura di V. Gerratana, torino: Einaudi). 33 (ad es. Deuze 2005 e Hanitzsch 2006). Hanitzsch, ad esempio, nella presentazione della sua ricerca sulla cultura giornalistica indonesiana scrive: One guiding assumption of this research is that culture could be deconstructed in terms of ideology. Ideologies are organized thoughts which form internally coherent ways of thinking and manifest as set of values, orientations and predispositions. Professional ideologies are the more or less conscious views shared by either all members of a particular profession or a subpopulation of this profession. The term professional ideology thus describes the values, orientations and predisposition of a group of professionals and is, therefore, a macro-level concept (pag. 174) Da queste parole emerge chiaramente come considerare il giornalismo un’ideologia significhi essenzialmente analizzare il modo in cui i giornalisti stessi danno significato al loro lavoro. In questo senso risulta fondamentale analizzare come viene gestito e negoziato il “potere” di stabilire che cosa si possa definire come “vero” giornalismo, o giornalismo di qualità. Carlo Sorrentino(2006), a partire dalla definizione di “campo” di Bordieu, ha mostrato come la definizione di “campo giornalistico” sia oggetto di una continua rielaborazione e come, soprattutto negli ultimi anni, questo “campo” sia caratterizzato da un significativo allargamento. Deuze (2005) sostiene che “il giornalismo si reinventa in continuazione” (pag. 445) e che i giornalisti negoziano i valori e le pratiche fondanti della loro professione ad ogni “passo” della loro vita professionale. Un’interessante operativizzazione di questa idea è stata proposta da Hanitzsch (2007) nell’ambito del progetto di ricerca Worlds of Journalisms.26 Egli scompone il concetto di Journalism culture attraverso una serie di indicatori che fanno riferimento al ruolo che i giornalisti identificano come proprio all’interno di un sistema sociopolitico, ai fondamenti epistemologici della cultura professionale e ai principi etici che i giornalisti condividono. Si tratta di una classificazione interessante, ma fortemente concentrata sulla dimensione “valoriale” della cultura giornalistica tralasciando invece l’aspetto legato alle pratiche professionali. È al contrario indispensabile considerare anche le pratiche di newsmaking che connotano le differenti organizzazioni editoriali dei news media presenti all’interno di un sistema dell’informazione. È una visione concorde con quella proposta da Mauro Wolf (1985) che, pur separando la cultura professionale da quelle da lui definite “convenzioni professionali che determinano la definizione di notizia e legittimano il processo produttivo”27, afferma: L’intreccio tra caratteristiche dell’organizzazione del lavoro negli apparati dei media ed elementi della cultura professionale è assolutamente stretto e vincolante, ed esso definisce appunto l’insieme di caratteristiche che gli eventi devono possedere (o presentare agli occhi dei giornalisti) per poter essere trasformati in notizie. (pag. 190) 26 On line alla pagina www.worldsofjournalisms.org. Si tratta di un progetto di impostazione comparativa che intende analizzare le culture giornalistiche di Brasile, Bulgaria, Cina, Germania, Indonesia, Israele, Russia, Romania, Spagna, Svizzera, Turchia e Uganda. 27 Dall’uso delle fonti, alla selezione degli eventi, alle modalità di confezione delle notizie. 34 Si tratta in realtà di un modo differente per parlare di “valori” e “pratiche”. Per tanto questi due aspetti possono essere riuniti all’interno di una visione più ampia della cultura giornalistica, una visione che rimanda al concetto di “struttura informale”28 di un sistema dell’informazione giornalistica. Lo scienziato politico Immanuel Wallerstein (1991) ha definito la cultura in questo modo: “a way of summarizing the ways in which groups distinguish themselves from other groups” (pag. 159) In questo senso la definizione di una cultura giornalistica acquisisce un ruolo fondamentale nella determinazione dei confini della comunità dei giornalisti. A questo proposito Barbie Zelizer (1997) ha sostenuto che limitarsi a definire il giornalismo semplicemente come una professione, rappresenti una maniera restrittiva di definire la pratica giornalistica e la comunità giornalistica. Secondo Zelizer infatti, sarebbe molto più produttivo trovare una cornice che spieghi il giornalismo concentrandosi sulle modalità attraverso cui i giornalisti stessi danno forma alla loro comunità. Tale ambito, secondo la ricercatrice americana, può essere individuato nell’idea di “interpretative community”, una modalità di concettualizzare la comunità giornalistica non attraverso gli strumenti offerti dagli studi sui media e sul giornalismo ma attraverso quelli “dell’antropologia, del folklore e degli studi letterari” (pag. 223): Interpretative communities display certain patterns of authority, communication and memory in their dealings with each other (Degh, 1972). They establish conventions that are largely tacit and negotiable as how community members can recognize, create, experience, and talk about text. Questo approccio, secondo Zelizer, suggerisce l’idea che le comunità si sviluppino meno attraverso training e un’educazione rigidamente codificata, come risulterebbe ovvio considerando un “frame professionale”, e di più attraverso le relazioni informali che si costruiscono attorno a significati condivisi: Journalists as an interpretative community are united through their collective interpretation of key public events. The shared discourse that they produce is thus a marker of how they see themselves as journalists (ibidem). L’idea di considerare i giornalisti come una comunità interpretativa può essere doppiamente utile nell’elaborazione del framework d’analisi adatto al giornalismo arabo contemporaneo. Innanzitutto perché suggerisce l’idea di considerare la “dimensione discorsiva” dello sviluppo della cultura giornalistica, ovvero la maniera in cui i giornalisti parlano di se stessi e della loro professione. In secondo luogo perché sottolinea l’importanza di concentrarsi anche sulle relazioni e sui rapporti informali tra giornalisti, osservando quali reti di rapporti si creino tra giornalisti appartenenti a news organization differenti, al di fuori di legamipiù strutturati, an- 28 Il concetto, elaborato da Voltmer (2000) sulla base di Easton (1990) è già stato introdotto. 35 che nel semplice scambio di informazioni o negli incontri sui “luoghi delle notizie”, o nel modo in cui vengono elaborate “memorie collettive”: Through channels like informal talks, professional and trade reviews, professional meetings, autobiographies and memoirs, interviews on talk shows and media retrospectives, they create a community through discourse. (Zelizer, ibidem) Da tutte queste considerazioni emerge chiaramente come il fatto di chiamare in causa l’idea di “cultura giornalistica condivisa” non significhi necessariamente parlare di una cultura omogenea, ma sia piuttosto corretto parlare di differenti e coesistenti culture giornalistiche all’interno di uno stesso sistema. Nel contesto del mondo arabo contemporaneo, i sistemi nazionali dei media sono intersecati da news organization transnazionali: questa intersezione determina un nuovo livello di influenza e un nuovo spazio di negoziazione della cultura/culture giornalistica. 1.5 Il giornalismo come negoziazione e il ruolo dei giornalisti nella società Definire il giornalismo come prodotto culturale, che ricostruisce la realtà sulla base di una negoziazione permanente e circolare fra i vari attori sociali che a diverso titolo –e talvolta svolgendo anche più parti- incidono sulla sfera pubblica, significa sottolineare il carattere processuale e continuamente mutevole di tale prodotto. (Carlo Sorrentino 2002, pag. 11) Questa definizione si concentra sul carattere negoziale e mutevole del prodotto culturale giornalismo. Sono due elementi centrali nella visione del giornalismo che guida questa ricerca e, seppur pensati sulla base dell’osservazione delle dinamiche che caratterizzano il giornalismo nelle società occidentali, possono essere molto utili anche per l’analisi delle trasformazioni che stanno interessando i sistemi dell’informazione nel mondo arabo. In tale contesto infatti i regimi di governo hanno storicamente mantenuto un ruolo assolutamente preminente all’interno di questa negoziazione (Valeriani, 2005). Si tratta di un ruolo di “controllo” che, pur essendo esercitato in maniera differente nei diversi paesi arabi29, ha fatto sì che il peso dei soggetti governativi nell’orientare la “ri-costruzione” giornalistica della realtà sia stato, fino ad oggi, assolutamente non paragonabile a quello degli altri attori sociali. Questo tuttavia non significa che non esista negoziazione perché, dal momento che esistono forme di relazione tra gli attori sociali, esistono necessariamente spazi di negoziazione del significato di tale relazione e il racconto giornalistico è uno di questi. Il pubblico dei riceventi può rifiutarsi di dare credito a quanto riportato dai media, può reagire negativamente all’eccessiva presenza di fonti ufficiali sui media, può cercare di avere informazioni altrove, attraverso le “voci” che si sviluppano o attraverso prodotti informativi provenienti dall’estero. Allo stesso modo i giornalisti, nel momento in cui compiono il loro lavoro di mediazione, agiscono sugli stimoli che ricevono dai soggetti governativi: due giornali, entrambi finanziati Rugh (2004) suddivide i paesi arabi in quattro gruppi: Mobilized press, Loyalist press, Diverse press, Transitional press a seconda del tipo di rapporto che i governi intrattengono con la stampa. 29 36 dal governo, all’interno dello stesso paese, non escono mai esattamente identici. Può poi succedere che in alcuni casi i giornalisti vadano “oltre la linea”, che cerchino di nascondere critiche al governo tra le righe oppure, al contrario, che si autocensurino in maniera eccessiva. In altri casi è possibile che un singolo giornalista riesca ad acquisire un grande potere personale e dunque possa esercitare un maggiore potere negoziale nel processo di ri-costruzione giornalistica della realtà: in Egitto, ad esempio, è stato il caso di Mohamed Hassanein Haikal30 durante gli anni di Nasser (Dabbous 1993). Insomma il processo di costruzione del giornalismo come prodotto culturale è sempre caratterizzato da una complessa attività di negoziazione, a prescindere dal fatto che tutti i soggetti della sfera pubblica abbiano o meno lo stesso potere negoziale. Il secondo elemento su cui la definizione del giornalismo di Sorrentino ci richiama è quello che ha che vedere con il carattere continuamente mutevole del giornalismo come prodotto culturale. Esso è mutevole perché frutto di una negoziazione i cui esiti non sono mai certi: possono mutare le relazioni tra i soggetti che partecipano alla negoziazione o mutare la natura di tali soggetti. Il mutare della struttura del sistema di mediazione (il sistema dell’informazione giornalistica) può determinare dunque una trasformazione nell’intensità e nelle forme di relazione tra i soggetti sociali da cui scaturisce giornalismo in quanto prodotto sociale. Questa affermazione è coerente con quanto sostiene Sorrentino (ibidem): Concepire una dimensione negoziale della comunicazione, basata sull’interdipendenza fra soggetti e sul riconoscimento della ricordata appropriazione adattiva e contestualizzata dei contenuti da parte dei riceventi, significa invece immaginare la sfera pubblica come un luogo in cui lo scambio delle idee non è così meccanicamente determinato e segue percorsi di sviluppo e d’affermazione in cui i differenti attori e le diverse organizzazioni sociali coesistono e reciprocamente si influenzano (pag. 32). Ovviamente in un’area che continua ad essere caratterizzata da sistemi politici di natura autoritaria, è molto difficile che una sostanziale trasformazione nel sistema dei media possa essere realizzata senza che il regime ne abbia valutato, almeno teoricamente, gli effetti sul suo ruolo di “controllo” nella ri-costruzione giornalistica della realtà. Tuttavia anche i regimi possono sbagliare valutazioni, essere costretti da pressioni interne o esterne31, oppure decidere in 30 Haikal, grande amico del presidente Nasser, fu il direttore del principale quotidiano egiziano Al Ahram durante buona parte della presidenza del Colonnello. Haikal aveva in quel periodo un grande potere personale ed era l’unico giornalista che si poteva permettere di criticare apertamente alcune delle scelte politiche del regime nasseriano. Il potere di Haikal fu notevolmente ridimensionato durante la presidenza di Sadat. 31 Le pressioni interne possono arrivare da businessman importanti e politicamente influenti interessati a investire in nuove operazioni nel mercato dei media, oppure possono arrivare da settori della società civile. Le pressioni internazionali possono venire da soggetti politici dai cui aiuti il regime dipende in maniera sostanziale: ad esempio le pressioni statunitensi nei confronti dell’Egitto affinché operi un’apertura democratica possono trovare risposta in una parziale liberalizzazione del mercato dei news media; in secondo luogo si può trattare di pressioni che vengono dal mercato internazionale dei media: laddove si affermano newsorganization panarabe come Al Jazeera e Al Arabiya è possibile che i regimi siano spinti a modificare la struttura del sistema dei news media nazionali per “rispondere” in qualche modo all’invasione. 37 maniera più o meno compatta che per la propria sopravvivenza sia necessario ridefinire il ruolo32 esercitato nei confronti del sistema dei media dell’informazione. La ricostruzione giornalistica della realtà è dunque il frutto di un processo negoziale e mutevole anche all’interno di regimi autoritari. L’idea di concentrasi sulle trasformazioni dovute alla presenza di soggetti mediatici transnazionali che si determinano in un sistema caratterizzato dall’autoritarismo diviene, in quest’ottica, rilevante. Si tratta infatti di una situazione estremamente particolare proprio nella prospettiva di un approccio costruttivista e fenomenologico alla società: concentrandosi sulla dimensione della relazione e dell’interazione tra gli attori nuovi e vecchi che popolano il sistema sociale si può vedere se e come, all’interno di un nuovo contesto, si verifichino trasformazioni nelle possibilità d’azione dei diversi soggetti presenti. Questo può significare prendere in considerazione le relazioni tra attori ufficiali, mediatori e pubblico, oppure concentrarsi sui mediatori, i giornalisti, individuando nel loro ruolo un’istituzione centrale del processo di negoziazione tra i diversi soggetti sociali: Il giornalismo è venuto a costituire un’istituzione fondamentale nelle nostre società, volto alla mediazione culturale, contestualmente all’evoluzione del processo d’individualizzazione e alla nascita e all’affermazione della sfera pubblica nelle società moderne (Sorrentino ibidem, pag. 14). L’idea che muove questa ricerca è quella che focalizzarsi sui giornalisti debba necessariamente essere il primo passo nell’analisi degli effetti sociali della “rivoluzione Al Jazeera”, proprio in quanto essi svolgono il ruolo di mediatori tra officials33 e opinione pubblica. Se è vero che l’ingresso nei sistemi nazionali dell’informazione di newsmedia come Al Jazeera e Al Arabiya rappresenti un elemento con cui tutti i soggetti sociali devono confrontarsi, a maggior ragione si tratta di un fenomeno che riguarda intrinsecamente il giornalismo e con cui i giornalisti in primis devono confrontarsi. È estremamente rilevante comprendere in che misura i giornalisti, che sono già impegnati in un processo di negoziazione del “prodotto” giornalismo, siano impegnati anche in una rinegoziazione della propria cultura professionale, frutto del confronto con queste news organization panarabe. Se immaginiamo che al giornalismo sia affidato il compito di conoscenza e di ricostruzione della società34, allora concentrarsi sui suoi effetti “intraprofessionali” è il primo passo obbligato per valutare gli effetti sociali della “rivoluzione Al Jazeera”. 32 Ovviamente un regime autoritario mantiene sempre la possibilità di recuperare il controllo sull’interno processo di negoziazione almeno a posteriori: in Egitto il permanere delle Leggi d’emergenza in vigore dall’assassinio di Sadat nel 1980, così come il codice penale autorizzano l’arresto nei confronti di chiunque mini la stabilità del paese. Questo sistema rappresenta una perenne “spada di Damocle” sulle teste dei giornalisti. 33 Le fonti di informazione possono anche essere soggetti privati, collettivi o individuali, tuttavia soprattutto all’interno dei sistemi politici autoritari che caratterizzano i paesi del medioriente arabo i protagonisti delle azioni sociali di cui parla il giornalismo sono soprattutto soggetti pubblici. 34 In tal senso Sorrentino (2002, pag.10), riprendendo Berger e Luckmann (1969, p.104), afferma che: “più che rispecchiare la realtà il giornalismo costruisce una realtà seconda. Come ricordano Berger e Luckmann, la conoscenza della società –ed è indubitabile che il giornalismo serva proprio ad effettuare tale conoscenza- è “una rea- 38 Il giornalismo in quanto prodotto culturale si trasforma continuamente: The only certanin thing is that journalism, like all cultural forms, has been changing and evolving since its emergence, paralleling changes in the environment within which it is practiced (McNair 2005, pag.39) e parallelamente si trasforma la cultura professionale che è frutto di influenze che si dispiegano a vari livelli. È dunque necessario capire innanzitutto cosa succede ai mediatori dell’informazione. Questa è la sollecitazione che questo studio pone a ricerche future sull’argomento. lizzazione nel doppio senso della parola, nel senso della percezione della realtà sociale oggettivata, e nel senso dell’ininterrotta produzione di questa realtà””. 39 Un modello ibrido per studiare il giornalismo arabo contemporaneo 2.1 Le logiche dello spazio transnazionale Studiare le trasformazioni che stanno caratterizzando il giornalismo arabo in questa fase di “transnazionalismo velocizzato” pone una serie di sfide importanti. Ragionando attorno ad alcuni concetti centrali per i journalism studies si è cercato di mostrare come sia necessario ridefinire una struttura teorica e un modello analitico in grado di cogliere tali dinamiche di trasformazione, oltre al contesto all’interno del quale tali dinamiche avvengono. La questione centrale che si pone oggi nello studio del giornalismo arabo sta nella relazione tra sistemi nazionali e spazio transnazionale dell’informazione panaraba. Qualsiasi aspetto del giornalismo arabo contemporaneo si voglia considerare non si può prescindere da un confronto con questa peculiare condizione. Se sistemi nazionali dell’informazione caratterizzati da un rigido controllo governativo si trovano a fare i conti con “un’intrusione” così dirompente come quella delle all news satellitari panarabe (Sakr, 2001) è evidente che chi fa ricerca non può ignorare un mutamento così significativo dell’ambiente su cui intende lavorare. La questione centrale che si pone riguarda la necessità di considerare l’esistenza di nuovi sistemi “ibridi” che vedono coinvolti tanto soggetti endogeni quanto soggetti esogeni al sistema nazionale dell’informazione. In Figura n.1 è ricostruita graficamente la struttura di un sistema ibrido dell’informazione giornalistica nel contesto arabo. Impostare un’analisi del giornalismo arabo contemporaneo sulla base dell’ipotesi dell’esistenza di sistemi di questo tipo significa ritenere che essi si sviluppino non soltanto nella relazione tra sistemi politici nazionali e sistemi nazionali dell’informazione, ma anche nella relazione tra questi sistemi e il sistema transnazionale dei newsmedia panarabi. Come funziona questo sistema di relazioni? La relazione tra il sistema politico nazionale ed il sistema nazionale dell’informazione continua a mantenere la sua centralità, tuttavia tanto il primo quanto il secondo subiscono e impongono, con intensità e modalità diverse, pressioni dirette da e verso il sistema dei media panarabi. 41 Per spiegare come ciò accada è opportuno fare qualche esempio per ognuna di queste modalità relazionali. I sistemi nazionali dell’informazione subiscono pressioni da parte dei media panarabi sulla base della capacità di questi ultimi di fornire le stesse informazioni, nella stessa lingua, allo stesso pubblico ma con risorse economiche, professionali e di libertà editoriale maggiori. Questo implica la necessità della definizione di strategie editoriali che cerchino di rispondere a tale invasione di campo. Come ha evidenziato Noezold (2007), studiando i casi di Libano e Giordania, una delle principali strategie attuate in questo senso dai media nazionali è la cosiddetta “going local strategy”, ovvero il tentativo di creare una differenziazione focalizzandosi su questioni prettamente locali, difficili da coprire o poco rilevanti per i media panarabi. Dal canto loro i newsmedia panarabi sono portati ad elaborare strategie editoriali che tengano conto anche della competizione con i media nazionali: questo significa per esempio insistere su features che riguardino problematiche sociali, spesso assenti dai media nazionali, oppure su questioni legate agli attriti tra i governi regionali che le redazioni delle news organization nazionali trattano con grande imbarazzo. È d’altra parte possibile rilevare dinamiche relazionali anche tra i sistemi politici nazionali ed i media Panarabi. Le coperture estremamente critiche rispetto all’azione politica di quasi tutti i governi arabi, e in particolare di Marocco, Egitto, Giordania e Arabia Saudita (cfr. Nawawy e Iskandar 2002; Miles 2005; Valeriani 2005) hanno provocato situazioni di tensione tra le opinioni pubbliche nazionali e i regimi, scatenando manifestazioni di piazza e riducendo l’inviolabilità mediatica dei leader politici governativi. Una conseguenza di queste pressioni è stata vista, da diversi ricercatori (crf. Sakr 2001; Valeriani 2005), nelle contenute liberalizzazioni concesse, nell’ultimo decennio, da quasi tutti i regimi arabi ai sistemi nazionali dei news media. L’autorizzazione alla creazione di newsorganization private, così come la concessione di maggiori spazi di libertà editoriale ai media statali, può essere letta anche come un tentativo di bilanciare le “aggressioni” dei media panarabi e recuperare credibilità nella sfera pubblica nazionale. 42 Allo stesso tempo i regimi nazionali hanno sviluppato strategie di pressione nei confronti dei media panarabi e dei loro giornalisti. Da quando Al Jazeera ha cominciato la sua attività, nel 1996, i regimi hanno cercato, in diversi modi, di contenere i rischi per la loro immagine che la presenza di una news organization con newsroom fuori dal territorio nazionale rappresentava. In questo senso i governi nazionali possono intervenire –non soltanto nella relazione con Al Jazeera ovviamente- soprattutto su quel livello che nello schema n.1 è definito “intermedio” e nel quale si collocano gli uffici di corrispondenza dei newsmedia panarabi. Chiusure degli uffici, sequestro di materiali, blocco dei giornalisti alle frontiere, espulsioni, ritiro degli accrediti sono state, in questi anni, le strategie più utilizzate dai governi nazionali nel tentativo di controllare il lavoro dei newsmedia panarabi (Kilani 2004). Senza contare che, proprio per evitare il rischio delle espulsioni, queste newsorganization transnazionali impiegano giornalisti aventi la nazionalità del paese in cui lavorano: in questo modo i corrispondenti non possono venire espulsi ma possono essere vittima di pressioni e intimidazioni. Un esempio estremo delle modalità di intervento adottate dai governi nazionali per evitare le “intrusioni” dei newsmedia panarabi è quello della scelta, da parte del governo algerino di togliere la corrente in tutta la capitale il 27 gennaio 1999. Ciò per impedire che i cittadini assistessero ad un talk show di Al Jazeera, i cui contenuti, visti gli ospiti invitati, sarebbero stati sicuramente critici del regime di Algeri (Nawawy-Iskandar 2002). Quello che sembra configurarsi è un sistema ibrido di relazione tra soggetti nazionali e soggetti transnazionali. Un sistema nel quale giornalisti, soggetti politici e pubblico si trovano negoziare contenuti sociali, politici e culturali in uno spazio che trascende la dimensione nazionale. In Figura N.2 è riportata una vignetta del caricaturista giordano Abu Mahjob che costituisce una rappresentazione iconica di questo sistema ibrido. 43 Non è tanto l’occasione specifica di cui Abu Mahjob intende farsi beffa che interessa, ma piuttosto il fatto che egli in questa vignetta raffiguri graficamente l’opportunità che i media panarabi rappresentano per il pubblico nazionale (impersonificato nel disegno dal lettore di un quotidiano): laddove, per ragioni di censura politica, i media nazionali non danno certe informazioni, è possibile trovarle su queste testate transnazionali. Il personaggio della vignetta sta infatti leggendo un giornale giordano (una testata nazionale) che titola “Il senato rifiuta la legge sulla stampa….”, più in basso però c’è scritto: “per i particolari rivolgersi alla stampa panaraba” e addirittura un piccolo dito di carta esce dalla pagina del giornale per indicare un’edicola dove sono esposti Al Hayat e Al Quds Al Arabi, due dei principali quotidiani panarabi. Si tratta di un’ottima rappresentazione della struttura dei sistemi dell’informazione che caratterizza oggi il mondo arabo. Peraltro questa vignetta ci consente anche di fare riferimento al fatto che, seppure questo studio si concentri soltanto sui broadcaster panarabi, a causa del loro maggiore impatto e possibilità di penetrazione, esistono anche alcuni quotidiani che, analogamente ad Al Jazeera e Al Arabiya, si rivolgono ad un pubblico panarabo e, poiché distribuiti nella maggior parte dei paesi mediorientali, entrano a far parte di questi sistemi ibridi dell’informazione giornalistica. Un’ultima riflessione deve essere fatta a questo proposito: la struttura relazionale definita qui sopra non è immune da influenze indirette da parte di soggetti esogeni alla realtà del mondo arabo. I colossi globali dell’informazione come le grandi agenzie occidentali, network come BBC o CNN e la grande stampa anglosassone rappresentano un’ulteriore possibilità di confronto per i giornalisti arabi, di scelta per il pubblico e di “fastidio” per i regimi. Si tratta tuttavia di influenze fortemente indebolite da ragioni linguistiche e strutturali: difficilmente si potrebbe parlare di relazioni sistemiche in tal senso, se non nell’onnicomprensiva cornice del mondo globalizzato. Applicando il modello sistemico descritto fin qui allo studio delle modalità di elaborazione di una cultura professionale da parte di una “comunità” di giornalisti, si deve ritenere che si crei un sistema laddove esiste uno spazio di negoziazione all’interno del quale tutti i soggetti definiscono i propri valori e le proprie pratiche professionali, anche a partire dalla relazione con tutti gli altri soggetti presenti. La figura N.3 rappresenta una struttura di questo tipo. Nell’ambito di tale sistema i giornalisti che lavorano per i news media nazionali, i corrispondenti dei media panarabi in quel paese e i giornalisti che lavorano nelle newsroom centrali dei media panarabi intrattengono relazioni, dirette o indirette, che li portano a influenzarsi reciprocamente nella ridefinizione continua della propria cultura professionale. Questo modello ibrido d’analisi rappresenta il framework più appropriato per approcciarsi ad una situazione caratterizzata da transnazionalismo velocizzato. Nella pratica tale consapevolezza implica che qualsiasi ricerca legata agli sviluppi del giornalismo, anche all’interno di un singolo paese arabo, deve essere condotta a partire dall’analisi delle caratteristiche dello spazio di relazione tra il sistema politico nazionale, il sistema nazionale dell’informazione e il sistema dei media panarabi. Nello specifico l’analisi dei processi e delle modalità di negoziazione della cultura giornalistica che caratterizza tale spazio ibrido deve essere condotta, come evidenziato in figura N.3, 44 tenendo presente un’ulteriore elemento importante, ovvero il fatto che tale continua rinegoziazione si strutturi anche sulla base degli elementi di lungo periodo che caratterizzano la cultura professionale dei giornalisti. È nell’ambito di questa complessa struttura sistemica che bisogna concentrarsi sulle dinamiche di relazione e negoziazione tra giornalisti nazionali, corrispondenti panarabi e giornalisti panarabi “in house”. 2.2 La cultura giornalistica nel mondo arabo: parametri d’analisi Una volta inquadrato il framework d’analisi è necessario definire una serie di parametri utili per osservare le trasformazioni della cultura giornalistica araba. Tali parametri devono essere elaborati sulla base di quanto teorizzato dalla letteratura che ha approcciato il giornalismo da una prospettiva culturale: dai cultural studies agli studi di matrice costruttivista, all’antropologia delle forme simboliche, alla sociologia delle news. È a partire da tale letteratura infatti che è possibile definire la cultura giornalistica come “struttura informale” di un sistema dell’informazione, una struttura composta di valori e pratiche condivise e continuamente rinegoziate dai mediatori di informazioni che abitano quel particolare sistema. Dalla decostruzione del concetto di cultura giornalistica è possibile, come è stato detto nei paragrafi precedenti, giungere a una bipartizione in valori e pratiche o, come afferma Zelizer (2005), in “frame of mind” e “patterned conduct”. Sulla base di Hanitzsch (2007), Wolf (1985), Zelizer (1997) e alla luce delle specificità del giornalismo arabo (Mellor 2005 e Vale- 45 riani 2005) si possono scomporre operativamente valori e pratiche della cultura giornalistica nelle dimensioni presentate in Tabella n. 1. Tabella n.1 in relazione ai Valori in relazione alle Pratiche -Percezione dei confini della comunità professionale -Natura della relazione con i “luoghi” del potere -Ruolo nella società -Principi etici condivisi e valore dell’obiettività - Nazionalismo, orgoglio Nazionale -Attribuzione dei valori notizia (newsmaking) -Rapporto con le fonti -Organizzazione della redazione e professionalità dei giornalisti Per quanto riguarda i parametri di natura valoriale si pone come elemento fondamentale il tipo di rappresentazione che la comunità dei giornalisti ha di sé e, in particolare, le modalità attraverso cui vengono stabiliti i confini di tale comunità. Stabilire chi sia e chi non sia un giornalista è infatti una questione tutt’altro che scontata. Si tratta di un processo che ha strettamente a che vedere con le caratteristiche di un sistema mediatico e con la relazione che questo ha con il sistema politico. Il fatto di lavorare come mediatori di informazioni tra fonti e pubblico non significa necessariamente essere inclusi –da chi ne fa parte o dal resto della società- all’interno della comunità dei giornalisti, una comunità che, assieme al “campo giornalistico” stesso, è in continua trasformazione (cfr. Deuze 2005 e Sorrentino 2006). A stabilire chi è e chi non è giornalista all’interno di un determinato sistema, e a determinare la percezione che di ciò hanno i giornalisti stessi, concorrono molteplici fattori che devono essere considerati nell’analisi della cultura giornalistica che caratterizza un particolare sistema: le definizioni previste dalla legge, gli statuti degli organismi di categoria, la struttura proprietaria dei newsmedia, le reti di relazioni che si costituiscono o meno tra i mediatori dell’informazione, le narrazioni che i giornalisti, intesi come “comunità interpretativa” (Zelizer 1997), elaborano per fare riferimento a se stessi e al proprio ruolo nella società. Quello che si intende affermare è che stabilire chi sia e chi non sia un giornalista ha strettamente a che vedere con elementi culturali, in senso professionale e in senso più ampio. Un'altra dimensione che deve essere considerata nell’analisi della cultura giornalistica, soprattutto nel contesto del mondo arabo, ha a che vedere con quella che Hanitzsch (2007) definisce “power distance”, e che in Tabella n.1 è definita “relazione con i luoghi del potere”, intesa sia come rapporto che i giornalisti, in quanto categoria, hanno con i centri di potere del sistema politico, sia come il posizionamento dei giornalisti sulla piramide del potere all’interno del sistema sociopolitico. Si tratta dunque innanzitutto di considerare se i giornalisti rappresentino uno “strategic group” o un “contravening group”35 all’interno del sistema 35 Questa distinzione, elaborata dagli scienziati politici tedeschi Gunter Schubert, Rainer Tetzlaff e Werner Vennewald (2004) per analizzare le dinamiche sociali che caratterizzano i processi di democratizzazione, è ripresa da Yorck von Korff nel suo studio sul ruolo svolto dai giornalisti egiziani nel supposto processo di democratizzazione negli anni Novanta. 46 (cfr. Von Korff 2003). Secondo quanto proposto da Von Korff, gli strategic group sono quelli che controllano gli assetti (politici ed economici) strategici di una società. Lo scopo di questi soggetti è la salvaguardia degli equilibri politici ed economici perché questo garantisce il loro potere e da questo il loro potere si può ampliare. I “contravening group” invece sono esclusi dalle posizioni di potere politico e possono, in alcune circostanze, creare conflitti con l’intento di modificare la distribuzione del potere all’interno del sistema36. Una ripartizione di questo genere è particolarmente calzante per la realtà araba, poiché non insiste sui conflitti tra classi sociali, come fa l’approccio marxista, ma consente di cogliere le reti clientelari che si snodano attraverso le classi sociali e che possono coinvolgere soggetti appartenenti a contesti molto diversi ma legati tra loro e, al tempo stesso, alla stabilità di un sistema che garantisce determinati privilegi. Strettamente collegati a questa dimensione ci sono quegli elementi che hanno a che vedere con “il ruolo dei giornalisti nella società”, inteso come il ruolo che i giornalisti ritengono di dover svolgere all’interno di un sistema sociale. In primo luogo è importante definire se da parte dei giornalisti ci sia la percezione di dover esercitare un ruolo “attivo” o un ruolo “passivo” all’interno della società37. Una classificazione ancora migliore, per dare conto di questa distinzione, è quella proposta da Nasser (1983) che, proprio nell’ambito di un’analisi della differente percezione del proprio ruolo sociale tra i giornalisti nei paesi del primo e in quelli del terzo mondo, suddivide in “ruolo educativo” e “ruolo informativo” le rappresentazioni che i giornalisti hanno della propria funzione sociale. Il fatto che i giornalisti ritengano se stessi come educatori, oppure come semplici informatori, mediatori di informazioni, muta la loro percezione del proprio lavoro, degli obiettivi di esso e la relazione che essi ritengono opportuno instaurare sia con le fonti che con il pubblico. La percezione della propria professione come compito attivo, educativo, può poi essere vissuta secondo modalità decisamente contrapposte tra loro. Vediamo di spiegare meglio: i giornalisti possono ritenere sia che il loro “ruolo educativo” debba andare nella direzione della difesa dello status quo oppure, al contrario, della trasformazione sociale e del mutamento. Si tratta di quello che nella letteratura anglosassone viene definito “developmental role of the news” (Mellor 2005). Alla base c’è la volontà di instaurare con il pubblico un rapporto di tipo didattico -per questo si parla di “educatori”- all’interno del quale il giornalista non si occupi soltanto della raccolta delle informazioni importanti per conto dell’opinione pubblica ma agisca direttamente, all’interno degli equilibri sociali, come difensore o come distruttore dello status quo. Al contrario nelle culture giornalistiche che attribuiscono ai giornalisti un ruolo sociale “passivo”, di semplici “informatori”, l’idea che essi prevedano di valutare le proprie azioni sulla base degli effetti che esse potrebbero avere, in senso costruttivo o distruttivo, sulla sta- 36 Si tratta di una distinzione che per certi versi ricorda quella di Antonio Gramsci tra “Gruppi Egemonici” e “Gruppi Contro Egemonici” anche se, come diremo nel testo tra breve la divisione in “strategic” e “contravening group” è meno legata al pensiero marxista di quella gramsciana. 37 Si fa riferimento al ruolo percepito dai giornalisti stessi. Per il sociologo infatti i giornalisti in quanto attori sociali svolgono sicuramente un ruolo attivo all’interno della società. 47 bilità sociale non è presente. L’ideologia professionale è in questo caso diversa, è quella de “la notizia, innanzitutto”38. Per comprendere a pieno la funzione che i giornalisti ritengono di dover avere all’interno di una società è necessario far riferimento ai principi etici che caratterizzano la loro cultura. Tali principi etici, espressi nei codici deontologici e nelle carte costitutive e organizzative delle organizzazioni di categoria, danno conto di quali siano i valori fondamentali cui i soggetti si devono attenere nel compiere il proprio lavoro, per essere coerenti con la mission della categoria. Hafez (2002) sottolinea ad esempio come il lavoro delle associazioni dei giornalisti indipendenti in Occidente abbia fatto si che nei codici etici occidentali il richiamo alla libertà d’espressione sia più forte di quanto non lo sia in quelli del mondo arabo, dove invece la “responsabilità sociale”, e la protezione degli equilibri della società, è molto spesso il primo obiettivo. Questi due possibili orientamenti generali possono determinare da una parte l’insistenza, all’interno dei codici deontologici, sulla necessità di non acquisire informazioni senza informare i diretti interessati e di pubblicare notizie soltanto se si hanno documentazioni certe oppure, al contrario, possono essere un chiaro invito a privilegiare l’aspetto della libertà d’informazione e del diritto del pubblico ad avere tutte le informazioni. Nell’ambito delle culture giornalistiche in cui domina la dimensione della “responsabilità sociale”, i codici deontologici ed etici diventano spesso uno strumento per il controllo, da parte dei vertici delle organizzazioni di categoria o dei governi stessi, dell’operato dei colleghi. All’interno di queste realtà dunque è possibile che si sviluppi una cultura giornalistica in cui il timore delle sanzioni sul proprio operato “irresponsabile” diventa un elemento strutturale. In riferimento ai principi etici che caratterizzano una cultura giornalistica è necessario soffermarsi sul tema dell’“obiettività”39. La cosa più interessante dell’”annosa” questione dell’obiettività è proprio la sua natura di “scatola” tanto globale quanto vuota. Globale perché, come afferma anche Mellor (2005 pag. 97), si tratta di un concetto percepito come “importante” nello svolgimento della propria professione, sia dai giornalisti occidentali sia da quelli arabi, vuota perché non solo i giornalisti propongono definizioni dell’obiettività molto diverse tra loro, ma anche perché queste definizioni sono in genere piuttosto vaghe e poco articolate. La fortuna globale del mito dell’obiettività, nato all’interno dei sistemi anglosassoni dell’informazione, può essere spiegata con l’influenza che la cultura giornalistica americana ha esercitato negli anni, sia a livello simbolico che a livello pratico, sui giornalismi del resto del mondo: il messaggio globalizzato che è stato interiorizzato dai giornalisti è: buon giornalismo = obiettività. Quello che diventa importante investigare è allora, innanzitutto, che cosa le diverse culture giornalistiche mettano dentro alla “scatola vuota” dell’obiettività, in secondo luogo si tratta di capire come le culture giornalistiche, per cui il giornalismo è essenzialQuesto ovviamente non significa che non esistano all’interno di questi sistemi news organization o singoli giornalisti che intendono, attraverso il loro lavoro, esercitare pressioni sugli equilibri sociali. Qui si fa riferimento ai valori che risultano dominati all’interno della cultura professionale che abita un sistema. 39 Il dibattito attorno all’obiettività, mai sopito in realtà, è tornato recentemente tra le questioni che più occupano gli studiosi di giornalismo europei e statunitensi dopo la pubblicazione dell’articolo “Rethinking Objectivity” di Brent Cunningham sul Columbia Journalism Review, (July-August 2003). In Italia ad esempio questo articolo ha dato il via a un dibattito sulla rivista Problemi dell’informazione (n. 3 e 4 anno XXVIII) che ha coinvolto molti degli studiosi di giornalismo del paese, e analogamente è successo in molti altri paesi. 38 48 mente “responsabilità sociale”, concilino il loro ruolo didattico con il mito globale dell’obiettività. L’ultimo parametro collegato ai valori della cultura giornalistica riguarda il tema del nazionalismo, dell’“orgoglio nazionale”. Si tratta di un parametro intrinsecamente legato al contesto del mondo arabo all’interno del quale la dimensione nazionalistica, tanto nella fase della lotta al colonialismo quanto in quella postcoloniale, ha assunto un elemento importante nello sviluppo di molte istanze politiche e sociali. Una volta ragionato su come scomporre analiticamente i valori della cultura giornalistica è opportuno presentare brevemente alcune considerazioni attorno alla dimensione delle pratiche professionali. Altheide (1976)40 afferma a questo proposito che “le notizie sono ciò che i giornalisti definiscono come tali”. Wolf (1985 pag. 191) per spiegare questa affermazione sostiene: Da tale prospettiva, “fa notizia” ciò che –pertinentizzato dalla cultura professionale dei giornalisti- è suscettibile di essere “lavorato” dall’apparato senza troppe alterazioni e sovvertimenti del normale ciclo produttivo. Se i fatti diventano notizia in nome di un processo di “pertinentizzazione” determinato dalla cultura professionale dei giornalisti, allora per comprendere le caratteristiche di tale cultura professionale è necessario occuparsi di questo processo. In questo senso si tratta di comprendere in che maniera vengano attribuiti i valori/notizia41 (Golding e Elliot 1979) dai giornalisti e in che maniera sia organizzato il lavoro all’interno delle redazioni. A partire da queste scelte che, come afferma Sorrentino (1995, pag.11), sono condizionate dai connotati socio-culturali dei giornalisti che abitano un determinato sistema, è possibile infatti cogliere alcune dimensioni importanti della cultura giornalistica di un determinato sistema. Tra queste, ad esempio, che tipo di relazione si strutturi nelle pratica professionale con le fonti ufficiali e con quelle indipendenti, oppure la fortuna dei differenti generi giornalistici (commenti, investigazioni etc), l’attenzione per le notizie che riguardano la politica piuttosto che quelle che riguardano la cronaca o le persone comuni in generale, l’interesse o il disinteresse per gli esteri. Insomma tutti elementi che, a partire dalle scelte quotidiane dei giornalisti e dalle loro pratiche professionali, possono dirci molto della cultura che permette loro di dare coerenza alle proprie azioni e di applicare i propri valori di riferimento. Infine la struttura delle redazioni e le modalità attraverso cui la professionalità viene appresa e socializzata rappresenta un importante indicatore della cultura che caratterizza un determinato sistema. È comunque sempre importante avere presente come, essendo la cultura giornalistica frutto di una negoziazione continua, esistano e si mantengano, oltre ai valori e alle pratiche dominanti, valori e pratiche “devianti”, portate avanti da singoli giornalisti o da intere news Citato in Wolf 1985 a pag. 191. Così Golding e Elliot (cit. in Wolf 1985 pag. 197) definiscono il concetto di “valore/notizia”: “I valori/notizia sono usati in due modi. Sono criteri per selezionare dal materiale disponibile alla redazione gli elementi degni di essere inclusi nel prodotto finale. In secondo luogo, essi funzionanao come linee-guida per la presentazione del materiale, suggerendo cosa va enfatizzato, cosa va omesso, dove pare priorità nella preparazione delle notizie da presentare al pubblico”. 40 41 49 organization. Pratiche e valori devianti e dominanti si confrontano quotidianamente all’interno dell’arena del discorso giornalistico e pertanto si influenzano vicendevolmente. 2.3 Metodologia d’analisi Per investigare le trasformazioni del giornalismo arabo all’interno dei sistemi ibridi propri dell’attuale fase di “transnazionalismo velocizzato” è necessario adottare una metodologia che tenga conto della struttura di tale realtà sistemica. È pertanto necessaria una riflessione sugli strumenti metodologici più appropriati per cogliere le dinamiche relazionali e negoziali tra i giornalisti che “abitano” quel sistema. In altre parole, una volta individuati i parametri attraverso i quali scomporre operativamente la cultura giornalistica, è necessario ragionare sulla metodologia più appropriata per poter tradurre praticamente tale framework analitico. Innanzitutto è fondamentale riprendere a questo proposito il fatto che dietro il percorso di ricerca che viene presentato in questo volume ci sia un approccio d’analisi di tipo transnazionale, ovvero un approccio che intende analizzare uno spazio di relazione e di reciproca influenza caratterizzato da una natura ibrida, che trascende cioè la dimensione nazionale. Questo implica necessariamente l’adozione di un approccio di ricerca “multisituato” (cfr. Audet, d’Amboise 2001) che significa la raccolta diretta di dati, informazioni, impressioni e osservazioni relative non soltanto ai giornalisti e alle news organization nazionali ma anche ai giornalisti e alle newsorganization panarabe. Evidenziare le dinamiche relazionali tra questi soggetti rappresenta il core dell’approccio di ricerca che questo studio intende proporre. Operativamente, come evidenziato già in figura N.3, è necessario individuare tre gruppi differenti di giornalisti: un primo gruppo, il più eterogeneo, composto dai giornalisti nazionali, coloro i quali lavorano per i media che per struttura organizzativa, natura legale e obiettivi editoriali fanno riferimento ad un sistema mediatico nazionale; un secondo gruppo composto dai corrispondenti panarabi, i giornalisti che lavorano all’interno di quello stesso sistema nazionale, negli uffici di corrispondenza dei newsmedia panarabi ; un terzo gruppo composto dai giornalisti panarabi in house, i giornalisti che lavorano cioè nelle newsroom centrali dei media panarabi. Le narrazioni e le rappresentazioni dei giornalisti, raccolte attraverso differenti strumenti d’analisi, rappresentano il cuore dell’approccio di ricerca scelto. Questo anche sulla base dell’importanza dello studio delle pratiche narrative nelle scienze sociali. Così Jedlowski affronta la questione: Il racconto è la forma più comune in cui si esprime il bisogno di ognuno di dare un ordine alla propria esperienza. Per questo le pratiche narrative sono rilevanti per i sociologi. Perché la comprensione della realtà, per le persone, è mediata dalle narrazioni di cui sono partecipi, come narratori e come destinatari. La realtà è, in larga misura, una costruzione sociale (cioè un’interpretazione, una messa in forma della realtà attraverso una cultura), e tale costruzione avviene mediante i discorsi e i racconti che circolano. (Jedlowski prefazione a Poggio 2004, pag.12) 50 In quest’ottica si ritiene che interviste semistrutturate, interviste narrative in forma di conversazione informale e questionari a risposta multipla (multiple choices) rappresentino gli strumenti più adatti coerentemente con l’approccio d’analisi scelto. Infatti, anche se “costruite attivamente”, le narrazioni permettono di cogliere i processi di interpretazione della realtà che costituiscono parte centrale dell’esperienza. In tal senso un altro strumento utile è quello della conversazione informale. Le conversazioni devono essere tendenzialmente gestite come interviste non-direttive (cfr. Corbetta ibidem, pag. 419), ovvero dialoghi in cui il tema della discussione è lasciato gestire all’intervistato. Esse sono preziose perché fanno emergere in maniera spontanea da parte dei giornalisti la loro visione di se stessi e del proprio ruolo sociale. Questi strumenti devono poi essere affiancati ad alcune osservazioni del lavoro di redazione, non tanto con l’idea di verificare nei comportamenti quello che emerge dalle narrazioni e dalle dichiarazioni dei giornalisti, quanto con l’intento di acquisire elementi importanti per utilizzare in maniera più approfondita i materiali raccolti attraverso interviste e questionari. Lo strumento metodologico dell’osservazione può rivelarsi estremamente utile anche laddove esso sia utilizzato soltanto limitatamente ad un analisi delle dinamiche redazionali, senza trasformarsi in una vera e propria osservazione partecipante42. Nel caso specifico dello studio presentato in questo volume tali osservazioni sono state realizzate in maniera estremamente diversa e molto spesso non programmata, o comunque non negoziata con i giornalisti della redazione. In molti casi infatti passare ore all’interno delle redazioni rappresenta di per sé un’importante occasione per assistere alle discussioni tra i giornalisti, alle modalità di gestione dei tempi e delle attività all’interno della redazione, alle tipologie di relazione tra reporter, caporedattori e direttore. L’osservazione rappresenta uno strumento di ricerca produttivo per differenti motivi: innanzitutto per comprendere meglio, da un punto di vista dell’organizzazione degli spazi, delle relazioni e della gestione delle decisioni, il contesto di lavoro all’interno del quale i giornalisti elaborano e negoziano i valori e le pratiche della propria cultura professionale. In secondo luogo consente di analizzare con maggiore profondità le risposte, le narrazioni e i dati raccolti attraverso le interviste, le conversazioni informali e i questionari. Infine spesso rappresenta lo spunto per individuare nuove questioni e nuove problematiche da sottoporre ai giornalisti durante le successive interviste e conversazioni. La combinazione delle metodologie dell’intervista con quelle dell’osservazione è giudicata positiva anche da Darlington e Scott (2002) i quali insistono sull’utilità dell’osservazione nello strutturare in maniera più corretta le domande e le tematiche su cui interrogare i soggetti della ricerca: Observation can be used at different stages of a study and for different reason. Used in the early stages of a study, it can be a useful way of understanding the context of the phenomenon under investigation and working out what the important questions to be asked are. (…). This type of observation could precede a more structured phase of observation or other data collection methods (pag. 76) 42 Sulle differnze metodologiche tra “osservazione” e “osservazione partecipante” e sulle implicazioni di tale differenza si veda ad esempio Corbetta 1999 pag.367 e seguenti. 51 In ultima analisi dunque si può affermare che il framework analitico che questo studio propone è basato su diverse metodologie proprie dell’analisi qualitativa (cfr. Corbetta 1999, Silverman 2002), utilizzate in maniera complementare e con lo scopo di supportarsi reciprocamente. La ricerca qui presentata è stata effettuata tra l’agosto 2005 e l’agosto 2007. Le osservazioni, le interviste e i questionari sono stati realizzati a Doha, Dubai e al Cairo. Le newsroom osservate sono: Al Jazeera Tv (Doha), Al Arabiya Tv (Dubai), Nile News Tv (Cairo), National Tv (Cairo), Al Ahram Newspaper (Cairo), Akhbar El Youm Newspaper (Cairo) Al Masri Al Youm Newspaper (Cairo), Al Dustur Newspaper (Cairo), Al Fajr Newspaper (Cairo), Al Wafd Newspaper (Cairo) e Mena News Agency. Sono stati inoltre osservati i bureau di corrispondenza al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya. Sono state condotte 40 interviste in profondità43 con giornalisti (soprattutto direttori, produttori e caporedattori) impiegati all’interno di queste redazioni. Altrettante conversazioni informali44 sono state realizzate con redattori e giornalisti junior. Nelle redazioni di Al Ahram, Akhbar El Youm, Al Masri Al Youm, Al Fajr sono stati somministrati45 40 questionari (10 per ogni redazione) e altri 10 sono stati somministrati ad giornalisti impegnati in altre redazioni e free lance, per un totale di 50 questionari. Altri 8 questionari preparati ad hoc sono stati somministrati46 a reporter e producer nei bureau di corrispondenza di Al Jazeera e Al Arabiya al Cairo. 2.4 Perché scegliere l’Egitto come caso di studio La tesi che si sostiene in questo volume è che oggi, nel contesto del giornalismo arabo, esistano tanti sistemi ibridi quanti sono i sistemi nazionali dell’informazione. Questo poiché tali sistemi ibridi rappresentano lo spazio di relazione che si crea tra ogni sistema nazionale e il sistema dei news media panarabi. Per ragionare attorno alle dinamiche relazionali e negoziali che caratterizzano tali spazi è dunque inevitabile scegliere un caso di studio. Questa ricerca si concentra sull’Egitto come polo nazionale del sistema ibrido “egizianopanarabo”. Questa scelta è dovuta a molteplici fattori di natura politica, sociale e geografica ma soprattutto legati allo sviluppo dei media dell’informazione nel paese. L’Egitto, con i suoi 1.000.000 km quadrati e i suoi 75 milioni di abitanti (25 milioni nella sola Cairo), è uno dei paesi più popolosi del mondo arabo. La sua collocazione geografica ne fa una terra di cerniera tra tre continenti e lo pone al centro del mondo arabo, ponte tra maghreb, mashreq e khalij47; 43 Laddove non si espliciti il contrario le parole dei giornalisti riportate nel testo sono state raccolte e registrate nell’ambito di queste interviste. 44 Tali conversazioni hanno avuto carattere confidenziale e per tanto non saranno riportate nel testo, tuttavia le opinioni raccolte sono state utilizzate nella definizione della struttura e delle argomentazioni di questa ricerca. 45 Si tratta di questionari multiple choice con alcune domande a risposta aperta. I risultati dei questionari non sono riportati qui interamente ma solo nella misura in cui sono utili alle argomentazioni proposte. A tali risultati si farà riferimento nel testo e sono riportati in appendice a questo volume. 46 Vedi nota precdente. 47 Sono detti paesi del Maghreb (occidente) i paesi arabi dell’Africa mediterranea (Marocco, Tunisia, Algeria, Libia); come Mashreq (oriente) si indicano i paesi “levantini” (Siria, Libano, Giordania, Palestina); Khalij(Golfo) sono i paesi del Golfo Persico (Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar, Oman, Yemen, Bahrain). 52 per questo motivo, ma anche per la centralità politica e culturale che il paese ha storicamente esercitato nella regione, l’Egitto è spesso definito qalb al-Uruba, “cuore del mondo arabo” (Hamam 2005, pag. 19). La storia politica del paese ha visto l’Egitto, soprattutto nel periodo che va dalla rivoluzione degli Ufficiali Liberi nel 1952 alla “Pace separata” con Israele nel 1979, occupare un ruolo centrale negli equilibri regionali e una posizione di leadership nella gestione degli “affari arabi”. Questa leadership ha avuto il suo momento di massimo splendore nel corso degli anni Sessanta, stagione d’oro del Nasserismo e del suo progetto di “Panarabismo” che voleva il paese alla guida di un’alleanza dei paesi del Mondo Arabo e di tutto il Terzo mondo (cfr. Campanini 2006). Tale importante fase politica del paese è stata contemporanea alla diffusione nella regione dei mezzi di comunicazione di massa48 e questo ha fatto si che il paese abbia investito moltissimo affinché il progetto di leadership politica fosse supportato da una leadership culturale, per la quale trasmissioni, prodotti radiotelevisivi e cinematografici dovevano funzionare da volano. Questo progetto, che in buona misura ebbe successo, fu realizzato attraverso lo sviluppo di un apparato in grado di diffondere elettronicamente contenuti d’informazione e di intrattenimento che proponessero a tutto il mondo arabo la visione nasseriana dei fatti della politica regionale e contribuissero a costruire l’immagine dell’Egitto come faro dell’“arabismo”: Les Médias égyptiens, et les talents qui ont jalonné leur histoire, qu’ils soient journalistes, chroniqueurs de radio, chanteurs ou acteurs, jouissent d’une grande notoriété. Leur attrait dans le monde arabe était tel que le dialecte cairote est devenu familier à tous les Arabes. Grâce aux productions culturelles égyptiennes qui ont le mieux réussi à franchir les frontières nationales, et avant même que les nouvelles technologies permettent une circulation transfrontalière de flux télévisuels, le label égyptien tenait une place de premier rang dans l’industrie culturelle arabe. (Guaaybess 2005, pag.115) Per gli egiziani il nazionalismo arabo ha significato soprattutto nazionalismo egiziano. Tale progetto filosofico-politico vedeva infatti il paese come centro simbolico regionale, in un processo di elaborazione dei caratteri dell’identità nazionale che accresceva ulteriormente i sentimenti d’orgoglio della popolazione e la convinzione di avere un destino particolare all’interno della regione49. Questo sentimento ha finito per caratterizzare anche la cultura professionale dei giornalisti egiziani che si sono abituati a considerarsi parte del sistema più sviluppato della regione, modello da seguire per tutti i “giornalismi arabi”. 48 La radio aveva fatto il suo ingresso nella regione negli anni Trenta ad opera della Marconi, ma iniziava in quel periodo una prima reale diffusione, la prima trasmissione radiofonica in Egitto fu nel 1934. Il primo paese arabo a dotarsi di un servizio televisivo fu l’Iraq, che nel 1956 ricevette dagli inglesi le apparecchiature per le trasmissioni; in Egitto la televisione fu inaugurata in pieno nasserismo nel 1960 (cfr. Valeriani 2005). 49 Un sentimento costruito su elementi che trovano radici a partire dalla civiltà Egizia, passando per il fatto che il più importante centro di studi dell’islam sunnita, l’università di Al Ahzar, si trova al Cairo, fino alla stagione del Nasserismo. 53 Sia per quanto riguarda l’audiovisivo sia per quanto riguarda la carta stampata, il sistema dell’informazione egiziano50 ha avuto, nel corso di tutto il Novecento, uno sviluppo molto deciso. Per quanto riguarda i media elettronici, questo sviluppo ha avuto luogo interamente, in sintonia con quanto è avvenuto in tutta la regione51 all’interno dei binari del monopolio statale. Dopo essere passato attraverso una serie di ampliamenti e tagli il sistema vede oggi due canali nazionali e sei locali sull’etere e il buquet Nile sul satellite. Inoltre, a partire dal 2000 (decreto N.411), alcuni investitori privati (leali al regime) sono stati autorizzati a lanciare sul satellite canali di intrattenimento. Il controllo dei media elettronici è stato (ed è ancora) funzionale al regime di governo per dominare la sfera pubblica e per supportare il proprio progetto politico, tanto a livello nazionale, quanto a livello regionale. Il sistema egiziano della carta stampata è stato definito da Rugh (2004) “transitional”52 secondo questa spiegazione: It is transitional because it has undergone steady change for more than a decade, and because the system itself still remains under debate, and appears to be unsettled. It is a rather complex system that contains strong elements favoring governamental controls over the press, alongside elements that provide some measure of freedom of expression and diversity. (Rugh 2004, pag.121) Sulla base del fatto che il sistema della stampa egiziana appare bloccato in questa condizione di transizione, permanentemente in bilico tra libertà e repressione, in Valeriani (2005) è definito il sistema egiziano come “illuso e frustrato”. I tre regimi che si sono succeduti a partire dal 1952 hanno tutti alternato momenti di dura repressione della libertà d’espressione a momenti nei quali sono state intraprese riforme che hanno favorito la diversificazione di soggetti presenti all’interno del sistema della carta stampata. Da un punto di vista legale è comunque possibile individuare un percorso tendente ad una sempre maggiore liberalizzazione. Il sistema della stampa nell’Egitto repubblicano si sviluppa a partire dalla nazionalizzazione di tutte le organizzazioni editoriali voluta da Nasser nel maggio 1960 (decreto presidenziale del 24 maggio). Questa decisione portò alla creazione di cinque giganti editoriali posti sotto il controllo statale cui era affidata la pubblicazione dei principali periodici e dei tre quotidiani più importanti del paese: Al Ahram, Al Akhbar (Akhbar El Youm) e al Gumurriya. Queste tre testate sono tutt’oggi controllate dal governo nazionale e vengono comunemente definite ( lo saranno anche in questo testo) stampa “semi-ufficiale”. Con l’apertura al multipartitismo (legge N.40 del 1977) Sadat autorizzò anche i partiti d’opposizione alla pubblicazione di fogli politici legati alla loro attività: nacquero così giornali come Al Ahrar (Partito socialista-liberale), Al Ahali (Partito Tagammu), Al Shab (Partito Socialista Laburista) e Al Wafd (Partito Wafd). Negli anni Novanta poi il sistema si è arricchito Il discorso vale anche per l’industria dell’intrattenimento (cfr. Della Ratta 2000). L’unica eccezione è rappresentata dal Libano dove la televisione nacque nel come frutto di iniziativa privata. 52 Assieme a quello dell’Egitto Rugh definisce “transitional” i press system di Giordania, Tunisia e Algeria; “loyalist” sono definiti i sistemi di Arabia Saudita, Bahrain, Qatar, Oman, AUE e Palestina; “Mobilization” quello di Siria Libia, Sudan e Iraq mentre “diverse” quello di Libano, Kuwait, Marocco e Yemen. Per conoscere le ragioni di questa classificazione si legga W. A. Rugh Arab Mass Media. News Paper, Radio and Television in Arab Politics (op. cit.) 50 51 54 di una serie di testate che, per aggirare il divieto a soggetti privati di possedere quotidiani, venivano registrate a Cipro e diffuse in Egitto. Infine sulla base della legge N.3 del 1998 il regime ha iniziato a concedere le autorizzazioni a pubblicare nel paese a fogli di proprietà privata. In seguito a questa apertura sono nati (a partire dal 2004) fogli privati con una linea molto aggressiva nei confronti del governo come Al Dustur, Al Fajr, Saut el Ummah e un giornale più moderato e autorevole: Al Masri Al Youm. Visualizzare questo sviluppo con una retta ascendente verso la libertà d’espressione sarebbe tuttavia forviante: Nasser, Sadat e anche Mubarak hanno mantenuto e creato nuovi efficaci strumenti di controllo sui diversi sistemi della stampa che hanno ereditato e trasformato; una maggiore pluralità di soggetti non significa dunque necessariamente un reale pluralismo53. L’Egitto è un paese che negli ultimi cinquant’anni ha avuto un’attenzione particolare al ruolo dei newsmedia, sia negli equilibri interni sia nella promozione del suo ruolo nell’arena regionale. In questo senso il regime si è mostrato sempre reattivo54 alle evoluzioni delle tecnologie della comunicazione e agli esperimenti realizzati nel mondo arabo: mantenere la leadership a livello regionale nel campo dei mass media ha determinato una grande attenzione verso quello che succedeva intorno all’Egitto in questo ambito. A questo proposito Guaaybess (2005) afferma: Et pour affirmer une suprématie pérenne de l’Egypte sur ses rivaux, l’Etat égyptien s’est toujours posé en innovateur et n’a jamais hésité à injecter d’importantes ressources dans le secteur audiovisuel. (pagg. 115-116) Questo ha portato l’Egitto. nel 1990, a lanciare il primo canale satellitare del mondo arabo l’Egyptian Space Channel e, addirittura, nel 1998, a mandare in orbita un satellite interamente egiziano, Nilesat, per fare concorrenza ad Arabsat, l’altro sistema arabo di satelliti televisivi di proprietà di un consorzio di paesi55. Tutti questi progetti mostrano chiaramente che la volontà di Nasser di esercitare un ruolo di primo piano nella regione, anche attraverso una leadership regionale nel campo dei newsmedia, non è stata accantonata dai suoi successori ma è proseguita “con altri mezzi”. Questa volontà politica, associata al nazionalismo della cultura egiziana e, nello specifico, all’orgoglio professionale della cultura giornalistica egiziana, ha determinato lo sviluppo di un sistema abituato a dare il passo, ad “esportare” prodotti e tendenze nell’ambito dei media o, al massimo, a competere con altri soggetti, come l’Arabia Saudita, nella “colonizzazione” dei televisori degli altri paesi arabi, ma sicuramente mai a doversi confrontare sul piano nazionale con influenze e prodotti provenienti da altri paesi arabi. 53 Per un approfondimento attorno a questa idea si veda A. Valeriani (2007) Giornalismo e Giornalisti come agenti di democratizzazione nel mondo arabo? il caso egiziano, working paper presentato al quinto incontro della Società di Studi Sulla diffusione della Democrazia), Firenze, 18 Giungo 2007. Il paper è scaricabile all’indirizzo www.cires.eu 54 Compatibilmente con le difficoltà determinate dall’organizzazione clientelare del potere e dall’organizzazione mastodontica e poco organica dei grandi media di proprietà pubblica. 55 Anche se l’Arabia Saudita, che ne fu il principale finanziatore al momento del lancio, mantiene un’influenza decisiva su di esso. 55 Questo è il motivo principale che fa del “ paese dei Faraoni” un ottimo caso di studio. Vedere in che maniera un sistema solido e abituato ad imporre tendenze e prodotti a livello regionale si sia confrontato con un fenomeno dirompente come quello di Al Jazeera e delle televisioni satellitari figlie della sua “rivoluzione”, è infatti più produttivo che considerare un paese “pigro” e poco reattivo nell’ambito della comunicazione, o comunque abituato soltanto a proteggersi da ingerenze esterne56. Si tratta dunque di vedere se il sistema dell’informazione egiziano stia subendo, in conseguenza della “rivoluzione Al Jazeera”, un qualche processo di ibridizzazione. Questo ovviamente non permette di trarre considerazioni estendibili in maniera lineare a tutti i sistemi dell’informazione della regione, tuttavia la scelta di un paese con un sistema dell’informazione molto sviluppato e tendenzialmente più reattivo di altri è sicuramente adatta per considerare le strategie di reazione alla “sfida” posta dai news media panarabi. Un’impostazione metodologica come quella proposta in questo volume impone la scelta di casi di studio significativi anche tra i soggetti che caratterizzano lo spazio dell’informazione satellitare panaraba, uno spazio che negli ultimi anni ha visto l’ingresso di diversi new comers. Da questo punto di vista la scelta si è rivelata scontata, avendo avuto il decennio 1996-2006 un leader indiscusso, Al Jazeera. A questo leader si è contrapposto, dal 2003, un unico vero competitor, Al Arabiya. Pertanto si è scelto di focalizzare l’attenzione sui giornalisti che lavorano per queste due emittenti: i loro corrispondenti al Cairo ma anche i giornalisti in house che operano a Doha e Dubai. 56Si tratta di un comportamento adottato da tutti i paesi arabi. Il tentativo di proteggere la sfera pubblica nazionale da contenuti esogeni e dunque sui quali si poteva avere un controllo minore è stata fatta propria, a partire dagli anni Cinquanta, da tutti i regimi arabi; tale idea si sposava per altro con le preoccupazioni del movimento dei Non-Allineati (Mattelart 1994). 56 SECONDA PARTE IL SISTEMA IBRIDO: LA NATURA DELLO SPAZIO TRANSNAZIONALE DI NEGOZIAZIONE Premessa L’obiettivo di questa sezione è quello di inquadrare il contesto all’interno del quale si strutturano i processi di rinegoziazione della cultura giornalistica che caratterizzano lo spazio ibrido che a partire dal sistema nazionale egiziano comprende anche le relazioni, dirette e indirette, che esso intrattiene con i newsmedia panarabi. Le coordinate di tale contesto sono definite nella relazione tra tre poli: il sistema politico nazionale, il sistema mediatico nazionale e il sistema dei newsmedia panarabi. Non si può tuttavia prescindere anche da un’analisi che definisca le caratteristiche di lungo periodo della cultura giornalistica egiziana. È ovvio infatti che sarebbe impossibile comprendere le trasformazioni avvenute nell’ultima decade, se non a partire dalla cultura giornalistica sedimentata in precedenza. Per analizzare il processo di ridefinizione e di trasformazione della cultura giornalistica in questi anni di transazionalismo velocizzato è necessario partire dal risultato delle negoziazioni precedenti, avvenute negli anni in cui il sistema nazionale era meno esposto a “intrusioni esterne. Definire la struttura dello spazio ibrido egiziano-panarabo significa dunque considerare tutti i livelli che lo compongono (vedi Figura n. 4): il livello “nazionale” (dato dalla relazione tra sistema politico e sistema mediatico), i livelli “intermedio” e “transnazionale” (che riguardano le produzioni e l’organizzazione dei news media panarabi) e il livello “diacronico” (legato allo sviluppo storico della cultura professionale nel paese). In questa sezione si proporrà dunque un’analisi di tale stuttura attraverso una scomposizione del sistema in questi tre livelli. Si comincerà pertanto da una ricostruzione degli elementi di lungo periodo che hanno finito per caratterizzare la cultura giornalistica egiziana: valori e pratiche definitesi nelle dinamiche sociopolitiche che hanno segnato la storia repubblicana dell’Egitto a partire dalla rivoluzione degli Ufficiali Liberi del 1952 (livello diacronico). In seguito si presenteranno le dinamiche di relazione tra il sistema politico e il sistema dei media nel paese negli ultimi 10 anni, analizando anche le strutture e gli obiettivi editoriali dei nuovi news media comparsi (livello nazionale). Infine ci si concentrerà sui media panarabi, il polo transnazionale del sistema ibrido (livello intermedio e transnazionale). 59 Smontare il sistema ibrido, e “osservare” ad una ad una le parti che lo compongono, è infatti precondizione imprescindibile per capirne il funzionamento e per considerare le dinamiche negoziali che lo caratterizzano. 60 I valori e le pratiche della cultura giornalistica egiziana In questo capitolo saranno ricostruiti i fattori di lungo periodo della cultura giornalistica egiziana. Si tratta di valori e pratiche che, generatesi nella relazione tra sistema politico e sistema dei media nel paese, costituiscono la base di partenza da cui i giornalisti egiziani si trovano oggi a considerare il proprio lavoro e a rinegoziare continuamente la propria professione. Valori e pratiche della cultura giornalistica egiziana saranno considerati attraverso i parametri proposti e motivati nel paragrafo 2.2. Come evidenziato in Figura N. 5 questi elementi rappresentano il livello “diacronico” del sistema ibrido egiziano-panarabo. 61 3.1 Chi è e chi non è un giornalista. I confini della comunità professionale Essere “giornalista” non ha a che vedere soltanto con le mansioni che si svolgono all’interno di una società. Il “giornalista” non è semplicemente il mediatore di informazioni tra fonti e pubblico, non è soltanto colui che svolge “l’attività di selezione degli eventi che costituiscono la realtà sociale” (Sorrentino 1995, pag.149). “Essere giornalista” significa acquisire uno “status” sociale e guadagnarsi l’inclusione all’interno di una comunità di pari, la “comunità dei giornalisti”. Sono gli altri attori sociali, i giornalisti stessi e le leggi che caratterizzano il sistema a stabilire chi tra coloro che svolgono l’attività di mediatori di informazioni possa acquisire lo status di giornalista e chi no. L’inclusione nella “comunità dei giornalisti” determina privilegi (economici, provvidenziali etc.), prestigio sociale, obblighi deontologici nello svolgimento del proprio lavoro. La particolare evoluzione del sistema dell’informazione, anche e soprattutto in relazione con l’evoluzione del sistema politico, giocano un ruolo molto importante nel determinare i confini della comunità professionale, proprio perché, a seconda di questa evoluzione, possono variare notevolmente i “compiti” e i “ruoli” che i mediatori di informazioni svolgono all’interno della società. In Egitto l’inclusione e l’esclusione all’interno della categoria dei giornalisti ha rappresentato un elemento complicato nello sviluppo della cultura professionale. Questo elemento è stato infatti utilizzato sia dai regimi Nasser, Sadat e Mubarak per esercitare controllo sul sistema dell’informazione, sia – e dunque con opposti obiettivi- dai giornalisti stessi per rivendicare la propria indipendenza e per proteggersi dalle ingerenze del governo, soprattutto all’interno degli organismi di categoria. Il Sindacato dei giornalisti ha rappresentato negli anni il luogo all’interno del quale le dispute attorno alla questione si sono sviluppate. Stabilire chi potesse essere ammesso al sindacato, e dunque godere dello status di giornalista, è servito al regime per avere la possibilità di controllare tutti coloro che esercitano la professione, vincolarli a un determinato comportamento e tenerli sotto la minaccia, attraverso la possibilità dell’espulsione, di perdere il proprio status sociale e la possibilità di fare il proprio lavoro. Per la “comunità” dei giornalisti il sindacato ha rappresentato un luogo di scontro tra istanze antigovernative e lealiste, mantendosi comunque una delle strutture corporative più ribelli. Questo situazione conflittuale ha spinto il regime a controllare gli accessi al giornalismo della carta stampata e di vincolarlo a precisi doveri nei confronti della stabilità sociale. L’atteggiamento di rigido controllo e di richiesta di “responsabilità”che tutti e tre i presidenti hanno tenuto nei confronti della stampa ha influenzato notevolmente la definizione di “giornalista” che emerge dalle dichiarazioni ufficiali e dai testi di legge. A partire dalla n. 76 del 1970, voluta da Nasser, fino alla N. 93 del 1995 di Mubarak, si percepisce chiaramente il tentativo da parte del regime di controllare l’accesso allo status di giornalista in modo da controllarne la comunità. Già la legge N. 156 del 1960 stabiliva che i giornalisti dovessero ottenere un’autorizzazione dell’Unità Nazionale57 per esercitare la professione. La legge 76 poi si incaricava, all’articolo 6 paragrafo “a”, di stabilire chi fosse un giornalista in Egitto: L’organizzazione che regolava tutti gli aspetti della vita pubblica nel paese. Dal 1962 l’organismo venne ribattezzato Unione Socialista Araba. 57 62 Colui che è iscritto al sindacato, che svolge regolarmente attività giornalistica in un quotidiano o in un periodico stampato in Egitto (…) che riceve per tale prestazione un compenso fisso e non esercita alcuna altra professione. Di conseguenza il sindacato è stato percepito -e di fatto si è sviluppato- più come un organismo politico che come un organismo di categoria: poichè l’ammissione ad esso è divenuta prerogativa per accedere allo status di “giornalista”, la valenza politica dell’essere parte della comunità giornalistica ha finito per essere amplificata. Il sindacato è diventato un terreno di scontro fra fazioni (Fahmy 2002) e non è riuscito a rappresentare appieno la realtà nazionale degli operatori dell’informazione che andava costituendosi. Infatti, soprattutto con l’aumento del numero effettivo di soggetti impiegati all’interno del sistema della stampa, il numero degli iscritti, e quindi dei “Giornalisti”, ha finito per essere davvero molto ristretto rispetto a quello delle persone che lavorano nel settore della stampa58. È inoltre importante considerare come, anche all’interno della comunità dei giornalisti iscritti, si siano venute a creare distinzioni di status notevoli. Da una parte ci sono i direttori, gli editorialisti e le grandi firme dei giornali che percepiscono stipendi alti59 e detengono forti privilegi ponendosi alla testa di una fitta rete di clientele, e dall’altra ci sono i normali redattori con stipendi molto bassi e nessun potere politico. Il secondo elemento che deve essere considerato nella delimitazione dei confini “percepiti” della comunità professionale riguarda il rapporto tra operatori dell’informazione della carta stampata e operatori dell’informazione della radio e della televisione. Nella cultura giornalistica egiziana infatti sembra non essere mai esistito il concetto di “giornalista televisivo”. I “giornalisti” sono solo gli uomini della carta stampata iscritti al sindacato, mentre coloro che si occupano di informazione televisiva non vengono considerati tali dai giornalisti “titolati” in primis e, di fatto, da tutto il sistema. Questa distinzione è frutto di ragioni che, ancora una volta, hanno a che vedere con lo sviluppo del sistema politico e del sistema mediatico. L’Egitto è stata la culla del giornalismo arabo in senso moderno (cfr. Ayalon 1995), al Cairo si sono sviluppati i primi giornali e si sono formati i primi “giornalisti”. Letterati, politici, soggetti dotati di una forte passione civile hanno dato il via allo sviluppo di una cultura giornalistica partigiana e combattiva. Questo passato “glorioso” continua a giocare un ruolo importante nella rappresentazione che i giornalisti della carta stampata hanno di sé e del proprio ruolo sociale. Al contrario l’informazione radiofonica e televisiva si è sviluppata negli anni della mobilizzazione nasserista. Radio e televisione sono cresciute all’interno del Ministero 58 Questo succede molto spesso nei sistemi dove esistono strutture che prevedono forme di limitazione o di controllo all’accesso alla professione. In Italia, dove l’accesso alla professione giornalistica è regolato da un ordine e da un esame di stato la situazione è –per quanto riguarda questo aspetto- analoga. Per quanto riguarda l’Egitto, secondo quanto riporta Bianchi (1989), nel 1963 gli iscritti al sindacato erano 1166, nel 1971 erano 1503 e nel 1978 erano 2000. Secondo quanto riporta Kassem (1999 pag. 47), nel 1992 gli iscritti erano 5000 anche se questo dato ci sembra vada ridimensionato verso il basso considerando che Von Korf (2003) afferma che nel 1999 erano 3864 e dai dati da noi raccolti personalmente presso il Sindacato, alla fine del 2006 gli iscritti erano 4885 cui vanno aggiunti 606 che stavano seguendo i corsi necessari per essere ammessi. 59 Secondo quanto afferma Von Korff (2003) gli stipendi dei direttori dei giornali e delle grandi firme potevano ( e possono) essere paragonati a quelli dei top officials governativi. 63 dell’informazione e i loro studi hanno trovato sede all’interno dell’immenso complesso ministeriale. Nonostante la creazione dell’Egyptian Radio and Television Union negli anni di Sadat e le riorganizzazioni di Mubarak, il Ministro dell’informazione continua ad essere il responsabile della programmazione radio e televisiva di fronte al parlamento. Così, in quanto vincolati strettamente nella loro libertà professionale e dipendenti direttamente dal Ministero dell’informazione, coloro i quali lavorano per i servizi news della radio e della televisione egiziana non hanno “diritto di cittadinanza” nella comunità dei “giornalisti”, ma vengono definiti dagli uomini della carta stampata muazzafin, impiegati. Inoltre, come afferma anche Shalaqani (1995), gli uomini dell’informazione televisiva e radiofonica non hanno mai lottato per aumentare il loro grado di indipendenza, o almeno non lo hanno mai fatto in modo organizzato60. Tutto questo ha contribuito a sviluppare un’immagine di passività dei giornalisti televisivi e li ha allontanati ancor di più da quelli della stampa. Quello che spaventa i giornalisti della carta stampata è soprattutto la paura di perdere il controllo sul sindacato. Gli uomini della radio e della televisione egiziana hanno provato più volte a chiedere l’ammissione al sindacato dei giornalisti, ma sono sempre stati rifiutati. Come afferma61 Yahya Kallesh, segretario generale del sindacato dei giornalisti: Gli uomini della televisione sono stati sempre rifiutati dal sindacato semplicemente perché non sono giornalisti, sono employee, muazzafiin. Loro dipendono direttamente dal governo, il loro stipendio viene dal governo, se li avessimo ammessi sarebbero entrati tutti, non solo i reporter o i producer, e adesso avremmo nel sindacato cinquanta mila iscritti provenienti dall’ERTU e solo cinque mila provenienti dai giornali. Questo avrebbe significato perdere l’indipendenza del sindacato. La lontananza e la diffidenza tra le due comunità ha dunque ragioni molteplici: una storia differente innanzitutto, una diversa relazione col regime, diretta nei confronti di radio e televisione e indiretta (ma non meno stretto) da parte della stampa e infine il timore dei giornalisti della carta stampata di vedere il proprio organismo di categoria “invaso” dagli “impiegati” della televisione. È a partire da questi elementi che affiorano dal sistema politico e mediatico che si definisce una cultura giornalistica, costruita sulla separazione tra uomini della stampa e uomini della televisione. Il “giornalismo” è rimasto, secondo la comunità dei giornalisti egiziani, quello della carta stampata mentre la televisione è il luogo della propaganda (cfr. Rugh 2004). Da questa analisi dunque emerge una comunità professionale con dei confini molto complicati: nella carta stampata pochissime star del giornalismo, pochi “Giornalisti” iscritti al sindacato, e molti “facenti funzione” di giornalisti senza averne lo “status sociale” e il riconoscimento legale; nella televisione e nella radio un numero spropositato di “impiegati”, per lo più con scarsa professionalità e dovere di rappresentare la voce del regime. In questo modo si è creato un divario molto grande tra la ristretta cerchia dei “giornalisti” e quella in continua espansione dei mediatori di informazioni. Un elemento questo che costi60 Probabilmente il fatto di non essere organizzati in un sindacato e di essere stipendiati direttamente dal Ministero dell’informazione ha contribuito significativamente a questa “passività”. 61 Intervista personale, Sindacato dei Giornalisti, Cairo Agosto 2006. 64 tuisce oggi un limite della cultura professionale egiziana rispetto alla possibilità di comprendere le trasformazioni in atto. A questo proposito è interessante considerare come “l’ideologia professionale” serva (Deuze, 2005) a conservare all’interno della comunità dei membri il potere di definire i confini della comunità stessa: Power in the context of an occupational ideology must be understood as the power to define what (“real”) journalism is, enacted for example through access to mainstream debates about journalistic quality (pag. 447) Si tratta di un tentativo di dare coerenza ad un processo che in realtà non lo è per nulla, in quanto frutto di una continua negoziazione. L’ideologia professionale serve dunque in qualche modo a “proteggere” la comunità: è un processo attraverso il quale le idee e le opinioni di un gruppo riguardo a questioni professionali, politiche e sociali vengono adottate mentre altre vengono scartate (cfr, Stevenson 1995 pagg. 37-41, Van Ginneken 1997 pag. 73). In ogni caso, come afferma Deuze (2005), al di là dell’ideologia dominante, il “giornalismo” si reinventa continuamente e continuamente riadatta i suoi valori a seconda delle modifiche sociali, politiche e tecnologiche che si trova di fronte, pertanto è importate considerare come la comunità dei giornalisti resista o ceda al cambiamento. 3.2 I giornalisti e il potere: una categoria di deboli clientes con poche eccezioni È impossibile comprendere la struttura del sistema giornalistico egiziano e la cultura professionale che lo caratterizza se non a partire dall’organizzazione clientelare delle relazioni di potere che impregnano l’intera sfera pubblica nel paese. Attraverso l’ERTU per quanto riguarda radio e televisione e attraverso il Consiglio Superiore della Stampa per quanto riguarda la stampa semi-ufficiale, la presidenza ha conservato in maniera salda, sebbene indiretta, la possibilità di nominare direttori e top manager. In questo modo è stata in grado di offrire molto, in termini di prestigio sociale e di vantaggi economici, a coloro i quali si sono mostrati sufficentemente fedeli. La fedeltà clientelare è diventata dunque per i giornalisti egiziani centrale nel mantenimento della propria posizione e ancor di più negli avanzamenti di carriera, soprattutto agli alti livelli. A proposito dell’influenza della struttura clientelare di potere nell’organizzazione del lavoro nelle redazioni dei broadcasting news egiziani, Shalaqani (1995) afferma: This paradigm presumes that the interaction between the governament elite and the top managers of the system under study determine the policy of broadcasting. This interaction could well be informal and indirect. That is, managers could percieve independently governamental elites’ inclinations and act accordingly. The elite-manager relationship is percieved to be one of patron-client nature (pag.100). Questa descrizione conferma dunque che i rapporti di potere e le relazioni informali sono percepiti come di fondamentale importanza nella determinazione delle policies editoriali. Shalaqani (ibidem pagg. 99-101) si spinge oltre e distingue, all’interno degli obiettivi alla base delle 65 azioni dei manager della radio e televisione nazionale, tra “service goals” e “non service goals”. I service goals sarebbero quelli stabiliti dalla legge e dai regolamenti e avrebbero a che vedere con gli obiettivi che riguardano l’informazione in quanto servizio. Oltre a questi tuttavia esisterebbero altri obiettivi, “non service goals”, collegati alla volontà di protezione del proprio potere personale e del proprio benessere da parte dei manager e dei loro clienti. Secondo quanto scritto da Shalaqani nel 1995, i “non service goals” rappresentano la vera forza motrice del sistema di broadcasting egiziano: Given the nature of the elite-manager relationship, it is suggested that the nonservice goals of individuals and groups within the organization tend to prosper at the expense of organizational objectives. The predominance of nonservice goals does not necessarily preclude overall organizational effectiveness. The critic question is how severely the balance is tipped in favor of nonservice goals (pag.101). Il rapporto dei vertici del sistema dell’informazione con i centri del potere politico dunque si è andato costruendo su relazioni di tipo personale. Un’organizzazione di questo genere si ritrova infatti anche nelle relazioni di potere all’interno della stampa semi-ufficiale (cfr. Rugh 1987, 2005; ‘Abd al-Fattah Ibrahim 1987; Von Korff 2003) dove soltanto pochi giornalisti, legati strettamente a rapporti di fedeltà personale alle figure più alte del regime, possono aspirare alle posizioni chiave all’interno delle redazioni. Si tratta di una sorta di club chiuso, quello dei “baroni della stampa”, uomini leali ai vertici delle reti di clientele del regime: The high administrative posts are confined to a very small group in each paper. Often one person accumulates several posts for example division chief, editing director, deputy editor in chief etc. Usually changes occur within this group (‘Abd al-Fattah Ibrahim 1987, pag.371). Da questi elementi emerge chiaramente come le relazioni clientelari e le strutture informali diventino, all’interno di tutto il sistema dell’informazione, molto più importanti di quelle formalizzate. È pertanto inevitabile che la cultura professionale finisca per essere profondamente influenzata da questo elemento. Le relazioni clientelari infatti non riguardano soltanto i vertici della piramide ma regolano qualsiasi rapporto professionale imbrigliando tutti in tale rete di legami. Questo elemento ha completamente immobilizzato il sistema. Se ogni soggetto rappresenta un nodo in una fitta rete di relazioni personali, non è certo variando la struttura formale del sistema, le leggi o i regolamenti, che si possono ottenere reali trasformazioni. I giornalisti egiziani si sono abituati a considerare la struttura formale come un elemento superficiale che poco dice dei reali equilibri di potere con cui è necessario relazionarsi quotidianamente. Un segno evidente di questa realtà organizzativa, che poi è diventata anche culturale, sta nel fatto che, come afferma anche Nasser (1977 pagg. 16-18), anche nel momento in cui le leggi vengono mutate in senso meno repressivo o il Presidente invita la stampa ad una maggiore dinamicità,62 le reazioni dei giornalisti sono, nella maggior parte dei casi, estremamente tiepide. Non è un cambiamento nelle leggi o la mutata attitudine -momentanea peraltro- del “vertice” della piramide che può trasformare realmente gli equilibri all’interno delle redazioni: 62 Durante la presidenza Sadat negli anni successivi alla guerra del 1973 o nei primi anni della presidenza Mubarak. 66 se le indicazioni non vengono dal proprio diretto patron, è molto difficile che i giornalisti modifichino le modalità consolidate di lavoro. In questo senso infatti la letteratura è concorde sul fatto che uno degli elementi che più hanno caratterizzato la cultura giornalistica egiziana è quello dell’autocensura. L’organizzazione clientelare dei rapporti professionali concorre infatti nel determinare una condizione di incertezza permanente che caratterizza la vita professionale dei giornalisti. Proprio l’“incertezza” sembra essere l’elemento centrale della cultura giornalistica egiziana per quanto riguarda la relazione tra giornalisti e potere. Quest’incertezza si è sviluppata anche come conseguenza dell’utilizzo che i regimi hanno fatto del sistema legale. Anche nei momenti in cui il regime63 ha allentato il controllo sui media dell’informazione, a questo raramente ha corrisposto una significativa trasformazione del sistema legislativo in materia di libertà d’espressione. Per questo i giornalisti si sono abituati a vivere in una condizione di profonda incertezza, perché non è mai stato sufficientemente chiaro quando la fase di tolleranza si sarebbe chiusa. L’immagine che si è diffusa tra i giornalisti egiziani per descrivere questa condizione è quella di “sistema del congelatore”: il regime “tiene in congelatore”, ovvero ha a disposizione leggi potenzialmente molto repressive e decide, a seconda di considerazioni che spesso sfuggono ai giornalisti, quando “scongelarle”. Alla luce di quanto detto fin qui è abbastanza complesso stabilire se i giornalisti abbiano finito per rappresentare, all’interno della società egiziana, un “gruppo deviante” o un “gruppo strategico” in relazione agli equilibri di potere esistenti. Von Korff (2003) definisce i giornalisti egiziani, in quanto corporazione, una “mixed legacy”: al suo interno infatti alcuni elementi, soprattutto provenienti dalla stampa dei partiti d’opposizione, hanno cercato negli anni di usare il sindacato come un soggetto politico in grado di esercitare un ruolo di rottura negli equilibri di potere consolidati, e dunque di rappresentare una forza deviante. Queste “forze devianti” tuttavia sono state tenute a bada abbastanza facilmente dal regime e, in generale, dai gruppi che, all’interno della società egiziana, sono interessati al mantenimento degli equilibri di potere esistenti. I gruppi strategici hanno mantenuto infatti ampio potere d’influenza sul sistema dei news media attraverso il controllo del Consiglio Superiore della Stampa, delle case editrici semi-ufficiali e, attraverso l’ERTU, di tutti i servizi di broadcasting. In questa condizione non poteva che svilupparsi una cultura giornalistica all’interno della quale il rapporto con il potere è basato sulla necessità di “sopravvivere” e di mantenere i propri piccoli privilegi. In questa dinamica la fedeltà clientelare al proprio patron si configura come centrale, tanto che si faccia parte di un “gruppo strategico” quanto che ci si senta legati ad un “gruppo deviante”. Ne consegue un giornalismo partigiano e estremamente incerto: una volta individuati quali sono le issue “gradite”, il semplice giornalista, ma spesso anche il direttore, preferisce restare fermo su queste piuttosto che avventurarsi su terreni minati: Their ability to survive and prosper depends not only on their willingness to respect the tacit limits of tolerable debate but also on the accuracy of their “inside” information about the changing of power within the ruling circle (Fahmy 2002, pag. 124) 63 Questo è avvenuto durante tutte e tre le presidenze post-rivoluzionarie. 67 Infine, come sottolinea anche Nawawy (1995), i bassissimi salari dei “giornalisti comuni” e l’avidità dei direttori espone notevolmente i giornalisti alle lusinghe dei benefit e dei veri e propri regali che possono arrivare dagli uomini del regime o dai “potenti” in cambio di un trattamento favorevole. In una situazione di questo tipo ricevere regali e mance dalle fonti diventa una pratica comune, un elemento considerato come parte della professione e, implicitamente, della cultura professionale. 3.3 Educare gli egiziani: Il ruolo sociale dei giornalisti Fin dalle origini del giornalismo moderno nel paese, ai giornalisti è stato chiesto di svolgere nella società egiziana era un ruolo educativo. Il primo giornale egiziano Al Waqai’ Al Misryia fu creato nel 1827 dal notabile ottomano Mehmet Alì, per “educare” i suoi collaboratori in modo che che potessero comportarsi coerentemente con le sue politiche di governo (Valeriani 2005). Esistono almeno tre ordini di fattori che hanno funzionato come impulso per i giornalisti egiziani nel consolidare la loro funzione sociale di “educatori”, di soggetti “attivi” all’interno della sfera pubblica. Il primo, e sicuramente più influente di questi elementi, riguarda le pressioni del sistema politico. Negli anni della presidenza Nasser il regime richiedeva ai media dell’informazione di mobilitare la popolazione e supportare il progetto di socialismo arabo, di nazionalizzazione delle risorse e di pianificazione dell’economia. Sadat chiedeva invece di appoggiare la riforma liberale dell’Infitah spiegando i vantaggi dell’apertura al mercato dell’economia nazionale. Infine Mubarak ha chiesto (e chiede) di convincere la popolazione della possibilità di avviare un processo di “democratizzazione” senza mettere in discussione l’ordine costituito e soprattutto senza toccare la presidenza. Tutte le leggi in materia di stampa, così come i regolamenti della radio e della televisione, fanno riferimento a questo ruolo da parte dei media dell’informazione e Nasser, nel discorso pubblico tenuto in occasione della nazionalizzazione della stampa, definì i giornali “mezzi di orientamento”64. Secondo il decreto presidenziale N.62 del 1970 che stabiliva la creazione dell’ERTU (Egyptian Radio and Television Union), i mezzi di comunicazione di massa “devono sostenere le politiche dello stato”, ancora secondo la legge N.95 del 1980 la stampa non deve minacciare, ma anzi favorire, la “pace sociale” ; questo solo per riprendere alcuni dei numerosi passaggi dei testi di legge all’interno dei quali si è fatto riferimento al “ruolo educativo” dei media dell’informazione. A questo proposito Nasser (1983) ha scritto: Thirld World countries assign journalists the roles of educators and nation builders. This is seen as an extension of the political philosophy of the government to forge a news society. Journalist’s roles may vary from one society to another, depending on the tradition of journalism in the country and the standard of professionalism inherited from colonial times (pag. 48). 64 Al Ahram, 29 luglio 1960. 68 Dietro la richiesta che i media dell’informazione esercitino un ruolo di tipo educativo c’è l’idea che la società civile sia molto fragile e acerba e che ci sia la necessità che i giornalisti, con il loro lavoro, non “agitino” un’opinione pubblica non sufficientemente attrezzata per reagire in modo equilibrato alle “provocazioni” di una stampa irresponsabile. La legge N.33 del 1978 riguardante la protezione del fronte interno e della pace sociale”, la N.95 del 1980 riguardante la protezione dei valori dalla vergogna” e più specificamente la legge N.93 del 1995 esprimono in maniera chiara questa visione della società civile e del ruolo “educativo” richiesto dal sistema politico ai giornalisti. Sostanzialmente quello che il regime ha preteso dai giornalisti egiziani, soprattutto negli anni di Nasser, è stato l’adattamento ad una visione del proprio lavoro definita in letteratura come “develompment journalism”65 (Aggarawala 1979, Smith 1980, Nasser 1983). Il “development journalism” vede i giornalisti come partner attivi nella promozione dello sviluppo economico, sociale e umano delle loro comunità: si tratta, ovviamente, di un concetto che può caratterizzare più facilmente la cultura giornalistica dei paesi in via di sviluppo. Il secondo ordine di fattori che hanno rappresentato un impulso affinché i giornalisti egiziani consolidassero la loro funzione sociale di “educatori”, di soggetti “attivi” all’interno della sfera pubblica ha a che vedere con il clima che ha caratterizzato il dibattito attorno ai media dell’informazione e al loro ruolo, all’interno dei sistemi nazione e a livello internazionale, per tutta la Guerra Fredda. Questa questione ha tenuto banco in particolare tra il decennio Settanta e l’inizio del decennio Ottanta in seno all’UNESCO e ha visto i paesi non-allineati, di cui l’Egitto era uno dei leader incontrastati, richiedere a gran voce un nuovo ordine internazionale dell’informazione. Tra le critiche che i non allineati muovevano al sistema internazionale dell’informazione, dominato dai media occidentali, c’era quella che l’immagine data dei paesi del terzo mondo era fortemente negativa e focalizzata soltanto sulle questioni problematiche. I non-allineati dunque rivendicavano la rappresentazione sui media internazionali di una immagine più positiva dei loro paesi. Pertanto è possibile che, tra gli elementi che hanno spinto i giornalisti egiziani all’“assunzione di responsabilità sociale”, ci sia stata una reazione d’orgoglio stimolata dal desiderio di rivalsa internazionale che la retorica del non-allineamento ha favorito. Infine c’è da considerare il dato di fatto dell’analfabetismo e del bassissimo tasso di scolarizzazione che storicamente ha caratterizzato il paese. Questo ha fatto sì che l’immagine che i giornalisti hanno sviluppato del loro pubblico sia stata effettivamente quella di un soggetto da “educare”, un soggetto incapace di definire i propri interessi e a cui bisogna mostrare quali sono le questioni veramente importanti. In questo senso una ricerca realizzata nel 1989 da Abdel Nabi e Abdel Fattah mostra come gli interessi del pubblico fossero -nell’attribuzione di valore notizia agli eventi- all’ultimo posto nelle priorità dei giornalisti egiziani. Ad analoghe conclusioni –in riferimento però agli anni di Nasser- è possibile arrivare anche da una ricerca commissionata da Al Ahram nel 196566 e riportata in Dabbous (1993) che mostra come, men65 In questo senso la cultura giornalistica egiziana è stata molto influenzata dal progetto politico nasseriano tuttavia, seppure meno presente nella retorica dei regimi successivi, l’idea del “developmental role” dei media è rimasta a caratterizzare la realtà egiziana. 66 Si tratta di una ricerca commissionata e finanziata da Al Ahram, realizzata tra il 15 giugno e il 15 agosto 1965, il campione constava in 3000 soggetti (Dabbous, 1993). 69 tre per più dell’80% dei lettori intervistati le notizie più interessanti fossero quelle che riguardavano gossip, cronaca mondana e soft news in genere, i giornali egiziani dessero ampissimo risalto a questioni di politica ed economia, dimostrando di non voler assecondare i propri lettori ma, al contrario, di volerli “educare”. Da questi risultati sembra che l’idea dell’“immaturità” dell’opinione pubblica nazionale non si sia sviluppata soltanto all’interno del regime ma sia entrata anche nella cultura giornalistica. Un’ulteriore considerazione legata all’idea di instaurare un rapporto “didattico” con il lettore ha a che vedere con il rapporto tra informazione e realtà. Se il compito principale di un giornalista è quello di “educare”, o di supportare lo “sviluppo nazionale”, allora è ammissibile anche, per il bene del paese, proporre notizie su cui non si è verificata l’attendibilità, o che addirittura si sanno false (Heikal 1976, Nasser 1979, Shalabieh 1985). Questo discorso non può prescindere dal contesto di autoritarismo e di controllo indiretto sul sistema della stampa, e diretto sul sistema radiotelevisivo, che ha caratterizzato lo sviluppo del sistema egiziano: il regime ha avuto tutti gli strumenti in mano per imporre sui media la propria propaganda, soprattutto negli anni di Nasser e di Sadat (Shalabieh, ibidem). Tuttavia, considerando che anche la stampa dei partiti d’opposizione spesso ha subordinato la verità alla propria “missione educativa”, si può parlare di una tendenza propria di tutto il sistema. Per riassumere, dovendo definire il modello di comunicazione politica che si è sviluppato all’interno del sistema egiziano potremmo utilizzare, facendo riferimento alla classificazione proposta da Blumler e Gurevitch (1995, pag. 15), il modello “partisan political communication system”. All’interno di tale modello i giornalisti funzionano appunto come “guide” e non è previsto nessun ruolo di “information providing”. Se il ruolo affidato ai giornalisti è quello di “editorial guide” ne consegue che lo spazio che essi attribuiranno ai propri commenti e alle loro interpretazioni degli eventi sarà molto ampio in quanto considerato utile per guidare il pubblico alla lettura della quotidianità. Come sottolineano anche Fandy (2000) e Mellor (2005) nel giornalismo egiziano l’“opinione” surclassa di gran lunga l’investigazione e la “spiegazione” l’informazione. I grandi quotidiani semi-ufficiali hanno una serie di opinionisti molto importanti (e tendenzialmente legati ai vertici del regime) che quotidinamente intervengono offrendo la loro guida all’opinione pubblica. 3.4 Coniugare “responsabilità sociale” e “obiettività” Un ragionamento sui principi etici che caratterizza la cultura giornalistica egiziana non sarebbe possibile senza considerare nello specifico il discorso sul valore assunto all’interno di tale contesto della “responsabilità sociale”. Infatti il tema della “responsabilità” sta alla base dello sviluppo delle norme etiche che caratterizzano il sistema: nella stesura dei tre codici etici che sono stati sottoscritti dal sindacato dei giornalisti nel 1972, 1983 e 1996 questo tema resta come dominante (Kai Hafez, 2002). In tal senso è necessario innanzitutto fare riferimento al clima all’interno del quale queste regolamentazioni sono state elaborate. Il riferimento alla necessità di una regolamentazione etica, o di una sua revisione, è sempre stato sollevato non 70 tanto dai giornalisti ma piuttosto dal regime nel tentativo di utilizzare principi etici come strumento di controllo: il garante del rispetto da parte dei giornalisti dei codici etici è infatti un organo sostanzialmente politico: il Consiglio Superiore della Stampa. La legge 76 del 1970 fa un espresso riferimento alla necessità che i giornalisti si dotino, anche per poter operare in maniera conforme agli interessi della propria nazione, di un codice etico che i giornalisti hanno adottato soltanto nel 1972. Sadat, in un discorso pubblico del 1976 (riportato da Nasser 1977, pag. 34), affermava che la stampa doveva dotarsi di un nuovo e più strutturato codice etico, poiché “ad ogni cosa al mondo, anche alla libertà, bisognava dare dei limiti”. A ciò si giunse nel 1983 in seguito all’azione del Consiglio Superiore della Stampa e non a quella del Sindacato dei giornalisti che si erano mostrati riluttanti di fronte alle richieste del regime di nuove forme di autoregolamentazione. Un ulteriore codice, stilato dal Sindacato dei Giornalisti, sarebbe infatti arrivato soltanto il 7 aprile del 1996, nel pieno di una battaglia sindacale contro la legge 93 del 1995, e con lo scopo di dimostrare che i giornalisti erano in grado di darsi autonomamente regole di comportamento e limiti d’azione. Tra le motivazioni fornite dal regime e dai parlamentari che avevano approvato la legge 93 c’era l’idea che la privacy e la tutela reputazione dei singoli individui dovesse rappresentare un valore superiore alla libertà di informazione. Alla base dell’idea del legislatore c’era la concezione, più volte ribadita nei dibattiti parlamentari tra il 1995 e il 1996 (vedi anche Ezz El Din 1996), che i giornalisti non dovessero godere di nessuno status particolare rispetto al resto della popolazione egiziana e che, pertanto, le leggi in materia di diffamazione dovessero essere uguali per i giornalisti come per tutti gli altri cittadini. Questo serviva soprattutto a proteggere le alte cariche del regime di fronte ai possibili attacchi del sistema della stampa. Allo stesso modo il codice del Broadcasting del 1979 poneva il “bene della società” davanti a qualsiasi altro dovere del servizio radio televisivo, anche (in maniera non esplicitata) a quello dell’informazione. Questa premessa serve per comprendere appieno come le questioni etiche siano, da sempre, al centro di una negoziazione tra il regime e i giornalisti e come il dibattito sulla necessità di regolamentazione in questo senso non sia maturato all’interno della comunità dei giornalisti e sia alimentato soprattutto da pressioni del regime. L’obiettivo del governo è sempre stato quello di porre dei limiti alla libertà d’azione della stampa attraverso il controllo degli organismi (Consiglio Superiore della Stampa, i vertici del Sindacato dei giornalisti, l’Assemblea Generale per il Broadcasting e il Ministero dell’Informazione) cui era affidato il compito di vigilare affinché i giornalisti rispettassero questi codici etici e deontologici. È dunque fondamentale partire da questo elemento nel momento in cui si vogliono analizzare i valori etici che hanno finito per caratterizzare la comunità giornalistica egiziana. Fatta questa premessa, a partire dall’analisi dei codici deontologici elaborati tra il 1972 e il 1996, è possibile proporre alcune considerazioni67 in merito a: - Rapporto tra privacy e diritto/dovere di cronaca. - Libertà d’espressione. 67 Un’analoga impostazione dell’analisi dei codici etici e deontologici dei giornalisti in Europa, Medio Oriente e Asia Musulmana è proposta da Kai Hafez (2002). 71 - Religione e tradizione. - Valore del concetto di obiettività. Il rapporto tra privacy, diritto alla protezione della reputazione personale e diritto/dovere di cronaca, è centrale in tutti e tre i codici etici. Nel codice del 1972 (Sezione dichiarazioni, §4) si legge: “Non pubblicare le fotografie di personaggi non pubblici senza loro previa autorizzazione”. Nel codice del 1983 (Sezione seconda, punto b) si legge: “Il giornalista deve rispettare tutti i diritti dei cittadini (…) incluso in tale lista c’è il diritto del cittadino di preservare la propria dignità e di non essere sottoposto al danno che può essere arrecato alla sua reputazione da una notizia, una caricatura o una foto pubblicate con l’obiettivo di dare un giudizio o una sentenza su di lui prima che in merito ci sia un pronunciamento della magistratura”. Nel codice del 1996 (Sezione principi generali, §4) si legge: “Proteggere il diritto alla privacy e alla vita privata di tutti i cittadini”. Il clima politico e sociale all’interno del quale questi tre codici sono stati “negoziati” aiuta a comprendere il senso di queste dichiarazioni di intenti. Innanzitutto le pressioni affinché il diritto di cronaca venisse subordinato alla tutela della reputazione personale erano motivate dalla volontà di proteggere gli uomini politici dalle accuse di corruzione e dalle campagne di stampa volte a mettere in discussione il loro operato. A questa richiesta se ne aggiungeva un’altra che ha a che fare con un elemento molto sentito della morale arabo-islamica, e che Ayish e Sading (1997) definiscono come uno dei valori centrali dell’etica della comunicazione nel mondo arabo, ovvero “il diritto di ogni persona a tutelare il proprio onore e la propria buona reputazione”. Infine non si può prescindere dalla cultura politica che caratterizza il sistema68: i rapporti personali e i legami informali sono di gran lunga la struttura portante del sistema politico e sociale egiziano. È evidente che all’interno di un sistema di questo tipo la reputazione personale e la riservatezza nella gestione delle relazioni –sociali e politiche- assumano un valore fondamentale69. La centralità del rapporto tra privacy e diritto di cronaca, e il suo sbilanciamento verso il primo elemento, si spiegano perciò alla luce di tutti questi elementi. È dunque centrale il rapporto tra etica professionale, morale e religione. 68 Tale cultura politica e sociale caratterizzava tutta la società e la sfera pubblica, era per tanto patrimonio di tutti, giornalisti compresi. 69 Kai Hafez (2002) sottolinea tuttavia come sia necessario evitare distinzioni troppo nette tra l’idea che i principi etici delle culture giornalistiche del mondo arabo siano basate sulla “privacy”, mentre quelle occidentali sulla “publicness”, in conseguenza del fatto che le prime hanno sviluppato sistemi politici basati su rapporti informali mentre le seconde su rapporti formalizzati. Secondo Hafez infatti, una separazione di questo tipo sarebbe eccessiva, soprattutto alla luce del fatto che in entrambe le culture giornalistiche sono presenti sia l’elemento della tutela della “privacy” sia quello della tutela della “publicness”. In ogni caso però riteniamo che la cultura politica egiziana, e la dipendenza del sistema da rapporti informali e di tipo clientelare, abbiano influenzato notevolmente la centralità del valore della privacy e della reputazione all’interno della cultura giornalistica. 72 La necessità di non contravvenire alle norme prescritte dalla morale islamica è percepita in maniera molto forte all’interno della cultura giornalistica egiziana (Hafez 2002), innanzitutto perché tale necessità è comune a tutta la società egiziana e dunque anche ai giornalisti, in secondo luogo perché pubblicare articoli, o trattare temi considerati tabù dalla morale religiosa, significa offrire al regime una semplice opportunità di sanzionare un giornalista o una pubblicazione senza suscitare nessun tipo di indignazione all’interno della società. Un elemento interessante, su cui si sofferma Hafez (2002) nella sua comparazione tra i codici etici prodotti in ambito arabo-islamico e quelli prodotti in ambito occidentale, ha a che vedere con la concezione di “libertà” proposta all’interno di tali documenti. In tal senso Hafez inserisce l’Egitto in una fascia intermedia tra i paesi i cui codici pongono la libertà come valore centrale della pratica giornalistica e i paesi i cui codici non menzionano in assoluto la libertà tra i valori fondamentali per l’esercizio del giornalismo. L’Egitto infatti, soprattutto per quanto riguarda i codici del 1972 e del 1983, pone la libertà tra i valori fondamentali della pratica giornalistica ma stabilisce dei limiti di natura politica, religiosa, culturale e di interesse nazionale a tale libertà. Nel codice etico del 1983 si legge nella prima sezione al punto 1: “Il concetto di giornalismo è collegato alla libertà sotto la supervisione del pubblico” e al punto 3: “L’operato del giornalista deve essere basato sulla verità e sulla lealtà alla nazione, al popolo, alla terra, alla storia, principi, ai valori, all’onore e alla verità”. Ancora in quello del 1996 al punto 2 della prima sezione la libertà è posta in stretta relazione con la responsabilità. Negli anni di Nasser i giornalisti dovevano, per essere ammessi al giornalismo, dichiarare: “Giuro, nel nome di Dio il misericordioso, di proteggere gli interessi della mia nazione, di condurre la mia missione giornalistica con onestà, di onorare il segreto professionale e di rispettare gli standard etici e la tradizione del giornalismo” Questo “giuramento” esprime bene il tipo di visione della libertà personale del giornalista che ha finito per caratterizzare la cultura professionale egiziana: la libertà del giornalista deve confrontarsi e sottomettersi ad una forza più grande che idealmente è rappresentata dagli interessi nazionali e nella pratica dalle scelte del regime. La libertà è comunque rimasta nel tempo un valore nella cultura giornalistica nazionale, tuttavia essa non è mai stata separata dalla “responsabilità” nei confronti della nazione: “La libertà della stampa deriva dalla libertà della nazione”, così si apre il codice etico del 1996. Quest’ultima questione ha a che vedere con l’ideale dell’obiettività. Il concetto di “obiettività” rappresenta un elemento centrale e allo stesso tempo ambiguo nella cultura giornalistica occidentale, e in quella anglosassone in particolare. Che ruolo ha assunto tale ideale nella cultura giornalistica egiziana? Per rispondere è necessario fare di nuovo riferimento ai codici etici del 1972, 1983 e 1996. In essi è possibile infatti trovare alcuni riferimenti a principi analoghi all’obiettività anglosassone: - “una rigida obiettività in tutto ciò che scriviamo e pubblichiamo” (Codice del 1972 Sezione “Dichiarazioni” §8). - “presentare i fatti completi, senza distorsioni” (Codice del 1983, Sezione due, punto b). 73 - “aderenza ai principi dell’etica, dell’affidabilità e della verità” (Codice del 1996 Sezione “Diritti e Doveri” §1). Il riferimento a questi principi appare in contraddizione con il valore centrale della cultura giornalistica egiziana: la “responsabilità sociale” intesa come approccio “didattico” al pubblico. Questa contraddizione mostra come l’“obiettività” sia una “scatola vuota”, un concetto apparentemente universale70, un elemento che si integra all’interno di differenti culture giornalistiche, utilizzato per supportare e per trovare giustificazioni a pratiche molto differenti tra loro. Nel caso egiziano l’aderenza al principio di obiettività non viene percepita in contraddizione con l’idea di “funzione didattica” del giornalismo. Abdel Nabi (1989) infatti afferma che i giornalisti egiziani da lui intervistati percepivano come un loro dovere distinguere tra “verità” e “falsità”71, anche in materia di opinioni, per aiutare il pubblico ad orientarsi. All’interno di una visione di questo tipo, come sottolinea anche Mellor (2005, pagg. 88-89), l’idea di obiettività come obbligo alla presentazione di “tutti i punti di vista”, non può sussistere. Se il compito del giornalista è quello di presentare la “verità”, presentare tutti i punti di vista significa inevitabilmente anche presentare opinioni “scorrette” e pertanto confondere il lettore. Secondo Abdel Nabi e Mellor dunque l’idea di obiettività che caratterizza la cultura giornalistica egiziana ha più a che fare con l’accuratezza, la precisione e la separazione tra notizia e commento piuttosto che sull’impegno a presentare tutti i punti di vista, come è invece tipico dell’ideale di obiettività anglosassone (cfr. Patterson 1998). Obiettività secondo i giornalisti egiziani non significa dunque dare lo stesso spazio a tutti i soggetti e a tutte le opinioni, ma impegno nell’identificazione della “verità”, impegno necessario per poter svolgere il proprio ruolo sociale. 3.5 Lo “spirito egiziano” del giornalismo arabo Il tema dell’orgoglio nazionale e del nazionalismo è molto importante nella strutturazione della cultura giornalistica egiziana. Abdel Nabi (1989), ad esempio, insiste molto sull’abbondanza di notizie nelle quali l’orgoglio nazionale viene esaltato dedicando, ad esempio, moltissimo spazio agli egiziani “illustri”, coloro che attraverso l’eccellenza o la fama acquisita a livello nazionale e internazionale diventano simboli del paese e testimoni del valore dello “spirito egiziano”. A questo proposito Mellor (2005, pag.93): These citizens then serve as a national image or voice to the whole nation, and, accordingly their acheivements are deemed newsworthy and grant them a place in the media. Those who cannot pride themselves on similar achievements are not only less represented but may be pushed aside as violating the “authentic” image of the nation. Kai Hafez (2002) evidenzia come il concetto di “obiettività” sia presente all’interno dei codici etici occidentali come in quelli mediorientali e in quelli asiatici. 71 Anche se in alcuni casi “la verità” può essere subordinata alla necessità di supportare un obiettivo politico. La coesistenza di elementi contraddittori all’interno della stessa cultura giornalistica non deve stupire, infatti la cultura giornalistica è frutto di una negoziazione continua tra elementi anche incoerenti tra loro. 70 74 Questo elemento della cultura giornalistica egiziana è sostanzialmente collegato, a livello generale, con il forte nazionalismo proprio della cultura egiziana (cfr. ad esempio Hamam 2005) e, nello specifico, con la responsabilità sociale strutturale alla cultura giornalistica del paese. Si può affermare che la tutela del prestigio nazionale rappresenti un elemento centrale nella cultura giornalistica egiziana, un elemento che trova in un forte orgoglio dotato di radici profonde quanto la cultura millenaria del paese la sua forza. All’interno di tale cultura, la presentazione delle “vicende negative” che riguardano il paese, dalla corruzione, alla cronaca nera, alle problematiche sociali, ha finito per essere valutata con molta attenzione, non solo perché è ovvio che queste issue non sono gradite al regime ma anche perché i giornalisti stessi ritengono che l’eccessiva insistenza su tali tematiche possa dare un’immagine eccessivamente negativa del paese, e quindi ne rovini la reputazione. In ogni caso l’“orgoglio nazionale” dei giornalisti egiziani non è soltanto il frutto della sottomissione alle pressioni di un regime autoritario, che pur trae estremo vantaggio dal fatto che essi sentano la forte necessità di supportare l’immagine del loro paese, ma è il frutto di un tratto distintivo della cultura egiziana. In questo senso i dati del World Values Survay mostrano come nella seconda metà degli anni Novanta più dell’80% degli egiziani si dichiarasse molto orgoglioso della propria nazionalità72 e il restante 20% si dicesse comunque orgoglioso di essere egiziano. Gli anni d’oro del nasserismo, l’idea dell’Egitto come guida dei paesi arabi e di tutti i “non allineati” e la nazionalizzazione del Canale di Suez hanno contribuito ad aumentare l’orgoglio nazionale degli egiziani, così come l’isolamento in seguito agli accordi di Camp David e l’espulsione dalla Lega Araba, alla fine degli anni Settanta, hanno determinato una volontà di rivalsa nei confronti degli altri paesi arabi. Il nazionalismo all’interno della cultura giornalistica egiziana è dunque un tema molto forte, sopportato da una molteplicità di ragioni storiche, culturali e politiche; si tratta di un elemento che influisce notevolmente sull’attribuzione dei valori-notizia e sulle scelte editoriali dei media dell’informazione egiziani. Il fatto che il giornalismo moderno si sia sviluppato con grande forza in Egitto prima che negli altri stati arabi73 e il fatto che il sistema radiotelevisivo egiziano sia stato a lungo quello più imponente della regione ha costituito, per i giornalisti egiziani, un motivo di grande orgoglio. L’Egitto ha a lungo rappresentato il faro culturale della regione, il luogo dove le classi dirigenti si recavano per perfezionare i propri studi e per frequentare le università del Cairo74. Anche per quanto riguarda il giornalismo l’Egitto è stato, a livello regionale, il più importante centro di formazione e il luogo d’origine dei migliori professionisti, tanto del giornalismo della carta stampata quanto di quello radiotelevisivo75. L’organizzazione delle redazioni dei giorNello stesso periodo la stessa affermazione era condivisa da meno del 40% degli italiani (World Values Survey). Il primo giornale moderno del mondo arabo fu fondato al Cairo nel 1828 da Mohamed Alì, il grande notabile ottomano di origine albanese che resse il paese fino al 1848. Nei cento anni successivi (1828-1929) furono fondati al Cairo 543 giornali (Tarrazi 1933). 74 Prima che il trend diventasse quello di recarsi in Europa e negli Stati Uniti. 75 Un primato che fino alla metà degli anni Settanta l’Egitto si contendeva con il Libano, dove per altro i giornalisti egiziani che avevano avuto problemi politici in patria spesso si trasferivano per continuare la loro attività professionale. 72 73 75 nali egiziani, così come quella del sistema radiotelevisivo sono stati, almeno fino alla fine degli anni Ottanta, presi a modello in tutta la regione e un po’ tutti i paesi arabi mandavano giornalisti a formarsi in Egitto: While some of the Egyptian broadcasters are trained in western countries such as the United Kingdom, U.S.A., and East and West Germany, broadcaster from other Arab countries study at the Egyptian Broadcasting Corporation’s own training center in Cairo. Egypt is the home of the Arab world’s most important schools of higher learning educational centers of the Middle East. The College of Communication at Cairo University is the most important center of communication education in the Arab World (Shalabieh 1985, pag.117). I giornalisti egiziani dunque, grazie a questo ruolo di “trainer” regionali, si sono abituati a considerarsi una guida, escludendo ogni possibilità di acquisire ulteriore professionalità da altri soggetti in ambito mediorientale. L’Egitto inoltre ha giocato un ruolo fondamentale nella costituzione dell’Arab States Broadcasting Union nel 196976, organizzazione che inizialmente vide il paese come principale animatore. Uno degli obiettivi principali dell’ASBU era quello di riuscire rapidamente a intraprendere la scommessa della televisione satellitare e anche in questo l’Egitto arrivò per primo con il lancio nel 1990 dell’Egyptian Space Channel. Gli ambiziosi progetti di network panarabi che, con capitali sauditi, vennero lanciati agli inizi degli anni Novanta si sono serviti prevalentemente di professionalità egiziana: insomma non solo nell’ambito della carta stampata ma anche e soprattutto in ambito audiovisivo77, l’Egitto è stato, fino alla metà degli anni Novanta, la forza trainante del mondo arabo. Tutti questi elementi hanno influenzato notevolmente la cultura giornalistica egiziana facendo sì che i giornalisti sviluppassero un orgoglio molto marcato per il “giornalismo egiziano” e un netto senso di superiorità nei confronti degli altri sistemi giornalistici nella regione. Questo li ha portati a considerarsi leader nella regione, a sentirsi investiti di una forte responsabilità e a guardare con diffidenza e scarso interesse i prodotti giornalistici che venivano dal resto del mondo arabo. Inoltre, il fatto che i grandi giornali egiziani, Al Ahram in particolare, fossero letti in tutta la regione, che giornalisti come Heikal fossero considerati “gli opinionisti” arabi per eccellenza, che il dialetto egiziano fosse compreso in tutta la regione grazie alla popolarità dei suoi prodotti televisivi, non poteva non convincere i giornalisti egiziani che, nei flussi regionali di informazione, il paese avrebbe sempre rappresentato il centro di irradiamento verso le periferie del mondo arabo. Questi elementi intrinsechi alla cultura professionale egiziana hanno giocato un ruolo molto importante nella reazione dei giornalisti egiziani allo spostamento del baricentro dell’informazione regionale verso il Golfo Persico, in seguito al lancio di Al Jazeera. 76 Agenzia di cooperazione panaraba volta a favorire lo scambio di programmi televisivi, di competenze e la ricerca comune nel capo delle teconologie della comunicazione. I capitali necessari per la costituzione dell’Unione erano arrivati tuttavia in prevalenza dall’Arabia Saudita (cfr. Valeriani 2005). 77 Questo anche per quanto riguarda l’intrattenimento: l’Egitto è sempre stato il principale produttore di film e di fiction seriale del mondo arabo. 76 A conclusione di quest’analisi degli elementi di lungo periodo che hanno finito per caratterizzare i valori della cultura giornalistica egiziana è opportuno fare due riflessioni. Innanzitutto bisogna considerare il fatto che esiste sempre una distanza tra tali valori e la pratica dei comportamenti quotidiani dei giornalisti: i valori servono alla comunità giornalistica per costruire e autolegittimare la propria posizione sociale e il proprio status e per negoziare con gli altri soggetti sociali le regole e i valori che caratterizzano la sfera pubblica. Quotidianamente tuttavia, nello svolgimento del proprio lavoro, i giornalisti compiono azioni che si collocano più o meno vicino a questi valori, coerentemente con quelli che possono essere gli obiettivi specifici della singola azione78. In secondo luogo bisogna considerare che non sempre gli stessi valori che caratterizzano una cultura giornalistica risultano coerenti tra loro, anzi in alcuni casi possono risultare contraddittori. Questa riflessione è utile per comprendere come la cultura professionale di un sistema sia effettivamente il frutto di una continua negoziazione tra valori spesso conflittuali, una negoziazione che non si esaurisce mai e il cui risultato varia continuamente e si sposta continuamente all’interno dello spettro di possibilità che la relazione tra questi elementi conflittuali produce. 3.6 I Processi di newsmaking: notizie protocollari e focus sulla capitale Nell’analizzare le pratiche che caratterizzano una cultura giornalistica è fondamentale considerare in che modo viene attribuito valore notizia alla molteplicità dei fatti che accadono dentro e fuori dal sistema. La pratica giornalistica ha infatti inizio nella scelta e nella selezione delle notizie nel “mare” dei fatti. I giornalisti devono compiere questa “scelta” quotidianamente, pertanto sono costretti ad elaborare strategie e metodologie di lavoro codificate che li aiutino in questa operazione e velocizzino il loro lavoro (cfr. ad es. Tuchman, 1977). GoldingElliot (1979) ha proposto una nota classificazione degli elementi cui i giornalisti e le news organization in generale fanno riferimento nell’attribuzione dei valori notizia. Si tratta di considerazioni relative ai caratteri sostantivi delle notizie (il loro contenuto), alla disponibilità del materiale e i criteri relativi al prodotto informativo, al pubblico e alla concorrenza. Così questi elementi vengono spiegati da Wolf (1985): Il primo ordine di considerazioni riguarda l’evento da trasformare in notizia, il secondo riguarda l’insieme dei processi di produzione e di realizzazione, il terzo l’immagine che i giornalisti hanno dei destinatari, e l’ultimo i rapporti tra i media presenti sul mercato informativo (pag. 201). Queste considerazioni servono per cercare di “routinizzare” la narrazione della realtà che, come è ovvio, non può essere prevista e pertanto pone continuamente i mediatori di informazione di fronte all’imprevisto. Una modalità di attribuzione condivisa di valore notizia agli 78 In conformità con un’attitudine personale, coerentemente con le logiche di organizzazione clientelare della società o con la linea editoriale della news organization. 77 eventi, almeno all’interno della stessa redazione, agevola notevolmente il lavoro dei giornalisti. Questi, una volta appreso quali caratteristiche i fatti debbano presentare per poter entrare nella narrazione giornalistica della propria news organization o nella narrazione giornalistica di un sistema di riferimento, possono procedere più rapidamente nella gestione dei fatti e nella loro trasformazione in notizia. Da questa descrizione risulta evidente come il processo di newsmaking sia strettamente influenzato dalla cultura professionale che caratterizza un determinato sistema. Le pratiche professionali, presupponendo continuamente un processo decisionale, risultano dunque inserite appieno all’interno della cultura giornalistica che caratterizza un determinato sistema. Per definire le pratiche del newsmaking dei media egiziani prima che questi fossero sottoposti alla pressione dei newsmedia panarabi si farà qui riferimento ad alcuni studi realizzati tra la metà degli anni Ottanta e quella degli anni Novanta. Innanzitutto si tratta di prendere in considerazione le modalità di scelta delle notizie. Gli studi sul newsmaking affermano che i criteri sostantivi si articolano essenzialmente in due fattori: l’importanza e l’interesse della notizia. La questione centrale in tal senso è la seguente: che cosa ha finito per essere considerato importante e interessante nella cultura giornalistica egiziana? Comprendere questo è fondamentale, poiché è soprattutto a partire da questo elemento che si può evincere l’idea di notizia che abita una determinata cultura giornalistica. Si consideri per esempio l’analisi realizzata da Shalaqani (1995) sui notiziari delle 9 di sera del primo canale nazionale nel 199479. La Tabella n.3 è la riproduzione di quella presentata da Shalaqani (pag. 148) e riguarda il contenuto delle notizie nazionali. Un’altra analisi che può risultare utile è quella proposta da Dabbous (1985) che prende in esame le prime pagine della stampa di partito nelle due settimane precedenti e nella settimana seguente le elezioni parlamentari del 1984. La Tabella n.4 mostra il rapporto tra il totale delle “storie” pubblicate in prima pagina e il numero delle storie dedicate alle elezioni80. Gli studi di Dabbous e Shalaqani confermano ciò che tutta la letteratura sostiene in maniera concorde (Mellor 2005, Abdel Nabi 1989, Bekhait 1998, Ayish 2001 etc.), ovvero che nella cultura giornalistica egiziana (e in generale in tutta la regione) “ News is politics” (cfr. Mellor 2005 pag. 76). 79 L’analisi riguarda il periodo compreso tra il 1 Aprile e il 30 Giugno 1994. All’interno di tale periodo sono stati selezionati 12 notiziari, per un totale di 31020 secondi. 80 Si faccia attenzione al fatto che si tratta di pubblicazioni settimanali. 78 Tabella n.3 Stories Time (sec.) Content Category N % Time % Political Economic Education Environment Culture Development Housing Youth and Sports Public Service Infrastructure Information Other 46 10 1 2 9 6 20 4 7 43,8 9,5 0,95 1,9 8,6 5,7 19 3,4 6,7 7867 592 1020 323 982 210 1894 475 670 56 4,2 7,3 2,4 7 1,5 13,5 3,4 4,8 Tabella n.4 Date Al Wafd Al Ahali Al Sha’b Al-Ahrar Tot # Election Tot # Election Tot # Election Tot # Election of sto- Stories of Sto- Stories of Sto- Stories of Sto- Stories ries ries ries ries Week 1 14-17 May 1984 10 4 12 7 11 9 5 5 Week 2 21-24 May 1984 11 9 12 11 10 10 18 9 Week3 28-31 May 1984 17 15 8 8 12 10 20 13 Le notizie che riguardano la politica sono di gran lunga quelle che hanno avuto il maggior spazio. Uno sguardo alla Tabella n.3 mostra come nel 1994 le notizie politiche occupassero il 56% del tempo dei notiziari della televisione egiziana e come, se si accorpano a queste anche quelle che riguardano lo stato delle infrastrutture del servizio pubblico (che nel sistema egiziano hanno un importantissima valenza politica in quanto rappresentano il simbolo dell’efficienza del regime), esse superassero il 70% del tempo dei notiziari. Allo stesso modo, se si considerano i dati che emergono dalla Tabella n.4, si vede come anche per la stampa d’opposizione la politica fosse la prima fonte di notizie. Da un punto di vista del contenuto dunque alle notizie riguardanti la politica nazionale è stato sempre assegnato un valore notizia molto alto, soprattutto a quelle che vengono definite 79 “notizie protocollari” (Ayish 2001) e riguardavano le decisioni del governo e le attività del Presidente della Repubblica. Per i giornali semi-ufficiali e per la televisione nazionale si trattava di un’occasione per mostrare la propria fedeltà al regime, accondiscendere alle richieste di pubblicità del governo e non “commettere errori”, dal momento che si riportavano esattamente le dichiarazioni degli officials di governo. Nell’ambito della relazione che il sistema politico ha strutturato con il sistema mediatico, la routinizzazione e la velocizzazione del lavoro giornalistico non ha potuto che coincidere con l’assoluta impossibilità di rischiare su temi e questioni potenzialmente sgradite. Soprattutto in televisione, medium sul quale il regime esercita il controllo più stretto, mettere a punto una pratica di lavoro quotidiana che non sottoponga la redazione al rischio di uscire, magari anche inavvertitamente dal seminato delle linee guida governative, ha significato puntare su una strutturazione estremamente rigida del “prodotto”, una serie di contenitori sempre uguali per cui cercare notizie appropriate. Shalaqani afferma (1995): The bullettin opens with coverage of the president’s meeting ofr that day; then the prime minister, ministers, president of People’s Assembly and the Consultive Council, and so on down the list, then news of friendly Arab Countries, the foreign news; then natural disasters or accidents (always foreign coverage and rarely involving Egypt); then sports and weather. (pag. 122) Si tratta di una struttura fissa, codificata, utile ai giornalisti della televisione per non perdere tempo ed essere sicuri di non irritare il regime. Non è pertanto contemplata la possibilità di collegamenti in diretta sul campo. Per questo si è sviluppata una cultura giornalistica nella quale non è pensabile per i giornalisti esercitare un ruolo di agenda setter e nella quale il racconto giornalistico è focalizzato sulla politica nazionale sulla scia delle posizioni degli officials di governo. All’interno di una cultura giornalistica di questo tipo i giornali d’opposizione intendono il loro lavoro come quello di un “controcanto” di opposto orientamento ai temi presentati dai media semi-ufficiali, in un processo all’interno del quale non viene proposto nessun tema che non sia sollevato dai soggetti politici. Lo studio di Bekhait conferma questa idea laddove afferma che nella seconda metà degli anni Novanta (il suo studio è pubblicato nel 1998) sia nella stampa semi-ufficiale sia in quella d’opposizione, le notizie politiche rappresentavano la maggioranza, in particolar modo quelle riguardanti la politica araba o le attività presidenziali. Le notizie “soft”, concentrate su temi come la società, la famiglia, i diritti umani e la scienza, erano, secondo tale studio, praticamente assenti dalla stampa egiziana. Nel considerare i criteri sostantivi presi in considerazione dai giornalisti nel corso dei processi di newsmaking alla luce della “prossimità geografica”, è interessante considerare come, mentre alle notizie riguardanti la capitale è stato sempre assegnato un valore di notiziabilità massimo, le notizie riguardanti gli altri governatorati sono sempre state ignorate tanto dai giornali semi-ufficiali e d’opposizione quanto dei canali televisivi81. Questo è confermato anche da Shalaqani (ibidem) dalla cui analisi emerge come nel 1994 sul totale del tempo dedicato dal notiziario del primo canale delle ore 21 alle notizie nazionali, il 48,35% fosse dedicato a notizie il cui impatto riguardava tutta la nazione e il 38,46% a notizie che riguardavano speci81 La situazione era diversa per i canali televisivi dedicati ai singoli governatorati. 80 ficamente il Cairo, mentre i restanti 24 governatorati in cui è suddiviso il paese, assieme, si dividevano il 13,20% del tempo totale. Questo dato, confermato anche da Mellor (2005) per quanto riguarda la stampa, ci svela come per il sistema dell’informazione egiziano l’unico centro in grado di produrre notizie interessanti sia sempre stato la capitale. Anche le redazioni si sono organizzate in modo da avere pochi o nessun corrispondente dalle diverse località del paese, per scarsità di risorse (nel caso dei giornali d’opposizione) ma soprattutto per scarsità di interesse (elemento comune a tutti i newsmedia del sistema). Tutto questo ha attivato un processo piuttosto tipico nella pratica giornalistica: il fatto che non ci siano notizie se non laddove si pensa che esse ci saranno, e dunque si è mandato qualcuno a registrarle. Nella classificazione di Golding-Elliott (1979) si fa riferimento a criteri intrinsecamente relativi al prodotto informativo. A questo proposito Wolf afferma (1985) che “l’ideologia dell’informazione” che caratterizza un determinato sistema svolge un ruolo centrale. Nel contesto occidentale tale ideologia è sintetizzata dal famoso detto giornalistico: “Bad news is good news”, ovvero ciò che rappresenta devianza o infrazione rispetto alla normalità possiede il più alto valore di notiziabilita82. Al contrario, l’ideologia che si è sviluppata all’interno del sistema giornalistico egiziano è assolutamente opposta: “Good news is good news”. Nell’ambito di una cultura giornalistica i cui valori sono caratterizzati da un forte senso di responsabilità sociale, la pratica professionale non può che svilupparsi in maniera da valorizzare gli aspetti positivi della situazione sociale e politica del paese, soprattutto quando il sistema politico si è dotato di strumenti di controllo estremamente efficaci per far si che i media enfatizzino soltanto le “buone notizie”. Tanto Shalaqani (1995) quanto Rugh (2004) sottolineano il fatto che sui media egiziani, almeno fino alla metà degli anni Novanta, non ci fosse spazio per le “cattive notizie”, neppure per i disastri naturali o gli incidenti automobilistici. I giornali d’opposizione poi, essendo legati ai partiti politici, hanno sviluppato linee editoriali concentrate sulla critica deliberata alle decisioni del governo senza occuparsi più di tanto di quello che accade nel paese e senza riportarne le difficoltà o le situazioni problematiche (la criminalità, i disservizi, la situazione sanitaria etc.). Un altro ordine di considerazioni relative al prodotto informativo ha a che vedere con quella che Gans (1979) definisce la “qualità” della storia. Ovvero quanto il materiale a disposizione del giornalista si presti per esplicare in maniera efficace quella storia al pubblico, coerentemente con le caratteristiche del medium. Si tratta di considerazioni che, soprattutto all’interno del sistema radiotelevisivo egiziano, hanno avuto scarso peso nell’organizzazione delle pratiche professionali: non è stata infatti la qualità del materiale a disposizione, o il ritmo della narrazione, a determinare la scelta di una notizia, quanto la sua adattabilità alla struttura gerarchica (nel vero senso della parola) del notiziario: se la notizia è considerata “importante” all’interno di questa logica, essa viene data anche se non si ha nessun materiale audiovisivo da accompagnare (cfr. Boyd 1999). L’idea di una forte responsabilità sociale e la volontà di esercitare un ruolo “educativo” ha influenzato le pratiche professionali dei giornalisti egiziani rispetto alla loro relazione con il 82 A proposito dell’“ideologia della notizia” all’interno dei sistemi e delle culture giornalistiche ocidentali è stato scritto molto sia in ambito internazionale sia in ambito italiano a partire dai primi anni settanta, ad es: Galtung e Ruge (1965), Schudson (1978), Eco (1979), Bechelloni (1982) per citare i primi scritti in proposito. 81 pubblico. Il pubblico non è stato dunque visto come un soggetto da ascoltare o da assecondare, ma piuttosto da formare. Pertanto, all’interno dei processi di newsmaking, i desideri del pubblico sono stati tenuti in scarsa considerazione, come dimostra l’alto valore-notizia attribuito alle notizie politiche anche a fronte di un marcato interesse per le soft news manifestato dal pubblico. Infine, secondo Gans (1979), in ambito occidentale, la particolare situazione di competizione propria di un sistema influenza notevolmente le pratiche giornalistiche che caratterizzano quel sistema e il lavoro delle news organization che lo abitano. Per quanto riguarda la situazione che definisce il sistema dell’informazione egiziano fino alla metà degli anni Novanta non è possibile parlare di nessuna reale forma di competizione: la televisione era monopolio pubblico, e il mercato della stampa era in mano ai grandi quotidiani semi-ufficiali, le cui risorse, tirature e capillarità di distribuzione, non erano assolutamente paragonabili con quelle della stampa d’opposizione. Inoltre i giornalisti della carta stampata non si consideravano in competizione con quelli della televisione che giudicavano “figli di un dio (e di una professionalità) minore”. In un sistema all’interno del quale non esiste una competizione reale è difficile che questa possa influenzare le pratiche professionali. 3.7 Il rapporto con le fonti: Il governo e il Presidente Un elemento centrale in tutta la pratica giornalistica ha a che vedere con il rapporto dei giornalisti con le fonti di informazione. Esse rappresentano l’interlocutore (in maniera diretta, o mediata da agenzie etc.) principale del giornalista, pertanto considerare quali siano le fonti privilegiate dai giornalisti e che tipo di rapporto essi intrattengono con tali fonti è centrale per comprendere che tipo di cultura abiti un determinato sistema. Tabella n.5 Stories Time (sec.) Time % News Source (sound bites) N % Governamental Sources Political Sources Group/Institutional Sources Ordinary people (average citizen or the man on the street) 63 1 7 _ 60% 0,95% 6,7% _ 11242 77 491 _ 80,1% 0,55% 3,5% _ Male Souces Female Sources 70 1 66,7% 0,95% 10790 1020 76,9% 7,3% Anche in questo caso è opportuno incominciare dai dati che ci offrono gli studi realizzati prima della metà degli anni Novanta con lo scopo di identificare la rilevanza delle diverse fon- 82 ti utilizzate dai news media egiziani. La Tabella n.5 riporta i risultati dell’analisi delle fonti dei notiziari televisivi delle 9 del primo canale della televisione nazionale realizzata da Shalaqani (1995)83: Come si può evincere chiaramente dalla tabella, i notiziari della televisione egiziana erano monopolizzati da fonti governative: If we were able to examine all news sources articulated on the evening news, it would look even more “official” than this analysis suggested, for the presentation of data in news (almost always from official sources) and indirect quotes are almost always from authoritative sources. News, thus, served to represent the significance, impact and activities of those in power (pagg. 157158). I portavoce delle organizzazioni non governative e dei gruppi di interesse infatti appaiono soltanto nel 6,7% del totale delle storie (3,5% del totale del tempo delle news), mentre le persone comuni non sono mai, all’interno del campione considerato, interrogate o tanto meno utilizzate come fonti. Dallo studio di Shalaqani emerge nettamente come i politici d’opposizione fossero completamente assenti e non venissero considerati come fonti “presentabili” per i giornalisti televisivi egiziani e questo sembra essere dovuto alla natura del sistema politico nazionale ed alla sua relazione con il sistema dei media. Afferma Shalaqani (pag. 158): To include any new voices would detact from the mission of enhancing and promoting the image of the president and his government so as to mantain the national unity and cohesion. La principale fonte di informazione della televisione egiziana era, da quanto emerge, il Presidente della Repubblica (fonte del 30% delle news stories84) che rappresentava dunque il soggetto che più spesso prendeva la parola all’interno dei notiziari televisivi. Spicca l’assenza totale di fonti femminili dai notiziari televisivi (vedi tab. n.5), unica eccezione Suzanne Mubarak, la moglie del presidente. Ad analoghe conclusioni arriva anche Abdel Nabi (1989) nella sua analisi delle notizie sulla stampa egiziana secondo cui gli officials non erano soltanto attori ma anche le fonti principali delle notizie: i soggetti governativi rappresentavano più del 40% delle fonti delle notizie pubblicate dalla stampa quotidiana. Ne consegue dunque una pratica giornalistica all’interno della quale i giornalisti si trovano in relazione soltanto con soggetti politici che hanno un potere negoziale estremamente maggiore rispetto al loro e che dunque possono orientare il racconto giornalistico in maniera piuttosto univoca. In questo senso è molto interessante la definizione di Gans (1979) riportata da Wolf (1985, pag. 224): 83 Ricordiamo che l’analisi riguarda 12 notiziari selezionati nel periodo di tempo che va dal 1 Aprile al 30 Giugno 1994. Anche se il totale delle storie analizzate era 91 in tabella 5 compaiono solo 71 storie, poiché sono state considerate dalla ricercatrice soltanto quelle che includevano soundbites. 84 Questo dato fa sempre riferimento ai soundbites. 83 In realtà, fonti, giornalisti e pubblico coesistono in un sistema che assomiglia più a un tiro alla fune che non ad un organismo funzionale interrelato. I tiri alla fune sono comunque risolti dalla forza: e le notizie sono, tra le altre cose, “l’esercizio del potere sull’interpretazione della realtà” (Schlesinger 1972 pag.4) Il rapporto con le fonti, anche nella sua dimensione quotidiana, operativa e “pratica” è dunque regolato da un rapporto di forza, “un tiro alla fune” appunto. Nel sistema del giornalismo egiziano questo tiro alla fune si è sempre risolto a favore delle fonti. Le fonti ufficiali infatti, sia attraverso l’organizzazione del sistema e le forme di controllo diretto, sia attraverso le relazioni informali e i rapporti clientelari intrattenuti con i giornalisti, hanno monopolizzato completamente il discorso dei media. Anche la stampa d’opposizione, impegnata nella sua battaglia contro il governo85, ha finito per utilizzare in prevalenza fonti governative limitandosi a dare più spazio ai politici del partito che finanziava il giornale ma, di fatto, non discostandosi dalla pratica giornalistica della stampa e della televisione nazionale. Centrale in questo senso è stato il ruolo dalla MENA, l’agenzia nazionale egiziana, ai cui servizi sono abbonati tutti i media nazionali. La MENA, collegata al Ministerno dell’informazione, si occupa di battere e diffondere tutte le dichiarazioni ufficiali del Presidente e del governo, informa sull’agenda delle alte cariche dello stato e diffonde la posizione del governo su tutte le questioni nazionali e internazionali. Seguire quanto viene lanciato dalla MENA è diventato nel tempo un modo per non “rischiare” e allo stesso tempo per velocizzare il lavoro, con la conseguenza di un’omogeneità piuttosto evidente nell’assegnazione dei valori notizia (Shukrallan 2006). All’interno di un sistema di questo tipo, nel quale la priorità delle notizie è piuttosto “blindata” dall’organizzazione del sistema mediatico e dall’interazione che esso intrattiene con il sistema politico, la competizione per l’accaparramento di fonti esclusive è limitata alla ricerca di un rapporto privilegiato con i top officials. 3.8 Il “disordine verticistico” delle redazioni e la passività dei giornalisti Le pratiche che caratterizzano la produzione giornalistica all’interno di un determinato sistema sono influenzate notevolmente dall’organizzazione delle redazioni delle news organization e dai percorsi di professionalizzazione dei giornalisti che in esso lavorano. Questi aspetti del sistema giornalistico sono intrinsecamente legati alla cultura giornalistica che lo abita e, allo stesso tempo, ne influenzano lo sviluppo. Come sostiene Carlo Sorrentino (1995) infatti: Il lavoro giornalistico consiste nell’attività di comprensione e di produzione della realtà. (…) Quest’attività di conoscenza e, poi, di produzione di senso si intreccia con le condizioni di svolgimento di tale attività date dal carattere delle organizzazioni giornalistiche, in continua oscillazione fra le esigenze di routinizzazione imposte dal controllo e dalla gestione di risorse fis- 85 Bisogna sempre considerare il fatto che il sistema legislativo limitava fortemente le possibilità “offensive” della stampa d’opposizione. 84 se e limitate (…) e la necessità di continue rinegoziazioni sia all’interno dell’organizzazione sia al suo esterno con il resto dell’ambiente sociale (pag. 153). La cultura giornalistica si sviluppa infatti anche all’interno delle redazioni. La maniera in cui queste redazioni sono organizzate determina le “condizioni di svolgimento” dell’attività giornalistica e dunque contribuisce significativamente a determinare le caratteristiche del racconto giornalistico. Anche la “professionalità”86 degli operatori dell’informazione è un elemento fondamentale nella determinazione della natura delle pratiche professionali che caratterizzano un determinato sistema e che, allo stesso tempo, ci permette di comprendere meglio i soggetti che abitando una cultura giornalistica ne contribuiscono all’evoluzione. L’organizzazione operativa delle news organization pubbliche egiziane, (radiotelevisione nazionale e stampa semi-ufficiale) è storicamente caratterizzata dal gigantismo delle strutture e dall’eccessivo numero del personale impiegato. Come per tutto il settore pubblico (cfr. Owen 2005) l’espansione degli anni del nasserismo non è mai stata riassorbita. Un primo dato da considerare è dunque quello che le news organization pubbliche impiegano molto più personale di quanto serva loro per funzionare in maniera efficiente. Il risultato è quello che la struttura finisce per ostacolare il lavoro redazionale. Infatti, come sostenuto anche in Nawawy (1995 pag. 189), per strutture così disordinate e “debordanti” è praticamente impossibile pianificare e realizzare strategie di sviluppo, darsi obiettivi editoriali ed economici, fare piani efficaci nella gestione del lavoro e dei rapporti con la concorrenza. Il tema è dunque quello del “disordine”, della mancanza di una reale strategia globale87 e, allo stesso tempo, dell’impossibilità di incentivare e valorizzare i soggetti meritevoli o di eliminare coloro i quali non garantiscono risultati positivi. Tutto questo, come si dice sempre in Nawawy (ibidem pag. 187), rende praticamente impossibile il lavoro di squadra o l’abitudine alla cooperazione tra colleghi. All’interno di un sistema di questo tipo, nel quale non c’è nessun tipo di coordinamento, il processo decisionale è assolutamente centralizzato e coinvolge soltanto i direttori e i responsabili di servizio che spesso, senza conoscere il materiale e le competenze specifiche a disposizione, prendono decisioni in merito a tutto il contenuto editoriale88. Secondo quanto riferisce Shalaqani (1995), l’organizzazione del sistema radiotelevisivo egiziano alla metà degli anni Novanta vedeva una marcata centralità della newsroom responsabile dei notiziari in arabo del primo canale terrestre, le cui scelte editoriali influenzavano quelle di tutti gli altri servizi news radiotelevisivi. Questa organizzazione centralizzata del sistema delle news in televisione vedeva dunque nella relazione tra il ministero dell’informazione e i responsabili del notiziario televisivo del primo canale il suo perno principale. Attorno a questa ruotava una struttura della “non-organizzazione” la cui unica possibilità di funzionamento era quella dell’omologazione. Per “professionalità” si intende qui sia la qualità della formazione e le modalità di apprendimento della professione, sia il livello di soddisfazione (personale ed economica) che i giornalisti traggono dal loro lavoro. 87 A vantaggio di strategie e obiettivi personali legati alle relazioni clientelari di coloro che si trovavano nelle posizioni decisionali nelle redazioni. 88 Questo è coerente con la volontà, sia da parte del regime sia da parte di coloro che occupano le posizioni di responsabilità all’interno delle redazioni, di controllare capillarmente il processo di newsmaking. 86 85 Tutto questo ha favorito la creazione di un sistema estremamente prudente e “pigro”, un sistema all’interno del quale ai giornalisti è richiesto di riempire ogni giorno caselle già rigidamente definite, un lavoro per cui non è necessaria nessuna competenza particolare: This should not be construed to mean that editors do not make their own decisions on the organization of newscasts, but to indicate the context in which those decisions are made. The newsroom practices I see indicate that stories are organized in a manner to conform with ideological considerations, whereby, for example, newscast might be expected to always lead with a story illustrating the political activites and realisations so as to legitimate society’s power structure (pag. 146) Tale organizzazione delle newsroom favorisce una cultura giornalistica estremamente passiva e all’interno della quale l’iniziativa personale ha pochissimo valore. I limiti che si sono posti alla professionalizzazione dei giornalisti egiziani sono diversi, Nawawy (1995) individua89 una serie di barriere nella sviluppo di pratiche professionali in grado di influenzare positivamente la loro performance. Tra queste emergono (pagg.182-186): 1. Teaching journalism students traditional syllabuses that are not up-to-date makes them fall behind the teconological and professional advances in journalism. 2. Most state schools in Egypt cultivate in their students a sense of conformity and obedience and kill in them the attributes of autonomy, creativity and indipendence which are highly needed in journalism. 3. Being monolingual (unable to communicate in languages other than Arabic), most Egyptian are unable to have access to foreign sources. 4. The lack of cooperation between press organizations and journalism schools in Egypt increases the professional gap between theory and practice in journalism Emerge dunque una sostanziale assenza di preparazione nell’affrontare la professione, dovuta anche alla natura del sistema formativo caratterizzato da una forte passività ed incapacità di tenere il passo dello sviluppo tecnologico. La passività a cui i giornalisti vengono educati nelle scuole, assieme all’assenza di meritocrazia all’interno delle redazioni e alla mancanza di progetti editoriali chiari, ha determinato quella che Nawawy definisce “assenza di curiosità” (1995, pag. 184) dei giornalisti egiziani e la mancanza di stimoli e di sicurezza nelle proprie potenzialità personali: Employment by nepotism and personal contacts rather than by personal capabilities and aptitudes makes talented new generations of journalism graduates lose confidence in their personal abilities. 89 La ricerca di Nawawy è stata realizzata attraverso la somministrazione di questionari a 34 “esperti” cui è stato chiesto di esprimere il proprio parere in merito ai limiti allo sviluppo della “professionalità dei giornalisti egiziani”. Nawawy fa riferimento alla seguente definizione di professionalità proposta da Merrill (1990, pag. 129): “ A vocation in which professed knowledge of some branch of learning is used in its application to the affairs of others, or in the practice of an art based upon it; members of a profession are bound by a sense of identity and share values in common”. 86 La conseguenza di questo sistema è che i giornalisti non sono per nulla stimolati nel darsi da fare nel loro lavoro, non hanno grandi aspirazioni di carriera, o almeno queste aspirazioni non sono collegate alla loro rendita professionale. La mancanza di organicità nelle redazioni, l’inadeguatezza della formazione professionale e l’assenza di gratificazioni per lo svolgimento di un buon lavoro giornalistico influenzano notevolmente le pratiche che caratterizzano la cultura professionale egiziana. Ad esempio, come riporta ancora Nawawy (ibidem, pag. 181), il fatto che non sia pratica comune pubblicare rettifica delle affermazioni e delle notizie non corrette90 incoraggia i giornalisti all’“irresponsabilità” e alla scarsa attenzione agli errori. Ancora, il fatto che alcuni di coloro che lavorano nelle redazioni abbiano anche un altro lavoro, fa si che spesso entrambi vengano svolti senza eccessiva perizia, puntando a svolgere il più rapidamente possibile (e senza eccessiva cura) i compiti che vengono affidati dai capiservizio: la performance professionale dei giornalisti egiziani è stata dunque influenzata in maniera molto negativa dal fatto che essi molto spesso non hanno trovato soddisfazione personale nel proprio lavoro. È dunque possibile concludere che la questione dell’organizzazione delle redazioni e dell’acquisizione delle competenze professionali sia stata piuttosto problematica all’interno del sistema egiziano e che questo abbia influenzato le pratiche che hanno finito per caratterizzare la cultura giornalistica nazionale. L’organizzazione disordinata delle redazioni (e dunque delle pratiche professionali) determina la proliferazione di dis-valori professionali (scarso interesse per il lavoro, scarsa curiosità, irresponsabilità) che a loro volta contribuiscono all’aumento delle criticità nell’espletamento dei processi di newsmaking. Questi sono i valori e le pratiche sedimentate nel tempo nella cultura giornalistica egiziana. È a partire da questi elementi che oggi i giornalisti egiziani svolgono il proprio lavoro e la propria funzione sociale. È negoziandoli e ridefinendoli quotidianamente che i giornalisti ne modificano piano piano la natura: alcuni aspetti vengono rafforzati, altri abbandonati altri trasformati. Si tratta a questo punto di definire da una parte il contesto dell’evoluzione del sistema politico e del sistema dei media dell’informazione in Egitto nell’ultimo decennio, dall’altra di considerare le coeve trasformazioni avvenute all’interno del sistema dei news media panarabi, mettendo in luce le caratteristiche dei progetti editoriali, gli interessi dei soggetti che hanno investito in tale mercato e la natura delle relazioni competitive all’interno di tale sistema. 90 A meno che queste non riguardassero soggetti o attività governative, attorno ai quali era tuttavia molto raro che venissero pubblicati errori. 87 Media and Politics in Egitto. Un decennio di grandi trasformazioni? Questo capitolo si focalizza sul livello “nazionale” del sistema ibrido (vedi Figura n.6). Si metteranno dunque a fuoco le dinamiche che hanno caratterizzato la relazione tra il sistema politico egiziano e il corrispettivo sistema dei media nel decennio 1996-2006. 4.1 Transizione bloccata o pluralismo autoritario? Il tardo regime Mubarak Il decennio 1996-2006 ha rappresentato un momento cruciale nella storia politica dell’Egitto, una fase attorno alla quale i politologi hanno già scritto parecchie pagine. La que- 89 stione centrale attorno a cui si dibatte è quella della natura del sistema politico egiziano. È indubbio infatti che dopo il clima di distensione politica che aveva caratterizzato gli anni Ottanta, all’inizio degli anni Novanta una drastica battuta d’arresto aveva raffreddato ogni speranza. Tanto è vero che molti analisti parlano di un vero e proprio processo di “deliberalizzazione” (cfr. Kienle 2001), caratterizzato dalla riforma del Codice Penale del 1992 e da una serie di provvedimenti legislativi mirati a limitare la libertà di stampa, ad interferire con le procedure di elezione dei vertici delle associazioni professionali e a sottrarre all’elezione popolare i sindaci e i rettori delle università. Questa fase di deliberalizzazione ha dato i suoi frutti proprio nella seconda metà degli anni Novanta, quando il regime Mubarak ha mostrato i muscoli chiudendo quotidiani (è il caso della prima versione de Al Dustur nel 1998) e incarcerando attivisti per i diritti umani e uomini delle ONG ( è il caso di Saed’dine Ibrahim91 nel giugno 2000). A partire dalla seconda metà degli anni Novanta si è dunque consumata quella che Eberhard Kienle (2001), facendo riferimento alla caduta dell’illusione di un reale processo di democratizzazione, ha definito “la grande delusione” dell’Egitto. Proprio questa delusione, consumatasi a partire dagli anni Novanta, ha portato i politologi a ridefinire l’idea dell’Egitto come un paese impegnato in una transizione democratica: L'ormai ottuagenario ma tenace Hosni Mubarak e il suo éntourage di consiglieri hanno dimostrato di essere in grado di rispondere alle sfide ordinarie della gestione politica del paese (inclusa la minaccia poco ordinaria del terrorismo islamico negli anni '90) senza modificare le gerarchie di potere ma con alcuni adattamenti strutturali ad hoc. L’Egitto non è più considerato in letteratura un paese “in transizione verso la democrazia” ma un semi-autoritarismo consolidato: una democratizzazione del paese non è impossibile ma è sul breve periodo altamente improbabile (Piffero 2007, pag. 5). Il giro di vite degli anni Novanta ha portato recentemente i ricercatori a definire il sistema politico egiziano come caratterizzato da fasi alternate di liberalizzazione e repressione che non possono essere considerate se non in relazione, pena l’impossibilità di comprenderne realmente la struttura. Tale sistema, secondo Brumberg (2002), presenta i tratti caratteristici di una “autarchia liberalizzata” che si grantisce la sopravvivenza attraverso: un ciclo protratto in cui i governanti allargano o restringono i confini della partecipazione e dell’espressione in risposta a quelle che percepiscono come le sfide sociali, economiche, politiche e geostrategiche fronteggiate dai loro regimi (pag. 56) Piffero (2007) ripropone la definizione di “pluralismo autoritario” usata da Scalapino per definire il sistema politico cinese, affermando che essa si adatta perfettamente al contesto egiSaed’ dine è il Direttore dell’ Ibn Khaldun Center for Development Studies. Uno dei più noti intellettuali egiziani e dei più convinti sostenitori della necessità di una svolta democratica nel paese, è docente di sociologia all’AUC e uomo gradito a Washington. 91 90 ziano, soprattutto tenendo conto del rapporto tra liberalizzazioni degli anni Ottanta e deliberalizzazioni degli anni Novanta. Anche negli ultimi anni il sistema ciclico di aperturacontrazione che caratterizza il pluralismo autoritario egiziano si è mostrato pienamente funzionante e il regime deciso a servirsene per affrontare le nuove impellenti sfide: in particolare la questione della successione all’ormai ottantenne Mubarak e il nuovo successo politico dei Fratelli Mussulmani. Sono state intraprese importanti riforme costituzionali che, almeno all’apparenza, mostrano una marcata volontà di aumentare lo spazio di pluralismo all’interno del sistema politico nel paese. L’emendamento all’articolo 76 della Costituzione del maggio 2005 ha modificato il sistema referendario di elezione del Presidente della Repubblica trasformandolo in un’elezione multicandidato e ha determinato l’abbassamento della soglia di seggi necessari nell’Assemblea del Popolo e nel Consiglio Consultivo per presentare un candidato presidenziale (dal 5% al 3%). Questa riforma costituzionale è stata presentata dal regime come la prova schiacciante che il processo di democratizzazione non si è interrotto. Attorno a questa retorica è stato costruito “l’evento” elezioni presidenziali del settembre 2005 che ha visto Mubarak cercare di presentarsi il più possibile come un “candidato” come gli altri. In realtà tra gli altri nove “pretendenti” gli unici due volti minimamente noti, e in grado di intaccare il plebiscito per Mubarak, erano Noma’a Goma’, ledader del Partito Wafd e soprattutto Ayman Nur92 del ’Ghad, mentre gli altri, soprannominati dalla stampa privata “i sette nani”, erano sconosciuti all’opinione pubblica ed erano privi di reali programmi alternativi al Presidente. Parallelamente comunque il regime ha portato avanti una serie di azioni in senso deliberalizzante studiate proprio negli ultimi mesi del 2006: la rimozione dei riferimenti al carattere “socialista” dello Stato, e una serie di modifiche volte a rafforzare i poteri del Presidente in caso di “serio pericolo per l’unità nazionale o la sicurezza della patria” (articolo 74), per la “salvaguardia della sicurezza e dell’ordine pubblico di fronte ai pericoli di terrorismo” (articolo 179). Tra questi la facoltà di introdurre “speciali regole per l’investigazione e l’identificazione” e quella di “deferire qualsiasi crimine di terrorismo a qualsiasi autorità giudiziaria istituita dalla Costituzione o della legge” (ivi comprese dunque le corti militari). Le forze politiche d’opposizione sono comunque concordi nell’affermare che dietro a queste modifiche costituzionali ci sia l’obiettivo ultimo di favorire la successione alla presidenza di Gamal, quarantacinquenne figlio di Mubarak, dal 2000 segretario generale dell’NDP. Anche per quanto riguarda la questione della relazione con i movimenti dell’Islam politico, e in particolare con il più moderato e il più forte nel paese, i Fratelli Musulmani, l’attitudine governativa si è sviluppata nel corso dell’ultimo decennio in maniera controversa. Il regime, ben conscio della base popolare su cui l’organizzazione può contare, ha continuato ad alternare momenti di dura repressione a momenti di “tolleranza” e di richiesta di sostegno. I Fratelli Musulmani rappresentano l’unico soggetto dotato dell’organizzazione e della capillarità necessaria per poter minare il primato assoluto dell’NDP. Anche negli ultimi anni il regime si è Ayman Nur era l’unico fra i candidati ammessi alle elezioni presidenziali del 2005 ad avere una personalità e un programma politico tale da poter intaccare minimamente il plebiscito per Mubarak. Nur ha poi ottenuto alle presidenziali il 7,3% dei voti, risultato ottimo, vista la situazione politica del paese e le condizioni in cui le elezioni si sono svolte. Per evitare di correre qualsiasi rischio il governoaveva arrestato Nur nel gennaio 2005 per poi rilasciarlo dietro pressione dell’amministrazione americana. 92 91 relazionato al movimento a partire da questa consapevolezza: in questo senso si sono susseguiti arresti di massa e tolleranza. Nel 1995 novantacinque esponenti del movimento sono stati attestati e giudicati da un tribunale militare con l’accusa di fare parte di un associazione illegale93 e di cospirazione al fine di prendere il potere nel paese. Negli anni seguenti altri arresti sono stati periodicamente compiuti dalle forze di sicurezza. Allo stesso tempo però ai Fratelli Musulmani è stato sempre concesso – quando loro stessi non hanno deciso di boicottarle- di partecipare alle elezioni parlamentari come indipendenti. Nelle ultime elezioni parlamentari, quelle del inverno 2005, il movimento ha ottenuto 88 seggi su 454, davvero di un’ottima performance se si considera che candidati legati all’organizzazione si erano presentati solo in 148 seggi. Il regime ha “tollerato” questa vittoria elettorale (morale) da parte dei Fratelli Musulmani, ma nei mesi seguenti ha ripreso una politica di arresti e si è subito messo al lavoro per dotarsi di strumenti in grado di contenere l’avanzata parlamentare del movimento e chiudere di nuovo le maglie del pluralismo. Non è da trascurare, sia nella relazione con i movimenti islamisti che nella politica estera del paese, che l’undici settembre ha rappresentato “un’opportunità” importante. Il fatto che l’attacco al “cuore dell’Occidente” sia arrivato da un gruppo islamista, non importa quanto vicino a quelli che a partire dagli anni di Sadat hanno portato avanti a fasi alterne lo scontro con lo stato egiziano, ha permesso al regime di Mubarak di vedere legittimata, a livello internazionale, la propria politica repressiva nei confronti di tali gruppi. Innanzitutto infatti l’Egitto si è trovato improvvisamente all’avanguardia nel momento in cui la maggior parte dei governi occidentali ha di fatto convenuto che la strada della repressione violenta, nei confronti dei movimenti dell’islam politico, rappresenti l’unico strumento efficace per proteggere uno stato dai suoi attacchi. In questo senso il regime vede la pressione internazionale nei confronti delle incarcerazioni deliberate dei soggetti legati ai movimenti islamisti praticamente azzerata: Atef Ebeid, the Egyptian prime minister, proudly invited Western Countries to learn from Egypt’s experience of dealing with Islamists instead of criticising its record on human rights, as they done for the last 20 years. Ebeid’s over-confident tone reflected the new realities of the post-September international and American mood.Whereas staff from the American Embassy would have been sent to observe the trials of opposition figures in the days prior to 11 September, more recent arrests of Islamic opposition figures drew no complaints or comments from the Embassy in Cairo. Similar anti-terror measures taken in Britain and America eventually led Mubarak to boost that his military trials and other emergency measures against Islamist were always the “right policy”. (Al Awady 2003, pag.2) Inoltre, con l’ebollizione degli equilibri regionali determinata dagli eventi che hanno seguito l’11 settembre, l’Egitto ha cercato di proporsi nuovamente come leader regionale e ottimo alleato “moderato” per l’Occidente. Questo attraverso una politica di mediazioni e di summit diplomatici tenuti nel paese e di accondiscendenza nei confronti delle richieste Usa, dai cui 93 L’organizazione non è mai stata legalmente riconosciuta, pur avendo un quartiere generale in una delle vie più centrali del Cairo, e pur essendo i suoi leader e i suoi attivisti noti non solo alle autorità ma anche all’opinione pubblica. Su questa paradossale situazione il regime continua a cercare, non sempre con successo, di giocare a proprio favore la partita con l’organizzazione (Cfr. Al Awadi 2003). 92 aiuti l’economia del paese continua a dipendere significativamente. La natura altalenante tra liberalizzazione e deliberalizzazione del sistema, tipica del “pluralismo autoritario” che ha caratterizzato il paese nell’ultimo decennio, è visibile anche dalla relazione che il regime ha intrattenuto con la società civile e con le organizzazioni che di essa sono espressione94. In questo senso è emblematica la vicenda di un movimento come Kifaya! (letteralmente “Basta!”). Si tratta di un movimento davvero eterogeneo che raccoglie diverse anime della società civile egiziana: dai gruppi comunisti ai Fratelli mussulmani. Il portavoce George Issak è un cristiano copto mentre il coordinatore del movimento è un mussulmano. Lo scopo principale del movimento, nato nel 2004, è quello di opporsi alla successione di Gamal Mubarak al padre Hosni e di ottenere elezioni realmente libere nel paese. Kifaya! a partire dal 2004 ha organizzato diverse manifestazioni nel centro del Cairo, davanti al Sindacato dei giudici e a quello dei giornalisti in particolare, nel corso delle quali i suoi attivisti scandivano a gran voce attacchi frontali a Mubarak e alla sua famiglia. Si è trattato di una cosa davvero nuova negli equilibri tra società civile e regime, considerato che fino a quel momento nessuna manifestazione che non fosse a sostegno del governo o della causa palestinese era mai stata autorizzata e che i partiti d’opposizione erano soliti organizzare le loro manifestazioni all’interno delle proprie sedi per paura delle reazioni della polizia95. Il fatto che il regime tolleri l’esistenza di un movimento come Kifaya!, e soprattutto la sua retorica così veemente nei confronti del Presidente, ha sorpreso molti. Il regime comunque ha sempre mostrato agli attivisti di Kifaya! come la loro possibilità di manifestare fosse una “gentile concessione”, rifiutabile in qualsiasi momento e senza alcun preavviso: alcune manifestazioni infatti – del tutto analoghe a quelle tollerate- sono state duramente represse dalle forze di polizia che hanno molestato, picchiato e arrestato uomini e donne96. Verso la fine del 2006 arresti e intimidazioni degli attivisti di Kifaya si sono intensificati colpendo in particolare i blogger collegati al movimento97. I cicli di apertura e chiusura delle maglie del regime dunque si alternano sia a livello macro che a livello micro, mostrando come effettivamente di questa modalità operativa esso abbia fatto una vera e propria prassi politica. Dovrebbe dunque essere chiaro come lo sviluppo del sistema politico egiziano e le sue relazioni con la società civile nell’ultimo decennio siano state caratterizzate da un impegno del regime su vari fronti. Si è trattato di un tentativo di presentarsi come in corsa sulla strada della democrazia quando in realtà per molti versi questa transizione si può definire bloccata. All’interno di questo sistema permangono molte delle strutture di organizzazione del potere che hanno caratterizzato il paese nei decenni precedenti e l’organizzazione clientelare continua a rappresentare la principale forma di relazione nella sfera pubblica egiziana. Tuttavia la questione sempre più stringente della successione a Mubarak, così come lo sviluppo di una Anche i movimenti islamisti sono ovviamente espressione della società civile. Hani Shukrallan, intervista personale, Cairo, novembre 2006. 96 Già nell’aprile 2005 è avvenuto un primo episodo di questo tipo caratterizzato da una repressione brutale (Gorge Issak, intervista personale, Cairo Agosto 2005). 97 Sul web egiziano sono nate negli ultimi anni decine di blog che si occupano della situazione politica interna, in alcuni casi hanno offerto ottimi esempi di citizen journalism, come nel caso delle violenze sessuali verificatesi nei quartieri centrali del Cairo nel novembre 2006. Il governo negli ultimi tempi ha iniziato alcune operazioni repressive nei confronti dei blogger egiziani: eclatante è stato l’arresto di Abdel Kareem Soliman e la sua condanna a quattro anni di reclusione. 94 95 93 sempre più influente elite di businessman generatasi dopo l’apertura economica di Sadat e il cambio della guardia in alcune posizioni chiave del regime, hanno determinato, soprattutto a partire dal 2000, una certa dinamicità e impazienza all’interno dei più alti circoli di potere. 4.2 “Giovani”, Tecnocrati e Businessman: la nuova elite che guadagna potere Per comprendere a pieno le dinamiche di trasformazione politica avvenute all’interno del sistema egiziano negli ultimi anni è molto produttivo utilizzare l’approccio di analisi della composizione delle elite in grado di esercitare una rilevanza politica adottato da Abdelnasser (2003). Se infatti negli ultimi decenni le strutture profonde dell’organizzazione del potere non sembrano essere mutate, lo stesso non si può dire per le figure che si trovano nelle posizioni chiave di questa struttura. Questo rinnovamento della Egypt’s politically Relevant Elite, avvenuto soprattutto a partire dalla fine degli anni Novanta (cfr. Abdelnasser ibidem), rappresenta un elemento centrale per comprendere non solo l’attuale sistema politico nazionale ma anche le linee guida che stanno dietro le politiche economiche, imprenditoriali (anche nel campo dei media) e sociali egiziane. In un sistema come quello egiziano, organizzato sulla base di rapporti clientelari che legano cerchi concentrici sempre più vicini al Presidente, comprendere che tipo di movimenti sia in corso tra un cerchio e l’altro è fondamentale. Ciò consente di capire chi sia in grado di influenzare realmente le scelte politiche del paese, quali interessi specifici o di categoria ci siano dietro a tali scelte e quali lotte siano in corso per il potere. Il primo elemento da tenere presente in questo senso è quello generazionale. All’interno di un sistema organizzato su basi clientelari, l’accumulo di potere è causa e conseguenza del fatto di trovarsi al vertice di un’ampia rete di legami di dipendenza e questo favorisce una grande longevità delle strutture di potere. In tal senso Abdelnasser (ibidem) afferma che, a partire dal 1952 fino alla fine del secolo scorso, l’Egitto ha sperimentato due cambi generazionali all’interno della struttura dell’elite politica alla guida del paese. La prima generazione, definita “generazione di Luglio”, era composta dagli ufficiali liberi che avevano guidato la rivoluzione del luglio 1952 e dai militari che a loro erano vicini. Una seconda generazione invece, la “generazione di Ottobre”, era quella emersa dalla guerra di Sadat contro Israele dell’ottobre 1973 e dal conseguente processo di riorientamento politico ed economico che culminò con gli accordi di Camp David e con lo spostamento Egiziano nell’orbita statunitense. Si è trattato dunque di due generazioni sviluppatesi all’interno dell’ambiente militare: In effect, the two regional wars (1948 and 1973) shaped the common experiences of two generations (the so-called July generation and the October generation, the militare pattern of elite replacement in Egypt, and the legitimacy of leaders from both generations, which was built first of all on military exploits (Abdelnasser 2003, pag.117) Sadat faceva parte della “generazione di Luglio” mentre Mubarak è un esponente della “generazione di Ottobre”, quella che dalla metà degli anni Settanta fino ad oggi ha dominato la vita politica egiziana. La “generazione di Ottobre” ha costruito la sua legittimità sul riavvi- 94 cinamento agli altri paesi arabi e musulmani dopo la frattura della pace separata con Israele, sulla riannessione di Taba del 1989 e soprattutto sul sostegno alla politica e alle iniziative militari americane in Medioriente. Quest’ultima azione ha permesso all’economia del paese di non affondare completamente e al governo di investire in infrastrutture. Dalla fine degli anni Novanta si è cominciata a far sentire la questione dell’imminenza di un cambio generazionale nel core dell’elite del paese. Questo cambio appare come inevitabile, considerando che gli uomini della “generazione di Ottobre” hanno tutti abbondantemente passato i settant’anni. È un discorso che non vale solamente per il cuore dell’elite: il presidente, i suoi consiglieri più stretti, i titolari dei dicasteri chiave e i presidenti delle due Camere, ma riguarda anche i leader dei partiti politici, i segretari dei sindacati, i direttori della grande stampa governativa e gli intellettuali di spicco. Tale condizione ha messo in moto una serie di dinamiche di trasformazione e di lotta per la successione che stanno preparando e accompagnando il cambio generazionale. Si tratta di un processo nel quale sono coinvolti sia gli uomini della “vecchia generazione” che stanno cercando di orientare il cambiamento in maniera coerente con i propri interessi (politici ed economici), sia nuovi soggetti che in nome di “nuovi poteri” acquisiti premono per entrare all’interno dell’elite decisionale del paese. È questo il processo che caratterizza più marcatamente tutti i contesti della vita politica e della sfera pubblica nel paese, pertanto è necessario delineare i contorni e gli equilibri in campo, per capire anche le ultime evoluzioni del sistema dei media egiziani. L’elemento interessante della storia politica dell’Egitto di questi ultimi dieci anni è dunque il fatto che le elites abbiano incominciato ad investire risorse nella preparazione della propria “successione”, ovvero abbiano iniziato a crescere una generazione di “giovani cadetti” e a preparare il terreno per poterli “piazzare” e garantire continuità alla propria rete di clientele. Questo avrebbe determinato, secondo molti osservatori, una situazione di mobilità molto maggiore, rispetto ai periodi precedenti, all’interno dell’elite decisionale del paese. Sicuramente la questione della successione alla presidenza rappresenta il punto focale di questa condizione di ebollizione del sistema di potere nazionale. Abdelnasser (2003) ha realizzato una mappatura della struttura dell’elite politicamente rilevante in Egitto nel 2002. Si tratta di un’analisi molto utile per comprendere le dinamiche di relazione interne al sistema di potere egiziano contemporaneo: The first circle of elites comprises two groups, namely politicians of the ruling party and state technocrats (Military, Diplomats, Administrators). In the second circle, the two most influential groups are businessmen and trade unionists as well as members of parliament. The third circle includes the judges of Supreme Constitutional Court, prominent journalists and influential NGO activists as new emerging groups (pag.119). Ovviamente Mubarak si trova al centro del primo circolo e rappresenta il punto di connessione tra i vertici del suo partito e i tecnocrati, con rappresentanti dei due gruppi come stretti consulenti. Vediamo di entrare nel merito della composizione di questi “tre cerchi” su cui è strutturata l’elite politica nazionale. Innanzitutto è fondamentale osservare come con Mubarak, soprattutto a partire dagli anni Novanta, si sia avviato un processo di trasferimento del potere, 95 all’interno della sfera dei tecnocrati, dai militari ai diplomatici. Si tratta ovviamente di un elemento di grande novità considerando che, a partire dal 1952, il cuore del potere politico nel paese è sempre stato detenuto dai militari. Con la stagione di Amr Musa98 in particolare, il Ministero degli Esteri ha preso ad avere un ruolo più centrale rispetto a quello della Difesa, dotandosi di una struttura estremamente eterogenea ed efficiente. Il Ministero della Difesa e i vertici degli apparati di sicurezza non hanno comunque completamente perso la loro centralità, poiché fondamentali soprattutto nel controllo dei gruppi islamisti e dalla minaccia terroristica sempre in agguato. Questo “primo cerchio” all’interno del quale i civili stanno guadagnando spazio a spese dei militari, è comunque composto dai soggetti più anziani, coloro che fanno parte della “Generazione di Ottobre”. Nel cuore pulsante del sistema del potere, dunque il “rinnovamento”, non è ancora arrivato ed è proprio per determinare sotto quali forme esso arriverà nei prossimi anni che si stanno mettendo in piedi strategie, alleanze e scontri. Il rinnovamento generazionale, e in qualche misura strutturale, sembra invece avere investito il secondo cerchio dell’elite decisionale (quello composto dai presidenti delle commissioni parlamentari e dai parlamentari in genere, dai leader delle Unioni dei Lavoratori e dai più importanti Businessman del paese). I risultati delle elezioni parlamentari del 2000 mostrano come questo sia vero almeno per il parlamento egiziano: più di due terzi dei parlamentari uscenti infatti non sono stati riconfermati, 329 parlamentari non sono stati rieletti e 277 sono stati eletti per la prima volta. Tuttavia solo cento dei 444 candidati del NDP eletti avevano meno di quarantadue anni. All’interno del parlamento comunque lo scontro più grande e il contesto all’interno del quale si possono vedere meglio le trasformazioni nelle distribuzione di potere non è quello che si pone nella relazione tra NDP e partiti d’opposizione ma all’interno dell’NDP. Gli equilibri di potere dell’NDP, il partito di governo, stanno subendo nel corso degli ultimi anni delle interessanti trasformazioni che sono prova di questa “rigenerazione” in atto. La lobby che ha acquisito sempre più influenza e potere è quella del mondo degli affari, ovvero quella che rappresenta sia l’imprenditoria privata sia le unioni dei lavoratori, espressione del settore pubblico. Inoltre all’interno di questo contesto, secondo quanto afferma Abdelnasser (2003), l’imprenditoria privata sta guadagnando sempre più potere e spazio a scapito del settore pubblico. Negli anni Novanta anche i giudici della Corte Costituzionale, alcuni giornalisti e leader di organizzazioni non governative, hanno incominciato a giocare un ruolo interessante come opinion makers, costituendo una sorta di terzo cerchio dell’elite decisionale. I giudici della Corte Costituzionale in particolare hanno fatto valere la propria autorità delegittimando la maggior parte delle tornate elettorali e rivendicando il proprio potere al controllo dei processi elettivi. Si tratta di una posizione che li ha più volte posti in aperto scontro con il regime. Per quanto riguarda i giornalisti il discorso riguarda prevalentemente i direttori dei nuovi giornali privati di cui si dirà meglio in seguito. Quello che emerge da questa breve analisi è che, seppure all’interno di un contesto di stabilità delle strutture profonde del sistema politico e dei sistemi di organizzazione e distribuzione del potere, è possibile parlare per l’ultimo decennio di una significativa ebollizione all’interno dell’elite di potere. Si tratta di un contesto all’interno del quale diversi soggetti 98 Oggi alla guida della Lega Araba. 96 stanno cercando di sfruttare le trasformazioni del sistema economico, l’inevitabile necessità di un ricambio generazionale e la spinosa questione della “successione” per spostarsi verso posizioni di maggiore potere. Gli effetti sostanziali delle liberalizzazioni economiche avviate da Sadat negli anni Settanta sono arrivati a partire dalla metà degli anni Ottanta quando ha cominciato a strutturarsi un piccolo gruppo di businessman che iniziavano ad accumulare patrimoni e volumi di affari molto rilevanti. Come è ovvio, soprattutto dopo che il governo Mubarak ha continuato sulla strada della privatizzazione, questa business community ha acquisito sempre maggiore potere economico e dunque interesse per il futuro politico del paese. Dagli anni Novanta in poi questi businessman hanno effettivamente iniziato ad occuparsi, in maniera diretta ed indiretta, di politica: nell’ultimo decennio essi si sono sostituiti, all’interno del parlamento, agli alti dirigenti del settore pubblico, in un processo coerente con le privatizzazioni e la trasformazione del sistema economico del paese. Waterbury (1999) e Abdelnasser (2003) concordano sul fatto che la business community eserciterà un ruolo sempre maggiore all’interno degli equilibri politici egiziani e già oggi rappresenta “an increasingly important source for leadership” (Waterbury pag. 22); i businessman sembrano, a meno che non si configuri uno scenario “islamista”, i candidati più probabili per l’occupazione del core dell’elite decisionale del paese nel prossimo futuro. In questa dinamica di “preparazione al futuro” dunque, tanto la business community egiziana quanto gli altri soggetti che ambiscono alla leadership decisionale nel paese sono più che mai interessati ad orientare il dibattito pubblico in un momento delicato per il futuro dell’Egitto come quello che vede sempre più appropinquarsi lo shock della successione a Mubarak. In questo senso la relativa liberalizzazione del sistema dei media ha rappresentato, soprattutto a partire dal 2000, una forte tentazione per tutti coloro che hanno interesse nell’influenzare lo scenario del dopo Mubarak. Ovviamente sotto questo punto di vista i businessman hanno un grosso vantaggio rispetto agli altri: hanno i capitali necessari per finanziare il lancio di nuove news organization. Intorno allo svoltare del millennio dunque è iniziata una lotta intestina alle strutture di potere del sistema egiziano, una lotta che non ne mette in discussione la base di “pluralismo autoritario” ma vede diverse strategie e progetti scontrarsi per il riposizionamento all’interno della struttura di potere: la parola d’ordine per tutti è “lo sguardo al futuro”. “Futuro” e “Giovani” sono dal 2000 il cuore della retorica politica di tutti, regime e opposizioni. Lo stesso Mubarak sembra, ormai da qualche anno, estremamente impegnato nella preparazione del “futuro”, ovvero della sua successione. Tutte le mosse politiche intraprese dal presidente sembrano infatti volte ad agevolare il figlio Gamal in una futura corsa alla presidenza senza che questo passi come una “dinsticizzazione” della potere. Sia Mubarak padre che Gamal hanno più volte smentito l’esistenza di un progetto che ricalchi il modello siriano99, ma le riforme volute negli ultimi anni dal Presidente, tra cui la modifica della costituzione e l’introduzione di un sistema di elezione presidenziale multicandidato, sono state interpretate come chiari segnali dell’esistenza di un progetto in questo senso. Nel frattempo Gamal, attraverso la sua attività politica, sta cercando di guadagnare popolarità e legittimità politica. Di fronte all’assenza di unità all’interno della politically relevant elite rispetto all’idea della suc99 Nel 2000 in Siria Bashar Assad è succeduto al padre Hafiz alla presidenza del paese. 97 cessione a Gamal (Shukrallan 2007, Abdelnasser 2003), è possibile interpretare le mosse del Presidente in questo modo: non avendo la forza di imporre la successione del figlio egli sta cercando di fare di tutto perché questo ultimo possa trovarsi nella posizione migliore nella futura competizione alla presidenza, o comunque affinché egli possa contare su una posizione di grande potere nell’ancora incerto scenario del “futuro” dell’Egitto. Il Presidente e i suoi fedelissimi non sono ovviamente l’unica fazione che si sta muovendo per “aggiudicarsi il futuro”. Anche chi non vuole che il prossimo presidente sia Gamal si sta dando da fare, tanto nella creazione di alleanze quanto nel tentativo di delegittimarne la figura all’interno della sfera pubblica egiziana. Sicuramente Gamal, che non è in alcun modo legato all’esercito, non piace ai militari, abituati ad essere la regia occulta della politica egiziana a partire dalla rivoluzione100. La visione politica di Gamal sembra essere orientata allo sviluppo economico e ad un ulteriore impulso alle liberalizzazioni del sistema imprenditoriale, un’idea che sicuramente lo avvicina alla business community. Questa però non sembra essere interessata ad essere una semplice spettatrice del futuro politico del paese, ma aspira ad essere un attore di primo piano in grado di orientare direttamente le traiettorie di sviluppo. A partire dalla fine degli anni Novanta dunque ciò che caratterizza il sistema di potere egiziano sembra essere questa “guerra invisibile”, una guerra sta avendo effetti sensibili sulla natura del discorso pubblico e sul sistema che ad esso è strettamente collegato: quello dei media dell’informazione. 4.3 Pluralismo autoritario, dal sistema politico a quello dei media È innegabile che il sistema dei media dell’informazione in Egitto si sia, nel decennio 19962006, arricchito di numerose voci, soprattutto per quanto riguarda la carta stampata. A questo proposito è interessante comprendere se questa pluralità di voci abbia segnato un reale passo avanti sulla strada del pluralismo e quali forme di relazione il regime abbia adottato con i media in questo nuovo contesto. È evidente infatti che le dinamiche cicliche di liberalizzazionedeliberalizzazione che caratterizzano il “pluralismo autoritario” del sistema politico abbiano continuato a riflettersi sulla posizione del regime vis a vis i news media. La tolleranza da parte del regime nei confronti della presenza di una maggiore pluralità di newsmaker non è infatti inseribile all’interno di un percorso di univoca liberalizzazione del sistema e di apertura nei confronti della pubblica espressione del dissenso. La dinamica di apertura-chiusura delle maglie della repressione è rimasta infatti la prassi con cui il regime si è relazionato ai media anche nell’ultimo decennio. Per comprendere come questo sia avvenuto è necessario mostrare quali nuovi media siano stati lanciati, ponendo queste iniziative in relazione con le condizioni economiche, politiche e legali che ne hanno reso possibile il lancio. Pur in un contesto all’interno del quale questa centralità è diminuita a favore di diplomatici e businessman, ancora oggi l’esercito conserva un grande potere a livello sotterraneo nel paese, tanto è vero che nessun soggetto sulla sfera pubblica osa criticarne apertamente l’operato. 100 98 4.3.1 Dalla “stampa cipriota” a Al Masry Al Youm La legge sulla stampa N.96 del 1996 è stata salutata dalla comunità dei giornalisti come una vittoria del sindacato che si era strenuamente battuto perché quella promulgata l’anno precedente101 fosse modificata. La nuova legge infatti si presentava come un’iniezione di libertà all’interno del sistema in quanto sopprimeva la detenzione preventiva per i giornalisti, diminuiva le pene pecuniarie in relazione ai crimini legati alla stampa e riduceva le pene detentive legate alla pubblicazione. L’ultimo decennio dunque si è aperto con una fase di liberalizzazione, almeno apparente, nei confronti dei media: la mobilitazione massiccia dei giornalisti e l’interessamento della comunità internazionale102 avevano portato Mubarak a decidere per una “dimostrazione di tolleranza” nei confronti della libertà di stampa. Tuttavia, non più di due anni dopo, nel 1998, il regime intraprendeva azioni di forza contro la stampa d’opposizione, la stampa “cipriota” (di cui si dirà tra breve) e anche contro i giornalisti “impenitenti” della stampa governativa. Quello del 1998 è dunque evidentemente un segnale che il governo vuole mandare a tutti i giornalisti: a dispetto delle modifiche introdotte dalla legge N.96 ci sono ancora tutti gli strumenti legali per bloccare qualsiasi intemperanza da parte della stampa. Alcune testate della stampa dei partiti d’opposizione avevano incominciato a rivolgersi direttamente agli alti esponenti del governo (ministri e sottosegretari), mettendo sotto accusa il loro operato. Di fronte a questa “aggressività” il regime si mosse con forza: Plusieurs journalistes furent ainsi accusés de diffamation, jugés coupables et incarcérés pendant plusieurs mois. En mars 1998, Gamal Fahmi Husayn, journaliste de l’hebdomadaire nassérien al-Arabi, fut condamne à 6 mois de prison ferme et une amende de 501 L.E. pour avoir diffamé l’écrivain et secrétaire du Conseil consultatif, Tharwat Abaza. Il passa près de 150 jours en prison, avant que la Cour de cassation ne casse l’arret de condamnation en aout 1998. Fin mai 1998, c’était au tour de Amr Nasif, membre du Parti nassérien, d’etre condamné en appel à 3 mois de prison, pour avoir publié un article jugé injurieux dans al-Ahrar, journal du parti du meme nom, contre le meme Tharwat Abaza. Il exécuta sa peine d’emprisonnement en totalité. (Bernard-Maugiron-Abdelnasser 2000, pag.131) In questo senso il caso che fece più discutere fu quello che vide scontrarsi il Ministro dell’Agricoltura Yusuf Wali e il giornale Al Sha’b103, organo del partito laburista. Fondato nel 1978 con il sostegno di Sadat che voleva offrire spazio ad una voce socialista alternativa al partito Tagammu (il partito comunista egiziano), il partito Al Sh’ab aveva poi assunto una linea pro-islamista e creato una relazione privilegiata con i Fratelli Musulmani. A partire dalla fine di dicembre 1998 il giornale inizia una campagna contro il Ministro dell’Agricoltura con diversi capi d’accusa collegati sia alla sua attività politica che alla gestione economica del suo ministero. La maggior parte delle accuse riguardano attività di cooperazione e addirittura di spionaggio a vantaggio del “nemico sionista”. Attraverso questi attacchi al ministro il giornale La legge N.93 del 1995. Diverse organizzazioni internazionali di giornalisti avevano espresso supporto ai giornalisti egiziani e inviato lamentele al governo in seguito alla pubblicazione della legge N.93. 103 Questa fu soltanto una delle vicende giudiziarie in cui il giornale fu coinvolto in quegli anni con accuse di diffamazione e ingiuria. 101 102 99 arriva a mettere sotto accusa tutta la “politica di normalizzazione” delle relazioni con Israele portata avanti dal regime. Nell’aprile del 1999 il ministro passa al contrattacco e denuncia il giornale per ingiuria e diffamazione. I giornalisti imputati vengono giudicati colpevoli di aver superato “il limite della legittima critica” e di avere ingiuriato un ministro del governo. Questi fatti del 1998-1999 contro i giornalisti della stampa d’opposizione mostrano come il regime volesse, dopo l’apertura della legge n.96, dare prova di essere ancora in grado di controllare appieno la stampa attraverso gli strumenti legali e repressivi in suo possesso. A proposito della vicende giudiziarie dei giornalisti della stampa d’opposizione e in particolare di Al Sha’b, Kienle (2001) afferma che: (…) the misfortunes of Al-Sha’b (…) show that freedom of the press continued to be resticted by the ability to invoke other legal provisions, often extremely vague, which had not been superseded by the 1996 law. It is just as difficult to give an overall assessment of the practices that affected the freedom of the press during the period concerned. The ways in which the regime was able to interfere were too numerous, too varied and often too invisibile to be considered systematically in the present context. (pag.102) Nel corso degli ultimi anni Novanta il regime non si mosse solo nei confronti della stampa d’opposizione ma mostrò “il bastone” a tutta la stampa egiziana. A questo proposito è fondamentale spendere qualche parola sul cosiddetto fenomeno della “stampa cipriota”, poiché esso mostra come a partire dalla metà degli anni Novanta diversi soggetti privati incominciarono a mostrare interesse per l’ingresso nel mercato della stampa. Avvalendosi di una legge risalente alla monarchia e mai abrogata che consentiva a periodici registrati all’estero di avere uffici e di essere stampati in Egitto, diverse testate furono lanciate dalla relativamente vicina e “ospitale” Cipro (da qui “stampa cipriota”). Questo permetteva di eludere le assai restrittive norme che davano al regime la possibilità di negare l’autorizzazione alla pubblicazione di nuove testate (legge N.159 del 1981) e che di fatto avevano fino a quel momento impedito lo sviluppo di una stampa privata104. La maggior parte di queste testate cipriote, nate verso la metà degli anni Novanta, era in qualche maniera collegata a figure dell’opposizione, soprattutto a correnti di minoranza dei partiti d’opposizione che non potevano esprimersi all’interno delle testate di partito. Questo espediente tuttavia fu utilizzato anche da soggetti non legati direttamente ai partiti e interessati ad avere una voce nella sfera pubblica nazionale. Alcune di queste testate raggiunsero livelli di tiratura significativi ed arrivarono ad essere distribuite in tutto il paese con un ottimo successo di pubblico. La più popolare di queste testate era Al Dustur, settimanale lanciato nel 1995 e diretto dal giovanissimo Ibrahim Issa che aveva dato alla testata una linea decisamente innovativa. Al Dustur concentrava ed esprimeva al meglio le caratteristiche della “stampa cipriota”: una titolazione gridata, l’utilizzo di espressioni vernacolari, il gusto per la provocazione e per la satira e il ricorso al sensazionalismo e la ricerca dello scandalo. Per tutte queste caratteristiche la “stampa cipriota” è stata paragonata alla La legge N.159 del 1981 stabilisce che un giornale può essere lanciato nel paese da soggetti privati soltanto se essi si riuniscono in una joint-stock company la cui maggioranza assoluta deve essere detenuta da cittadini egiziani. Il lancio di un’operazione di questo tipo è comunque vincolato all’approvazione del Primo ministro. 104 100 “yellow press” americana. Queste testate rappresentavano un’alternativa meno ingessata e comunque più vicina agli interessi della gente e, tra il 1995 e il 1998, guadagnarono molti consensi tra gli egiziani. Il regime decise di intervenire contro questi giornali una prima volta nell’ottobre 1997 quando il Ministero dell’Informazione bloccò la distribuzione nel paese di alcuni di questi fogli con motivazioni legate alla discontinuità della loro pubblicazione e all’irregolarità del loro finanziamento. In realtà esse erano diventate invise al governo per la loro linea impenitente e per essere legate a soggetti esterni al regime: tra le testate colpite dal Ministro c’era Sawt Helwan, la cui unica colpa era di essere di proprietà di Mahmud Bakri, fratello di Mustafa Bakri, un candidato dell’opposizione per il distretto di Helwan nelle elezioni parlamentari del 1995 e direttore del giornale d’opposizione Al Ahrar. L’azione del regime contro la “stampa cipriota” proseguì nel 1998 quando, il 26 febbraio, venne intimato alle case editrici egiziane (tutte di proprietà nazionale) di bloccare la pubblicazione di Al Dustur (che non era stato toccato dai provvedimenti dell’ottobre 1997); un provvedimento che portò in breve alla chiusura del giornale. Il caso che fece scattare “l’operazione” fu la pubblicazione, da parte del giornale, di un comunicato del gruppo terroristico Jama’at Al Islamiyya contenente minacce di morte contro tre businessman copti. In realtà il fatto che la testata stesse portando avanti una campagna contro la corruzione era la motivazione fondamentale dietro a tale azione repressiva. Di fatto questa “stagione di furia” contro la stampa cipriota sancì la fine della sua epoca: molte pubblicazioni cessarono in seguito ai periodi di forzata interruzione delle pubblicazioni e per la complicazione dell’iter di stampa. Negli stessi anni anche i giornalisti meno allineati all’interno della stampa governativa furono presi di mira dal regime. Il caso più noto a questo proposito è quello di Adel Hamuda, all’epoca direttore del foglio governativo Ruz al-Yusuf, testata che grazie alle sue innovazioni e scelte editoriali aveva guadagnato, nel corso degli anni Novanta, parecchi lettori e popolarità. Hamuda, liberale e anti-islamista, scelse di pubblicare lo stesso comunicato delle Jama’at Islamiya che aveva portato alla chiusura de Al Dustur di Ibrahim Issa105 e questo gli costò l’immediato trasferimento ad Al Ahram,dove si trovò ad essere un semplice redattore. Il regime aveva tollerato fino a quel momento “le riforme” di Hamuda poiché i suoi toni antiislamisti erano organici alla lotta che esso stava portando avanti contro i gruppi terroristici. Ma evidentemente, verso la fine degli anni Novanta, dopo le aperture della legge N.96 del 1996, Mubarak era intenzionato a dare un significativo giro di vite che riguardasse tutte le pubblicazioni, anche quelle semi-ufficiali. Questa ricostruzione mostra come gli anni Novanta si siano chiusi con un azione repressiva nei confronti della stampa da parte del regime, un’azione che ha portato alla chiusura di alcuni dei più interessanti esperimenti giornalistici che si erano sviluppati in quegli anni e a una riduzione della pluralità delle “voci” nel paese. Il regime dunque si è mosso in maniera coerente con la prassi che caratterizza “il pluralismo autoritario” di Mubarak, ovvero giocando sulla dinamica permanente di liberalizzazione/deliberalizzazione, con l’obiettivo di disorientare opposizioni interne e comunità internazionale. E’ interessante notare il fatto che Ibrahim Issa si è formato come giornalista proprio a Ruz al Yusuf. Sotto la direzione di Hamuda, Issa ha appreso un’idea di giornalismo in grado di guardare alla politica non in maniera protocollare e ingessata. 105 101 Se il millennio si era chiuso con una fase di deliberalizzazione, già nei primi anni del 2000 si apre una nuova fase che vede alcuni vecchi e nuovi protagonisti del giornalismo egiziano impegnati in nuove avventure editoriali, all’interno di un contesto che appare per molti versi come una liberalizzazione. A questo proposito la situazione del sistema politico che si è delineata negli stessi anni sembra avere influito notevolmente su tale apparente liberalizzazione del sistema dei media. L’ingresso in politica dell’imprenditoria privata, la “lotta invisibile” all’interno del regime per la successione a Mubarak, le pressioni da parte degli Stati Uniti verso la “democratizzazione” del paese hanno rappresentato una spinta determinante all’ingresso di nuove testate nel sistema e nella concessione di nuove licenze. Le prime avvisaglie dell’apertura di questa ennesima “nuova stagione” arrivano nel dicembre 2000 quando, dopo due anni di battaglie legali, Adel Hamuda e l’editore Essam Ismail Fahmi ottengono l’autorizzazione a pubblicare di nuovo il settimanale Sawt El Umma. I due avevano comprato il giornale dopo che il proprietario originale era morto ma, appena concluso l’affare, si erano visti ritirare il permesso di pubblicare, ufficialmente a causa del sostanziale mutamento della struttura proprietaria della testata, ma di fatto in nome della loro “cattiva reputazione. Lo “stile Hamuda” ha caratterizzato la testata a partire dalla prima edizione: un attacco frontale al Ministro degli affari parlamentari è sparato a caratteri cubitali dalla prima pagina del giornale”106 (una scelta vincente, considerato che tutte le 80.000 copie stampate sono state vendute in un giornata). Essam Ismail Fahmy non è proprio un “editore puro”, proviene infatti da una famiglia che ha esercitato ed esercita un importante ruolo politico nel paese. Fahmy è stato, a partire dal 2000 ad oggi, dietro alle testate che più frontalmente hanno attaccato la famiglia Mubarak e più hanno ricamato, in maniera fortemente critica, attorno alla volontà del presidente di farsi succedere dal figlio. Considerato tutto questo è verosimile pensare che egli possa essere vicino, e i giornali da lui finanziati possano essere congeniali, a quegli elementi del regime che non approvano l’idea di una presidenza Gamal. Molte delle testate con un’impostazione più innovativa e una linea più tagliente sono state lanciate tra il 2004 e il 2005, e questo dimostra come il loro lancio sia collegato alla concitata fase politica che, a livello sotterraneo, caratterizza il paese. All’inizio del 2005, anno nel corso del quale si sarebbe dovuto tenere il referendum per l’elezione presidenziale, Mubarak, attraverso la modifica dell’articolo N.76 della costituzione, ha “permesso” le prime elezioni presidenziali multicandidato della storia repubblicana del paese. Questo gesto ha ufficialmente aperto la battaglia per la successione107. Il lancio di nuove testate dell’informazione nel 2005 è stato dunque congeniale tanto a quei soggetti che intendono influenzare il discorso pubblico quanto a Mubarak che può presentarsi come un leader davvero “democratico”. Nell’ambito di questo particolare “momento politico” sono state autorizzate, secondo la legge N.3 del 1998108 -che nei 6 anni precedenti aveva al contrario funzionato come tappo Di Hamuda si è già detto; Fahmy era il proprietario del “ribelle” Al Dustur chiuso nel 1998. Tale battaglia non ha nulla a che vedere con quelle elezioni e con i “candidati fantoccio” o “sette nani” cui è stato concesso di presentarsi, è infatti una battaglia interna al regime che si sta giocando ora e si giocherà nei prossimi anni. 108 La legge N.3 del 1998 avrebbe dovuto renedere più agevole l’investimento privato in materia di mass mass media, in realtà, con essa il regime si manteneva strumenti molto efficaci per controllorare arbitrariamente l’ingresso di nuovi soggetti privati nel mercato dell’informazione (cfr. Kienle 2001). 106 107 102 all’ingesso di nuovi soggetti- diverse nuove testate private, tutte a partire dalla fine del 2004109. È interessante a questo proposito notare come il contesto non si sia trasformato in seguito alla cancellazione di una legge repressiva ma in seguito ad un mutamento di atteggiamento da parte del regime: quella che fino a quel momento era un’impresa impossibile, ottenere l’autorizzazione necessaria alla pubblicazione di un nuovo giornale, improvvisamente diventa un percorso molto più semplice perché il regime “apre i cancelli”. Questi “cancelli” però non vengono tolti, in un processo che mantiene un clima di incertezza, di impossibilità di capire dove siano le red lines e soprattutto lascia la possibilità al regime di tornare sui suoi passi in ogni momento. Di seguito sono presentate le nuove testate che rappresentano le novità più importanti nel panorama dei newsmedia egiziani . Al Masri Al Youm: Al Masri Al Youm, fondato nel giungo 2004, rappresenta un unicum nel panorama egiziano. È stato universalmente definito come il primo “quality paper” del paese per la sua linea lontana dalle notizie protocollari che caratterizzano la stampa governativa e allo stesso tempo non incline ai sensazionalismi della stampa d’opposizione. Al Masri Al Youm è stato un caso editoriale, in poco tempo è riuscito a guadagnarsi il pubblico egiziano vendendo nel 2007 intorno alle 80.000/100.000 copie e cominciando dunque a far sentire il fiato sul collo ai giornali governativi110. Il giornale è stato voluto e finanziato da un gruppo di importanti businessman tra cui spiccano i multimilionari Salah Diab, Ahmad Bahgat e il “paperone egiziano” Neguib Sawiris. Per dare un’idea di quanto questi soggetti possano essere interessati ad influenzare il futuro politico del paese, si riporta qui sotto la struttura di Pico Company, di proprietà di Salah Diab, così come descritta da Diab stesso111: Pico is one of the most diversified companies in Egypt, as well as being a leader in most of its activities. In the field of Petroleum, we are in the service business and work very closely with Halliburton, who are our strategic partners in Egypt, as well as with other big, multinational companies. We are also an oil producer and were the first and so far the only Egyptian independent producing oil. (…) Collectively we are acknowledging the production of something in the region of 20,000 BPD and have plans to expand and double this volume in about two years. Also, we have plans to increase our productivity to double our existing output, probably in two years time, too. We also have a chain of pastry shops called "La Poire", which currently has 22 outlet stores, 109 E ancora oggi continuano ad esserne autorizzate di nuove: tra le ultime (inzio 2007) Al Badiil (Il cambiamento) diretta Mohamed El Saied Saiid, ex vicedirettore del Al Ahram Center For Political and Strategic Studies e opinion maker di primo piano sulla scena nazionale. 110 Non si hanno dati ufficiali né delle vendite né delle tirature dei giornali egiziani. Per tanto tutti i dati che vengono presentati in tal senso sono il frutto delle dichiarazioni raccolte presso le redazioni dei singoli giornali, esponenti del sindacato dei giornalisti e ricercatori egiziani. Laddove le cifre non coincidessero si è deciso di presentare una media approssimata. Per quanto riguarda i giornali della stampa ufficiale, stando ai nostri dati Al Ahram vende oggi 500.000 copie, Al Akhbar, 350.000 e Al Gumurriya 150.000. Le 100.000 copie di Al Masry Al Youm dunque non sono ancora sufficienti per intaccare il primato della stampa ufficiale ma sufficienti per metterla sotto pressione, conisderato che Al Masry Al Youm continua ad aumentare le tirature. 111 Nel sito della compagnia. 103 and we hope to have 40 outlets by the end of 2001. (…) The plan is to plug in and establish something in the fashion of "Starbucks", serving coffee and other products to accommodate the rapid pace of Life nowadays. Another part of our activities is the agriculture business, in which we are market leader. We apply the latest technology to make use of niche markets in Europe and elsewhere. We have contributed to technology transfer in this segment, particularly in cultivation of desert land. Another component is PICO Investments. This is itself very diversified. We seek participation in strategic investments and unique projects, which serve our long-term goals and bring synergy gains in many cases. Ahmad Baghat è un altrettanto ricco businessman che proviene dal mondo delle costruzioni, ma le cui attività si sono oggi estese in molteplici direzioni tra cui l’elettronica e l’informatica. Neguib Sawiris è uno degli uomini più ricchi del mondo, i suoi affari si estendono a 360° ed egli è in particolare attivo nel campo delle telecomunicazioni (la sua Orascom controlla anche Wind italia) e delle IT: Sawiris insomma rappresenta l’imprenditore dei media del futuro, il cosiddetto “triple player” in grado di controllare contenuti, tecnologie di trasmissione e hardware. Come è evidente questi tre imprenditori sono ben lontani dall’essere “editori puri”, e la loro discesa sul campo dei media mostra come l’agone politico egiziano si stia trasformando e come il mondo degli affari sia interessato ad entrarci in maniera diretta. Questi investitori tuttavia hanno impostato il giornale in una maniera molto diversa rispetto a quelli della stampa ufficiale: da businessman quali sono hanno voluto creare un prodotto economicamente competitivo e hanno posto a dirigerlo persone con una grande esperienza e, allo stesso tempo, una visione innovativa del giornalismo. Sembra che Al Masri Al Youm si sia posto come mission iniziale quella di guadagnare popolarità tra la gente, costruirsi una credibilità e riempire un vuoto a livello nazionale. Una volta che questo obiettivo è stato raggiunto la testata può funzionare per la proprietà sia come fonte di prestigio, sia come deterrente per chi intendesse prendere posizione contro interessi politico-commerciali condivisi, sia come importante “arma” in un nuovo quanto ignoto scenario politico. In ogni caso, come sostiene l’ex CEO Hisham Kassem112, gli investitori hanno tra le loro priorità il fatto che: A differenza di tutto ciò che è avvenuto fino ad ora nella stampa egiziana il nostro giornale deve anche funzionare come un buon business per la proprietà, altrimenti la proprietà, che è fatta di businessman si indispettisce. Il giornale ha una linea che può essere genericamente definita “liberal” e, come nella tradizione della stampa egiziana, continua ad occuparsi molto di politica interna, ma il suo approccio è molto più legato alla newsworthiness che al protocollo. La redazione di questa testata è piuttosto contenuta considerando che fino ad ora ha trovato spazio all’interno di un grande appartamento in una palazzina di Garden City, uno dei quartieri centrali del Cairo, e conta più o meno un centinaio di persone tra giornalisti e collaboratori113. Un'altra testata quotidiana 112 113 Intervista personale (Cairo, luglio 2006) Una numero ridicolo se si considera che Al Ahram impiega circa 1.400 giornalisti. 104 che, pur non avendo avuto lo stesso successo, può essere considerata, per linea editoriale e struttura proprietaria, paragonabile a Al Masri Al Youm, è Nahdet Masr. Fondato come settimanale nell’ottobre 2003 è stato trasformato in quotidiano nel maggio 2004. Questo foglio è di proprietà del businessman Emad Adibs che concentra molti dei suoi affari nell’ambito dei mass media. L’impostazione di questi due quotidiani e il background dei loro proprietari mostra a pieno il nuovo contesto di relazione che si sta creando nel paese tra politica, media e affari. Al Fajr Fondato nel giugno 2005, alla vigilia dell’inizio della campagna elettorale presidenziale, da Adel Hamuda Al Fajr è un settimanale che contiene tutte le cifre distintive del giornalismo del suo direttore. Si tratta una testata che mescola i toni del giornalismo scandalistico a inchieste approfondite e che ha ottenuto un ottimo successo tra il pubblico egiziano (il settimanale vende circa 80.000 copie), interessato agli scandali rosa quanto a quelli politici. La proprietà del giornale è in mano ad alcuni parenti di Hamuda e a persone vicine alla sua famiglia, ma l’unica anima della testata sembra essere lui. Il gusto del giornale per lo scandalo e la provocazione porta la redazione a guardare anche all’estero alla ricerca di hot news: Al Fajr è stato il primo giornale arabo a sollevare il caso delle ormai famose vignette sull’Islam pubblicate da alcuni giornali danesi nel gennaio 2006 e destinate a creare forti tensioni nei rapporti Danimarca-mondo arabo. Adel Hamuda comunque per non tradire la sua idea di giornalismo popolare, in grado di non snobbare anche il gossip, all’inizio del novembre 2006, ha lanciato un altro settimanale Washwasha che, secondo quanto riferito dallo stesso Hamuda114, si ispira alla rivista americana People e di fatto presenta risconti e fotografie degli eventi mondani del Cairo più una serie di articoli di human interest. Al Fajr rappresenta bene la nuova stampa privata che sta nascendo in Egitto in questi anni: aggressiva e sensazionale ma in grado comunque di portare alla ribalta della sfera pubblica temi che fino a pochi anni fa erano considerati tabu ponendo con forza il tema della corruzione e dell’incapacità di molti politici. Ovviamente non tutti i politici vengono messi sotto la gogna e il ruolo politico di queste testate (e dunque il loro orientamento) si gioca tutto attorno alla scelta degli obiettivi da attaccare. Al Dustur (seconda edizione) A partire dalla metà del 2005 Ibrahim Issa, enfant terrible del giornalismo egiziano, già direttore della versione cipriota di Al Dustur (chiusa nel 1998), si trova a dirigere due settimanali: Sawt El Ummah (abbandonata da Adel Hammuda impegnato con Al Fajr) e una nuova versione di Al Dustur, cui inaspettatamente, dopo anni di cause e richieste negate, era arrivata l’autorizzazione a tornare in edicola. Il fatto che, dopo otto anni nel corso dei quali ad Issa non era stato permesso di pubblicare un solo articolo sulla stampa egiziana, improvvisamente egli venga autorizzato a dare la linea editoriale a due giornali è davvero significativo. Issa infatti ha portato agli estremi gli insegnamenti di Hamuda (sotto cui si è formato nella redazione di Ruz Al Yusuf), creando un giornalismo che recupera il gusto dello sberleffo nei con114 Intervista realizzata nel novembre 2006 presso la sede di Al Fajr, Cairo. 105 fronti dei potenti, dell’uso della satira che deborda dalle vignette per arrivare ai titoli e agli editoriali, all’utilizzo del dialetto ma anche delle espressioni giovanili o della “lingua degli sms”. Al Dustur è stato un altro grande caso editoriale degli ultimi anni, il suo approccio “populista” e allo stesso tempo molto raffinato (gli editoriali di Issa sono delle vere perle stilistiche) è piaciuto molto e il settimanale è arrivato a vendere 125.000 copie115. Bersaglio preferito dai titoli di Al Dustur sono il presidente Mubarak e suo figlio Gamal che Issa non perde occasione per canzonare, mettendone in ridicolo l’incapacità politica e, contrariamente a quanto viene sostenuto dalla stampa semi-ufficiale, la bassa considerazione nutrita sullo scenario internazionale. Per questo Issa ha ricevuto diverse denuncie e diverse azioni legali sono state mosse nei suoi confronti; per ora comunque Al Dustur continua a uscire e lui a firmare gli editoriali in prima pagina. Da un punto di vista politico Issa non fa mistero che lo scopo principale del Dustur sia quello di “interrompere la dinastia Mubarak”. Il finanziatore del giornale è quello stesso Essam Ismail Fahmy che ha rilanciato Sawt El Ummah assieme ad Adel Hamuda e che aveva lanciato la prima versione cipriota di Al Dustur. Evidentemente questa testata marcatamente anti “famiglia Mubarak” è congeniale a quei soggetti che si oppongono alla successione di Gamal al padre. Molti osservatori, tra cui Hani Shukrallan116, ex direttore di Al Ahram weekly, sostengono che dietro all’autorizzazione alla pubblicazione e alla protezione della testata ci siano proprio uomini interni al regime; altri sostengono che la testata abbia il supporto, anche finanziario117, dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani che non gradirebbero la successione di Gamal per la sua linea eccessivamente progressista. In ogni caso lo stile di Issa e la linea di Al Dustur hanno scosso ulteriormente il panorama della stampa egiziana in questi ultimi anni, facendo cadere il tabù della presidenza e introducendo il dialetto egiziano (in alcune espressioni) come lingua ammessa sui giornali e il risultato è stato molto apprezzato dagli egiziani. I grandi giornali semi-ufficiali non sono stati gli unici a fare le spese in termini di vendite dell’ingresso di questi nuovi e combattivi quotidiani e settimanali privati, anzi forse chi ne ha sofferto di più è stata la stampa dei partiti d’opposizione i cui fogli, per altro non di grande qualità, erano letti dalla popolazione con un orientamento più marcatamente anti-governativo che oggi si riconosce maggiormente in queste nuove testate. L’unico quotidiano di partito che ha cercato di rispondere in qualche modo alla nuova situazione è Al Wafd, organo dell’omonimo partito e principale foglio anche in termini di tiratura (60.000 copie) di questa categoria di giornali. Al Wafd infatti nel 2006 ha assunto il primo direttore di Al Masry Al Youm, Anwar El Awari e l’ha posto alla testa del suo giornale. El Awari è un giornalista con una grande ammirazione per la stampa anglosassone che afferma118 di avere come modello assoluto il Daily Telegraph inglese e che ha cercato di “svecchiare” l’approccio al giornalismo di Al Wafd rendendo il giornale più dinamico e meno legato alle vicende interne del partito. Nella primavera 2007, considerato il successo avuto dal settimanale Al Dustur, ha lanciato un edizione quotidiana con una vendita media di 30.000/40.000 copie. 116 Intervista personale Cairo novembre 2006. 117 Attraverso l’acquisto di migliaia di copie da parte della “borghesia islamizzata” vicina al movimento. 118 Intervista personale avvenuta nel luglio 2006 nella sede del Wafd al Cairo. 115 106 Tuttavia la competizione con la stampa privata è molto difficile per una testata che comunque resta legata alla segreteria di un partito e, stando a quanto affermano molti osservatori, l’attesa risalita del numero delle vendite del giornale non è arrivata neanche con il restyiling di Anwar El Awari. Infine è interessante osservare come appena prima delle elezioni presidenziali del 2005 tutti i direttori e i CEO dei principali giornali semi-ufficiali: Al Ahram, Al Akhbar, Akhbar el Youm, Al Gomurriya e Ruz Al Yusuf siano stati spinti al pensionamento e sostituiti. Dietro questa mossa sembra esserci la volontà del presidente Mubarak di presentarsi alle elezioni con la stampa semi-ufficiale guidata da “uomini nuovi”, desiderosi di sdebitarsi dell’onore ricevuto, piuttosto che da “anziani vicini alla pensione” e dunque meno interessati alla carriera. La mossa della sostituzione dei direttori ha avuto un duplice scopo per Mubarak: da una parte dare ulteriore credito all’idea di una volontà di trasformazione del paese attraverso la nomina di cinquantenni alla guida dei principali giornali del paese, dall’altra rafforzare la sua “macchina da guerra” nel momento in cui aveva scelto di autorizzare nuove testate private ad uscire dalle rotative. Se infatti si guarda ai nomi dei direttori nominati nel 2005: Osama Saraya, Momtaz El Qot, Abdel Khader Shohaib, Mohamed Abuel Haded, si vede come molti di essi occupino posizioni di responsabilità anche all’interno del partito del presidente, l’NDP. Osama Saraya, ad esempio, posto alla guida del più grande quotidiano semi-ufficiale, Al Ahram, è membro di una commissione della segreteria politica dell’NDP, segreteria che è presieduta proprio da Gamal Mubarak: questo lascia pochi dubbi sul fatto che Saraya sia un fedelissimo del figlio del presidente. Il clima di scontro sotterraneo per l’orientamento del futuro del paese sembra essere dunque la forza trainante di qualsiasi cambiamento. Un’ultima interessante modifica introdotta, sempre nel 2005, dal Majlis Al Shura all’interno dell’organizzazione della stampa semi-ufficiale, è quella che vede la separazione della figura del CEO da quella del direttore, fino a quel momento coincidenti. Questo è stato giudicato da molti osservatori come un passo avanti notevole nella trasparenza dell’organizzazione di queste strutture semi-pubbliche. Così Ahmad El Neggar119, analista dell’Al Ahram Center for Political and Strategic Studies, ha commentato su Egypt Today dell’Agosto 2005 tale decisione: That separation was essential. The situation under the mandates of the former chairmen was an instrument of corruption. One person having control over business and editorial policies meant that the chairman could use his administrative authorities to reward his favourite groups of journalists. In fact, this dualism was used very badly. Besides, being a competent editor does not necessarily mean that you are good at financial administration, especially given that these are giant organizations with board business interests beyond merely publishing newspapers and magazines. Nell’ambito della fase di “apertura” che ha caratterizzato il periodo precedente alle elezioni presidenziali del 2005, il presidente si è spinto anche sul terreno delle promesse di liberalizzazione del sistema legale. Il 24 Febbraio 2004, nel corso della quarta conferenza dedicata ai giornalisti, Mubarak aveva promesso che le pene detentive per reati legati alla stampa sarebbero staTale posizione è stata ribadita anche nel corso di un’intervista personale realizzata con El Negger nel giugno 2007 al Cairo. 119 107 te annullate, promessa che era stata ribadita durante tutta la campagna elettorale delle presidenziali 2005. E infatti non appena il nuovo parlamento si è insediato in seguito delle elezioni avvenute lo stesso anno il presidente ha chiesto al governo di presentare un bill alla camera bassa che proponesse emendamenti del Codice Penale coerenti con queste dichiarazioni. Inizialmente questa fase di attesa della preparazione di una nuova regolamentazione della libertà di stampa è stata vissuta positivamente dalla comunità dei giornalisti, come un momento nel quale finalmente una liberalizzazione del sistema passasse anche attraverso garanzie legali. La proposta del governo di riforma della legge sulla stampa è stata presentata in parlamento prima dell’inizio dell’estate 2006 attraverso una bozza che non aveva per nulla abrogato le misure repressive nei confronti della libertà di pubblicazione, aveva alzato le cifre massime e minime delle pene pecuniarie legate a tali reati e prevedeva nuovi articoli riguardanti “gli insulti a mezzo stampa”. Questi articoli in particolare avevano l’evidente obiettivo di proteggere i funzionari governativi dalle accuse di incompetenza e corruzione, secondo modalità analoghe all’abrogata legge N.93 del 1995. Negad El Borae’i120, avvocato esperto in diritto dell’informazione, definisce le modifiche proposte dal governo come “una corsa sul posto”, ovvero la sostituzione di vecchie barriere con nuovi steccati. Di fronte a questa “corsa sul posto” presentata dal regime come un “balzo in avanti”, il sindacato ha saputo, come undici anni prima quando si oppose con successo alla legge N.93, mobilitarsi in maniera abbastanza compatta, riuscendo ad ottenere il supporto di molte NGO e del movimento Kifaya!. Il sindacato infatti era stato il primo a muoversi per la realizzazione di bill con delle proposte di modifica di legge da presentare al governo. Il momento più caldo della protesta è stato a inizio di luglio 2006: il primo di luglio infatti una delegazione del direttivo del Sindacato dei Giornalisti si è incontrata con Safwat Sherif, presidente della Camera Alta, per informarlo del fatto che il Sindacato avrebbe respinto le proposte di modifica della legge del Governo ritenute un palese tradimento degli impegni presi dal Presidente durante la campagna elettorale. L’8 luglio del 2006 si è tenuta una riunione all’interno del Sindacato cui hanno partecipato esponenti dei movimenti, delle organizzazioni non governative e anche alcuni parlamentari dei partiti d’opposizione per preparare un fronte comune contro le proposte di legge del governo. Il giorno seguente 500 giornalisti si sono recati presso la Camera Bassa, riunita per discutere degli emendamenti, inscenando una manifestazione che li vedeva incappucciati con al collo cartelli del tipo “Abbasso il giornalismo, lunga vita alla corruzione!”. Nella stessa data 24 giornali e riviste non sono usciti in segno di protesta per l’atteggiamento del governo nei confronti della stampa. Di fatto lo scontro tra governo e giornalisti sulle modifiche alla Legge N.96 del 1996 e al Codice Penale in materia di libertà di stampa non ha ancora avuto una soluzione definitiva dal momento che nessuna nuova legge è stata ancora approvata. Questa vicenda tuttavia mostra da una parte come il regime Mubarak non intenda per nulla modificare il “modello del congelatore”, dall’altra la relativamente alta capacità organizzativa del sindacato dei giornalisti. Questo clima di incertezza è mantenuto anche attraverso denunce e processi che, a partire dal settembre 2006, sono ricominciate nei confronti dei direttori e i giornalisti della stampa privata più aggressiva: Adel Hamuda, Ibrahim Issa, Wael Al Ibrashi (direttore esecutivo di Sawt El 120 Intervista personale realizzata nel luglio 2006 nello studio di Nega dEl Borae’i al Cairo. 108 Ummah) e Abdel Halim Qandil (direttore del settimanale Al Karama). Ognuno di questi giornalisti è coinvolto in differenti procedimenti legali con accuse specifiche, (tutte legate ad episodi di corruzione riguardanti uomini del regime denunciati dalle colonne dei loro giornali) inoltre essi sono stati tutti coinvolti in un processo messo in piedi da un avvocato (membro dell’NDP) con l’accusa di “aver nuociuto alla reputazione della nazione diffondendo consapevolmente notizie false e tendenziose”. Il processo di primo grado si è concluso il 13 settembre 2007 con la condanna per i quattro ad un anno di carcere e 25.000 L.E. di multa e 10.000 L.E. di cauzione per non entrare in carcere; tutti e quattro hanno iniziato un ricorso in appello. Gli alti ufficiali del regime si mantengono lontani da queste vicende, affidando queste cause ad avvocati di secondo piano legati all’NDP: in questo modo Mubarak e i suoi ministri non si sporcano le mani e possono continuare a collegare la propria immagine a quella di “democratizzatori” del paese. Da questo punto di vista “la fisarmonica” di Mubarak sembra avere trovato un altro strumento senza avere modificato la sua reale attitudine nei confronti della stampa. Non bisogna però sottovalutare il fatto che giornali come il Fajr, Al Dustur, Sawt el Ummah, Al Karama e Al Usbua continuino ad uscire regolarmente in edicola tutte le settimane con i loro titoli “ingiuriosi” nei confronti del presidente, a dispetto dei processi che coinvolgono i loro direttori. Come può accadere questo? Ovviamente è possibile fare solo delle ipotesi a riguardo: la prima è quella che anche all’interno del regime ci sia qualcuno che vuole che questi giornali escano e fomentino l’opinione pubblica contro Mubarak ma soprattutto contro il figlio Gamal, scoprendo le carte del progetto di “ereditarietà” della presidenza e rendendolo in questo modo impraticabile. Un’ipotesi opposta, ma altrettanto plausibile, è quella che lo stesso Mubarak abbia ritenuto che questa stampa possa funzionare come uno sfogo innocuo per le frustrazioni dell’opinione pubblica e come fiore all’occhiello nella relazione con i donors occidentali e internazionali. Egli dunque potrebbe ritenere in questo senso più produttivo lasciare che sui marciapiedi del Cairo si vendano questi giornali, limitandosi a “tenere in scacco” i direttori attraverso la politica dei processi continui. L’evoluzione del sistema della stampa nel paese nel decennio 1996-2006 è stata dunque pesantemente influenzata dal contesto che ha caratterizzato il sistema politico. Il sistema dei media ha subito una spinta che ha portato sul mercato testate con modalità operative molto diverse da quelle dei grandi giornali semi-ufficiali e ha peraltro arruolato una nuova leva di giovani che hanno iniziato la loro esperienza professionale proprio a partire da questi giornali. La struttura profonda del sistema però, l’alternanza di fasi di repressione a fasi di liberalizzazione non è mutata, come non è mutata l’organizzazione profonda dello stato egiziano. 4.3.2 Satellite, privatizazioni e Free Zone, la privatizzazione incompleta della Tv Nel corso della seconda metà degli anni Novanta il governo egiziano ha investito molto in termini economici e organizzativi in progetti collegati all’audiovisivo e al broadcasting televisivo. Il sistema di broadcasting egiziano è mastodontico dai tempi di Nasser e proprio questa sua struttura sembra avere giocato un ruolo importante nell’impossibilità dell’Egyptian Radio and Television Union (ERTU) di funzionare in una maniera organica e produttiva. 109 Tuttavia di fronte all’esplodere della sfida satellitare nel corso della prima metà degli anni Novanta, e proprio in nome della storica leadership regionale a livello di audiovisivo, il governo ha dato il via ad una nuova stagione di investimenti collegati al mercato delle parabole con lo scopo, sempre più difficile, di mantenere l’Egitto come faro dei media arabi. È interessante notare come, conformemente al modello che ha sempre governato l’organizzazione dell’ERTU, l’individuazione di nuove priorità non abbia portato ad una riorganizzazione della struttura ma ad un suo allargamento, alla moltiplicazione degli studi, delle redazioni e dei direttori, secondo una logica anti-manageriale che di fatto ha favorito il proliferare di gerarchie, di incarichi doppi e di corruzioni. In ogni caso sono sostanzialmente quattro i progetti interessanti in materia di broacasting satellitare che hanno caratterizzato il decennio 1996-2006: il lancio del bouquet di canali satellitari Nile, il lancio dei due satelliti nazionali Nilesat 101 e 102, la costruzione e l’ampliamento della Egyptian Media Production City e il lancio di canali satellitari semipubblici e privati. Il bouquet Nile è stato inaugurato nel 1998, con l’idea di creare una serie di canali tematici satellitari da proporre in un primo tempo in chiaro e poi attraverso un abbonamento. Il servizio Nile comprende: Nile Sport (un canale sportivo), Nile Culture (un canale dedicato all’intrattenimento culturale), Nile Family (un canale dedicato alle famiglie e ai bambini), Nile News (un canale all news), Nile Variety (un canale dedicato all’intrattenimento leggero). Questi canali hanno tutti un look innovativo, fanno ampio uso di elaborazioni a computer e di studi con ambientazioni hi-tech. Dietro il lancio del bouquet Nile c’era evidentemente l’idea di strizzare l’occhio ad un pubblico di giovani e di cercare in qualche modo di offrire un prodotto competitivo con i canali satellitari panarabi che, sia per quanto riguarda l’intrattenimento (MBC, Orbit, Art), sia per quanto riguarda l’informazione (Al Jazeera), erano nati nella prima metà degli anni Novanta. Con il bouquet Nile dunque l’ERTU si pone un duplice obiettivo: da una parte quello di riportare il pubblico egiziano verso canali nazionali, dall’altro rientrare nella competizione regionale con i nuovi strumenti offerti dalla tecnologia. Entrambi questi obiettivi si sono rivelati piuttosto difficili da raggiungere, considerato che questi nuovi servizi sono inseriti nella labirintica struttura della televisione egiziana e dunque all’interno di un organigramma molto più complesso rispetto a quello che caratterizza i canali panarabi. A mostrare questa difficoltà nel guadagnare un pubblico affezionato, sia a livello nazionale che a livello regionale, c’è il fatto che il buquet Nile è tutt’oggi rimasto in chiaro e che il progetto di offrirlo a pagamento è stato abbandonato. In ogni caso è nell’ambito della realtà Nile che negli ultimi anni si è potuto assistere ad una sperimentazione maggiore, ed è lì che si sta preparando il futuro della televisione egiziana. Per quanto riguarda Nile News in particolare, il servizio sta cercando, soprattutto negli ultimi anni, di mantenere il passo con la concorrenza che viene dall’esterno riducendo il più possibile i servizi da televisione protocollare e incrementando quelli sul campo. Tuttavia la missione non sembra essere semplice, considerate le difficoltà di riconvertire una struttura abituata a modalità operative legate alla “prudenza politica” in una struttura capace giocare con le regole delle breaking news. Contemporaneamente al bouquet Nile, un altro e ancora più ambizioso progetto è stato intrapreso dal governo egiziano, ovvero il lancio di due satelliti nazionali per la trasmissione di canali televisivi: il primo, Nilesat 101, è stato messo in orbita il 28 aprile 1998, il secondo il 110 17 agosto 2000. Si tratta dei primi due satelliti appartenenti ad un organismo pubblico nazionale arabo121 e pertanto è stato presentato dal governo egiziano come l’ennesimo primato del paese in materia di audiovisivi. È ovviamente una considerazione che finge di ignorare come nell’ultimo decennio i primati televisivi che contano non abbiano a che vedere con l’“hardware” quanto piuttosto con il “software”, con i contenuti. Il lancio di due satelliti egiziani, in un momento caratterizzato da una letterale esplosione di canali satellitari, ha rappresentato sicuramente un ottimo affare da un punto di vista economico anche se, per sfruttare la cosa in maniera davvero proficua, sarebbe necessaria una gestione realmente manageriale e non burocratica delle risorse. Sicuramente comunque tale mossa è collegata ad una volontà politica, quella di cercare di riaprire la partita della supremazia regionale in ambito di tecnologia satellitare, supremazia che sembrava essere ormai saldamente in mano saudita: En termes de prestige, il est claire que Nilesat (…)contribuent à redorer le blason du secteur télévisuel égyptien, mais l’enjeu est autant le prestige que procurent ces réalisations que les bénéfices que peut à terme rapporter cet investissement. Par ces actions diverses, l’Etat veut montrer qu’il peut se comporter en véritable entrepreneur, volontaire et désireux d’être compétitif sur la scène télévisuelle régionale en mutation. (Guaaybess 2005, pagg.143-144) Lo stesso Ministro dell’informazione, nel momento in cui veniva lanciato il primo dei due satelliti, affermava (cit in Guayybess 2005, pag.143) : Un pas culturel en avant qui marque l’entrée de l’Egypte dans le XXI siècle avec une grande confiance dans les capacités de ses médias (…) comme un Etat pionnier qui cherche à affirmer son identité arabe Si tratta di una dichiarazione che mostra chiaramente quanto il progetto fosse collegato alla volontà di riposizionamento del paese nel sistema regionale dei media. Un’altra importante novità relativa al broadcasting riguarda la costruzione della Media Production City, una “free zone” edificata nei pressi della Cittadella del 6 Ottobre, nei dintorni del Cairo, poco distante dalle piramidi di Giza. Questa Media City è stata creata sulla base di una legge del febbraio 2000. Le compagnie che operano al suo interno non sono soggette alle leggi applicate al resto dell’Egitto, hanno agevolazioni fiscali e possono usufruire di una serie di servizi a costi ridotti. Si tratta di un’operazione che serve per incentivare l’imprenditoria privata nazionale, ma soprattutto internazionale, ad iniziare attività nel paese senza modificare un sistema di leggi che invece disincentiva assolutamente a lavorare nel paese. Si tratta di un modo per avviare una sorta di liberalizzazione economica senza passare attraverso una liberalizzazione politica del sistema nazionale, una pratica che ha dato vita ad analoghe operazioni in Giordania, Bahrein e a Dubai (dove è stata edificata la media free zone più importante del mondo arabo). La creazione della Media Free Zone ha rappresentato una risposta innanzitutto alle pressioni dei businessman egiziani che ormai da qualche anno ave121 L’altro satellite arabo, Arabsat, è di proprietà di un consorzio di stati arabi e non di un singolo soggetto statale. All’interno di tale consorzio comunque è da sempre l’Arabia Saudita ad avere la posizione di maggiore influenza, in nome degli ingenti capitali investiti nell’operazione fin dal suo lancio negli anni Settanta. 111 vano manifestato un forte interesse, nell’investimento nel mercato dell’audiovisivo, in secondo luogo alla volontà di attirare nel paese le produzioni dei nuovi grandi broadcaster dell’intrattenimento e dell’informazione, infine al desiderio, da parte del governo egiziano, di avviare una liberalizzazione graduale del mercato dei media elettronici senza perdere completamente il controllo sui mass media nazionali. Appena creata l’Egyptian Media Production City (EMPC) assieme all’Egyptian Satellite Company (il gestore dei satelliti NileSat) è riuscita, attraverso il Ministero dell’Informazione, a firmare tre importanti accordi che facevano presagire un successo dell’operazione. Il primo accordo è stato siglato dal Ministro con Al Jazeera e prevedeva la realizzazione di uno studio all’interno di EMPC e la trasmissione di due canali su satellite Nilesat per cinque anni. Il secondo accordo è stato realizzato dalla Lebanese Joint Stock Company e prevedeva l’affitto di uno studio e la trasmissione di un canale specializzato in economia su Nilesat per cinque anni. Il terzo firmato con il businessman egiziano Hany Fathy, presidente della compagnia Tamia, per l’affitto di uno studio e la tramissione di un canale per cinque anni. Sempre nel 2000 un altro contratto è stato siglato tra EMPC e il colosso saudita dell’intrattenimento MBC per la produzione di alcuni programmi in Egitto. Il progetto dunque era partito con tutti buoni auspici, tuttavia nel giro di cinque anni si è trasformato in un fallimento di tali proporzioni che gli stessi uomini del Ministero dell’Informazione hanno dovuto ammettere che andava rilanciato a nuove condizioni. Tra i motivi del fallimento del progetto Ibrahim Saleh e Hussein Amin122, docenti di comunicazioni di massa all’Università Americana del Cairo, individuano sostanzialmente due elementi: il permanere di forme di controllo dei contenuti che avrebbero disincentivato gli operatori stranieri e soprattutto la corruzione dei funzionari egiziani posti alla guida del progetto. Le dimensioni degli illeciti erano talmente grandi che nel dicembre 2005 il Ministro dell’Informazione dell’epoca, Anas Al Fiqi, ha dovuto prima licenziare e poi fare arrestare il presidente dell’Egyptian Media Production City Abdel Rahman Hafez (in precedenza anche a capo dell’ERTU) con l’accusa di avere realizzato una serie di affari sfavorevoli per l’EMPC ma fortemente favorevoli al suo conto in banca. Lo scandalo è stato definito dalla stampa, anche quella governativa, come la peggiore vicenda che abbia riguardato la televisione egiziana. L’istituzione della Media Production City è particolarmente interessante perché ad essa è collegata la vera novità del sistema del broadcasting egiziano introdotta negli ultimi anni, ovvero l’ingresso sul mercato di investitori privati. Il primo passo verso una liberalizzazione del mercato dei media è considerata la Legge N.203 del 1991, nota in letteratura come the Public Enterprises Law (cfr. Saleh 2003): tale legge infatti aveva, a grandi linee, lo scopo di garantire che le imprese pubbliche e quelle private potessero operare alle stesse condizioni. In realtà essa si limitava a definire il principio base necessario ad una liberalizzazione dell’economia ma non determinava una reale privatizzazione. Infatti sei anni dopo, nel 1997, erano state effettivamente realizzate soltanto 24 privatization transactions per un ammontare di 768 milioni di dollari, lasciando di fatto il monopolio statale intatto in quasi tutti i settori, quello dei media compreso (Saleh 2003). 122 Interviste personali realizzate nel novembre 2006 presso l’Università Americana del Cairo. 112 Le cose nel settore dei media cominciano a cambiare effettivamente con l’istituzione della Media Production City, proprio perché all’interno del decreto N.411 del 27 febbraio 2000 che ne regola il funzionamento si pongono anche le condizioni per l’istituzione e il funzionamento di media privati e attività di broadcasting. Secondo quanto riporta Saleh (ibidem), quando venivano ratificati questi provvedimenti, alcuni importanti businessman egiziani, tra cui Neguib Sawiris e Ahmad Bahgat, già da qualche anno avevano presentato richieste di lanciare canali privati e dunque premevano sul regime affinché realizzasse una prima vera liberalizzazione di tale mercato. È importante cercare di capire perché questi businessman siano così interessati al mercato della televisione. I motivi paiono sostanzialmente di tre ordini (non necessariamente tutti e tre comuni a tutti i potenziali investitori): politico, economico/imprenditoriale e legato alla convergenza tecnologica123. L’interesse che nell’ultimo decennio i grandi businessman egiziani hanno manifestato per l’azione politica diretta ha fatto sì che l’ingresso in un settore delicato per le relazioni tra apparato politico e opinione pubblica, come quello delle comunicazioni di massa, sia diventato una mossa cruciale. In quest’ottica le televisioni private non devono necessariamente essere utilizzate per attaccare il regime ma, al contrario, possono (come spesso è stato in questi anni) scegliere di supportarlo in cambio di benefici: un canale televisivo può rappresentare un’arma in più nel bargaining politico ed economico tra regime e mondo dell’imprenditoria. Entrare in un mercato fino ad oggi controllato da un monopolio statale, e dunque con un grosso margine di sperimentazione su impostazioni meno burocratizzate e più dinamiche, lascia intuire possibilità di guadagno, soprattutto attraverso investimenti nell’ambito dell’intrattenimento e della “televisione musicale”124. Inoltre per questi businessman coinvolti in affari di ogni genere possedere una televisione satellitare può essere un modo efficace per pubblicizzare a basso costo i propri prodotti e servizi in tutta la regione. Infine c’è da considerare il fatto che alcuni dei principali businessman egiziani, tra cui soprattutto Neguib Sawiris, hanno già ingenti capitali investiti nella telefonia e nell’informatica (Sawiris controlla Mobinil per la telefonia e Orascom per l’IT). Investire anche nella produzione di contenuti, in un periodo di convergenza teconologica sul digitale, permette loro di diventare triple player, ovvero operatori contemporaneamente nel campo della telefonia, di internet e della TV. Sono queste le uniche figure che secondo quanto sostengono gli economisti avranno in futuro la possibilità di fare reali guadagni nel mercato delle comunicazioni di massa. C’è da dire che in realtà in Egitto come Sawiris c’è solo Sawiris125, il quale ha lanciato la sua televisione satellitare OTv il 30 dicembre 2007, tuttavia ci sono altri Per “convergenza tecnologica” si intende quella fase “in cui il computer si propone come strumento in grado di gestire efficacemente grosse quantità di informazioni in formato digitale; ecco allora che al posto di strumenti basati su tecnologie totalmente diverse (macchina tipografica, televisore, radio, telefono, macchina da presa, proiettore cinematografico, macchina fotografica...) compaiono strumenti certo spesso diversi per funzioni e interfaccia, ma il cui "cuore" è costituito da un microchip e la cui funzione è quella di acquisire, manipolare e distribuire informazione in formato digitale. Ed ecco (convergenza di mercato) che mercati tradizionalmente diversi (editoria, mercato cinematografico, mercato televisivo, mercato della telefonia...) si integrano fra loro e con quella che storicamente è stata la prima forma di mercato di informazione in formato digitale, il mercato del software” (Ciotti, Roncaglia 2000 pag. 348). 124 Si fa riferimento a quelle emittenti la cui maggior parte del palinsesto è dedicata a videoclip. 125 Come è stato detto Neguib Sawiris è anche tra i proprietari del quotidiano indipendente Al Masri Al Youm. 123 113 imprenditori che in misura minore hanno investimenti nei diversi settori della telefonia e dell’IT che hanno già lanciato o sono in attesa di autorizzazione per lanciare canali satellitari. Nell’ambito di questo contesto dal 2000 al 2006 sono nati in Egitto cinque canali satellitari, tra privati e semi-pubblici: Dream Tv, Al Mehwar, Tourist Channel, Melodies e Muzika. Gli ultimi tre sono canali di intrattenimento, Melodies e Muzika in particolare sono pensati per un pubblico giovane e ricalcano il modello del brand globale MTV. Dream Tv e Al Mehwar sono canali che potremmo definire generalisti e che hanno, all’interno della loro programmazione, anche programmi dedicati all’attualità politica. Dream Tv Dream Tv è costituita da due canali, Dream 1 e Dream 2, ed è di proprietà di Ahmad Bahgat, uno dei principali businessman egiziani, un costruttore attivo anche nel campo delle IT; egli è peraltro tra gli investitori che posseggono il quotidiano Al Masri Al Youm. Bahgat ha lanciato, nel settembre 2001, Dream 1, dedicato interamente all’intrattenimento leggero e, in seguito, ha aggiunto al suo carnet un secondo canale che prevede anche diversi talk show e interviste. Lo staff di Dream vede la partecipazione di diversi giornalisti e ha lavorato moltissimo in questi ultimi anni per produrre autonomamente investendo rilevanti risorse per differenziarsi dalla televisione nazionale. Nei primi anni di vita dell’emittente sono stati lanciati talk show e programmi di approfondimento davvero bollenti che hanno rappresentato una grande novità nel panorama televisivo made in Egypt: basti pensare a ‘Ala l’Qahwa (Al Caffè) condotto dal ribelle direttore di Al Dustur Ibrahim Issa, o alla serie di graffianti interventi, affidati niente meno che a Mohamed Hassanein Haikal, dal titolo Al Ustadh (il Professore) o al popolarissimo Ra’is Al Tahrir (Il caporedattore) condotto da Hamdy Kandil, un veterano della televisione egiziana noto per le sue posizioni nazionaliste. Tutti e tre questi programmi sono stati poi, tra il 2003 e il 2004, eliminati dal palinsesto di Dream 2 in seguito a pressioni del regime nei confronti di Bahgat che evidentemente ha preferito non rovinare buoni i rapporti con l’establishment. Nella programmazione di Dream 2 è però rimasto Ashara el Masa’ (Alle dieci di sera) condotto da Mona El Shazly: si tratta di un talk show quotidiano che si occupa dei fatti di attualità del paese, ospita figure dell’opposizione e realizza inchieste e servizi per le strade della capitale e rappresentando di fatto un buon esempio di giornalismo televisivo. L’interesse di Bahgat è quello di raggiungere il maggior numero di pubblico possibile poiché il canale gli serve anche per pubblicizzare i suoi prodotti e le sue attività, per questo motivo è disposto a spendere moltissimi soldi senza necessità di rientro immediato. Lo slogan di Dream è proprio: “Ahlamak ghair Moshaffara” ovvero “I tuoi sogni non sono criptati”. El Mehwar Al Mehwar è stato il primo canale ad ottenere la licenza di trasmettere e ha anch’esso, come Dream, affittato uno studio all’interno della Media Production City. Lanciato con un budget di 250 milioni di L.E., il canale non può essere considerato completamente privato dal momento che parte delle azioni restano sotto il controllo nazionale. Tra i numerosi investitori privati colui che possiede il maggior numero di azioni e che controlla il consiglio di amministrazione è Hassan Rateb, un grande imprenditore dell’edilizia del Sinai arricchitosi 114 con il boom del turismo sul Mar Rosso e che dunque rappresenta l’imprenditoria collegata ad uno dei principali settori che fanno crescere il Pil egiziano. Nel progetto iniziale Al Mehwar avrebbe dovuto avere due canali, il primo dedicato all’intrattenimento e il secondo addirittura specializzato in news. Di fatto è stato fino ad oggi lanciato un solo canale, di impostazione generalista, con un ridotto spazio per l’informazione e qualche programma di approfondimento. Vista la sua natura ibrida tra pubblico e privato Al Mehwar mantiene un rapporto privilegiato con l’ERTU da cui ha prelevato anche buona parte del proprio staff. Questo significa che il know how dell’emittente è fortemente legato a quello della televisione nazionale egiziana e questo indubbiamente la penalizza nel momento in cui si vuole presentare come un’emittente alternativa o comunque innovativa nel panorama della televisione egiziana. Senza contare che la vicinanza con l’ERTU mette a disposizione del canale anche alcune delle produzioni dei canali satellitari nazionali, e questo sta rendendo difficile per l’emittente la costruzione di una propria identità indipendente. Infine il fatto che Rateb, pur essendo un imprenditore edile, non rinunci a far valere la propria visione sulla linea editoriale limita fortemente l’indipendenza dei professionisti impiegati e rappresenta un ulteriore impedimento alla produttività del servizio (cfr. Hamdy 2002). Tutti questi elementi hanno determinato per El Mehwar una serie di problemi nella produzione di programmi di qualità in grado di confrontarsi con l’offerta delle emittenti satellitari panarabe. Tuttavia è innegabile che siano stati realizzati alcuni esperimenti interessanti come il talk show di approfondimento “El Mehwar”, apprezzabile per il suo stile pacato e bilanciato. Nel complesso comunque non si può dire che il canale possa rappresentare un ampliamento delle possibilità di fruizione televisiva rispetto ai canali nazionali egiziani. Anche nel settore del broadcasting audiovisivo dunque nell’ultimo decennio sono state introdotte diverse novità. Alla base di queste trasformazioni c’è una serie di ragioni che hanno a che vedere con le coeve modificazioni del sistema politico ed economico nazionale. Il governo Mubarak ha deciso di intraprendere in maniera ancora più netta la strada della liberalizzazione economica e, allo stesso tempo, la business community ha fatto grosse pressioni per poter entrare nel mercato dei media, dando un primo impulso al creazione broadcasting corporation private. In secondo luogo una nuova generazione di tecnocrati ha iniziato ad occupare posizioni importanti all’interno del Ministero dell’informazione cominciando a porsi il problema della sostenibilità e della produttività della mastodontica macchina delle comunicazioni di massa nazionali rappresentata dall’ERTU. Inoltre il regime ha evidentemente individuato nella prima fase di liberalizzazione di questi anni un modo per sperimentare un sistema abitato da soggetti eterogenei all’interno del quale lo stato potesse ridimensionare il suo ruolo di proprietario diretto di tutti i media elettronici. Infine il desiderio di riconquistare il ruolo storico di leader regionale delle comunicazioni di massa ha determinato la volontà di cercare un confronto con quanto nei primi anni Novanta cominciava ad essere prodotto sul satellite arabo. Tutta questa situazione ha determinato il lancio di alcuni canali privati o semiprivati controllati da businessman con forti interessi nell’orientare a proprio favore il futuro politico nazionale. Questi canali per il momento danno poco spazio alle news mentre hanno realizzato qualche interessante esperimento di talk show dedicato all’attualità politica. Si tratta di 115 programmi capaci di ospitare anche figure dell’opposizione, il tutto comunque senza superare le red lines più sensibili. Nell’ambito della televisione statale, i nuovi canali satellitari rappresentano un chiaro sforzo nel ripensamento della struttura degli spazi dedicati all’informazione. Questi tentativi, dovuti anche al confronto con le nuove all news panarabe, si sono tradotti nella riorganizzazione dei servizi news e nel lancio di una all news egiziana, NileNews, nella cui struttura sono stati assunti giovani laureati in giornalismo televisivo presso l’American University del Cairo. Anche sulle televisioni controllate dal governo sono stati inaugurati, negli ultimi anni, alcuni programmi di attualità che hanno riscosso un ottimo successo tra il pubblico egiziano. È il caso di “El Beit Beitak” (Questa casa è casa tua), programma trasmesso sia sul Canale 1 della televisione terrestre sia sullo storico canale satellitare nazionale ESC. Le discussioni che animano le puntate di “El Beit Beitak” spaziano dall’alimentazione alla politica, ai problemi dell’inflazione fino a quelli della violenza nelle strade, adottando un taglio dinamico e non monocolore. Il programma rappresenta sicuramente una novità nel panorama della televisione egiziana e testimonia come essa si trovi in una fase di trasformazione. Si tratta dunque di una situazione difficoltosa, ostacolata da ragioni strutturali e congiunturali ma comunque non immobile. È all’interno di tale contesto e di tali mutamenti che i giornalisti egiziani hanno quotidianamente continuato a negoziare le pratiche e i valori della propria cultura professionale. È dunque anche a partire da questi elementi che è possibile valutare correttamente in che misura la relazione reale e simbolica con il lavoro di Al Jazeera e Al Arabiya si sia inserita all’interno delle dinamiche di tale negoziazione, influenzandola e dunque “ibridizzandola”. 116 Il sistema regionale dell’informazione. Progetti, soggetti, strategie e nuovi equilibri Moltissimo è stato scritto negli ultimi anni sulla ridefinizione dello spazio dell’informazione satellitare in lingua araba incominciata a metà degli anni Novanta e sui molteplici effetti che essa ha avuto a livello regionale e internazionale (Sakr 2001, NawawyIskandar 2002, Saleh 2003, Guaaybess 2005, Zayani 2005, Valeriani 2005, Miles 2005, Della Ratta 2005, Sakr 2007; solo per citare alcuni dei numerosi lavori a riguardo). Questa letteratura ha anche ricostruito in maniera decisamente esaustiva il “fenomeno Al Jazeera” sotto ogni punto di vista. Proprio perché questo vuole essere uno studio che intende analizzare gli effetti della “rivoluzione Al Jazeera” sul giornalismo nel mondo arabo, il suo scopo è andare “oltre la rivoluzione” e di vedere se e come essa abbia trasformato i sistemi nazionali dell’informazione nel mondo arabo. 117 È tuttavia opportuno dedicare questo capitolo ad una breve ricostruzione del contesto all’interno del quale l’informazione satellitare panaraba si è sviluppata e ad una presentazione dei due principali progetti editoriali sviluppatisi negli ultimi dieci anni: Al Jazeera e Al Arabiya. Si tratta dunque (Figura N. 7) di analizzare i livelli “transnazionale” e “intermedio” del sistema ibrido di negoziazione che coinvolge Egitto e spazio dei media panarabi. 5.1 Storia politica dell’broadcasting regionale: l’informazione satellitare A partire dal crollo dell’impero ottomano sono stati due i modelli teorici dietro cui si sono nascoste le mire espansionistiche degli stati mediorientali: la grande Nazione panaraba e la grande Ummah panislamica. Entrambi modelli a vocazione transnazionale hanno influenzato l’esperienza delle comunicazioni di massa all’interno della regione. Queste due teorizzazioni, una laica, il Panarabismo, e una religiosa, il Panislamismo, sono prevalentemente considerate dagli storici come la chimera in nome della quale gli stati più importanti hanno cercato di imporsi come guida assoluta in momenti diversi della storia del ventesimo secolo. L’Egitto di Nasser e di Sadat avrebbe voluto vedersi a capo della grande nazione panaraba così come l’Arabia Saudita, in tempi più recenti, avrebbe voluto guidare la grande Ummah di tutti gli Islamici. In realtà una vera unità, anche soltanto come comunità di intenti, non è mai stata raggiunta, al contrario rivalità e inimicizie hanno sempre prevalso tra i governi. Anche nel campo degli audiovisivi questa rivalità tra l’Egitto, colosso della produzione audiovisiva, e l’Arabia Saudita che, grazie ai petroldollari, poteva permettersi di spendere grandi capitali in tecnologie e in operazioni finanziarie in perdita, ha avuto, a partire dagli anni Sessanta, un terreno di confronto. L’idea di creare uno spazio regionale di circolazione di prodotti audiovisivi ha rappresentato, per i paesi in grado di realizzare un volume e una tipologia di programmi che trascendesse il proprio mercato nazionale, una grande possibilità di estendere un’egemonia simbolica in tutto il mondo arabo e questo, ovviamente, grazie alla “benedizione” della lingua comune, l’arabo. In questo senso, fin da quando le tecnologie lo hanno reso possibile, i governi arabi hanno guardato con interesse all’idea dello sviluppo di uno spazio transnanzionale di circolazione dei prodotti mediali. I paesi della Lega Araba hanno lavorato fino dalla metà degli anni Cinquanta alla costituzione di un’organizzazione regionale che si occupasse di broadcast e, già nel 1965, la quasi totalità degli stati membri della Lega aveva ratificato la costituzione dell’ASBU (Arab States Broadcast Union): “un’agenzia specializzata nel coordinare gli sforzi in materia radiotelevisiva e ad addestrare il personale” (Boyd, cit. in Della Ratta, 1999, pag. 33). La volontà da parte dei paesi arabi di costituire un sistema audiovisivo comune accrebbe notevolmente dopo la sconfitta della Guerra dei Sei Giorni contro Israele: l’episodio aveva infatti rappresentato un forte trauma per le opinioni pubbliche arabe e si sentiva la necessità di trovare un’interpretazione comune a quella nuova “catastrofe”126. In quello stesso anno infatti, il 1967, fu organizzato un incontro del Consiglio dei Ministri Arabi per 126 “Nakba” ovvero catastrofe è stata definita la sconfitta degli eserciti arabi nella prima guerra arabo-israeliana, quella del 1948. 118 progettare una strategia unitaria in materia di informazione: il Consiglio considerò, per la prima volta, la possibilità di utilizzare la tecnologia satellitare per controbilanciare il flusso d’informazione proveniente dai paesi non arabi. Nel 1970 tre satelliti del sistema ARABSAT furono costruiti attraverso ASBU e messi in orbita dalla francese Aerospatiale. Il progetto costò 470 milioni di dollari per i quali l’Arabia Sudita si offrì come maggior investitore, mantenendo dunque un’influenza decisiva sul progetto. Fino alla fine degli anni Ottanta ARABSAT rimase comunque sottoutilizzato per motivi tecnici, economici e politici (Guaaybess 2005). È importante notare la contraddizione fondamentale che caratterizzava in questa stagione il rapporto dei governi arabi con l’idea di uno spazio regionale di circolazione di contenuti audiovisivi: se infatti chi aveva la possibilità di farlo era estremamente interessato all’ “esportazione”, nessuno vedeva di buon grado l’idea di “importare” audiovisivi, soprattutto per quanto riguarda prodotti legati all’attualità politica e all’informazione. I regimi autoritari che caratterizzavano tutti i paesi arabi erano estremamente gelosi del controllo sul sistema dell’informazione che esercitavano all’interno del territorio nazionale e temevano che aprire le porte a programmi informativi prodotti altrove significasse rischiare di fare entrare propaganda destabilizzante per il proprio regime. All’interno di tale contesto tecnologico infatti i Ministeri dell’informazione potevano ancora esercitare un controllo assoluto sulle scelte di ritrasmissione dei programmi provenienti dall’estero. In ogni caso il livello di queste produzioni era estremamente basso, proprio perché i Ministeri dell’informazione di tutto il mondo arabo avevano una visione delle notizie estremamente propagandistica o comunque legata ai protocolli ufficiali (Valeriani 2005). Quello che qui interessa particolarmente evidenziare è il sostanziale fallimento del progetto regionale da un punto di vista di condivisione delle news. Nel 1973 venne ufficialmente inaugurato un sistema di scambio basato sulla registrazione delle notizie locali su videocassette e sulla successiva distribuzione alle emittenti degli altri paesi dell’area. Già nel 1975 tuttavia, il rapporto riguardo alla situazione di questo sistema denunciò un sostanziale fallimento dello scambio informativo: le notizie erano vecchie e protocollari. Le innovazioni tecnologiche portarono, nel 1978, alla nascita di Arabvision, sistema di condivisione delle notizie sulla base delle reti di comunicazione spaziale. Se da un punto di vista tecnico quest’innovazione fu un notevole passo avanti, non fu così da un punto di vista qualitativo: la difficoltà di proporre un’informazione sulla base di valori arabi si accompagnò a profonda diffidenza e paura, da parte dei governi, nei confronti della circolazione di notizie. Bisogna sottolineare inoltre un altro elemento importante, ovvero che tra il 1979 e il 1989, in seguito alla pace separata firmata da Sadat a Camp David, l’Egitto, il principale produttore ed esportatore di prodotti audiovisivi era escluso da qualsiasi organizzazione interaraba, ARABSAT compresa, per avere “tradito la causa palestinese”. Questo ha privato per un decennio ARABSAT dei prodotti egiziani e, allo stesso tempo, ha agevolato i concorrenti dell’Egitto, in primis l’Arabia Saudita, nella costruzione di una nuova egemonia audiovisiva regionale (Boyd 1999). È infatti di questo periodo l’inizio della sfida saudita alla leadership egiziana nel campo della produzione massmediatica araba. Il paese dei Faraoni aveva impostato tutta la produzione radiotelevisiva sulla propria gloriosa storia e aveva incitato al panarabismo in nome dell’arabicità incarnata nella popolazione egiziana; il paese degli Ulama invece, non potendo contare su una storia altrettanto gloriosa ma ospitando i principali luoghi sacri 119 dell’Islam, si rivolse all’esterno richiamandosi alla comunità ideale di tutti i musulmani, la grande Umma Islamica. Con gli ingenti proventi della vendita del petrolio l’Arabia Saudita si lanciò, soprattutto dopo le innovazioni satellitari, alla conquista dei televisori di tutti gli arabi, compresi i cosiddetti “fratelli della diaspora” ovvero i milioni di immigrati nel mondo occidentale. La proposta televisiva saudita di questo periodo era quella di programmi attentissimi alla morale islamica e adatti alla famiglia mentre le news erano trattate quasi con imbarazzo e nella consapevolezza che nessuna notizia dovesse arrecare danno ai “paesi fratelli”. In ogni caso, fino all’inizio degli anni Novanta, l’ostacolo maggiore alla creazione di un reale sistema audiovisivo regionale fu l’incapacità degli stati arabi di scambiarsi alcune tipologie di programma, soprattutto le notizie. Un’analisi dei contenuti127, realizzata tra il 1985 e il 1986, mostra come i programmi dedicati a temi concernenti lo sviluppo delle nazioni arabe fossero una parte minima, mentre l’intrattenimento occupava circa due terzi del volume globale dei programmi scambiati. Una prima scossa a questa situazione arrivò dall’esterno, all’inizio del decennio ’90, ovvero quando cominciavano a diffondersi le parabole ad uso domestico (sistema DTH), e fu determinata da un soggetto non arabo, la CNN. Con la crisi Kuwait-Iraq la regione fu attraversata da una nuova guerra e il pubblico, alla ricerca disperata di notizie, poté rendersi conto l’inconsistenza in termini di qualità delle notizie in lingua araba. La Guerra del Golfo del 1991 fu, per i leaders arabi, causa di una doccia davvero fredda: il trionfo indiscusso di CNN come cronista unico degli avvenimenti nella regione, e soprattutto il successo massiccio tra le popolazioni locali, mostrò la clamorosa impreparazione mediorientale alla sfida dell’informazione globale: la gente guardava CNN e faceva confronti con i notiziari a cui era stata abituata. I leader arabi ebbero duro gioco nel presentarsi alle popolazioni come soggetti chiave impegnati nella risoluzione della crisi, mentre i mass media nazionali vennero –da chi aveva la possibilità di veder e capire CNN- di fatto ignorati durante tutto il conflitto. I governi reagirono in modi diversi, in generale comunque la possibilità di ricezione diretta dei canali satellitari spaventò moltissimo e un po’in tutti i paesi dell’area del Golfo vennero emanati i cosiddetti dish ban, provvedimenti che vietavano l’istallazione delle parabole nelle abitazioni private (Valeriani 2005). La potenzialità globale della tecnologia satellitare si era comunque mostrata e l’Arabia Saudita si lanciò alla conquista di questo mercato. Tra il 1991 e il 1994 furono inaugurati tre canali satellitari: MBC, Orbit, e Art, tutti di proprietà di persone vicine alla famiglia reale saudita, e tutti e tre con sede in Europa. Tale trasferimento in ambito europeo fu dovuto alla volontà di smussare la contraddizione rispetto al dish ban attuato in patria, nonché al tentativo di sfuggire al controllo degli Ulama128. Bisogna dire che questi canali, lanciati da businessman navigati, avevano una vocazione realmente commerciale e dunque erano vincolati dalla volontà di ottenere profitti, e questa era già una novità nel panorama televisivo arabo. MBC, che trasmette dal 1991, è il primo canale satellitare arabo ad aver prestato un’attenzione seria alle news; la sede centrale era a Londra ma, dal 2002, è stata spostata per ragioni prevalentemente economiche nella Media City di Dubai. È questo canale il primo a 127 128 Citata in Valeriani 2005. Le autorità religiose che esercitano un potere determinante nella politica interna ed internazionale saudita. 120 guadagnarsi l’appellativo di CNN del mondo arabo. MBC infatti, che negli anni è diventato un colosso dell’intrattenimento, soprattutto al momento del lancio aveva scelto di dare uno spazio rilevante all’informazione, aprendo uffici nei punti nevralgici del mondo arabo e inserendo nel palinsesto diversi bollettini di news. Questo iniziale investimento nell’informazione è stato poi ridimensionato piuttosto rapidamente per due motivi, il primo è legato al fatto che gli investitori pretendevano di controllare tutto il processo di newsmaking; il secondo è invece legato al fatto che il pubblico regionale, di fronte all’eccessiva centralità che i newscast di MBC affidavano alle vicende e alla prospettiva saudita, dopo una prima fase, ha perso interesse (Kennedy 1993). Comunque i canali di MBC, che negli anni si sono moltiplicati, continuano ad offrire al loro pubblico uno spazio di informazione. Orbit iniziò le trasmissioni da Roma dal 1994 (dal 2000 la sede centrale è nella Media Free Zone di Manama in Bahrain) e impostò la sua linea editoriale sulle partnership con i grandi colossi occidentali, come Disney e ESPN. Sul fronte dell’informazione la storia di Orbit è in qualche modo collegata a quella di Al Jazeera. È infatti del 1996 la nascita e l’immediata rottura di un accordo con il BBC Arabic Service per la creazione di un canale di news; i professionisti coinvolti nell’operazione, subito naufragata a causa della forte limitazione imposta dalla proprietà alla libertà editoriale, confluiranno quasi tutti nel team di Al Jazeera. Da allora Orbit ha preferito abbandonare le news per concentrarsi sul meno rischioso e più proficuo intrattenimento. Art, lanciato nel 1994, trasmette da Avezzano, in Italia, ma la quasi totalità dei suoi programmi viene preparata e postprodotta in Egitto nella Egyptian Media Production City. La proposta di Art è fatta da pacchetti differenti con alcuni canali in chiaro ed altri per i quali è previsto un abbonamento. L’emittente ha scelto di non trasmettere in alcun modo news, in modo da tenersi al riparo da problemi con le autorità e critiche delle audience. Nel frattempo anche l’Egitto trasmetteva, già dal 1990, il suo messaggio nello spazio con l’Egyptian Space Channel la cui proposta è pensata soprattutto per gli Egiziani della diaspora. Durante la Guerra del Golfo del 1991, in ogni caso, il canale ha rappresentato per il pubblico arabo una terza alternativa tra l’informazione occidentale di CNN e quella di regime dei canali iracheni controllati da Saddam, e per questo ha giocato un ruolo politico di primo piano (Della Ratta, 1999). Anche per quanto riguarda l’intrattenimento sono emersi, negli ultimi anni, tipologie di programmi drasticamente diverse rispetto al passato: le proposte delle televisioni commerciali occidentali influenzano sempre più le programmazioni dei canali arabi alla continua ricerca di introiti pubblicitari. La concezione e la realizzazione dei programmi non è dunque totalmente chiusa ad influenze estere, non deve quindi sorprendere il successo di format come Who wants to be millionaire il cui concept è stato comprato da MBC, Egyptian Space Channel e Future TV129. Fino alla metà degli anni Novanta dunque la sfida satellitare avveniva tra giganti: Arabia Saudita versus Egitto, con la prima agevolata dalla enorme capacità finanziaria e il secondo dall’esperienza in materia di audiovisivo. Anche per i nuovi canali nati dopo il confronto con CNN, le news restavano un argomento imbarazzante e difficile da gestire. I canali “privati” 129 Canale satellitare libanese di proprietà della famiglia Hariri. 121 sauditi preferivano tenersene alla larga, preoccupati delle conseguenze che poteva avere per i loro finanziatori sostenere un’operazione che trattasse le vicende regionali a partire dal loro reale valore notizia. L’Egyptian Space Channel invece ritrasmetteva i servizi news delle televisioni terrestri egiziane, senza che sostanziali investimenti fossero fatti nella direzione della realizzazione di un servizio news realmente regionale. Nessun progetto di ristrutturazione dei modelli di giornalismo televisivo era dunque stato ancora concepito; Egitto e Arabia Saudita si contendevano il primato di broadcaster arabo per eccellenza contando sul bassissimo livello delle televisioni terrestri degli altri paesi arabi. Questi due giganti dunque continuavano a ritenere che un controllo ferreo sulla linea editoriale dei propri canali fosse necessario per poter avere un tornaconto politico a livello regionale dagli investimenti in materia di televisione satellitare. Le audience arabe erano, a metà degli anni Novanta, alla ricerca di un canale d’informazione che potesse reggere il confronto con l’informazione occidentale con la quale avevano preso familiarità, ma che allo stesso tempo ponesse il mondo arabo al centro della sua programmazione. In altre parole si aspettava una vera CNN araba. 5.2 La svolta del 1996: L’emiro del Qatar lancia Al Jazeera Se l’industria dei news media in lingua araba era, fino agli anni Novanta, monopolio dei grandi della politica regionale, cosa spinge l’emiro del Qatar, una piccola lingua di sabbia nel Golfo Persico abitata da 700,000 abitanti -di cui soltanto 150,000 sono di nazionalità Qataria investire 140 milioni di dollari130 nel lancio di Al Jazeera, la prima emittente all news del mondo arabo? Le cause vanno cercate soprattutto nelle relazioni tra il piccolo emirato, i “vicini di casa” e gli Stati Uniti. Dal momento in cui ha raggiunto l’indipendenza, nel 1971, fino agli inizi degli anni Novanta il Qatar ha tenuto un comportamento tendenzialmente low profile nei confronti degli affari regionali. La politica estera di Doha, sotto la reggenza di Sheikh Khalifa, padre dell’attuale emiro, si era limitata alla gestione dell’annosa rivalità con la casa regnate del Bahrein inasprita dalla contesa per il controllo delle isole di Hawar e Fashat al Dibel, ma sostanzialmente si era mantenuta nell’anonimato. Una forte preoccupazione tuttavia turbava il cielo dell’emirato: l’ingombrante vicinanza saudita. L’Arabia Saudita è infatti il solo paese confinante con il Qatar e i rapporti non sono idilliaci; affrontare il potente “fratello maggiore” era tuttavia considerata un’impresa difficilmente affrontabile (De Lage 2005). Per un paese così piccolo e poco importante negli equilibri regionali, confinare con un unico stato potente come l’Arabia Saudita alimentava, in una regione turbolenta come quella Mediorientale, da una parte la paura di un’inglobazione, dall’altra un forte senso di competizione. Tra il 1990 e il 1995 alcuni episodi cruciali ridefiniscono le priorità del Qatar in politica estera e soprattutto le sue ambizioni. Con l’invasione del Kuwait da parte di Saddam, la necessità da parte dei paesi del Golfo di prendere decisioni comuni rappresenta l’occasione per rispolverare vecchie dispute e per crearne di nuove. L’annosa disputa con il Bahrein tiene 130 Più altri 50 milioni ogni anno. 122 banco nel summit di Doha nel dicembre 1990, anche in conseguenza del fatto che i territori contesi acquisiscono sempre maggiore importanza geopolitica. Le copiosissime riserve di gas grazie alle quali il Qatar, con il sempre più problematico andamento del mercato del petrolio, sta per diventare uno dei più contesi partner globali nella corsa agli approvvigionamenti energetici si trovano infatti prevalentemente off shore e interessano anche gli isolotti disputati. I rapporti con l’Arabia Saudita subiscono poi un ulteriore peggioramento: la volontà di dispiegare truppe saudite in territorio qatarense trova le resistenze di Doha e nella striscia di terra controllata da Riyadh al confine tra Qatar e EAU la situazione si fa sempre più tesa, fino ad arrivare all’uccisione di due soldati sauditi sul posto di frontiera di Khafous nel settembre 1992 (Da Lage, ibidem). Da quel momento in poi appare chiaro che il “fratello minore” ha preso la coraggiosa decisione di sfidare il maggiore e di fare di questo contrasto la cifra della propria politica estera. In questo senso può essere visto il rapporto privilegiato instaurato con Theran che, attraverso un contratto di condivisione degli impianti, consente di sfruttare al meglio le risorse di gas nel mezzo del Golfo Persico e, allo stesso tempo, rappresenta un ottimo modo per infastidire gli Al Saud flirtando con il gigante sciita. Subito dopo la conclusione della guerra del Golfo vengono poi ripristinati i rapporti con l’Iraq e vengono rimandati ambasciatori a Baghdad con una mossa che infastidisce notevolmente i palazzi di Riyadh. Il golpe bianco che porta al potere il giovane Sheikh Hamad nel 1995 non rappresenta un momento di rottura con una politica estera di questo tipo: infastidire l’Arabia Saudita sembra essere una missione che padre e figlio si tramandano. Il nuovo emiro vuole fare ancora di più e si mostra risoluto nel voler “rubare la fidanzata”, ovvero gli Stati Uniti, ai sauditi. Questa missione, che avrà coronamento definitivo soltanto nel 2003, inizia con tutti gli auspici migliori dal momento che gli Usa sono il primo paese a riconoscere il nuovo emiro dopo il golpe. Le priorità del giovane Al Thani nei primi anni del suo regno sono dunque chiare: sfruttare a pieno le potenzialità delle riserve di gas naturale, obbligare gli uomini forti del Medioriente a considerare il piccolo stato un soggetto alla pari nella politica regionale e infastidire i prepotenti vicini del golfo: l’odiato Bahrein, il Kuwait e soprattutto l’Arabia Saudita. Per aggiudicarsi questi obiettivi il nuovo emiro si è mosso su molteplici piani mostrando un approccio estremamente innovativo alla politica internazionale. L’idea di Hamad bin Khalifa Al Thani era quella di promuovere il suo paese sotto tutti i punti di vista possibili cercando di creare attenzione regionale attorno alle vicende che lo riguardavano e facendolo dunque “comparire finalmente sulle carte geografiche della politica internazionale”. In questo progetto l’informazione satellitare avrebbe giocato un ruolo centrale. Quello che è stato subito chiaro a Sheikh Hamad è stata infatti l’impossibilità di sfidare gli altri stati della regione utilizzando risorse di potere “hard”131: certo l’esercito di Doha non intimidiva nessuno. Ma anche un “uomo piccolo” può disporsi in modo da creare un ombra 131 Si vuole fare qui riferimento alla bipartizione del potere nello scacchiere della politica internazionale in “hard power” e “soft power” propostoain diversi pubblicazioni da Joseph S. Nye Jr. Il testo più recente di Nye sull’argomento tradotto in italiano è Soft power, Einaudi, Torino (2005). L’idea proposta da Nye è quella che un soggetto possa acquisire potere in ambito internazionale attraverso la coercizione, ovvero l’uso degli eserciti e delle pressioni economiche ma anche attraverso l’attrazione e la costruzione di un’immagine positiva e accattivante di sé presso le opinioni pubbliche internazionali. 123 grande, tale da spaventare i giganti, e così l’emiro del Qatar ha fatto: ha creato un’ombra, Al Jazeera, che riesce a farlo apparire grande in tutta la regione. L’intelligenza politica del giovane monarca assoluto è stata quella di cogliere, nella totale mancanza di qualità dell’informazione regionale, il punto focale su cui impostare la sua “rivoluzione”. In un sistema dei media satellitari dominato dai giganti sauditi ed egiziani e dalle loro agende politiche l’unico modo per sbaragliare il mercato, acquisire potere presso le opinioni pubbliche regionali e tenere in scacco gli altri governi era quello di creare un’emittente all news con elevati standard di qualità e libertà (Sakr 2001, Nawawy-Iskandar 2002, Guaaybess 2005, Zayani 2005, Valeriani 2005, Miles 2005, Della Ratta 2005, Sakr 2007). Così, nel 1996, nasce Al Jazeera, raccogliendo i migliori professionisti della regione dopo il fallimento dell’accordo tra il colosso Saudita Orbit e il BBC Arabic Service. Al Jazeera, a partire dal suo piccolo quartier generale costruito nel deserto appena fuori la capitale del Qatar, irrompe nello spazio satellitare con programmi di qualità, uffici di corrispondenza in tutto il mondo e immagini live delle principali vicende regionali. Con il lancio di questa emittente l’informazione in lingua araba fa un passo da gigante rompendo i meccanismi della censura e procurando non pochi grattacapi ai “tiranni” della regione che iniziano a subissare il Qatar di proteste ufficiali e tentano in tutti i modi di ostacolare il lavoro dell’emittente, aumentandone in questo modo ancora di più l’appeal e la credibilità agli occhi delle audiences. Le coperture dal “campo”, le breaking news, i reportage realizzati con la professionalità che i giornalisti avevano acquisito in BBC impressionano fortemente il pubblico arabo (cfr. Lynch 2005). All’interno dei numerosi talk show di approfondimento, la presentazione di posizioni contrapposte infiamma da subito le audience che possono assistere per la prima volta a dibattiti reali e non rigidamente controllati: nazionalisti, liberal, islamisti e socialisti, tutte le anime del pensiero politico arabo messe a tacere dai diversi regimi trovano in Al Jazeera una tribuna di discussione. È importante cogliere come dietro all’attitudine marcatamente “nazionalista”132 di alcuni degli anchor e quella marcatamente “islamista” di altri ci fosse il desiderio di creare tribune credibili per queste due ideologie, in grado di mettere in discussione l’operato sia di quei regimi arabi che hanno costruito la loro legittimità in nome del nazionalismo arabo (l’Egitto soprattutto, altro “nemico” ingombrante del Qatar), sia di quelli che invece hanno basato tale legittimità sulla propria difesa dei valori dell’islam (Arabia Saudita in particolare). In altre parole quello che ha fatto Sheikh Hamad è stato capire che era possibile servirsi del medium televisivo come strumento diplomatico non tanto controllandone rigidamente la linea editoriale ma facendosi “mecenate” della sua libertà editoriale. Questo poteva farlo solo un piccolo stato quasi insignificante sulla scena regionale. Per il Qatar infatti, soprattutto a metà degli anni Novanta, non era importante indicare una linea precisa ai giornalisti di Al Jazeera ma, al contrario, risultava produttivo lasciarli liberi di “attaccare” tutti i governi della regione mettendo in evidenza le contraddizioni, le corruzioni e le prevaricazioni nei confronti dei cittadini. 132 Nel senso arabo del termine, ovvero come quel “panarabismo laico” di cui abbiamo visto Nasser essere stato uno dei padri. 124 Il canale in questo modo ha effettivamente permesso al piccolo emirato di accrescere il suo potere sullo scacchiere regionale e globale: Al Jazeera è il Qatar, questo lo sanno tutti nella regione e ciò implica una certa attenzione nelle relazioni con il piccolo emirato. Nei rapporti con gli Usa poi, almeno fino all’undici settembre, Al Jazeera era considerata una carta univocamente positiva: la creazione di un medium “libero” nella regione era ben vista da Washington che vedeva di buon grado anche lo spazio che l’emittente dava agli officials israeliani, rompendo un tabù assai ben radicato tra i media arabi. Con l’inizio di Enduring Freedom, la trasmissione dei video di Osama bin Laden, e soprattutto la copertura dell’attacco all’Afghanistan dei Taliban, nel corso del quale Al Jazeera ha insistito molto sui “danni collaterali” dei bombardamenti Usa e ha declinato il populismo della sua linea in un marcato “antiamericanismo”, l’attitudine della Casa Bianca nei confronti dell’emittente si è modificata radicalmente. Al di là delle numerose proteste che formalmente arrivavano dal Pentagono comunque il Qatar si mostrava un alleato troppo prezioso per interrompere i rapporti sempre più stretti in un momento in cui si preparava la guerra all’Iraq. Il gioco era dunque riuscito: il giovane emiro aveva condotto un’attenta politica estera che lo aveva portato a una partnership strettissima con gli Stati Uniti, aveva potenziato lo sfruttamento delle risorse di gas naturale ma allo stesso tempo, grazie a un intelligentissima operazione da “editore illuminato”, aveva creato uno strumento importantissimo. Un canale che con la sua linea spregiudicata lo metteva al riparo da accuse di filo-americanismo e “tradimento” agli occhi delle popolazioni arabe e costringeva tutti gli attori regionali a non trascurare le posizioni politiche di Doha, casa madre dell’ enfant terible dei media arabi. Questa centralità politica del piccolo emirato del Golfo si è rafforzata con la guerra in Iraq cominciata nel marzo 2003. La guerra all’Iraq di Saddam Hussein infatti ha notevolmente trasformato gli equilibri regionali e anche il Qatar si trova ora in una posizione molto più complessa. Le basi Usa di Al Udeid e As Sayliyah, situate in territorio qatarino, sono oggi le più importanti per collocazione e per quantità di truppe nella regione, mentre le basi in Arabia Saudita sono state praticamente smantellate. La guerra è stata preparata e combattuta dalla coalizione guidata dagli Usa prevalentemente da queste basi mentre allo stesso tempo Doha si è proposto come il mediatore delle posizioni dei paesi dell’OCI, l’organizzazione dei paesi islamici, anche in conseguenza dei buoni rapporti con l’Iraq di Saddam. Tuttavia giocare in serie A nella politica regionale è più difficile che essere promossi alla massima serie, anche perché l’agenda politica del Qatar si è fatta, a partire dall’inizio del nuovo millenio, più complessa. Innanzi tutto appare chiaro come negli ultimi anni la priorità politica di Doha sia quella di tutelare il legame privilegiato con gli Usa, elemento che ha effettivamente rappresentato la chiave di volta nel processo che ha portato il Qatar dall’anonimato alla centralità negli equilibri del Golfo. Per cementare questo rapporto l’emiro ha deciso di creare nel suo paese quel modello di paese arabo-islamico democratico tanto desiderato da Washington. La cosa interessante in tutto ciò è che mentre le concessioni democratiche di Hamad bin Khalifa Al Thani non sono così differenti da quelle adottate negli ultimi anni dalla maggior parte degli stati del Golfo133, il lavoro che è stato fatto sull’immagine dell’emirato Se il Qatar ha indetto elezioni amministrative e nel 2003 ha promulgato una costituzione, Arabia Saudita, Kuwait e Bahrein si sono tutti confrontati negli ultimi anni con « esperimenti elettorali ». 133 125 come centro della diffusione di una « cultura democratica nella regione » non ha confronti. In questo senso può essere letta l’organizzazione di una serie di main events annuali come il Free Trade and Democracy Forum, il Dialogue between religions e l’Al Jazeera World Forum che hanno lo scopo di radunare a Doha giornalisti, elites politiche, culturali e religiose da tutto il mondo per ragionare attorno a questioni relative soprattutto allo sviluppo in senso democratico della regione. Al Jazeera poi, a partire dal 2003, ha inziato poi a gemmare un sempre maggior numero di canali minori collegati a quello che ormai è un brand blasonato: un canale sportivo, un canale dedicato ai documentari, un canale dedicato all’intrattenimento per bambini e infine un canale in inglese. Questi paiono tutti prodotti creati per accrescere l’immagine del piccolo stato come di un promotore della cultura a livello regionale, oggi più impegnato in una fase di mantenimento che di rottura134. 5.3 Il boom dell’informazione satellitare in arabo dopo il lancio di Al Jazeera I giornalisti di Al Jazeera sostengono, dando sfoggio di grande orgoglio, che il più grande successo ottenuto non stia nella qualità dei programmi da loro messi in onda ma nei nuovi standard di competizione che hanno introdotto. Il successo di pubblico ottenuto dall’emittente ha scosso il mondo della produzione televisiva araba ponendo nuovi interrogativi e lanciando nuove sfide. Soprattutto i governi nazionali hanno visto nell’attitude aggressiva di Al Jazeera e nel suo approccio all’informazione per nulla rispettoso dei protocolli di regime una minaccia al proprio rapporto con le opinioni pubbliche e pertanto sono stati spinti a reagire a questa sfida. Le risposte non sono ovviamente andate tutte nella stessa direzione: qualcuno ha chiuso gli uffici di Al Jazeera nel proprio paese, qualcuno ha cercato di “rinnovare” le proprie televisioni nazionali e qualcun altro ha finanziato il lancio di canali satellitari alternativi. Queste risposte sono state complicate da due elementi: il primo è collegato al fatto che in realtà la maggior parte dei governi arabi non hanno dimostrato una reale intenzione di eliminare il controllo dal contenuto dell’informazione televisiva e hanno prevalentemente autorizzato restyling formali per rendere più accattivanti i programmi, senza dare il via a reali trasformazioni di contenuto. Il secondo elemento riguarda il fatto che pochi professionisti nel mondo arabo avevano (e hanno), soprattutto all’interno delle aziende televisive nazionali, il know how di quelli impiegati (e profumatamente stipendiati) da Al Jazeera. Comunque, che siano finanziate da gruppi privati oppure che traggano la maggior parte delle proprie risorse da un supporto governativo, nel decennio 1996-2006 sono sorte numerose coinquiline di Al Jazeera sul satellite arabo, molte delle quali cercano, in maniera eviden134 Il lancio di Al Jazeera international, canale all news in lingua inglese, a lungo rimandato e realizzato nel novembre 2006 e dunque al termine del periodo preso in considerazione da questo studio rappresenta a nostro avviso l’acme di questo processo. Il suo scopo principale, al di là delle dichiarazioni ufficiali sembra più che altro quello di offrire un prodotto di alta qualità, alternativa al monopolio Usa, che possa creare confidenza tra il brand Al Jazeera e il pubblico anglofono, in modo da ridimensionare la percezione di Al Jazeera come « emittente canaglia » e che da questo possa trarne vantaggio anche l’immagine del Qatar tra il pubblico occidentale “liberal”. 126 te, di misurarsi con gli standard dell’emittente del Qatar. Bisogna sempre tenere presente che, anche quando si parla di gruppi privati di finanziamento, non si fa riferimento ad “editori puri” che, con piccole eccezioni, non hanno ancora avuto modo di operare nel mercato arabo dell’informazione, ma a soggetti che nutrono legami stretti con gruppi politici o governi. Consideriamo ad esempio LBC International (LBCI), canale satellitare creato nel 1996 all’interno della Lebanese Broadcasting Company (LBC), corporation controllata da influenti personalità della Comunità cristiano-maronita libanese. L’emittente è nata con una vocazione piuttosto netta per l’intrattenimento: film arabi e occidentali, varietà e video clip, ma fin dall’inizio ha dato spazio anche all’informazione. Tuttavia, a causa dei forti legami con il gruppo confessionale, l’emittente, soprattutto agli inizi, mostrava di privilegiare, per quanto riguarda le news e i programmi politici, le questioni che riguardavano la Comunità maronita. Il canale, secondo la tradizione libanese, si è sempre mostrato attento alle tendenze del mercato e, non ignorando la portata del successo di Al Jazeera, ha deciso di attenuare il proprio ruolo di megafono cristiano-maronita investendo nell’informazione, in qualità e quantità. Nel 2002 è stato siglato un contratto con il quotidiano panarabo Al Hayat per la produzione congiunta di programmi di news che ricalcano, almeno nella forma, il modello Al Jazeera ospitando discussioni e interviste a personaggi politici di tutti i paesi arabi. Un altro canale satellitare di proprietà di un investitore privato con forti interessi politici è l’Arab News Network (ANN). Fondata a Londra nel 1997 l’emittente, che si occupa prevalentemente di news, ha intrapreso, pur contando su risorse economiche molto modeste, la battaglia per conquistare il pubblico arabo dell’informazione. Il principale proprietario di ANN è un uomo d’affari siriano, il figlio di Rifaat Al Assad, fratello dell’ex presidente della Siria Hafez al-Assad e lui stesso ex vice presidente. Il canale si è mostrato spesso critico nei confronti del nuovo regime, soprattutto in occasione dei funerali di Hafez Al Assad nel 2000, mettendo in discussione la leadership di Bashar e appoggiando l’opposizione di Rifaad attaverso critiche alla situazione interna siriana. ANN tuttavia negli ultimi anni ha attenuato la frequenza delle critiche al regime siriano pur continuando a sottolineare frequentemente l’importanza della liberazione delle Alture del Golan, questione spesso trascurata dalle altre emittenti arabe. Questa forte implicazione politica ha tenuto lontano dal canale molti intellettuali arabi che non desiderano sposare la causa dell’emittente. Un uso politico ancora più marcato della televisione satellitare, da parte di un gruppo privato, è quello che il gruppo politico-religioso Hezbolollah libanese fa di Al Manar, emittente con sede a Beirut, approdata al satellite nel 2000. Il “Partito di Dio” si pone come scopo principale la battaglia contro Israele e l’allontanamento degli Israeliani dalla Palestina e dal sud del Libano. Si tratta di una formazione che fa riferimento all’Islam Sciita e prescrive costumi piuttosto rigidi, il che spiega l’abbigliamento dei giornalisti di Al Manar analogo a quello imposto nell’Iran di Komeini: barbe per gli uomini e velo nero per le giornaliste. Il tono dell’emittente nei confronti di Israele è estremamente aggressivo. Il canale comunque, almeno da un punto di vista formale, pare voler adottare i nuovi canoni imposti per il giornalismo televisivo dalla rivoluzione Al Jazeera: notiziari a intervalli brevi, coperture sul campo puntuali e dettagliate (con particolare attenzione naturalmente alle vicende palestinesi), programmi sportivi e format che prevedono telefonate degli ascoltatori. La capacità di offrire un’informazione che, seppure estemamente faziosa, sia anche puntuale e tecnicamente di ottimo livello, è stata mo- 127 strata da Al Manar soprattutto durante la Guerra Israelo-Hezbollah dell’estate 2006. I soggetti maggiormente spiazzati da questa nuova situazione sono, come ovvio, le leadership governative che, a causa dell’estrema difficoltà a controllare la diffusione della tecnologia satellitare, hanno improvvisamente perso il potere assoluto sull’informazione, esercitato attraverso i fidati Ministeri sull’informazione nazionale. Come fare allora per non lasciarsi sfuggire completamente le redini delle opinioni pubbliche, pur non potendo più contare sul potere di censura su tutto ciò che i cittadini possono vedere attraverso i propri apparecchi televisivi? Due sostanzialmente sono stati, a partire dalla fine degli anni Novanta, gli espedienti dei governi per cercare di mantenere influenza sul mercato delle News panarabe. In primo luogo sono state create, dai governi di alcuni paesi, tra cui, come abbiamo visto anche l’Egitto, le cosiddette Media Cities, vaste aree fornite delle più moderne infrastrutture di trasmissione e delle tecnologie più all’avanguardia in materia di telecomunicazioni. Grazie alle rilevanti agevolazioni fiscali, le grandi organizationi dell’informazione transnazionale araba e occidentale, sono state attratte a situare le proprie sedi all’interno di queste aree. La prima di queste Media Cities è stata proprio la Media Production City egiziana fondata nel 2000. Tra il 2000 e il 2003 ne sono state poi aperte altre in Giordania, a Dubai e in Bahrein. Naturalmente per convincere le News organization a trasferirvisi, gli stati ospiti devono “promettere”, oltre ad agevolazioni economiche notevoli, libertà assoluta per quanto riguarda le scelte editoriali. Questa condizione è stata effettivamente garantita soltanto dalla Dubai Media City che infatti è stata quella che ha funzionato meglio e che oggi ospita un grandissimo numero di media organization, arabe e occidentali. Per i governi arabi questa situazione ha implicato inoltre mutamenti obbligati per quanto riguarda l’offerta satellitare di proprietà statale: i canali si sono arricchiti di nuovi format e programmi di approfondimento e news che tentano anch’essi di imitare, spesso con scarso risultato, le proposte televisive di Al Jazeera. Tale scelta li ha costretti, in ogni caso, ad affrontare argomenti scomodi per il mantenimento dello status quo come le discriminazioni sessuali e i diritti civili. Il percorso intrapreso dall’emittente satellitare di Abu Dhabi è esemplificativo delle pressioni cui le emittenti satellitari che hanno dato il via alla rivoluzione dell’informazione, hanno costretto anche le televisioni governative. Abu Dhabi Tv infatti, negli ultimi anni, ha sviluppato coperture sempre più professionali e autonome delle vicende regionali e non, aprendo uffici di corrispondenza e smarcandosi in parte dal rigido controllo governativo. 5.4 La risposta dei “nemici” sauditi: il lancio di Al Arabiya È a questo punto necessario soffermarsi sulla reazione che la grande rivale del Qatar, l’Arabia Saudita, ha avuto di fronte a questa sfida lanciata da quel piccolo paese che Riyadh considerava una propria appendice nel Golfo Persico. Si può immaginare che la casa regnante saudita sia stata colta piuttosto di sorpresa, abituata a competere solo con le produzioni di un gigante dai piedi d’argilla come l’Egitto ma per nulla preparata all’idea di doversi confrontare con un prodotto innovativo, accattivante e così poco compiacente nei confronti degli Al Saud come Al Jazeera. Al Arabiya infatti, ovvero la risposta saudita, ha tardato sette anni ad 128 arrivare sui satelliti arabi. Di fronte al fatto che Al Jazeera non risparmiava “attacchi” ai paesi vicini i governi che più direttamente si sentivano minacciati, ovvero l’Arabia Saudita, il Bahrein e il Kuwait (per il rapporto positivo che il Qatar aveva con l’Iraq di Saddam135) nel gennaio 2003 lanciano, attraverso investitori privati, Al Arabiya. A poche settimane dall’inizio di una nuova guerra in Iraq questi « nemici » di Al Jazeera e del Qatar, individuando correttamente che sulla copertura del conflitto si sarebbe giocata un’importante partita simbolica, hanno dato vita, all’interno del gruppo saudita MBC, ad un’emittente all news con quartier generale a Dubai, il cui implicito scopo era, almeno in quella prima fase, quello di non lasciare ad Al Jazeera il monopolio della narrazione in arabo delle vicende irachene. Al Arabiya nasce dunque all’interno di uno dei più importanti gruppi commerciali dell’intrattenimento in lingua araba e non riceve, ufficialmente, nessun fondo governativo; entrambi questi elementi ne hanno influenzato fortemente l’identità editoriale. In questo senso per Al Arabiya il pubblico dei paesi del Golfo ed in particolare dell’Arabia Saudita, non è importante soltanto perché si tratta delle audience più care ai propri finanziatori ma anche perché rappresenta l’area più ricca del mondo arabo e dunque più interessante per gli investitori pubblicitari. Con Al Arabiya i governi del Golfo hanno creato un’emittente che potesse distogliere il pubblico dei propri paesi dai toni accesi del giornalismo di Al Jazeera. Il nuovo canale infatti si muove su standard di professionalità e libertà editoriale analoghi a quelli della “ribelle del Qatar”, condizione necessaria per poter competere con essa. Tuttavia, mentre Al Jazeera si tiene alla larga dalle notizie che riguardano il Qatar, Al Arabiya mostra di trattare con un riguardo maggiore la casa regnante degli Al Saud. Il lancio di Al Arabiya mostra come l’informazione satellitare regionale sia entrata in una nuova fase dopo il lancio di Al Jazeera, i “signori del petrolio saudita” infatti hanno dovuto, loro malgrado, permettere la nascita di un’emittente che, fino a pochi anni prima, avrebbero chiuso dopo la prima settimana di trasmissioni. Certo dietro la linea di Al Jazeera come dietro quella di Al Arabiya è facile vedere gli interessi politici e la vision dei loro finanziatori. La novità, per il contesto del mondo arabo, sta però nel fatto che la proprietà non invade continuamente e in maniera minacciosa la linea editoriale delle emittenti. La relazione che sussiste tra le redazioni di Al Jazeera e Al Arabiya e le proprietà delle emittenti è molto più simile a quella che caratterizza il contesto occidentale che a quella che ha storicamente caratterizzato il mondo arabo: questo determina un notevole incremento della qualità dell’informazione prodotta da questi canali, un’informazione in grado di sottrarre parecchio pubblico alle televisioni nazionali. La guerra in Iraq ha rappresentato un importantissimo momento di ridefinizione non solo degli equilibri politici regionali ma anche di forte spinta verso il lancio di nuovi soggetti che potessero contribuire alla definizione simbolica di quanto stava avvenendo sul territorio iracheno (Valeriani 2007): Al Arabiya è stata l’operazione più “importante” e la meglio riuscita ma diversi altri canali sono stati lanciati, rivolti prevalentemente al territorio iracheno o con ambizioni regionali136. Nel febbraio 2004 anche il governo degli Stati Uniti ha deciso di entrare in prima persona nel mercato attraverso un’operazione di international broadcasting di ul135 136 Nemico giurato della casa regnante kuwaitiana dopo l’invasione del 1990. Tra queste ad esempio Al Sharqiya. 129 tima generazione e ha lanciato –seppur con un successo limitato- Al Hurra, canale all news in lingua araba con lo scopo di risollevare l’immagine dello Zio Sam nella regione. Il progetto, che opera da un quartier generale in Virginia, è stato concepito con l’idea di tenere testa ad Al Jazeera e Al Arabiya e vede coinvolti un numero sorprendente di giornalisti arabi, molti dei quali naturalizzati americani. Nei primi mesi di vita Al Hurra è stata oggetto di asprissime critiche da parte di moltissimi commentatori nel mondo arabo: i programmi dell’emittente sono stati giudicati come troppo lontani dalla prospettiva araba alla notizia, e il fatto che il quartier generale si trovasse negli Stati Uniti ha reso ancora più consistente la percezione che, più che dare notizie dal medioriente, il canale volesse essere un megafono aperto verso il medioriente137. Per l’emittente riuscire a guadagnare credibilità presso le audience arabe si è rivelato da subito una prova al limite dell’impossibile. Le difficoltà di un progetto come Al Hurra restano comunque tutte legate alla credibilità. All’interno di un media landscape molto più dinamico ed eterogeneo come quello dell’informazione satellitare in lingua araba, molti telespettatori si domandano perché dovrebbero prestare credito ad un broadcaster finanziato da un soggetto così interessato ad orientare a proprio favore le opinioni degli arabi come gli Usa. Una volta definito il contesto di sviluppo dei broadcaster panarabi nell’ultimo decennio, è importante definire nello specifico le caratteristiche, da un punto di vista più strettamente giornalistico, dello sviluppo dei progetti editoriali Al Jazeera e Al Arabiya. 5.5 Il progetto editoriale di Al Jazeera Il progetto editoriale di Al Jazeera ha subito diverse evoluzioni nei suoi primi dieci anni di vita, trasformazioni che sono da collegare all’elaborazione di un’identità definita, al ruolo che l’emittente si è trovata a giocare nell’arena regionale e globale dei mass media e alle diverse figure che si sono succedute alla direzione redazionale e complessiva dell’emittente. Sicuramente nei primi anni di vita di Al Jazeera l’impostazione editoriale dell’emittente è stata marcatamente influenzata dal trascorso professionale all’interno del BBC Arabic Service, della pressoché totalità del team di giornalisti che hanno lanciato il canale. Adnan Al Sharif, il primo direttore dell’emittente, Ahmad Al Sheik oggi direttore editoriale, Ibrahim Helal che fu uno dei primi direttori editoriali, Sami Haddad, conduttore dello storico programma Akhtar min rai (Più di una opinione), o l’ancora più noto Faysal Al Kassim che conduce Al Ittijah al moakys (Controcorrente) e tanti altri erano tutti infatti freschi dall’esperienza di lavoro in BBC. Se si ascoltano o si leggono i racconti dei “veterani” riguardo le loro aspettative nel momento in cui arrivarono in Qatar per preparare il lancio di Al Jazeera, si vede come l’idea di voler ricreare l’ambiente e il progetto editoriale di BBC fosse estremamente forte. Così, ad esempio, Ahmad Sheik descrive il suo arrivo in Qatar nel 1996: 137 Cfr. F. Al Atraqchi, Off target & Stillborn, US-based Al Hurra Fails to Impress, in “Islam on Line”, 19-2-2004. 130 There was a flow of questions, and even doubts, in my mind, as we arrived in Qatar on the first of June 1996. Was there in the Arab World a space for something like the BBC’s editorial policy? Was there within it a roof that could rise high enough for the dreams of freedom to become a living reality? Or would the same scene be recreated again of kings taking centre stage in the news, who would dominate the beginning, middle and end –and to which whole nations would be reduced to, as was commonplace from Agadir on the Atlantic to the coasts of the Arabian Sea? (The Al Jazeera Decade pagg. 26-27) Questi elementi già ci mostrano alcuni tratti interessanti del progetto editoriale di Al Jazeera alle origini, o almeno dell’idea che di esso avevano i giornalisti che hanno partecipato alla sua progettazione. La visione di fondo era quella di realizzare un esperimento di giornalismo televisivo che declinasse all’interno di un contesto “finalmente” arabo al 100% una modalità professionale acquisita nel contesto del giornalismo occidentale. Questa mission implicita determinava dunque due spinte ben definite per la linea editoriale: da una parte l’idea che la prospettiva delle notizie e l’empatia dei giornalisti dovesse essere marcatamente “araba”, dall’altra il fatto che processi di newsmaking dovessero essere organizzati secondo le modalità che caratterizzano le grandi all news occidentali138. A questi due elementi se ne può aggiungere un terzo che emerge anche dalle parole di Ahmad Sheikh e ha a che vedere con la posizione del giornalismo rispetto alle elite politiche regionali: secondo chi “ha fatto” la linea di Al Jazeera, per creare un prodotto realmente innovativo nella regione fosse necessario spostare “le opinioni dei Re e dei Presidenti” dal centro delle notizie e relazionarsi con gli officials da una nuova posizione. Un progetto editoriale non è ovviamente fatto solo dai giornalisti ma anche dalla proprietà, ovvero dalla famiglia reale del Qatar, direttamente rappresentata all’interno dell’organigramma del canale dal presidente di Al Jazeera network, Sheikh Hamad bin Thamer Al Thani, cugino dell’emiro. Nel volume di celebrazione del decennale di Al Jazeera Sheikh Hamad bin Thamer, così definisce il lavoro di Al Jazeera: (Al Jazeera) has contributed to developing the Arab media landscape, establishing a new paradigm for professional journalism, and opening the debate on various issues- including those that have been previously considered taboos. Al Jazeera has become one of the most influential international networks, and a powerful competitor with global media organizations (The Al Jazeera Decade pag.7) Questo mostra come l’idea di impostare il progetto editoriale di Al Jazeera intorno all’elemento della rottura rispetto al passato del giornalismo televisivo arabo, soprattutto attraverso la “provocazione” e il superamento dei taboo, fosse un obiettivo condiviso anche dalla proprietà che vedeva in questa linea la possibilità di acquisire prestigio e visibilità sulla scena internazionale, coerentemente con la politica internazionale del Qatar. I format “storici” che hanno contribuito ai primi successi di pubblico di Al Jazeera sono programmi e produzioni già collaudati in BBC. Questo ha permesso all’emittente di presentarsi da subito sul mercato con programmi solidi, familiari a parte del proprio pubblico e con 138 Che prima dell’esplosione del fenomeno Al Jazeera venivano definite “globali”. 131 l’attrattiva in più di essere realizzati all’interno di un’emittente all news completamente araba. Inoltre il fatto che il team provenisse da un background comune ha favorito decisamente un inizio grintoso e senza grandi errori dovuti alla mancanza di affiatamento e di conoscenza delle presone che lavoravano all’interno della redazione. In questa prima fase, in cui l’emittente trasmetteva 6 ore al giorno139, si delineano da subito gli elementi che avrebbero caratterizzato l’identità editoriale di Al Jazeera nella sua prima fase di vita. Tali elementi erano sostanzialmente tre: l’abbondanza di programmi di approfondimento con talking heads caratterizzati dalla presenza di ospiti con opinioni opposte; l’utilizzo all’interno dei notiziari delle corrispondenze in diretta; l’utilizzo di tecnologie e di un know how estremamente avanzato. Vediamo di analizzare un po’ più nello specifico ciascuno di questi elementi. I programmi di approfondimento di Al Jazeera rappresentano uno dei marchi di fabbrica del canale. Lo schema attorno a cui sono stati sviluppati all’interno dell’emittente è quello della contrapposizione netta e spesso anche di un scontro verbale violento tra gli ospiti. Il motto storico di Al Jazeera, che ancora compare in molte delle animazioni elettroniche che marcano lo stacco tra un programma e l’altro, è “l’opinione e l’altra opinione”. Si trattava, nel 1996, di un elemento effettivamente nuovo nel panorama dell’informazione televisiva in Arabo: nelle televisioni nazionali l’unica opinione che emergeva era quella del regime, senza nessuno spazio per le opposizioni. Questo approccio all’approfondimento utilizzato dall’emittente fin dai suoi esordi rappresenta un elemento di fondamentale importanza, che ha a che vedere con la cultura politica, con il repertorio delle situazioni possibili all’interno dell’orizzonte politico di una regione: si tratta di ciò che Lynch (2005) definisce “la legittimazione del dissenso”. All’interno di una cultura politica dominata da stati autoritari e da un discorso pubblico monolitico e nazionalista per il quale dissenso è uguale a tradimento, talk show basati sul dissenso svolgono sicuramente un ruolo destabilizzante. Essi mostravano infatti l’ammissibilità del dissenso su questioni di pubblica rilevanza e la possibilità di esprimere pubblicamente il proprio disaccordo. La volontà di rappresentare un punto di rottura rispetto alle regole del discorso politico nel mondo arabo è stata dunque forte nel progetto di Al Jazeera fin da subito. Così Jamil Azar (Aa.Vv. 2006), volto storico di Al Jazeera, definisce questa scelta editoriale: There is another important starting point which defined the course taken by Al Jazeera and made it a prime mover, politically and socially in the Arab arena which denied the existence of “the other” opinion. That is the slogan “The Opinion… and the Other Opinion” which was adopted by the Channel and which I personally authored. (…) To be frank and honest, I feared that this theme would commit the Channel to a certain path involving difficult confrontations which would challenge the familiar and traditional in media official circles in the Arab stage. But, as it was a summary of ideas discussed in meetings of the founding management, before launch, its acceptance was further evidence of the sincere intention behind a serious proposition of this kind by the sponsor of this pioneering march. (pag.31) Questo progetto editoriale è stato declinato nella costruzione di programmi che ospitano 139 Al Jazeera arriverà a trasmettere 24 ore al giorno dal 1999. 132 figure legate a partiti e movimenti relegati ad un’opposizione permanente o addirittura messi fuori legge in tutto il mondo arabo: si tratta di membri dei movimenti di sinistra, intellettuali marxisti, ma soprattutto degli esponenti dei gruppi islamisti. Alle istanze degli islamisti in particolare viene dato uno spazio rilevante sull’emittente. Si tratta di una linea che può essere interpretata secondo una duplice chiave: da una parte, considerata la forte popolarità di questi gruppi presso le opinioni pubbliche, rappresenta un modo per attirare audience, dall’altra, coerentemente con gli interessi del Qatar, è un mezzo per dare spazio a soggetti che possono attaccare, da posizioni ancora più radicali, l’identità “islamica” del governo degli Al Saud in Arabia Saudita. L’abbondante presenza di queste figure, relegate al silenzio sui media nazionali, ha rappresentato uno dei primi elementi di interesse per l’emittente da parte del pubblico regionale e di “fastidio” per i governi. Tali programmi erano e sono affidati a giornalisti con personalità molto forti e autorevoli, in grado di fare montare come di placare i toni della discussione e di scandire in maniera chiara i temi e le questioni del dibattito. Questo permette di creare un prodotto di grande impatto nel quale vengono affrontati temi controversi e ospitate opinioni infuocate. Un altro elemento che ha contraddistinto fin da subito i programmi di approfondimento di Al Jazeera è quello della “partecipazione attiva” del pubblico: attraverso la possibilità di intervenire telefonicamente all’interno di appositi spazi nei programmi, di partecipare a sondaggi realizzati dall’emittente o di inviare via fax (oggi via email) domande da suggerire ai conduttori. Si tratta di un elemento di forte impatto da un punto di vista simbolico in un contesto nel quale la partecipazione politica dei cittadini è minima o inesistente, tanto che qualcuno è arrivato a parlare di “repubblica democratica di Al Jazeera” definendo addirittura l’emittente “la prima democrazia del mondo arabo”. È evidente dunque che il progetto editoriale di Al Jazeera avesse, fin dall’inizio, l’intenzione di lavorare molto sull’idea della “rottura” rispetto al passato, per incuriosire il pubblico, imporsi sul mercato e per costruirsi un’identità editoriale di emittente “indomabile”, “libera” e “controversa”. Anche per quanto riguarda l’elemento delle “news” Al Jazeera ha impostato i propri processi di newsmaking secondo modalità radicalmente diverse rispetto a quelle dei servizi di news in arabo presenti fino a quel momento. In questo senso, in questa prima fase di vita dell’emittente i giornalisti della news room hanno messo a frutto la loro esperienza maturata in BBC per organizzare il newsmaking della nuova emittente. L’elemento più significativo è stato senza dubbio l’attenzione che venne attribuita agli interessi del pubblico. Sempre Jamil Azar, che è stato uno dei primi anchor dei notiziari di Al Jazeera dopo aver lavorato in BBC trent’anni, così (Aa.Vv. 2006) parla di questo orientamento al pubblico dell’emittente: In addition there was the realization of the need of the Arab audience for a new credible channel from an arab country to fill the space which had been monopolized by foreign channels and station for decades (pag.30) Il pubblico assume un ruolo centrale e questa priorità si traduce nell’idea che l’agenda quotidiana dei leader e dei presidenti non interessi le audience ma che esse siano più interessate alle questioni spinose e controverse. Inoltre viene dato molto spazio alle opinioni della gente riguardo alle vicende politiche nazionali e regionali. Anche le news vengono presentate 133 in maniera non monolitica e i fatti vengono problematizzate molto di più di quanto non avvenga sui canali nazionali (Nawawy-Iskandar 2003). Per fare questo Al Jazeera, fin da subito, ha investito nella costruzione di una grande rete di uffici di corrispondenza in tutta la regione, in modo da poter raccogliere notizie in maniera autonoma e da poter creare contatti con soggetti in contrasto con “il pensiero” del regime. Questa presenza capillare nei posti caldi della regione, assieme alla maggiore libertà editoriale della redazione, favorsce lo sviluppo di notiziari basati sugli interventi in diretta dei corrispondenti chiamati a raccontare e a commentare gli avvenimenti cui si trovavano ad assistere. Si crea così una struttura molto più simile a quella del giornalismo televisivo occidentale che a quella del “giornalismo da veline” delle televisioni di stato arabe. Un ultimo elemento da considerare rispetto alle caratteristiche fondamentali del progetto editoriale Al Jazeera al momento del suo lancio ha a che vedere con l’attenzione agli aspetti tecnici. Anche da questo punto di vista è evidente che ci fosse l’idea di raggiungere gli standard BBC, infatti non solo molti dei giornalisti ma anche molti dei tecnici provenivano da quell’esperienza: Those coming from the BBC –technicians, news writers, presenters- where each in their own way full of pride. Their conversation were invariably resticted to the glories of their experiences in London and the necessity of replicating it in Doha (Mhamed Krichen in Aa.Vv. 2006 pag.46) È evidente come si volesse, pur con le risorse limitate di un progetto che stava partendo e che dunque non era ancora completamente strutturato, cercare di eguagliare gli standard delle grandi all news globali. Anche da questo punto di vista infatti, per quanto riguarda sia la lavorazione sulla grafiche e sulle elaborazioni informatiche, sia il lavoro di trasmissione, montaggio e messa in onda dei servizi, emergeva, fin dalle prime trasmissioni, una profonda differenza rispetto ai prodotti delle televisioni nazionali. Queste sono le caratteristiche fondamentali del progetto editoriale Al Jazeera nel momento in cui esso venne lanciato nel 1996 e nei primi anni di vita dell’emittente. Si tratta di caratteristiche che in buona misura diverranno elementi centrali dell’identità di Al Jazeera. Tuttavia il progetto ha subito una serie di trasformazioni dovute a molteplici fattori, interni ed esterni: dalla più netta definizione della linea del canale, all’avvicendarsi di nuove figure nelle posizioni di responsabilità, all’evolversi della situazione internazionale e soprattutto alla grande centralità da un punto di vista politico che il contesto mediorientale ha acquisito dopo l’11 settembre. Già prima dell’11 settembre, a partire dal bombardamento dell’Iraq voluto da Clinton nel 1998 e poi dallo scoppiare nel settembre 2000 della seconda Intifada, Al Jazeera aveva mostrato la sua chiara volontà di diventare la principale fonte di informazione a livello regionale nei momenti di crisi e conflitto riguardanti il Medio Oriente. Questo passaggio aveva significato l’ingresso di Al Jazeera in una seconda fase del suo progetto editoriale: legittimarsi come news provider per eccellenza in ambito regionale, come unico soggetto in grado di fornire un flusso costante di informazioni in una situazione di conflitto e di emergenza. Con l’11 settembre e con l’inizio della “guerra al terrorismo”, Al Jazeera diventa improv- 134 visamente un nome conosciuto a livello globale, non più soltanto un soggetto regionale, con ulteriori conseguenze per le trasformazioni del suo progetto editoriale. Un primo elemento da considerare, in apparenza superficiale, ma che di fatto diviene un tratto centrale soprattutto nella relazione tra Al Jazeera e i media occidentali, riguarda la questione della trasmissione, da parte di Al Jazeera, di messaggi inviati all’emittente da Osama bin Laden e dal suo numero due Ayman Al Zawahiri. Questa scelta editoriale infatti porta i media occidentali a definire Al Jazeera come “il megafono di Osama bin Laden”. Si definisce in questo modo un rapporto teso tra l’emittente e le newsorganization occidentali, una diffidenza che determinerà un atteggiamento estremamente orgoglioso e allo stesso tempo difensivo della redazione di Al Jazeera per il proprio lavoro e per la propria impostazione editoriale. Tale rivendicazione di professionalità e soprattutto di competitività rispetto ai grandi media occidentali diventa strutturale all’identità e all’impostazione editoriale di Al Jazeera. Questo è il segno dell’ingresso del progetto Al Jazeera in una nuova fase: se prima l’obiettivo era visto nell’idea di eguagliare i modelli occidentali come BBC ora l’emittente sembra sentirsi assolutamente competitiva con tali news organization e pretende di essere considerata una grande news organization globale al pari di quelle occidentali. Nel momento in cui il Medioriente diventa la notizia globale per eccellenza, Al Jazeera ambisce a fare, e sa di poter fare, scoop globali e di non essere più soltanto un fenomeno di interesse regionale ma di interesse assolutamente “planetario”. Questo elemento riconfigura in maniera ancora più netta il progetto editoriale, spingendo ulteriormente verso la ricerca del “primato sulla notizia”, della breaking news e dell’immagine in esclusiva. In questo senso negli anni tra il 2001 e il 2004 Al Jazeera diventa di fatto una delle principali “agenzie di informazione” riguardo le vicende mediorientali e i media di tutto il mondo cominciano sempre più frequentemente a citare l’emittente di Doha come fonte. Nello stesso periodo un altro elemento centrale nello sviluppo del progetto editoriale Al Jazeera ha a che vedere con il fatto che di fronte al montare della retorica dello scontro di civiltà e della diffusa “islamofobia” che si sviluppa all’interno del discorso pubblico occidentale, il canale definisce in maniera ancora più netta l’idea di dovere raccontare l’attualità politica, e dunque anche la guerra, dalla prospettiva delle popolazioni arabe e musulmane. Da questo punto di vista è evidente come da una parte si possa vedere la volontà di scegliere la prospettiva del proprio pubblico, dall’altra quella di ritenere di dover lavorare affinché la visione arabo-islamica delle notizie possa avere una rappresentanza nel racconto internazionale dei conflitti e delle vicende mediorientali interrompendo così il monopolio occidentale a riguardo. Tra il 2001 e il 2004 inoltre la linea e l’operato dei giornalisti di Al Jazeera è stata messa continuamente sotto accusa, non solo dai media ma anche dagli officials occidentali: il 15 dicembre 2001 il cameraman di Al Jazeera Sami El Hajj è arrestato e trasferito nel carcere di Guantanamo dove rimane fino al 2008; l’8 aprile del 2003 l’ufficio di Al Jazeera di Baghdad viene bombardato da un aereo dell’esercito americano e il reporter Tareq Ayyoub rimane ucciso; nel settembre 2005 Tayseer Allouni, che tra il 1999 e il 2001 aveva diretto l’ufficio di Al Jazeera di Kabul, è condannato a 7 anni di carcere da una corte spagnola140, accusato di 140 Allouni, di origine siriana, è cittadino spagnolo e risiede in Spagna. 135 avere agito come corriere per conto di Osama bin Laden. Questi fatti hanno avuto un forte impatto su tutti i giornalisti di Al Jazeera contribuendo a definire la loro attitudine fortemente combattiva e “orgogliosa”, attitudine che si riscontra anche nella linea editoriale del canale ed emerge in maniera chiara dai promo che vengono messi in onda con l’intento di marcare in maniera esplicita l’identità dell’emittente. A partire dal 2003-2004 tuttavia una serie di nuovi elementi hanno determinato un nuovo processo di trasformazione del progetto editoriale di Al Jazeera i cui risultati più evidenti si sono mostrati nel giugno 2005 con una decisa riorganizzazione del palinsesto. Un elemento sostanziale in questo senso ha a che vedere con l’arrivo sul mercato di una prima vera concorrente nel sistema dell’informazione satellitare in arabo, Al Arabiya. Se infatti fino a quel momento Al Jazeera aveva potuto godere di una situazione di monopolio sul mercato e non si era mai dovuta misurare con un competitor diretto, a partire dal gennaio 2003 la redazione deve ripensare la propria organizzazione in una logica di concorrenza e non più di monopolio. C’è da considerare inoltre un altro elemento che ha a che vedere con l’evoluzione della posizione internazionale del Qatar da stato invisibile a sempre più centrale player regionale e globale141.”. Infine anche Al Jazeera, come i media di tutto il mondo, ha dovuto misurarsi con l’esplosione delle tecnologie digitali e delle nuove forme di giornalismo proprie della rivoluzione di internet 2.0: dai blog, ai video e alle fotografie postate dagli utenti alla web tv. Sono sostanzialmente questi tre gli elementi con cui alla fine del suo primo decennio di vita si è trovata a confrontarsi e, ancora una volta, a ripensarsi. Le conseguenze di queste pressioni sono state diverse. Da una parte c’è stata una compressione del tempo dedicato ai programmi storici di approfondimento cui fino dagli inizi era stata affidata una lunga prima serata. Alcuni di questi programmi sono stati cancellati dal palinsesto, tutti gli altri, anche quelli che hanno contribuito alla costruzione del successo di Al Jazeera, sono stati tagliati di trenta minuti. Questo mostra la volontà di creare un’immagine ancora più dinamica e votata all’attualità, meno “inchiodata” su formati fatti di pareri e opinioni discussi in studio e ancora più caratterizzata da continue immagini e aggiornamenti dal mondo. Un assetto di questo tipo infatti è più adatto per affrontare una competizione diretta. Si tratta di una modalità produttiva all’interno della quale se si dedica troppo tempo ad un programma realizzato in studio si rischia che il proprio concorrente riesca, coprendo la stretta attualità, a catturare l’interesse del pubblico. Per questo motivo il programma del prime time è, dal 2005, Ma wa’ra al khabar (Dietro la notizia), un programma che attraverso approfondimenti filmati, la presenza di un ospite in studio e altri in collegamento approfondisce la notizia più importante della giornata e quindi del notiziario della sera che lo precede. Il programma si mantiene dunque a metà tra il notiziario e il talk show e, per indicare questa volontà, la sua conduzione non è affidata agli storici conduttori degli approfondimenti di Al Jazeera ma ad alcuni degli anchor dei notiziari. Nella competizione con Al Arabiya, Al Jazeera ha scelto di mantenere come topic priviIn particolare con l’intensificarsi delle relazioni con gli Stati Uniti e la concessione di un vasto terreno per la creazione di due basi militari statunitensi. Si tratta delle due basi da cui sono state condotte le prime fasi della guerra all’Iraq di Saddam Hussein nel marzo 2003. 141 136 legiato quello della politica regionale, elemento che, come è emerso, ne ha caratterizzato il progetto editoriale fin dall’inizio. Tuttavia di fronte all’impostazione editoriale scelta da Al Arabiya e allo spazio che essa dà alle cosiddette features, ovvero le storie che riguardano le persone comuni e le vicende che si tengono lontano dalla politica per entrare nella vita della “gente”, anche Al Jazeera negli ultimi anni sembra mostrare un’attenzione maggiore per questo tipo di storie. Un ulteriore elemento che ha contribuito in questi ultimi anni a ridefinire il progetto Al Jazeera è la gemmazione all’interno del network di diversi canali, segno della volontà della proprietà di dare ulteriore impulso al progetto e dunque del tornaconto in termini politici che da esso il governo del Qatar ha ricevuto142: tra il 2003 e il 2006 sono nati infatti Al Jazeera Sport 1 e 2, Al Jazeera Atfal (bambini), Al Jazeera mobashar (live), Al Jazeera English e Al Jazeera Documentary. I diversi canali sono collegati da un'unica direzione generale e da rapporti di condivisione dei materiali, pur mantenendo redazioni separate. In ogni caso è evidente che l’essere parte di un network sempre più ampio, con obiettivi comuni e sempre più complessi, inevitabilmente determina effetti anche sull’identità editoriale dei singoli canali. Un ultimo elemento da considerare riguarda il “futuro” del progetto editoriale di Al Jazeera, futuro che di fatto è già cominciato. Attraverso un significativo investimento nel progetto Al Jazeera New Media, un gruppo di giovani ricercatori sono già stati messi al lavoro per pensare come l’emittente potrà nei prossimi anni sfruttare sinergie con realtà come YouTube, Flickr, Twitter, gli aggregatori di blog e la televisione via internet. In questo senso possiamo affermare che il progetto Al Jazeera non ha certamente ancora finito di trasformarsi. 5.6 Il progetto editoriale di Al Arabiya Al Arabiya, essendo stata lanciata nel 2003, è un progetto recente, pertanto non ha subito tutte le evoluzioni di Al Jazeera, tuttavia proprio perché si è trovata nella situazione di “essere la seconda”, e di dover guadagnarsi una sua fetta di pubblico su un mercato “stregato” dall’emittente del Qatar, essa ha dovuto impiegare tempo e lavoro per identificare una propria linea e immagine editoriale definita e alternativa rispetto ad Al Jazeera. Il progetto editoriale di Al Arabiya non nasce dal nulla ma all’interno del più importante gruppo privato del broadcasting satellitare arabo, la Middle East Broadcasting Company (MBC). Questo, assieme alla evidente volontà da parte dei finanziatori di creare un soggetto che interrompesse il monopolio di Al Jazeera sul mercato (e presentasse una linea meno aggressiva nei confronti delle monarchie del Golfo e meno aperta alle istanze dei gruppi islamisti), ha rappresentato l’elemento più importante nella definizione di tale progetto a diversi livelli. Nel reclutamento dello staff che ha lanciato Al Arabiya la dirigenza del gruppo MBC si è mossa in due modi: da una parte ha utilizzato i giornalisti già impiegati all’interno dei servizi news dei canali del gruppo MBC, dall’altra ha cercato di assumere, attraverso l’offerta di Sicuramente Al Jazeera non rappresenta un buon business in termini economici considerando che il governo del Qatar deve continuare a finanziare quasi completamente l’operazione. 142 137 compensi più vantaggiosi, diversi giornalisti di Al Jazeera, in modo da poter immediatamente contare su uno staff formato ad una modalità produttiva analoga a quella del monopolista da sfidare. In questo modo Al Arabiya ha cercato di ridurre al minimo i tempi di rodaggio di una macchina complicata come una all news satellitare. Infatti, impiegando parte dello staff dei giornalisti già in forza a MBC, si poteva contare su uomini che avevano già chiara la linea editoriale e gli obiettivi strategici del gruppo e potevano utilizzare i contatti e le sinergie già avviate in precedenza. Inoltre, attraverso l’assunzione di parte dello staff di Al Jazeera, si è cercato di sfruttare alcuni dei volti noti della “reginetta” del satellite arabo come garanzia della scelta da parte della nuova emittente di mantenere gli stessi standard di qualità e libertà editoriale offerti dall’all news del Qatar. Il progetto Al Arabiya si è dunque strutturato a partire da due elementi determinanti: la vocazione commerciale del gruppo MBC e la volontà di presentarsi come un’ anti-Al Jazeera, più adatta ad un pubblico meno interessato alla politica e ad un approccio molto crudo all’infromazione. La vocazione commerciale ha determinato una grande attenzione alla struttura degli studi e della newsroom, estremamente accattivanti e futuristici. Inoltre l’impostazione dei programmi tradisce chiaramente l’idea di voler catturare l’attenzione del pubblico sulla base di molteplici elementi e non soltanto sulla base della qualità delle news: non sfugge ad esempio il fatto che i volti di Al Arabiya siano più giovani di quelli di Al Jazeera e che le conduttrici dei notiziari siano tutte donne estremamente attraenti. La grafica, il ritmo, le luci e i colori di Al Arabiya sono stati estremamente curati fin dalla prima trasmissione grazie all’esperienza di uno staff tecnico abituato a lavorare su programmi di intrattenimento e questo ha rappresentato un primo punto che ha contribuito a definire l’identità di Al Arabiya143. Ovviamente questa vocazione commerciale non si è manifestata soltanto negli elementi formali ma anche nell’attenzione allo human interest e alle “storie”, le quali hanno caratterizzato fin da subito la linea dell’emittente144. Essere un anti-Al Jazeera è dunque una mission che coniuga una strategia di posizionamento sul mercato (coerente con gli obiettivi economici di un grande gruppo privato) con gli interessi politici dei finanziatori dell’operazione, ovvero distogliere parte del pubblico regionale, o almeno del pubblico dei loro paesi, da Al Jazeera. Questa missione ha significato per Al Arabiya identificare come target privilegiato il pubblico dei ricchi paesi del Golfo, un pubblico che vive in una situazione di agio e benessere e che dunque inevitabilmente si identifica meno con vicende di profughi, sofferenze e violenze cui Al Jazeera attribuisce da sempre notiziabilità massima145. Come ogni gruppo commerciale, Al Arabiya ha dunque innanzitutto individuato un pubblico di riferimento e, sulla base di questo, ha impostato il suo progetto editoriale. Peraltro la scelta di privilegiare il 143 E’ in seguito alla sfida portata in questo senso da Al Arabiya che leggiamo il restyling degli studi e dell’immagine di Al Jazeera del giugno 2005. 144 Anche in questo senso la maggiore attenzione per le features che caratterizza negli ultimi anni il newsmaking di Al Jazeera deve essere, almeno in parte, interpretata come una risposta alla competizione con Al Arabiya. 145 Questo non significa che non esista un forte interesse da parte del pubblico saudita, kuwaitiano o degli altri emirati per le vicende palestinesi o irachene, tuttavia l’immedesimazione nelle condizioni di vita di queste persone è sicuramente minore rispetto a quello di altri paesi di vita. Dunque anche il tipo di notizie e il taglio che a questo pubblico “ricco” interessa è diverso rispetto a quello del pubblico “povero” degli altri paesi arabi. 138 pubblico dei paesi del Golfo è potenzialmente produttiva anche in termini commerciali: sicuramente il potere d’acquisto di queste popolazioni interessa i grandi investitori pubblicitari più delle altre aree del mondo arabo. In questo senso Al Arabiya ha avuto la possibilità di utilizzare la rodata struttura per le indagini di mercato e di gradimento di MBC146 e questo le ha permesso di trovare abbastanza rapidamente una sua collocazione chiara sul mercato. In ogni caso la sua identità per il momento è rimasta largamente collegata all’idea di “alternativa ad Al Jazeera”. Mentre lo staff di Al Jazeera era già al suo settimo anno di attività nel momento in cui le prime bombe cominciavano a cadere su Baghdad, Al Arabiya era davvero all’inizio. Incominciare l’avventura in quel momento poteva equivalere ad un suicidio147 ma, allo stesso tempo, considerata la “sete di informazioni” che prende il pubblico nelle prime fasi di un conflitto, poteva rappresentare la “grande occasione”. Nelle prime settimane della guerra tuttavia la copertura dell’emittente ha mostrato di dover fare i conti con le limitazioni di un debuttante ed è stata più che altro una passiva inseguitrice di Al Jazeera che riusciva a coordinarsi meglio sul campo e ad arrivare prima sulle notizie. Proprio l’Iraq però sarebbe diventato, nel giro di poco più di un anno, uno dei punti di forza del progetto editoriale di Al Arabiya e uno degli elementi attorno a cui l’emittente avrebbe costruito la sua identità in competizione con Al Jazeera. La redazione di Al Arabiya infatti è riuscita ad individuare in maniera sorprendentemente veloce gli elementi su cui concentrarsi e su cui fare leva per catturare l’attenzione del proprio target e a lavorare in maniera professionale attorno a tali temi, rappresentati dalle notizie economiche e dalle features. A questa capacità si è aggiunto un elemento esterno davvero importante: il fatto che con la “cacciata” di Al Jazeera dall’Iraq, nell’agosto 2004, con l’accusa di istigare alla violenza con notizie false, Al Arabiya si è trovata in una posizione di grandissimo favore148 nella copertura degli “eventi iracheni” e su questo ovviamente ha fatto leva per conquistarsi l’interesse del pubblico. Sono dunque questi gli elementi che nei primi anni di vita di Al Arabiya hanno finito per caratterizzare maggiormente il progetto editoriale dell’emittente: l’attenzione per le features, per le notizie economiche e la volontà di far fruttare il più possibile la posizione privilegiata in Iraq. Al Arabiya ha cercato di spostare dalla politica il focus unico delle news, dando spazio alle “storie” e alle notizie a “lieto fine”, immaginando che queste possono incontrare maggiormente gli interessi del pubblico e smontino l’idea di crisi regionale permanente che, a detta dei giornalisti dell’emittente, emergerebbe dai notiziari di Al Jazeera. Si tratta della volontà di comunicare un’idea di maggiore stabilità, vicina all’esperienza del pubblico del Golfo e funzionale ai finanziatori di Al Arabiya e anche ai grandi player dell’economia regionale e globale. A conferma del fatto che il progetto Al Arbiya è pensato per rivolgersi soprattutto a questo pubblico c’è la grande attenzione che viene data alle notizie economiche, la presenza nel paRealizzata soprattutto attraverso una serie di agenzie esterne come il Pan Arab Reserch Center di Dubai. E’ evidente come poter partecipare alla costruzione della narrazione in arabo di quelle vicende fosse così fondamentale per i finanziatori di Al Arabiya da renderli disponibili ad assumersi questo grande rischio economico (cfr. Valeriani 2007). 148 Al Jazeera continua a coprire l’Iraq attraverso collaboratori, free lance e incursioni più o meno legali nel territorio iracheno. Il suo ufficio nel paese è in territorio Kurdo, zona autonoma che non ha “bandito” l’emittente. 146 147 139 linsesto di alcuni programmi dedicati all’approfondimento di tematiche di finanza, e soprattutto la barra149 indicante gli indici economici e l’andamento dei mercati finanziari che campeggia come elemento fisso sugli schermi di Al Arabiya. Per quanto riguarda l’Iraq è indubbio che la linea dell’inclusione delle “notizie a lieto fine” risulti più gradita al governo iracheno che ha tutto l’interesse a mostrare che il paese è in qualche misura sotto controllo. Grazie a questo suo atteggiamento dunque Al Arabiya ha avuto vita più facile nel paese rispetto alla rivale che ne è stata addirittura espulsa. Sfruttare questa condizione è diventato un elemento fondamentale del progetto editoriale dell’emittente che afferma di essere diventata il principale news provider a livello globale delle notizie dal paese. In questo senso, nel momento in cui accadono eventi di grande importanza in Iraq, come le diverse tornate elettorali che già in questi anni hanno caratterizzato la vita politica del paese, l’emittente concentra tutti i suoi sforzi per offrire coperture estremamente dettagliate e cercare di presentare esclusive di forte impatto. Queste sono le trasformazioni che hanno caratterizzato la relazione tra protagonisti della politica regionale e newsmedia satellitari panarabi nell’ultimo decennio. Si tratta di trasformazioni importanti che hanno coinvolto direttamente centinaia di giornalisti trovatisi ad organizzare il proprio lavoro all’interno di redazioni basate su modalità operative completamente diverse da quelle su cui si basa il lavoro delle televisioni nazionali arabe. Non solo, ma tali trasformazioni hanno coinvolto indirettamente anche gli altri giornalisti arabi che, in tutta la regione, hanno avuto modo di confrontarsi con questo nuovo fenomeno giornalistico. Secondo quanto riferitomi dalla direzione di Al Arabiya l’introduzione di questa barra specifica sulle notizie economiche sarebbe stato uno degli elementi principali che hanno permesso all’emittente di guadagnare il primato di ascolti in Arabia Saudita ai danni di Al Jazeera. 149 140 TERZA PARTE UNO SPAZIO IBRIDO PER NEGOZIARE LA CULTURA GIORNALISTICA Premessa Ora che sono state descritte le caratteristiche strutturali di tutti e tre i livelli (quello intermedio e quello transnazionale sono accorpati) che compongono il sistema ibrido egizianopanarabo è possibile “rimontarne” (Figura N.3) i pezzi e considerare le relazioni e le negoziazioni che lo attraversano. Nell’ambito di quest’ultima sezione si mostrerà dunque come il contesto di “transnazionalismo velocizzato” che caratterizza l’informazione giornalistica nel medioriente arabo abbia effettivamente determinato lo sviluppo di sistemi ibridi transnazionali di costruzione del discorso giornalistico e, nello specifico, di negoziazione della cultura giornalistica. 143 Le relazioni tra i giornalisti che vivono all’interno del sistema nazionale (giornalisti nazionali), quelli che vivono nello spazio transnanzionale (giornalisti panarabi) e quelli che vivono “ a cavallo tra i due mondi” (corrispondenti panarabi) saranno dunque qui ricostruite attraverso l’analisi delle modalità attraverso cui questi tre gruppi ricostruiscono, e danno senso, ai valori e alle pratiche della propria cultura professionale. È bene ripetere come non si voglia qui sostenere che i processi di trasformazione e ridefinizione della professione giornalistica nel mondo arabo siano oggi semplicemente il frutto dell’interazione con le newsorganization panarabe. Anche le trasformazioni interne al sistema politico e al sistema mediatico nazionale continuano a giocare un ruolo importante nella ridefinizione degli spazi e dei contenuti della negoziazione di una cultura giornalistica. Il “sistema ibrido” infatti non annulla la dimensione nazionale, al contrario ridefinisce tale dimensione all’interno di un contesto caratterizzato da flussi transnazionali di informazione -e dunque di relazione- estremamente veloci e in-mediati. 144 I. I valori professionali: un contesto di transazionalismo velocizzato La percezione dei confini della comunità professionale 6.1 “La lega araba delle news”: la comunità dei giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya Questo paragrafo presenta le percezioni dei giornalisti che lavorano nelle newsroom centrali di Al Jazeera e di Al Arabiya rispetto alla “comunità professionale” di appartenenza. In questo senso è fondamentale partire dal contesto in cui questi giornalisti si trovano a lavorare. Soprattutto per lo staff di Al Jazeera il fatto di trovarsi in un paese molto piccolo e caratterizzato da una vita sociale piuttosto limitata, favorisce la costituzione di una comunità piuttosto chiusa comprendente i giornalisti del canale che provengono tutti da altri paesi della regione e vivono dunque la condizione di espatriati. Al Jazeera è molto assorbente, la maniera in cui vivi diventa parte di Al Jazeera, da un certo punto di vista è molto buono perché sei concentrato sul tuo lavoro, ma da un altro punto di vista no perché questo ti estrania dalla realtà. Sei in mezzo al deserto e continui a parlare sempre di Al Jazeera, quando esci a pranzo, esci con la gente di Al Jazeera e parli di Al Jazeera, tu vivi in Al Jazeera (D. S., ex Al Jazeera) La vita sociale dei giornalisti in house di Al Jazeera finisce dunque per confondersi con la loro vita professionale e questo influenza notevolmente la loro percezione dei confini della propria comunità professionale. Per i giornalisti di Al Arabyia il discorso è un po’ diverso. Vivendo a Dubai infatti hanno occasioni molto maggiori di socialità al di fuori della redazione e questo favorisce indubbiamente la creazione di una più netta distanza tra gli individui, il loro lavoro e la loro comunità professionale. Dubai non è nel mondo arabo, è una città di plastica e quando esci nessuno parla della situazione politica nel mondo arabo, o parla dei media o parla di Al Arabiya e quindi riesci a vedere le cose da una prospettiva diversa (N. H., Al Arabiya). In entrambi i casi comunque il fatto che un numero molto elevato di giornalisti si trovi a lavorare assieme al di fuori del proprio paese d’origine (e in un contesto sociale così particolare come quello che caratterizza gli emirati del Golfo Persico) fa si che, nel momento in cui essi devono definire la propria comunità professionale di riferimento, mostrino di avvertire 147 un legame particolarmente forte con i propri colleghi che lavorano a loro fianco, in una condizione analoga alla propria. Questa considerazione preliminare è utile per inquadrare meglio il contesto locale a partire dal quale i giornalisti che lavorano nelle newsroom centrali di Al Jazeera e Al Arabiya negoziano i valori e le pratiche della propria cultura professionale. Di quale comunità professionale dunque si sentono di fare parte questi giornalisti? Il primo elemento che emerge con forza è la volontà di insistere sulla natura transnazionale della propria comunità di riferimento: Io mi considero un giornalista, non un giornalista giordano, non ha importanza dove lavoro, se lavoro in Qatar o in Giordania o da un’altra parte (S. K., Al Jazeera, nazionalità giordana) Io mi considero come un dottore, non è importante che tu sia un dottore egiziano o siriano o altro, se sei un dottore l’unica cosa che ti importa è curare i pazienti (A. J., Al Jazeera, nazionalità egiziana) Io mi definisco come “media person” non in base alla mia nazionalità (N. H., Al Arabiya, nazionalità libanese) Io non mi considero molto “nationalistic minded”, non ho un approccio nazionalista nel mio lavoro, ho lavorato e continuo a lavorare per news organization non marocchine e credo di poter andare oltre la nazionalità (N.B., Al Arabiya, nazionalità marocchina) Io mi considero un giornalista internazionale, personalmente sono un cittadino palestinese, ma come news producer io non sono palestinese (M. K., Al Jazeera, nazionalità palestinese). La comunità cui i giornalisti panarabi in house dichiarano di appartenere è una comunità all’interno della quale i confini geografici non sono importanti ma rappresentano un limite da superare. L’idea di definire la propria comunità professionale anche a partire dalla propria nazionalità è assolutamente estranea a tali giornalisti. Dalle loro parole emerge spesso un desiderio esplicito di differenziarsi da una cultura professionale eccessivamente nazionalista: Abitualmente, e questo è vero anche per i giornalisti, ognuno pensa che il mondo finisca al confine del suo paese, che la sua gente sia la migliore, che tutti gli altri siano idioti; la gente che vive sempre nel proprio paese pensa che questo sia il centro del mondo; il fatto di lavorare con persone che vengono da altre parti del mondo arabo e di imparare delle cose da loro ti aiuta a smussare questa percezione (A. J., Al Jazeera). Questi giornalisti sembrano rifiutare di definirsi in relazione ad un sistema sociale o ad una comunità nazionale ma soltanto in relazione al proprio pubblico, il pubblico transnazionale dei parlanti arabo. Io ho un unico mandato e questo mandato è il mio pubblico, il mio pubblico è l’unica cosa che mi interessa e l’unico soggetto nei cui confronti sento di avere una responsabilità (A. J., Al Jazeera) 148 Io cerco di considerare solo il mio pubblico e di rispondere ad esso (N. H., Al Arabiya) I giornalisti panarabi si sentono parte di una comunità professionale i cui confini sono definibili sostanzialmente sulla base di due criteri: libertà editoriale e professionalità. Essi infatti insistono molto sull’incomparabilità del livello di libertà che caratterizza il loro lavoro rispetto a quello dei giornalisti che lavorano all’interno dei sistemi nazionali arabi. Sulla base di questi due elementi, libertà e professionalità, essi si considerano un elite rispetto agli altri giornalisti nel mondo arabo: Se tu lavori per la televisione siriana, non hai ne il budget ne le condizioni di libertà per fare un buon lavoro, non è colpa tua, ma non puoi sviluppare una tua professionalità (A. J., Al Jazeera) Dalle parole dei giornalisti di Al Jazeera emerge molto chiaramente come la comunità professionale di cui essi si sentono di fare parte sia composta innanzitutto dal cerchio ristretto dei colleghi impiegati nel canale, in quanto essi si sentono parte di un esperimento assolutamente unico: Al Jazeera non ha rivali, nessuno lavora nel modo in cui lavoriamo noi, al massimo abbiamo imitatori, ma non competitori (S. K., Al Jazeera) All’interno dell’headquarter di Al Jazeera moltissimi elementi evocano questa “unicità”. A partire da un grande “murales” con una sorta di patchwork costituito dalle facce di tutti i giornalisti che lavorano per l’emittente, alla storia del lancio del canale che capeggia sui muri della redazione, al “museo di Al Jazeera”150, tutti i muri ricordano ai giornalisti di trovarsi dentro ad “un’eccezione”. Si tratta di un’esibizione di “orgoglio professionale” che è meno presente nelle parole dei giornalisti di Al Arabiya che, in quanto competitor e secondi arrivati, non possono lavorare, nella costruzione della propria identità professionale, sul mito del “pioniere”. La significativa “mobilità” di giornalisti tra le newsroom di Al Jazeera, Al Arabiya e le altre emittenti panarabe con sede nel Golfo rivela comunque l’esistenza una “comunità” di giornalisti in movimento tra Doha e Dubai. Oltre alla “prima” identificazione con la propria news organization ne esiste dunque una “seconda” che comprende tutti coloro che lavorano per le news organization transnazionali in lingua araba e in particolare per le due “reginette” Al Jazeera e Al Arabiya: Al Jazeera ha finito per essere una “scuola di giornalismo”, la gente arriva, impara e va verso altri canali. Al Jazeera non è un gruppo di persone, ma un modo di lavorare (S. K., Al Jazeera) La professionalità e la dichiarata libertà editoriale, unite all’idea di un mandato specifico A soli 10 anni dal lancio del canale, il “museo di Al Jazeera” non può che ospitare poche cose; questo mostra come alla base di un’istallazione di questo tipo ci sia la volontà di “mitizzare” un progetto editoriale. 150 149 soltanto nei confronti del pubblico151 rappresentano gli elementi centrali nella definizione della comunità professionale di riferimento. Venendo a mancare la dimensione del confronto con un sistema socio-politico nazionale scompare l’idea di comunità professionale come soggetto corporativo e, dunque, la necessità dell’esistenza di un’organizzazione di tipo sindacale che possa tutelare il proprio ruolo all’interno di tale sistema. Il ruolo del sindacato è un ruolo più politico che professionale, io credo che sia una perdita di tempo, noi gionalisti delle all news panarabe non abbiamo bisogno di una struttura come quella dei sindacati nazionali, ma al massimo di creare syndication che siano utili per abbassare i costi di produzione e di trasmissione di informazioni (N. H., Al Arabiya) Una delle immagini che ricorre più spesso nei dichiarazioni dei giornalisti panarabi è legata alla definizione della propria newsroom come una “lega araba del giornalismo”: Noi siamo come la Lega Araba, ci sono giornalisti da tutti i paesi del mondo arabo e questo è estremamente positivo, perché ognuno ha una competenza sul suo paese e può fornire un’analisi in profondità (…) Non ci sono scontri sulla base della provenienza geografica, ma ci sono scontri sulla base di alcune issue specifiche (A. J., Al Jazeera) Noi siamo la Lega Araba, qui attorno in questo momento vedi tutto il mondo arabo. Certo non si va sempre tutti d’accordo su tutto, questo sarebbe utopico, ma non ci sono problemi dovuti al fatto che qualcuno voglia privilegiare la copertura sul proprio paese (N. B., Al Arabiya) Nelle conversazioni informali emerge tuttavia come all’interno della newsroom si creino anche scontri e rivalità sulla base del paese d’origine o della particolare visione della situazione politica all’interno di tale paese. L’esempio più evidente di queste frizioni riguarda la “questione palestinese”; alcuni giornalisti non palestinesi ritengono che essa abbia un eccessivo spazio tra le vicende coperte dal canale, mentre altri giornalisti palestinesi, politicamente vicini ad Al Fatah ritengono che il canale esprima una linea troppo vicina ad Hamas. Questa riflessione serve a mostrare come l’elemento del distacco completo dalle vicende nazionali sia parte integrante dell’ “ideologia professionale” dei giornalisti sovrannazionali, nel significato che a questo concetto attribuisce Soloski (1989): an instrument in the hands of journalists and editors to naturalize the structure of news organization or media corporation one work for (pag. 207) Si tratta della maniera in cui i giornalisti costruiscono e legittimano, nel momento in cui le riportano narrativamente, le proprie pratiche professionali. Questo non significa però che le dinamiche interne alla redazione o il comportamento effettivo dei giornalisti rispecchi sempre tale descrizione. È ora fondamentale definire in che tipo di relazione i giornalisti panarabi in house si pongono con i propri corrispondenti, e con i giornalisti arabi che lavorano per i media nazionali, Il pubblico “panarabo” è l’unico soggetto nei cui confronti i giornalisti panarabi sentono di avere una responsabilità. 151 150 nella definizione di una comunità professionale di riferimento. A livello generale ai propri corrispondenti viene attribuito lo stesso livello di professionalità che si rivendica per sé: Quando vieni a lavorare per Al Jazeera devi decidere se vuoi essere un giornalista in house o un corrispondente, ma questo non dipende dal tuo livello di professionalità, ma dalle tue competenze o sensibilità specifiche: ci sono ottimi giornalisti da newsroom che non sono adatti a lavorare sul campo e viceversa (S. K., Al Jazeera) Tuttavia spesso i corrispondenti vengono biasimati per non essere in grado di prendere la giusta distanza dai fatti e di comprendere appieno l’impostazione editoriale di una news organization panaraba: Spesso succede che mi chiamino i corrispondenti per lamentarsi del fatto che ho scartato un pezzo, mi dicono: “Ma era una notizia importantissima!” Il punto è che non capiscono che era importante solo per il paese, ma non per la regione e quindi non per la nostra impostazione editoriale! (M. K., Al Jazeera) Effettivamente dobbiamo “monitorare” i nostri corrispondenti, sono troppo coinvolti nella vita del paese, io invece mi sento cittadino del mondo! (N. B., Al Arabiya) Emerge dunque una distinzione tra coloro che lavorano in house e i corrispondenti. I giornalisti in house sembrano infatti rivendicare per sé un ruolo di “supervisione” del lavoro dei colleghi sul campo, a garanzia che questo sia fair e nonpartisan. Non si vuole con questo affermare che i giornalisti in house ritengano i corrispondenti “meno professionali”, essi tuttavia li rimproverano di non essere sempre in grado di condividere lo stesso approccio internazionale alla notizia che caratterizza linea editoriale delle news organization panarabe. In che tipo di relazione si pongono, da un punto di vista dell’appartenenza o meno alla stessa comunità professionale, i giornalisti panarabi in house nei confronti dei giornalisti arabi impiegati nei media nazionali? È sicuramente nei confronti di questi giornalisti che, secondo l’idea di comunità professionale definita sulla base della libertà e della professionalità, i giornalisti panarabi in house esprimono un senso di maggiore distanza professionale. I giornalisti nazionali non vengono mai definiti “incompetenti” o “scadenti”, anzi spesso è manifestata una certa solidarietà nei loro confronti. Si tratta tuttavia di una solidarietà accompagnata da due elementi che mostrano un senso di superiorità: La convinzione di essere invidiati profondamente da questi giornalisti e la convinzione di fare due lavori “diversi”. L’idea che ogni giornalista arabo vorrebbe lavorare per Al Jazeera o per Al Arabiya è strutturale all’ideologia professionale dei giornalisti panarabi in house: Faccio molte interviste con giornalisti che ci mandano i loro CV, e so che per loro lavorare con noi rappresenterebbe il coronamento di un sogno. Pensano che lavorare con noi sarebbe la cosa migliore che potrebbe loro capitare a livello professionale…. e hanno ragione! (N. H., Al Arabiya) 151 Questi giornalisti si considerano dei privilegiati rispetto a coloro che lavorano all’interno dei sistemi nazionali, ritenendo di godere di un maggiore livello di libertà e potendo contare su risorse tecniche ed economiche che permettono di sviluppare maggiore professionalità. Nella pratica, noi e i giornalisti nazionali facciamo un lavoro diverso, solo noi siamo dei puri “service provider”, ovvero offriamo informazioni, loro, per come sono organizzati i sistemi nazionali dell’informazione, hanno sempre come compito quello di promuovere un’agenda, la loro mission non è nei confronti del loro pubblico. Questo non per colpa loro ma per una ragione strutturale (N. B., Al Arabiya). Sulla base di tutti questi elementi è possibile cogliere come, pur a partire da una definizione estremamente “ecumenica” della comunità professionale di riferimento, i giornalisti panarabi in house individuino elementi di distinzione tra sé e gli altri. 6.2 “Con la testa in paradiso e i piedi all’inferno”: i corrispondenti di Al Jazeera Al Arabiya al Cairo Il primo elemento da considerare, rispetto ai corrispondenti al Cairo delle all news panarabe e alla loro percezione della propria comunità professionale di riferimento, è quello della nazionalità. Si tratta infatti sia per lo staff di Al Jazeera che per quello di Al Arabiya di soli giornalisti egiziani152. È una condizione piuttosto peculiare, assai raramente infatti, nel contesto occidentale, gli uffici di corrispondenza impiegano giornalisti locali se non come stringer o collaboratori. I corrispondenti di Al Jazeera e Al Arabiya al Cairo sono invece tutti egiziani che vivono in Egitto, e questo ovviamente li pone in una posizione molto particolare nei confronti del sistema sociopolitico e mediatico nazionale. Questa condizione fa sì che questi giornalisti vivano, professionalmente, in una situazione “dissociata”. Essi infatti affermano di considerare i professionisti dei media egiziani come “colleghi a tutti gli effetti”, allo stesso tempo però nessuno dei corrispondenti panarabi sembra considerarsi in competizione con questi giornalisti. Questo è dovuto al fatto che i corrispondenti panarabi non si sentono parte del sistema dell’informazione egiziano, adducendo il differente grado di libertà editoriale come motivazione principale per tale distinzione. Noi non siamo parte del sistema dei media egiziani perché il sistema dei media egiziani è basato sulla dominazione da parte del governo e noi siamo indipendenti, tuttavia noi siamo tutti giornalisti egiziani e molto orgliosi di essere egiziani. (H. A. G. Al Jazeera) È interessante dunque vedere come la comunità che i corrispondenti panarabi sentono con i giornalisti dei media nazionali sia dovuta non tanto alla percezione di una vicinanza professionale (legata a condizioni e pratiche professionali) quanto ad un rapporto di “solidarietà” e “prossimità”. Questa solidarietà e prossimità non si traducono però né nella percezione di una competizione diretta. 152 E’ così per tutti gli uffici di corrispondenza delle due emittenti nella regione. 152 Per quanto riguarda i giornalisti egiziani io li considero colleghi ma non competitori e alcuni di loro sono davvero dei buoni amici. Loro hanno a che fare con restrizioni, e io mi sento molto male riguardo a questo, perché quando tu non puoi dire quello che devi dire questo è molto triste, non c’è libertà. (R.A.A. Al Arabiya) I corrispondenti panarabi hanno qualche difficoltà nel definire la propria comunità professionale di riferimento, da qui l’immagine “la testa in paradiso e i piedi all’inferno” usata nel titolo del paragrafo. Essi infatti, pur mostrando un forte legame con i giornalisti dei media egiziani e con il contesto nazionale, non si identificano nello stesso sistema informativo e si trovano in un dialogo professionale molto più serrato con i loro colleghi in house con i quali ogni giorno negoziano forma e contenuti del proprio lavoro. Io sono molto in contatto con i miei colleghi egiziani. Prima di tutto io sono un giornalista egiziano, ho lavato in Cairo Television e in Cairo Radio vent’anni prima di lavorare qui. I giornalisti egiziani sono miei colleghi e loro stanno tutti lottando per la loro libertà come me. Tuttavia c’è una differenza tra lavorare per una televisione satellitare indipendente come Al Jazeera o per un media egiziano (H. A, G., Al Jazeera) I corrispondenti panarabi comunque, anche nella loro quotidianità professionale, mantengono una forte relazione con il discorso giornalistico nazionale. Essi infatti affermano di leggere quotidianamente i giornali egiziani e di seguire i notiziari della televisione nazionale per tenere monitorata la rappresentazione degli eventi egiziani che si sviluppa su questi media. Esiste dunque in un certo senso un “dialogo” anche con i giornalisti dei media nazionali riguardo i temi che meritano di essere inclusi nel discorso giornalistico. Ciò che a questo punto è importante considerare è se, e in che modo, il sistema egiziano conferisca lo “status” di giornalista ai corrispondenti dei newsmedia panarabi. È già stato detto che all’interno del sistema egiziano soltanto i giornalisti della carta stampata sono ammessi al sindacato dei giornalisti, e sono pertanto riconosciuti dai pari parte della comunità dei giornalisti. I corrispondenti panarabi, sentendosi “giornalisti egiziani”, ritengono che dovrebbe essere un loro diritto essere parte del sindacato: Loro stanno cercando di tenere il sindacato dei giornalisti molto esclusivo. È una distinzione che io posso capire perché molti di quelli che lavorano nella televisione nazionale non hanno il background di giornalisti e loro vogliono mantenere la loro esclusività. Posso capire questa logica ma questo ignora che noi corrispondenti panarabi, come giornalisti televisivi, abbiamo il diritto di entrare nel sindacato (R. A. A., Al Arabiya) Questa dichiarazione evidenzia una contraddizione interessante: i corrispondenti panarabi, pur non sentendosi parte del sistema dei media egiziani si considerano “giornalisti egiziani” e pensano pertanto di meritare lo status di “giornalista” all’interno del sistema nazionale. Questo li porta a considerare l’ammissione al sindacato un diritto. Anche da un punto di vista strettamente legale i corrispondenti si trovano in una situa- 153 zione particolare e delicata: sono cittadini egiziani, lavorano in Egitto e pertanto sono soggetti alle leggi egiziane in materia di libertà d’espressione. Allo stesso tempo però sono in possesso di accrediti “stampa estera”, in quanto impiegati da news organization che non sono egiziane. Legalmente dunque non sono del tutto “giornalisti egiziani”: No non ci possono trattare come giornalisti egiziani, io sono egiziana ma sul mio accredito ho scritto foreign media. Non siamo trattati come egiziani, in alcuni meeting del presidente noi non possiamo andare perché sono riservati ai media egiziani. (R. A. A., Al Arabiya) Questo ovviamente non significa che il regime non abbia modo di farli sentire molto “egiziani” nel momento in cui intende fare presente che stanno spingendosi troppo oltre la linea, attraverso avvertimenti, processi e incriminazioni. Hussein Abdel Ghani, che guida l’ufficio Al Jazeera del Cairo, ha subito un processo con l’accusa di aver diffuso informazioni false nel corso della copertura degli attentati terroristici di Dahab nel giugno 2006. Il suo caso è molto interessante poiché egli è membro del sindacato dei giornalisti per aver lavorato diversi anni fa per un giornale egiziano, la sua membership tuttavia non è mai stata revocata pur essendo oggi il direttore dell’ufficio di corrispondenza di un’emittente televisiva “estera”. Le vicende giudiziarie che lo hanno riguardato sono state seguite dai “giornalisti egiziani”, rappresentati dal sindacato, come vicende che riguardavano “la comunità”: Io sono un giornalista egiziano, iscritto al sindacato dei giornalisti, per questo motivo, Hiaya Kallesh, il segretario generale del sindacato, era con me durante il mio processo, seduto al mio fianco, e il mio processo è stato un passo indietro nella cosiddetta “stagione delle riforme”. (Hussein Abdel Ghani, Al Jazeera) I piedi dei corrispondenti sono dunque ben piantati “all’inferno”, all’interno del sistema egiziano. Con tale sistema i corrispondenti sembrano intrattenere un rapporto complesso: allo stesso tempo dentro e fuori dalla comunità professionale nazionale. Nel momento in cui devono definire se stessi da un punto di vista delle pratiche professionali, il riferimento dei corrispondenti panarabi sembra essere quello del giornalismo transnazionale, dei giornalisti della loro news organization e delle altre news organization panarabe. Nel momento in cui invece devono definirsi in relazione ad una comunità di appartenenza, la dimensione nazionale si mostra prevalente. In nome della loro popolarità153 i corrispondenti panarabi sono comunque entrati a far parte del circolo di quelli che sono stati definiti “star della stampa egiziana”, pertanto il loro ruolo e il loro prestigio sociale è estremamente elevato. Nessun giornalista egiziano metterebbe in discussione il loro “status di giornalisti” e questo garantisce loro un posto di primo piano all’interno della “comunità interpretativa” dei giornalisti egiziani. 153 Tutta la comunità giornalistica nazionale segue quotidianamente, dentro e fuori l’orario di lavoro, i notiziari di Al Jazeera e Al Arabiya. 154 6.3 “Non siamo tutti uguali”, la comunità dei giornalisti egiziani Il numero di persone che lavorano all’interno del sistema dell’informazione in Egitto negli ultimi 10 anni si è notevolmente ampliato. Come si è trasformata la comunità professionale nel corso dello stesso periodo di tempo? In tal senso è importante definire che tipo di relazione si sia sviluppata tra tutti i soggetti che lavorano come “mediatori di inforazioni” e come sia oggi “conflittualmente” negoziata l’attribuzione dello status di “giornalista”. Il punto di partenza per questa riflessione resta quello dell’affiliazione al sindacato dei giornalisti, poiché tale affiliazione rappresenta, a livello legale, l’unico elemento di legittimazione professionale. Tabella N.3 I numeri del sistema egiziano (2006) Più di 10.000 4885 Giornalisti che lavorano nella carta stampata Giornalisti (della stampa) iscritti al sindacato 606 Giornalisti in attesa di approvazione iscrizione al sindacato 1400 Giornalisti che lavorano ad Al Ahram (non tutti iscritti al sindacato) -indicativo delle strutture della stampa semi-ufficiale- 162 Giornalisti che lavorano a Al Misr Al Youm compresi i corrispondenti (non tutti iscritti al sindacato) –il più grande dei giornali privati“Dipendenti” del servizio radiotelevisivo nazionale 30.000 Il sindacato resta un feudo dei giornalisti della stampa semi-ufficiale, essi rappresentano la stragrande maggioranza degli iscritti (il 75% secondo Kallesh 2005) e detengono le posizioni di dirigenza all’interno di tale struttura. Legalmente dunque “i giornalisti” restano coloro i quali lavorano per la stampa governativa. Tuttavia ci sono moltissimi giornalisti (tra i 7 e i 10 mila), in prevalenza giovani, impiegati nella stampa privata e anche nella stampa semiufficiale, che non sono iscritti al sindacato e dunque non godono dei vantaggi che tale iscrizione comporta. I giornalisti che lavorano nella stampa privata e sono iscritti al sindacato, sono in genere i direttori e i senior editor, affiliati già in precedenza quando lavoravano per la stampa semiufficiale. In ogni caso la loro presenza all’interno del sindacato garantisce la mobilitazione di quest’ultimo anche a tutela dei giornalisti che lavorano per i giornali privati. C’è comunque una prima frattura, all’interno della comunità della carta stampata, tra coloro che sono iscritti al sindacato, spesso più anziani e con ruoli di maggiore responsabilità e i giovani, anima della stampa privata154 che, in questo modo, sono esclusi dalla discussione, professionale e politica che ha luogo all’interno dell’organizzazione. Il più vecchio giornalista di Al Misr El Youm ha 41 anni e analogamente le redazioni degli altri giornali privati sono rette da giornalisti under 30. 154 155 Tuttavia la comunità dei giornalisti della stampa resta nel suo complesso piuttosto unita, e questo anche grazie alle battaglie comuni portate avanti dagli iscritti al sindacato. Inoltre non è da trascurare il fatto che alcuni giornalisti scrivono sia sulla stampa semi-ufficiale che su quella privata: Io lavoro nel più grande giornale dell’establishment, ma la mia attitudine è antigovernativa, tuttavia io non posso esprimere questa attitudine all’interno del mio giornale. Lo faccio però su altri giornali. Lavorare per Al Ahram mi serve per vivere, per avere un salario. Posso però offrire le mie idee e i miei pezzi ad altri giornali, privati o dei partiti d’opposizione (H. Y., Al Ahram). Questo elemento fa sì che i giornalisti dei giornali semi-ufficiali frequentino le redazioni dei giornali privati e abbiano contatti con i giornalisti che lavorano in esse. Non c’è dunque una netta separazione o un atteggiamento di chiusura. Sicuramente chi lavora per la stampa privata, insiste, nel descrivere il proprio lavoro sulle condizioni di libertà editoriale di cui può godere, anche in contrapposizione con coloro i quali lavorano per la stampa semi-ufficiale, ma l’appartenenza ad un'unica “comunità professionale” non è mai messa in discussione. Le star della stampa privata per altro provengono dalla stampa semi-ufficiale: Prima ero direttore di un settimanale governativo, Rose Al Youssef. E, anche se lavoravo per un giornale governativo, ho cercato di renderlo più libero, più indipendente. Per questo è nato un conflitto tra me e il governo, così ho lasciato Rose Al Youssef e ho fondato un giornale privato chiamato Sout el Umma. Sono fiero di dire che molti dei giornalisti che lavoravano con me a Rose Al Youssef oggi sono le star, i fondatori e gli animatori della stampa privata in Egitto. (A. H., Al Fajr) Giornalisti che provengono dalla stampa semi-ufficiale hanno creato redazioni di giovani e con esse lavorano a prodotti molto diversi rispetto a quelli dei giornali su cui si sono formati. Il passaggio da un sistema nel quale di fatto esisteva solo la stampa semi-ufficiale (affiancata ad una debole e partigiana stampa di partito) a un sistema che vede la presenza di una stampa privata estremamente aggressiva è stato molto rapido, per questo i confini tra i due gruppi di giornalisti sono piuttosto sfumati. Comunque il sindacato continua a funzionare da collante: Noi non facciamo differenza nella tutela dei giornalisti della stampa semi-ufficiale o della stampa d’opposizione, il lavoro del sindacato è quello di tutelare tutti i giornalisti egiziani (H. Y., Al Ahram) Ciò che unisce tutti i giornalisti della carta stampata è la profonda diffidenza nei confronti del sistema dell’informazione radiotelevisiva nazionale. Si tratta di una diffidenza “storica”, come è emerso nelle sezioni precedenti. Le due comunità continuano a mantenersi separate e a guardarsi con sospetto. Alcuni giornalisti della carta stampata tuttavia hanno anche ruoli di prestigio nella televisione. È il caso di Mahmud Saabd, il conduttore di Al Beit Beitak, il più seguito programma di approfondimento della televisione nazionale, che è anche caporedattore del periodico El Kawakib; situazioni di questo genere sono sempre più diffuse, ma questo per il momento 156 sembra non aver mutato la separazione delle due comunità a livello di cultura professionale. La regole di ammissione al nostro sindacato sono così perché i giornalisti e i producer televisivi sono impiegati governativi, sono officials e non hanno indipendenza. Loro volevano entrare nel sindacato ma il sindacato ha rifiutato e questo ha determinato molti problemi con il governo. La radio e la tv sono collegati al ministero dell’informazione. (Y. K., segretario sindacato giornalisti egiziani) Io penso che sia giusto che i giornalisti dei canali nazionali siano fuori dal sindacato dei giornalisti perché loro sono tutti “staff governativo” perché nel “giornalismo” (intende nella stampa n.d.r) tu puoi vedere la differenza tra un uomo che fa solo lavoro di desk e un giornalista, ma nella televisione, nella televisione governativa, non si può cogliere questa differenza, chi è un giornalista nella televisione? Chi può saperlo? (A. H., Al Fajr) Gli elementi su cui insistono i giornalisti della stampa per marcare la loro distinzione da quelli della televisione sono sostanzialmente due: uno politico e uno professionale. Il motivo politico riguarda il fatto che secondo gli uomini della stampa, quelli della televisione, in nome del loro rapporto diretto con il Ministero dell’informazione, sono più fedeli, o comunque più ricattabili dal regime. Accettarli nel sindacato, o comunque concedere loro lo status di giornalista, di “colleghi” significherebbe mettere a rischio il sindacato e la categoria. Il fatto di non avere condiviso le battaglie passate, unitamente al controllo capillare del sistema radiotelevisivo da parte del regime, ha mantenuto distanti le due comunità. Per i giornalisti della stampa semi-ufficiale, anch’essi in realtà controllati e stipendiati dallo stato (leggi regime), rimarcare una differenza nel livello di libertà editoriale con gli uomini della radio e della televisione continua ad essere un modo per attribuire valore al proprio lavoro e difendere una propria “professionalità” superiore: un modo per auto-legittimare il proprio status. Il secondo motivo di separazione riguarda l’idea che sia molto più “difficile” definire cosa sia il giornalismo televisivo e chi, all’interno del sistema radiotelevisivo, svolga realmente compiti da “giornalista” e chi invece faccia altro. Si tratta di una diffidenza dovuta prevalentemente all’esperienza nazionale, alla disorganizzazione che chiunque metta piede nell’edificio dell’ERTU può vedere direttamente. Tale dimensione è senz’altro molto interessante, poiché mostra chiaramente come la relazione tra sistema politico e sistema mediatico abbia influenzato l’elaborazione di una particolare cultura giornalistica e in particolare le relazioni tra i giornalisti e la percezione dei confini della comunità. I giornalisti della televisione nazionale, che manifestano un profondo orgoglio per i passi avanti realizzati dai servizi nazionali in termini professionali e di “libertà editoriale”, sembrano vivere la “discriminazione” degli uomini della stampa come una profonda ingiustizia. Nelle loro parole questa situazione di separazione è il frutto di una mentalità “vecchia”, di una miopia di fronte alle trasformazioni che il lavoro giornalistico starebbe vivendo anche nel paese, e soprattutto della paura degli uomini della stampa di perdere privilegi e di vedere messo in discussione il proprio ruolo politico. Per quanto riguarda il sindacato noi non ci siamo perché non ci vogliono, perché non ci considerano liberi. Noi dipendenti dell’ERTU siamo 30 mila, e loro hanno paura di perdere il con- 157 trollo sul sindacato. Ma noi siamo giornalisti! Lo abbiamo chiesto più volte ma loro hanno sempre rifiutato. (H. H., Nile Tv) Si, la storia del sindacato è una vecchia storia e il sindacato è molto indipendente e ha una funzione politica. Io voglio a breve avviare una discussione per stabilire chi è un giornalista e chi è un giornalista televisivo, noi dovremmo lavorare assieme a questo. (A. M., direttore news ERTU) I giornalisti della televisione si vedono privati ingiustamente del loro status e ritengono necessario che sia rimessa in discussione la negazione dello status di giornalista ai chi lavora nel sistema radio televisivo. Tra le due comunità dunque continua a manifestarsi una forte distanza e separazione a livello professionale. Dai questionari somministrati agli uomini della stampa (Questionario n. 1 e n.2)155 emerge come, per quanto riguarda l’informazione sui fatti egiziani, una buona maggioranza di questi ritenga di dover competere con i giornalisti panarabi per lo stesso pubblico. Gli uomini della stampa egiziana inoltre sembrano ritenere (Questionario n.3) che i giornalisti che lavorano per Al Jazeera e Al Arabiya abbiano un livello di professionalità estremamente alto e alcuni di loro li giudicano addirittura l’espressione del miglior giornalismo arabo contemporaneo. Questo significa innanzitutto che nei confronti dei giornalisti televisivi panarabi è assolutamente assente il pregiudizio legato al “medium” che caratterizza la relazione con i giornalisti della televisione nazionale. Questo elemento mostra come tale pregiudizio sia strettamente legato alle condizioni di sviluppo del sistema televisivo nel paese e dunque come le motivazioni di natura tecnica (“facciamo due lavori differenti”) evocate dai giornalisti della carta stampata per giustificare la loro diffidenza nei confronti degli uomini della televisione siano parte di un’ideologia professionale, utile a proteggere uno status privilegiato. È evidente inoltre come il successo delle televisioni all news panarabe stia ridefinendo decisamente l’immagine che gli uomini della carta stampata hanno del giornalismo e del giornalista televisivo. Laddove storicamente è sempre esistita una supremazia professionale e di libertà della carta stampata oggi essi stessi definiscono un esperimento di giornalismo televisivo come “la migliore espressione del giornalismo arabo contemporaneo”. Nelle narrazioni dei giornalisti dei giornali egiziani è spesso presente l’idea che i giornalisti panarabi con il loro lavoro stiano partecipando alla ridefinizione del sistema mediatico nazionale (Questionario n. 4 e n. 5). Questo significa che essi ritengono che, pur non essendo parte del sistema mediatico nazionale, di fatto i giornalisti transnazionali partecipino al processo di rinegoziazione delle pratiche giornalistiche nell’ambito di tale sistema. L’idea che i newsmedia panarabi abbiano offerto nuove possibilità di confronto per media egiziani e quindi ne abbiano migliorato la qualità sembra infatti essere condivisa da molti nella carta stampata egiziana (Questionario n.5). Questo dato è estremamente importante dal momento che lo stabilirsi di dinamiche di confronto tra soggetti è alla base dell’idea di comunità professionale. Ci troviamo dunque di fronte a un indicatore dell’esistenza di un confronto transnazionale tra giornalisti nazionali e giornalisti panarabi. 155 Le tabelle dei questionari sono presentate in un’apposita sezione alla fine del volume. 158 Una relazione particolare si configura ovviamente tra giornalisti nazionali e corrispondenti dei newsmedia panarabi. Questi ultimi infatti, che come è emerso sono tutti egiziani, sono fisicamente presenti sul territorio nazionale e possono interagire con gli uomini dei media egiziani. In tal senso i giornalisti della carta stampata mostrano (Questionario n.6) di considerare i corrispondenti coinvolti nella vita sociale del paese e nella sfera pubblica nazionale, tuttavia (Questionario n.7) non sembrerebbe esserci una forte interazione sul campo tra giornalisti nazionali e corrispondenti panarabi. Quest’ultimo elemento, come emerso nel corso delle interviste in profondità, potrebbe anche essere dovuto alla percezione di un rapporto competitivo con essi. La nostra relazione con i giornalisti di Al Jazeera è polivalente. In certi casi sono colleghi, in altri sono concorrenti, tutto insieme. In certi casi c’è collaborazione, per esempio nella ricerca di una fonte, a volte succede. Ma d’altra parte quando noi abbiamo uno scoop davvero grosso, sappiamo che per Al Jazeera è un buco. Quindi sia c’è competizione sia c’è cooperazione (H. K., Al Masri Al Youm) Si io credo che i canali satellitari e i loro uffici qui stiano giocando un ruolo importante. Noi siamo in una relazione di competizione con i corrispondenti dei canali satellitari qui in Egitto. Loro guardano quello che facciamo noi e noi guardiamo quello che fanno loro (A. H., Al Fajr) Anche per quanto riguarda l’ammissione al sindacato dei giornalisti, come risulta dalle parole dei dirigenti e degli attivisti, sembrerebbe essersi creato un senso di maggiore vicinanza ai corrispondenti delle televisioni panarabe che ai giornalisti della radio-televisione nazionale. Se si considera l’affermazione di Yahya Kallesh, della segreteria del sindacato dei giornalisti: “Il sindacato si comporta nello stesso modo sia che venga arrestato un giornalista di un media egiziano, sia di una televisione panaraba, sia di un giornale governativo, sia di un giornale di opposizione” appare evidente come l’unica categoria omessa sia quella dei giornalisti della televisione nazionale. Molto più conflittuale è la relazione che i giornalisti della televisione nazionale intrattengono con i giornalisti panarabi. Nel lancio di emittenti come Al Jazeera e Al Arabiya i giornalisti della radiotelevisione egiziana hanno visto una sfida al proprio lavoro e alla propria professionalità. Le all news panarabe li obbligano ad una competizione nella quale non hanno nessuna possibilità di vittoria, per ragioni economiche, di libertà editoriale e di organizzazione redazionale. Tutta la letteratura (El Nawawy-Iskandar, 2002; Sakr, 2001; Lynch 2006; Valeriani, 2005) è concorde infatti nell’affermare che i sistemi e gli uomini delle televisioni nazionali arabe si sono trovati nello scorso decennio ingaggiati, loro malgrado, in una competizione svantaggiosa156 che ne ha ulteriormente messo in discussione la credibilità agli occhi del pubblico e dunque anche il prestigio sociale. La reazione dei giornalisti televisivi egiziani a questa sfida è assolutamente difensiva. Da una parte essi dichiarano di accettare questa competizione e di essere disposti a confrontarsi alla pari con i giornalisti panarabi. Dalle loro parole emerge infatti la convinzione dell’esistenza di un terreno comune di “scontro” e di competizione. 156 Tale competizione è risultata invece vantaggiosa per le audience che hanno oggi la possibilità di scelta tra canali nazionali e canali panarabi nel momento in cui vogliono avere news sul loro paese, sulla regione e sul mondo. 159 Al Jazeera ha guadagnato popolarità solo perché è stata la prima a fare giornalismo in un certo modo, ma noi oggi siamo assolutamente competitivi. Il ministro crede in questo progetto e noi ora siamo grandi e forti come loro. Servirebbero più soldi, servirebbero più mezzi, ma stiamo facendo del nostro meglio. (H. H., Nile Tv) Non è possibile ignorare il lavoro di Al Jazeera e Al Arabiya, non puoi ignorare nessuno che è sul mercato, ma io non competo sulle strategie, io competo sul servizio, ma la competizione non è il mio obiettivo principale. (A. M., ERTU) All’opposto però i giornalisti della televisione nazionale, nelle loro descrizioni della situazione mediatica egiziana, cercano spesso di minimizzare il successo delle all news panarabe insistendo sul fatto che i media nazionali continuano, a loro giudizio, ad essere la prima fonte di informazione per gli egiziani. Può essere interpretata come una reazione di orgoglio professionale anche il fatto che essi si soffermino spesso sulla volontà di non impostare tutto il proprio lavoro soltanto sulla base della competizione con quello delle Tv panarabe. La televisione nazionale è ancora oggi la fonte principale di news locali per gli egiziani, poi ci sono i canali panarabi e poi i giornali. Quando preparo le news il mio obiettivo non è competere, il mio obiettivo è servire il contribuente ed essere professionale, questo intrinsecamente ci porta ad essere competitivi. (A. M., direttore news ERTU) Non credo che serva solo guardare e tentare di imitare Al Jazeera e i grandi competitors, bisogna continuare con i proprio progetti. Continuando sulla nostra strada io credo riusciremo a tenere il nostro posto. (N. S., Nile TV) Sembra che di fronte ad una competizione impari, i giornalisti televisivi egiziani preferiscano insistere sulle specificità del sistema nazionale, sulla necessità di continuare sulla propria strada, una strada prettamente “nazionale”. Essi rivendicano una conoscenza maggiore del pubblico egiziano, dei suoi interessi e del sistema nazionale in generale e sembrano vivere la competizione con soggetti esogeni come una trappola in cui temono di rimanere incastrati. Dietro a queste strategie discorsive di resistenza al transanazionalismo velocizzato si intravede comunque una complessa relazione con i giornalisti panarabi e il loro lavoro. Si tratta di una costruzione della propria identità professionale che, pur definendosi in nome di una specificità nazionale, lo fa in contrapposizione e in competizione con questi “altri” sempre presenti. 160 La natura della relazione con i “luoghi” del potere 7.1 Lontano dal palazzo. La relazione col potere dei giornalisti in house di Al Jazeera e Al Arabiya Analizzare una cultura professionale sulla base della relazione con i luoghi del potere non significa fare riferimento alla linea editoriale e politica di una o più news organization. Significa invece concentrarsi sulla percezione che i giornalisti hanno di se stessi e del proprio lavoro in relazione ai centri del potere. È dunque opportuno tenere distinta la linea editoriale di una news organization dai valori, più o meno condivisi, che caratterizzano la comunità di giornalisti che lavora per essa. Inevitabilmente però con tale linea editoriale i giornalisti si devono confrontare e allo stesso tempo possono -anche se in maniera diversa a seconda della posizione occupata- partecipare alla sua elaborazione. Analizzare la relazione dei giornalisti dei canali all news panarabi con i luoghi del potere implica sostanzialmente due cose. Innanzitutto impone di considerare la loro posizione e le loro relazioni rispetto ai centri del potere politico nella regione, in secondo luogo spinge a prestare attenzione alle modalità attraverso cui i finaziatori di questi canali si rapportano alle strutture editoriali di tali broadcaster. Per centri di potere a livello regionale si intende qui far riferimento a soggetti statali, dunque regimi politici che svolgono, o ambiscono a svolgere, ruoli di primo piano negli equilibri mediorientali (l’Egitto è uno di questi), ma anche attori non governativi e transnazionali come i movimenti dell’islam politico. Il primo dato rilevante rispetto a tale relazione è sicuramente quello della distanza, della separazione geografica in primo luogo. Le emittenti panarabe coprono tutta la regione, danno notizie che riguardano tutti i paesi del medioriente tuttavia, a differenza dei loro colleghi che lavorano per i media nazionali, i giornalisti panarabi non sono sottoposti a pressioni dirette da parte dei governi che sono al centro delle loro narrazioni. Più complesse possono essere le relazioni con soggetti e gruppi transnazionali –pensiamo alla Fratellanza Mussulmana- le cui reti si sviluppano a cavallo dei confini nazionali e si basano anche su relazioni personali. Tuttavia, anche rispetto a queste, il fatto di vivere nella bolla 161 protettiva della città di plastica di Dubai o nel deserto del Qatar determina, per i giornalisti panarabi in house, una condizione di distanza, di separazione. Questa distanza influenza notevolmente l’attitudine dei giornalisti panarabi in house nei confronti del potere politico. L’impossibilità da parte dei protagonisti delle notizie di influenzare la vita personale e professionale dei giornalisti panarabi in house svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo dei valori della loro cultura professionale. Mentre i giornalisti che lavorano per i media nazionali vivono, socialmente e professionalmente, all’interno di un sistema sociale e di potere dotato di un’ampia gamma di strumenti in grado di esercitare pressioni sul loro lavoro, i giornalisti panarabi in house vivono all’interno di un sistema separato dalla realtà regionale. Tale elemento di separazione favorisce sicuramente lo sviluppo di un’attitudine “contravening” (Von Korff 2003) nei confronti del potere, soprattutto per quanto riguarda i giornalisti di Al Jazeera. Non sarebbe corretto tuttavia definire i giornalisti panarabi come “contravening group” in quanto essi non sono impegnati in un conflitto all’interno di uno specifico sistema sociale ma si muovono in un ambiente transnazionale. D’altro canto nella definizione della propria posizione rispetto ai centri del potere politico, i giornalisti di Al Jazeera insistono molto su elementi di natura deviante: Indeed, this is what drives Al Jazeera to rethink all kinds of established powers, be they political, financial, ideological, military etc. We call to question all modes of power that intend to dehumanize man. Power, in its broader sense, which extends beyond the realm of politics, is by definition coercive and self-centred. (Wadah Kanfar in AA.VV. 2006, pag. 14) I giornalisti di Al Jazeera, almeno nella descrizione che essi danno dei propri valori professionali, si identificano marcatamente con le “masse” arabe e con i gruppi sociali che non detengono il potere. Questo avviene attraverso una presa di distanza critica nei confronti di una tradizione culturale e anche giornalistica che nel mondo arabo tenderebbe ad identificarsi con le elites politiche ed economiche: Unfortunately, some intellectual and media elites in the Arab world identify themselves with this power and look at the Arab people through these prisms of power. They do not refrain from classifying their people as “disordered, noisy, stupid masses and members of futile herds”. (Kanfar, ibidem) Non inserendo il loro ruolo all’interno di un sistema sociale specifico i giornalisti panarabi sentono un rapporto più diretto con il pubblico. Nel loro lavoro viene a mancare la dimensione del confronto immediato con il potere: While the official Arab media considered the viewer as a mere reciever of official political propaganda, Al Jazeera chose from the beginning to be the “voice of the voiceless”, thus curbing the deeply rooted impulse of the power towards control and dominance of the media. The Channel built a strong bastion to separate its newsroom from the influence of the lobbies of palaces. (Kanfar, ibidem). 162 Al contrario e più coerentemente anche con il contesto di Dubai, questa “separazione di fatto” dai centri di potere politico della regione determina, nella cultura professionale di Al Arabiya, un approccio al pubblico estremamente legato ad una logica di mercato. I giornalisti di Al Arabiya rifiutano infatti di definirsi in relazione a qualsiasi centro di potere, sia in senso “contravening” che in senso “strategic”, assumendo una posizione intrinsecamente “market oriented”: Noi siamo una “cultura del telecomando”, la gente dice questo l’ho già visto e cambia canale. Non è che noi guardiamo solo a piccole storie, noi copriamo anche la politica, tuttavia crediamo che la politica non sia così importante e cerchiamo nuove prospettive, prospettive differenti ogni giorno. (D. S., Al Arabiya) Esiste comunque uno spazio di negoziazione tra queste due posizioni, “contravening” e “market oriented”. Tale negoziazione è determinata sostanzialmente da due elementi: la competizione tra i due canali e il fatto che ci sia una grande mobilità di giornalisti tra Al Jazeera e Al Arabiya. La linea editoriale della news organization per cui lavorano influenza notevolmente i valori professionali che i giornalisti panarabi in house sottolineano nel momento in cui descrivono la loro relazione nei confronti del potere politico. Questo emerge con evidenza dalla compattezza con cui, a fronte di una significativa mobilità di professionisti tra le due news organization, i giornalisti di Al Jazeera e quelli di Al Arabiya tendono a definirsi rispettivamente “contravening” e “market oriented”. Questo determina soprattutto un tentativo di differenziazione rispetto al concorrente: Noi (Al Jazeera) siamo un canale politico, ci occupiamo di politica perché possiamo farlo, loro (Al Arabiya) puntano solo alle notizie economiche e al business, e questo perché hanno più red lines, e non vogliono rischiare troppo, preferiscono stare sull’economia (S. K., Al Jazeera) In Al Jazeera a mio avviso giudicano la qualità di una notizia a partire dal suo impatto politico, e guardano alla notizia da un solo punto di vista. Loro sono influenzati da alcuni editor e da persone influenti all’interno della redazione ad essere “pro islamisti”. Uno dei taboo da rompere all’interno degli equilibri di potere a livello regionale era quello di dare una piattaforma agli islamisti. Loro l’hanno fatto è il pubblico ha risposto in una maniera molto positiva, così loro hanno deciso di dare sempre più spazio agli islamisti, ritenendo che fosse un cavallo vincente. Ma adesso gli islamisti hanno molto potere nel canale e ne influenzano le scelte (N. H., Al Arabiya) Adel Iskandar in Is Al Jazeera alternative? Mainstreaming Alterity and Assimilating Discourse of dissent157 ha messo in discussione l’idea che Al Jazeera rappresenti realmente un medium “alternativo” o “contro-egemonico. Secondo Iskandar infatti, Al Jazeera risulterebbe “controegemonica” soltanto nella misura in cui incorpora, all’interno delle sue narrazioni giornalisti- 157 In Transnational Broadcasting Studies N.15, January-June 2006 (www.tbsjournal.com) 163 che, discorsi “subalterni”158 e dunque in qualche misura “contravening”. L’emittente tuttavia, nella visione dello studioso, proporrebbe sempre un bilanciamento e un equilibrio tra discorsi subalterni ed “establishmentarian narratives” limitando fortemente la propria natura “contravening”. L’idea di Iskandar è quella che l’essere “alternativo” e “subalterno” rappresenti per il canale soprattutto una strategia di marketing, una maniera per posizionarsi sul mercato. Un medium “alternativo” infatti è caratterizzato, secondo Atton (2002) e Downing (2001), da una struttura non gerarchica, dalla promozione di valori professionali alternativi (diversi da “imparzialità”, “obiettività” etc.) e da una gestione collettivistica anche da un punto di vista economico; si tratta di caratteristiche che non si riscontrano assolutamente in Al Jazeera. È opportuno soffermarsi anche sui rapporti con i soggetti transnazionali o con i nodi nazionali di organizzazioni “panarabe” o “panislamiche”. Alcuni giornalisti di Al Jazeera, nel corso di conversazioni informali, fanno riferimento a rapporti personali tra alcuni esponenti della dirigenza di Hamas e loro colleghi: “Quando arrivano quelli di Hamas, loro li vanno a prendere in aeroporto, sono molto amici”. Il fatto che all’interno delle redazioni dei media panarabi, tra i giornalisti, si faccia riferimento a reali o presunti rapporti con influenti soggetti politici regionali è un elemento rilevante. Significa che i giornalisti panarabi, in fondo, non si considerano completamente fuori dalla regione e dai suoi equilibri di potere. Queste relazioni emergono soprattutto nei discorsi dei giornalisti che hanno lasciato una o l’altra redazione e si sentono dunque maggiormente liberi di “rivelare” relazioni e tensioni che caratterizzano i due principali newsmedia panarabi. Di fatto dunque all’interno della cultura professionale negoziata tra i giornalisti panarabi in house la dimensione della relazione con i centri del potere politico159, governativi o meno, non scompare completamente. Essa emerge come “accusa” nei confronti dei concorrenti, o come un “appunto” nei confronti dei colleghi, ma non cessa di trovare posto nelle narrative dei giornalisti e dunque nelle rappresentazioni che essi hanno di sé e del proprio lavoro. Un discorso a sé va fatto per la relazione dei giornalisti panarabi con i finanziatori governativi e privati delle newsorganization per cui lavorano. Sia nel caso di Al Jazeera che in quello di Al Arabiya si tratta di importanti player regionali dotati di un significativo capitale di potere, tanto in termini politici che economici. Seppur soggetti estremamente diversi –uno stato (il Qatar) per Al Jazeera e un gruppo privato vicino alla monarchia saudita per Al Arabiya- entrambi hanno un significativo interesse nell’orientare il dibattito politico regionale e vedono nelle due all news uno “strumento di potere”. Tuttavia tanto il mito di Al Jazeera quanto la rincorsa di Al Arabiya si basano sulla costruzione di un’immagine di libertà editoriale in contrapposizione con le censure dei media nazionali. Si tratta di una condizione di cui sono ben consapevoli le proprietà di questi due canali Il termine “subalterno” è preso in prestito dagli scritti di Antonio Gramsci, che con esso si riferiva ai gruppi socialmente subordinati al dominio delle classi egemoni, nella fattispecie i proletari, i quali, per definizione, non erano né uniti né organizzati e, di conseguenza, si trovavano svantaggiati nel tentativo di costruire una coscienza di classe contrapponibile a quella di chi deteneva il potere. A partire da questo concetto si è sviluppata una scuola di ricerca (nata in India all’inizio degli anni Ottanta ma sviluppatasi globalmente) che si pone di analizzare i processi storici, politici e sociali a partire da una prospettiva “subalterna” appunto (cfr. S. Mezzadra 2002). 159 I Fratelli Musulmani, pur non rappresentando una forza di governo, ma anzi un’organizzazione “semi-illegale”, sono uno dei centri del potere politico e sociale in Egitto. 158 164 che, pertanto, fanno di tutto per suggerire l’esistenza di una distanza marcata tra sé e la newsroom, tra sé e la linea editoriale delle emittenti. Questo non significa che non esistano relazioni più o meno strette tra i giornalisti e la proprietà e che queste non influenzino gli equilibri all’interno della redazione. Spesso a livello informale tanto gli uomini della newsroom di Al Jazeera quanto quelli di Al Arabiya rivelano come la lealtà e la vicinanza alla proprietà e ai suoi obiettivi politici rappresenti, in alcuni casi, un importante elemento nel proprio destino professionale: Adesso hanno messo in quella posizione importante un ragazzo che non ha esperienza. È il figlio di un pezzo grosso però e si vede che questo ha contato (H. I., Al Jazeera) In ultima analisi è possibile affermare che Al Arabiya e Al Jazeera si trovano molto “vicine” a due importanti centri di potere regionale. Il loro posizionarsi rispettivamente in senso “market oriented” o “contravening” rispetto “al potere” può essere spiegato secondo tre ordini di motivazioni. Innanzitutto si tratta di un’immagine coerente con i differenti interessi delle due proprietà. In secondo luogo è parte di due diverse e contrapposte strategie di collocazione sul mercato, infine è coerente con un processo di legittimazione della propria identità professionale da parte dei giornalisti all’interno di tali progetti editoriali. Le relazioni politiche e i rapporti personali o strutturati con attori politici regionali diversi dai finanziatori (governativi e non governativi) sono comunque presenti e oggetto di discussione e anche di frizioni all’interno delle redazioni, tuttavia essi sembrano essere basati più su un’adesione ideologica piuttosto che su legami clientelari. Le “fedeltà” clientelari si misurano soltanto in relazione ai finanziatori principali, Qatar e Arabia Saudita. Così D. S., che ha lavorato prima per Al Jazeera e oggi lavora per Al Arabiya e dunque ha “abitato” entrambi le newsroom, ha descritto questa situazione: Le cose sono molto cambiate per quanto riguarda il Qatar. Prima che ci fosse una base americana, prima che il Qatar fosse così esposto nella politica regionale c’era poco da dire a riguardo, invece oggi le issue sul Qatar sarebbero molte, ma Al Jazeera non ne parla, preferisce non farlo, non può farlo per quieto vivere. Io non dico che Al Arabiya sia meglio, Al Arabiya è il canale dell’Arabia Saudita, noi sappiamo che è il canale dell’Arabia Saudita e ci sono molte cose che riguardano l’Arabia Saudita di cui noi non possiamo parlare, noi sappiamo che canale siamo: siamo un canale commerciale, con l’Arabia Saudita come investitore principale e sappiamo di cosa non dobbiamo parlare. 7.2 “Separati in casa”, la relazione col potere politico dei corrispondenti di Al Jazeera e Al Arabiya al Cairo I corrispondenti al Cairo dei canali panarabi si trovano in una relazione piuttosto complicata con il potere. Essi infatti lavorano, da cittadini egiziani, all’interno del sistema sociopolitico nazionale. La loro rete di relazioni all’interno del sistema è pertanto estremamente capillare 165 e comprende sia i luoghi del potere politico sia i soggetti che ricoprono ruoli d’opposizione allo status quo160. Questi giornalisti tuttavia insistono molto sulla maggiore distanza rispetto al regime e agli altri centri di potere che, se confrontata a quella dei giornalisti nazionali, caratterizza la loro posizione. Secondo i corrispondenti panarabi infatti anche i media privati, in quanto legati ad editori e a finanziatori nazionali,161 si mantengono più vicini agli equilibri di potere nazionale. Dalle loro parole emerge spesso la rivendicazione di trovarsi in una posizione meno vincolata alle reti di fedeltà clientelare che si strutturano dentro e fuori dalle redazioni dei media egiziani: Al Jazeera ha un altissimo grado di libertà e dà ai suoi giornalisti un ampio spazio di manovra. Questa è la cosa più importante nel giornalismo; per esempio se io ho un intervento dopo cinque minuti, nessuno mi chiede che cosa dirò nel corso di questo intervento, è questo è molto importante perché quando parlo io mi sento tranquillo. Nessuno mi dice: “per favore fai un po’ di critiche a Mubarak, fai un po’ di critiche sull’Arabia Saudita”. (H. A. G., Al Jazeera) Questi giornalisti comunque mostrano di avere una chiara consapevolezza della propria posizione, sia rispetto ai centri di potere sia in relazione ai gruppi “contravening”, e dell’importanza di tale posizionamento nello svolgimento dei propri compiti professionali. Ora per fortuna anche nel nostro governo ci sono persone che dicono che il nostro lavoro è eccellente e molto importante anche per loro perché gli dà l’opportunità di capire i problemi. Questa è una new wave, fatta di persone giovani, di politici giovani, anche di ministri che ora ci cercano, vogliono che copriamo i loro eventi, mentre prima ci tenevano lontano (H. A. G., Al Jazeera). Esistono dunque, stando alle parole dei corrispondenti panarabi, occasioni di discussione con gli officials e con gli esponenti del regime in merito alle coperture che essi danno delle vicende nazionali. Soprattutto questa “new wave”, i ministri e i funzionari più giovani, mostrano nella relazione con questi giornalisti un’attitudine più distesa, e questo sembrerebbe facilitare una relazione più stretta. Sembrerebbe esserci un’intesa maggiore con questi “giovani” che iniziano a mostrare disponibilità alla collaborazione permettendo la strutturazione di un rapporto di maggiore vicinanza: Prima, quando andavo da un ospite a chiedere un soundbites di 20 secondi quelli spesso si offendevano perché non erano abituati a dichiarazioni così brevi, ma a lunghe interviste, programmate, seduti, tranquilli, ora molti esperti e molti officials capiscono quale è il concetto di notizia di una all news satellitare e sono maggiormente disponibili (R. A. A., Al Arabiya) Dunque si può parlare di una relazione piuttosto complessa con i centri del potere. Tra i vertici del regime c’è chi adotta e promuove istanze estremamente repressive nei confronti dei corrispondenti delle emittenti panarabe, come nel caso dell’arresto di Hussein Abdel Ghani in seguito alle coperture degli attentati di Dahab nel 2006; ci sono al contrario altri soggetti con i 160 161 Come accade molto spesso per gli operatori dell’informazione. Secondo la Legge N.96 del 1996. 166 quali questi giornalisti iniziano ad avere un rapporto meno conflittuale e di maggiore dialogo, ovvero di maggiore vicinanza: Io non posso dire che siamo regolati in qualche modo o che abbiamo una forma di censura, ma comunque se tu fai qualcosa che a loro non piace te lo fanno sapere, in molti modi, magari ti fanno una telefonata…. (R. A. A., Al Arabiya) I corrispondenti panarabi tuttavia insistono molto (Questionario n.8) sulla loro determinazione a mantenersi lontani dai luoghi del potere cercando di presentare opinioni che normalmente non vengono presentate dai media nazionali. Nella cultura professionale dei corrispondenti panarabi l’idea di mantenere reti di relazioni lontano dai centri di potere è un elemento fondamentale. Si tratta di reti che possono essere utili per ottenere notizie “scomode” per il regime e dunque in grado di contribuire a costruire l’immagine di questi canali come alternativi all’informazione dei media nazionali. Proprio oggi sono riuscita a mandare in onda un grande scoop, un’intervista che ho realizzato con il leader delle Gama’at Al Islamiya, i responsabili degli attacchi terroristici degli anni ’80 e ’90. Erano mesi che lavoravo a questa cosa, è una notizia molto importante, una cosa impensabile sui media nazionali. (R. A. A., Al Arabiya). Io ho costruito un network molto solido e quando stavo coprendo gli attentati in Sinai molti dei top officials del governo erano furenti perché sapevano che io sapevo tutto quello che accadeva. Io ho una rete di fonti informali che funziona perfettamente (H. A. G., Al Jazeera). I corrispondenti di Al Jazeera e Al Arabiya, soprattutto i direttori degli uffici, sono tra le “star” del giornalismo e sono dunque, per certi versi, in una relazione di grande vicinanza rispetto ai centri del potere politico ed economico nazionale. D’altra parte però la linea editoriale, la struttura organizzativa e le modalità di lavoro delle loro news organization, li porta a sviluppare un approccio al potere molto lontano dalle logiche di dipendenza clientelare che caratterizzano storicamente il paese. Tale elemento si ripercuote poi sui valori della loro cultura professionale che sviluppa sostanzialmente una natura “contravening”. 7.3 Ancora “mixed legacy”? I giornalisti egiziani e il loro rapporto con il potere Sulla base del lavoro di Von Korff (2003) i giornalisti egiziani sono stati definiti, in relazione alla loro vicinanza o lontananza dal potere, come una “mixed legacy”, ovvero una comunità all’interno della quale si sono sviluppate moltissime differenze nella relazione con “i poteri” all’interno della società. Tali differenze sono dovute all’orientamento politico delle diverse testate, al ruolo occupato all’interno della redazione, all’affiliazione o meno al sindacato, allo stipendio percepito e alla posizione politica. Questa condizione di lungo periodo ha subito, nel corso degli ultimi dieci anni, un’ulteriore spinta: il posizionamento dei giornalisti egiziani rispetto ai “centri di potere” è oggi ancor più differenziato. 167 Sicuramente il boom della testate private ha offerto una tribuna per giornalisti con un’attitudine marcatamente critica nei confronti del regime. Il simbolo di questi giornalisti è incarnato da figure come Adel Hamuda e Ibrahim Issa, direttori di Al Fajr e Al Dustur. All’interno delle redazioni che questi due giornalisti dirigono, l’idea che sia fondamentale porsi in una posizione critica nei confronti del regime è estremamente diffusa, a partire dai direttori fino ai giovani giornalisti. Quando lavoravo come direttore di Rose Al Youssef il fatto che io ritenessi che fosse fondamentale per fare giornalismo essere liberi e indipendenti dal governo mi ha messo in aperto conflitto con il regime, così io me ne sono andato e ho fondato un giornale privato sulla base di questi valori (A. H., Al Fajr) Il giornalista deve sentirsi libero di scoprire la verità, anche attaccando il governo e il presidente senza paura di mettersi in conflitto con esso (I. I., Al Dustur) Un giornalista deve essere in grado di mettere a nudo la corruzione del potere e per tanto deve stare lontano dal potere (Questionario Al Fajr 1) Spesso ci troviamo di fronte a “imbrogli” e “finzioni” preparate dal regime per l’opinione pubblica: ad esempio le elezioni presentate come libere e aperte a tutti. I giornalisti devono smascherare queste finzioni (Questionario Al Dustur 1). I giornalisti che lavorano per la stampa semi-ufficiale e per la televisione nazionale, soprattutto quelli che ricoprono gli incarichi di maggiore responsabilità e remunerazione, insistono invece su una loro relazione virtuosa con il regime e su come essa non precluda la possibilità di lavorare in maniera professionale: È stato il ministro a chiedermi di venire a lavorare qui, e se lo ha fatto significa che credeva che il mio modo di lavorare fosse quello che serviva all’informazione televisiva in Egitto. Chi mi ha messo qui sa che io sto cercando di portare un concetto di giornalismo professionale qui. Per questo io ho accettato perché il ministro voleva quello che io potevo dare. (A. M., direttore news ERTU) Il presidente Mubarak ha grande stima di me, anche se le mie posizioni non sono filo-regime lui sa che io lo stimo e mi stima molto (S. D., Akhbar el Youm) I giornali di partito infine rappresentano ancora un terreno di scontro politico interno e di lotta per il potere molto forte per i partiti d’opposizione: Commonly, the dominant faction in the party dominates the paper. The frequent inside struggles of parties are always reflected in their papers. These parties are an expression of their internal factions, and when one faction prevails over the other, the first thing it will do is to change the paper’s leadership and bring in a new team. The fate of the previous team, if it does not comply with its situation, is a complete freeze or total death (Qutub al-‘Arabi citato in Von Korff 2003, pag.169) 168 A detta di molti osservatori una situazione di questo genere vincola i giornalisti che lavorano all’interno delle redazioni dei giornali di partito nello svolgere il loro lavoro e li lega alle dinamiche politiche interne della formazione che possiede la testata. Si tratta ovviamente di una forma di clientelarismo: la propria fedeltà alla linea vincente viene premiata mentre, nel momento in cui si “scommette sul cavallo sbagliato”, si può facilmente perdere il lavoro. Tuttavia sarebbe estremamente fuorviante, come rileva anche Von Korff (2003) distinguere la relazione dei giornalisti con il potere solo sulla base della testata per cui essi scrivono e della linea editoriale di tale testata. Come è già stato rilevato, la comunità dei giornalisti egiziani è molto stratificata e questa stratificazione è trasversale alle differenti testate e alla loro proprietà. Al vertice ci sono “le star” del sistema, un’elite con rapporti molto vicini ai centri del potere nazionale: i vertici dei media semi-ufficiali sono ovviamente molto vicini ai vertici del regime, mentre quelli della stampa privata sono in stretto contatto con alcuni degli esponenti dei vertici del potere economico nazionale che finanziano le loro pubblicazioni. Io credo che i proprietari di Al Masri Al Youm vogliano avere un “buon giornale”, ma non credo che abbiano idea di cosa questo significhi per questo hanno avuto l’idea di far fare le cose ai professionisti. Per esempio, io non penso che Sawiris che è un grandissimo businessman abbia idea di come si fa un giornale, per questo mi ha chiamato e lascia fare a me. (M. S., Al Masri Al Youm) È una comunità ristretta e molto prossima ai luoghi del potere nazionale, i cui membri si conoscono tra loro conoscono bene le elite politiche. Al di là della linea dei media che dirigono o per cui scrivono, e al di là delle denuncie e delle vicende legali che li coinvolgono, queste “star” sono vicine ai luoghi del potere e con essi dialogano e si scontrano. Si tratta di un legame clientelare o conflittuale, “strategic” o “contravening”, ma che in ogni caso dota questi opinion leader di un loro capitale di potere personale. Al di sotto di queste star si apre il mondo dei “giornalisti comuni”. Tra gli iscritti al sindacato esiste un numero piuttosto contenuto di “attivisti” e una maggioranza di soggetti sostanzialmente non interessati alla dimensione politica della vita sindacale ma piuttosto alla tutela dei privilegi corporativi. Per avere un ruolo attivo all’interno del sindacato bisogna essere “attivisti” e gli attivisti sono una piccola parte degli iscritti. Io e K. ad esempio siamo attivisti da tanti anni, e oggi K. ha un ruolo all’interno del consiglio direttivo. Tra gli attivisti ci sono persone con obiettivi molto diversi ma comunque sono una minoranza. (H. Y., Al Ahram) Gli attivisti che esprimono una linea critica nei confronti del governo tendono ad enfatizzare l’indipendenza del sindacato dal regime: Noi abbiamo circa 5000 giornalisti nel nostro sindacato, il 70 -75 % lavora per la stampa semiufficiale. Tuttavia la relazione tra il sindacato e il governo è di indipendenza, e dice quello che vogliono i giornalisti. L’estabishment è isolato all’interno del sindacato e tutti i giornalisti contano allo stesso modo (Y. K., sindacato giornalisti) 169 Questa posizione trascura il fatto che alcune delle persone che occupano posizioni chiave all’interno dell’organizzazione di categoria intrattengono legami clientelari molto stretti con il regime; inoltre, se è vero che il sindacato sta continuando ad esercitare in molte situazioni un importante ruolo politico di opposizione nel dialogo con il regime, quest’ultimo può contare su uomini fidati all’interno del direttivo e sulla presidenza del sindacato. Il regime può comunque contare soprattutto sulla passività delle grande maggioranza degli iscritti (cfr. Von Korff 2003) più preoccupati di migliorare la loro posizione da un punto di vista economico che di incrementare il livello della libertà d’espressione o tenere alto lo scontro con il regime. Questi giornalisti, che ricoprono posizioni mal retribuite e di secondo piano nelle redazioni, sono ovviamente più facilmente cooptabili all’interno di logiche clientelari. Essi “vivono” molto lontani dai luoghi del potere ma il regime ha strumenti efficaci per dialogare con loro: promesse di benefici e minacce di punizioni in cambio di appoggio e fedeltà. Alla relazione nei confronti dei centri del potere politico di questa maggioranza di “iscritti passivi” si può assimilare quella di molti162 dei dipendenti della radio e della televisione nazionale. Le loro condizioni di lavoro sono per certi versi simili a quelle dei giornalisti di serie B della stampa semi-ufficiale: disorganizzazione e cattiva retribuzione accomunano questi due mondi. Tra gli “impiegati della televisione”163 e gli “iscritti passivi” al sindacato non c’è dunque grande differenza nella relazione con il potere: la loro priorità è quella di migliorare le proprie condizioni di lavoro e dunque di vita. La relazione con il potere di questi “soggetti passivi”, tanto all’interno del sistema della televisione quanto all’interno di quello della carta stampata, è dunque funzionale alla volontà di ottenere miglioramenti della propria condizione personale: terreno fertile per l’ulteriore sviluppo della già ben nutrita e frastagliata pianta delle clientele. Nella posizione di maggiore distanza dai centri di potere nazionale troviamo coloro che lavorano come giornalisti all’interno del sistema della stampa e non sono iscritti al sindacato. Questi soggetti sono un numero circa pari a quello dei membri del sindacato164, e si tratta per la maggior parte dei casi di giovani. Nell’ultimo decennio tuttavia, con il boom della stampa privata, le file di queste matricole, grazie ai reclutamenti dei nuovi giornali lanciati sul mercato, si sono ampliate notevolmente. Si tratta per la maggior parte di giovani precari che Von Korff (2003) definisce “non-organized journalists”; essi molto spesso tengono in piedi il lavoro ordinario delle redazioni scrivendo tutti i pezzi che non sono gli editoriali delle grandi “star”. I giovani della stampa privata stanno diventando sempre più numerosi all’interno del sistema egiziano e molto spesso sono l’espressione della visione più innovativa del giornalismo nel paese. Questi giovani giornalisti “non organizzati” della stampa privata, poiché più lontani dai centri del potere politico del regime e cresciuti in un ambiente meno regolato dai Restano escluse ovviamente le “star” e i dirigenti della televisione che godono di condizioni di impiego molto differente, così come hanno modalità molto differenti di relazione con il potere. 163 Così i giornalisti della carta stampata definiscono con una punta di disprezzo i colleghi della televisione e della radio. 164 Secondo alcuni anche di più. Negad Borae’i avvocato specializzato in diritto dell’informazione sostiene che, secondo i dati in suo possesso, questi giornalisti sarebbero il 55%-60% del totale di coloro che svolgono compiti da giornalista all’interno del sistema della carta stampata. 162 170 rapporti di fedeltà clientelare, sono quelli che nel descrivere i propri valori e la propria professione fanno meno riferimento alla loro relazione, costruttiva o conflittuale che sia, con il potere. Tuttavia essi rappresentano una sorta di “proletariato professionale” e, se da una parte essi sono meno legati sia direttamente (a causa della proprietà privata dei loro giornali) che indirettamente (a causa della loro non affiliazione al sindacato) ai gruppi strategici dello status quo, allo stesso tempo non hanno molta voce in capitolo nella negoziazione dei valori della cultura professionale. In quanto precari, essi sono comunque “deboli” ed estremamente dipendenti, per quanto riguarda il loro futuro professionale, dalle decisioni dei loro direttori e dei giornalisti senior all’interno delle loro redazioni. Per vedere se e quanto l’essersi formati all’interno del contesto della stampa privata abbia mutato la loro idea della relazione con il potere sarà necessario aspettare che questi giovani giornalisti “crescano” e occupino posizioni di primo piano. 171 Il ruolo dei giornalisti nella società 8.1 Una responsabilità fuori dalla società? I giornalisti in house di Al Jazeera e Al Arabiya Si è già sottolineato come i giornalisti panarabi in house tendano a definirsi soltanto in relazione al loro pubblico, un pubblico transnazionale, e tendano a rifiutare un’identificazione con un particolare sistema sociale e politico. Si tratta di un elemento di forte rottura rispetto alla cultura giornalistica araba: Mellor (2005, pag. 81) parla, per tutto il contesto arabo, di “news as social responsability”. In questo concetto è implicita l’idea della centralità del rapporto tra giornalisti, fonti (in prevalenza officials e soggetti politici in generale) e pubblico: si tratta di una “responsabilità” che il sistema dell’informazione si assume nei confronti di entrambi gli altri due soggetti sociali165. I giornalisti in house delle emittenti panarabe sembrano voler rifiutare questo rapporto a tre vertici preferendone uno più diretto ed esclusivo con il pubblico: Sembrerà sciovinista ma io considero le fonti come semplici strumenti. Sono tutti strumenti della nostra copertura giornalistica. Loro vogliono dominare l’opinione pubblica, ma per noi sono solo strumenti, non sono il nostro obiettivo, non ci interessano (N. H., Al Arabiya) Schema N. 3 Pubblico giornalisti Giornalisti Pubblico Officials 165 Responsabilità che può essere anche esercitata in maniera critica, ma che comunque implica un dialogo, una negoziazione. 173 Lo schema n.3 presenta queste due differenti modalità di intendere la propria responsabilità a partire da una prospettiva relazionale. Nella figura di sinistra viene presentata la modalità “tradizionale” di responsabilità, una responsabilità sociale legata ad un preciso contesto sociale. La figura di destra mostra invece l’idea di responsabilità che emerge dalle parole dei giornalisti in house dei canali panarabi: un legame diretto e unico tra un pubblico transnazionale e i giornalisti, un legame cioè che non fa riferimento a nessun sistema sociale: La mia unica responsabilità è verso il mio pubblico. Devo scegliere notizie che interessino tutto il mio pubblico (N. B., Al Arabiya) Il giornalismo è prima di tutto responsabilità, responsabilità verso il pubblico. Se perdi la tua audience è come se perdessi la tua vita. Per questo noi dobbiamo stare attenti nella scelta che facciamo, perché la gente non deve perdere la fiducia in noi e per questo la selezione è la nostra prima responsabilità. (S. K., Al Jazeera) Al Arabiya opera all’interno della “media city” di Dubai, una free zone all’interno della quale vige un sistema legale differente da quello dell’emirato del Golfo. La regolamentazione all’interno di tale spazio, pur prevedendo alcune limitazioni prevalentemente di natura morale, non presenta indicazioni di natura prescrittiva. Per quanto riguarda Al Jazeera, il sistema che regola la libertà d’espressione in Qatar sembra non toccarla, considerato che la sua immunità è garanzia del prestigio che da essa l’emirato trae. Anche questa cornice legale così evanescente, e all’interno della quale non si richiede nessun ruolo “educativo” a questi media panarabi, contribuisce a determinare i valori della cultura professionale che accomunano i loro giornalisti. Essi non si devono confrontare con sistemi legali repressivi, minaccie, arresti o sanzioni. Tale elemento, unitamente alla natura transnazionale dell’audience, ricopre un ruolo centrale nel determinare tanto lo sviluppo di una relazione esclusiva con il pubblico quanto la volontaria rinuncia all’esercizio di una funzione “educativa” nei confronti di esso: In Al Arabiya noi giudichiamo la qualità di una storia in base alla sua newsworthiness, non ci interessa se è politicamente importante o politicamente non importante, il nostro ruolo non è educare la gente ma obbedire ai desideri della gente. Interessa o non interessa alla gente? Questa è la nostra domanda e la nostra responsabilità (N. H., Al Arabiya) Noi non siamo un partito e non siamo degli insegnanti. Noi copriamo il mondo intero e non pensiamo di dover insegnare alla gente quale sia il sistema politico migliore o quale ordine sociale debba essere preservato. Il nostro scopo è far si che ciascuno abbia la possibilità di esprimere il proprio punto di vista. (A. S., Al Jazeera) I giornalisti panarabi in house sembrano dunque rifiutare l’idea del “development journalism”, ovvero l’idea che il ruolo degli operatori dell’informazione debba essere quello di soggetti attivi nella promozione dello sviluppo delle comunità cui procurano notizie. 174 Non credo che un news channel debba avere un’agenda, qualunque essa sia, anche di portare la democrazia. Lo scopo di un canale è quello di avere quanto più pubblico possibile offrendogli un servizio di news. (N. H., Al Arabiya) Quando parliamo di democrazia non pensiamo che dobbiamo dire alla gente “voi avete bisogno della democrazia”, o scegliamo una prospettiva alla democrazia, che sia quella americana o che sia quella di qualcun altro. Noi non siamo un partito e non diciamo “noi vogliamo stabilire la democrazia nel mondo arabo”. Questo non è il nostro scopo. (A S., Al Jazeera) Il ruolo sociale che questi giornalisti percepiscono per sé è quello di “information provider”, di fornitori di informazioni al pubblico e in questo identificano una missione, un ruolo sociale al di fuori della società: dare al pubblico le informazioni che il pubblico non può avere in altro modo. Questa mission è comunque sentita come una responsabilità nei confronti del pubblico secondo l’idea per cui, rispondendo ai desideri informativi dell’audience, si può svolgere un ruolo sociale più importante di quello che si svolgerebbe operando attivamente all’interno dei sistemi sociali: Nella pratica, noi e i giornalisti dei media nazionali facciamo un lavoro diverso, solo noi siamo dei puri “service provider”, ovvero offriamo informazioni, loro, per come sono organizzati i sistemi nazionali dell’informazione, hanno sempre come compito quello di promuovere un’agenda, la loro mission non è nei confronti del loro pubblico. Questo non per colpa loro ma per una ragione strutturale (N. B., Al Arabiya). Io non credo che la televisione abbia un ruolo privilegiato, non credo che la televisione sia uno strumento per cambiare il mondo. Io non credo che la televisione debba sgridare la gente. Se io pretendo di dire alla gente cosa deve fare non faccio niente di nuovo rispetto a quello che è successo fino ad ora nella regione: qualcuno dice agli altri cosa devono fare. Se tu ti limiti a presentare delle opzioni alla gente invece fai qualcosa di nuovo. La nostra missione deve essere quella di far pensare la gente con la propria testa ( D. S., Al Arabiya) Io credo che il modo in cui lavoriamo possa essere utile per tutti i sistemi sociopolitici della regione, per migliorare la relazione con i media dell’informazione e l’ attitudine nei confronti della libertà d’espressione. Credo inoltre che questo aiuti anche le società per essere più aperte e individuare i propri problemi, questa è la questione centrale, e la nostra missione. (A J., Al Jazeera) L’ideologia professionale che emerge si può assimilare, da un certo punto di vista, alla definizione che Hannerz (2004) dà di “cosmopolitismo”: una responsabilità sociale in grado di andare oltre lo stato-nazione. Per comprendere davvero la portata e la natura di quest’elemento dell’ideologia professionale dei giornalisti panarabi in house è necessario chiarire quali siano a loro giudizio gli interessi del pubblico e i suoi bisogni in termini infromativi. Attorno a questo si gioca una forte competizione e conflittualità tra i giornalisti di Al Jazeera e quelli di Al Arabiya. 175 Al Arabiya ha più red lines di noi, per questo loro si occupano più di business e di economia, la metà delle loro news è business. Loro fanno così per non disturbare nessuno, ma in questo non fanno un servizio per tutti, ma solo per gli arabi “ricchi”, quelli dell’Arabia Saudita, che sono i loro finanziatori (S. K., Al Jazeera) In Al Arabiya noi giudichiamo la qualità di una storia in base alla sua newsworthiness, non ci interessa se è politicamente importante o politicamente non importante. In Al Jazeera, a mio avviso, giudicano la qualità di una notizia a partire dal suo impatto politico, e guardano alla notizia da un solo punto di vista. Loro giudicano una storia da un punto di vista politico e noi da un punto di vista professionale. (N. H., Al Arabiya) Intorno a che cosa significhi offrire un servizio per il pubblico c’è dunque uno spazio di negoziazione tra i giornalisti di Al Jazeera e quelli di Al Arabiya che, partendo da queste due posizioni, sono costretti, nell’ambito di un rapporto concorrenziale, a confrontarsi gli uni con gli altri. Nella determinazione del ruolo del giornalista nella società, i giornalisti in house si confrontano direttamente e quotidianamente anche con i loro corrispondenti con i quali viene portata avanti una continua e serrata negoziazione lungo tutto il processo di newsmaking. Le posizioni che i giornalisti in house assumono nel corso di tale processo sono determinate anche dall’idea che essi hanno del proprio ruolo sociale e dal modo in cui, secondo loro, gli altri soggetti percepiscono tale ruolo. Questo emerge chiaramente dalle parole dei responsabili dell’assignment desk166 di Al Jazeera e di Al Arabiya: Il nostro problema con i corrispondenti riguarda le news politiche perché loro poiché sono locali, poiché vivono nel loro paese, finiscono per prendere una posizione, per sostenere una posizione e per immaginare il loro ruolo come un ruolo attivo, e così noi dobbiamo monitorarli quotidianamente e discutere con loro, e questo succede in Egitto, come in Libano o in Palestina. Dobbiamo monitorarli con molta attenzione e discutere assieme a loro per trovare la giusta prospettiva per ogni storia. Per cercare di controllare questi “impulsi all’attivismo” dei corrispondenti, nel momento in cui bisogna coprire eventi importanti noi affianchiamo sempre ai corrispondenti una troupe proveniente da qui, da Doha, in modo che abbia uno sguardo esterno, meno coinvolto nelle vicende del paese (M. K., Al Jazeera) Il fatto che i nostri corrispondenti siano locali da un certo punto di vista è negativo perché il corrispondente a volte comincia a sentirsi “parte della storia”, a sostenere una posizione, a voler esercitare un ruolo, e questo ci procura lamentele, dai governi o dalle opposizioni. Per questo dobbiamo prendere precauzioni, noi controlliamo sempre tutte le proposte dei nostri corrispondenti in modo da avere un “fair and balanced report” (N. B., Al Arabiya). Questa negoziazione in alcuni casi diventa un conflitto aperto, un conflitto che ruota attorno proprio alla responsabilità del giornalista nella società. Lavorare nella news room centrale o lavorare sul campo porta evidentemente ad intendere la funzione del giornalista in E’ il desk responsabile della relazione con gli uffici di corrispondenza, quello che gestisce la scelta delle proposte che arrivano dai corrispondenti, fa le richieste delle modifiche, delle integrazioni etc. 166 176 maniera molto diversa. Sono due posizioni che continuamente devono trovare una mediazione: Durante queste discussioni con i corrispondenti che magari vogliono a tutti i costi proporre una storia dalla Palestina ad esempio, che è il mio paese, se io insisto dicendo che non è importante, loro provocatoriamente mi dicono: tu non sei un vero palestinese. Io gli rispondo: “Personalmente io supporto Hamas completamente, come palestinese, ma come news producer qui a Doha io non sono palestinese”. Capita spesso che loro chiamino dicendo: “Perché non metti questa notizia? Perché non quest’altra?” io gli dico: “Rilassati non è una notizia così importante!” (M. K., Al Jazeera) I giornalisti panarabi in house definiscono il proprio ruolo anche in relazione al lavoro dei giornalisti nazionali. I giornalisti panarabi infatti tendono a definire la propria visione del ruolo sociale del giornalismo in opposizione alla cultura che, a loro avviso, caratterizza il lavoro dei giornalisti arabi operanti all’interno dei sistemi nazionali. In questa visione sono soprattutto le ristrette condizioni di libertà editoriale sperimentate dai giornalisti nazionali a far si che essi non possano che promuovere un’agenda politica precisa ed esercitare un ruolo di “educatori” all’interno della società. Le cause sono sistemiche, se manca la libertà è difficile sviluppare una cultura guidata da valori professionali e non dalla promozione di un’agenda, quella del governo: libertà e professionalità vanno di pari passo. Noi invece grazie alla libertà che sperimentiamo possiamo pensare alla professione (A. J., Al Jazeera) Loro, per come sono organizzati i sistemi nazionali dell’informazione, hanno sempre come compito quello di promuovere un’agenda, la loro mission non è nei confronti del loro pubblico ma dell’establishment. Questo non per colpa loro ma per una ragione strutturale (N. B., Al Arabiya). Nelle narrative dei giornalisti panarabi emerge spesso la volontà di prendere le distanze da quella che loro stessi definiscono un elemento consolidato nella cultura dei sistemi giornalistici arabi: I giornalisti nel mondo arabo pensano che il loro lavoro sia quello di servire una causa, di promuovere un’idea e questo è un grande problema. Noi ci differenziamo completamente da questa posizione (N. H., Al Arabiya) Viene dunque messo in discussione l’approccio politico alla notizia, a prescindere che questo sia a supporto dello status quo o promuova istanze antagoniste. Questa idea viene portata avanti in nome di un rapporto più stretto con il pubblico, di maggiore attenzione ai suoi desideri e di maggiore “rispetto”: l’idea su cui si basa l’ideologia professionale dei giornalisti panarabi in house è quella che il pubblico sia capace di fare le sue scelte da solo e non vada educato. 177 8.2 I corrispondenti di Al Jazeera e Al Arabiya: un compito “transnazionale” in una comunità nazionale I corrispondenti delle newsorganization panarabe hanno una visione estremamente complessa del proprio ruolo all’interno del sistema sociale nazionale. Questo accade proprio perché essi si devono relazionare quotidianamente167 sia con soggetti che fanno parte di questo sistema (fonti, pubblico nazionale e colleghi nazionali) sia con soggetti che di questo sistema non fanno parte (colleghi in house e pubblico panarabo). Nella descrizione dei valori della propria cultura professionale i corrispondenti tendono, in prima battuta, a sottolineare la loro relazione con i soggetti esterni al sistema, mostrando di volere enfatizzare la loro adesione alla mission delle news organization per cui lavorano. Inoltre essi tendono a celare il conflitto e la negoziazione quotidiana che, dai racconti dei giornalisti in house, sembrerebbe invece caratterizzare la loro relazione con le news room centrali. I corrispondenti -e questo può essere indicativo di un atteggiamento di “autodifesa” - a tal proposito affermano: Noi abbiamo un auduence panarabo, non locale, così a volte io devo scendere in dettagli che non sono utili per gli egiziani ma che rendono le cose più chiare per gli arabi, noi da egiziani sappiamo dove è Dokki, dove è il Sinai, ma io devo spiegare perché non sto parlando a degli egiziani ma a un pubblico panarabo che vive in tutto il mondo. (R. A. A., Al Arabiya) Questo non significa che i corrispondenti neghino che esista una dimensione negoziale tra loro e le redazioni centrali ma sembrano trascurare il fatto che essa riguardi anche il loro approccio, in certi casi eccessivamente partecipato, alle vicende nazionali: Per quanto riguarda la scelta dei topics sull’Egitto è un processo bidirezionale, noi proponiamo i nostri topics e qualche volta loro hanno le loro proposte, qualche volta loro rifiutano le nostre proposte e qualche volta siamo noi a dire che non vale la pena di coprire ciò che loro propongono (R. A. A., Al Arabiya) Non solo nell’individuazione di un pubblico di riferimento, ma anche insistendo sulla propria funzione di semplici “information provider”, i corrispondenti mostrano una chiara volontà di adeguamento alla cultura professionale del giornalismo panarabo. Il mio mandato è per tutto il mio pubblico, il pubblico arabo. Il mio lavoro è quello di mantenere un flusso di informazioni riguardo cosa avviene in Egitto, io non do notizie per supportare la tale posizione o la posizione del governo, io dico la verità. (H. A. G., Al Jazeera) Tuttavia essi affermano (Questionario n.9) di sentire comunque una forte responsabilità e un ruolo all’interno della società egiziana. Ciò dimostra come la loro posizione sia differente da quella dei giornalisti in house che affermano di non sentire un legame, o di non svolgere un ruolo specifico, nei confronti di un particolare sistema sociale nazionale. 167 Si tratta del sistema sociale all’interno del quale essi vivono come cittadini, membri di una famiglia etc. 178 Questa responsabilità viene definita dai corrispondenti panarabi secondo due funzioni (Questionario n.10): “watchdog” (6 su 8 hanno affermato che tra le funzioni principali del proprio lavoro deve esserci quella di informare l’opinione pubblica riguardo gli eventuali comportamenti scorretti di governo e opposizione) e “information provider” (5 su 8 hanno affermato di ritenere che permettere alle persone di farsi un’idea corretta riguardo a cosa accade nel paese sia per loro cruciale). Un approccio più “partisan” e “attivo” all’interno del sistema sociale nazionale emerge dal fatto che tra loro un numero significativo, soprattutto tra i giornalisti di Al Jazeera, ritene che tra i propri compiti principali ci sia quello di promuovere la democratizzazione dell’Egitto. Questo elemento è più vicino all’idea di “development journalism”, di giornalismo volto a promuovere lo sviluppo nazionale attraverso il mantenimento dello status quo o, al contrario, attraverso una sua trasformazione: Non so se noi abbiamo un’agenda politica, se abbiamo un’agenda è quella di promuovere la democratizzazione del nostro mondo arabo e credo che Al Jazeera aiuti molto questa democratizzazione, invitando nei propri forum i leader di tutte le forze di opposizione. Credo che Al Jazeera abbia avuto successo laddove tutti i partiti di opposizione nel mondo arabo hanno fallito. I media non possono inventare la democrazia, ma possono aiutare. (H. A. G., Al Jazeera) I corrispondenti dunque mediano continuamente tra una “missione panaraba per un pubblico transnazionale” -come richiesto dalla linea della news organization per cui lavorano- e il fatto di essere inseriti all’interno di un contesto nazionale. Questo implica il confronto quotidiano con un sistema socio-politico nazionale e quindi con un pubblico, dei soggetti politici e dei giornalisti nazionali che influenzano l’elaborazione dei valori della loro cultura professionale e il modo in cui essi si relazionano a mission transnazionale. Io credo di avere una responsabilità sociale nei confronti degli egiziani perché rifletto me stesso, io sono un egiziano. (H. A. G., Al Jazeera) I corrispondenti panarabi infatti sono molto più vicini alla “componente nazionale” del loro pubblico. Questo è per loro il pubblico più importante: lo incontrano tutti i giorni quando escono dal loro uffici e quando sono sul campo. Io sono un giornalista da campo e la gente lo apprezza perché mi dice “tu rifletti i nostri sentimenti, tu rifletti i nostri punti di vista” e questo per me è molto importante, più della fama e dei soldi. (H. A. G., Al Jazeera) In molti sensi questo è un lavoro frustrante, come reporter sei frustrato ogni giorno e non puoi cambiare le cose. Allora cerchi almeno di fare in modo che le loro voci siano sentite, se io ho successo anche solo in questo io sento di avere successo. Sono riuscita ad aiutare qualcuno a fare un passo avanti (R. A. A., Al Arabiya). I corrispondenti panarabi intrattengono relazioni quotidiane anche con gli officials nazionali, hanno i loro feedback sulle loro coverage. Sono soggetti con i quali è necessario co- 179 struire una relazione, cooperativa o conflittuale a seconda dei momenti, se si vuole svolgere il proprio lavoro: Parlavo ieri con il Ministro degli Esteri e lui diceva che nell’82 non c’erano telecamere arabe a seguire l’attacco israeliano del Libano e oggi è molto diverso, quando vedi le immagini, quando senti le voci dei bambini e delle persone questo aumenta la consapevolezza. Credo che abbiamo fatto molto per aumentare la consapevolezza in quest’area. (R. A. A., Al Arabiya) Ora anche nel nostro governo ci sono persone che ci cercano, dicono che il nostro lavoro è eccellente e molto importante anche per loro, vogliono parlare con noi. (H. A. G., Al Jazeera) Può essere utile considerare come i corrispondenti panarabi abbiano definito il loro ruolo all’interno del sistema sociopolitico egiziano nel corso della lunga stagione elettorale iniziata nel settembre 2005 e conclusasi nel febbraio 2006168. I corrispondenti infatti, pur ribadendo più volte di aver dovuto coprire l’evento per un pubblico panarabo, si sono trovati tutti concordi nell’affermare di aver svolto un lavoro utile per la popolazione nazionale, offrendo un servizio che i media nazionali non sarebbero stati in grado di offrire ( Questionario n.11 e n.12). Essi sembrano ritenere il proprio ruolo all’interno della sfera del discorso pubblico nazionale utile per bilanciare lo squilibrio esistente tra soggetti governativi e soggetti non governativi nell’accesso all’opinione pubblica. Questo diventa una vera e propria mission legata al compito specifico di ampliare la sfera pubblica e di ampliare le possibilità di partecipazione: Per esempio Kifaya! non sarebbe stata la stessa cosa senza la nostra coverage e questo grazie all’impatto della nostra coverage. E lo stesso durante la campagna elettorale, lo spazio che abbiamo dato a Gomaa e a Nour è stato importante e i discorsi di Mubarak sono stati messi sotto duro attacco da loro due e noi abbiamo dato la possibilità di sentire questi attacchi. Non tutti i cittadini potevano andare agli speech degli sfidanti, ma noi abbiamo dato la possibilità di sentire le loro critiche al presidente sulla corruzione sulla disoccupazione sul basso livello del sistema scolastico e del sistema sanitario. (H. A. G., Al Jazeera) Tale idea emerge anche dal fatto che essi ritengono che il proprio lavoro abbia indotto modificazioni nella comunicazione politica169 dei partiti d’opposizione e dei movimenti (Questionario n.13 e n.14). I corrispondenti panarabi inoltre affermano che i soggetti politici nongovernativi cercano un rapporto privilegiato e diretto con loro, nella convinzione che essi possano essere determinanti per la promozione della loro attività politica. Sostegno della democratizzazione del paese e tutela della società civile e delle opposizioni convivono, all’interno della cultura professionale dei corrispondenti delle emittenti panarabe, con l’idea che il giornalista debba essere un semplice “information provider”. I corrispondenti panarabi si trovano a dover svolgere “un compito transnazionale” ma vivono all’interno di una comunità nazionale: “inforAll’interno di tale lasso di tempo si sono infatti svolte sia le elezioni presidenziali (le prime multicandidato) che quelle parlamentari. 169 Sia in termini di tempo d’esposizione ai media sia in termini di regole e di modalità di comunicazione con i media. 168 180 mation provider”, “watchdog” e “partisan”, tre ruoli apparentemente così lontani tra loro sono tutti e tre presenti nella rappresentazione dei corrispondenti del proprio ruolo sociale. 8.3 “Per il bene del paese”. Il ruolo nella società dei giornalisti dei media egiziani Nel corso della sua storia, la cultura giornalistica egiziana si è strutturata, in relazione al ruolo sociale dei giornalisti, attorno all’idea che i giornalisti dovessero essere parte attiva all’interno della società, “educare” e guidare l’opinione pubblica. Questa cultura professionale si è formata all’interno di una particolare relazione tra il sistema politico e il sistema mediatico nazionale e ha determinato lo sviluppo di una cultura giornalistica “partisan”: di supporto del progetto politico del regime all’interno dei media ufficiali e semi-ufficiali e di antagonismo all’interno dei ridottissimi spazi della stampa d’opposizione. Sicuramente i giornalisti dei media egiziani in quest’ultimo decennio non hanno messo in discussione l’idea che la loro categoria debba assumersi una responsabilità nei confronti della società egiziana (Questionario n.15). Molto forte sembra essere rimasta l’idea che i professionisti dell’informazione debbano avere un ruolo di guida all’interno della società. L’arrivo sul mercato di nuovi soggetti privati con una linea marcatamente antigovernativa, così come la presenza dei grandi media panarabi ha determinato, per molti versi, un ulteriore impulso all’attivismo da parte dei giornalisti, sia in difesa che contro lo status quo. L’idea della necessità di prendere per mano l’opinione pubblica e di “spiegarle” come stanno le cose, in modo da “proteggerla” o, al contrario, da “svegliarla”, caratterizza marcatamente la visione della propria missione dei giornalisti dei media semi-ufficiali come di quelli dei media d’opposizione: La mia responsabilità sociale mi porta ad autocensurarmi, io so cosa devo dire e cosa non devo dire perché se “esagero” nel presentare le cose posso turbare la pace della nostra società, se presento le cose senza esagerazioni è meglio per la nostra società. Io non ricevo nessuna istruzione e non ho nessuna restrizione, e la mia maniera di vedere la professione che mi spinge a comportarmi così. (N. S., Nile Tv) Ogni news organization ha un’agenda (…) quindi è meglio seguire le news organization che hanno l’“agenda del bene del paese”. (H. H., Nile Tv) Attraverso Al Dustur, il giornale che dirigo, mi pongo l’obiettivo di illuminare la gente e di rivelare sempre la verità, anche quando essa può essere traumatica per la società, in questo modo si può eliminare quella patina che grava sulle menti egiziane. (I. I., Al Dustur) Come si evince da queste visioni apparentemente così opposte, sia i giornalisti dei media governativi sia quelli d’opposizione ritengono di dovere esercitare una funzione educativa nei confronti dell’opinione pubblica. Questa idea trova conferma in quanto sostiene Hani Shukrallan, ex direttore di Al Ahram Weekly e oggi direttore della Haikal Foundation for 181 Arab Press170, il quale afferma che tutta la cultura giornalistica egiziana è caratterizzata da un approccio partisan che finisce per determinare una visione del pubblico come contenitore da riempire: Oggi, per tutti, stampa semi-ufficiale e opposizione, il ruolo del giornalismo è quello di indottrinare, si guarda ai lettori come oggetti da manipolare piuttosto che come persone che devono essere informate per farsi una propria opinione. Credo che anche i giovani giornalisti abbiano questa idea perché si tratta di un’idea diffusa, questo è il trend che accomuna Al Dustur con Al Ahram, l’idea è quella di eccitarle il pubblico: comunque hai un’agenda, che può essere quella di amare o di odiare Mubarak, per questo le informazioni sono così limitate e così lacunose di credibilità. Da Questionario N. 16 è possibile vedere in che modo i giornalisti della stampa egiziana intendano la loro responsabilità sociale. Se si confrontano le risposte dei giornalisti di Akhbar El Youm, uno degli giornali semi-ufficiali più fedeli al regime, con quelle dei giornalisti del Fajr che rappresenta l’“aggressiva stampa privata di ultima generazione”, si nota che nel primo caso 7 giornalisti su 10 loro compito fondamentale proteggere la reputazione del paese, mentre nel secondo 8 giornalisti su 10 ritegnono di dover promuovere la democratizzazione del paese e 5 su 10 di dover sostenere il cambiamento ad ogni costo. Si tratta evidentemente di due “missioni” opposte ma che prevedono entrambe un’azione “politica” da parte dei giornalisti. Essi in questo modo non sono soltanto semplici “information provider”, né si accontentano di un ruolo da “watch dog”, ma intendono il proprio ruolo anche come un vero e proprio compito politico. Questa cultura professionale emerge chiaramente dalle parole dei giornalisti delle testate private: In questo momento il giornalismo in Egitto sta giocando un ruolo molto importante nella politica del paese perché noi non abbiamo partiti politici che giochino un ruolo importante nella politica, né gli studenti nelle università sono in grado di farlo, né i sindacati. Mancano i gruppi di pressione e la stampa privata deve essere e cerca di essere gruppo di pressione e creare una sfera pubblica più libera. (A. H., Al Fajr) La democrazia. Dobbiamo puntare alla democrazia facendo cadere il Presidente. Questo è il compito e l’obiettivo principale della stampa. La stampa deve condurlo a scendere dal piedistallo su cui si trova e smettere di essere un faraone per essere un presidente e quindi un comune cittadino eleggibile; solo allora potremo dibattere con lui. (I. I., Al Dustur) Anche questo approccio alla professione sta tuttavia subendo alcune modificazioni rispetto a un’idea puramente “phampletistica” della professione. L’importanza dell’utilizzo di fatti e informazioni nella “battaglia politica” contro il regime viene considerata come un elemento centrale dai giornalisti delle strutture private o d’opposizione: Si tratta di una fondazione che organizza corsi, seminari e aggiornamenti per sostendere la professionalizzazione dei giornalisti arabi, e in particolare egiziani. La fondazione è finanziata dalla famglia di Mohamed Hassanein Haikal, che è membro del board direttivo. 170 182 Il sistema politico egiziano non viene toccato dalle opinioni mentre al contrario è scosso dalle informazioni. Il regime non si muove per uno o due o anche dieci articoli, tu devi mantenere una pressione. Io ho cominciato una campagna sulla corruzione contro l’ex Ministro all’edilizia e agli alloggi e l’ultimo capitolo di questa storia ha avuto luogo ieri in parlamento e stanno investigando nel sindacato. (A. H., Al Dustur) Questo dimostra che sono comunque in atto processi di ridefinizione dei valori della cultura professionale. Inoltre i continui processi di negoziazione di tali valori, all’interno di un sistema che vede la presenza di una molteplicità di soggetti differenti stanno, almeno in parte, rimettendo in discussione alcuni elementi di lungo periodo della cultura professionale nazionale. In questo senso il caso dei giornalisti di Al Masri Al Youm è molto interessante. Si tratta infatti di un quotidiano privato, con una linea molto meno agguerrita rispetto alle altre pubblicazioni nate negli ultimi anni. Esso inoltre sta guadagnando un ottimo successo di popolarità poiché rappresenta un unicum nel panorama egiziano, l’unico “quality newspaper” disponibile nel paese. I suoi giornalisti mostrano di ritenere (Questionario n.16) come proprio compito principale quello di permettere agli egiziani di farsi un’idea corretta riguardo cosa accade nel paese e rifiutano nettamente un approccio “partisan”. I valori dei giornalisti della redazione di Al Masri Al Youm sembrano essere completamente coerenti con l’idea della professione come “information providing”. Il nostro scopo è seguire gli interessi dei nostri lettori. Noi non abbiamo un’agenda politica, se per agenda politica intendi il nostro orientamento, Ok siamo liberal, ma non siamo né pro né contro il governo o l’opposizione, noi cerchiamo semplicemente di guardarci intorno e di pubblicare quello che vediamo il più fedelmente possibile e il più velocemente possibile. (M. S., Al Masri Al Youm) In questo senso è interessante considerare la definizione di “professionalità giornalistica” proposta dal caporedattore di Al Masri Al Youm. Si tratta di una visione che sottolinea come la propria relazione con gli altri soggetti sociali (compresi i giornalisti delle altre testate) si possa basare su parametri professionali che non implicano necessariamente, per il giornalista, appoggio o avversione: Da un punto di vista della linea editoriale io credo che siamo sulla strada giusta che è quella della professionalità: ci hanno detto che siamo pro-america e che siamo finanziati dall’america, poi che siamo pro-israele, poi dopo un’intervista con Mubarak hanno detto che siamo filogovernativi, durante le elezioni hanno detto che eravamo con Nur, poi con le parlamentari hanno detto che eravamo con gli Ikhuan. Chi ci accusa non capisce è che noi ci limitiamo a seguire i newsmaker. Queste parole, utilizzate per esprimere una modalità operativa che diventa anche ideologia professionale, sono esattamente le stesse che vengono utilizzare dai giornalisti delle all news panarabe a “difesa” della propria linea editoriale. Questo mostra come i giornalisti di Al Masri Al Youm attingano anche da un patrimonio di concetti e di immagini elaborato dai giornalisti panarabi nel momento in cui devono definire i propri valori professionali. 183 La relazione con i giornalisti panarabi e con le loro coperture dell’Egitto sembra essere comunque centrale per tutti i giornalisti egiziani nel momento in cui essi si trovano a definire il proprio ruolo sociale. Soprattutto i giornalisti televisivi infatti, per i quali il confronto con le tv panarabe è più immediato, definiscono la loro responsabilità nei confronti della società egiziana anche a partire da quella che loro giudicano essere l’“irresponsabilità” dei giornalisti dei newsmedia panarabi. Dalle loro parole emerge infatti la volontà di bilanciare la copertura dei media panarabi, incuranti degli effetti del proprio lavoro sul sistema sociopolitico e sull’economia nazionale: Credo di avere una responsabilità sociale nei confronti del paese perché devo mantenere l’“autenticità”. Inoltre dobbiamo tenere conto se la notizia possa procurare problemi alla gente e in questo caso non dobbiamo pubblicarla, i news media panarabi non fanno queste considerazioni, le pubblicano e basta. Noi dobbiamo essere differenti perché noi siamo egiziani e dobbiamo guardare con uno sguardo egiziano alle news. (S. A., Mena) Dobbiamo tenere presente cosa stiamo rappresentando e rappresentare la realtà. Senza deformazioni e senza esagerazioni. Dobbiamo rappresentare cosa accade perché io penso che i canali satellitari panarabi presentino ciò che succede con grande esagerazione: non è la realtà, non è la verità, loro prendono solo alcune parti per attrarre e per fare show. (N. S., Nile Tv) Noi guardiamo alle notizie da una prospettiva egiziana, da una prospettiva reale. Per esempio, il Sinai vive sul turismo e tu non puoi arrivare e dire che in un attentato ci sono state centinaia di morti se non sei sicuro del numero esatto, devi stare attento, potresti causare danni all’economia. Quando c’è stato l’attentato di Dahab la gente lanciava secchiate d’acqua al corrispondente di Al Jazeera e urlava “Guardate Nile News”! (H. H., Nile Tv) I media panarabi vengono definiti irresponsabili, per nulla interessati agli effetti sulla società nazionale delle loro news dall’Egitto ed eccessivamente sensazionalistici. Per questo motivo i giornalisti della televisione nazionale ritengono di dovere tutelare e proteggere l’opinione pubblica egiziana, distinguendosi dalla cultura professionale dei giornalisti panarabi. Gli uomini della televisione, così come quelli dell’agenzia di stampa nazionale, descrivono il loro ruolo sociale anche per quanto concerne la relazione con gli officials e con i soggetti politici nazionali e ritengono che sia opportuna anche una presa di responsabilità nei confronti di questi soggetti: Si io sento di avere una grande responsabilità sociale: presentare la realtà per quello che è, non posso esagerare ne nascondere nulla e questa è la base del nostro lavoro e in tutto il settore news. Questo è il principio che adotta il nostro Ministro e noi non possiamo contraddirlo (N S., Nile Tv) Forse qualche volta dobbiamo essere più pazienti degli altri, per confermare che le notizie siano corrette e non creare problemi alla gente, perché? Perché noi siamo ufficiali, noi presentiamo il punto di vista dell’autorità egiziana, noi siamo l’unica agenzia di stampa egiziana per questo noi dobbiamo essere il più affidabile possibile. (Samia Abbas, Mena) 184 I giornalisti che sono più vicini al controllo governativo dunque sembrano avere elaborato una cultura professionale all’interno della quale l’idea di un rapporto responsabile tra i media e le istituzioni è funzionale anche allo sviluppo nazionale e per questo si sentono molto lontani dai giornalisti dei media panarabo. Anche i giornalisti della stampa egiziana sembrano comunque ritenere (Questionario n.17) che i media panarabi tengano, nella copertura degli eventi che riguardano il paese, un atteggiamento eccessivamente sensazionalistico, concentrandosi soltanto su alcune issue, e comunque non fornendo un’informazione completa per il pubblico egiziano. Facendo riferimento al caso delle elezioni presidenziali del 2005, i giornalisti della carta stampata egiziana biasimano il lavoro delle televisioni panarabe, in quanto eccessivamente concentrate sulle violenze ai seggi e sulle intimidazioni del regime. Questo focus, pur essendo importante171, avrebbe in qualche maniera limitato la copertura rendendola eccessivamente sensazionalistica. I giornalisti nazionali, sia quelli della stampa governativa che quelli della stampa d’opposizione e privata, sembrano rivendicare per sé un ruolo più importante e un rapporto diretto con il pubblico più stretto rispetto ai giornalisti panarabi. Una rivendicazione che mostra un confronto quotidiano che il lavoro di questi soggetti esogeni al sistema. Soprattutto i giornalisti della stampa d’opposizione nel corso delle interviste hanno sostenuto che il ruolo di Al Jazeera e Al Arabiya nel rivelare le violenze e le scorrettezze durante le operazioni di voto sia stato molto importante. Un giornalista de Al Fajr, per esempio ha affermato: “Al Jazeera ha mostrato che si trattava di elezioni fittizie e questo è comunque stato importante”. 171 185 Principi etici condivisi e valore dell’obiettività 9.1 “Il fantasma dell’obiettività contestuale”. Etica di Al Jazeera e Al Arabiya Le questioni etiche per i giornalisti delle emittenti all news panarabe hanno assunto un ruolo importante soprattutto nel confronto, all’interno dell’arena dell’informazione globale, con il giornalismo occidentale. Non si vuole ovviamente sostenere che i giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya abbiano sviluppato un’etica professionale soltanto a partire dalla relazione con soggetti esterni al mondo arabo. È sicuramente vero però che i duri attacchi, spesso basati su motivazioni etiche, portati da governi e media occidentali, hanno influenzato notevolmente le modalità di definizione dei propri valori etico-professionali dei giornalisti panarabi. Al Jazeera e Al Arabiya si considerano dei palyer globali sul mercato delle news. La relazione con gli altri soggetti globali tuttavia ha visto queste emittenti ricevere le accuse più svariate: incitamento alla violenza, atteggiamento anti-occidentale, connivenza con il terrorismo islamico e compiacimento nel mostrare immagini di ostaggi. Queste accuse, nella maggiorparte dei casi di natura pregiudiziale, hanno spinto i giornalisti panarabi a difendere la propia linea anche attraverso l’istituzione di principi di comportamento che possano essere considerati in linea con gli “standard occidentali”. Leggendo il Code of ethics, elaborato e sottoscritto dai giornalisti di Al Jazeera, emerge una chiara volontà di esprimere nettamente la propria aderenza a principi etico-professionali che non sono compatibili con gli “atteggiamenti” di cui Al Jazeera è stata “accusata” in questi anni: Beeing a globally oriented media service, Al Jazeera shall resolutely adopt the following code of ethics in pursuing the vision and mission it has set for itself: 1- Adhere to the journalistic values of honesty, courage, fairness, bilance, independence, credibility and diversity giving no priority to commercial or political considerations over professionalism. 2- Endeavour to get the truth and declare it in our dispathces, programmes and news bullettins unequivocally in a manner which leaves no dubt about validity and accuracy. 187 3- Trat our audiences with due respect and address every issue or story with due attention to present a clear, factual and accurate picture while giving full consideration to the feelings of victims of crime, war, persecution and disaster, their relatives, our viewers, and to individual privacies and public decorum 4- Welcome fair and honest media competition without allowing it to adversely affect our standards of performance and thereby “having a scoop” would not become an end in itself 5- Present diverse points of view and opinions without bias and partiality 6- Recognize diversity in human societies with all their races, cultures, beliefs, values, and intrinsic individualities so as to present an unbiased and faithful reflection of their societies. 7- Acknowledge a mistake when it occurs, promptly correct it and ensure it does not recur. 8- Observe transparency in dealing with the news and its sources while adhering to internationally estabilished practices concerning the rights of these sources. 9- Distinguish between news material, opinion, and analyisis to avoid the snares of speculation and propaganda. 10-Stand by colleagues in the profession and give them support when required, particularly in the light of the acts of aggression and harrassment to which journalists are subjected at times. Cooperate with Arab and international journalistic unions and associations to defend freedom of the press. Possiamo dire dunque che, da un certo punto di vista, l’elaborazione di un codice etico preciso sia il frutto anche di una relazione dialogica e conflittuale con soggetti esterni ai sistemi socio-politici del mondo arabo. A partire da queste considerazioni è possibile comprendere perché, all’interno di tale codice, si faccia riferimento al giornalismo come pratica universale e ai giornalisti come soggetti coinvolti in un contesto globale di incontro e scontro tra culture. Non si fa riferimento a una precisa “responsabilità sociale”, perché i giornalisti transnazionali si collocano fuori dalla società: esplicitare dei valori etici serve piuttosto loro per tutelarsi e per proteggersi da attacchi esterni. È una differenza netta rispetto a quanto accade all’interno dei sistemi nazionali, dove i codici etici fuzionano prevalentemente come strumento degli organismi di controllo per inchiodare i giornalisti di fronte a delle responsabilità nei confronti dello status quo e della pace sociale. Nel codice etico di Al Jazeera i punti centrali sono: l’aderenza agli standard del giornalismo internazionale, il principio di obiettività (che non viene nominato direttamente ma evocato in diversi passaggi), il rifiuto di prestare la propria professionalità a qualsiasi opera di propaganda, il rispetto per le fonti e per il relativismo culturale. Per i giornalisti in house di Al Jazeera, la maggior parte dei quali provengono da un esperienza in BBC, subire attacchi che mettano in discussione la loro “onestà professionale” rappresenta una grave offesa. Noi crediamo soltanto che i diritti umani debbano essere sviluppati e protetti. Noi diciamo che ogni storia deve essere raccontata in maniera bilanciata e imparziale. Noi crediamo di non dover interferire in nessuna delle storie che raccontiamo. Quelli che ci accusano di trasmettere soltanto immagini violente che cosa vorrebbero? Che noi negassimo che in Iraq c’è la guerra e che quotidianamente muoiono tantissime persone a causa dell’occupazione. Sarebbe oggettivo fare ciò? Sarebbe una cosa giusta? Dire che tutto va bene, nascondere la faccia terribile della guerra, sarebbe giusto? (A. S., Al Jazeera) 188 Nel code of ethics di Al Jazeera non si fa riferimento ad aspetti della cultura o della morale arabo/islamica. Si tratta di un’ulteriore differenza rispetto ai codici elaborati all’interno dei sistemi nazionali nel mondo arabo. In essi l’inserimento del lavoro del giornalista all’interno di un universo preciso di valori culturali è elemento fondante dell’enunciazione dei doveri di condotta professionale. L’elemento culturale172 nel code of ethics di Al Jazeera è ripreso soltanto per fare riferimento a una difesa del “relativismo culturale” e alla tutela della diversità. In questo senso si può cogliere la volontà di rivendicare il diritto di dare conto delle differenze nella visione del mondo e degli eventi, locali e internazionali, da parte di soggetti appartenenti a diversi sistemi socioculturali, senza per questo sposare tutti i contenuti che si propongono. “Pluralità” e “reciproca conoscenza” diventano, per una news organization con una “global orientation”, principi etici centrali per rivendicare la legittimità a guardare il mondo da una prospettiva altra, periferica e dunque di fatto araba. Una prospettiva che non può essere esplicitata direttamente, ma che può essere legittimata attraverso il ricorso a valori condivisi da tutta la comunità giornalistica internazionale. Riportare quella che nei documenti ufficiali del canale173 viene presentata come la “mission and vision” di Al Jazeera può essere utile per comprendere meglio. Al Jazeera is an Arab based media service with a global orientation. With its motto “the opinion and the other opinion”, it acts as a forum for plurality, seeking the truth while observing the principles of professionalism within an institutional framework. While promoting public awarness of local and global issues, Al Jazeera aspires to be a bridge between cultures, to support people’s right to knowledge, and to strengthen the values of democracy and the respect of liberties and human rights. Al Jazeera174 dunque si definisce semplicemente “arab based”, nulla di più. Tra i compiti principali che l’emittente si autoassegna c’è quello di essere “bridge between culture” e questo conferma l’idea che la filosofia sottesa alle dichiarazioni in merito di etica e deontologia del canale sia proprio quella di includere, attraverso l’utilizzo di standard professionali globali, anche il punto di vista arabo. Insomma la mancanza di un confronto diretto con un sistema sociale nazionale (e autoritario), assieme all’identificazione di un target di pubblico transnazionale, così come determinano un’idea di “responsabilità sociale” diversa rispetto a quella dei giornalisti nazionali, agiscono anche sull’esplicitazione dei valori etici e deontologici di riferimento. Questo non significa che l’etica professionale che i giornalisti panarabi sviluppano non sia definita anche in relazione ai soggetti che abitano i sistemi nazionali dell’informazione in lingua araba e gli altri competitor panarabi. Il riferimento al motto di Al Jazeera, “l’opinione e l’altra opinione”, rappresenta non solo la volontà di mostrare un’adesione a standard professionali globali ma anche la volontà di palesare la propria posizione differente rispetto alle possibilità di lavoro Utilizzando l’accezione che del termine “culturale” viene data nel senso comune. www.aljazeera.net 174 Bisogna specificare che questa è la mission di Al Jazeera network, che comprende anche il canale in inglese e i canali tematici. 172 173 189 dei giornalisti che, nel contesto regionale, lavorano all’interno di sistemi autoritari e che, in nome anche di principi etici, sono costretti a svolgere ruoli propagandistici. Uno degli elementi più interessanti in merito ai principi etici condivisi dai giornalisti panarabi riguarda le dinamiche di competizione tra Al Jazeera e Al Arabiya. Al Arabiya, essendo nata sette anni dopo Al Jazeera, si è dovuta necessariamente confrontare con anche con l’“impianto etico” del suo competitor principale. In tal senso i giornalisti di Al Arabiya affermano che Al Jazeera tradisce di fatto con le sue coperture i valori che ha incluso all’interno del suo code of ethics. Lo scontro tra le due emittenti avviene soprattutto sulla scelta dei termini usati nel corso delle coverage: Chi sono i giornalisti di Al Jazeera per dire che quella in Iraq è una resistenza legittima o al contrario che chi combatte in Iraq viene dall’Arabia Saudita o dal Kuwait e fa una battaglia per scopi esogeni? Noi ci limitiamo a dire che siamo contro alle violenze che stanno avvenendo in Iraq, basta. Chi sei tu per dire questa è una resistenza legittima? Chi sei tu per giudicare? Chi ti ha reso Dio? Io dico che non so se la gente viene da fuori o viene all’Iraq, io non so se questi sono combattenti iracheni legittimi oppure no. (D. S., Al Arabiya) In particolare, in questo senso, i giornalisti di Al Arabiya insistono molto sull’utilizzo del termine “shaid” da parte di Al Jazeera. “Shaid”, che letteralmente significa “testimone”, nella cultura mussulmana indica anche colui la cui morte è “testimonianza di fede”, ovvero il “martire”. Questa parola è utilizzata dalla maggioranza delle persone nel mondo arabo per indicare i palestinesi che “muoiono nell’atto di difendere la propria terra dagli israeliani”, anche i kamikaze. Al Jazeera ha scelto di utilizzare questo termine –secondo quanto affermano i suoi giornalisti- per impiegare lo stesso che utilizza quotidianamente il pubblico del canale, e dunque di utilizzare un temine più “vero” ed appropriato per un contesto arabo/musulmano. Secondo alcuni osservatori tuttavia, anche di origine araba e musulmana, come ad esempio Mamoun Fandy (2004), l’utilizzo di questo termine è espressione di una scelta politica (e irresponsabile) di appoggiare quella parte dei palestinesi che porta avanti una lotta armata anche attraverso atti terroristici. Il board direttivo di Al Arabiya ha invece scelto di non utilizzare questo termine adducendo, secondo le parole della senior producer D. S., queste motivazioni: Noi abbiamo deciso di non parlare di shaid fin dall’inizio anche se la causa palestinese è quella più importante per la memoria araba. Ci siamo chiesti: chi muore per una causa in Algeria o in Arabia Saudita non è un martire? O lo usi per tutti o non lo usi per nessuno. Lo usi o non lo usi nelle no fly zone a nord e sud dell’Iraq? E allora abbiamo deciso di non usarlo. Non credo che questo renda un canale più o meno “arabo”. (D. S., Al Arabiya) Le due emittenti hanno fatto, anche in conseguenza del rapporto di concorrenza che le lega, due scelte opposte. Questo testimonia come la questione etica fondamentale con cui si trovano a confrontarsi i giornalisti panarabi sia proprio quella di conciliare in maniera professionale una volontà di adesione a standard etici “globale” con una prospettiva araba alle notizie. Parlando della copertura di Al Arabiya della vicenda irachena ad esempio, Nakhle El Hage afferma: 190 Per quanto riguarda il sensazionalismo, è impossibile per ogni essere umano non immedesimarsi ed essere solidale con le vittime. Non nego che i nostri giornalisti simpatizzino con le vittime, questo è molto naturale, ma non abbiamo un’agenda politica, non incitiamo, siamo con le vittime, ma non incitiamo nessuno. Molti giornalisti, sia di Al Jazeera che di Al Arabiya, hanno fatto considerazioni analoghe a queste e anche le parole di Akhmad Sheikh riportate all’inizio di questo paragrafo sono coerenti con questa affermazione. Si tratta di quella che Nawawy e Iskandar (2002) hanno definito il paradosso dell’oggettività contestuale, ovvero la contraddizione irrisolvibile con cui un giornalista si imbatte quando la sua determinazione ad offrire un’informazione imparziale si scontra con la sua particolare visione del mondo, legata al contesto sociopolitico e culturale in cui è nato ed è cresciuto, o in cui semplicemente si riconosce. Il paradosso dell’obiettività contestuale175 assume, per i giornalisti panarabi, un ruolo centrale ed è molto utile per spiegare apparenti o effettive discrepanze tra dichiarazioni d’intenti e pratica professionale, atteggiamenti difensivi e reciproche accuse. Noi cerchiamo di essere oggettivi, e bilanciati, ci proviamo, non è detto che ci riusciamo. (A. J., Al Jazeera) 9.2 Valori etici condivisi e obiettività per i corrispondenti di Al Jazeera e Al Arabiya I corrispondenti in Egitto di Al Jazeera e Al Arabiya sono vincolati alle linee editoriali e ai codici deontologici delle loro newsorganization. Quelli di loro che sono iscritti al sindacato dei giornalisti egiziani sono però vincolati in qualche modo anche al codice deontologico approvato da tale organizzazione nazionale. In ogni caso l’elemento dell’aderenza ai valori etici e deontologici dell’emittente per cui lavorano è quello che, nel momento in cui definiscono se stessi in relazione a tali questioni, essi privilegiano. Nell’ambito di un sistema autoritario come quello egiziano, nel quale etica e responsabilità sono strettamente collegati alla volontà di controllo sociale da parte del regime, è fondamentale considerare in che tipo di condizione legale si trovino i corrispondenti dei newsmedia panarabi. Anche in questo senso, come afferma l’avvocato Negad El Bora’ei, specialista in diritto dell’informazione, essi si trovano in una situazione molto particolare. La legge, da un punto di vista professionale, li considera come se fossero “foreign person”, hanno un’autorizzazione che teoricamente può essere revocata in qualsiasi momento. Non sono soggetti alla legge sulla stampa, tuttavia sono soggetti al codice penale se pubblicano qualcosa contro l’ordine pubblico o contro la sicurezza nazionale. 175 Che è ovviamente un tema globale, che riguarda anche i giornalisti occidentali, come quelli di tutto il mondo. 191 Questo significa che i corrispondenti delle newsorganization panarabe176 sono soggetti anche alle leggi di emergenza, nel cui ambito l’elemento della tutela della pace sociale e della protezione dell’opinione pubblica dall’incitamento alla violenza hanno un ruolo fondamentale nel supportare misure estremamente repressive. In questo sistema i corrispondenti panarabi si trovano in una posizione molto più complessa rispetto ai loro colleghi in house: l’adesione ai principi etici delle news organization per cui lavorano significa per loro un’esposizione personale e diretta ai rischi di persecuzione penale. L’arresto di Hussein Abdel Ghani nel 2005 con l’accusa di “avere messo in pericolo la pace sociale” attraverso la diffusione di informazioni false, è avvenuto proprio sulla base di una supposta violazione delle leggi di emergenza. Così Abdel Ghani ha descritto il suo caso: Sono stato trattato tipicamente come un egiziano. Le autorità egiziane e in particolare le autorità di pubblica sicurezza trattano gli egiziani in una maniera molto violenta e in questo senso sono stato trattato tipicamente come un egiziano, ma allo stesso tempo mi hanno trattato come uno straniero in termini del mio contributo alla media coverage sull’Egitto. È stata la prima volta che sono state usate le leggi di emergenza contro un giornalista in 25 anni. Finora era stata usata solo contro i terroristi, dunque si tratta di un precedente molto pericoloso. Io sono stato considerato pericoloso per la sicurezza nazionale e questa è una cosa folle. Abdel Ghani, in piena coerenza con l’etica di Al Jazeera, rivendica la “bontà” della sua missione: mantenere aperto il flusso di informazioni dall’Egitto presentando le diverse opinioni riguardo ciò che accade nel paese, a prescindere da quanto questo serva o meno al regime per mantenere lo status quo. Ma il mio lavoro è quello di mantenere un flusso di informazioni riguardo cosa avviene in Egitto, io non do notizie per compiacere l’opinione pubblica o per supportare la tale posizione o la posizione del governo, io dico la verità. Secondo l’opinione del direttore dell’ufficio di Al Jazeera è “folle” accusare un giornalista di voler minare la sicurezza nazionale e quindi mettere in discussione i principi etici che ne animano il lavoro perché si limita a “dare informazioni”. Anche la direttrice dell’ufficio di Al Arabiya insiste sul proprio dovere, anche morale, di tenere aperto il flusso di informazioni dall’Egitto, coerentemente con la linea della propria news organization: Nei miei reports cerco di riportare gli eventi egiziani così come accadono e nella maniera più bilanciata possibile, questo è il mio lavoro e il mio dovere. (R. A. A., Al Arabiya) La volontà e l’ambizione di adeguarsi agli standard proposti dai canali per cui lavorano, pur trovandosi all’interno di sistemi politici autoritari, porta i corrispondenti panarabi a vivere in modo conflittuale la propria mission etica e deontologica. Essa coincide, da un punto di vista teorico, con quella dei colleghi in house, ma nella pratica deve quotidianamente essere negoziata con le richieste di altri soggetti sociali e con le pretese e le minacce del regime. Gli 176 Come tutti i giornalisti stranieri. 192 stessi valori assumono pertanto un valore diverso, meno assoluto e universale ma più legato ad un contesto specifico. Anche per i corrispondenti delle newsorganization panarabe il concetto di obiettività rappresenta (Questionario 18) un aspetto importante della pratica giornalistica, intrinsecamente legato alla professionalità. Cosa significa “obiettività” per i corrispondenti in Egitto dei media panarabi? L’obiettività è riportare l’evento senza favoritismi, corruzioni e prevaricazioni. (Questionario Al Arabiya N.1) L’obiettività è la cura nel riportare le notizie di qualsiasi realtà o situazione, inoltre laddove ci siano due pareri opposti è la cura nel riportare con precisione entrambi. (Questionario Al Arabiya N.2) L’obiettività è il tentativo di far giungere la verità o la notizia senza inserire punti di vista e senza supportare un pensiero sull’altro. (Questionario Al Arabiya N.3) L’obiettività sta nel riportare qualsiasi caso senza favoritismi, sta nel porre l’attenzione esclusivamente sulla verità, senza approfittare del proprio ruolo e sta nel bilanciare i vari punti di vista e dar loro lo stesso spazio. (Questionario Al Arabiya N.4) È impossibile essere completamente obiettivi, però è possibile argomentare, esprimendo i punti di vista delle due parti, sia che appartengano a rappresentanti del governo, che siano businessman, o operai o normali cittadini. (Questionario Al Jazeera N.1) Essere obiettivi significa riportare la verità, riportando tutti i pareri e le sensazioni. (Questionario Al Jazeera N.2) Per essere obiettivi è necessario rimanere neutrali, ma riportare comunque i vari punti di vista, senza farsi influenzare, laddove i pareri fossero diversi e contrastanti. (Questionario Al Jazeera N.3) Essere obiettivi significa portare gli spettatori dentro la notizia dando a tutti i punti di vista lo stesso spazio (Questionario Al Jazeera N.4) Come si può vedere, quello che in letteratura viene definito un concetto tanto universale quanto vago (cfr. Tuchman 1977), per i corrispondenti in Egitto delle emittenti panarabe ha sostanzialmente a che vedere con due elementi: riportare solamente i fatti e riportare tutte le differenti opinioni, le differenti “verità” di una storia. Questi due elementi non sono contraddittori, tanto è vero che alcune delle risposte elencate qui sopra le riportano entrambi. Tuttavia la scelta di porre l’accento sull’uno piuttosto che sull’altro aspetto è rilevante. Mentre i corrispondenti di Al Arabiya tendono a privilegiare l’importanza di limitarsi a presentare “i fatti”, i corrispondenti di Al Jazeera insistono maggiormente sull’idea di dover “riportare tutte le opinioni”. Questo elemento è coerente con la linea editoriale delle due emittenti: il motto di Al Jazeera è “l’opinione e l’altra opinione” e sul pluralismo delle opinioni 193 l’emittente del Qatar ha costruito il suo successo. Al Arabiya, volendo rappresentare un’alternativa ad Al Jazeera nell’elaborazione della propria linea editoriale, ha cercato di ridurre le “talking heads” e gli approfondimenti con opinionisti per concentrarsi sui “fatti”. Questo elemento mostra appieno come la linea editoriale della newsorganization per cui lavorano, così come i soggetti sociali con cui si confrontano quotidianamente, portano i giornalisti a negoziare continuamente anche i propri principi etici di riferimento. Infine è opportuno sottolineare come anche il confronto con il giornalismo occidentale, così come la difesa della propria visione particolare del mondo, sia estremamente importante anche per i corrispondenti panarabi. La migliore dichiarazione di aderenza inconsapevole al principio di “oggettività contestuale” è infatti proprio quella di Hussein Abdel Ghani: Io rifletto me stesso e sono un egiziano, sono un arabo e sono un musulmano, ma rifletto me stesso in un modo molto oggettivo. È per questo che noi, occidentali e arabi, possiamo trovare un punto in comune, come giornalisti o come persone che lavorano sui media perché c’è un terreno comune, tu rifletti te stesso come europeo, come cristiano etc, ma dobbiamo discutere in maniera oggettiva, non si tratta di essere neutrale che è impossibile ma si tratta di essere obiettivi (H. A. G., Al Jazeera) 9.3 Verità, libertà e responsabilità, l’etica dei giornalisti egiziani Nell’ultimo decennio il codice etico preparato dal Sindacato dei giornalisti egiziani nel clima di battaglia contro la legge N. 93 del 1995 non è stato modificato. Esso era stato elaborato in una situazione nella quale i giornalisti si trovavano sotto forte pressione del regime affinché, in nome della “responsabilità”, trovassero forme di auto-limitazione della libertà d’espressione se non volevano che queste limitazioni arrivassero dalle misure repressive del regime. Il rapporto tra libertà e responsabilità ha continuato a caratterizzare il dibattito in merito alle questioni etiche e professionali. Sindacato dei giornalisti, Consiglio Superiore della Stampa, Ministro dell’informazione e lo stesso presidente Mubarak nel corso dell’ultimo decennio sono tornati più volte sulla questione della necessità che la libertà di stampa trovi un limite, anche etico e morale, rispetto all’“attacco deliberato” nei confronti tanto dei singoli quanto delle istituzioni. Proprio su un piano etico e morale si è spesso giocato lo scontro tra regime e le nuove testate private. Presentare infatti in questo senso la questione della necessità di limitare la libertà d’espressione è, per un regime che sta investendo molto per proporsi internazionalmente come “democratico”, più conveniente. La questione della necessità di porre limiti di natura etica alla libertà d’espressione è infatti universalmente dibattuta e legittimata, pertanto può offrire strumenti più “puliti” per arginare l’irruenza della stampa privata. Quello passato è stato un decennio nel quale si è molto dibattuto di questioni etiche. Safwat El Sherif, portavoce della Camera Alta, rispondendo alle domande dei giornalisti della MENA l’8 ottobre 2007 e commentando la situazione del giornalismo nel paese negli ultimi dieci anni, ha affermato che si è trattato di un periodo “molto delicato”. Questo, secondo Sherif, è avvenuto perché il sistema dell’informazione nel paese ha subito grosse trasforma- 194 zioni e pertanto si è resa necessaria una nuova riflessione sui limiti morali e sulla necessità che i giornalisti si assumano la responsabilità di rispettare e difendere il codice etico da loro sottoscritto. L’arrivo dei giornali privati, con la loro linea aggressiva e spesso canzonatoria nei confronti delle alte autorità dello stato, ha rimesso in discussione alcuni dei tabù più radicati all’interno del sistema etico del giornalismo egiziano, primo tra tutti l’“inviolabilità della presidenza”. Soprattutto negli ultimi anni si sono avviati processi di rinegoziazione conflittuale dei limiti etici della professione, anche all’interno dello stesso sindacato, tra giornalisti. Ibrahim Issa, direttore de Al Dustur ritiene sia dovere (anche etico) dei giornalisti: “Farlo (Mubarak n.d.r.) scendere dal piedistallo, mostrarne le debolezze, mostrare che il re è nudo!”e che pubblica le prime pagine con titoli, caricature e fotomontaggi nei quali Mubarak, suo figlio, il primo ministro Nazif vengono spesso canzonati e derisi. Al contrario Karam Gabr, direttore di Rose Al Youssef secondo cui: “È necessario preservare la professione dalle volgarizzazioni e dalle pratica delle accuse deliberate e infondate”. Queste due posizioni si confrontano quotidianamente diventando, in alcune occasioni, veri e propri faccia a faccia che rappresentano momenti importanti di negoziazione dell’etica professionale propria del sistema. Nel settembre 2006, ad esempio, lo stesso Karam Gabr e Halim Kandil direttore del settimanale privato Al Karama, si sono confrontati in modo molto acceso sui doveri morali e i limiti etici della professione in un programma di approfondimento dell’emittente satellitare Orbit.177 Mentre il primo accusava la stampa privata di irresponsabilità e di immoralità, il secondo sosteneva che dietro la scusa della moralità la stampa semi-ufficiale agiva come un lacchè del regime. Dibattiti di questo tipo negli ultimi anni hanno avuto forme anche più strutturate all’interno degli spazi di discussione del Sindacato dei giornalisti. È il caso, ad esempio, di un incontro svoltosi il 16 settembre 2006, di cui Al Ahram weekly, nell’edizione del 21-27 settembre 2006, fornisce questa descrizione: During Saturday's meeting at the Press Syndicate between editors of state- owned and independent newspapers the two camps agreed on mechanisms aimed at ending any violations of the profession's code of ethics in a move intended to defuse a simmering row that had degenerated into the hurling of insults on both the pages of the press and satellite television channels. In the last two weeks differences between the two camps boiled over, with editors of stateowned newspapers threatening to set up an alternative association to the Press Syndicate which, they charged, had shown itself ineffective in promoting the interests of journalists. The crux of the argument between the two focussed on just how much leeway newspapers should enjoy in writing about the president. Editors of state-owned newspapers accuse their independent counterparts of slandering the president while independent editors say that their criticisms are not only legitimate but are protected by the constitution. And in an answer to the position adopted by the editors of national papers, some journalists argued that the logical extension of banning criticisms of the president would be to extend such immunity to all Gruppo privato saudita con diversi canali satellitari, molto seguiti in tutto il mondo arabo, prevalentemente per l’intrattenimento. Alcuni programmi di attualità sono dedicati interamente all’Egitto e hanno nel paese un ottimo successo di pubblico. 177 195 public figures, including politicians opposed to the ruling National Democratic Party. The row erupted following the publication of the annual report of the Shura Council-affiliated Higher Press Council which called on the Press Syndicate to act to end "improper journalistic practices [including] insulting the president of the republic". È molto interessante vedere come si svolgano incontri ad hoc tra direttori dei quotidiani nazionali e i direttori dei giornali privati con lo scopo di discutere proprio sul modo in cui i giornalisti, come categoria, dovrebbero affrontare la questione morale e la relazione con il codice etico del sindacato. Questi incontri finiscono molto spesso in veri e propri scontri, situazioni dove più che discutere le due fazioni si attaccano e accusano reciprocamente. Tuttavia tali occasioni mostrano come gli operatori dell’informazione, di fronte ad una trasformazione del panorama dei news media, si vedano impegnati in un processo di ridefinizione dei principi di etica e deontologia professionale. La posizione dei board direttivi dei giornali semi-ufficiali, come emerge da un comunicato stampa del settembre 2006, è quella di estrema condanna nei confronti degli attacchi deliberati alle alte cariche dello stato e di richiesta di un impegno della categoria affinché la pratica professionale venga “ripulita da pratiche volgari e svilenti”. La nuova situazione, venutasi a creare all’interno del sistema, ha dunque determinato, soprattutto a partire dal 2005, uno scontro tra differenti “giornalismi”, una condizione che negli ultimi mesi del 2006 ha visto il Sindacato impegnato nel tentativo di trovare posizioni di mediazione, ad esempio attraverso la discussione sull’opportunità di istituire un nuovo comitato di giornalisti senior per monitorare qualsiasi violazione del codice etico del 1996. Le dichiarazioni ufficiali del Sindacato sono tutte improntate al sostegno dell’unità della categoria e alla risoluzione dei conflitti interni. In un altro comunicato, sempre del 2006, il direttivo dell’organizzazione invita i giornalisti a smettere di criticarsi e di attaccarsi l’un l’altro sulla base di accuse di natura morale, questo nell’interesse dell’unità della categoria, e sottolinea come il Sindacato rappresenti l’unico soggetto con il potere di risolvere le dispute tra giornalisti. La posizione del Sindacato nei confronti delle critiche ai soggetti pubblici è la seguente178: Criticism of public figures is permissible when it is deemed to be in the public interest but no such criticisms should contravene the profession's code of ethics. Una posizione che ufficialmente legittima l’attacco all’operato degli officials in nome dell’interesse pubblico ma lo vincola al rispetto del codice etico e dunque al giudizio degli organismi interni al sindacato preposti al controllo dell’operato dei giornalisti. Il dibattito sui valori etici e morali all’interno del sindacato, pur essendo un’ottima spia di quanto la condizione corrente del sistema abbia aperto nuovi spazi di negoziazione della cultura professionale, rappresenta anche un campo di battaglia per partite puramente politiche e legate ad alleanze strategiche. È all’interno di uno spazio in cui convivono molteplici interessi (non solo professionali), e molteplici attori, che si sviluppa e si negozia una cultura professionale. Una 178 Così è riportato in Al Ahram weekly, edizione del 21-27 settembre 2006. 196 discussione sugli standard morali in un ambiente “puro”, come auspica Hani Shukrallan, è difficile da immaginare: Noi dovremmo lavorare ancora molto sugli standard morali, creare una sorta di opinione pubblica all’interno della comunità giornalistica che possa dire: “ehi noi dobbiamo lavorare sulle informazioni, andiamo!” (H. S., ex direttore Al Ahram weekly) Anche le emittenti satellitari panarabe entrano nel dibattito sindacale rispetto alla mancata aderenza a standard etici professionali. Si riprenda ad esempio un passaggio dell’articolo di Al Ahram riprortato più sopra: (…) ending any violations of the profession's code of ethics in a move intended to defuse a simmering row that had degenerated into the hurling of insults on both the pages of the press and satellite television channels. Questo significa che anche il lavoro di questi soggetti esterni al sistema mediatico nazionale è entrato, anche se indirettamente, a far parte del processo di negoziazione dei valori etici che caratterizzano la cultura professionale di cui i giornalisti egiziani si sentono di far parte. Anche per i giornalisti che lavorano per i media egiziani, come per giornalisti in house e i corrispondenti dei newsmedia panarabi, il concetto di obiettività si rivela significativo nella definizione dell’etica professionale (Questionario n.19). Qui di seguito sono riportate alcune delle definizioni di obiettività proposte dai giornalisti egiziani che hanno risposto al questionario179 somministrato: Per essere obiettivo il giornalista si deve mettere in grado di governare la situazione dall’alto in modo da individuare tutti i punti di vista senza far trasparire la propria idea, mettendo il lettore nella condizione di comprendere e scegliere a quale parere aderire. (Questionario Al Masri Al Youm N.1) L’obiettività è scrivere una notizia, un’intervista, un’inchiesta con neutralità completa, lontano da ogni favoreggiamento e senza subire alcuna influenza e ovviamente senza che emerga il carattere del giornalista. (Questionario Al Masri Al Youm N.2) L’obiettività sta nel riportare le informazioni, raccogliendo i vari punti di vista tra essi diversi e contrastanti su ciò che si è verificato, dedicando ugual spazio ad ogni parte per difendersi. (Questionario El Fajr N.1) Il giornalista deve essere come un giudice, rinunciando alle proprie emozioni, deve arbitrare la questione che tratta in base ai documenti che detiene. (Questionario El Fajr N.2) 179 Sono state scelte le risposte maggiormente significative. 197 L’obiettività sta nel presentare i diversi punti di vista riguardanti una questione; scoprire gli eventuali responsabili del torto, coloro che sono coinvolti e rivolgere, eventualmente, la questione al governo perché giudichi e magari crei una nuova Legge. (Questionario El Fajr N.5) Riportare la notizia nel momento in cui accade e nel medesimo modo in cui si è verificata. (Questionario El Fajr N.9) Riportare la verità al lettore in modo pertinente, senza essere coinvolti da una parte o dall’altra, nella consapevolezza che sarà il lettore a giudicare quanto sia veritiero ciò che poi viene proposto. (Questionario Al Ahram N.5) L’obiettività è la presentazione di tutti i punti di vista, senza che uno abbia la meglio, così che il lettore non capisca l’opinione del giornalista o per quale parte egli propenda. ( Questionario Al Ahram N.8) L’ obiettività rende il giornalista pertinente, lo allontana da favoritismi nei confronti delle sue fonti, lo porta a scoprire sempre la verità anche se ciò comporta un rischio per le relazioni che ha con le sue fonti. (Questionario Akhbar El Youm N.3) Riproporre gli eventi come si sono verificati, senza contaminarli con un opinione, restando pertinenti ed oggettivi con tutte le parti coinvolte nell’accaduto. (Questionario Akhbar El Youm N.4) L’obiettività è il presentare tutti i punti di vista senza commentare alcuna parte, anche se io avessi un opinione ancora differente da quella proposta dalle due parti. (Questionario Akhbar El Youm N.6) L’obiettività è la lontananza dalla sfera personale (Questionario Akhbar El Youm N.9) L’obiettività sta nel dono del non ingrandire le notizie (Questionario Akhbar El Youm N.10) Non includere le tue idee personali e i tuoi pregiudizi in una storia (Questionario Freelance N.1) Lasciare che sia il lettore a giudicare (Questionario Freelance N.3) Non lasciarsi influenzare dalle proprie esperienze personali (Questionario Freelance N.4) Come è evidente non è possibile individuare una differenza significativa tra le definizioni di obiettitività fornite dai giornalisti della stampa semi-ufficiale e quelli della stampa privata. Sostanzialmente c’è un’idea comune di che cosa significhi obiettività nel giornalismo, un’idea che chiama in causa i seguenti valori: - non far trasparire la propria opinione - riportare tutti i pareri a riguardo di un fatto - lasciare al lettore la scelta della “verità” che più lo convince 198 - basare i propri articoli e le proprie opinioni solo su fatti certi - rapidità nel riportare la notizia - indipendenza dalle fonti - rifiuto del sensazionalismo Questi elementi vengono richiamati sia da giornalisti della stampa privata che da giornalisti della stampa semi-ufficiale. Una prima spiegazione a questa omogeneità può essere trovata nel fatto che quello di “obiettività” è un concetto normativo, un’idea che non si struttura soltanto sulla base della propria esperienza e della propria pratica quotidiana, ma sulla base di un’idea più ampia della “professione”. Si tratta peraltro di un concetto legato, nell’immaginario dei giornalisti di tutto il mondo, al contesto in cui esso è stato elaborato, quello del giornalismo anglosassone, e pertanto è sempre legato alla definizione che in questo contesto ne viene data. Rispetto alle definizioni di obiettività dei giornalisti panarabi, quelle dei giornalisti dei media nazionali comprendono in una maniera più esplicita la relazione con gli altri soggetti sociali: pubblico, fonti e officials. Anche i giornalisti della televisione egiziana fanno riferimento al concetto di obiettività per definire i propri valori professionali e per difendere il proprio approccio alla notizia: Negli ultimi tre anni ci sono state molte trasformazioni e ora noi siamo più liberi. Più liberi di dire quello che vogliamo, con qualche limite. Nel senso che dobbiamo tenere presente cosa stiamo rappresentando e noi dobbiamo rappresentare la realtà. Senza deformazioni e senza esagerazioni. Dobbiamo essere oggettivi, dobbiamo rappresentare quello che accade perché i canali satellitari panarabi presentano ciò che succede con una grande esagerazione, non è la realtà, non è la verità. Loro prendono solo alcune parti per attrarre e per fare show, ma qui in Egitto no, noi non abbiamo questo sistema, noi dobbiamo presentare ciò che accade per come è. (N. S., Nile Tv) Secondo questa visione obiettività e responsabilità vanno di pari passo: è fondamentale un approccio responsabile alla notizia nel quale evitare il sensazionalismo e l’esagerazione è il primo dovere etico e morale di un giornalista. Nel definire la propria visione di obiettività in questo modo ancora una volta i giornalisti della televisione nazionale si pongono in contrapposizione soprattutto con il lavoro dei giornalisti panarabi, i quali vengono indicati come promotori di “un altro tipo di giornalismo” che cerca emozione e show. 199 Nazionalismo e orgoglio nazionale 10.1 “Cittadini del mondo?” I giornalisti in house di Al Jazeera e Al Arabiya Il nazionalismo e l’orgoglio nazionale non trovano un grande spazio nella cultura professionale dei giornalisti panarabi. Coerentemente con un’auto-rappresentazione della propria comunità che valorizza l’elemento “internazionalista” -ovvero il fatto che nella newsroom sono presenti tutte le nazionalità del mondo arabo- i giornalisti panarabi in house tendono a presentare come un valore fondamentale della loro cultura professionale proprio il fatto di non essere per nulla nazionalisti: Io mi sento cittadino del mondo! Ho vissuto a lungo lontano dal mio paese, ho lavorato per BBC per APTN e ho vissuto 20 anni in Europa. Non sono “nationalistic minded” io vado oltre lo stato. (N. B., Al Arabiya) Noi abbiamo giornalisti da tutto il mondo arabo, qualche volta chiamiamo questa situazione la Lega Araba, qualche volta Le nazioni unite. È una cosa molto positiva che la gente qui venga da paesi differenti e abbia background differenti, questo aiuta molto. Ci aiuta molto, ci apre la mente (A. J., Al Jazeera) Sono sostanzialmente tre gli elementi che spingono i giornalisti panarabi in house a sviluppare una cultura professionale cosmopolita che vede il nazionalismo quasi come un limite. Questi tre elementi hanno a che vedere con il loro background professionale, con i rapporti interni alla newsroom e con la mission delle newsorganization panarabe. Innanzitutto c’è da considerare il fatto che molti dei giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya provengono da esperienze di lavoro nei grandi network e nelle grandi agenzie occidentali: ricordiamo che lo staff originario che lanciò Al Jazeera nel 1996 proveniva dal BBC Arabic Service. Questi giornalisti dunque raramente hanno avuto un percorso professionale che li ha portati dal lavoro nelle newsorganization nazionali dei loro paesi direttamente a Doha o a Dubai. Al contrario essi hanno vissuto e lavorato a Londra, a Parigi, a Roma o negli Stati Uniti e questo li ha portati a non identificare se stessi -personalmente e professionalmente- soltanto con il proprio paese d’origine. Aver lavorato in Occidente prima della stagione di Al Jazeera e Al Arabiya, 201 quando cioè il livello di libertà editoriale e spesso anche di professionalità nel mondo arabo era estremamente basso, significa essere parte di un’elite che comprende i migliori professionisti di tutta la regione, impiegati dalle grandi agenzie e news organization occidentali per coprire la regione e per offrire servizi pensati per un pubblico panarabo. È pertanto comprensibile che anche in seguito a questa esperienza personale i giornalisti senior di Al Jazeera e Al Arabiya tendano a mettere in secondo piano istanze nazionaliste a vantaggio di elementi che richiamano la loro appertenenza ad una comunità professionale transnazionale. I giornalisti più giovani poi hanno trovato nel lavoro per questi grandi network panarabi una via d’ingresso dorata, in quanto a gratificazioni e remunerazioni, che non avrebbero mai ottenuto all’interno del loro sistemi nazionali. C’è poi da considerare la situazione delle newsroom, all’interno delle quali giornalisti provenienti da tutta la regione lavorano fianco a fianco e con una mission comune. In un contesto di questo tipo si sviluppano ovviamente rapporti molto stretti con uomini provenienti da altri paesi arabi e l’efficienza del proprio lavoro dipende anche dalla performance offerta da questi colleghi. Questa relazione porta inevitabilmente a ridimensionare le istanze nazionaliste e i pregiudizi in nome dell’importanza di una collaborazione utile per migliorare il livello della comunicazione giornalistica in tutta la regione: Io penso che il modo in cui noi lavoriamo qui è un modo che aiuta tutti i paesi arabi, io come egiziano, il mio collega come palestinese, etc. Io credo che il modo in cui lavoriamo possa essere utile per ognuno dei nostri paesi (A. J., Al Jazeera) Infine, definendosi questi newsmedia “global oriented” e rivolgendosi ad una audience composta da tutti i parlanti arabo nel mondo essi, di fatto, sono interessati alla valorizzazione dei legami regionali e delle issue regionali piuttosto che a quelle nazionali. Promuovere lo sviluppo di identità che si riconoscano in elementi che vanno oltre la dimensione nazionale è infatti anche parte di una strategia editoriale, perché necessario per mantenere alto l’interesse del pubblico per il lavoro di news organization che non si concentrano su singoli paesi: Nel mondo arabo ci sarà sempre interesse per le notizie regionali perché storicamente noi siamo stati una sola cosa. L’interesse della gente per gli altri non è solo dovuto al commercio, la gente qui è davvero interessata a cosa succede in Iraq, la questione palestinese è interessante per tutti, e anche se i canali nazionali dovessero migliorare la gente manterrà la loro lealtà ai canali panarabi perché scoprirà che gli interessa davvero sapere cosa succede nel resto del mondo arabo; non è solo il fatto che non hanno buoni canali nazionali. E poi ci sono famiglie sparpagliate in tutto il mondo arabo e quindi si vuole sapere che succede ai tuoi parenti (S. K., Al Jazeera) Per i giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya dunque la valorizzazione di una nuova forma di panarabismo da contrapporre alle istanze nazionaliste180 rappresenta sia una strategia editoriale, sia un elemento fondamentale per valorizzare la propria scelta professionale, sia, in alcuni Sia le tendenze allo sviluppo di sentimenti identitari che vanno oltre la dimensione nazionale, sia la tendenza allo sviluppo di istanze nazionaliste, hanno caratterizzato la storia politica della regione. 180 202 casi, una scelta politica. All’interno di una cultura giornalistica di questo tipo nazionalismo e orgoglio nazionale vengono visti come limiti, anche da un punto di vista professionale: Abitualmente ognuno pensa che il mondo finisca al confine del suo paese, che la sua gente sia la migliore, che tutti gli altri siano idioti. La gente che vive sempre nel proprio paese pensa che questo sia il centro del mondo, il fatto di lavorare con persone che vengono da altre parti del mondo arabo e di imparare delle cose da loro ti aiuta a smussare questa percezione. (N. H., Al Arabiya) I giornalisti panarabi in house dunque sembrano voler presentare un’immagine di sé come di soggetti che, sia da un punto di vista personale che professionale, sono stati capaci di andare oltre la dimensione nazionale e di reimpostare il proprio modo di vedere il proprio lavoro e il proprio modo di vivere all’interno di una dimensione maggiormente cosmopolita: La società nel mondo arabo è molto importante e nel mondo arabo gli esseri umani tendono di più ad avere legami stretti con le loro famiglie, non come in occidente dove la gente non ha problemi a spostarsi, nel mondo arabo non c’è molta gente disposta a muoversi in continuazione, non dipende solo dal giornalismo ma dal modo di vivere. (A. J., Al Jazeera) In questo senso è utile fare riferimento di nuovo alla maniera in cui i giornalisti in house descrivono la loro relazione con i propri corrispondenti. All’interno di tali descrizioni emerge infatti come l’elemento del nazionalismo sia origine di conflitto tra in house e corrispondenti e come i primi affermino di rifiutare qualsiasi forma di nazionalismo: Durante queste discussioni con i corrispondenti che magari vogliono a tutti i costi proporre una storia dalla Palestina ad esempio, che è il mio paese, se io insisto dicendo che non è importante loro provocatoriamente mi dicono: tu non sei un vero palestinese. Io gli rispondo: “personalmente io supporto Hamas completamente, come palestinese, ma come news producer qui a Doha io non sono palestinese”.” (M. K., Al Jazeera) Questa posizione mostra chiaramente come quella che è possibile definire “ideologia del cosmopolitismo” funzioni come strumento di negoziazione nella definizione dei compiti e delle pratiche professionali ma anche come “strumento” di difesa. L’ “ideologia del cosmopolitismo arabo” è infatti utile per proteggersi dagli attacchi sia di coloro (pubblico, colleghi, officials) che vorrebbero che i giornalisti panarabi entrassero di più nella dimensione nazionale della notizia, sia di quanti li accusano di avere un approccio troppo fazioso e interessato ad influenzare le vicende interne dei paesi arabi. Per questo le nostre coverage sono spesso criticate dal pubblico locale perché loro pensano che noi non andiamo abbastanza nei dettagli, ma noi non volgiamo perchè abbiamo anche un pubblico più ampio che non è interessato ai dettagli. Ogni volta che noi copriamo una vicenda cerchiamo di generalizzarla, di renderla trasponibile, di mostrare le similarità o le differenze con gli altri paesi (S. K., Al Jazeera) 203 Questo “panarabismo giornalistico” sembra, per certi versi, svolgere per i giornalisti panarabi in house la stessa funzione che l’obiettività ha svolto e continua a svolgere in ambito anglosassone: è un modo per costruire un prestigio professionale, porsi al di sopra delle parti e cercare di celare un coinvolgimento particolare su certi temi e certe notizie. Per dirla con Tuchmann (1977) un “rituale strategico”. In ogni caso è opportuno notare come se i giornalisti panarabi in house insistano molto nel sostenere che non guardano alle notizie relative al loro paese in modo differente rispetto a quelle sul resto del mondo; tuttavia gli esempi concreti che essi fanno nel momento in cui devono descrivere il loro lavoro sono molto spesso presi dal loro paese di provenienza: La situazione interna del Libano particolarmente dinamica e pluralista per la regione ha favorito lo sviluppo di competenze molto preziose e di un alto livello di professionalità nel sistema dei media. Questo ha fatto sì che nel momento in cui sono stati lanciati i primi canali satellitari i giornalisti libanesi abbiano svolto un ruolo fondamentale in essi. (N. H., nazionalità libanese, Al Arabiya) Il giornalismo egiziano ha una lunghissima e importante storia, purtroppo non si è potuto sviluppare a causa della mancanza di libertà (A. J., nazionalità egiziana, Al Jazeera) È dunque evidente, e sarebbe davvero impossibile pensare il contrario, che i giornalisti in house non si “dimenticano” completamente della loro nazionalità per trasformarsi in apolidi o, come preferirebbero loro, in “puri giornalisti panarabi”. Definirsi in questo modo serve loro per cementare la comunità in cui lavorano e per elevare una barriera di protezione verso l’esterno: ciò rappresenta una vera ideologia professionale. Dietro alle parole comunque, e lontano dai registratori, si coglie comunque come in realtà i palestinesi continuino ad essere palestinesi, gli egiziani egiziani, i giordani giordani etc.: Ognuno comunque continua a mantenere un legame con il suo paese, in alcuni casi è un legame politico, in altri casi è un legame affettivo, ma nella news room, si sa che è così e in alcuni casi nascono tensioni (S. I. Al Jazeera) 10.2 I corrispondenti dei canali panarabi, tra nazionalismo e differenziazione I corrispondenti dei canali panarabi vivono –da un punto di vista professionale- in maniera contrastata anche l’“orgoglio egiziano”. Essi infatti nella definizione della propria identità professionale utilizzano molto di più contenuti “nazionalistici” rispetto a quanto facciano i loro colleghi in house: Per quanto riguarda i problemi di lavorare come giornalista in un paese che non è libero posso dire che l’Egitto è un grande paese, è un paese con una lunga tradizione di accettazione dell’attività dei giornalisti, non è la Tunisia, non è la Libia, non è il Kuwait, non è come questi paesi, è più libero, ma resta comunque un paese arabo, resta un paese del terzo mondo e il nostro sistema politico ha dei problemi, ma ora noi vogliamo affrontare i problemi giorno dopo giorno. (H. A. G. Al Jazeera) 204 Nel paese stanno avvenendo delle riforme, riforme che riguardano anche i media, molti tabù stanno cadendo e nessun può negarlo. Se tu guardi in Siria o in qualsiasi altro paese arabo, non c’è traccia di quello che sta accadendo in Egitto, quello che sta avvenendo qui è senza precedenti. (R. A. A. Al Arabiya) Essere “giornalisti egiziani” dunque, per i corrispondenti dei media panarabi, significa inserirsi in una tradizione lunga e importante di giornalismo, essere parte di una cultura giornalistica che non ha pari in tutta la regione. Essi definiscono se stessi come professionisti anche sulla base di una forma di orgoglio nazionale e di appartenenza alla “tradizione egiziana”. Oggi i corrispondenti panarabi si sentono gli attori di questa storia in grado di poter meglio difendere l’eredità e gli unici a poter stimolare il sistema nazionale a perseguire un “primato” regionale: Il nostro paese a causa del regime di Mubarak non solo sta rimanendo indietro nell’industria e nell’economia ma anche nel mercato e nella cultura dei media che abbiamo dominato per moltissimo tempo, così noi stiamo cercando di stimolare i giornalisti a seguire gli standard internazionali perché oggi tu non puoi impedire alla gente di sapere le cose. Noi siamo un modello per l’Egitto, per il Medio Oriente e per tutto il Terzo Mondo. (H. A. G., Al Jazeera). Il sistema dei media egiziani oggi è dominato dal governo, noi siamo indipendenti e per tanto siamo un modello, ma noi in questo ufficio siamo tutti egiziani e molto orgogliosi di essere egiziani (R. A. A., Al Arabiya) I corrispondenti panarabi, da un certo punto di vista, sembrano voler farsi carico dell’eredità della tradizione giornalistica nel paese, un compito a loro avviso non possibile per i giornalisti che lavorano per i media egiziani. Essi dunque immaginano di rappresentare “lo zoccolo duro” della cultura professionale nazionale: Sono orgoglioso di dirti che noi siamo la forza motrice della hard news machine in Egitto, perché noi forziamo con la nostra presenza tutti i nostri colleghi o tutti i nostri competitori a cercare di eguagliarci nel fare gli scoop e nel seguire le notizie (H. A. G., Al Jazeera) I corrispondenti panarabi dunque ritengono di poter tutelare meglio “la storia gloriosa” del giornalismo egiziano “dall’esterno”, dalla loro condizione particolare “separati in casa”, ovvero lavorando per newsorganization non egiziane. L’attitudine di questi giornalisti nei confronti dei valori “nazionalisti”, nel momento in cui si tratta di definire la propria cultura professionale, è dunque ambivalente. Essi si definiscono orgogliosi di essere giornalisti egiziani in nome della tradizione del giornalismo nel paese ma rivendicano per se stessi uno status particolare, di maggiore libertà e professionalità, proprio come conseguenza della loro separazione “professionalmente” da tale sistema. Diversamente dai giornalisti in house dunque, i corrispondenti valorizzano, nella descrizione dei valori della propria cultura giornalistica, sia l’elemento dell’appartenenza alla loro comunità nazionale sia l’elemento della differenziazione rispetto a tale sistema. 205 I corrispondenti dei newsmedia panarabi sono giornalisti egiziani che vivono in Egitto, si sono formati professionalmente all’interno di quel paese181, non hanno dunque quello stesso approccio “cosmopolita” che caratterizza la cultura dei loro colleghi in house e manca loro la possibilità del confronto quotidiano con una newsroom composta da persone provenienti da tutta la regione. Questo concorre a determinare un’attitudine peculiare nei confronti delle vicende nazionali e del loro peso nella politica regionale: Le vicende egiziane sono molto importanti perché l’Egitto è considerato il centro del mondo arabo e gli affari egiziani sono considerati sempre affari arabi (H. A. G., Al Jazeera) L’Egitto è effettivamente uno degli attori principali del mondo arabo, una dichiarazione così assertiva tuttavia mostra come la negoziazione tra giornalisti in house e corrispondenti, per stabilire le priorità in termini di notiziabilità passi effettivamente anche attraverso elementi che hanno a che vedere con forme di nazionalismo e di orgoglio nazionale. Tali sentimenti sono avvertiti dai corrispondenti in modo più marcato rispetto ai colleghi in house e questo, in alcuni casi, può ovviamente generare conflitti e tensioni. 10.3 “La cultura giornalistica araba è la cultura egiziana!” L’Egitto è stato per lungo tempo182 il cuore pulsante del sistema regionale dei news media, i prodotti televisivi e i giornali egiziani erano visti e letti in tutta la regione. Con l’inizio degli anni Novanta e con l’esplosione dei canali satellitari del Golfo questa situazione muta bruscamente.183 Questo pone anche i giornalisti egiziani di fronte alla crisi del proprio primato regionale, nonché al confronto diretto con altre professionalità, altre modalità operative in grado di ottenere un successo di pubblico estremamente forte in tutta la regione (e anche in Egitto). Tale nuova condizione, soprattutto per gli uomini della televisione egiziana, ha rappresentato una spinta importante per una ridefinizione della rappresentazione di sé e del proprio ruolo a livello nazionale e regionale. Se infatti fino alla fine degli Ottanta giornalisti da tutto il mondo arabo arrivavano al Cario per essere formati e per emulare il modello egiziano, oggi è la struttura della televisione egiziana a dovere assumere trainers dall’estero184, e questo anche in seguito all’esplosione del mercato regionale delle news. La reazione dei giornalisti televisivi egiziani nei confronti dell’incontestabile primato regionale detenuto oggi dalle all news satellitari del Golfo è difensiva. Soprattutto coloro i quali Dei corrispondenti che ho intervistato nessuno aveva avuto significative esperienze di lavoro all’estero, neppure i due direttori degli uffici di Al Jazeera e Al Arabiya: Hussein Abdel Ghani viene da un’esperienza ventennale a Cairo Tv e Cairo Radio, oltre che per la stampa egiziana. Randa Abu Alasan ha cominciato a lavorare nel 1995 come corrispondente dal Cairo per MBC, e ha pertanto lavorato sempre per media sovrannazionali, ma comunque dall’Egitto. 182 Assieme al Libano (cfr. Valeriani 2005). 183 Anche se per quanto riguarda cinema e fiction le produzioni del Cairo continuano ad avere un ruolo di primo piano. 184 Si tratta di esperti formatori che provengono dalle principali news organization occidentali. 181 206 hanno posizioni di responsabilità all’interno delle redazioni, e vedono la loro professionalità e il loro “prestigio” a livello nazionale e internazionale messo in discussione, sembrano spesso insistere sull’originale ruolo dell’Egitto e dei suoi giornalisti nello sviluppo della cultura giornalistica regionale: Tutto è partito dall’Egitto, noi siamo la culla di tutto, anche la religione è nata da qui. Poi loro hanno scoperto il petrolio e hanno fatto i soldi. Ma noi siamo i veri pionieri dei media e noi dopo il buco degli anni novanta stiamo riacquistando il nostro ruolo. (H. H., Nile Tv) Per Al Jazeera è stato facile fare un canale solo e con molti soldi. Volevano sfidare l’Egitto e cancellare la prospettiva egiziana e il flavor egiziano dalle news. Hanno detto ai presentatori egiziani che hanno assunto di eliminare il loro accento, ma nella news room, tra chi fa davvero le notizie, sono tutti egiziani. (N. S., Nile Tv) I giornalisti della televisione egiziana si sentono fortemente messi in discussione dal lavoro delle emittenti panarabe e rispondono facendo ricorso alla storia del giornalismo nel loro paese e rivendicando il ruolo fondamentale del know how egiziano. Il ragionamento è il seguente: l’Egitto è stato il faro per i media a livello regionale in passato e tornerà ad esserlo in futuro; nel presente sono comunque giornalisti egiziani ad animare il successo dei network non egiziani che dominano il mercato. Si tratta, ovviamente, di una prospettiva fortemente Egitto-centrica, all’interno della quale l’orgoglio nazionale funziona da motore per un desiderio di rivalsa che sembra rappresentare un elemento importante della cultura professionale dei giornalisti televisivi. La competizione con i newsmedia panarabi viene definita “naturale” per un sistema dell’informazione “importante” come quello egiziano: I nostri format sono assolutamente competitivi con gli standard internazionali. Noi abbiamo il più grande sistema dei media, nessuno ha così tanti uomini impiegati nei media e un edificio così grande per la televisione, nemmeno gli USA. (H. H., Nile Tv) La Mena è stata creata nel 1957 con lo scopo di fronteggiare le notizie delle grandi agenzie occidentali e per dare al mondo una nuova e autentica prospettiva perché i reporter occidentali scrivevano molte cose non corrette riguardo a cosa succedeva all’epoca nella nostra regione. E noi l’abbiamo chiamata Middle East News Agency perché è stata la prima news agency nella regione! La Mena ha partecipato alla creazione di molte altre news agency arabe i nostri giornalisti sono stati mandati in tutta l’area per aprire altre agenzie di informazione che sono state create sul suo modello. (S. A., Mena) È molto interessante vedere come i giornalisti televisivi rappresentino la loro relazione con i news media panarabi sulla base di una “superiorità” indiscutibile della cultura giornalistica egiziana e siano convinti che l’attuale primato delle news organization panarabe del Golfo sia solo transitorio e determinato dall’abbondanza di risorse economiche di quell’area: Se esiste una cultura giornalistica araba è la cultura egiziana! Noi siamo stati i primi e gli altri hanno imparato da noi, nell’intrattenimento e nelle news! (H. H., Nile Tv) 207 Questi giornalisti dunque insistono molto sull’“egizianità” di fondo della rivoluzione di Al Jazeera e sembrano non dare importanza al cosmopolitismo e allo scambio di competenze, elementi cui i giornalisti panarabi in house attribuiscono buona parte del successo delle loro emittenti. Rappresentare Al Jazeera e Al Arabiya come “esperimenti di giornalismo egiziano fatti con i soldi del Golfo” pone meno problemi “esistenziali” ai giornalisti della televisione egiziana. In questo modo essi non devono mettere in discussione la propria professionalità e il proprio modo di lavorare. Il problema è economico perché noi non abbiamo abbastanza budget per fare quello che vogliamo, le nostre ambizioni. Nel futuro cercheremo di ottenere un budget più elevato per avere nuovi progetti e per ampliare le nostre fonti di notizie, le nostre reti di corrispondenti. Noi stiamo creando un nuovo studio più grande e il ministro ci sta dando molte risorse. (N. S., Nile Tv) I top-journalist della televisione egiziana in particolare, nella descrizione della loro relazione con Al Jazeera e Al Arabiya, non mettono in discussione né le proprie condizioni di libertà editoriale né la propria professionalità. Tale atteggiamento può essere interpretato come una forma di autodifesa e di protezione del proprio status (coerentemente con una logica di fedeltà clientelare). Questa attitudine comunque mostra quanto l’orgoglio nazionale rappresenti un elemento fondamentale nell’elaborazione della cultura professionale dei giornalisti egiziani, un elemento che sembra essersi rafforzato ulteriormente nel confronto con le emittenti panarabe. Prova di questa reazione alla rivoluzione Al Jazeera è il fatto che anche i giornalisti della carta stampata d’opposizione inseriscono l’elemento dell’orgoglio nazionale pur all’interno di un discorso completamente diverso- nelle loro narrazioni rispetto alle sfide che il sistema dell’informazione nazionale si trova ad affrontare: Siamo sicuramente influenzati dal modello Al Jazeera, è un po’ una sfida da raccogliere. Perché Al Jazeera è nata a Doha e non al Cairo? Perché il nostro sistema non è stato in grado di produrla? Noi siamo sempre stati i leader e vogliamo avere un ruolo importante per il nostro paese nel campo dei media anche oggi. (H. H., Al Wafd) Ti faccio un esempio, 100 anni fa, ovvero un secolo fa, veniva pubblicato al-Ahram e nello stesso periodo erano pubblicati dei giornali a New York. Oggi al-Ahram lavora ancora solo sulle notizie e non sulle inchieste e sull’analisi come New York Times. Quando in Egitto non vi era ancora la televisione, la stampa lavorava sulle analisi. Adesso nessuno più lavora sulle analisi! (I. I., Al Dustur) Per i giornalisti della stampa dei partiti d’opposizione, e per quelli della stampa privata, il riferimento alla storia gloriosa del giornalismo egiziano è occasione di una riflessione critica sul presente e sulla situazione politica in cui si trova l’Egitto contemporaneo. Il passato glorioso del giornalismo nel paese viene paragonato ad un presente più misero, le cui cause vengono imputate al sistema politico, al rapporto del regime con i media e alle condizioni in cui sono costretti a lavorare i giornalisti nel paese. La rivoluzione dei canali satellitari panarabi per i giornalisti della stampa privata e di partito rappresenta un’occasione per sollevare 208 aspre critiche alla gestione della relazione con i media da parte del regime. L’argomentazione che ricorre spesso nelle loro narrative è la seguente: il regime, e più in generale i regimi che si sono susseguiti, hanno affossato una cultura giornalistica centenaria e abituata a primeggiare nella regione; questo ha portato alla scomparsa di alcuni generi giornalistici, a una perdita di professionalità e ha fatto si che le news organization panarabe del Golfo abbiano pututo mettere in discussione il primato egiziano: Gli egiziani sono solitamente spiritosi, simpatici. Io però penso che i fatti del 1952 sin ad oggi abbiano portato alla scomparsa della corrente satirica nel giornalismo egiziano, la quale era molto presente prima del ’52. Anche l’arte delle vignette satiriche è diminuita moltissimo, tanto tempo fa avevamo dei nomi illustri che si dedicavano a questa arte. Si può dire che nei nei decenni scorsi questa arte sia sparita completamente (I. I., Al Dustur) Dunque, pur all’interno di un discorso completamente diverso rispetto a quello dei giornalisti televisivi, anche i giornalisti d’opposizione mostrano di definire il proprio operato professionale in relazione ad un passato glorioso di cui si sentono prosecutori. Nelle loro rappresentazione dei fatti sono le ingerenze del sistema politico che ostacolano il giornalismo nazionale, finendo in questo modo per agevolare il lavoro delle emittenti panarabe: È sorprendente che i media egiziani nazionali, i quali si ritenevano i più seguiti in patria e in tutta la regione, si siano rivelati, in seguito al confronto con Al Jazeera e Al Arabiya, limitati e scadenti; questo è sicuramente un bene, perché fa sì che le autorità si rendano conto di come hanno ridotto il sistema e tolgano una volta per tutte la loro influenza. (I. I., Al Dustur) L’attitudine nei confronti delle notizie negative che riguardano l’Egitto, come confermato dalla letteratura (Abdel Nabi 1989, Mellor 2005), è sempre stata di grande sospetto: esse erano viste come una forma di “tradimento” alla patria e un atto contro “il bene della nazione”. In questo senso si può parlare di una sostanziale trasformazione avvenuta negli ultimi anni con il mutare del sistema dell’informazione nazionale. Le linee dei nuovi giornali della stampa privata infatti sono estremamente critiche nei confronti del regime e spesso evidenziano i limiti della sua gestione politica, l’incapacità del presidente e delle alte cariche dello stato di essere interlocutori credibili sull’arena politica internazionale, l’impreparazione e la corruzione delle elite politiche. Per i giornalisti della stampa d’opposizione tuttavia, “sbugiardare” il regime non significa assolutamente agire contro “il bene della nazione”, al contrario questo è secondo loro uno dei compiti fondamentali della stampa egiziana, proprio “per il bene del paese”: La stampa deve condurlo (il presidente) a scendere dal piedistallo su cui si trova e smettere di essere un faraone per essere un presidente e quindi un comune cittadino eleggibile; solo allora potremo dibattere con lui. Questo è il dovere della stampa per il bene del paese (I. I., Al Dustur) Chi vive la propria missione professionale in questo modo esplicita la propria “indole nazionalista” attraverso una linea aggressiva nei confronti delle autorità. 209 Anche questo atteggiamento mostra la volontà di istituire un paragone tra un passato glorioso e un presente misero dovuto soltanto alle colpe del regime. Alla base dunque c’è una diversa forma di nazionalismo e di orgoglio nazionale, ma comunque una cultura giornalistica che lega la professione a una responsabilità nei confronti della nazione. All’interno di questa visione il ruolo delle all news panarabe non è visto come una “minaccia” per il paese, al contrario per certi versi i giornalisti della stampa privata considerano le loro testate delle “Al Jazeera nazionali”: La rivoluzione del Dustur è uguale a quella di Al Jazeera. Al Jazeera è nata nel ’96 come pure la nostra prima versione del giornale. Quindi comprendi che vi è sempre stata un’ intesa tra noi e loro. È la stessa voglia di riforme che ci muove. Sia Al Jazeera che Al Dustur sono state come un sasso in uno stagno, solo con cerchi di ampiezza diversa. (I. I., Al Dustur) Si io credo che i canali satellitari panarabi e i loro uffici qui stiano giocando un ruolo importante perché sostengono la stampa privata contro il governo in alcune situazioni e per le cause principali e questo ha dato alla stampa privata maggiore possibilità di pressione e maggior potere contro il governo. (A. H., Al Fajr) La visione che i giornalisti della stampa privata hanno del ruolo delle televisioni panarabe è, anche in questo senso, molto diversa da quella dei giornalisti della stampa semi-ufficiale e della televisione nazionale. È tuttavia interessante vedere come molti giornalisti della stampa privata, nella loro descrizione del lavoro delle all news del Golfo, sottolineino come anche queste abbiano un’agenda politica legata al paese che li finanzia: Questi canali panarabi sono guidati dagli interessi politici dei loro governi. Per esempio Al Jazeera ha creato un grosso dibattito nella vita politica e sociale, ma anche Al Jazeera è guidata, perché se Al Jazeera fosse davvero libera criticherebbe anche il Qatar. (M. S., Al Masri Al Youm) Al Jazeera ha comunque una sua agenda e i suoi obiettivi. (Ibrahim Issa, Al Dustur) Questo elemento mostra come da un certo punto di vista l’arena del giornalismo regionale sia ancora vissuta come spazio di scontro tra governi per la leadership regionale e uno scontro tra nazionalismi, non un luogo governato soltanto dalle leggi del mercato. Nelle parole dei giornalisti dei media ufficiali l’elemento dell’orgoglio nazionale si manifesta molto più spesso attraverso la difesa dello status quo e la negazione dei conflitti sociali esistenti nel paese: Per esempio in Egitto ci sono cristiani, musulmani ed ebrei da migliaia di anni perché adesso ci deve essere uno scontro, io credo che questo scontro sia una questione politica, qualcosa che viene da fuori del paese e che non riguarda gli egiziani e che non interessa gli egiziani, noi viviamo in pace da sempre, io credo che ci sia una cospirazione. (I. I., Nile Tv) Il nostro presidente ha tollerato attacchi di ogni tipo senza far niente, senza battere ciglio. Nel nostro paese c’è libertà anche più di quanta ce ne sia negli altri paesi. Io ho fiducia nel nostro 210 sistema giudiziario (anche nel caso di processi a giornalisti), chi sono gli altri che vengono da fuori per giudicare. Noi siamo stati i primi a dover fronteggiare il terrorismo. C’è un discorso di Mubarak negli anni Ottanta che dice “attenzione, il terrorismo si diffonderà, bisogna stare attenti”. Ma gli altri non l’hanno ascoltato e venivano a parlare di “diritti umani”. (H. H., Nile Tv) Anche tra i giornalisti che lavorano per i media ufficiali, soprattutto all’interno della comunità della carta stampata, esistono ovviamente posizioni che si discostano da questa visione e supportano al contrario l’idea della necessità di un ribaltamento dello status quo, con i giornalisti come protagonisti in questo processo. Per strada durante le manifestazioni oggi si sentono gridare slogan davvero forti contro il presidente, e questa è una novità, un segnale importante della presa di coscienza della terribile situazione in cui versa il paese. (H. Y., Al Ahram) C’è dunque una certa differenza nell’espressione del proprio orgoglio nazionale anche tra i giornalisti dei media semi-ufficiali, una distinzione che spesso185 coincide con il ruolo che essi esercitano nella redazione. È infatti più frequente che chi esercita un ruolo di prestigio, e ha quindi gratificazioni personali all’interno di un determinato sistema, tenda a voler proteggere lo status quo e a guardare con sospetto un cambiamento che potrebbe minare la sua posizione di potere. In ultima analisi comunque, pur se vissuto ed espresso in maniera differente, l’elemento dell’orgoglio nazionale, unito ad una sorta “nazionalismo professionale”, sembra continuare a rappresentare un elemento cruciale nella cultura giornalistica egiziana. Questi due elementi influenzano il modo in cui i giornalisti guardano alla propria professione e alla loro relazione con gli altri soggetti mediatici nazionali e transnazionali che coprono le vicende dal paese. Inoltre le non ottime relazioni diplomatiche tra Qatar e Egitto sembrano rispecchiarsi nella linea di Al Jazeera rispetto al governo Mubarak e questo permette ai giornalisti egiziani con posizioni più conservatrici di criticare l’emittente facendo riferimento al suo legame con “l’agenda politica” del suo finanziatore. Non sempre è infatti possibile fare una distinzione sulla base del ruolo nella redazione nella percezione del significato dell’“orgoglio nazionale”. 185 211 Uno spazio ibrido di negoziazione dei valori professionali. Come il sistema nazionale resiste e come si trasforma È stato fin qui mostrato come i tre gruppi di riferimento (“giornalisti nazionali”, “corrispondenti panarabi” e “giornalisti panarabi in house”) abbiano elaborato e rielaborato, nel corso dell’ultimo decennio, i valori della propria cultura professionale. Lo scopo di questo capitolo è innanzitutto concentrare l’attenzione su quegli elementi che evidenziano in che misura queste tre comunità si definiscano l’una in relazione alle altre, interagiscano e utilizzino materiale simbolico comune nella definizione dei propri valori professionali. Questo permetterà di comprendere se l’ipotesi dell’esistenza di uno spazio di negoziazione professionale ibrido e transnazionale possa essere confermata. In secondo luogo si tratterà di vedere in che maniera gli elementi di lungo periodo della cultura professionale egiziana si siano modificati all’interno di questo nuovo contesto. Vedere cioè se e come i valori della cultura professionale nazionale egiziana abbiano subito un processo di ibridizzazione. Esiste dunque, nella percezione dei tre gruppi professionali, una comunità giornalistica ibrida transnazionale? Da quanto emerso questi tre gruppi sentono di appartenere a diverse comunità professionali, comunità che si intersecano e si sovrappongono, che avvicinano e allontanano l’un l’altro i giornalisti a prescindere dalla loro vicinanza fisica. Tre sono infatti le dimensioni a partire dalle quali i giornalisti definiscono i confini della comunità professionale di cui si sentono parte: - L’aderenza a certi standard professionali e il livello di libertà editoriale goduta; - L’identificazione con un sistema socio-politico particolare; - L’instaurazione di un confronto e la percezione di una competizione; A partire da questi tre elementi sembrano effettivamente crearsi rapporti e fratture che prescindono dalla dimensione nazionale e che mostrano l’esistenza di spazi ibridi intranazionali-nazionali-transnazionali nei quali l’appartenenza alla comunità professionale viene nego- 213 ziata. I giornalisti panarabi in house mostrano di individuare la propria comunità professionale prevalentemente in riferimento al primo elemento. Essi si definiscono primariamente come una comunità d’elite che si identifica in maniera molto stretta con la news organization per cui lavora, perché ritengono che essa utilizzi standard professionali molto elevati e sia caratterizzata da un livello di libertà editoriale superiore a quello di tutte le news organization operanti all’interno dei sistemi nazionali nella regione. Essi sembrano voler rinunciare a qualsiasi connotazione nazionale della propria comunità di riferimento e insistono sull’idea di una comunità “globale” dei giornalisti, basata appunto su standard professionali condivisi. In questo senso danno l’idea di voler stabilire una comunanza tra il loro modo di intendere la professione e quello dei giornalisti occidentali, piuttosto che insistere su una comunità professionale interaraba. Questo gruppo professionale valorizza dunque molto la propria collocazione all’esterno di qualsiasi sistema socio-politico nella regione e dunque sottolinea la propria distanza rispetto ai giornalisti arabi nazionali. Tuttavia, al di là di questa esibita volontà di differenziazione, emerge chiaramente l’esistenza di uno spazio di confronto con i sistemi nazionali dell’informazione e le loro regole. L’elemento dell’identificazione, o della mancata identificazione, con un sistema socio-politico nazionale rappresenta infatti per i giornalisti panarabi in house un terreno di negoziazione quotidiana importante, soprattutto nel rapporto con i loro corrispondenti. Questo è vero soprattutto per i giornalisti in house dell’assignment desk che, nella relazione con i corrispondenti del loro paese, si trovano a discutere su cosa significhi essere un “vero giornalista palestinese” o “un vero giornalista egiziano” etc. Anche nel porsi in relazione con i giornalisti nazionali questo elemento assume, per i giornalisti panarabi in house, un ruolo importante. Si tratta infatti di una relazione non diretta e quotidiana ma simbolica, nella quale la questione dell’eccessiva identificazione dei giornalisti nazionali un sistema socio-politico viene considerata una limitazione alla professionalità. I corrispondenti in Egitto dei media panarabi tendono a definirsi, in base all’aderenza a certi standard professionali e al livello di libertà editoriale goduta, come parte della comunità dei giornalisti panarabi. Tuttavia essi mantengono una forte identificazione con il sistema sociopolitico nazionale di cui fanno parte e quindi, in questo senso, rivendicano la loro appartenenza alla comunità dei giornalisti egiziani, il loro diritto a fare parte degli organismi nazionali di categoria e a vedersi riconosciuto lo status di giornalista egiziano. I giornalisti panarabi (in house e corrispondenti) non sembrano sentirsi minacciati dai giornalisti nazionali. Tuttavia essi mostrano di avere ben presente il fatto che il proprio pubblico panarabo sia fatto di tanti pubblici nazionali e quindi comprendono l’importanza di monitorare il lavoro dei giornalisti nazionali e di porsi in relazione con i loro prodotti. Dalla prospettiva dei giornalisti panarabi dunque la situazione si configura complessa: essi sentono di appartenere in primis ad una ristretta comunità fatta dei giornalisti che condividono le proprie stesse modalità operative, una comunità intrinsecamente transnazionale ma, soprattutto a partire dalla mediazione interna tra in house e corrispondenti, sono portati a confrontarsi all’interno di uno spazio marcatamente ibrido. In che modo questo processo ha investito anche il sistema giornalistico nazionale egiziano influenzandone la cultura giornalistica? In tal senso la comunità professionale dei giornalisti egiziani sembra avere subito in questi dieci anni alcune trasformazioni rispetto agli elementi che la caratterizzavano in precedenza. Innanzitutto elementi di natura interna, in par- 214 ticolare il lancio sul mercato dei quotidiani privati, hanno determinato un ampliamento del numero delle persone impiegate all’interno del sistema dell’informazione, soprattutto giovani che non sono iscritti al sindacato di categoria. Sembra comunque mantenersi rigida la separazione professionale tra coloro che lavorano per la stampa e coloro che lavorano per la televisione nazionale. Tuttavia in questa storica separazione tra le due comunità si sono inseriti anche i giornalisti delle televisioni panarabe che, rappresentando per molti dei giornalisti egiziani della carta stampata un modello, hanno finito per ridefinire agli occhi di questi ultimi l’immagine del giornalismo televisivo. Il fatto poi che alcuni dei corrispondenti delle tv panarabe, a causa di precedenti impieghi nella stampa egiziana, siano parte del sindacato dei giornalisti egiziani, li pone nella condizione di essere sostenuti dall’organizzazione quando subiscono pressioni o incriminazioni da parte del regime. In tutto questo sembra dunque essersi creato un sentimento di maggiore vicinanza degli uomini della stampa egiziana con i giornalisti televisivi delle all news panarabe che con quelli delle televisioni nazionali. Si tratta di un’affinità che i giornalisti della stampa privata sentono di avere con i giornalisti panarabi, in nome della maggiore libertà editoriale goduta e di un’analoga attitudine nei confronti del regime. I giornalisti della carta stampata dunque hanno modificato in questi dieci anni la loro visione del giornalismo televisivo e questo non in conseguenza di una mutata relazione con i colleghi delle televisioni nazionali quanto piuttosto in seguito al confronto con soggetti esogeni, transnazionali. Allo stesso tempo i giornalisti televisivi nazionali hanno visto messo in discussione il loro ruolo e la loro professionalità all’interno del sistema nazionale dei media a partire dal lavoro di questi soggetti esterni. Essi pertanto hanno reagito elaborando un’attitudine estremamente difensiva e allo stesso tempo aggressiva nei confronti dei broadcaster panarabi: una situazione che li ha portati a sentire ancora più legittima la loro richiesta di essere considerati parte della comunità nazionale dei giornalisti. Per i giornalisti panarabi il tema della lontananza e del distacco dai luoghi del potere politico rappresenta un elemento di grande importanza nella definizione della propria cultura professionale. Questo elemento è alla base tanto dell’idea di rappresentare “the voice of the voiceless” quanto di quella di rispondere soltanto alla volontà di “assecondare i desideri del pubblico”. Si tratta di due mission evocate rispettivamente dai giornalisti di Al Jazeera e di al Arabiya ma che vengono mediate nella competizione tra i due canali. Tale “ideologia della separazione rispetto ai sistemi nazionali” caratterizza fortemente la cultura professionale dei giornalisti panarabi e serve per sostenere l’idea di una lontananza assoluta dai centri del potere politico. Si tratta di una lontananza che non sembra comunque assoluta e viene continuamente messa in discussione nella competizione tra canali panarabi e, in alcuni casi, anche all’interno delle stesse newsroom. Il rapporto tra i giornalisti senior e i finanziatori di tali canali viene percepito come un elemento importante nella definizione della cultura professionale. La relazione con i luoghi del potere del sistema egiziano assume, per i corrispondenti dei canali panarabi, un ruolo piuttosto centrale. Essi infatti definiscono se stessi e il proprio lavoro sia in rapporto ai centri di potere nazionale che ai gruppi “contravening” presenti all’interno del sistema: i corrispondenti vivono all’interno di tale sistema di poteri e in esso evitabilmente sono coinvolti. La relazione diretta e spesso conflittuale con le elite ne in- 215 fluenza notevolmente la cultura professionale: i corrispondenti panarabi possono essere in questo senso assimilati alle “star” della televisione e della stampa egiziana, giornalisti il cui peso sulla sfera pubblica nazionale è assolutamente rilevante. L’interazione con i newsmedia panarabi non ha svolto un ruolo rivoluzionario nella determinazione dell’evoluzione del rapporto con il potere dei giornalisti che lavorano per i news media egiziani. I giornalisti egiziani nell’ultimo decennio si sono mantenuti una “mixed legacy” e l’ulteriore diversificazione nel posizionamento rispetto ai centri di potere è dovuto soprattutto all’ampliamento del numero dei soggetti che lavorano nel settore dell’informazione. Tuttavia le newsorganization panarabe sono in qualche misura entrate nella relazione tra giornalisti e potere politico. Questo è avvenuto sostanzialmente attraverso due elementi: il primo è ovviamente determinato dal ruolo dei corrispondenti panarabi all’interno del sistema nazionale, essi infatti esercitano un ruolo importante negli equilibri di potere tra giornalisti e regime. Il secondo elemento ha a che vedere con lo spazio che questi media panarabi concedono alle vicende dei giornalisti che assumono posizioni antagoniste rispetto al regime: la copertura delle vicende giudiziarie dei giornalisti della stampa privata garantisce loro una maggiore visibilità, anche internazionale, e questo rappresenta per loro una forma di tutela, un elemento che altera la relazione tra giornalisti “contravening” e centri di potere politico. La negoziazione del valore della responsabilità nei confronti di un sistema sociale rappresenta un altro utile elemento nella definizione dello spazio di relazione tra giornalisti nazionali e giornalisti panarabi. Anche in questo caso la distanza, o la vicinanza, rispetto ad una società nazionale sembra influenzare notevolmente l’idea che i giornalisti hanno del loro compito in quanto attori sociali. Sono sostanzialmente tre i possibili ruoli che, all’interno dello spazio ibrido transnazionale, giornalisti panarabi e giornalisti nazionali presentano come propri e legittimi: information provider, watchdog e developer. Dalle narrazioni dei giornalisti si può vedere come questi tre ruoli vengano comunque definiti e ridefiniti nell’ambito di un processo negoziale che vede coinvolti soggetti nazionali e soggetti transnazionali. Nel considerarsi information provider, i giornalisti panarabi in house esplicitano apertamente la volontà di contrapporsi ad una cultura giornalistica che li veda come guida ed “educatori” della società civile, sostenendo di voler creare un rapporto più diretto e rispettoso del pubblico. Allo stesso modo i giornalisti impiegati all’interno dei media egiziani mostrano, pur con obiettivi diversi tra loro, di avere l’idea che il posto del giornalista debba essere “nella società” e non fuori da essa, come invece si pongono quelli panarabi in house. I corrispondenti panarabi, dal canto loro, elaborano il proprio ruolo tra una società nazionale e un pubblico transnazionale. Questo li porta a confrontarsi con una doppia responsabilità che viene declinata nell’idea di un giornalismo “watch dog” in grado di includere tanto valori propri di una cultura giornalistica “service provider” quanto valori di una cultura “partisan” e “developmental”. Questa “compresenza” con newsmaker transnazionali ha contribuito sostanzialmente all’innescarsi, all’interno del sistema egiziano, sia di processi di trasformazione che di processi di resistenza al cambiamento rispetto ai compiti sociali dei giornalisti. L’interazione con i newsmedia panarabi ha favorito, tra i giornalisti che lavorano per la televisione nazionale così come tra molti di coloro che lavorano nella stampa semi-ufficiale, una volontà di contrap- 216 posizione all’ “irresponsabilità professionale” di tali soggetti attraverso una più attenta e più calibrata responsabilità volta a promuovere “il bene del paese”. I giornalisti dell’agguerrita stampa privata hanno al contrario elaborato una definizione del proprio ruolo sociale che vede il loro lavoro come analogo a quello di Al Jazeera e Al Arabiya, perché frutto di una simile “voglia di destabilizzazione” (Ibrahim Issa, 2006). Infine i giornalisti di Al Masri Al Youm, il giornale privato definito da più parti come l’unico “quality paper” del paese, sembrano utilizzare, per definire il proprio ruolo all’interno della sfera pubblica nazionale, immagini e concetti analoghi a quelli che i giornalisti delle televisioni panarabe utilizzano per presentare la propria condizione di “information provider”. In questo senso è interessante vedere come, nei processi di negoziazione e di incorporazione di elementi e contenuti esogeni, ognuno tenda a scegliere e ad attribuire valore secondo strategie coerenti con il discorso che intende promuovere. Anche l’elaborazione dell’etica professionale ha visto, nell’ultimo decennio, l’innescarsi di un significativo processo di negoziazione e di conflitto tra giornalisti, soprattutto intorno al rapporto tra libertà e responsabilità, conflitto alimentato dalle tensioni generatesi per le scelte editoriali di alcuni quotidiani d’opposizione e dai loro attacchi frontali alle alte cariche dello stato. All’interno di tale dibattito, anche il lavoro delle newsorganization panarabe è discusso e viene spesso equiparato, dai giornalisti che sostengono come necessario un equilibrio tra libertà e responsabilità, a quello degli “irresponsabili” quotidiani e settimanali privati. Anche in questo senso dunque tali soggetti transnazionali entrano a far parte delle mediazioni che riguardano la negoziazione della cultura giornalistica egiziana; i loro valori e i loro prodotti giornalistici vengono citati e considerati dai giornalisti egiziani, in positivo o in negativo, nell’elaborazione di un rapporto tra etica e professione. Nella definizione di un’etica professionale condivisa è possibile vedere come questo sistema di negoziazione transnazionale non sia caratterizzi per l’omogeneità. L’assenza di una relazione diretta con un sistema socio-politico porta i giornalisti panarabi ad “assolutizzare” i propri valori etici, e questo consente loro di svincolarli da qualsiasi contesto per poterli utilizzare come strumento di legittimazione del proprio lavoro a livello globale. I giornalisti che lavorano per i media egiziani invece tendono ad esplicitare i valori etici che caratterizzano il proprio lavoro in relazione al sistema nazionale all’interno del quale operano. Anche gli elementi che hanno a che vedere con forme di nazionalismo e di orgoglio nazionale vengono elaborati in maniera differente da giornalisti panarabi in house, corrispondenti panarabi e giornalisti nazionali. Il tema del rapporto con la propria patria e con la tradizione, anche professionale, che la caratterizza, viene utilizzato da tutte e tre queste categorie sia per sostenere la propria visione del lavoro giornalistico sia per porsi in relazione e contrapposizione con le altre due. Nel rifiutare di definirsi professionalmente sulla base della propria nazionalità i giornalisti panarabi in house rimarcano la loro distanza dai corrispondenti, dai giornalisti nazionali e da quella che viene definita una visione del mondo eccessivamente limitata. Allo stesso tempo però, nelle conversazioni informali, essi mostrano di non essersi distaccati completamente dal loro paese e dall’interesse alle vicende che lo riguardano. L’orgoglio nazionale dei giornalisti egiziani, elemento strutturale alla cultura professionale del paese, ha determinato l’elaborarazione di diverse strategie di reazione nel confronto con il successo delle all news panarabe. Tutti infatti, a prescindere dalla linea editoriale e dalla situazione proprietaria della testata per cui lavo- 217 rano, mostrano di continuare a considerare la cultura giornalistica egiziana come quella che storicamente “ha dato di più” al giornalismo arabo. Sembra che il successo dei media pananrabi abbia accentuato ancora di più l’orgoglio professionale dei giornalisti egiziani. È interessante a questo proposito come i corrispondenti egiziani dei media panarabi riescano ad incorporare le due posizioni –quella transnazionale e quella nazionalista- attraverso l’idea che l’unico modo per poter “onorare” la tradizione giornalistica egiziana oggi sia quello di lavorare per news organization non egiziane. Esiste dunque uno spazio di negoziazione transnazionale che comprende tanto il sistema egiziano quanto i media panarabi? E quali effetti l’esistenza di tale spazio starebbe avendo sui valori della cultura giornalistica egiziana? Èun dato di fatto che nella definizione dei propri valori professionali giornalisti panarabi in house, corrispondenti panarabi in Egitto e giornalisti egiziani si pongono in relazione gli uni con gli altri. Uno spazio di confronto dunque esiste, uno spazio all’interno del quale non vengono assolutamente eliminate le differenze ma dove il riferimento ai valori degli altri soggetti serve per meglio definire i propri e impone l’elaborazione di strategie di difesa e “auto-legittimazione” delle proprie scelte e delle proprie convinzioni professionali. In questo senso esiste un sistema ibrido transnazionale. Si tratta di uno spazio di confronto e conflitto, uno spazio all’interno del quale ogni soggetto tende innanzitutto ad evidenziare le differenze che caratterizzano i propri valori professionali rispetto a quelli degli altri, a sottolineare le differenze di obiettivi e di strategie editoriali. All’interno di tale spazio l’altro è comunque presente, in certi casi anche come interlocutore diretto, come nel rapporto tra in house e corrispondenti, o tra corrispondenti e giornalisti nazionali. Dovendo definire la struttura di questo sistema l’elemento più rilevante riguarda l’influenza della relazione che i differenti gruppi professionali intrattengono con il sistema socio-politico nazionale sulle modalità di elaborazione dei propri valori professionali. Detto in altre parole lo spazio ibrido è uno spazio all’interno del quale si instaura un dialogo ed una relazione tra soggetti nazionali e soggetti transnazionali, ma dove comunque la relazione con la dimensione “nazionale” continua a rappresentare un elemento centrale, quello che più influenza l’elaborazione specifica dei valori della cultura professionale. Nella definizione di tutti i valori della cultura professionale è presente da un lato (quello dei giornalisti nazionali) la tendenza all’ancoraggio al sistema socio-politico nazionale, dall’altro (quello dei giornalisti transnazionali) una tendenza all’“universalizzazione”. Definirsi come professionisti anche sulla base della propria relazione, rispetto ad un sistema politico nazionale specifico o alle dinamiche politiche nazionali in generale, sembra essere per i giornalisti un elemento centrale nell’elaborazione della propria identità professionale. All’interno di questo sistema ibrido coloro che si configurano come “soggetti ibridi” per eccellenza sono i corrispondenti panarabi i quali si trovano in una condizione assolutamente peculiare. Essi devono quotidianamente negoziare i propri valori professionali tra spinte all’estraniazione dal sistema nazionale, richieste dagli obiettivi e dalla linea della newsorganization per cui lavorano, e spinte alla partecipazione a tale sistema dovute al confronto quotidiano con officials, colleghi e pubblico nazionale. I corrispondenti panarabi sono i più coinvolti all’interno dello spazio ibrido transnazionale, in quanto “ci vivono dentro”. Dai valori 218 della loro cultura professionale, dal fatto che in essa convivano elementi contraddittori dovuti proprio a questa loro particolare e unica relazione con il sistema nazionale, è possibile comprendere come l’esistenza di uno spazio ibrido non significhi la creazione di una cultura professionale ibrida ma di una cultura dove i contenuti specifici vengono definiti anche in relazione agli altri soggetti che abitano questo sistema, e alla loro posizione all’interno di tale spazio. I valori della cultura giornalistica egiziana nell’ultimo decennio non hanno visto trasformazioni sostanziali. Tuttavia si sono aperti nuovi spazi di conflitto e di negoziazione dovuti soprattutto alla trasformazione del sistema nazionale dell’informazione e alla relazione di intermittente tolleranza che il sistema politico ha intrattenuto con esso. Le autorizzazioni alla pubblicazione dei periodici privati e, in misura minore, il lancio di canali satellitari nazionali a partecipazione privata sono stati gli elementi che più di tutti hanno contribuito all’aprirsi di tali spazi. Questi elementi hanno determinato un ampliamento delle differenze all’interno della comunità dei giornalisti, la comparsa di newsorganization nazionali con un’identità marcatamente contravening e l’apertura di un dibattito serrato attorno alle questioni del rapporto tra “libertà” e “responsabilità”. La continua negoziazione che caratterizza l’elaborazione dei valori di una cultura professionale si è giocata sostanzialmente all’interno di queste dinamiche marcatamente “nazionali” per le quali il rapporto del sistema politico nazionale con il sistema mediatico nazionale resta elemento centrale. Tuttavia è possibile affermare che a questa dimensione si è effettivamente intersecato uno spazio di relazione e negoziazione transnazionale che vede i giornalisti nazionali confrontarsi con i corrispondenti e i giornalisti in house delle all news satellitari panarabe e con le narrazioni da loro prodotte. Questo mostra come il sistema ibrido non cancelli la dimensione nazionale della negoziazione intra-professionale dei valori della cultura giornalistica ma come esistano forme di interazione diretta e indiretta tra soggetti e narrazioni nazionali e esogeni. Questa nuova situazione vede i soggetti nazionali elaborare strategie di difesa e di tutela dei propri valori e delle proprie pratiche professionali: essi promuovono gli elementi che li contrappongono ai soggetti transnazionali, in un processo che li porta ad enfatizzare elementi che in precedenza non venivano enfatizzati, o a dare nuovi significati a vecchi contenuti. Tale relazione ha determinato, all’interno del sistema egiziano, alcune interessanti trasformazioni. È mutata ad esempio la considerazione che i giornalisti della carta stampata hanno nei confronti del giornalismo televisivo in senso lato. Al Jazeera e Al Arabiya hanno rimesso in discussione il consolidato primato della qualità e dell’affidabilità della stampa sulla televisione e questo ha portato anche i giornalisti egiziani della carta stampata a ridefinire la loro idea di giornalismo televisivo, tanto da portarli ad affermare che il lavoro di queste emittenti rappresenta la migliore espressione del giornalismo arabo contemporaneo. Questo elemento evidenzia una rottura molto significativa rispetto a una struttura di rapporti tra stampa e televisione e ad un sistema di valori consolidato. Ciò non ha però mutato il rapporto con i giornalisti della televisione nazionale che, a differenza di quelli delle televisioni panarabe, non vengono considerati “giornalisti” e colleghi: si è configurata dunque una situazione assolutamente peculiare all’interno della quale i giornalisti della stampa egiziana percepisco- 219 no una maggiore vicinanza professionale con i giornalisti delle televisioni panarabe che con quelli della televisione nazionale. In altre parole, soggetti nazionali percepiscono una vicinanza maggiore con soggetti transnazionali che con i loro omologhi nazionali: una condizione che esemplifica appieno la natura delle relazioni all’interno dello spazio ibrido. Dal canto loro i giornalisti della televisione egiziana sembrano vivere molto direttamente la competizione con questi soggetti “esterni”. Tale competizione li vede impiegare prevalentemente strategie difensive, ma in ogni caso li porta ad un confronto transnazionale e impone loro una nuova e diversa riflessione sul proprio lavoro. 220 II. Le pratiche professionali nell’ambito del transazionalismo velocizzato I processi di newsmaking La cultura giornalistica propria di una comunità professionale non si forma soltanto a partire dalla negoziazione di una serie di valori professionali, ma anche nell’elaborazione di pratiche e di modalità operative comuni e convenzionali che agevolano, velocizzano e uniformano il lavoro dei giornalisti. Per questo motivo è importante considerare i processi di news making (cfr. Golding e Elliot 1979) che caratterizzano l’attività professionale dei giornalisti, perché a partire da questi è possibile comprendere in che maniera vengano elaborate e negoziate le strategie e le metodologie che consentono la velocizzazione e la standardizzazione delle pratiche della cultura professionale. 12.1 La centralità di concorrenza e pubblico. I criteri di notiziabilità dei giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya Le considerazioni riguardo il pubblico e alla concorrenza sembrano avere, per i giornalisti panarabi, un’importanza molto maggiore rispetto a quella che, storicamente, è stata data a questi elementi nei processi di produzione della notizia (cfr. ad es. Rugh 2004, Mellor 2005) all’interno del contesto arabo. L’immagine del pubblico e il rapporto con la concorrenza sono determinanti durante tutta l’attività di newsmaking dei giornalisti panarabi. Si tratta di un elemento rilevante, che mostra una rivoluzione copernicana rispetto alla cultura giornalistica che ha caratterizzato il mondo arabo fino ad oggi. Tale cultura infatti, sviluppatasi all’interno della relazione tra sistemi politici autoritari e sistemi mediatici molto deboli, ha visto gli interessi del pubblico tralasciati completamente e i rapporti di concorrenza annullati dalla necessità di omologarsi al discorso pubblico proposto dal regime. I processi decisionali collegati all’attività di news making scandiscono la quotidianità professionale dei giornalisti. Non si tratta di scelte sulle quali essi si fermano a riflettere tutti i giorni, ma anzi rappresentano quelle strategie che rendono loro possibile “proseguire in automatico”: 223 Noi abbiamo le nostre metodologie e le nostre modalità di lavoro. Dopo anni di lavoro tendi a fare tutto meccanicamente, a dimenticare la tua sensibilità, perché le news sono tutte a riguardo degli esseri umani, e tu tendi a dimenticarlo, a fare tutto meccanicamente. Ma quando c’è una breaking news o un evento importante però dimentichi la routine e torni ad essere un vero giornalista. (S. K., Al Jazeera) Proprio per questo motivo per il ricercatore è importante fermarsi a considerare e a scomporre tali pratiche e tali strategie, perché ciò che per il giornalista è routines rappresenta la sedimentazione di processi di negoziazione e di scelta, in altre parole: cultura. In primo luogo bisogna considerare quali siano per i giornalisti panarabi i fatti “importanti” e “interessanti”, ovvero i fatti degni di diventare notizie. In questo senso è centrale il rapporto tra “politics” e “human interest”. La questione del rapporto tra questi due topic rappresenta il cuore delle considerazioni in materia di contenuto che hanno luogo nei processi di newsmaking dei media panarabi. Per i giornalisti di Al Jazeera, il topic che ha valore di notiziabilità massima è la politica: In termini di news credo che la cosa più importante per il pubblico arabo rimanga la politica, al secondo posto la corruzione e i diritti umani. Noi sicuramente ci occupiamo di politica più che di qualsiasi altra questione, ma cerchiamo anche di fare storie su corruzione e diritti umani. (S. K., Al Jazeera) I giornalisti di Al Jazeera continuano a considerare la politica come la “top issue”. L’emittente infatti ha costruito il suo successo di pubblico e la sua popolarità sulla base di una specifica modalità di trattare la politica regionale e internazionale, un approccio ben lontano da quello protocollare che caratterizza le televisioni nazionali. Gli uomini di Al Arabiya, al contrario, in evidente ed esplicitata contrapposizione con questa modalità di attribuzione di valore notizia, affermano di ricercare e privilegiare innanzitutto topic che riguardano lo “human interest”, in secondo luogo le notizie economiche: Il problema è che nel mondo arabo si pensa che una storia per essere importante debba essere per forza una storia politica. A noi invece interessa lo human interest. In secondo luogo ci interessa l’economia. Infine ci interessa anche la politica, comunque cerchiamo sempre di evidenziare il lato umano della politica. (N. H., Al Arabiya) Se ogni giorno la tua top story è che 50 persone sono uccise in Iraq la gente finirà per pensare che è normale e invece non è normale. Se invece lavori sullo human interest, per esempio la storia di una famiglia palestinese la cui casa è divisa in due dal muro questo è qualcosa che fa fermare la gente a dire, ehi ma che sta succedendo. Non è che noi guardiamo solo a piccole storie o roba del genere noi copriamo anche la politica, tuttavia cerchiamo nuove prospettive. (D. S., Al Arabiya) La politica così come l’attenzione allo human interest rappresntano due approcci innovativi nell’attribuzione di valori notizia per il contesto arabo. Essi mostrano chiaramente una volontà di differenziazione rispetto ai media nazionali: 224 Io ho cercato di rendere il contributo dei corrispondenti meno legato al giornalismo ufficiale, ai meeting e alle dichiarazioni ufficiali dei politici. Io non credo che questo sia il tipo di giornalismo che ci interessa, questo è quello che fanno i media nazionali. (A. S., Al Jazeera) Ovviamente il fatto che i giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya dichiarino di avere come top issue rispettivamente politica e human interest non significa che essi non attribuiscano valore notizia ad altre questioni. La competizione stretta tra le due emittenti influenza questo processo infatti gli uomini di Al Jazeera tendono a sottolineare come anche nelle loro scelte di newsmaking non vengano trascurati gli elementi su cui i loro concorrenti fondano la propria linea editoriale: A noi interessa anche il lato umano delle storie, cosa c’è dietro le storie. Io credo che dobbiamo concentrarci sulle cose che devono essere sviluppate nel mondo arabo: educazione, salute, diritti umani, queste sono le storie su cui vogliamo concentrarci. Ma allo stesso tempo non dobbiamo abbandonare le breaking news, che sono la nostra forza. (A. S., Al Jazeera) Nella scelta del contenuto delle notizie svolge un suo ruolo importante anche l’idea che i giornalisti hanno dei compiti della professione: Gli arabi erano abituati a un modello di “giornalismo da mobilitazione”, prima della guerra in Iraq il giornalismo era tutto un “noi dobbiamo”: “noi dobbiamo sollevarci”, “noi dobbiamo difendere”, anche Al Jazeera fa molto una televisione di questo tipo e io credo che dopo la guerra in Iraq gli arabi hanno cominciato ad essere stanchi di questo tipo di retorica perché si sono accorti che alla fine nulla stava cambiando. (D. S., Al Arabiya) Politica, human interest ed economia restano comunque i tre “contenuti” che i giornalisti panarabi in house dichiarano di privilegiare, ognuno in maniera coerente con la linea della propria testata. In ogni caso, per quanto riguarda tali criteri sostanziali, l’idea su cui i giornalisti panarabi implicitamente ed esplicitamente insistono è quella della differenziazione dal newsmaking del giornalismo nazionale ed in particolare da quello delle televisioni nazionali. I giornalisti in house di Al Jazeera e Al Arabiya affermano che, nello scegliere i propri topic, si basano innanzitutto su quelli che si pensano essere gli interessi del pubblico abbandonando completamente le notizie di protocollo. Alle notizie protocollari infatti i giornalisti panarabi in house conferiscono notiziabilità minima: Il problema dei media arabi è che noi stiamo tutti a coprire le stesse cose, siamo tutti sulle stesse notizie, non c’è giornalismo investigativo. Noi, Al Jazeera e Al Arabiya, ci stiamo provando, ma nessuno ha ancora perfezionato gli standard, creato una modalità a regola d’arte. La differenza rispetto ai media nazionali è che noi abbiamo incominciato a distribuire informazioni in una regione in cui le informazioni non erano disponibili, e non erano scelte sulla base del loro valore, la prossima tappa è arrivare a “fare una storia” in senso giornalistico e non siamo ancora arrivati a quel punto. (D. S., Al Arabiya) È molto interessante, per comprendere la cultura professionale dei giornalisti panarabi, soffermarsi sulle loro considerazioni attorno a quella che viene definita “la prossimità geogra- 225 fica della notizia rispetto al centro del sistema politico mediatico di cui una news organization fa parte”. Ha valore questo principio per news organization transnazionali come Al Jazeera e Al Arabiya? In che maniera esso viene declinato? A questo proposito è opportuno soffermarsi su due elementi. Il primo ha a che vedere con il fatto che i giornalisti panarabi in house affermano di scegliere notizie che, a prescindere dalla loro dimensione locale, possano evocare contenuti “trasponibili” in altri contesti, che possano cioè evocare situazioni familiari a tutto il loro pubblico. Il secondo riguarda l’attenzione che queste news orgainzation attribuiscono alle notizie che riguardano i “centri simbolici” della regione, oggi rappresentati da Iraq e Palestina. Per una news organization che si rivolge ad un pubblico transnazionale è più complesso individuare un unico centro, è più difficile calcolare una prossimità, perché il criterio non può essere banalmente quello della prossimità geografica186. Tenendo conto di ciò i giornalisti di queste news organization affermano di cercare di evitare i localismi e di privilegiare, nel momento in cui scelgono le loro notizie, quelle che sollevano tematiche che possono evocare, per tutto il proprio pubblico, un legame o anche solo una possibilità di confronto con il proprio paese: In qualsiasi momento noi copriamo una notizia noi teniamo in considerazione due lati, il locale e la nostra audience più ampia. Questo significa che il pubblico locale deve avere l’impressione che noi stiamo riportando in maniera accurata riguardo ciò che succede, allo stesso tempo non dobbiamo entrare troppo nella storia, fornendo dettagli che non sono rilevanti per il resto del nostro pubblico, dobbiamo bilanciare.. Ogni volta che noi copriamo una vicenda cerchiamo di generalizzarla, di renderla trasponibile, di mostrare le similarità o le differenze con gli altri paesi. (S. K., Al Jazeera) Nelle narrazioni dei giornalisti panarabi in house emerge come non sia sempre facile, nel processo di newsmaking, portare avanti scelte coerenti con questa idea e come la naturale inclinazione dell’essere umano, e dunque anche del giornalista, a ritenere che le notizie più vicine siano quelle più importanti li porti in alcuni casi a “commettere errori” e a “perdere tempo” : Recentemente è capitato che sia scoppiato un incendio proprio qui vicino ai nostri uffici, in uno dei grattacieli di Dubai, era un incendio grosso ma non una catastrofe, l’editor che era di turno si è fatto influenzare dal fatto che l’incendio fosse qui dietro, fosse vicino e ha mandato una troupe a filmare tutto, poi quando ci siamo trovati qui con il materiale, a decidere cosa farne, ci siamo resi conto che non era una notizia importante per il nostro pubblico, non era una notizia da Al Arabiya, era una notizia locale (N.B., Al Arabiya). Questo elemento mostra come per i giornalisti panarabi in house non sia sempre semplice abbandonare un approccio “localista” alla notizia e come questa difficoltà in certi casi complichi la gestione dei processi di newsmaking, le relazioni tra i giornalisti in house e tra loro e i cor- I giornalisti di Al Jazeera affermano di coprire pochissimo il Qatar –che sarebbe teoricamente il loro “centro”, la loro sezione “interni”- in quanto il Qatar produce poche notizie e le sue vicende poco interessano il pubblico regionale. In realtà questo rappresenta anche un modo per non infastidire il proprio finanziatore. 186 226 rispondenti. Esiste dunque sempre uno spazio di negoziazione tra quelli che sono i principi, le pratiche che i giornalisti sanno di dover applicare e i loro reali comportamenti quotidiani. Per una news organization transnazionale che si rivolge al pubblico dei parlanti arabo nella regione e in tutto il mondo, l’individuazione dei centri e delle periferie cui attribuire conseguente valore notizia comporta un riferimento ai centri simbolici di cui, si ritiene, tale pubblico sente di far parte. In questo senso i giornalisti ritengono di privilegiare la Palestina e l’Iraq. La Palestina rappresenta la questione panaraba per eccellenza e, proprio sulla copertura approfondita e live della seconda intifada, Al Jazeera ha guadagnato il suo primo successo di pubblico; l’Iraq, dopo l’occupazione del 2003, è diventato una seconda Palestina, un altro territorio le cui vicende hanno un valore simbolico molto forte in tutta la regione. Tabella N.1 1999 2000 2001 2002 2003 totale Numero 33 39 56 66 31 225 Palestina Percentuale 24.6 27.6 34.4 34.6 13.1 26 Numero 13 14 14 33 104 187 Iraq Percentuale 9.7 9.9 8.6 17.3 44.1 20.6 In Marc Lynch (2006) si riporta il numero di talk show dedicati da Al Jazeera, tra il 1999 e il 2003, alle issue palestinesi e irachene. La tabella n. 1 è una riproduzione di quella di Lynch e mostra come Palestina e Iraq abbiano ricevuto dall’emittente del Qatar un’attenzione particolare che rivela come alle notizie che riguardano questi due paesi venga attribuito un alto valore notizia. Anche in questo caso la competizione tra le due emittenti gioca un ruolo importante. Al Jazeera infatti, soprattutto grazie all’organizzazione e al radicamento sul territorio del suo ufficio di corrispondenza in Palestina, cerca di “dare buchi” alla concorrente sulla Palestina. Dal canto suo Al Arabiya lavora moltissimo sulle issue irachene anche perché, in seguito all’espulsione di Al Jazeera dal paese nel 2004, l’emittente con sede a Dubai si trova in una situazione di grande vantaggio che i suoi giornalisti sfruttano attribuendo grande valore notizia alle vicende irachene: Al Arabiya è la prima fonte a livello mondiale di notizie dall’Iraq, anche le grandi agenzie occidentali si servono del nostro lavoro (N. H., Al Arabiya) È vero che la nostra coverage delle elezioni in Iraq è stata molto diversa da quella di Al Jazeera. Al Jazeera non poteva coprire da dentro il paese, ed è normale che le opinioni di quelli che sono fuori del paese sono molto diverse da quelle di quelli che sono dentro, le voci da fuori erano molto arrabbiate, erano le voci delle minoranze. Noi avevamo corrispondenti su tutto il territorio che raccontavano tutto, sia come stava reagendo la minoranza sunnita sia come stavano lavorando le allenaze sciite. (D. S., Al Arabiya) 227 I giornalisti panarabi in house cercano di privilegiare storie che siano “generalizzabili” o che riguardino i “centri simbolici” della regione. Tuttavia anche in questo processo i rapporti di concorrenza giocano un ruolo fondamentale e spesso sono necessarie correzioni di timone rispetto ad una naturale tendenza al localismo che confligge con i criteri di attribuzione di valore propri di queste news organization soprannazionali. L’ideologia professionale di Al Jazeera e Al Arabiya è del tutto analoga a quella che vige nel contesto occidentale: “Bad news is good news” (Wolf 1985, pag. 207). Questo elemento rappresenta uno degli aspetti più innovativi del news making delle all news panarabe rispetto alla cultura del giornalismo televisivo nel mondo arabo che funziona sull’idea: “Good news is good news”187. Per aver adottato l’ideologia alla notizia propria del giornalismo occidentale, ma da una prospettiva araba, Al Jazeera ha ricevuto pesanti accuse di sensazionalismo e di istigazione alla violenza, spesso anche dai giornalisti occidentali. Accuse che hanno spesso suscitato reazioni d’orgoglio da parte dei giornalisti dell’emittente e ne hanno, a nostro avviso, influenzato il news making: Quelli che ci accusano di trasmettere soltanto immagini violente che cosa vorrebbero? Che noi negassimo che in Iraq c’è la guerra e che quotidianamente muoiono tantissime persone a causa dell’occupazione. Sarebbe oggettivo fare ciò? Sarebbe una cosa giusta? Dire che tutto va bene, nascondere la faccia terribile della guerra, sarebbe giusto? (A. S., Al Jazeera) Dietro l’ideologia professionale dei giornalisti panarabi ci sono considerazioni e convinzioni analoghe a quelle dei loro colleghi occidentali. Proponendo un prodotto più market oriented rispetto alle televisioni nazionali arabe, le all news panarabe hanno elaborato la loro “ideologia alla notizia” sulla base di quelli che ritengono essere gli interessi del pubblico. È a partire da questo che alle notizie che riguardano devianza o infrazione rispetto alla normalità viene attribuito un alto valore di notiziabilità, perché si ritiene che esse possano interessare maggiormente il pubblico: La nostra “soap opera” è più interessante di quella delle tv nazionali perché noi presentiamo temi più controversi. (N. H., Al Arabiya) In ogni caso l’identità editoriale di una testata, così come i rapporti di competizione, è importante anche nel determinare l’ideologia professionale che abita una news room. Ad esempio il fatto che Al Jazeera abbia costruito la sua identità editoriale sull’essere una news organization controversa e “calda”, fa si che la sua competitor principale, Al Arabiya, cerchi di differenziarsi per puntare ad un pubblico con una sensibilità diversa da quello “innamorato” di Al Jazeera, un pubblico che sia pertanto anche alla ricerca di “good news”, di notizie meno cruente e più adatte per poter “cenare in pace”: All’interno dei sistemi nazionali le cattive notizie erano (e sono evitate) perché viste come una minaccia alla stabilità del paese e un rischio per la sua immagine a livello internazionale (cfr. Rugh 2004). 187 228 Ci sono anche buone notizie dall’Iraq, ci sono cose che cominciano a funzionare: la gente è andata a votare! Io non ho mai votato! Non puoi raccontare solo storie negative, è importante raccontare anche la ripresa della vita. (D. S., Al Arabiya) La concorrenza e l’immagine che i giornalisti hanno del proprio pubblico dunque svolgono un ruolo fondamentale in tutto il processo di news making, e questo rappresenta una novità interessante rispetto alle caratteristiche di lungo periodo della cultura professionale propria del mondo del giornalismo arabo. I giornalisti panarabi in house affermano di non sentirsi in competizione diretta con i media nazionali tuttavia “tengono d’occhio” stampa e televisione dei diversi paesi della regione, alla ricerca di storie e di temi da trattare, mostrando dunque di ritenere che anche all’interno dei media nazionali ci possono essere storie notiziabili per una news organization panaraba: Quando viaggio leggo sempre i giornali locali per vedere cosa coprono e poi dico ai corrispondenti di coprire alcune delle storie che coprono i giornali locali. La scorsa settimana su un giornale giordano ho trovato una storia interessante riguardo alla situazione dell’assistenza sanitaria dei problemi dentali nel paese e stando a quanto riportava l’articolo affliggono un numero elevatissimo di persone nel paese. È una storia carina, tutti ci si possono confrontare e mi piaceva. Ho chiesto ai nostri corrispondenti di coprirla (N. H., Al Arabiya) Io quando vado a casa dal lavoro continuo a guardare la televisione, mi interessa guardare cosa fanno gli altri. Guardo di tutto, i canali occidentali come quelli nazionali arabi. Guardo CNN, BBC, guardo Rainews24, e Al Arabiya, ma guardo anche la televisione giordana e quella egiziana (S. K., Al Jazeera). I giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya sembrano guardare ai media nazionali arabi e ai grandi media occidentali tanto per differenziarsi quanto per cercare storie da riprendere. Sicuramente la competizione che più influenza le pratiche di newsmaking di Al Jazeera e Al Arabiya è quella reciproca. L’idea di dare o ricevere “un buco” dalla propria concorrente diretta rappresenta rispettivamente un obiettivo e una minaccia. Quando la concorrente batte una breaking news per prima o annuncia di avere un’esclusiva la newsroom si mobilita: viene indetta immediatamente una riunione straordinaria con caporedattore, senior producer di turno e responsabile dell’assignment desk per cercare di capire come “rispondere”. Nel momento in cui i giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya descrivono le differenze che li separano fanno riferimento esplicito alle pratiche del newsmaking: Le differenze principali tra Al Jazeera e Al Arabiya sono essenzialmente tre: le caratteristiche in base alle quali scegliamo le notizie, la qualità delle notizie, il contenuto. In Al Arabiya noi giudichiamo la qualità di una storia in base alla sua newsworthiness, non ci interessa se è politicamente importante o politicamente non importante. Numero due la qualità. Quando noi copriamo una vicenda cerchiamo di arricchirla attraverso ricerche, attraverso materiale di archivio, statistiche, grafici. Numero tre ci sono tutta una serie di notizie che noi riteniamo importanti e che Al Jazeera ignora completamente, le storie riguardanti l’arte, il teatro e gli human interest in generale. (N. H., Al Arabiya) 229 Al Arabiya ha più red lines, per questo loro fanno più economia e business, perché e meno pericoloso, noi invece siamo un canale politico, mentre la metà delle loro notizie è economia. Per questo non abbiamo competitor. Tutti ci hanno imitato, hanno imitato il nostro modo di lavorare, ma senza potersi spingere fin dove ci spingiamo noi. (S. K., Al Jazeera) Anche l’immagine che i giornalisti panarabi hanno del proprio pubblico e del pubblico della concorrenza influenza notevolmente la loro attribuzione di valore notizia agli eventi. Una prima considerazione importante che va fatta a tal proposito ha a che vedere con la lontananza fisica che separa giornalisti in house e pubblico. Vivendo “in the middle of nowhere” essi non hanno interazioni quotidiane con il pubblico cui intendono parlare e hanno la possibilità di confrontarsi con esso solamente viaggiando. Tuttavia, come avviene all’interno di tutte le culture giornalistiche (cfr. Wolf 1985), i giornalisti panarabi in house hanno un’idea molto precisa del proprio pubblico di riferimento e ritengono di conoscerne molto bene i desideri: La gente oggi guarda molto meno le news di quanto facesse prima della guerra in Iraq, ora la gente guarda le notizie solo quando c’è una breaking, come in occidente. Cinque anni fa la gente guardava le news in continuazione, ma la realtà oggi è cambiata, per questo noi cerchiamo di lavorare molto sullo human interest. (D. S., Al Arabiya) La gente non vuole vedere sempre morti quando mangia al nostro pubblico interessa l’economia e ai nostri investitori interessa il pubblico cui interessa l’economia. (N. H., Al Arabiya) La gente nella regione continua a volere news che riguardano la politica e i diritti umani, queste sono le questioni principali e queste sono le questioni che noi copriamo di più, meglio e più liberamente degli altri, per questo siamo così amati dal pubblico. (S. K., Al Jazeera) Sembra evidente che ognuno affermi che il pubblico vuole vedere ciò su cui la propria news organization è più forte, ciò che la propria linea privilegia e ciò su cui la propria concorrente lavora meno. Spesso, in ambito occidentale, i giornalisti, nel dichiarare il loro rapporto con il pubblico nella selezione delle notizie si destreggiano tra due definizioni in contraddizione tra loro: “È notizia ciò che interessa alla gente” e “La gente non sa cosa gli interessa finché non glielo diciamo noi” (Silvia 2001). Questa idea, sulla base di quanto detto fin qui, sembrerebbe caratterizzare anche l’approccio al pubblico dei giornalisti panarabi in house. Nella definizione del proprio pubblico di riferimento i giornalisti Al Arabiya sembrano privilegiare le audience dei paesi del Golfo188, mentre quelli di Al Jazeera si dichiarano meno pre- Questo non significa che il pubblico delle altre aree venga tralasciato o escluso dalle priorità: il pubblico di riferimento di queste news organization resta un pubblico panarabo. Con questa riflessione si vuole fare riferimento al segmento di pubblico che riceve un’attenzione maggiore. 188 230 occupati di questo target, interessato al business e agli affari, a vantaggio delle audience di altre aree del mondo arabo come Palestina ed Egitto e ultimamente anche il Maghreb189. La nostra audience è in tutto il mondo ma da un punto di vista commerciale il nostro audience è nel Golfo e in particolare in Arabia Saudita, noi non siamo finanziati dal governo, da nessun governo al mondo, noi combattiamo per ottenere sempre più audience possibile per coprire le nostre spese, e fare guadagni, dunque la nostra sfida è quella di ottenere più audience possibile. (N. H., Al Arabiya) Il processo di produzione delle notizie delle news organization panarabe –o almeno la parte che riguarda le newsroom centrali- si configura dunque come estremamente audience oriented. Si tratta di una differenza sostanziale rispetto a quanto avviene all’interno dei sistemi nazionali arabi, una differenza che i giornalisti panarabi rimarcano molto frequentemente insistendo sulla priorità newsworthiness di un fatto su qualsiasi altra considerazione. Da questo punto di vista dunque il “lavoro” del giornalista panarabo in house sembra essere più simile a quello dei giornalisti dei grandi network occidentali piuttosto che a quello dei giornalisti che lavorano per i newsmedia arabi nazionali, e questo è un elemento sul quale essi, nella descrizione del proprio lavoro, insistono molto. 12.2 Newsmaking dei corrispondenti al cairo delle all news panarabe Che cos’è notizia secondo i corrispondenti delle newsorganization panarabe in Egitto? L’analisi in tal senso deve incominciare dai criteri sostantivi secondo cui vengono scelte le notizie. Si tratta dunque di vedere quali siano gli argomenti che più spesso diventano le notizie prodotte dagli uffici di Al Jazeera e Al Arabiya del Cairo. Anche per i corrispondenti panarabi “news is politics”. Essi affermano (Questionario n.20) di occuparsi prevalentemente di questioni che riguardano la politica nazionale e quella regionale, intendendo con questa seconda accezione le vicende nazionali che hanno effetti sulla politica regionale e quelle riguardanti la Lega Araba che, avendo sede al Cairo, devono essere coperte da loro. I corrispondenti inoltre pongono cultura islamica e attualità tra i temi di cui ritengono di dare una copertura più puntuale e approfondita, ma solo in secondo piano rispetto alla politica. Inoltre essi pensano (Questionario n.21) che il pubblico egiziano -che comunque non è il loro unico pubblico di riferimento- sia particolarmente interessato alle notizie di politica interna: Le top news oggi sono quelle che riguardano il futuro politico del paese. La gente sta aspettando di vedere cosa succederà, tutti gli egiziani sentono che stiamo vivendo un momento di transizione, dunque le domande sono: cosa succederà dopo? chi sarà il prossimo a governare? (R. A. A., Al Arabiya) 189 Di recente è stato aperto un importante ufficio di corrispondenza in Marocco da cui vengono anche prodotti alcuni programmi dedicati all’area. 231 Le questioni cui viene assegnato un valore di notiziabilità massima sono dunque quelle di poltica interna, coerentemente con quelli che secondo i corrispondenti sono gli interessi del pubblico con cui si possono confrontare quotidianamente, ovvero il pubblico nazionale. Emerge dunque come esista una contrattazione, che si ripercuote anche nelle pratiche di news making, tra quanto i giornalisti in house pretendono dai corrispondenti e quanto i corrispondenti ritengono essere le notizie principali. Sembra evidente, anche sulla base delle questioni indicate come prioritarie, che il lavoro dei corrispondenti si concentri sulla capitale, sul cuore del sistema politico del paese: tutti i giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya sono concentrati al Cairo. Tuttavia i corrispondenti panarabi evidenziano spesso, nei loro discorsi, la volontà di differenziarsi dalla cultura giornalistica nazionale che, a loro dire, si focalizzerebbe sempre e soltanto sul Cairo. Soprattutto nella copertura delle elezioni presidenziali e politiche del 2005-2006 essi affermano di aver cercato di differenziarsi dai media nazionali attribuendo valore notizia anche alle vicende che riguardavano la periferia del paese: Durante il giorno delle elezioni abbiamo offerto una copertura massiccia, avevamo cinque o sei postazioni live: ad Alessandria, Assiut, Menia nell’alto egitto, Mansura nel Delta, a Port Said, nel Sinai, nella perferia del Cairo e a Giza (H. A. G., Al Jazeera) Una copertura delle “periferie” è possibile per i corrispondenti panarabi soltanto nel momento in cui, poiché si sta coprendo un evento di grande importanza, dalla newsroom centrale vengono inviati rinforzi che permettono la copertura contemporanea di “centro” e “periferie”: Noi, con un grande supporto da Dubai, abbiamo dato una coverage molto significativa delle elezioni, abbiamo coperto tutti gli aspetti e cercato di presentare le reazioni dalla strada, da tutto il paese. (R. A. A., Al Jazeera) In situazioni normali tuttavia, considerando anche il fatto che il numero dei corrispondenti è piuttosto limitato, anch’essi, come i giornalisti nazionali, finiscono per concentrarsi prevalentemente sulle vicende della capitale. L’“ideologia” che distingue l’approccio alla notizia dei corrispondenti panarabi è analoga quella delle news organization per cui lavorano e dei loro colleghi in house. “Bad news is good news” è senza dubbio la “filosofia professionale” insita nelle loro scelte di newsmaking. Coerentemente con i valori che connotano la loro cultura professionale i corrispondenti panarabi insistono sulla necessità di riportare gli aspetti negativi degli eventi, soprattutto nella convinzione che essi siano quelli a cui i media egiziani, e in particolare le televisioni nazionali, attiribuiscono un basso valore di notiziabilità: Sicuramente il pubblico non può avere le nostre informazioni dai media nazionali, noi abbiamo la possibilità di affrontare questioni che non sono affrontate, o quando sono affrontate non lo sono nello stesso modo in cui le trattiamo noi. Per quanto riguarda la copertura delle elezioni parlamentari, si è trattato di una issue molto dura, io sono voluta andare fuori a filmare la gente sanguinante, e queste sono immagini che non sono state mostrate dalla televisione nazionale, ma questa è la realtà che io vedevo nelle strade. (R. A. A., Al Arabiya) 232 Noi abbiamo dato ai nostri spettatori continui aggiornamenti, soprattutto sulle violazioni di diritti che sono state commesse soprattutto nell’alto egitto (H. A. G., Al Jazeera) Attraverso le definizioni di “notizia” proposte dai corrispondenti panarabi è possibile comprendere l’ideologia che guida il loro processo di newsmaking. Ad esempio: La notizia è tutto ciò che non è conosciuto e che crea scompiglio nella vita del cittadino e lo può riguardare direttamente o indirettamente (Questionario N.1 Al Arabiya) Una notizia è ciò che incontra il desiderio del pubblico, che riesce a stupirlo senza alterare la realtà enfatizzandone o tacendone degli elementi (Questionario N.1 Al Jazeera) La notizia deve essere qualcosa che “crea scompiglio nella vita del cittadino”, è dunque notizia ciò che turba la tranquillità e la pace sociale e allo stesso tempo è interessante per il pubblico. Questa idea, coerente con quella dei giornalisti panarabi in house, è in netta contrapposizione con quella che ha storicamente marcato il sistema giornalistico egiziano. Ciò non significa che i corrispondenti panarabi non avvertano una responsabilità nei confornti del sistema socio-politico di cui fanno parte, tuttavia tale responsabilità non viene percepita, sia a livello di valori che di pratiche professionali, come dovere di mantere lo status quo all’interno del sistema. Il rapporto con il pubblico e l’idea che i giornalisti hanno di esso rappresenta un elemento centrale delle scelte del newsmaking dei corrispondenti panarabi. Trovandosi nella condizione di rivolgersi ad un pubblico transnazionale, pur essendo immersi in una realtà nazionale e confrontandosi direttamente con un pubblico nazionale, i corrispondenti devono affrontare una situazione piuttosto complessa. Questa condizione influenza le pratiche di newsmaking e le modalità di attribuzione di valore-notizia ai fatti190, poiché essi cercano di considerare e scegliere elementi utili ad un pubblico transnazionale per comprendere le vicende egiziane: Noi abbiamo un’audience panarabo, non locale, così a volte io devo scendere in dettagli che non sono utili per gli egiziani ma che rendono le cose più chiare per gli arabi. Per il pubblico panarabo io devo essere più esplicita, devo andare nei dettagli perché questa non è una televisione locale, è una televisione panaraba e bisogna tenerlo in mente quando si coprono le vicende e si producono le notizie. (R. A. A., Al Arabiya) Io lavoro per un pubblico panarbo, devo cercare informazioni che siano utili ad un pubblico panarabo. Tenere un flusso di informazioni dall’Egitto in modo che il pubblico panarabo sia informato di quello che accade qui. (H. A. G., Al JAzeera) Tale condizione rappresenta il cuore delle dinamiche conflittuali tra assignment desk e corrispondenti che caratterizzano i processi di newsmaking delle news organization panarabe. 190 233 D’altra parte però questa posizione, che rappresenta una declinazione pratica alla linea ediotoriale delle emittenti per cui essi lavorano, viene contraddetta in altri passaggi dagli stessi corrispondenti: Durante la campagna elettorale lo spazio che abbiamo dato ai candidati d’opposizione è stato importante perchè gli argomenti di mubarak sono stati messi sotto duro attacco da loro e noi abbiamo dato la possibilità ai cittadini egiziani di sentire questi attacchi. Non tutti gli egiziani potevano andare agli speech degli sfidanti, ma noi abbiamo loro dato la possibilità di sentire le critiche al presidente sulla corruzione sulla disoccupazione sul basso livello del sistema scolastico e del sistema sanitario. (H. A. G., Al Jazeera) Io nella copertura delle elezioni ho riportato tutto da una prospettiva egiziana, quali effetti quello che stava succedendo aveva per gli egiziani, come gli egiziani stavano reagendo, quali erano le implicazioni delle elezioni, quanto fossero importanti, se fossero differenti dalle precedenti elezioni. (R. A. A., Al Arabiya) L’attribuzione dei valori notizia da parte dei corrispondenti in relazione al proprio pubblico si configura quindi come un processo complesso. Nell’attribuzione di valore notizia ai fatti questi giornalisti si trovano nella necessità di produrre notizie comprensibili e attraenti per un pubblico transnazionale ma, allo stesso tempo, appetibili per il pubblico nazionale. Essi infatti hanno una relazione quotidiana con il pubblico nazionale e inevitabilmente la loro idea dei desideri dell’audience risulta influenzata da questi feed back. Questo desiderio di soddisfare anche il pubblico nazionale viene giudicato dai giornalisti in house in certi casi “eccessivo” e rappresenta il cuore della negoziazione interna del processo di produzione delle notizie delle newsorganization panarabe. I corrispondenti panarabi considerano notiziabili (Questionario n.22), sulla base anche di quelli che ritengono essere gli interessi del pubblico, le vicende che riguardano soggetti che storicamente non sono stati considerati “notiziabili” dai media egiziani: i soggetti nongovernativi, le opposizioni e le persone comuni. Questo significa un ampliamento dello spettro dei soggetti notiziabili, situazione che ovviamente implica pratiche di newsmaking completamente diverse rispetto a quelle che caratterizzano il lavoro di una redazione che si muove prevalentemente su notizie protocollari. L’argomento più notiziabile per i corrispondenti panarabi resta la politica, ma i soggetti che “animano” questo argomento non sono soltanto gli officials. Questo approccio alla notizia è coerente con quello delle newsorganization per cui essi lavorano e, allo stesso tempo, consente ai corrispondenti di soddisfare quelli che secondo loro sono gli interessi del pubblico nazionale. Un ulteriore elemento importantante di quest’inclusione di soggetti tradizionalmente esculsi dal racconto giornalistico egiziano è quello che, secondo i corrispondenti, questa loro scelta forzerebbe anche le newsorganization egiziane a rivedere le proprie pratiche di news making e di attribuzione dei valori notizia: Noi siamo una sorta di forum, abbiamo i membri di Kifaya, abbiamo quelli del partito dominante, abbiamo i membri del Tagammu, abbiamo la rappresentanza di tutti i soggetti in una maniera molto bilanciata. E questo sta influenzando gli altri newsmedia, in particolare i giornali 234 privati, ci guardano per lavorare nello stesso modo in cui lavoriamo noi, e anche un giornale di partito come il Wafd a volte cerca di lavorare come lavoriamo noi. (H. A. G., Al Jazeera) I corrispondenti di Al Jazeera e Al Arabiya mostrano di confrontarsi tanto tra loro quanto con i media egiziani. I media egiziani non vengono mai definiti “concorrenti diretti” dai corrispondenti panarabi, tuttavia è evidente come, nell’ambito delle pratiche professionali, il lavoro di questi media venga preso in considerazione con l’obiettivo di differenziarsi e di raccogliere notizie da riprendere. L’ideologia che domina la relazione dei corrispondenti panarabi con i media nazionali è sempre quella di superiorità, di un rapporto a senso unico nel quale essi rappresentano un modello per i giornalisti che lavorano per le news organization egiziane: Al Masri al Youm è attualmente il migliore giornale informativo che c’è in Egitto e oggi comincia ad esserci un po’ di competizione con loro, perché anche loro lavorano su basi quotidiane e dunque anche noi guardiamo cosa fanno. Loro stanno cercando per esempio di avere alcuni dei nostri giornalisti. Ma questo è molto naturale a mio avviso, loro cercano di lavorare nello stesso modo in cui lavoriamo noi. Al Dustur anche. Anche la televisione privata sta cominciando ad ospitare esponenti dell’opposizione a trasmettere live programs, a ospitare uno dei nostri ospiti fissi, che rappresenta il giornale Al Arabi, Abdalla Assenawi, in un programma live e questa è una cosa davvero inusuale. (H. A. G., Al Jazeera) Nella pratica quotidiana dunque, per loro stessa ammissione, i corrispondenti panarabi tengono d’occhio i media egiziani e il loro lavoro. La competizione che più influenza il loro lavoro è comunque quella diretta tra Al Jazeera e Al Arabiya. L’ufficio di Al Jazeera e quello di Al Arabiya al Cairo sono sempre in cerca di notizie che il concorrente non ha, e tutto ciò che può essere in esclusiva acquisisce un grado di notiziabilità massima. Proprio oggi sono riuscita ad ottenere uno scoop sensazionale, un’intervista con il leader delle Gamaat Al Islamiya. Erano mesi che lavoravo su questa cosa ed è davvero un lavoro molto importante. Sono molto felice perché sono sicura che anche Al Jazeera cercava di avere quest’intervista e io sono riuscita ad averla per prima. Per questo, anche se adesso la notizia del momento è la guerra in Libano noi dedicheremo alla cosa tutta la puntanta del nostro programma principale di approfondimento “Panorama”, perché è una nostra esclusiva. (R A. A., Al Arabiya) Sia nella copertura delle vicende che riguardano la vita politica del paese sia in quella degli eventi sensazionali e inattesi, i due uffici cercano di aggiungere elementi non presenti nella copertura del concorrente. È dunque evidente come le due concorrenti si mettano reciprocamente sotto forte pressione e come questa situazione influenzi profondamente il newsmaking e le scelte di copertura dei loro corrispondenti. Il newsmaking di questi giornalisti sembra dunque caratterizzato dalla tensione tra la mission transnazionale della loro newsorganization e la loro collocazione, come giornalisti e come cittadini, all’interno di un sistema socio-politico nazionale in cui sono nati e cresciuti. Questo elemento influenza ovviamente le loro modalità di relazione con gli interlocutori nazionali e 235 transazionali con cui essi hanno quotidianamente a che fare: gli assignment desk, i concorrenti, gli officials, i soggetti nongovernativi, i news media nazionali e il loro pubblico, composto dalle audience nazionali ma anche dal grande pubblico transnazionale. In questa situazione essi devono di fatto applicare continuamente criteri di selezione e di presentazione dei fatti che rispondono a considerazioni che li pongono in relazione sia con soggetti nazionali che con soggetti transnazionali. 12.3 Il newsmaking dei giornalisti egiziani: Al Jazeera in redazione Definire univocamente le pratiche di newsmaking di tutti i newsmedia egiziani, soprattutto alla luce della diversificazione del sistema negli ultimi dieci anni, sarebbe impossibile oltre che non corretto: redazioni piuttosto ridotte e con una impostazione dinamica si sono affiancate alle mastodontiche strutture dei quotidiani semi-ufficiali e all’ingessata struttura della televisione nazionale. È opportuno dunque evidenziare le tendenze comuni e le differenze cercando di mettere in luce, in particolare, in che maniera tali tendenze si pongano in relazione con le caratteristiche di lungo periodo delle pratiche della cultura giornalistica egiziana. La definizione dei critreri sostantivi che guidano il newsmaking dei giornalisti egiziani vede, di fatto, il mantenimento dell’idea “news is politics” (Questionario n. 23 e n. 24), elemento di lungo periodo radicato nella cultura giornalistica egiziana. Allo stesso tempo, soprattutto tra i giornalisti più giovani, è presente (Questionario n. 25) l’idea che il pubblico egiziano voglia avere anche altre informazioni rispetto alla politica, informazioni che riguardano la vita quotidiana e “la gente”. Un’analisi approfondita di questi dati mostra una sostanziale condivisione tra giornalisti della stampa semi-ufficiale e quelli della stampa d’opposizione rispetto al fatto che la “politica nazionale” sia l’argomento più “notiziabile” per la propria news organization, oltre che quello più “importante” per il pubblico. Coerentemente con i valori che caratterizzano la loro visione della professione infatti, i giornalisti delle testate private attribuiscono un valore massimo di notizibilità ai fatti politici che possono in qualche modo creare imbarazzo al regime: Noi cerchiamo di lavorare sulle inside story che non vengono pubblicate né dai giornali governativi , né da quelli di partito e neanche dagli altri giornali privati. Io per esempio ho portato avanti una lunga campagna contro la corruzione, contro un funzionario corrotto, ma bisogna portare avanti una battaglia continuativa, non bisogna mollare finchè non succede qualcosa. (A. H., Al Fajr) La politica interna continua dunque a rappresentare l’elemento più notiziabile per tutti i giornali egiziani, poiché questa visione si sposa sia con una linea editoriale supportiva dello status quo sia con una linea antagonista rispetto ad esso. Per una cultura professionale sostanzialmente politicizzata, la politica è l’elemento con il più alto valore notizia. Questo è ancora più evidente per le pratiche del giornalismo televisivo e per quelle dell’agenzia naziona- 236 le, la Mena, per i quali il legame con l’agenda della politica ufficiale, per ragioni strutturali, è davvero molto forte e influisce fortemente sulle scelte di newsmaking: Presso il Consiglio dei ministri abbiamo tre corrispondenti, presso il Ministero degli esteri ne abbiamo due, presso la presidenza altrettanti. Io sono il supervisore di tutti i corrispondenti e allo stesso tempo sono a capo del dipartimento diplomatico. Il nostro lavoro comincia ogni giorno con un meeting per vedere che cosa ciascuno deve fare quel giorno e allo stesso tempo io suggerisco ai vari corrispondenti: prova a fare questo o prova a fare quest’altro. Non seguiamo solo le grandi autorità, noi seguiamo ogni evento ufficiale e non. Anche per i discorsi del presidente noi inizialmente distribuiamo tutto lo speech e dopo, immediatamente cominciamo a diffondere i nostri report. (S. A., MENA) Tuttavia i giornalisti egiziani sembrano avere chiaro che le vicende su cui il loro pubblico vorrebbe avere maggiori informazioni sono altre. Si tratta di questioni legate ai problemi della vita quotidiana, oppure alla vita delle celebrità. Insomma sono eventi lontani dalla politica (Questionario n. 24): Notizie sui prezzi, notizie sui salari e sugli stipendi. Cronaca interna che riguardi VIP e persone comuni (Questionario N.4 Al Masry Al Youm) Gli stipendi, i livelli dei salari, le dinamiche e i movimenti economici. (Questionario N.6 Al Fajr) Effetti dell’inflazione sulla vita della gente. (Questionario N.2 Al Ahram) Le notizie che riguardano la vita dei Vip. (Questionario N.3 Free lance) A partire da questo dato si possono fare diverse considerazioni. Innanzitutto il fatto che ci sia una distinzione tra le notizie che secondo i giornalisti sono più importanti e quelle su cui il pubblico vorrebbe sapere di più mostra come l’“approccio pedagogico” dei giornalisti nei confronti del pubblico si sia mantenuto, e come essi attribuiscano più notiziabilità a ciò che secondo loro è più importante e non a ciò che è di maggior interesse per il pubblico. Una seconda considerazione riguarda la differente percezione del valore notizia dei fatti tra i giornalisti senior, che attribuiscono notiziabilità massima alla politica, e i semplici giornalisti che, meno vincolati da un agenda politica personale, sono più vicini agli interessi del pubblico. Tuttavia, e questo è un elemento di novità, sembra che sia in corso negli ultimi anni una rinegoziazione, anche tra i newsmaker, nell’attribuzione dei valori notizia, in particolare rispetto alle notizie non politiche e che riguardano l’human interest e i “problemi della gente”. Si tratta di processo che non ha ancora determinato trasformazioni univoche, o un reale mutamento delle pratiche di newsmaking, ma che comunque ha portato tutti, dai direttori della stampa privata a quelli della televisione nazionale, a ragionare sulla centralità della politica e delle notizie protocollari, a vantaggio di altri temi, ponendo maggiore attenzione a ciò che avviene nella società fuori dalla vita politica: 237 Stiamo cercando di ridurre la quantità di news ufficiali e di mettere le notizie importanti e non solo quelle ufficiali, abbiamo già tagliato le notizie ufficiali e quelle che riguardano il presidente, e stiamo cercando di essere maggiormente orientati verso il locale. Lavorando come giornalisti noi siamo parte della società, non siamo alieni. (A. M., direttore news ERTU) Noi da due settimane pubblichiamo anche un secondo giornale che si chiama Washwasha che è come People, e si occupa di human interest e gossip, perché sono temi che vanno forte. Poi stiamo lavorando su un prodotto che si occupi esclusivamente di economia, che si chiama Al Malaiin. (A. H., Al Fajr) La centralità degli eventi che riguardano il Cairo, inteso come cuore politico del paese, non è comunque messa realmente in discussione né dalla stampa, né dalla televisione: la quasi totalità delle issue presentate dai media egiziani riguarda la capitale191. Tuttavia anche in questo senso, soprattutto all’interno della stampa privata, sembrano essere in corso processi di rinegoziazione del monopolio assoluto dei fatti del Cairo sulle prime pagine. L’impostazione delle pagine di Al Masri Al Youm, ad esempio, non è rigidamente definita: Noi abbiamo 162 giornalisti full time, compresi i corrispondenti in tutto il paese, molti giornali dividono il paese in governatorati, noi non facciamo così, per noi si tratta di un solo unico paese, se la notizia arriva da Souagh e merita la prima pagina noi la mettiamo in prima pagina. (H. K., Al Masri Al Youm) Effettivamente Al Masri Al Youm, come Al Dustur e gli altri giornali della stampa privata, hanno cominciato a mettere in alcuni casi in prima pagina eventi che riguardano le periferie del paese: in estate ad esempio sono frequenti gli articoli che rigurardano le gravi emergenze di siccità nel sud del paese. Occuparsi delle “periferie” rappresenta, per i giornali privati d’opposizione, un espediente per mettere in luce l’incapacità del regime di controllare e di gestire l’intera nazione: le realtà più disastrate sono infatti nei posti più sperduti. In ogni caso in questo modo le notizie vanno cercate e vanno coperte anche in territori “periferici” e questo di fatto sta, in minima parte, trasformando il newsmaking dei media egiziani. La posizione degli officials su tutti i media egiziani continua ad essere comunque di quasi assoluto monopolio. Alle notizie che riguardano gli uomini del governo viene attribuita un valore di notiziabilità massimo. Tuttavia, negli ultimi anni, la stampa privata ha incominciato ad attribuire valore notizia anche alle vicende che riguardano le persone comuni. Nell’autunno 2006, ad esempio, Al Masri Al Youm ha portato avanti una lunga inchiesta sulle condizioni di vita dei bambini di strada di alcuni quartieri del Cairo, assegnando a questi “ultimi” della società, in più di una circostanza, la prima pagina e il titolo d’apertura. Tuttavia è molto difficile per soggetti che fanno parte di gruppi non organizzati, o comunque non legalmente riconosciuti, avere spazio sui media, anche sulla stampa privata d’opposizione. I quotidiani d’opposizione infatti, pur all’interno di un progetto editoriale molto diverso rispetto ai media semi-ufficiali, di fatto attribuiscono valore notizia ai soggetti presenti sulla 191 Per rilevare questo dato non occorre utilizzare ricerche specifiche tanto è evidente guardando una qualsiasi edizione di un giornale o di un notiziario egiziano. 238 sfera pubblica nazionale in maniera analoga: l’attitudine nei confronti di tali soggetti è opposta, ma lo spazio concesso è quasi coincidente. Da quanto emerge dal report realizzato dall’Indipendent Center for Election Monitoring, riguardante la copertura delle elezioni politiche del 2005192 lo spazio concesso ai membri dei differenti partiti da parte del più “agguerrito” dei giornali privati, Al Dustur, e da parte di Al Ahram è stato molto simile. I soggetti con cui viene assegnato massimo valore di noziabilità sono ancora quelli che fanno parte del regime e del partito di governo, mentre gli attivisti di “Kifaiya!”, il movimento che meglio rappresenta il moto di insoddisfazione della società civile egiziana per la situazione nel paese193, vengono completamente ignorati. È invece difficile fare considerazioni valide per tutto il sistema rispetto all’“ideologia della notizia”. Infatti all’interno dei processi di newsmaking che caratterizzano la stampa e la televisione nazionale vale ancora la filosofia “Good news is good news”, mentre la stampa privata sembra vere invertito questo approccio. Se io esagero nel dare informazioni negative, se faccio diventare tutto una catastrofe questo è contro la pace della nostra società, se invece presento la realtà, se sono più moderata e se mostro che esistono e accadono anche cose positive nel paese questo è più equilibrato e giusto per la nostra società. (N. S., Nile Tv) È necessario scuotere il paese, mostrare le cose che non funzionano, tutti i problemi che ci sono, dobbiamo mostrare dove questa gente ha portato il paese. Come ti ho detto è fondamentale che cambi il sistema. (I. I., Al Dustur) Questa impostazione è ovviamente collegata ad una differente visione della "responsabilità sociale" del giornalismo. Il conflitto sui valori diventa dunque anche conflitto sulle pratiche. Tuttavia proprio come per i valori, alla base di queste impostazioni pratiche così differenti tra loro c'è una modalità comune di approccio al newsmaking: quella di "cercare" le notizie che supportano una precisa idea della realtà che è quella che caratterizza la linea della testata. Per comprendere "l'ideologia della notizia" che abita la cultura professionale egiziana, può essere utile considerare alcune delle definizioni di notizia proposte dai giornalisti egiziani: La notizia è un’immagine breve, informativa, che chiarisce alcuni aspetti fondamentali riguardo ad un evento e che è cosituita da un dove, un quando, un come, un chi ed un perché (Questionario n.1 Al Masri Al Youm) L’Indipendent Center for Election Monitoring ha monitorato la copertura della stampa egiziana semi-ufficiale, indipendente e di partito dal 27 ottobre al 30 novembre 2005, il report con i risultati di tale monitoraggio è stato pubblicato dal Ibn Khaldun Center for Social Studies, Mokattam-Cairo. 193 “Kifaya!” letteralmente “Basta!” è un movimento davvero eterogeneo che raccoglie diverse anime della società civile egiziana: dai gruppi comunisti ai fratelli mussulmani. Il portavoce George Issak è un cristiano copto mentre il coordinatore del movimento è un mussulmano. Lo scopo principale del movimento è quello di opporsi alla successione di Gamal Mubarak al padre Hosni e di ottenere elezioni realmente libere nel paese. In un paio di circostanze nella primavera del 2005 e nella primavera del 2006 le manifestazioni di Kifaya sono state represse brutalmente dalle forze di pubblica sicurezza: diversi manifestanti sono stati picchiati e arrestati. 192 239 Tutto ciò che è nuovo e deve essere riportato ai cittadini in modo che essi siano aggiornati riguardo a ciò che gli capita attorno. (Questionario n.6 Al Masri Al Youm) Tutti gli eventi che accadono e siano in qualche modo strani, insoliti e interessanti. (Questionario n.8 Al Masri Al Youm) La notizia è un’informazione che induce il lettore a riflettere (Questionario n.2 Al Fajr) La notizia è una responsabilità del giornalista nei confronti della popolazione. (Questionario n.5 Al Fajr) La notizia è un’informazione che interessa un grande numero di persone e che può avere un’influenza positiva o negativa sulla loro vita. (Questionario n.7 Al Fajr) La notizia è una nuova informazione che interessa il lettore e che lo influenza. (Questionario n.9 Al Ahram) Tutto ciò che di nuovo interessa il lettore: eventi nuovi ed eccitanti che attirano la sua attenzione. (Questionario n.11 Al Ahram) La notizia riporta un evento/avvenimento importante che riguarda persone famose, esso attira l’attenzione di una gran parte di lettori. (Questionario n.19 Akhbar El Youm) Da queste parole emerge come sia in atto una ridefinizione, frutto del processo di conflitto e negoziazione, determinato dalla presenza di soggetti molto differenti tra loro e delle consolidate modalità di attribuzione del valore notizia. Se infatti all’interno di queste definizioni si mantiene l’elemento della responsabilità verso il pubblico, emerge anche, tra tutte le testate, quello della “stranezza”, della volontà di catturare l’attenzione del pubblico. Un ulteriore elemento interessante è quello dell’utilizzo della famosissima “regola delle 5 W”, considerata l’ABC del newsmaking di scuola anglosassone. Questo elemento mostra l’influenza di tale modello anche all’interno della cultura professionale dei giornalisti egiziani e la loro identificazione di tale approccio con l’idea di “professionalità”. I criteri relativi al prodotto e al mezzo in questi ultimi anni hanno assunto una centralità molto maggiore all’interno dei processi di newsmaking rispetto a quanto non avvenisse negli anni precendenti. Se prima erano soprattutto i criteri sostantivi ad essere considerati (le notizie che riguardavano membri del regime e che ne valorizzavano l’immagine avevano notiziabilità massima) e poco valore era dato alla qualità del materiale che si aveva a disposizione, oggi la situazione sembra essere mutata. Sia in televisione che sulla stampa si vede un’attenzione molto maggiore alle necessità e alle potenzialità del mezzo e all’importanza della costruzione della “storia”. Per quanto riguarda la televisione, in questi ultimi anni, sia i contenitori delle notizie sia i formati hanno visto un significativo restyling, nella grafica, nella scansione del ritmo dei notiziari, nell’utilizzo delle immagini e nell’introduzione di qualche copertura live: 240 Noi stiamo cercando di ampliare il nostro budget per realizzare prodotti migliori, per ampliare le nostre fonti di notizie, le nostre reti di corrispondenti, migliorare le nostre strumentazioni e per sviluppare il nostro lavoro. Dobbiamo sempre svilupparci non possiamo stare fermi. Noi stiamo creando un nuovo studio più grande e il Ministro ci sta dando molte risorse. Gazie a questo e grazie alle nuove tecnologie cerchiamo di fare un prodotto televisivo migliore possibile e al pari coi tempi. (H. H., Nile Tv) Per quanto riguarda la stampa, soprattutto i giornali privati hanno mostrato di avere avviato una riflessione sulle potenzialità delle parola scritta, anche in conseguenza della diffusione delle teconolgie informatiche. L’idea di ripensare in maniera creativa le possibilità di utilizzo della lingua, e di conseguenza anche le possibilità di presentazione delle storie, porta con sé la necessità dell’introduzione di differenti considerazioni a guida delle pratiche di newsmaking: La lingua ufficiale è seria, poco spiritosa e poco disponibile ad essere usata per le barzellette, è una lingua bugiarda. La lingua delle strade, invece, è una lingua diretta, volgare e si presta alla satira. Noi abbiamo scelto di usare questa lingua di strada, comune, dialettale per essere più vicini alla gente e più espressivi. Non solo, ma ci interessa avvicinarci anche alla lingua degli sms, delle chat, dei blog e delle e-mail (…) Usiamo molto le vignette, perché ci interessa la loro carica evocativa ed espressiva, era un’arte che stava andando persa e noi l’abbiamo rivitalizzata. Questo ci consente di raccontare altre storie o, comunque di valorizzare altri aspetti delle storie (I. I., Al Dustur) Considerazioni relative al prodotto e alle caratteristiche del mezzo utilizzato sono dunque oggi più rilevanti all’interno delle newsroom dei medi egiziani, e questo anche in conseguenza della maggiore eterogeneità del sistema, delle maggiori possibilità di confronto e della competizione più serrata. Molte delle considerazioni riguardanti i processi di newsmaking dei giornalisti egiziani riportate fin qui mostrano un nuovo e più forte interesse per il pubblico, i suoi desideri e i suoi interessi. Si tratta di istanze che non si traducono in una modificazione univoca delle pratiche professionali e che, da sole, non esprimono il mutamento della cultura professionale da “social responsbility” a “market oriented”, ma tuttavia mostrano che è in corso un ridiscussione della centralità del pubblico nel newsmaking. Questo elemento è riscontrabile sia nelle parole degli uomini della televisione come in quelle degli uomini della carta stampata. Abdellatif Al Menawy, che dopo aver lavorato a lungo in uno dei più grandi giornali panarabi con sede a Londra -Al Sharq Al Awsat- ora è stato posto dal Ministro dell’Informazione a guida del servizio news di tutta la televisione egiziana, definisce il suo lavoro in questo modo: Stiamo cercando di trasformare la televisione egiziana da “televisione di stato” a “televisione pubblica”, questo è il nostro obiettivo. Noi stiamo cercando di portare le notizie il più vicino possibile alla gente, noi stiamo cercando di catturare l’interesse della gente. Ci premono gli interessi e le opinioni del pubblico. Essere “public Tv” significa questo, ascoltare il pubblico, essere una televisione per tutta la società: opposizione, governo, NGO, i sindacati, la gente per strada. Essere “state Tv” significa che tu porti la bandiera del governo, sei propaganda. 241 Questa affermazione non significa che tale obiettivo sia a portata di mano o anche che sia realmente suo o del ministero194, tuttavia indica come un riorientamento verso il mercato e il pubblico caratterizzi le considerazioni che riguardano il newsmaking, l’impostazione editoriale e le pratiche professionali in generale anche del giornalismo televisivo egiziano. Le considerazioni che riguardano il pubblico rivestono senza dubbio un ruolo molto importante per la stampa privata che non può contare sul sostegno economico dello Stato. Le newsroom di questi giornali lavorano sul prodotto ragionando su come avvicinare sempre più pubblico e come compiacerlo: I lettori del Dustur sono per lo più dei giovani, i quali rappresentano quasi il 70% dei lettori di questo giornale. Questi giovani sono anche quelli che più usano il computer, che usano gli sms. Anche per questo lavoriamo molto sulla lingua, sulle sperimentazioni, per usare la lingua del nostro pubblico, per cercare di coinvolgere i giovani. (I. I., Al Dustur) Anche per la stampa privata tuttavia non si può parlare di un newsmaking completamente market oriented ma soltanto di una maggiore attenzione al pubblico e di una maggiore necessità di fare profitto. La trasformazione del sistema, e il conseguente ingresso di nuovi soggetti, hanno imposto la necessità di una maggiore attenzione al lavoro degli altri e dunque una maggiore importanza della competizione con gli altri newsmaker nazionali nell’orientare le pratiche di newsmaking. Analoghi effetti sembra avere avuto anche il confronto con le all news panarabe. I giornalisti egiziani consumano (Questionario n. 26 e 27)in maniera significativa queste all news panarabe. Essi sono cioè audience di questi canali, in particolare Al Jazeera e Al Arabiya. I canali panarabi fanno sostanzialmente parte delle abitudini di fruizione dei giornalisti egiziani. Con i loro prodotti essi si confrontano sia per quanto riguarda le notizie nazionali sia per quanto riguarda quelle internazionali. La fruizione di questi canali non è definita fine a se stessa (Questionario n. 28) ma dovuta alla percezione di un rapporto di competizione. Essa è dunque considerata parte della pratica professionale: in tutte le redazioni sono presenti televisori sintonizzati su Al Jazeera e Al Arabiya e i redattori spesso si fermano a guardarli e a commentare le coperture. In alcuni casi, a partire da tali osservazioni vengono addirittura prese decisioni d’azione o di copertura. È anche sulla base di queste osservazioni che i giornalisti egiziani possono essere oggi definiti una “audience professionale” (Valeriani, 2009). In prevalenza questi media sono visti (Questionario n.29) come fonti di informazioni, soprattutto per quanto riguarda la regione e lo scenario internazionale, ma anche per gli eventi nazionali. Si tratta dunque più che di un rapporto di competizione di un utilizzo analogo a quello che si farebbe di un’agenzia d’informazione. Anche un uso di questo tipo tuttavia testimonia un’influenza delle all news panarabe sul newsmaking dei media egiziani. È significativo il fatto che alcuni giornalisti ritengano che sia opportuno prestare attenzione a tutte le “vicende egiziane” di cui si occupano i media panarabi per non perdere la fiducia del pubblico, ma forse è ancora più significativo che alcuni ritengano che la credibilità e le possibilità proCon questo si intende sottolineare la distanza che può separare obiettivi reali ed obiettivi dichiarati. La possibilità che la televisione egiziana diventi “public tv” infatti non è legata soltanto a un mutamento delle considerazioni che guidano il newsmaking, ma ad un mutamento nella natura della relazione tra regime e sistema televisivo. 194 242 fessionali dei media panarabi sia talmente alta, anche nella copertura delle vicende nazionali, da lasciare ai media egiziani un ruolo secondario. Tutti questi elementi mostrano come il confronto e la relazione con Al Jazeera e Al Arabiya rappresentino oggi per i giornalisti egiziani un elemento importante nella definizione del proprio lavoro, anche da un punto di vista delle pratiche e delle modalità quotidiane d’azione professionale. Al contrario dei redattori, i direttori delle testate e i caporedattori tengono molto a rimarcare l’indipendenza del newsmaking dei propri giornali rispetto alle coperture delle all news satellitari panarabe. L’evidente contraddizione tra la posizione dei redattori e quella di direttori e responsabili delle newsroom conferma come la competizione e il rischio della subordinazione dei media nazionali al lavoro dei media panarabi entri quotidianamente nelle newroom egiziane. Tale dinamica determina una continua negoziazione e conflitto anche interno alle singole newsorganization. Anche le persone che si trovano ai vertici delle redazioni della televisione egiziana tendono ad inistere sulla propria indipendenza rispetto alle emittenti panarabe. Utilizzando lo stesso medium di questi palyer transnazionali essi inevitabilmente si sentono messi maggiormente sotto pressione dal loro lavoro. La risposta dei giornalisti che hanno la responsabilità editoriale sembra essere quella di un rifiuto del confronto e della competizione. Tuttavia un’analisi in profondità delle ricostruzioni narrative del loro lavoro fatta da questi giornalisti mostra come, in realtà, tale confronto e tale relazione abbiano spazio nella definzione delle pratiche professionali: La società sta cambiando e noi dobbiamo cambiare con lei, non mi interessano i fattori esterni, quando preparo le news qui il mio obiettivo non è competere, il mio obiettivo è servire il contribuente ed essere professionale, questo intrinsecamente ci porta ad essere competitivi ma la competizione in sé non è il mio scopo, il mio scopo è servire la gente. Tuttavia non è possibile ignorare il lavoro di Al Jazeera e Al Arabiya, non puoi ignorare nessuno che è sul mercato, ma io non competo sulle strategie, io competo sul servizio (A. M., Direttore news ERTU) Il nostro modo di fare informazione sicuramente è cambiato perché ora c’è più attenzione alle news regionali e transnazionali, perché ci sono Al Jazeera e Al Arabiya, e anche noi lavoriamo in questo senso. Ci sono degli standard internazionali e noi li seguiamo, mandiamo giornalisti giovani, ovunque. Con le risorse che abbiamo cerchiamo di fare del nostro meglio, di coprire tutto live. (H. H., Nile Tv) Nile News ha un tempismo migliore sulle news dall’egitto. Per quanto riguarda gli attentati del Sinai tutto il mondo usava le nostre immagini, e noi davamo il passo delle notizie, anche Al Jazeera usava le nostre immagini, ora anche loro devono guardare a quello che facciamo noi. (H. H., Nile Tv) Da queste parole emerge chiaramente come anche per i giornalisti della televisione egiziana Al Jazeera e Al Arabiya siano interlocutori quotidiani, interlocutori con cui competere, da cui prendere le distanze, o ricevere informazioni. In ogni caso, sia per quanto riguarda le coperture dall’Egitto sia per quelle internazionali, questa relazione si configura come non trascurabile nella definizione delle proprie pratiche professionali. 243 Il rapporto con le fonti 13.1 Gli officials giù dal piedistallo? Il rapporto con le fonti dei giornalisti in house di Al Jazeera e Al Arabiya La rivoluzione copernicana condotta da Al Jazeera a partire dal 1996 ha avuto a che vedere anche con il rapporto con le fonti. L’idea di abbandonare la strada del giornalismo fatto soltanto di notizie protocollari e di dichiarazioni ufficiali è stata centrale fin da subito nel progetto editoriale dell’emittente, o quanto meno nell’immagine che Al Jazeera ha voluto costruire di sé presso il suo pubblico. Anche da questo punto di vista il collocarsi all’esterno di qualsiasi sistema sociopolitico nazionale, rende l’emittente, così come la più giovane Al Arabiya, più libera dalle strutture autoritarie e dalle organizzazioni clientelari dei rapporti di potere che hanno determinato l’assoluta supremazia delle fonti ufficiali nei prodotti giornalistici del mondo arabo. Prendi l’Iraq ad esempio: siamo stati i primi ad intervistare Ali “il Comico”, siamo stai i primi ad intervistare Rana Saddam Hussein, siamo stati i primi ad avere i tape di Saddam Hussein prima che fosse arrestato. Abbiamo coperto le storie che riguardavano gli officials iracheni e gli americani. Ma abbiamo anche coperto le storie che riguardavano i normali cittadini iracheni, abbiamo dato loro la parola e raccolto informazioni da loro. Noi usiamo fonti di ogni tipo. (N. H., Al Arabiya) Coltivare un rapporto privilegiato con fonti esterne ai regimi ha rappresentato uno dei perni della differenziazione rispetto alle pratiche del giornalismo delle televisioni nazionali e, di conseguenza, ha determinato il successo di pubblico di Al Jazeera e Al Arabiya. Per questo motivo i giornalisti panarabi in house sembrano insistere molto sullo spazio che danno a voci non governative: A mezzogiorno abbiamo un meeting e vediamo cosa abbiamo raccolto e ci manteniamo in contatto con i nostri bureau chief nel mondo, per avere un continuo update, e poi montiamo tutto dalla newsroom e questo è un momento importante, perché è in questa fase che noi scegliamo i commentatori e decidiamo in che punto avere i “talking point”, decidiamo chi fare 245 parlare e quale materiale usare. Noi cerchiamo di non fare un giornalismo legato agli officials, ma cerchiamo anche le opposizioni, e vogliamo anche il parere della gente per strada, per questo abbiamo una lunghissima lista di commentatori con posizioni molto diverse e una rete di fonti estremamente eterogenea. (A. S., Al Jazeera) I giornalisti panarabi in house sottolineano molto la distanza, geografica e simbolica, che li separa dalle proprie fonti, una distanza che viene presentata come un elemento di foza nella relazione con esse. Essere “fuori dal mondo” conferisce ai giornalisti in house una maggiore forza contrattuale, sia nel momento in cui intendono intrattenere relazioni con fonti ufficiali, sia nel momento in cui intendono creare relazioni con fonti alternative, compresi i movimenti politici fuori legge o gruppi terroristici. In entrambi i casi le loro scelte e il tipo di atteggiamento che tengono nei confronti della fonte non li espone a rischi personali o professionali. I giornalisti panarabi in house sembrano sentire una sorta di inviolabilità e di superiorità nei confronti delle fonti: Ti sembrerà sciovinista ma io considero le fonti come strumenti. Sono tutti strumenti della nostra copertura giornalistica. Loro tutti vogliono dominare l’opinione pubblica, ma per noi sono solo strumenti. Se vogliamo coprire una storia, copriamo tutti gli aspetti di quella storia, e dalla nostra posizione loro non hanno molti strumenti per forzarci a scegliere qualcuno o ad escludere qualcun’altro. (N. H., Al Arabiya) La relazione con le fonti resta comunque più complessa di quanto i giornalisti in house vogliano far sembrare in prima battuta. Essi stessi ammettono che gli officials riescono, soprattutto in alcuni paesi, a mantenere strumenti di controllo efficaci, in grado di falsare la relazione dei giornalisti anche con le fonti d’opposizione: Io ho avuto una terribile esperienza recentemente in Siria dove sono stata a realizzare un programma intitolato “Siria, uno sguardo dall’interno” e per la prima volta nel paese noi abbiamo realizzato un programma che vedeva assieme personaggi del governo e personaggi dell’opposizione: il primo giorno il Ministro degli esteri, il secondo giorno il Ministro dell’informazione e il terzo il Ministro del commercio, questi si confrontavano con un panel di sei persone, tutte dell’opposizione e questo in Siria è una cosa inaudita. Solo dopo ho realizzato che tutto era stato preparato dal governo attentamente per offrire una messa in scena innocua. (D. S., Al Arabiya) Come per i media di tutto il mondo comunque, grazie alla loro facile accessibilità e alla loro produttività, le fonti ufficiali rappresentano una forte “attrattiva” anche per Al Jazeera ed Al Arabiya che, nella quotidianità del newsmaking, di fatto continuano ad utilizzare in grande prevalenza officials e grandi news organization globali come fonti privilegiate di informazioni. Un’analisi delle fonti usate per le notizie riguardo all’Iraq nel notiziario di mezza giornata 20 dicembre 2006 di Al Jazeera, riportata in Valeriani (2008), mostra (vedi Tabella n.2) come anche per l’emittente i soggetti ufficiali restino la principale fonte di informazioni. 246 Tabella N.2 Issue Bush ammette la “non vittoria” in Iraq Nuova strategia di Bush in Iraq: invio truppe aggiuntive Rapporti tesi tra Bush e vertici militari Usa Arrivo a Baghdad del nuovo ministro della difesa Usa Robert Gates Omicidi e attacchi con autobombe Passaggio di consegna tra esercito usa e polizia irachena a Najaf “Assemblea di riconciliazione irachena” e rapporti convivenza sciiti, sunniti e curdi Fonte Washington Post Washington Post Senatore Democratico Skilton (dichiarazioni ai media) Tony Snow (portavoce Casa Bianca) Robert Gates (conferenza stampa) Fonti mediche e polizia Al Jazeera reporter Mohammed Al Mandawy (giornalista iracheno) Mohammed Al Mandawy (giornalista iracheno) Il caso presentato in tabella n.2 è un caso limite, tuttavia vuole essere indicativo del fatto che le fonti ufficiali sono utilizzate in grande abbondanza anche dai newsmedia panarabi. Creare una relazione virtusa con le fonti ufficiali e governative rappresenta comunque per i giornalisti una questione di non secondaria rilevanza: Prendiamo ad esempio l’Egitto. Molti tra gli officials hanno ormai capito che Al Jazeera è molto importante e hanno capito che è differente parlare con Al Jazeera o con la televisione di stato. All’inizio nessuno veniva a dare dichiarazioni ad Al Jazeera ma adesso abbiamo anche loro, e anche loro ci danno informazioni. Certo non i “top officials” perché loro si sentono più rilassati a parlare con le loro televisioni. Ma noi li stiamo convincendo che è molto importante parlare con noi e loro lo fanno attraverso degli intermediari, attraverso delle figure di secondo piano. (A. J., Al Jazeera) Creare modalità produttive di interazione con gli officials nella regione è dunque una preoccupazione centrale anche per i giornalisti panarabi in house. Essi, pur mostrando di ritenere fondamentale l’inclusione di fonti diverse da quelle ufficiali, si rendono conto di non poter sopravvivere come news organization senza la “collaborazione” degli officials. Bisogna a questo punto soffermarsi su di un elemento importate per comprendere appieno la natura della relazione dei giornalisti in house con le loro fonti: la mediazione dei corrispondenti. Nella maggior parte dei casi infatti sono i corrispondenti che si relazionano direttamente con le fonti e che le trovano. In prima battuta dunque il lavoro è quello di dirigere nella scelta i corrispondenti, di indicare quali fonti scegliere e quali escludere. In fase di produzione invece si tratta selezionare, nell’ambito del materiale pervenuto o proposto dai corrispondenti, ciò che effettivamente sarà incluso nel prodotto informativo dell’emittente. Si tratta di un aspetto interessante, che mostra come nella relazione con le fonti i newsmedia panarabi debbano comunque utilizzare come intermediari i loro giornalisti dislocati all’interno dei differenti sistemi nazionali, giornalisti che di quei paesi sono cittadini. 247 Per questo motivo, anche per quanto riguarda la relazione con le fonti, nel rapporto tra in house e corrispondenti si può cogliere una dimensione negoziale e in qualche misura conflittuale. Questo è dovuto soprattutto alla differente distanza che giornalisti in house e corrispondenti hanno rispetto alle fonti stesse e ai sistemi sociopolitici di cui tali fonti fanno parte: Sono contento di avere aumentato la capacità di trasmettere notizie da bureau differenti, io sto creando un lavoro più interattivo, più professionale. Ho cercato di rendere il contributo dei corrispondenti meno legato al giornalismo ufficiale, ai meeting e alle dichiarazioni ufficiali dei politici. Io non credo che questo sia il tipo di giornalismo che ci interessa, e questo devono capirlo anche i corrispondenti. A noi interessa un giornalismo da campo, ci interessa il lato umano delle storie, cosa c’è dietro le storie, per questo non bisogna solo rincorrere i politici. (A. S., Al Jazeera) Se è vero dunque che i giornalisti panarabi in house hanno, nella relazione con le fonti ufficiali soprattutto, un maggiore potere negoziale di quanto ne abbiano i giornalisti che lavorano all’interno dei sistemi nazionali, è altrettanto vero che essi devono comunque, attraverso i corrispondenti, relazionarsi con i differenti contesti nazionali e con le situazioni che li caratterizzano. Al Jazeera e Al Arabiya hanno “sdoganato” l’utilizzo di fonti d’opposizione mostrando – Al Jazeera soprattutto- di considerare coerente con la propria linea editoriale e i propri principi etici anche l’utilizzo di fonti legate a gruppi di guerriglia e a gruppi terroristici195. Questa idea di chi sia o non sia una fonte legittima o interessante è in teoria comune tra giornalisti in house e corrispondenti, ma evidentemente nella pratica vede continue negoziazioni e rinegoziazioni. I giornalisti panarabi in house sembrano, nella loro ricerca di storie e di fonti, non ignorare completamente i media nazionali dei vari paesi della regione: A volte usiamo i media locali come fonti, e in molti casi li usiamo per prendere degli spunti. Io per esempio quando viaggio leggo molto la stampa locale, mi interessa per cercare notizie e storie da suggerire ai corrispondenti, in questo senso possono essere fonti indirette, per cercare di trovare questioni che ai miei corrispondenti sono suffugite o di cui non ci siamo ancora occupati. In questo senso i medi locali sono importanti per noi che dobbiamo fare la linea dell’emittente (N. H., Al Arabiya) Tengo d’occhio la stampa nazionale attraverso i siti e guardo le televisioni via satellite, a volte si trovano storie interessanti da suggerire ai corrispondenti (M. K., Al Jazeera) I media nazionali vengono “tenuti d’occhio” dai giornalisti panarabi in house, poiché rappresentano una risorsa ulteriore rispetto ai corrispondenti nella ricerca di storie e di notizie da coprire. In questo senso essi dunque diventano in qualche misura fonti. In questo senso è emblematica la questione della messa in onda dei video di Osama bin Laden e di Ayman Al Zawairi, o il rapporto tra Tayser Allouni e il governo talebano prima e durante la guerra in Afghanistan del 2002, costato al giornalista un incriminazione da parte del giudice spagnolo Garzon. 195 248 Infine è opportuno considerare come i giornalisti panaranbi in house si mostrino sensibili all’idea che l’evoluzione delle tecnologie della comunicazione rappresenti una grande potenzialità rispetto alla tipologia delle fonti a disposizione. Il problema per il futuro sarà come relazionarsi a spettatori che potrebbero conoscere le cose meglio di noi, che potrebbero avere maggiori informazioni di quelle che abbiamo noi e potrebbero averle avute prima di noi: lo spettatore che diventa anche fonte, questa è la novità e la sfida. I blogger per esempio, guarda in Egitto, io sono venuto a conoscenza di molte storie dal paese leggendo i blog. Devi cambiare tutto in conseguenza a questo il modo di relazionarsi alla gente, il modo di creare il “package” delle notizie, tutto. (A. J., Al Jazeera) L’idea del pubblico che diventa fonte, la relazione tra giornalismo professionale e citizen journalism, blogging e UGC196 è una questione che si pone a livello globale e su cui le testate giornalistiche di tutto il mondo stanno avviando riflessioni e progetti. Anche Al Jazeera sta lavorando in questo senso e ha già lanciato due progetti dedicati al contenuto generato dagli utenti: Al Jazeera Talks e Al Jazeera New Era. Il primo è una sorta di aggregatore di blog e il secondo una piattaforma che prevede la possibilità di postare foto e video e vede la partnership di YouTube e Flickr197. Investimenti di questo tipo da parte del management di Al Jazeera mostrano come ci sia una grande attenzione alla necessità della trasformazione delle pratiche professionali di fronte alla trasformazione delle fonti. Considerazioni di questo tipo evidenziano la consapevolezza dell’importanza del monitoraggio delle informazioni che possono arrivare dai più diversi soggetti nella regione, in modo da avere aiuto nella ricerca di “storie” nuove, notizie di human interest e vicende che non riguardino gli officials della politica. In ultima analisi una condizione di maggiore forza nei confronti delle fonti ufficiali caratterizza il lavoro dei giornalisti panarabi in house, un vantaggio dovuto prevalentemente alla collocazione delle news room all’esterno dei sistemi nazionali su cui essi producono notizie. Allo stesso tempo però essi si trovano in una condizione di forte dipendenza dal lavoro di altri soggetti- in prevalenza i propri corrispondenti, ma anche media nazionali e pubblico attivonella ricerca delle issue da coprire e delle fonti da utilizzare. Si tratta di una condizione piuttosto peculiare, possibile solo per chi si trova a produrre notizie per tutto il mondo arabo “dal mezzo del deserto”. Per questo motivo il loro rapporto con le fonti è mediato e negoziato con altri soggetti che hanno i piedi “ben piantati” all’interno dei sistemi nazionali. 13.2 “Ho ucciso una guardia”: i corrispondenti di Al Jazeera e Al Arabiya e il loro rapporto con le fonti I corrispondenti di Al Jazeera e di Al Arabiya insistono molto sul rapporto di fiducia e collaborazione che, in nome della reputazione delle loro news organization, riescono ad intrattenere 196 User Generated Content, ovvero tutte quelle piattaforme che prevedono la possibilità che gli utenti, il pubblico, generino contenuti informativi. 197 YouTube (www.youtube.org) è la principale piattaforma per la condivisione di video, Flickr (www.flickr.org) uno delle principali piattaforme per la condivisione di foto. 249 con soggetti “altri” e antagonisti rispetto a quelli che tradizionalmente hanno voce sui media nazionali: Al Jazeera è un medium molto rispettabile e molte persone vengono per dirci la verità, a causa della nostra credibilità molte persone vengono da noi volontariamente per dirci la verità. Ti faccio un esempio, qualche tempo fa un egiziano ha aggredito un marines dentro all’ambasciata e noi abbiamo saputo questa cosa perché il dottore che lo ha medicato ce lo ha raccontato. In un'altra occasione un uomo ha ucciso un poliziotto nell’Alto Egitto e ci ha chiamato lui stesso per dire cosa aveva fatto e perché lo aveva fatto. Voleva essere sicuro che la gente sapesse il vero motivo del suo gesto (H. A. G., Al Jazeera) Erano mesi che lavoravo a quest’intervista con il leader delle Gama’at Al Islamiyya –i responsabili degli attacchi terroristici degli inzi degl anni novanta- mi sono data da fare cercando contatti, relazioni e fonti. Proprio in questi giorni sono riuscita a realizzare questo grande scoop. (R. A. A. Al Arabiya) I corrispondenti di Al Jazeera e Al Arabiya cercano fonti “alternative” perché questo è coerente con quanto richiesto dalle loro newsroom centrali e, dal canto loro, tali fonti li cercano perché sanno di trovare una macchina produttiva meno legata ai sistemi di controllo che caratterizzano i media nazionali. È dunque sia per i corrispondenti sia per le fonti un riferimento transnazionale -il fatto che le newsroom centrali di questi media si trovano fuori del paesea determinare la proficuità della relazione. Questa condizione fa si che i corrispondenti di Al Jazeera e Al Arabiya possano contare su una solida rete di fonti per le quali essi rappresentano l’unica possibilità di proporre informazioni alternative a quelle delle fonti ufficiali all’opinione pubblica egiziana. Di questo i corrispondenti hanno piena consapevolezza: Per esempio il movimento della società civile egiziana “Kifaya!”, non avrebbe avuto lo stesso impatto sulla politica nazionale se noi non ne avessimo seguito le vicende, riportato le idee e le opinioni, dato voce ai leader, ascoltato le informazioni che essi ci davano. E lo stesso durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali: lo spazio che abbiamo dato a Gomaa e a Nour è stato molto importante per loro, noi davamo loro la possibilità di mettere in discussione Mubarak, di offrire informazioni alternative (H. A. G., Al Jazeera). Io ho costruito un network molto solido di fonti, di informatori e di relazioni, un network che si è consolidato nel tempo. Quando stavo coprendo gli attentati sul Sinai, questa rete di fonti funzionava alla perfezione e mi dava informazioni estremamente precise, perché io li tenevo sotto pressione. E questo mandava in bestia gli officials che non potevano controllare il flusso di informazioni. (H. A. G., Al Jazeera) Il rapporto con le fonti ufficiali resta comunque estremamente importante per i corrispondenti di Al Jazeera e Al Arabiya, anche perché sarebbe impossibile coprire il paese senza avere anche informazioni dal governo e dai ministeri. Per questo essi devono mantenere una relazione diretta anche con gli officials, una relazione fatta di incontri, telefonate e feed back sul lavoro: 250 Se tu fai qualcosa che a loro non piace te lo fanno sapere, in molti modi, magari ti fanno una telefonata, non ti possono censurare perché noi abbiamo il nostro trasmettitore e trasmettiamo autonomamente, ma comunque ti fanno capire che non sono contenti. (R. A. A., Al Arabiya) Ci sono persone nelle elite dominanti che pensano che Al Jazeera abbia un approccio negativo nei confronti di questo paese, quindi hanno un’attitudine molto negativa nei nostri confronti. Ma ora anche nel governo ci sono persone che dicono che il nostro lavoro è eccellente e molto importante anche per loro perché gli dà l’opportunità di capire i loro problemi. È una new wave, fatta di persone giovani, di politici giovani, anche qualche ministro, ora ci cercano per coprire i loro eventi, per darci la loro visione dei fatti, mentre prima ci tenevano lontano. (H. A. G., Al Jazeera) Gli officials non possono intervenire sul prodotto giornalistico, poiché esso viene trasmesso direttamente alle newsroom centrali e di lì postprodotto, ma possono agire sui corrispondenti attraverso pressioni, offerte di informazioni o al contrario boicottaggi. Questa dinamica, che è tipica della relazione tra fonti e giornalisti (cfr. Wolf 1985, Sorrentino 1995), assume in questo caso specifico una valenza particolare perché mostra come nella relazione con i corrispondenti dei media panarabi gli officials tentino di recuperare il controllo sull’informazione riguardante l’Egitto prodotta da tali media. Di questo i corrispondenti sembrano essere ben consapevoli e, nella presentazione del loro rapporto con le fonti, insistono spesso su una loro presunta intransigenza nel farsi condizionare: Non voglio compiacere le mie fonti, qualunque esse siano, governative o d’opposizione, io cerco di dare le notizie per come sono. Io riporto i fatti precisi, per questo sono stato arrestato per la mia copertura degli attentati in Sinai (H. A. G., Al Jazeera) Nell’analisi della percezione che i corrispondenti panarabi in Egitto hanno del loro rapporto con le fonti può essere utile considerare il loro giudizio rispetto alle strategie di comunicazione politica del partito di regime e dei partiti d’opposizione. Mentre sono divisi (Questionario n. 30 e n. 31) sul fatto che la loro presenza abbia influenzato la comunicazione politica ed elettorale del partito di governo, tutti sono concordi nell’affermare di aver modificato le modalità di comunicazione con i media dei partiti e dei movimenti politici d’opposizione. Si tratta di un elemento interessante, poiché ha a che vedere con il giudizio che i corrispondenti panarabi danno della capacità dei soggetti politici nazionali di produrre informazioni appetibili e interessanti. I corrispondenti panarabi riconoscono (Questionario n. 32 e n. 33) che, in generale, “i soggetti politici in quanto fonti” mantengono un atteggiamento peculiare nei loro confronti. In tal senso essi individuano nel comportamento delle fonti ufficiali una presa di coscienza che la presenza delle telecamere di Al Jazeera e Al Arabiya alle conferenze stampa, ai comizi o agli eventi pubblici in generale, significhi la creazione di una finestra “transnazionale” sulla sfera pubblica egiziana. Questo determinerebbe, secondo i corrispondenti, un’attenzione particolare nella preparazione dei messaggi e dei setting, non ragionata soltanto sulla base di elementi interni. I corrispondenti panarabi sono poi convinti di rappresentare sostanzialmente un’opportunità per i soggetti d’opposizione. Essi affermano di avere un rapporto pri- 251 vilegiato con queste fonti e un forte potere negoziale nei loro confronti: le fonti d’opposizione li cercano, concedano loro esclusive e li preferiscono ai media nazionali. Secondo quanto affermano questi giornalisti i soggetti d’opposizione starebbero negli ultimi anni migliorando la propria capacità comunicativa e dunque la propria capacità di presentarsi come fonti interessanti per i media: Oggi i partiti d’opposizione e i movimenti danno molta più importanza alle conferenze stampa e alla produzione di informazioni riguardo le loro posizioni su eventi internazionali e vicende locali, materiale che ci viene fatto avere direttamente da loro. È aumentata l’attività di comunicazione dei partiti nei nostri confronti, visto che noi copriamo anche le notizie che li riguardano e non li ignoriamo come fanno i media nazionali (R. A. A., Al Arabiya). 13.3 Il rapporto con le fonti dei giornalisti dei newsmedia egiziani Il rapporto dei giornalisti che lavorano per i media egiziani con le fonti varia notevolmente a seconda delle news organization. I giornalisti che guidano i newsmedia a finanziamento pubblico (televisioni e stampa) non mancano di sottolineare la possibilità di stabilire un rapporto costruttivo e produttivo con le fonti governative, evidenziando come l’attitudine nei confronti dei media da parte degli officials e la loro disponibilità a collaborare con essi sia mutata molto negli ultimi anni: Ora nel nuovo governo ci sono delle figure molto competenti e cosmopolite, si sono formate in occidente. Il nuovo ministro dell’informazione crede molto in noi, in questo progetto. Sa che è fondamentale per costruire credibilità. Mi ascolta e sta investendo molto nel progetto. (H. H., Nile TV) La relazione tra noi e il governo è buona e onesta perché loro ci devono “nutrire” con le news, come ti ho detto noi abbiamo un corrispondente in ogni area e presso il gabinetto dei ministri ne abbiamo due o tre, presso il ministero degli esteri ne abbiamo due, presso la presidenza altrettanti e loro ci nutrono con le notizie. C’è un reciproco interesse. (S. A., MENA) La Mena in particolare ha un rapporto privilegiato con le fonti ufficiali e di fatto, in quanto agenzia di informazione nazionale, rappresenta tutt’oggi la fonte principale sulle notizie che riguardano il governo egiziano. Essa fornisce report e trascrizioni di tutti gli eventi e le dichiarazioni collegate all’attività dei ministri e del Presidente e pertanto viene utilizzata da tutti i media egiziani come “la fonte per eccellenza” sulle news legate agli officials. L’abbondanza di fonti ufficiali continua a rappresentare una costante all’interno del sistema dei newsmedia nazionali e anche i giornali privati tendono198, pur avendo mutato i toni delle coperture riguardo il regime, a non introdurre nuovi soggetti e nuove fonti per i loro racconti Come due monitoraggi realizzati dal Cairo Institute For Human Rights Studies e dall’Indipendent Center for Election Monitorino dell’Ibn Khaldoun Center, nei periodi che hanno preceduto le elezioni presidenziali e politiche del 2005 198 252 giornalistici. Quello che hanno fatto fino ad ora i giornali privati è lavorare in maniera diversa su fonti e informazioni analoghe a quelle della stampa semi-ufficiale. A proposito della differenza tra noi e i giornali governativi io ho sentito che il direttore di un grande giornale governativo ha detto ad un ministro: “tu sei la ragione del successo di Al Masri Al Youm: se voi non gli date informazioni, se voi non rispondete alle loro domande, loro non vanno da nessuna parte”. Il ministro gli ha risposto: “noi vi diamo ogni giorno le stesse informazioni, perché voi non fate lo stesso lavoro che fanno loro?”. Non è una questione di censura, è una questione di mentalità, ma loro non possono ragionare in termini di newsworthines con l’assetto che hanno. (M. S., Al Masri Al Youm) I giornalisti della stampa privata ritengono di aver impostato un rapporto differente con le fonti ufficiali e politiche in generale, un rapporto nel quale essi hanno una maggiore forza contrattuale. I giornalisti di Al Masry Al Youm in particolare sembrano ritenere che il prestigio e il successo di pubblico che la testata per cui lavorano ha saputo conquistare in pochi anni abbia portato i soggetti pubblici a cercare il giornale e a proporre informazioni: Per quanto riguarda l’attitudine dei politici e degli officials nei confronti del nostro giornale, beh la maggior parte di loro odia la stampa. Tuttavia negli ultimi anni abbiamo cominciato ad avere parecchie fonti, persone che vogliono dare informazioni a Al Masry al Youm, e questo perché il nostro giornale ha molta credibilità. È stato il giornale stesso con la sua linea che è riuscito ad ottenere una posizione che gli garantisse fonti. Quando un giornale è credibile le fonti si moltiplicano (H. K., Al Masri Al Youm) La questione della necessità di una maggiore diversificazione delle fonti e dei soggetti delle news sembra essere all’ordine del giorno all’interno di tutte le redazioni, anche quelle della televisione nazionale. Noi stiamo cercando di portare le notizie il più vicino possibile alla gente, noi stiamo cercando di catturare l’interesse della gente, stiamo cercando di ridurre la quantità di news ufficiali e di mettere le notizie importanti e non solo quelle ufficiali, abbiamo già tagliato le notizie ufficiali e quelle che riguardano il presidente, e stiamo cercando di essere maggiormente orientati verso il locale. Dunque essere interessati agli interessi e alle opinioni del pubblico. (A. M., direttore news ERTU) Una rapida transizione da un sistema che, di fatto, non vedeva nessuna competizione e dove le notizie protocollari rappresentavano top news ex officio, ad un sistema popolato da diversi soggetti in maggiore competizione tra loro ha determinato una più seria attenzione alla ricerca di informazioni esclusive. Tuttavia, per il momento, questo non ha ancora portato ad una significativa trasformazione del sistema delle fonti utilizzate dai media egiziani. I giornalisti che lavorano nelle newsroom dei media governativi e della televisione in particolare tengono a sottolineare come, nel momento in cui si relazionano con le proprie fonti, ritengano fondamentale un approccio “responsabile”, un approccio cioè che dia la priorità alle fonti più sicure e attendibili in modo da non dare notizie che possano inutilmente turbare il pubblico. I giornalisti dei media governativi sembrano dunque comprendere l’importanza 253 dell’utilizzo di fonti alternative piuttosto che quelle ufficiali ma, allo stesso tempo, non si mostrano disposti a rinunciare ad un’idea di “responsabilità sociale” del giornalismo. Se in un incidente o in un attacco terroristico sono uccise 20 persone io non posso dire che ne sono morte 10 perché altrimenti la cosa si verrà a sapere da altre fonti. Io devo presentare la realtà. Io credo che negli ultimi tre anni noi stiamo presentando la realtà senza disinformazione o esagerazione e io sono molto orgogliosa di ciò. Nel caso del grave incidente ferroviario dell’agosto 2006 noi davamo il numero delle vittime man mano che ci venivano confermate dalle nostre fonti, che sono fonti attendibili, non davamo un grande numero fin dall’inizio perché non c’era conferma. (N. S., Nile TV) Anche le all news panarabe vengano considerate (Questionario N. 29) fonti di notizie dai media egiziani; questo significa che le loro coperture influenzano direttamente le scelte di newsmaking di tali media. Stando alle parole dei giornalisti dei media egiziani l’interesse per il lavoro delle all news paranarabe riguarda prevalentemente le vicende internazionali, ma in alcuni casi anche per “eventi egiziani” Al Jazeera e Al Arabiya possono diventare fonti. Televisioni sintonizzate su Al Jazeera e Al Arabiya hanno fatto il loro ingresso nelle redazioni dei giornali egiziani e i giornalisti affermano di considerare queste emittenti come una sorta di agenzia: sono rapide, concise e hanno giornalisti dove i giornali egiziani non li possono avere. Direttori e caporedattori al contrario tendono a sminuire questo ruolo di “fonte” esercitato da Al Jazeera in particolare: Al Jazeera non è una fonte infallibile e per me le notizie di Al Jazeera non sono tali finché non vengono confermate. Al Jazeera non deve essere il nostro modello. Io tengo la mia Tv spenta. (A. H., Al Wafd) Ovviamente noi abbiamo una televisione accesa su Al Jazeera ma io ho detto alla redazione, nessuno mi porti nessuna breaking news di Al Jazeera perché so che Al Jazeera vuole essere la prima e per questo qualsiasi notizia riceve la mette immediatamente sulla newsbar e a volte è falsa, per questo io dico non portatemi mai un articolo nel quale la fonte sia solo Al Jazeera aspettate che sia confermata almeno da una agenzia o da un altro broadcaster. (M. S., Al Masri al Youm) Emerge dunque una sorta di “frenesia da notizia data da Al Jazeera” all’interno delle redazioni che costringe i direttori a tenere a freno la smania dei redattori nel riportare le notizie date dall’emittente. È naturale comunque che i giornalisti che guidano una news organization tendano a sminuire il contributo che possono avere da altri newsmedia e cerchino invece di sottolineare le notizie che riescono a coprire in maniera indipendente o su cui addirittura riescono ad arrivare prima dei grandi network: La nostra relazione con i giornalisti di Al Jazeera è polivalente. In certi casi collaboriamo, per esempio nella ricerca di una fonte, a volte succede. In altre occasioni noi cerchiamo di avere la notizia prima di loro in modo che loro debbano citarci come fonte. (H. K., Al Masri Al Youm) 254 In ogni caso anche questa divergente posizione tra giornalisti e direttori mostra come Al Jazeera e Al Arabiya siano entrate a far parte delle “fonti possibili” e come spesso abbiano luogo discussioni sull’opportunità o meno di seguire i differenti impulsi che provengono da queste emittenti. I giornalisti che lavorano per la televisione nazionale tendono invece a negare l’utilizzo di Al Jazeera e Al Arabiya come fonte di informazione. Al contrario cercano di mettere in risalto le occasioni nel corso delle quali le loro immagini o le loro informazioni sono state utilizzate dai network panarabi: Nile news ha un tempismo migliore sulle notizie egiziane. Per quanto riguarda gli attentati del Sinai tutto il mondo usava le nostre immagini, e noi davamo il passo delle notizie, anche Al Jazeera usava le nostre immagini, ora anche loro devono guardare a quello che facciamo noi. (H. H., Nile Tv) In ogni caso anche i direttori dei servizi televisivi nazionali ammettono che la “competizione” con Al Jazeera e Al Arabiya ha posto sul piatto la necessità della diversificazione delle fonti, rispetto ai soli officials, proprio perché tali emittenti possono contare su una rete di fonti estremamente diversificata e capillare: Nel futuro cercheremo di ampliare il nostro budget per avere nuovi progetti e per ampliare le nostre fonti di notizie, le nostre reti di corrispondenti. Per sviluppare il nostro lavoro, dobbiamo sempre svilupparci, non possiamo stare fermi se no gli altri ci sorpassano e fanno più progressi di noi. (N. S., Nile Tv) Anche in questo aspetto delle produzione di notizie l’interazione con i newsmedia panarabi sta modificando le pratiche professionali dei giornalisti egiziani, tanto nella stampa quanto nella televisione. 255 Organizzazione della redazione e professionalità dei giornalisti 14.1 Top professionals: I giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya L’organizzazione redazionale di una all news che trasmette 24 ore al giorno, con più di trenta uffici di corrispondenza in tutto il mondo, deve essere perfetta. Soprattutto deve esserci un ottimo coordinamento tra la fase di pianificazione e la fase esecutiva. In questo senso l’organizzazione editoriale di Al Jazeera e Al Arabiya è estremamente pianificata e strutturata su criteri basati sull’efficienza: Ci sono una serie di principi che ognuno di noi deve seguire. Tutti sanno che noi abbiamo un sistema per regolare come le cose devono andare durante la giornata e il sistema è noto a tutti, così ognuno conosce e capisce la politica editoriale, ognuno capisce i principi che noi seguiamo. E ognuno deve concordare. Noi abbiamo la newsroom e abbiamo i bureaux. Ogni mattina abbiamo un meeting in cui decidiamo su cosa concentrarci. A mezzogiorno abbiamo un altro meeting e vediamo cosa abbiamo raccolto e ci manteniamo in contatto con i nostri bureau chief nel mondo, per avere un continuo update, e poi montiamo tutto dalla newsroom. Questo è un momento importante, perché è in questa fase che noi scegliamo i commentatori e decidiamo in che punto avere i talking point. (A. S., Al Jazeera) Al Arabiya è diretta dal Managing Director Abdel Rahman Rashid. Lui pianifica la strategia del canale, su cosa noi dobbiamo focalizzarci, in che modo possiamo avere più audience o pubblicità. Come giornalista ovviamente lui segue anche i dettagli, e ha idee creative su come coprire alcune storie. Io sono il News Director e mi occupo delle coperture giornaliere dei contatti con gli uffici di corrispondenza e dei piani per le coperture speciali. C’è l’Executive editor, Nabil Khatib, lui cerca e si occupa del “tema del giorno”, stabilisce per quanto tempo ci dobbiamo occupare di una issue, di quanti temi ci dobbiamo occupare e quale è la priorità in un determinato giorno. E noi inoltre abbiamo dei Bullettin Editors e degli Show Producers. Questo dentro la news room. Abbiamo anche un assignment desk, che è responsabile dei bureau internazionali. Ogni ufficio di corrispondenza è in contatto con questo desk, e gli suggerisce le storie, dà e riceve suggerimenti. Si fa un editorial meeting ogni mattina e ogni pomeriggio, in cui si discute cosa si deve fare. (N. H., Al Arabiya) 257 All’interno di queste newsroom i ritmi di lavoro e di relazione sono estremamente rapidi: È molto importante il lavoro di squadra, tu devi sapere chi può fare bene cosa, nessuno può lavorare senza conoscere bene le prerogative degli altri. È un lavoro collettivo, tu devi sapere quale è il tuo ruolo, fare quello e farlo bene e allo stesso tempo seguire il piano collettivo, come in una squadra di calcio. (S. K., Al Jazeera) Per una news organization che intende avere una copertura globale autonoma la relazione tra newsroom e i bureau di corrispondenza è centrale, pertanto la gestione dell’assignment desk è fondamentale nell’organizzazione del lavoro di redazione. Da questo punto di vista l’attività è organizzata in questo modo: ogni mattina c’è un meeting che vede il direttore del Planning desk199, il direttore dell’Assignment desk, l’Editor in Cheif e uno dei Producer ragionare assieme su quali elementi scegliere tra gli stimoli arrivati dagli uffici di corrispondenza. Gli uffici di corrispondenza propongono le storie alla newsroom attraverso un sistema informatico che permette di vedere tutte le storie a disposizione in tutto il mondo e il grado di importanza che ad esse assegnano i corrispondenti. Per ognuna di esse il corrispondente deve anche indicare il materiale video che intende utilizzare e l’impostazione che intende dare al servizio. A partire da questi elementi, la newsroom centrale, attraverso l’assignment desk, comunica ai corrispondenti cosa coprire e invia una serie di commenti e suggerimenti su come farlo e allo stesso tempo controlla gli script preparati dai corrispondenti. Sulla base delle sollecitazioni ricevute i corrispondenti preparano immagini, scrivono i testi e i voice over per i servizi. Tutto questo materiale viene inviato alla newsroom centrale dove gli editor e il producer lo controllano200, lo modificano e lo perfezionano. A questo punto il materiale viene inserito all’interno del sistema elettronico, pronto per andare in onda secondo l’ordine stabilito. La relazione tra uffici di corrispondenza e redazione centrale è dunque completamente informatizzata e le normali comunicazioni avvengono attraverso messaggi elettronici. Sono comunque ovviamente molto frequenti le telefonate tra la newsroom e gli uffici di corrispondenza, soprattutto sulle questioni che vanno risolte rapidamente, come la conferma di una fonte o la precisazione di un’informazione. L’interferenza della newsroom centrale sul lavoro degli uffici di corrispondenza è piuttosto forte in tutte le fasi dell’elaborazione del materiale dei corrispondenti: Sto controllando le idee che propongono i corrispondenti per i prossimi giorni. C’è una buona idea dall’ufficio di Amman. Però il modo in cui propongono di trattarla non funziona per niente, non è una “storia”, ora gli scrivo per suggerire come coprirla e come renderla una storia. (M. K., Al Jazeera) Capita che del materiale realizzato dai corrispondenti, all’ultimo momento, quando lo guardiamo da qui non ci piaccia, non ci sembri coerente con i nostri standard e la nostra linea, allora, semplicemente, lo eliminiamo (M. K., Al Jazeera) Si tratta del desk che stabilisce le priorità editoriali di medio periodo. I testi vengono sottoposti anche ad un controllo linguistico realizzato da uno specifico desk, in modo che non risentano di forme dialettali ma siano in perfetto Modern Standard Arabic. 199 200 258 La relazione tra l’organizzazione degli spazi di redazione e i rapporti di potere all’interno della newsroom offre un’interessante spunto di riflessione. Entrambe le newsroom sono caratterizzate da ampi open space all’interno dei quali soltanto il direttore e il vicedirettore hanno un ufficio indipendente, separato però solo da una semplice vetrata. Anche le postazioni da cui vengono presentati i notiziari sono all’interno della newsroom, secondo il modello introdotto dalle all news americane, questo fa si che la newsroom sia visibile al pubblico e fornisca un senso di trasparenza del processo di produzione delle notizie. Vista dalla prospettiva dell’organizzazione redazionale, questa divisione dello spazio è pensata per dare ai giornalisti un’idea di vicinanza e ridurre la percezione di una “gerarchizzazione” dei ruoli: Il mio modo di dirigere Al Jazeera è quello di un “open door policy”. Io non chiudo mai la porta del mio ufficio, perché io sono uno di loro. Io ho cominciato qui come producer e molti di loro erano miei colleghi. Io sono un amico dei miei giornalisti, ma allo stesso tempo sono duro. Voglio dire se io dico una cosa, nessuno può dire di no, ma allo stesso tempo non sono un dittatore. Allo stesso tempo però voglio che loro pensino con la loro testa, anche perchè possono ricordarsi di cose che io mi dimentico. Bisogna essere flessibili, ma prendere decisioni in ogni momento. (A. S., Al Jazeera) Questo, ovviamente, non significa che l’organizzazione editoriale di Al Jazeera e Al Arabiya sia basata su una “direzione debole”201, al contrario le relazioni di potere all’interno della redazione sono comunque ben marcate. Tuttavia si può affermare che tra i redattori, i producer e i giornalisti che guidano le scelte editoriali esiste una certa vicinanza e un continuo confronto, dovuti prevalentemente all’organizzazione del lavoro redazionale basata su incontri e discussioni e sulla struttura dello spazio redazionale. Un’organizzazione redazionale di questo tipo consente di ridefinire e di riaggiustare continuamente la linea editoriale e di far si che tutti i redattori partecipino al processo di ridefinizione. Ciò consente a tutti di avere bene chiaro come la linea sia cambiata e di sentirsi a proprio agio nell’utilizzo dei termini e nella scelta delle notizie e delle immagini: Si fa un editorial meeting ogni mattina e ogni pomeriggio, in cui discute cosa di deve fare. L’editorial policy è molto chiara perché lavoriamo insieme da un po’ di tempo, tuttavia ci sono cose che vanno definite ogni giorno. Per esempio durante la guerra in Iraq la policy editoriale cambiava ogni giorno perché ad esempio non c’è una definizione internazionale di occupazione e quindi bisognava decidere di giorno in giorno quali termini usare, o per esempio durante la difficile caduta di Umm Kasr, dovevamo dire che era caduta oppure no? Quando si capisce che una città è caduta? Ci sono terminologie che cambiano di giorno in giorno, per questo tutti lavorano sulla terminologia da usare, tutti insieme, i reporter i producer etc. (D. S., Al Arabiya) Questo è un elemento molto importante dell’organizzazione redazionale perché, attraverso il coinvolgimento dello staff nelle decisioni, si possono ridefinire continuamente le priorità, 201 Per una distinzione tra “direzione debole”, “direzione forte” e “direzione collegiale” si veda Sorrentino (1995, pagg.165-168). 259 la linea editoriale e gli obiettivi redazionali. Tale approccio velocizza notevolmente il lavoro di newsmaking ed evita che un redattore si blocchi di fronte ad una breaking news perché teme di presentarla in una maniera non coerente con la linea della news organization. Tra i giornalisti che lavorano per Al Jazeera e Al Arabiya molti provengono da esperienze di lavoro all’interno delle grandi agenzie e news organization occidentali: Prima di lavorare ad Al Arabiya ho lavorato molto in Europa e lì sono cresciuto molto professionalmente. Ho lavorato prevalentemente per BBC e per APTN (N. B., Al Arabiya) Io mi sono formato professionalmente in BBC, è lì che lavoravo prima di venire ad Al Jazeera (A. S., Al Jazeera) Parte dello staff di Al Arabiya poi proviene da un’esperienza ad Al Jazeera e passaggi di giornalisti tra le due newsorganization sono oggi molto frequenti. Le due emittenti dunque raggruppano e si contendono i migliori professionisti del mondo arabo. Questo sostanzialmente grazie a due fattori: il prestigio che esse godono e i salari che possono offrire, in nessun modo paragonabili a quelli dei newsmedia nazionali. Anche le tecnologie e le risorse economiche a disposizione delle due news organization concorrono a creare un ambiente lavorativo altamente professionale e professionalizzante. In questo senso le due emittenti rappresentano i centri d’eccellenza per il giornalismo in lingua araba: Al Jazeera ha finito per essere una “scuola di giornalismo”, la gente arriva, impara e poi va verso altri canali, questo significa che Al Jazeera non è un gruppo di persone, ma è un’istituzione, un modo di lavorare (S. K., Al Jazeera) Il termine di confronto che i giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya sembrano darsi rispetto alla professionalità è quello del giornalismo occidentale e delle grandi news organization globali. Nel confronto con tali news organization i giornalisti in house delle due emittenti si sentono generalmente competitivi. Spesso infatti dalle loro parole emerge la convinzione di utilizzare standard professionali “globali”. Infine è interessante vedere come per i giornalisti panarabi in house l’appartenenza a un sindacato di categoria non sia vista come elemento qualificante della professionalità, o un elemento importante per l’elaborazione di una propria identità professionale. Ciononostante molti di essi riconoscono la necessità di avviare un dialogo tra professionisti e scuole professionali nel mondo arabo, al fine sia di ridiscutere le pratiche e i valori professionali sia di sviluppare un potere negoziale maggiore come categoria: L’idea dei sindacati è più politica che altro, io credo che si dovrebbe avviare una discussione professionale e lavorare sui codici di condotta etici, e sulle pratiche professionali questa discussione dovrebbe comprendere anche le facoltà di mass media nel mondo arabo. Bisognerebbe, sul piano operativo, creare delle syndication per ridurre i prezzi e a volte bisognerebbe accordarsi per cercare di fare pressioni affinchè vengano spesi più soldi in pubblicità. (N. H., Al Arabiya) 260 14.2 L’organizzazione degli uffici di corrispondenza di Al Jazeera e Al Arabiya Nella descrizione dell’organizzazione operativa del proprio lavoro i corrispondenti in Egitto di Al Jazeera e Al Arabiya individuano sostanzialmente due fasi centrali: la prima ha a che vedere con la negoziazione con i giornalisti degli assignment desk in merito alle questioni da coprire, la seconda riguarda il “lavoro sul campo”. Rispetto alla prima fase i corrispondenti panarabi insistono molto sulla bidirezionalità del processo di selezione delle notizie dall’Egitto, come frutto di una negoziazione tra loro e gli uffici centrali: Per quanto riguarda la scelta dei topics sull’Egitto è un processo bidirezionale, noi proponiamo i nostri topics e qualche volta loro hanno le loro proposte, qualche volta loro rifiutano le nostre proposte e qualche volta siamo noi a dire che non vale la pena di coprire ciò che loro propongono (R A. A., Al Arabiya). Per quanto riguarda il nostro modo di lavorare noi ogni sera immettiamo nel nostro sistema interno di computer una serie di informazioni e di proposte affinché a Doha sappiano cosa succederà in Egitto il giorno dopo, e facciamo la stessa cosa all’inizio di ogni settimana e di ogni mese. Poi c’è una negoziazione continua: noi offriamo quello che abbiamo, immagini, o voci o interviste e loro scelgono in concordanza con la nostra editorial policy. A volte sono loro a segnalarci qualcosa e noi gli diciamo se effettivamente è una cosa importante oppure no. Magari loro vedono da un’agenzia internazionale che il giorno seguente ci sarà una grande manifestazione nel paese e noi non ne abbiamo mai dato informazione nei nostri elenchi di proposte. Allora ci scrivono o ci chiamano e ci chiedono conto. In alcuni casi noi ridimensioniamo l’importanza della cosa perchè sappiamo che invece sarà una manifestazione molto piccola e lo sappiamo grazie alla nostra esperienza, in altri casi invece diciamo ok andiamo a vedere. (H. A. G., Al Jazeera) Questa fase propositiva è estremamente importante e vede i corrispondenti impegnati a cercare, attraverso le proprie fonti dirette o attraverso i media locali, le notizie che secondo loro possono essere coerenti con la linea della propria testata. Questa fase del lavoro appare organizzata in una maniera estremamente strutturata e codificata, e questo è ciò che permette ad un sistema così complesso come quello di una all news transnazionale di funzionare. Allo stesso tempo, nel momento in cui accade un importante evento inatteso che riguarda il paese, questo sistema viene accantonato e l’ufficio di corrispondenza lavora a ritmi molto serrati e in stretto contatto con la newsroom centrale. La mole di lavoro degli uffici di corrispondenza varia estremamente, non solo a seconda di quello che in un preciso momento succede nel paese, ma anche a seconda di quella che è la questione che per la news organization in quel momento ha massima importanza. I corrispondenti dunque devono sempre essere disposti anche a ri-orientare il proprio lavoro di ricerca delle notizie a seconda delle priorità globali della news organization. Durante le elezioni parlamentari e presidenziali in Egitto abbiamo lavorato giorno e notte. Ora che il focus dell’emittente è la guerra in Libano ci sono meno top news da qui eccetto che per alcune dimostrazioni. Infatti ora che il focus è il Libano noi, in questi giorni, stiamo cercando 261 di mandare item e contributi in qualche modo correlati con la guerra in Libano dall’Egitto. Perché in un momento come questo dall’Egitto c’è spazio solo per queste notizie (R. A. A., Al Arabiya) Le modalità di organizzazione del lavoro dei corrispondenti dunque devono essere estremamente flessibili. Essi devono monitorare la situazione nazionale, cercando di avere sempre presente gli obiettivi della propria news organization. Sia in questa fase di ricerca delle notizie sia nella fase “di campo” è fondamentale per i corrispondenti mantenere una rete di fonti estremamente capillare, in quanto gli uffici di corrispondenza possono contare su uno staff di circa dieci persone di cui solo quattro sono reporter. Io ho costruito un network molto solido. Ho una rete di giornalisti e fonti che funziona perfettamente e un network di stringers che tengo sottopressione per avere notizie. Al Jazeera è un medium molto rispettabile, per questo non è difficile avere parecchie fonti. (H. A. G., Al Jazeera) Questo network di fonti rappresenta, assieme ai media nazionali, la risorsa fondamentale dei corrispondenti in questa fase propositiva. Nella descrizione della seconda fase del loro lavoro, la fase di “campo”, i corrispondenti insistono molto sul loro impegno a fornire una copertura “dalle strade del paese” mettendosi “nel mezzo” delle storie: Per quanto riguarda la copertura delle elezioni parlamentari, si è trattato di una issue molto dura, io sono stata colpita alla testa da un sasso mentre stavo facendo un servizio dalla strada ma io sono dovuta andare fuori a filmare la gente sanguinante, e queste sono immagini che non sono state mostrate dalla televisione nazionale, ma questa è la realtà che io vedevo nelle strade (R. A. A., Al Arabiya) Durante il giorno delle elezioni abbiamo offerto una copertura massiccia, avevamo cinque o sei postazioni live ad Alessandria, Assiut, Menia, Mansura, Port Said, Sinai e Giza, poi abbiamo allestito uno studio “open air”, qui sul tetto del nostro palazzo. Noi abbiamo dato ai nostri spettatori continui aggiornamenti (H. A. G., Al Jazeera) I corrispondenti sottolineano inoltre come il loro lavoro li veda spesso in giro per le strade e su come anche i due direttori degli uffici di corrispondenza non si esimano dal coprire personalmente come reporter alcune vicende. Il fatto che le newsorganization panarabe possano offrire salari molto più alti di quelli offerti dai media egiziani, unitamente al prestigio che lavorare per Al Jazeera e Al Arabiya comporta, fa si che esse possano lusingare i giornalisti con la maggiore professionalità nel paese. Per quanto riguarda i nostri stipendi, al Jazeera ha cominciato con standard molto alti. Noi abbiamo gli stessi salari dei nostri colleghi in occidente. Poi con il lancio di Al Arabiya è nata una competizione e Al Jazeera ha capito che doveva concedere aumenti se voleva mantenere il suo assetto -perché noi siamo il suo assetto- e ha alzato ulteriormente i salari (H. A. G., Al Jazeera) 262 In una situazione di questo tipo Al Jazeera ha scelto di fare guidare il suo bureau a Hussein Abdel Ghani, decano della radio e della televisione egiziana. Io ho una lunga esperienza di giornalismo televisivo. Ho lavorato per Cairo Television e Cairo Radio per vent’anni prima di lavorare qui. (H. A. G., Al Jazeera) Al Arabiya invece, che fa parte del gruppo MBC, ha investito su Randa Abu Alasan, già a capo del bureau del gruppo al Cairo e quindi abituata a lavorare per un canale panarabo di impostazione commerciale. Io ho cominciato a lavorare nei media nel 1995 come corrispondente di MBC. Io sono diventata bureau cheif di MBC nel 2000. Quando Al Arabiya è stata lanciata nel 2003 io sono stata per un periodo bureau cheif per entrambi e ora sono bureau cheif per Al Arabiya. C’è comunque una relazione privilegiata con MBC, e io devo dire che ho imparato che cosa è una notizia da MBC. (R. A. A., Al Arabiya) In entrambi i casi si tratta di persone con grande esperienza di giornalismo televisivo, estremamente convinte della necessità dello sviluppo nel paese e in tutto il mondo arabo di una professionalità specifica correlata ad esso. Noi stimoliamo i giornalisti egiziani a seguire gli standard del giornalismo internazionale. Ad apprendere come si fa “giornalismo in televisione” (H. A. G., Al Jazeera) Il concetto del giornalismo televisivo è completamente nuovo, non solo in Egitto ma in tutto il mondo arabo. Io ho imparato ad essere un giornalista televisivo ma è molto difficile trovare buoni reporter che abbiano un background da giornalisti e che abbiano la conoscenza di come funziona la televisione. (R. A. A., Al Arabiya) Chi guida gli uffici di corrispondenza di Al Jazeera e Al Arabiya ritiene dunque che ci sia molto lavoro da fare per quanto riguarda lo sviluppo di una professionalità giornalistica televisiva nel paese. I direttori di entrambi i bureau affermano di aver costituito il proprio staff prediligendo giornalisti giovani202 proprio a partire da questa convinzione. L’esperienza all’interno delle news organization egiziane è vista come addirittura controproducente, in quanto le modalità produttive applicate dalle news organization egiziane sarebbero molto lontane da quelle utilizzate all’interno degli uffici di corrispondenza delle due emittenti. Io quando assumo qualcuno preferisco sempre che questo qualcuno sia giovane e sia appena laureato, perché voglio che non abbia vecchie idee sulle spalle. Ci sono molti giovani che vogliono venire a lavorare qui ma noi abbiamo una selezione molto dura, perché devono saper stare sotto pressione, non si tratta solo di comparire in Tv si tratta di andare in giro, raccogliere le notizie. (R. A. A., Al Arabiya) Questo è vero in misura ancora maggiore per Al Arabiya dove sono presenti anche giornalisti under 25. Nell’ufficio di Al Jazeera sono invece tutti over 30. 202 263 Dietro a questo ragionamento sembra esserci l’idea che sia preferibile una formazione “interna” e specifica rispetto alle modalità produttive utilizzate. In questo senso i direttori degli uffici di corrispondenza affermano di valutare molto positivamente, nel momento in cui devono assumere giornalisti, coloro i quali hanno seguito i corsi di giornalismo televisivo dell’American University del Cairo203. I giovani giornalisti sono influenzati dal nostro modo di lavorare e io ho grosse speranze in queste giovani generazioni, se loro hanno i giusti principi del giornalismo, che non è sensazionalismo, che non è distrarre o mettere tutti sulla stessa pista, la stessa idea, se loro hanno il giusto sistema e sono messi sulla strada giusta allora sono la vera speranza e penso che molti di loro abbiano la giusta impostazione, e lavorano con grande entusiasmo. L’Adham Center dell’American University del Cairo sta facendo un ottimo lavoro in questo senso, io non sono laureata lì ma molti dei miei colleghi si. Noi cerchiamo di spiagare come funziona il giornalismo televisivo a questi giovani motivati e preparati. (R. A. A., Al Arabiya) Da quanto risulta dai questionari somministrati la quasi totalità dei corrispondenti ha conseguito una laurea, anche se non necessariamente in discipline correlate con la professione giornalistica. Tuttavia i corrispondenti più giovani (22, 25 anni) hanno quasi tutti una laurea in giornalismo presso l’Università Americana del Cairo. La descrizione della propria professionalità da parte dei corrispondenti di Al Jazeera e Al Arabiya è fatta dunque in contrapposizione, tacita o esplicitata, con quella dei giornalisti che lavorano per le televisioni nazionali. Essi ritengono che attraverso il lavoro per Al Jazeera e Al Arabiya si acquisica un professionalità specifica e superiore rispetto agli altri giornalisti. Questo contribuisce ad accrescere la loro convinzione di rappresentare un’elite professionale tra i giornalisti egiziani. 14.3 Il gigantismo dei media ufficiali e le “strutture leggere” di quelli privati: organizzazione e professionalità nei newsmedia egiziani Individuare un’unica struttura organizzativa, comune a tutte le newsorganization dei media egiziani, sarebbe ovviamente impossibile. Tuttavia è possibile ragionare attorno ad alcune caratteristiche che accomunano i media di proprietà pubblica e altre che accomunano quelli di proprietà privata. Ciò che senza dubbio accomuna le strutture di giornali e televisioni pubbliche è il gigantismo, ovvero la presenza di un numero eccessivo di dipendenti che finisce per essere improduttiva e per creare problemi organizzativi alle redazioni: Al Ahram guadagna una quantità incredibile di soldi dalla pubblicità, è una sorta di monopolio, ma l’organizzazione è così inefficiente e così corrotta che non è abbastanza. Ci sono 1400 L’Adham Center for Television Journalism dell’American University del Cairo è il più prestigioso (e uno dei pochi) centri di educazione universitaria specifici per il giornalismo televisivo nella regione. Presso i suoi corsi insegnano docenti arabi e occidentali spesso provenienti da esperienze di lavoro nel settore e alcuni dei suoi laureati sono impiegati nelle più importanti news organizations egiziane e regionali. 203 264 giornalisti, senza contare tutto il resto dello staff. La filosofia è quella di avere tante persone mal pagate e con una bassissima produttività e i soldi vanno tutti nella corruzione o nel fatto che sono mantenuti dei privilegi assurdi che non hanno una logica. (H. S., ex direttore Al Ahram weekly) Molto diversa è la struttura organizzativa delle testate private che, lavorando con budget molto inferiori204, sono di fatto vincolati a strutture più “leggere”. Ciò risulta positivo nell’organizzazione del lavoro di redazione: in genere le redazioni dei giornali privati occupano un solo piano di un palazzo e vedono uno staff variabile dai 30 agli 80 giornalisti. Questo rende molto efficiente e coerente il processo di newsmaking e fa sì che chi supervisiona il lavoro redazionale possa avere tutto sotto controllo senza che questo rallenti l’attività redazionale. La complessità dell’organizzazione delle testate governative, al contrario, ne rende molto macchinosa la struttura non solo organizzativa ma anche decisionale. Noi abbiamo due separate newsroom, una per Nile news e l’altra per Channel 1 e 2 e ESC. Io sono il responsabile per ERTU news e political service, ma Nile news ha il suo direttore separato. Io non sono l’editor in cheif, ci sono degli editor in cheif che però sono in contatto con me. Poi c’è il direttore di Nile Tv e anche loro hanno la loro news room(A. M., direttore news ERTU) Non sempre le newsroom sono collocate vicino agli uffici dei direttori responsabili di ciò che esse producono e questa distanza contribuisce a ridurre l’organicità dei processi produttivi. Tutto questo, all’interno di un sistema nel quale l’autocensura e i rapporti clientelari continuano a rappresentare un elemento centrale, significa un forte rallentamento dei processi di newsmaking. Molti sostengono ad esempio che il ritardo con il quale è stata data dalla televisione egiziana la notizia degli attentati al Cairo della primavera 2005 sia dipeso dal fatto che nessuno –essendo irreperibile il direttore del servizio news- si sia voluto prendere la responsabilità di dare la notizia temendo di presentarla con un taglio “sbagliato”. La struttura dei news media a finanziamento pubblico si mantiene dunque estremamente verticistica e questo influenza le modalità organizzative del lavoro in redazione. Il clima che si respira all’interno delle redazioni dei giornali privati è molto diverso. Questo non significa che i direttori rinuncino ad un approccio forte nella direzione o che, necessariamente, promuovano una gestione più collegiale, anzi alcuni dei direttori delle testate private, come Adel Hamuda o Ibrahim Issa, sono molto temuti dai loro redattori per la loro durezza. In ogni caso l’organizzazione delle testate private favorisce un confronto maggiormente diretto che agevola sicuramente le pratiche di news making. Molte cose non devo neanche dirle perché sono anche il loro pensiero, noi siamo della stessa generazione, io ho 37 anni, l’editor in cheif ne ha 40, il più vecchio qui ha 41 anni, ci confrontiamo con le stesse sfide, siamo cresciuti in un ambiente analogo, qui siamo come una famiglia, io non ho un approccio eccessivamente duro. Nessuno pensa di poter insegnare perché ha più 204 La spesa annuale del gruppo Al Ahram è 1,7 miliardi di E.P. mentre quella di Al Masri Al Youm è 8 milioni di E.P. (Fonte Hisham Kassem, intervista personale). 265 esperienza, la grandezza del font è uguale per tutti, non come ad Al Ahram dove il font del editor in cheif è 40 mentre quello degli altri redattori è 10. Se qualcuno sbaglia io non punisco ma cerco di far capire perché ha sbagliato e poi se sbaglia di nuovo allora devo punire. Ma per prima cosa guardo quale era l’intento e se lui ha capito l’errore. E comunque io non dico mai fai così, io cerco di convincere, discuto e può anche succedere che sia il redattore a convincermi e credo che questo sia una cosa che tu non trovi in molti altri quotidiani. (M. S., Al Masri Al Youm) Una limitazione significativa all’ottimizzazione dell’organizzazione dell’attività redazionale della stampa privata è dovuta alla loro dipendenza –forzata- dalle tipografie dei gruppi editoriali governativi205. Questo costringe tali testate a chiudere le edizioni molto presto, poiché ovviamente le tipografie danno la priorità alle testate governative permettendo loro di “chiudere” più tardi: Il problema qui è che devo chiudere l’edizione alle 16, 16.30 perché io ho un appuntamento ad Al Ahram per stampare e loro mi danno questo limite. (M. S., Al Masri Al Youm) Strutture produttive così diverse come quelle dei news media di proprietà governativa e quelle dei media privati sono oggi accumunate dalla presenza di una riflessione interna attorno alla necessità di processi di “riorganizzazione”. Per i newsmedia governativi si dovrebbe trattare, a quanto sostengono i dirigenti e gli esperti, di una riorganizzazione sostanziale, resa difficile, come afferma Ibrahim Saleh206 dell’Università Americana del Cairo, dalla situazione di sovra-impiego che li caratterizza. Avere un’organizzazione come quella della Radio e della Televisione Egiziana con un edificio del genere pieno di burocrati significa l’impossibilità di avere qualità, perché non potrai mai avere buoni salari e non potrai mai avere personale qualificato. Non potrai mai fare training o aggiornamenti, in questo modo la gente non può sviluppare le proprie potenzialità e lavorare in maniera corretta e in questo modo lo Stato perde molti soldi. Dunque il governo sta affrontando la questione della riorganizzazione della struttura dei media , tuttavia in Egitto c’è un “contratto sociale” e non puoi prendere persone che hanno lavorato in un modo per cinquant’anni e dalla sera alla mattina cambiare tutto o licenziare. Quindi il governo ha la visione del cambiamento, ha l’idea, ma ci sono problemi dovuti alle responsabilità. (Ibrahim Saleh) In ogni caso sembra che la necessità di una riorganizzazione, anche per stare al passo con la competizione dei canali panarabi, sia il grande progetto cui soprattutto la televisione pubblica sta lavorando in questi ultimi anni. Il modo di fare informazione della televisione egiziana, l’organizzazione del lavoro in redazione sta cambiando perché ora c’è più attenzione alle news regionali e transnazionali. Noi lavoriamo in questo senso, sicuramente ci sono degli standard internazionali e noi li seguiamo, mandiamo 205 Tutt’oggi non esistono tipografie private in grado di pubblicare periodici e quotdiani. Tutta la stampa egiziana, governativa, d’opposizione e indipendente, viene stampata dalle case editirici pubbliche. 206 Intervista personale, Cairo Novembre 2006. 266 giornalisti giovani, ovunque, con le nostre risorse, abbiamo trainers che vengono da esperienze transnazionali che addestrano i nostri giornalisti. (H. H., Nile News) Noi stiamo creando un nuovo studio più grande e il ministro ci sta dando molte risorse. Penso che nei prossimi dieci anni ci saranno grosse trasformazioni per il giornalismo qui in Egitto, sulla base della tecnologia, sulla base della libertà sulla base dei diritti dei giornalisti, perché ogni giorno facciamo nuovi passi e credo che in dieci anni molte ambizioni saranno soddisfatte. (N. S., Nile Tv) Noi siamo ancora nella prima fase di un importante progetto di riorganizzazione, stiamo cercando di ottenere un’organizzazione completamente separata e un budget separato dal governo per essere un vero servizio pubblico con il suo budget, con una sorta di linee guida per la policy ma con nessuno che interferisca nei dettagli e nel lavoro in sé, nel contenuto, solo guidelines come succede ovunque. Nel giro di sei mesi già si vedranno grossi cambiamenti e tra tre anni avremo la trasformazione completata. Sarà una riforma. Ora abbiamo forse venti canali, e invece li vogliamo ridurre, e probabilmente avremo un nuovo edificio. (A. M., Direttore news ERTU) Nella nostra agenzia di stampa sta avvenendo una grossa trasformazione soprattutto nel senso di una “modernizzazione” nel modo di lavorare, un’informatizzazione sempre più massiccia dovuta alla velocizzazione della professione e noi dobbiamo lavorare per cercare di essere competitivi. Già negli ultimi dieci anni noi abbiamo portato avanti una strutturale opera di modernizzazione nella nostra agenzia per rincorrere i tempi della modernizzazione che sta avvenendo a livello internazionale. (S. A., MENA) Ovviamente per valutare la reale portata di questa riorganizzazione, e la sua capacità di rimettere in discussione la struttura operativa del servizio news della televisione egiziana, bisognerà aspettare di vederne i risultati e non ci si può limitare alle previsioni dei dirigenti. Tuttavia non si può ignorare come, tra le cause che premono per questa riorganizzazione, i giornalisti che guidano le newsorganization nazionali egiziane pongano la competizione con i canali panarabi. Anche Al Masri Al Youm nel dicembre 2006 ha avviato un progetto di riorganizzazione della struttura della redazione. Non si è trattato di una riorganizzazione “strutturale” ma di un programma legato all’informatizzazione della redazione: Per il futuro di Misr Al Youm noi stiamo progettando di muoverci da questo appartamento verso un edificio più grande in modo che ogni editor abbia il suo computer e abbia il suo desk. Qui agli affari esteri per esempio abbiamo sei computer per nove editors e siamo l’ufficio con più computer, nella sezione locale noi abbiamo un computer per trenta editor, dunque si tratta di un work in progress, noi non siamo attualmente ancora in grado di dare ai nostri editors le risorse per sfruttare a pieno le loro possibilità, ovvero possono sfruttarle a pieno ma non hanno ancora tutte le risorse per lavorare al 100% (M. S., Al Masri Al Youm) Se si pensa che Al Masri Al Youm è la testata privata più importante del paese e quella con il budget più alto si capisce come la limitatezza delle risorse, soprattutto da un punto di vista informatico, rappresenti un grosso problema nell’organizzazione del lavoro di redazione per 267 le testate private. Questo elemento riguarda tutti i news media egiziani, anche la stampa e la televisione pubblica, e rappresenta un grande ostacolo nella competizione con le televisioni panarabe che, al contrario, hanno in dotazione strumentazioni e supporti informatici di ultima generazione. Collegata a questa questione c’è ovviamente quella della professionalità dei giornalisti: la mancanza di una “professionalizzazione” adeguata rappresenta infatti una condizione che storicamente ha caratterizzato il giornalismo nel paese. Con questo si fa riferimento ai giornalisti comuni, ai semplici reporter e non agli intellettuali e opinionisti. I giornalisti semplici, ma anche alcuni direttori nelle redazioni dei media governativi, a causa dell’organizzazione del lavoro e delle modalità clientelari che hanno da sempre caratterizzato gli avanzamenti di carriera, raramente possono essere definiti “top professional”: Chi è alla guida dei media nazionali lo è grazie a una connessione con i servizi di intelligence e queste connessioni sono molto più comuni di quanto tu creda, chiunque ha posizioni importanti ha legami con i servizi segreti. Oggi è anche peggio di prima, non si richiede più a un giornalista che sappia scrivere: il direttore di Al Ahram è un illetterato; forse adesso c’è qualcuno che gli corregge gli articoli ma in prima battuta ti garantisco che sono terribili. E gli articoli sono tutti uguali, collage di dichiarazioni: lui ha detto, quell’altro ha detto etc. (H. S., ex direttore Al Ahram weekly) Anche la questione della professionalità dei singoli giornalisti sembra essere comunque oggetto di discussione all’interno delle alte stanze ministeriali tra officials e direttori dei servizi news nazionali. Negli ultimi anni infatti sono stati avviati diversi progetti di aggiornamento e riprofessionalizzazione per i giornalisti. Anche la nomina, avvenuta nel 2006, di Abdellatif Al Menawy a capo del servizio news dell’ERTU mostra questa volontà di riorganizzazione e di aggiornamento da parte del Ministero dell’Informazione. Al Menawy infatti viene da un’esperienza di lavoro in Gran Bretagna con il gruppo saudita di Al Sharq Al Awsat e ha dunque avuto modo di confrontarsi con il modello professionale di un grande gruppo panarabo: Il ministro mi ha chiesto di venire qui anche a causa della mia esperienza all’estero. La mia esperienza è molto importante e credo che anche per chi mi ha messo qui lo ha fatto perché voleva che io portassi il concetto di giornalismo in senso contemporaneo qui, un giornalismo in grado di stare al passo coi tempi e con le sfide della modernità, il fatto di lavorare in maniera professionale. (A. M., direttore news ERTU) La parola d’ordine di questo processo di riorganizzazione e aggiornamento sembra essere quella della creazione di partnership con i grandi brand dell’informazione occidentale, soggetti cui affidare training e formazioni per i giornalisti egiziani: Per fare questo cerchiamo di essere professionali e per questo stiamo facendo corsi di aggiornamento per i nostri giornalisti, stiamo avviando progetti di cooperazione con altri soggetti che abbiano una esperienza maggiore della nostra: editor trainings di BBC, Deutch Welle, France international TV, per preparare meglio i nostri uomini, per dargli maggiori possibilità di formazione. (A. M., direttore news ERTU) 268 Per il futuro dobbiamo continuare e vincere la sfida della modernizzazione e dobbiamo diventare ancora più veloci di quanto non siamo oggi e il governo ma non solo il governo ci sta aiutando in questo anche altre parti, noi incontriamo molte persone che ci aiutano a capire come modernizzarci, per esempio il governo degli Stati Uniti, attraverso USAID ci sta dando un aiuto economico e organizzativo per trasformare le nostre strutture (S. A., MENA) È dunque evidente una diffusa (soprattutto tra chi è nelle posizioni decisionali) percezione della necessità di una trasformazione nei parametri organizzativi del sistema e una convinzione che gli strumenti per portare a compimento questa trasformazione non possano venire che dall’esterno del sistema. Il confronto con i newsmaker panarabi sembra aver mostrato come il sistema necessiti di una trasformazione e come questa possa difficilmente essere raggiunta soltanto attraverso forze endogene. Questo ha portato a richiamare in patria una serie di “cervelli” emigrati, una strategia che ha funzionato anche per alcuni giornalisti chiamati a dirigere i nuovi giornali privati: Io non lavoravo per i media egiziani da 15 anni, ho lavorato fuori per undici anni, poi ho ricevuto una telefonata che mi chiedeva se volevo partecipare al progetto, così mi sono preso una vacanza e ho cercato di capire di cosa si trattava e mi sono reso conto subito che si trattava di una cosa nuova per il giornalismo qui in Egitto così mi sono dimesso e sono venuto qui, e dal primo numero mi sono reso conto che sarebbe cominciato qualcosa di nuovo. (M. S., Al Masri Al Youm) Inoltre il fatto che siano stati stilati, o siano comunque in discussione, contratti con i grandi network occidentali è sintomo di due cose: in primis mostra come il giornalismo occidentale (e in particolare quello anglosassone) sia visto nel mondo arabo e in Egitto ancora come un “modello” di professionalità da imitare e come ci sia una sorta di “complesso di inferiorità” in questo senso. Infatti anche i giornalisti della stampa privata indicano come modello di professionalità le testate del giornalismo indipendente inglese. Il modello che noi abbiamo in mente è quello del giornalismo inglese, è questo il nostro ideale: il Guardian, l’Indipendent questi sono i nostri ideali (A. H., Al Fajr) Il mio modello sono i giornali inglesi, Il Daily Telegraph, lo leggo tutti i giorni perché è un modello di professionalità a cui cerco di ispirarmi e di fare ispirare la mia redazione (A. H., Al Wafd) In secondo luogo, il fatto che si guardi ad Occidente e non verso gli esperimenti di giornalismo arabo d’eccellenza come Al Jazeera e Al Arabiya per sviluppare partnership è prova della percezione di un sentimento di competizione diretta nei confronti di queste emittenti. All’inizio Al Jazeera era un modello, aveva un grande fascino, fra i giornalisti arabi e anche qui in Egitto, era un modello di professionalità, ma ora molto meno, ora possiamo competere perché abbiamo visto i loro limiti (H. H., Nile Tv) Non si creano infatti partnership con chi si considera un competitore diretto. 269 La questione della necessità di un intervento radicale sulla professionalità dei giornalisti egiziani, volto a migliorarne la produttività e la qualità, è condivisa da diversi soggetti. Lo stesso Haikal207 ha dato vita alla fine del 2006 al progetto Haikal Foundation for Arab Journalism, una fondazione208 nata con lo scopo di promuovere una riforma copernicana nella cultura professionale dei giornalisti egiziani: Quindi quello di cui noi abbiamo bisogno è di sviluppare capacità e quindi abbiamo bisogno di training programs, in particolare per i giovani giornalisti, e noi stiamo promuovendo un accordo con BBC World Trust e con il Guardian e la Thompson Fundation per organizzare corsi intensivi per giornalisti sotto i trent’anni. Non corsi base, bensì corsi avanzati: raccogliere informazioni, fare report. Noi vogliamo organizzare seminari e workshop nei quali si spinga la gente a discutere di standard, autoregolamentazioni, cosa significhi il giornalismo. (H. S., direttore esecutivo Haikal Foundation for Arab Journalism) In questo processo di trasformazione della professionalità è molto interessante la posizione dei giovani giornalisti egiziani. Essi rappresentano la forza motrice dei giornali privati le cui redazioni brulicano di giovani poco più che ventenni con un atteggiamento innovativo nei confronti della professione e un livello di istruzione piuttosto alto209. Questi giovani sono alfabetizzati all’uso delle tecnologie informatiche e sono perfettamente in grado di usare un computer nella realizzazione di tutto il lavoro di redazione, cosa che invece molti dei giornalisti che hanno posizioni importanti all’interno delle redazioni non sono in grado di fare. Il fatto che le redazioni dei media privati siano complessivamente più giovani e più piccole favorisce la loro capacità di aggiornamento e adeguamento agli stimoli esterni. In un contesto dove la competizione tra news organization nazionali e panarabe è sempre più serrata questa versatilità è preziosa. I giovani giornalisti di oggi sono molto meglio di quelli di dieci anni fa. Sono molto più capaci di lavorare su differenti prodotti giornalistici, storie, report, investigazioni, inside story e sono molto meglio delle precedenti generazioni di giornalisti. Le generazioni precedenti erano votate all’azione politica, questa nuova è professionale, è interessata all’aspetto professionale del giornalismo. I vecchi non scrivevano articoli ma invettive, di quelle che puoi scrivere seduto a un caffè. Io preferisco la nuova generazione perché sono più professionali come reporter, sanno fare interviste, sanno descrivere cosa succede. (A. H., Al Fajr) Anche nelle redazioni dei news media pubblici o all’interno dell’agenzia MENA comincia a farsi largo la consapevolezza della valorizzazione dei giovani capaci come fondamentale elemento per mantenersi competitivi. La star della stampa egiziana fin dai tempi di Nasser. Il progetto è dell’Heikal foundation for Arab Press che è stata creato attraverso un trust dalla Famiglia Heikal e loro sono il board of trustees. La fondazione è guidata da un bureau esecutivo, che vede Hani Shukrallan come executive director, e altre importanti figure del mondo del giornalismo egiziano come Salam Ahmed Salama e Salah Hafis. 209 Dai questionari somministrati è emerso che la quasi totalità giornalisti tra i venti e i trent’anni impegnati all’interno delle redazioni egiziani è in possesso di un diploma di laurea (non necessariamente attinente con la professione). 207 208 270 Si qui ci sono molti giovani giornalisti e loro sono cambiati perché adesso ci sono le nuove tecnologie, questa è la generazione di internet e tu devi essere molto rapido anche nell’insegnare loro, perché oggi tu non sei da solo a lavorare, tutto il mondo è diventato un piccolo villaggio e tu devi seguire tutto perché se non dici qualcosa, qualcun altro lo dirà per questo devi essere molto veloce. Tra i giovani, ovviamente ognuno ha il suo carattere e tu devi scegliere la persona giusta quello che sa essere veloce e ha una mente abbastanza aperta da poter essere mandato in giro a fare il reporter. Gli altri li puoi usare solo al desk. (S. A., MENA) Tuttavia all’interno di strutture organizzative complesse e caratterizzate da rapporti clientelari le trasformazioni sono necessariamente molto rallentate. Tra i giornalisti egiziani c’è anche chi ha una visione meno ottimistica dei giovani e del futuro. Questo dimostra come all’interno della comunità professionale esistano dinamiche di conflitto e negoziazione sulla direzione che il giornalismo egiziano prenderà nei prossimi anni. Non sopravvalutare i giovani emergenti, perché non tutti i giovani giornalisti egiziani hanno idee innovative. Non tutti i giovani hanno idee giovanili. Il direttore di Rose Al Yusef, è un mio ex compagno dell’Università, però per esempio lui ha una visione molto simile a quella di Sabir Ragab, che è un settantenne (I. I., Al Dustur) Credo che anche i giovani giornalisti abbiano questa visione del giornalismo perché si tratta di un’idea diffusa, questo è il trend che accomuna El Dustur con El Ahram, l’idea è quella di eccitare il pubblico, di renderlo arrabbiato o estasiante nei confronti del presidente. Comunque hai un’agenda, che può essere quella di amare o di odiare Mubarak, per questo le informazioni sono così limitate e così lacunose di credibilità e davvero tu devi leggere quattro o cinque quotidiani riguardo ad ogni evento e mettere insieme la verità da solo. Anche molti giovani hanno ancora questa idea (H. S., ex direttore Al Ahram weekly) Secondo questa visione i limiti alla professionalità dei giornalisti egiziani non sono soltanto dovuti ad un fattore generazionale ma a molti di quegli elementi che storicamente caratterizzano il sistema del giornalismo egiziano: l’organizzazione clientelare dei rapporti all’interno delle redazioni, la forte ingerenza della politica del regime sulle linee dei giornali e la scarsa competizione all’interno del sistema. Tali questioni strutturali rendono difficile per il giornalismo egiziano, anche in un momento nel quale più voci, molto diverse tra loro, individuano la necessità di una decisa trasformazione, compiere un reale passo in avanti. 271 Uno spazio ibrido di negoziazione delle pratiche professionali Si è osservato come Al Jazeera e Al Arabiya210 abbiano, prime all’interno del contesto dell’informazione del mondo arabo, iniziato ad attribuire importanza a valori notizia diversi da quelli relativi al contenuto211. Il rapporto con la concorrenza, così come l’idea degli interessi del pubblico e la volontà di sfruttare a pieno le potenzialità del mezzo televisivo, rappresentano considerazioni centrali all’interno dei processi di newsmaking delle due emittenti all news panarabe. Tali considerazioni orientano in maniera significativa le pratiche produttive dei giornalisti che lavorano per questi canali. Questo orientamento editoriale accomuna ovviamente giornalisti in house e corrispondenti, anche se non viene declinato in maniera esattamente analoga. L’attenzione a questi elementi ha portato ad un’innovazione sostanziale del newsmaking. Un’innovazione che vede i giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya lavorare sulle storie che riguardano la politica regionale e la politica in genere in una maniera molto diversa rispetto a quella che ha visto, storicamente, i media arabi vincolati all’agenda degli officials, alle immagini protocollari e di parata e alla presentazione di una visione monocromatica dei fatti. La politica continua a rappresentare per questi newsmedia panarabi il “contenuto” privilegiato delle notizie ma la valorizzazione degli altri criteri di notiziabilità determina una netta trasformazione della maniera in cui questo topic viene coperto. Emerge chiaramente una ricerca dello scoop, dell’intervista in esclusiva, dei risvolti della politica che più interessano – secondo la visione dei giornalisti- il pubblico, mettendo in luce gli elementi più controversi delle scelte politiche dei decision maker. Assieme alla politica l’altro “contenuto” che viene privilegiato da queste news organization ha a che vedere con quello che i giornalisti definiscono “features”: le storie. Si tratta di quelle vicende particolari che riguardano le persone comuni da cui si possono trarre considerazioni generalizzabili sulle condizioni di vita, sulla società e sull’attualità del medioriente arabo in generale. Anche in questo caso la scelta di questo “contenuto” viene fatta in coerenza con considerazioni relative agli altri valori notizia: in Si fa qui riferimento alla linea editoriale generale delle due news organization. Il cui valore era attribuito sulla base di un messaggio che si voleva veicolare e che spesso, viste le forme dirette e indirette di controllo che i regimi avevano (e hanno) sui media nella regione, era in sintonia con gli obiettivi di breve e lungo periodo di tali regimi. 210 211 273 particolare al supposto interesse del pubblico per quella storia specifica, all’idea che quella storia possa rappresentare un elemento di differenziazione rispetto ai concorrenti e anche alla qualità del materiale che si ha a disposizione riguardo quella storia212. Infine è apparso evidente come Al Jazeera e Al Arabiya abbiano mutato completamente l’“ideologia della notizia” facendo propria quella adottata dalle news organization occidentali secondo cui “bad news is good news”. La legittimazioni di fonti alternative rispetto a quelle ufficiali ha poi rappresentato un ulteriore elemento di innovazione introdotto da tali testate televisive. Questo non ha significato la rinuncia completa all’utilizzo delle fonti ufficiali con le quali resta importante, anche per questi newsmaker panarabi, intrattenere una relazione produttiva. Tuttavia tra le considerazioni che guidano le pratiche professionali di Al Jazeera e Al Arabiya emerge chiaramente l’idea che individuare fonti attendibili e alternative a quelle governative risulti essere vantaggioso sia per guadagnare l’apprezzamento e la curiosità del pubblico sia per differenziarsi dai competitori. Il newsmaking di Al Jazeera e Al Arabiya è interamente transnazionale, nel senso che nessuna notizia213 viene raccolta, prodotta e post-prodotta all’interno dello stesso paese. Il sistema funziona più o meno nel modo indicato dallo Schema N.1. Schema N.1 Questo è uno degli elementi centrali non solo nel newsmaking ma anche nella relazione tra giornalisti in house e corrispondenti. È vero infatti che proprio perché le newsroom si trovano in una sorta di “zona franca” esse sono di fatto meno controllabili dai diversi regimi che dominano i sistemi politici e i discorsi pubblici nella regione. Ciò ha consentito a tali emittenti di ri-orientare in una maniera più indipendente le considerazioni in merito al conte212 A questo proposito Majed Khader (direttore dell’Assignment Desk di Al Jazeera) sostiene che nella scelta delle storie che diventano le notizie di Al Jazeera c’è una grande attenzione al materiale video che si ha o che si può avere riguardo quella storia: “Oggi mi hanno proposto la storia di un tribolato ricongiungimento familiare dopo lungo tempo, era una buona storia, una storia nella quale il nostro pubblico si può riconoscere; ma ci vuole del buon materiale per “rendere” televisivamente una storia così. Bisogna seguire parte del viaggio dei due “pezzi” della famiglia con due troupe separate, e poi filmare anche il ricongiungimento. Se riusciamo ad avere questo materiale è un’ottima storia per Al Jazeera, altrimenti non ci interessa”. 213 Con l’eccezione delle davvero pochissime notizie che, nell’arco di un anno, riguardano il Qatar per Al Jazeera e Dubai per Al Arabiya. 274 nuto delle notizie, al prodotto notizia, al pubblico e alla concorrenza. Tuttavia il fatto che una parte importante del processo di newsmaking sia affidata a corrispondenti che lavorano e vivono all’interno dei sistemi nazionali, determina la necessità di una continua negoziazione transnazionale. Giornalisti in house e corrispondenti, trovandosi in una situazione di lavoro differente, non sempre sono in accordo sulle scelte quotidiane e pertanto sono costretti ad individuare mediazioni e soprattutto a basarsi gli uni sul lavoro degli altri. In ogni caso l’organizzazione del lavoro è, all’interno di queste news organization, estremamente efficiente e le scelte editoriali vengono comunicate con un buon livello di trasparenza. Questo significa che le decisioni vengono prese in maniera rapida e relativamente condivisa sia tra giornalisti in house sia tra in house e corrispondenti214. Tale organizzazione delle dinamiche produttive, unitamente all’altissimo livello di professionalità dei giornalisti, sembra determinare la capacità di gestire in maniera produttiva le dinamiche negoziali e conflittuali che caratterizzano le pratiche professionali dei giornalisti soprannazionali. Nella definizione delle proprie pratiche di newsmaking, i giornalisti panarabi (in house e corrispondenti) si pongono anche in relazione con i giornalisti che lavorano per i news media nazionali. Nel momento in cui presentano le considerazioni che guidano il loro lavoro di newsmaker essi lo fanno mettendosi in contrapposizione (e dunque in relazione) con i newsmedia nazionali e con le loro pratiche professionali. Il differente rapporto con gli altri due attori che “abitano” le sfere pubbliche nazionali porta infatti i giornalisti panarabi a voler fare “quello che i giornalisti nazionali non possono fare”. Costruire il rapporto con le fonti ufficiali da una posizione di maggiore forza, utilizzare fonti alternative, dare “cattive notizie”, valutare con attenzione il materiale che si ha a disposizione215, sono tutte pratiche per le quali i giornalisti panarabi individuano una differenza tra sé e coloro che lavorano all’interno dei sistemi nazionali dell’informazione. È anche in nome di questa differenza che essi ritengono di costruire un rapporto differente con il pubblico: un rapporto di maggiore rispetto e fiducia. I giornalisti nazionali e il loro lavoro entrano comunque nei processi di newsmaking dei giornalisti panarabi non soltanto in questo senso e dunque “in negativo”: sia i corrispondenti che i giornalisti in house infatti affermano di seguire la stampa e le televisioni di tutti i paesi arabi alla ricerca di spunti e di storie da approfondire, trattandole magari con un taglio differente. Questo significa non solo che i giornalisti nazionali diventano fonti per quelli panarabi ma anche che, all’interno dei processi di newsmaking, si crea uno spazio di confronto con il prodotto dei media nazionali. Inoltre, il fatto che il monitoraggio dei media nazionali rappresenti per i giornalisti in house uno dei pochi strumenti di “controllo” del lavoro dei propri corrispondenti e una delle poche possibilità per suggerire temi alternativi mostra come questi prodotti nazionali siano coinvolti “attivamente” nel processo di newsmaking dei media panarabi. Al Jazeera è “fisicamente” presente (attraverso la presenza di un televisiore sintonizzato sull’emittente) dentro le redazioni di tutti i newsmedia egiziani: da Al Masri Al Youm, ad Al Anche se ci sono circostanze nelle quali il lavoro preparato dai corrispondenti viene scartato all’ultimo momento. In ogni caso si tratta di una negoziazione molto più esplicita e condivisa di quella che caratterizza il lavoro all’interno delle newsorganization nazionali. 215 Queste pratiche, come è stato detto sopra, sono caratterizzate da una prima negoziazione tra in house e corrispondenti. 214 275 Ahram, all’ufficio del direttore del news service dell’ERTU. È dunque innegabile che essa216 sia entrata tra gli “strumenti a disposizione” dei giornalisti egiziani. In questo senso si può parlare di uno spazio di influenza di queste televisioni panarabe sul newsmaking dei newsmedia egiziani. Si tratta però di una relazione complessa, i cui punti di criticità sono dovuti a molteplici fattori, tutti indicanti un rapporto di confronto e in qualche misura di competizione, seppure impari, dei news media egiziani con Al Jazeera e Al Arabiya. Nello spiegare come questi media siano diventati uno strumento di lavoro all’interno delle redazioni, i redattori si sentono molto più a loro agio dei capiredattori e dei direttori. Questi ultimi infatti hanno molta premura nel sottolineare l’indipendenza delle loro redazioni dagli altri newsmaker e l’autonomia del proprio newsmaking da Al Jazeera e Al Arabiya. Questa differenza è valida tanto per i media governativi quanto per quelli dei partiti d’opposizione, quanto per quelli privati. Questo significa che tutte le redazioni egiziane, a prescindere dalla linea editoriale e dalla struttura, si sono trovate in questi ultimi anni a dovere affrontare la questione di come relazionarsi con le televisioni satellitari panarabe. Al Jazeera e Al Arabiya sono entrate in redazione e i redattori non fanno mistero di seguirle e di “usarle” dentro e fuori dall’orario di lavoro, mentre i direttori raccontano dei loro tentativi di inibirne la mitizzazione da parte dei propri giornalisti. Nel enfatizzare l’indipendenza del proprio newsmaking rispetto a questi canali i direttori dei media egiziani insistono sulla loro capacità, in quanto giornalisti “nazionali”, di comprendere i desideri del pubblico e le questioni di reale importanza nazionale meglio dei giornalisti panarabi. Allo stesso tempo essi sottolineano come, per quanto riguarda le notizie regionali, Al Jazeera e Al Arabiya non si rivelino sempre infallibili. La relazione con il lavoro dei newsmaker panarabi sembra comunque avere effetti pratici all’interno delle redazioni dei newsmedia egiziani, nei processi di newsmaking e nella relazione tra redattori e direttori. Questa relazione con i giornalisti panarabi e con i loro prodotti ha determinato effetti significativi nella cultura giornalistica egiziana dal punto di vista delle pratiche professionali? Innanzitutto bisogna evidenziare come sia possibile individuare tanto tendenze alla trasformazione quanto elementi di immobilismo. A questo proposito è necessario partire dal fatto che, soprattutto nel sistema della carta stampata, hanno fatto il loro ingresso nuovi soggetti con progetti editoriali molto diversi da quelli che caratterizzavano lo spazio dell’informazione egiziana fino alla seconda metà degli anni Novanta. Sono queste le news organization per le quali si possono individuare gli elementi di maggiore innovazione. In questo senso sarebbe sbagliato attribuire interamente alla relazione con elementi esogeni (le televisioni satellitari panarabe) la responsabilità delle trasformazioni. Tuttavia diversi fattori suggeriscono che le all news panarabe hanno contribuito nella definizione di queste trasformazioni. La politica nazionale è indubbiamente rimasta il topic con maggiore valore di notiziabilità per i giornalisti egiziani e i soggetti maggiormente notiziabili si sono mantenuti sostanzialmente gli officials e i decision maker, questo anche per i giornalisti della stampa privata. Si è tuttavia verificato un aumento del valore di notiziabilità attribuito dai giornalisti egiziani alle notizie di “human interest”. I media egiziani si mantengono comunque complessivamente 216 E in misura minore anche Al Arabiya. 276 troppo politicizzati nella loro struttura e nella loro missione (pro-regime i media governativi, anti-regime i media dei partiti d’opposizione e quelli privati) per essere influenzati da soggetti esterni nell’attribuzione di valore-notizia ai contenuti. Tuttavia sembra che, anche se in misura diversa, per tutti i media egiziani, gli altri criteri di notiziabilità, quelli relativi al prodotto, al pubblico e alla concorrenza abbiano assunto una centralità maggiore nelle scelte delle redazioni. In questo senso il ruolo giocato dalla relazione e dal confronto con newsorganization come Al Jazeera e Al Arabiya è stato importante. Non solo infatti il sistema nazionale dei media è diventato più competitivo ma è anche emersa, grazie al lavoro delle all news panarabe, una nuova idea di “notizia” che ha incontrato un grande successo di pubblico. La scelta di non focalizzare il newsmaking soltanto sul contenuto delle notizie ma di valorizzare altri aspetti è frutto di una maggiore attenzione alla notizia in quanto “prodotto” che deve essere reso il più attraente possibile per invitare il pubblico e battere la concorrenza. Si tratta di un’idea che nasce anche dal confronto con Al Jazeera e Al Arabiya che hanno per prime introdotto all’interno del mondo arabo un’idea di notizia di questo tipo. In secondo luogo bisogna considerare l’adozione da parte di alcuni news media egiziani dell’ideologia professionale “bad news is good news”. Tale aspetto è coerente con il progetto editoriale di testate la cui identità è legata ad un’azione marcatamente contravening nei confronti del regime. Si può parlare prevalentemente di motivazioni endogene per una scelta di questo tipo. Tuttavia il “mito Al Jazeera”, l’idea che un news media possa mettere in imbarazzo e creare difficoltà a regimi apparentemente intoccabili sembra avere esercitato una certa influenza nelle rappresentazioni della professione dei giornalisti che esprimono una posizione politica antigovernativa. Questo può essere confermato dalle parole di Ibrahim Issa che dirige il giornale più aggressivo nei confronti del regime e che presenta le più interessanti innovazioni da un punto di vista stilistico. Issa, nel momento in cui deve definire il suo giornale, afferma217: “Siamo una piccola Al Jazeera di carta”. La maggiore eterogeneità che è venuta a caratterizzare il sistema dei media egiziani nell’ultimo decennio ha determinato una maggiore diversificazione nelle strutture organizzative e operative delle redazioni. I news media a finanziamento pubblico mantengono l’organizzazione mastodontica e piramidale che si è strutturata a partire dalle nazionalizzazioni nasseriane senza che né Sadat né Mubarak siano riusciti o abbiano voluto semplificarne il funzionamento o renderne più efficiente il lavoro attraverso una riduzione delle strutture. A queste strutture però si sono affiancate quelle dei media privati, più “leggere” e più funzionali anche se alle prese con problemi di bilancio che rendono difficile il lavoro. Tutte queste strutture così profondamente diverse tra loro, si trovano in questi anni ad affrontare, da un punto di vista organizzativo e professionale, sfide molto importanti. La riorganizzazione e la riqualificazione del personale sembrano essere condizioni necessarie per impedire che i news media a finanziamento pubblico crollino come “giganti con i piedi di argilla”. Tuttavia il sistema stesso si è talmente incancrenito che anche la volontà di riformare la struttura di questi media, o quella del regime di allentare la pressione sui contenuti (ammesso che essa sia reale), sta incontrando delle serie difficoltà, legate all’auto-censura diffusa, all’incapacità di aggiornamento e soprattutto all’organizzazione clientelare dei rapporti di potere. 217 Intervista personale, Cairo Settembre 2006. 277 In ogni caso quella della ri-organizzazione delle redazioni e della ri-professionalizzazione dei giornalisti è un’esigenza sentita in tutto il sistema dei media a finanziamento pubblico. Sicuramente per questo ci sono ragioni endogene: il costo estremamente alto che il loro finanziamento rappresenta per lo Stato, la volontà da parte del regime di “rifarsi una verginità” allentando il controllo sui media e la necessità di rendere i media statali competitivi all’interno di un sistema parzialmente liberalizzato. Ci sono dunque interessi politici ed interessi economici del regime dietro l’idea di una riorganizzazione controllata del sistema produttivo dei news media pubblici. Tuttavia l’idea della necessità di creare strutture produttive e formare giornalisti che possano competere anche con le news organization panarabe rappresenta un elemento di non secondaria importanza nella definizione dei progetti di riorganizzazione. I nuovi format creati in seguito al restlying realizzato negli ultimi mesi del 2006218, il ritmo dei notiziari, lo stile delle elaborazioni grafiche ed informatiche, mostrano la volontà di adeguarsi ai nuovi standard posti da Al Jazeera e Al Arabiya. Hanan Sabra, sul primo numero del 2007 di Al Ahram Weekly, così ha commentato il “restauro” del servizio news della televisione egiziana: Officials at the Egyptian Radio and Television Union (ERTU) are working hard to upgrade their output so as to make their broadcast up to par with such prominent Arab news channels as AlJazeera and Al-Arabiya. Last week, ERTU began improving the content on the Nile Specialised News Channel, as well as the local Channels 1 and 2. (…) New broadcasts were launched, such as the daily Mobashir Min Al-Qahira (Live from Cairo), which is a combined social and political programme focusing on the most important events taking place in Egypt. Hala Hashish, head of NMN, will return to the screen as the anchor of Hiwar Min Washington (Interview from Washington), which she will co-host with the US-based diplomat Hisham El-Naqeeb. I due nuovi programmi citati peraltro non sono che la trasposizione in versione egiziana di due format di successo di Al Jazeera: il primo, Mobashir Min Al Qaira, programma quotidiano con un approfondimento del fatto più importante del giorno è pensato sul modello di Ma Wara’ Al Khabar (dietro la notizia), il secondo, Hiwar Min Washington, è costruito sulla falsariga di Min Washington, storico programma settimanale di Al Jazeera realizzato dall’ufficio di corrispondenza della capitale americana. È dunque evidente che Al Jazeera e Al Arabiya hanno posto uno standard per quanto riguarda le pratiche professionali e che i servizi news della televisione egiziana stanno cercando di reagire a questa sfida. È più difficile individuare un’influenza diretta del confronto con i prodotti giornalistici delle emittenti panarabe sull’organizzazione delle redazioni della carta stampata. Sicuramente però il fatto che Al Jazeera e Al Arabiya siano entrate nelle redazioni di tutti i giornali egiziani e rappresentino il sottofondo col quale i giornalisti egiziani lavorano, pronti ad alzare la testa e fermarsi a guardare le breaking news sull’Egitto o sul resto della regione, mostra come esse abbiano modificato non solo il “paesaggio” delle redazioni ma anche la “vita professionale” dei giornalisti egiziani. Si tratta di una serie di interventi che hanno visto l’introduzione di nuovi programmi, la sostituzione di alcuni presenter con altri più giovani e la trasformazione dei palinsesti. Abdellatif Al Menawy, head del servizio news della televisione egiziana ha lavorato personalmente a questo progetto durante tutto il 2006. 218 278 Conclusioni Questo studio si è posto l’obiettivo principale di riconsiderare il concetto di “sistema nazionale dei newsmedia” all’interno del contesto del mondo arabo alla luce dell’ingresso sul mercato regionale delle all news satellitari di ultima generazione. Si è dunque investigata la relazione tra “nazionale” e “transnazionale” senza liquidare l’importanza dei sistemi nazionali dell’informazione. L’ipotesi da cui questa ricerca ha preso le mosse è tuttavia quella dell’esitenza di una significativa porosità dei sistemi dell’informazione nazionale. Questo approccio ha implicato un secondo obiettivo, ovvero dimostrare come oggi, per studiare un sistema nazionale dell’informazione nel mondo arabo, non sia più possibile soltanto limitarsi ad un’analisi della natura dei soggetti e delle dinamiche nazionali che lo caratterizzano ma, al contrario, si debba considerare il “nazionale” all’interno di una dinamica di “relazione transnazionale” con altri soggetti esogeni che “attraversano” il sistema senza esserne completamente parte. Soltanto un approccio di questo tipo permette di comprendere se sia realmente possibile parlare di spazi “ibridi transnazionali” di influenza e dialogo, spazi caratterizzati dalla presenza di soggetti molto differenti e legati tra loro da relazioni molto diverse. Il sistema ibrido infatti non annulla l’esistenza del national media system ma si sovrappone e si intreccia ad esso coinvolgendo i suoi attori, assieme ad attori esogeni, in una nuova struttura sistemica caratterizzata da regole proprie. Nell’ultimo decennio si sono verificate alcune trasformazioni interessanti nell’ambito della definizione dei valori e delle pratiche della cultura professionale da parte della “comunità interpretativa” dei giornalisti egiziani. Il sistema ha visto alcune trasformazioni strutturali in conseguenza soprattutto della situazione politica interna e delle trasformazioni negli equilibri del regime. Questi elementi possono essere considerati senza dubbio tra le cause principali della ridefinizione dei parametri della cultura professionale dei giornalisti egiziani. Questo studio tuttavia ha mostrato come queste trasformazioni possano essere colte appieno soltanto se si considerino anche in relazione all’esistenza di una dimensione di confronto con il lavoro dei newsmaker panarabi. Questo è evidente, ad esempio, nelle trasformazioni della percezione dei giornalisti della carta stampata rispetto al giornalismo televisivo: pur non essendo mutato il loro giudizio nei confronti dei giornalisti della televisione egiziana e dei loro pro- 279 dotti, essi, in conseguenza del confronto con Al Jazeera e Al Arabiya, sembrano considerare oggi molto più concrete le possibilità del giornalismo televisivo di insediare il primato storico della carta stampata. Questa consapevolezza li porta oggi, nella definizione dei valori e delle pratiche della propria cultura professionale, a prestare attenzione ad elementi che non potrebbero essere spiegati soltanto investigando le relazioni tra giornalisti dei media nazionali. Lo stesso si può dire per i giornalisti della televisione nazionale che mostrano di avere accentuato alcuni aspetti caratteristici della propria cultura professionale e di averne modificati altri, secondo modalità che possono essere comprese soltanto se si considerano alla luce di una dinamica di confronto e competizione anche con il lavoro di Al Jazeera e Al Arabiya. Tra i valori della cultura professionale dei giornalisti egiziani si è mantenuto centrale il rapporto tra “libertà” e “responsabilità”, una dimensione che ha sempre avuto un ruolo importante nelle dinamiche di negoziazione della cultura del giornalismo nel paese. Negli ultimi anni tuttavia è apparso chiaro come nella definizione del proprio ruolo sociale, anche nella relazione tra “libertà” e “responsabilità”, i giornalisti che lavorano per i media egiziani negozino i propri valori professionali anche sulla base di un confronto e di un dialogo, conflittuale per alcuni, cooperativo per altri, con i newsmedia panarabi. Al Jazeera e Al Arabiya infatti, non avendo un commitment forte nei confronti degli attori della sfera pubblica nazionale, si muovono con una “disinvoltura” molto maggiore nel riportare vicende sostanzialmente destabilizzanti per il regime. Questo atteggiamento viene visto dai giornalisti della televisione nazionale (la cui struttura è maggiormente legata al regime) come una “pericolosa irresponsabilità”. Tale valutazione del lavoro dei giornalisti panarabi porta gli uomini della Tv egiziana ad elaborare una cultura professionale all’interno della quale la “responsabilità sociale” svolge un ruolo ancora più importante che viene definito anche in contrapposizione a questi newsmedia esogeni rispetto al sistema. Al Jazeera e Al Arabiya dunque, con il tipo di copertura che danno del paese, spingono i giornalisti della televisione egiziana a sviluppare ulteriormente una cultura professionale nella quale porsi come obiettivo professionale“il bene del paese” diventa un modo per differenziarsi, rispetto a quella che viene vista come una cultura professionale dell’“irresponsabilità”. Per i giornalisti della stampa, al contrario, soprattutto per quelli delle testate della stampa privata con le posizioni più antigovernative, tale relazione transnazionale rappresenta un impulso per sviluppare una cultura professionale nella quale la “responsabilità sociale” si coniuga con la volontà di cambiare lo status quo. In altre parole il confronto con queste emittenti, e con Al Jazeera in particolare che ha più volte messo a nudo debolezze e contraddizioni del regime egiziano, diventa un impulso a sviluppare una cultura professionale apertamente antagonista nei confronti del governo. È interessante riprendere in queste considerazioni conclusive un altro elemento centrale della cultura professionale dei giornalisti egiziani: quello dell’orgoglio nazionale legato alla storia della professione nel paese. Tanto il nazionalismo quanto l’orgoglio di essere parte della tradizione giornalistica più importante nella regione hanno rappresentato un elemento importante attorno a cui si è costruita la cultura giornalistica egiziana. L’arrivo sul mercato regionale di Al Jazeera e Al Arabiya, con il loro successo di pubblico e la loro immagine di professionalità, ha portato i giornalisti egiziani a ripensare il proprio “orgoglio”. Anche questo è avvenuto secondo modalità diverse, per tutti in ogni caso questa sfida sembra avere rappre- 280 sentato un’occasione di riflessione sullo stato del giornalismo nel paese. L’orgoglio dei giornalisti egiziani non è comunque uscito ridimensionato da questo confronto (oggettivamente impari). Inoltre, i rapporti non idilliaci tra il Qatar e l’Egitto, rapporti che si rispecchiano nella linea editoriale di Al Jazeera nei confronti del paese delle piramidi, influenzano le modalità attraverso cui i giornalisti egiziani si relazionano con il lavoro dell’emittente panaraba. Il nazionalismo che caratterizza la cultura giornalistica egiziana porta, come è emerso nella ricerca, alcuni giornalisti egiziani a definire le coperture della televisione qatarina viziate da un “pregiudizio antiegiziano”. Il fatto che questa posizione emerga, in alcuni casi, anche tra i giornalisti con attitudine marcatamente antigovernativa mostra come gli elementi che caratterizzano la cultura professionale vadano oltre la dimesione squisitamente politica del lavoro dei giornalisti. Tale ridefinizione dei valori giornalistici rappresenta un processo continuo, perché quotidiane sono le negoziazioni che portano alla sedimentazione di questi elementi valoriali, un processo che sarebbe avvenuto anche a prescindere dal confronto con il lavoro di Al Jazeera e di Al Arabiya. Tuttavia l’analisi di tale relazione transnazionale ha mostrato come essa giochi oggi un ruolo tutt’altro che secondario nella costruzione dell’identità professionale dei giornalisti egiziani. Il confronto con il lavoro di queste newsorganization panarabe rappresenta un’occasione per ripensare e ridefinire la propria identità alla luce della relazione, e in alcuni casi dello scontro, con soggetti esogeni al sistema nazionale. Alcune trasformazioni ancora più significative sono emerse rispetto alle pratiche professionali del giornalismo egiziano. Si tratta di trasformazioni per cui il confronto con il “modello Al Jazeera” ha giocato un ruolo importante. Anche per quanto riguarda questo aspetto la comunità professionale dei giornalisti che lavorano per i media egiziani è si è mostrata molto diversificata al suo interno sulla base di molteplici elementi tra cui, senza dubbio, quello legato alla differente struttura delle news organization presenti nel sistema. Le mastodontiche redazioni dei giornali semi-ufficiali infatti hanno modalità operative molto diverse da quelle “leggere” dei nuovi giornali privati e modalità ancora diverse guidano, come è naturale, i processi produttivi delle redazioni dei servizi televisivi nazionali. Le dinamiche di trasformazione interne al sistema nazionale che si sono verificate in quest’ultimo decennio, in primis la comparsa di testate a proprietà privata, con vincoli economici diversi rispetto ai bilanci perennemente in perdita della stampa semi-ufficiale, hanno sicuramente determinato una spinta endogena alla trasformazione delle pratiche di newsmaking. I giornalisti che lavorano all’interno di queste testate si sono trovati infatti a lavorare con obiettivi molto diversi da quelli che caratterizzavano il sistema in passato. Tuttavia, come è emerso nel corso di questo studio, le trasformazione nelle pratiche del newsmaking stanno avvenendo all’interno di tutto il sistema nazionale anche se in maniera molto più incerta e intermittente per quanto riguarda i giornali semi-ufficiali e la televisione nazionale. Tutto questo processo è in buona misura il frutto di una nuova strategia di relazione dello Stato con il sistema dei media, dovuta a molteplici fattori. La minore compattezza del regime alle prese con la sempre più imminente questione della successione, la necessità di trovare strategie per contenere i costi ormai non più sostenibili delle gigantesche e poco produttive testate semi-ufficiali e la volontà di presentare l’immagine internazionale di un paese sempre più vicino ad una democratizzazione reale hanno sicuramente giocato un ruolo decisivo in tal senso. Si 281 tratta tuttavia di sole “variabili” nazionali in grado di spiegare soltanto in parte il processo di ridefinizione della cultura giornalistica egiziana. Questo studio ha invece considerato come in questa rinegoziazione, negli ultimi dieci anni, anche il confronto e la relazione con Al Jazeera e Al Arabiya abbia giocato un ruolo importante. Innanzitutto queste emittenti “sono entrate” in tutte le redazioni dei newsmedia egiziani: esse hanno tutte televisori accesi e sintonizzati su questi due canali. Le loro coperture sono occasione di confronto continuo per i giornalisti egiziani e funzionano, in alcuni casi, come fonte soprattutto per le notizie internazionali. Questo ha significato che ciascuna redazione ha dovuto, operativamente, porsi in rapporto con il lavoro di Al Jazeera e Al Arabiya, definendo delle modalità di relazione con le notizie proposte da queste emittenti e stabilendo se e quando le scelte editoriali delle due emittenti dovessero influenzare le proprie. Il fatto che i direttori delle testate giornalistiche egiziane tendano a sottolineare la loro indipendenza rispetto a questi colossi dell’informazione, mentre i redattori dichiarano di tenere ben presente le loro coperture, mostra come in redazione quotidiamente le notizie proposte da Al Jazeera e Al Arabiya vengano considerate e discusse, utilizzate o respinte. Anche per quanto riguarda gli effetti della “rivoluzione del giornalismo satellitare” sulle pratiche che caratterizzano la cultura professionale dei giornalisti egiziani si può dunque parlare di un misto tra orgoglio e desiderio di emulazione. Il sistema è oggi molto più eterogeneo e le sfide non arrivano soltanto dall’interno: sempre più ampi settori del pubblico possono avere accesso ai notiziari delle all news panarabe che, pur non avendo un focus sull’Egitto, offrono un servizio che risulta estremamente attraente. Tale consapevolezza rappresenta indubbiamente uno stimolo per i giornalisti e, costringendo a porre il pubblico più al centro del processo di produzione della notizia, sta spingendo a riconsiderare le pratiche professionali. Collegato a quest’elemento c’è il tema della professionalità dei giornalisti e dell’organizzazione del lavoro redazionale. Diversi progetti di aggiornamento professionale e di riorganizzazione delle strutture operative delle news organization sono stati avviati o sono in corso di progettazione. Questo è il segno della consapevolezza che il sistema si è fatto più competitivo e che in questa competizione i newsmedia panarabi sono avvantaggiati da un livello di professionalità estremamente alto. Non si può dire però che i giornalisti che lavorano per i media egiziani interpretino questa situazione rappresentandosi in una condizione di pura inferiorità. Al contrario emerge la tendenza, sia da parte dei giornalisti dei media semi-ufficiali sia da parte di quelli dei media privati, a mettere in luce alcuni aspetti del proprio approccio pratico alla notizia ritenuti più produttivi e “professionali” rispetto alle pratiche del giornalismo delle all news panarabe. Il sistema nazionale non è l’unico spazio all’interno del quale i giornalisti egiziani negoziano i valori e le pratiche della propria cultura professionale, al contrario l’interazione con soggetti e prodotti esogeni è diventata, negli ultimi anni, un elemento importante nell’ambito di tale negoziazione. Si tratta di un confronto nel quale vengono rivendicate specificità, attuate strategie di difesa e di legittimazione del proprio modus operandi e cogitandi, ma anche nel quale vengono ripensati e modificati sia valori che pratiche professionali. La dimensione nazionale con i suoi equilibri e le sue regole non perde forza in questo processo tuttavia si mostra più porosa e attraversata da soggetti esogeni in grado di creare ulteriori spazi di confronto. Nell’area “geolinguistica” del mondo arabo non è dunque più possibile cogliere appieno lo sviluppo di una cultura giornalistica se non all’interno di spazi di relazione transnazionale. 282 L’utilizzo di un approccio transnazionale permette dunque di cogliere in maniera più completa le dinamiche di rinegoziazione dei valori e delle pratiche della cultura giornalistica egiziana. Esso consente infatti di analizzare la relazione tra “nazionale” e “panarabo” senza perdere di vista la centralità del sistema nazionale. Allo stesso tempo tale approccio offre la possibilità di studiare anche le relazioni transnazionali che attraversano questo spazio e che oggi costituiscono un’ulteriore arena di negoziazione del giornalismo in quanto prodotto professionale e culturale. Si è dunque mostrato come gli elementi che più hanno influenzato le dinamiche di sviluppo della cultura professionale egiziana nel decennio 1996-2006 siano stati sostanzialmente due: da una parte l’autorizzazione, in una particolare fase del regime Mubarak, alla pubblicazione di testate di proprietà di soggetti privati, dall’altra proprio il confronto e la relazione con Al Jazeera e Al Arabiya. Questi due elementi riguardano significativamente uno la dimensione nazionale e l’altro la dimensione transnazionale. Tale constatazione mostra la produttività dell’approccio di ricerca scelto e rivela come esso sia indicato per studiare le correnti modalità di sviluppo dei sistemi giornalistici nel mondo arabo. L’utilizzo di un approccio transnazionale ha significato anche considerare la prospettiva dei “giornalisti panarabi”, i giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya e vedere se essi, nel momento in cui definiscono i valori e le pratiche della propria cultura professionale, si pongano in relazione con prodotti, dinamiche e soggetti appartenenti ai sistemi nazionali della regione. I giornalisti panarabi, soprattutto quelli in house, tendono a definire la propria identità professionale a partire da una chiara e netta volontà di differenziazione rispetto al lavoro dei giornalisti che lavorano per i media nazionali dei differenti paesi arabi (qui si è considerato in particolare l’Egitto). L’idea di avere un approccio più cosmopolita alla professione, di godere una maggiore libertà editoriale e di potersi porre in una posizione di maggiore forza nei confronti delle fonti rappresentano una costante nella rappresentazione che i giornalisti panarabi danno della propria condizione professionale. Differenziarsi dal giornalismo nazionale nell’elaborazione della propria identità professionale serve ai giornalisti panarabi per legittimare il proprio status “elitario” e per sottolineare continuamente l’oggettivo salto di qualità che l’operazione Al Jazeera prima e Al Arabiya poi hanno rappresentato per il giornalismo in lingua araba. Questa contrapposizione marcata risulta dunque centrale anche come forma di auto-esaltazione del proprio lavoro e del proprio ruolo di innovatori all’interno di una tradizione nella quale il giornalismo ha trovato molte difficoltà nell’elaborare una professionalità indipendente dalla politica. Tale contrapposizione dichiarata non significa comunque assenza di relazione. Al contrario l’altro, “il giornalista nazionale”, viene sempre evocato come metro di confronto: differenziarsi significa relazionarsi. Questo discorso è ancora più importante per i corrispondenti di questi media panarabi. Èemerso infatti come essi vivano una condizione professionale estremamente particolare, una condizione che ha importanti influenze sulle modalità di negoziazione dei valori e delle pratiche della loro cultura giornalistica. Questi giornalisti infatti interagiscono quotidianamente sia con soggetti che non fanno parte del sistema nazionale in cui essi vivono e lavorano, ovvero i loro colleghi in house, con cui discutono e negoziano i temi, le strutture e i contenuti delle proprie corrispondenze, sia con tutti i soggetti che fanno parte di questo sistema 283 nazionale: le fonti, il pubblico e i giornalisti nazionali. I corrispondenti panarabi dunque, di fatto, sono completamente assorbiti, da un punto di vista professionale, in uno spazio ibrido. Questo li porta a definire in maniera spesso contraddittoria la comunità professionale cui sentono di appartenere, ovvero secondo modalità che mostrano quanto gli spazi di intersezione e di reciproco rimando tra la dimensione nazionale e quella transnazionale sia centrale nell’elaborazione della loro cultura professionale. In ultima analisi si può effettivamente parlare, per i giornalisti arabi, dell’esistenza di spazi ibridie transnazionali di negoziazione dell’identità professionale e di elaborazione della cultura giornalistica. I dati raccolti mostrano infatti come giornalisti panarabi in house, corrispondenti panarabi e giornalisti nazionali definiscano la propria comunità professionale e il proprio lavoro anche a partire da relazioni costruttive e conflittuali che instaurano, fisicamente o simbolicamente, con gli altri due “gruppi”. Somiglianze, differenze e competizioni si creano e si intrecciano tanto a livello micro quanto a livello macro: è emerso come tra la “cultura di Al Jazeera” e la “cultura di Al Arabiya” esistano profonde differenze ma anche elementi comuni, lo stesso di può dire per la “cultura di Al Jazeera” e quella dei quotidiani privati egiziani. All’interno delle redazioni si scontrano le “culture dei redattori” e quelle dei direttori, mentre entrambe sviluppano legami con le culture di altre realtà giornalistiche dentro e fuori il sistema nazionale. Infine, in un mondo caratterizzato da dinamiche globalizzanti, i valori e le pratiche di quello che viene percepito come “modello giornalistico occidentale” rappresentano, seppure in maniera indiretta e attraverso dinamiche molto meno “velocizzate”, un’ulteriore occasione di confronto per i giornalisti arabi. Alcuni di questi elementi vengono fatti propri, altri rifiutati, altri riadattati, sicuramente comunque non restano bloccati ai confini tra mondo arabo e occidente. I valori e le pratiche professionali si ridefiniscono dunque all’interno di spazi di scambio e di dialogo nei quali l’osservazione dei valori espressi e delle pratiche messe in atto dagli altri è usata per definire se stessi e per promuovere strategie difensive e offensive volte a legittimare le proprie scelte, azioni e convinzioni professionali. All’intero di questi spazi ibridi gli altri sono sempre presenti, in alcuni casi anche come interlocutori diretti. Tali spazi infatti rappresentano arene nelle quali attori nazionali ed attori transnazionali definiscono le comunità cui sentono di appartenere, in un processo di negoziazione che trascende i confini dei “national media system”. Nel momento in cui i singoli giornalisti individuano gli elementi che li accomunano o li distinguono dagli altri sembrano essere capaci di creare relazioni che vanno oltre la posizione che i loro interlocutori occupano all’interno o all’esterno dei confini del sistema dell’informazione nazionale. Ciò avviene senza che questo implichi una rinuncia a definirsi sempre anche rispetto alla posizione occupata. L’esistenza di un nuovo spazio ibrido non cancella l’importanza dei confini nazionali, al contrario essi continuano ad essere un elemento centrale di definizione della cultura professionale dei giornalisti, tuttavia questi confini non sembrano più essere l’orizzonte ultimo di confronto e di scontro. Giornalisti nazionali, giornalisti panarabi in house e corrispondenti panarabi “usano” questi spazi ibridi in maniera molto diversa, tuttavia tutti ne tengono conto nel momento in cui definiscono se stessi come professionisti e riflettono sui valori e le pratiche della propria cultura professionale. L’esplosione del fenomeno del giornalismo satellitare che ha caratterizzato l’ultimo decennio nel mondo arabo ha significativamente trasformato l’ambiente in cui i giornalisti ara- 284 bi si trovano a lavorare e a riflettere sul proprio lavoro. All’interno di questo nuovo contesto di “transnazionalismo velocizzato” si sono sviluppate nuove forme di relazione e di interconnessione: se i sistemi nazionali continuano a rappresentare l’arena centrale di elaborazione di valori e pratiche professionali emerge tuttavia chiaramente una nuova dimensione di dialogo tra soggetti nazionali e soggetti transnazionali, una dimensione ibrida la cui considerazione è oggi imprescindibile per comprendere le dinamiche di sviluppo del giornalismo arabo contemporaneo. 285 Tabelle Questionario Questionario N.1 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Credi che il pubblico egiziano si formi le proprie idee riguardo a cosa succede in Egitto anche sulla base della copertura che delle vicende egiziane forniscono i media panarabi? Al AAkhbar el Y. Al Masri Al Al Fajr Free lance totale hram Y. Si 8 6 7 7 8 36 No 2 4 3 3 2 14 Questionario N.2 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Nello svolgere il tuo lavoro di giornalista ti senti in competizione anche con i giornalisti delle televisioni satellitari panarabe? Al AAkhbar el Y. Al Masri Al Al Fajr Free lance totale hram Y. Si 8 9 7 8 7 39 No 2 1 3 2 3 11 Questionario N.3 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Da un punto di vista giornalistico, quale è il tuo giudizio sui giornalisti che lavorano per le all news panarabe e in particolare Al Jazeera e Al Arabiya? ( una opzione) Al Ahram Akhbar el Y. Al Masri Al Al Fajr Free lance totale Y. Credo abbiano un livello di pro8 8 6 4 10 36 fessionalità molto alto Credo che oggi siano 2 2 4 3 0 11 l’espressione del miglior giornalismo arabo Credo che il loro giornalismo sia 0 0 0 0 0 0 troppo aggressivo e fazioso Credo che siano interessate solo 0 0 0 3 0 3 ad accrescere i propri indici di ascolto Altro (Specificare): 0 0 0 0 0 0 Questionario N. 4 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Al Jazeera e Al Arabiya hanno uffici di corrispondenza in Egitto, credi si possa dire che la loro presenza abbia effetti sulla natura del sistema dei news media egiziani? Al Ahram Akhbar el Y. Al Masri Al Y. Al Fajr Free lance totale Si 8 9 9 8 8 42 No 2 1 1 2 2 8 287 Questionario N. 5 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Che ruolo credi esercitino con il loro lavoro i giornalisti di Al Jazeera e Al Arabiya nel sistema dei news media nazionali? (max. due opzioni) Al Ahram Akhbar el Y. Al Masri Al Al Fajr Free lance totale Y. Hanno portato una maggiore di4 6 2 1 4 17 namicità al sistema dei media nazionali Hanno contribuito a rendere il 2 4 3 2 1 12 sistema nazionale dei media più libero Con il loro atteggiamento ecces0 0 0 0 0 0 sivamente aggressivo e irresponsabile hanno creato problemi anche ai media nazionali nel rapporto con il governo Hanno permesso nuove possibili0 2 6 7 5 20 tà di confronto per i media egiziani e quindi ne hanno migliorato la qualità Hanno spinto al lancio di nuovi 4 0 2 4 7 17 media nazionali Hanno danneggiato il sistema dei 0 0 0 0 0 0 media nel paese rendendolo più sensazionalistico e spregiudicato Altro (Specificare): 0 0 0 0 0 0 Questionario N.6 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Credi che i corrispondenti dei media panarabi in Egitto sentano di avere una responsabilità sociale nei confronti dei cittadini egiziani? Al AAkhbar el Y. Al Masri Al Al Fajr Free lance totale hram Y. Si 8 6 5 7 8 34 No 2 4 5 3 2 16 Questionario N.7 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Ti capita mai di collaborare, anche solo attraverso scambi di informazioni basilari, con i giornalisti dei media panarabi presenti nel paese? Al Ahram Akhbar el Y. Al Masri Al Y. Al Fajr Free lance totale Mai 8 9 4 4 3 28 Qualche volta 1 1 6 6 7 21 Spesso 1 0 0 0 0 1 288 Questionario N. 8 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya Rispetto al pubblico egiziano, quale credi sia il risultato delle vostre coperture del paese? Al Jazeera Al Arabiya totale Forniamo informazioni sensazionalistiche e per tanto possiamo turbare il pubblico egiziano Offriamo a soggetti che non vengono in genere interpellati dai media nazionali la possibilità di raggiungere l’opinione pubblica egiziana 0 0 0 4 4 8 Siamo molto critici nei confronti del governo egiziano e quindi possiamo minare la stabilità del paese 0 0 0 Forniamo informazioni sull’Egitto che i cittadini egiziani non si possono procurare in altro modo 4 4 8 Altro 0 0 0 Questionario N.9 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya Ritieni di avere una responsabilità nei confronti della società egiziana? Al Jazeera Al Arabiya Si 4 4 No 0 0 Totale 8 0 Questionario N.10 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya Quale funzione principale ritieni che voi corrispondenti panarabi dobbiate avere all’interno della società egiziana? (max. tre opzioni) Al Jazeera Al Arabiya Totale Promuovere il paese a livello regionale 0 1 1 Contrastare quelle persone che potrebbero danneggiare la stabili- 0 0 0 tà del paese Promuovere il cambiamento nel paese ad ogni costo Supportare il governo egiziano e il suo operato Informare la popolazione delle attività del governo Permettere alle persone di farsi un’idea corretta riguardo cosa accade nel paese Promuovere una coscienza religiosa nei cittadini Promuovere la democratizzazione del paese Informare i cittadini degli eventuali comportamenti scorretti di governo e politici Supportare il Panarabismo e la causa palestinese Altro 289 1 0 0 2 1 0 1 3 2 0 1 5 0 4 4 0 1 2 0 5 6 2 0 0 0 2 0 Questionario N. 11 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya Credi che il vostro lavoro durante il periodo elettorale 2005-2006 abbia offerto al pubblico egiziano un'informazione differente rispetto a quella offerta dai media nazionali? Al Jazeera Al Arabiya Totale Si 4 4 8 No 0 0 0 Questionario N.12 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya In che modo il vostro lavoro durante tale periodo elettorale ha offerto al pubblico egiziano un'informazione differente rispetto a quella offerta dai media nazionali? (max. tre opzioni) Al Jazeera Al Arabiya Totale Abbiamo prodotto un'informazione più obiettiva ed equilibrata 4 4 8 A differenza dei media nazionali abbiamo dato voce a tutti i can2 2 4 didati e tutti i partiti A differenza dei media nazionali non abbiamo avuto paura nell'at0 0 0 taccare Mubarak e il NDP A differenza dei media nazionali abbiamo dato conto di violenze e 2 2 4 intimidazioni ai seggi e prima delle elezioni A differenza dei media nazionali abbiamo raccontato delle mani2 2 4 festazioni e delle proteste dei movimenti come Kifaya! Abbiamo fornito dati più attendibili e in minor tempo rispetto ai 0 0 0 media nazionali A differenza dei media nazionali abbiamo mandato corrispondenti 2 2 4 in tutto il paese per avere maggior controllo sul processo elettorale Altro 0 0 0 Questionario N.13 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya Il modo di comunicare che i candidati dei partiti politici d’opposizione e dei movimenti hanno adottato nel corso delle ultime campagne elettorali è stato influenzato dalla vostra presenza nel paese? Al Jazeera Al Arabiya Totale Si 4 4 8 No 0 0 0 290 Questionario N. 14 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya In che modo la comunicazione dei candidati dei partiti politici d’opposizione e dei movimenti è stata influenzata dalla vostra presenza nel paese? (max. due opzioni) Al Jazeera Al Arabiya Totale Era evidente che preparavano i loro discorsi e le loro dichiarazioni 0 1 2 pensando che sarebbero state trasmesse in tutta la regione da noi Nel corso delle conferenze stampa ci hanno dato più spazio ri1 2 3 spetto ai media nazionali Ci hanno concesso interviste esclusive 2 2 4 Sapendo che i media nazionali avrebbero avuto un atteggiamento 2 1 3 negativo nei loro confronti hanno cercato un rapporto privilegiato con noi Hanno dedicato più tempo ai media in generale rispetto alle pre0 0 0 cedenti consultazioni elettorali Hanno dedicato meno tempo ai media in generale rispetto alle 0 0 0 precedenti consultazioni elettorali Ci chiamavano per segnalarci scorrettezze o intimidazioni ai loro 3 2 5 danni Altro 0 0 0 Questionario N.15 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Come giornalista credi di avere una responsabilità nei confronti della società egiziana? Al AAkhbar el Y. Al Masri Al Al Fajr Free lance hram Y. Si 10 10 10 9 10 No 0 0 0 1 0 291 totale 49 1 Questionario N. 16 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Quale funzione principale ritieni che il giornalismo debba avere all’interno della società egiziana (max. tre opzioni)? Al Ahram Akhbar el Y. Al Masri Al Al Fajr Freelance totale Y. Promuovere il paese a livello re1 7 3 0 2 13 gionale Contrastare quelle persone che potrebbero danneggiare la stabilità del paese Promuovere il cambiamento nel paese ad ogni costo Supportare il governo egiziano e il suo operato Informare la popolazione delle attività del governo Permettere alle persone di farsi un’idea corretta riguardo cosa accade nel paese Promuovere una coscienza religiosa nei cittadini Promuovere la democratizzazione del paese Informare i cittadini degli eventuali comportamenti scorretti di governo e politici Supportare il Panarabismo e la causa palestinese Altro (Specificare): 4 3 2 3 1 13 4 2 3 5 3 17 0 1 0 0 0 1 1 0 1 0 2 4 4 6 8 2 7 27 1 3 1 1 2 8 3 3 2 8 5 20 3 2 3 2 2 12 4 1 0 0 1 6 0 0 0 0 1 1 292 Questionario N.17 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Dovendo giudicare la copertura della lunga stagione elettorale (presidenziali-parlamentari) che ha caratterizzato il 2005, che giudizio dai del lavoro di Al Jazeera e Al Arabiya? (indicare massimo due opzioni) Al Ahram Akhbar el Al Masri Al Fajr Freelance totale Y. Al Y. Hanno fatto un lavoro utile alla scelta 0 1 0 1 1 3 dei candidati da votare Non hanno fatto nulla di più di quanto hanno fatto i media nazionali Hanno fatto un lavoro dannoso per il dibattito politico presentando solo i punti di vista più estremi Hanno insistito più sulle violenze e sui disordini ai seggi che sull’importanza dell’evento per il paese Con la loro presenza hanno impedito che le manifestazioni che hanno caratterizzato il periodo elettorale fossero represse troppo duramente dalla polizia Hanno dato una copertura all’evento adatta per un pubblico regionale ma non sufficiente o adeguata per i cittadini egiziani Altro (Specificare): 1 4 1 0 4 10 0 3 3 1 1 8 5 6 7 5 4 27 2 0 1 3 1 7 2 0 2 2 0 6 0 0 0 0 0 0 Questionario N.18 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya Ritieni che quello di “obiettività” sia un concetto importante per svolgere la pratica giornalistica in maniera professionale? Al Jazeera Al Arabiya Totale Si 4 4 8 No 0 0 0 Questionario N. 19 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Ritieni che quello di “obiettività” sia un concetto importante per svolgere la pratica giornalistica in maniera professionale? Al Ahram Akhbar el Y. Al Masri Al Y. Al Fajr Free lance totale Si 10 10 10 9 10 49 No 0 0 0 1 0 1 293 Questionario N. 20 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya Come ufficio di corrispondenza, di quale di questi argomenti vi occupate in maniera più massiccia? (Max. due opzioni) Al Jazeera Al Arabiya Totale Politica Nazionale 3 3 6 Politica Regionale 2 2 4 Cronaca 0 0 0 Arte e spettacolo 0 0 0 Religione e cultura islamica 1 2 3 Gossip/attualità 2 1 3 Economia 0 0 0 Altro 0 0 0 Questionario N. 21 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya Tra tali argomenti, quale è il più interessante per il pubblico egiziano? ( una opzione) Al Jazeera Al Arabiya Politica Nazionale 2 2 Politica Regionale 0 0 Cronaca 0 0 Arte e Spettacolo 1 0 Religione e cultura islamica 1 1 Gossip/attualità 1 0 Economia 0 0 Altro 0 0 Questionario N. 22 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya Riguardo a quali soggetti il pubblico egiziano vuole avere più notizie? (max. due opzioni) Al Jazeera Al Arabiya Il presidente 1 0 I membri del governo 0 0 I membri del NDP 0 0 Esponenti di partiti politici d’opposizione 2 1 Esponenti di gruppi religiosi 0 0 Esponenti di movimenti società civile 2 1 Persone comuni (condizioni di vita, violazione dei diritti umani, 3 3 processi etc.) Altro 0 0 294 Totale 4 0 0 1 2 1 0 0 Totale 1 0 0 3 0 3 6 0 Questionario N. 23 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Di quali di questi temi la redazione si occupa in maniera più massiccia? (max. due opzioni) Al Ahram Akhbar el Y. Al Masri Al Y. Al Fajr Freelance Politica nazionale 7 5 9 7 7 totale 35 Politica regionale 4 7 2 2 5 20 Cronaca internazionale Spettacoli Religione e cultura islamica Gossip Economia Altro (Specificare): 5 2 0 2 0 0 3 4 0 0 0 0 1 4 0 2 0 0 1 3 2 3 0 0 1 0 3 3 2 0 11 13 5 10 2 0 Questionario N. 24 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Tra tali argomenti, quale è il più interessante e importante per il pubblico egiziano? (una opzione) Al Ahram Akhbar el Y. Al Masri Al Y. Al Fajr Freelance totale Politica nazionale 7 7 7 5 8 34 Politica regionale 1 0 0 0 0 1 Cronaca internazionale Spettacoli Religione e cultura islamica Gossip Economia Altro (Specificare): 0 0 1 1 0 0 0 1 0 2 0 0 0 0 0 2 1 0 1 0 1 1 2 0 0 2 0 0 0 0 1 3 2 6 3 0 Questionario N. 25 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Riguardo a quali soggetti il pubblico egiziano vuole avere più notizie? (max. due opzioni) Al AAkhbar el Y. Al Masri Al Y. Al Fajr Freehram lance Il presidente 2 8 2 3 2 totale 17 I membri del parlamento 0 2 1 0 3 6 Esponenti dell’NDP Esponenti dei partiti d’oppos. Esponenti di gruppi religiosi Esponenti di movimenti società civile Persone comuni (condizioni di vita, violazione dei diritti umani, processi etc.) Altro 0 0 0 4 10 3 1 4 1 10 0 1 1 2 10 0 0 4 2 10 0 0 5 0 8 3 2 14 9 48 2 0 3 1 3 9 295 Questionario N. 26 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Ti capita di seguire i notiziari delle televisioni satellitari panarabe? Al Ahram 0 Akhbar el Y. 2 Al Masri Al Y. 0 Al Fajr 0 Freelance 0 totale 2 A volte 2 4 4 4 4 18 Spesso Quotidianamente 2 6 1 3 2 4 4 2 3 3 12 18 Mai Questionario N. 27 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Quali tra le seguenti emittenti satellitari segui più spesso e ti sembra più affidabile? (max. due opzioni) Al Jazeera Al Ahram 9 Akhbar el Y. 9 Al Masri Al Y. 9 Al Fajr 9 Freelance 7 totale 43 Al Arabiya 3 5 5 4 3 20 Abu Dhabi Tv Al Manar Future Tv Al Hurra Tv Altra 1 3 1 0 0 3 3 0 0 0 3 1 0 0 0 0 1 0 1 0 0 0 0 0 0 7 8 1 1 0 Questionario N. 28 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Nello svolgere il tuo lavoro di giornalista ti senti in competizione con le all news panarabe? Si Al Ahram 8 Akhbar el Y. 9 Al Masri Al Y. 7 Al Fajr 8 Freelance 7 totale 39 No 2 1 3 2 3 11 296 Questionario N. 29 Giornalisti dei quotidiani egiziani: semiufficiali; privati e freelance Che tipo di effetti sta avendo sul tuo modo di lavorare e su quello della tua redazione la competizione con Al Jazeera e Al Arabiya? (max. due opzioni) Al A- Akhbar Al Masri Al Al Fajr Freelance totale hram el Y. Y. Nella copertura di eventi regionali consideriamo 3 6 4 3 4 20 questi media panarabi come una fonte di informazioni Nella copertura di eventi nazionali consideriamo 2 2 2 3 2 11 questi media panarabi come una fonte di informazioni Se questi media panarabi danno importanza a 0 1 1 2 0 4 una notizia regionale cerchiamo di inserirla anche noi tra le vicende di rilievo per il nostro giornale – telegiornale Se questi media panarabi danno importanza a una 0 1 1 0 3 5 notizia nazionale cerchiamo di inserirla anche io tra le vicende di rilievo per il giornale- telegiornale Nella copertura di eventi nazionali cerchiamo di 1 0 0 0 1 2 differenziarci rispetto alle loro notizie in modo che il pubblico trovi sul nostro giornale notizie diverse Sappiamo che se loro sollevano una questione che 0 1 1 3 4 9 riguarda l’Egitto noi non possiamo ignorarla perché altrimenti il pubblico perderà fiducia in noi Ormai il pubblico considera più credibili i media 2 2 2 4 0 10 panarabi anche per le vicende interne e noi dobbiamo accettare un ruolo secondario Il fatto che nel paese siano presenti anche media 2 0 3 1 3 9 panarabi ha obbligato il governo a tollerare un più alto livello di libertà editoriale e questo permette anche a noi di lavorare più liberamente Altro 0 0 0 0 0 0 Questionario N.30 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya Il modo di comunicare che Mubarak e il partito di governo hanno adottato nel corso delle ultime campagne elettorali è stato influenzato a tuo avviso dalla vostra presenza nel paese? Al Jazeera Al Arabiya Totale Si 2 2 4 No 2 2 4 Questionario N.31 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya Il modo di comunicare che i candidati dei partiti politici d’opposizione e dei movimenti hanno adottato nel corso delle ultime campagne elettorali è stato influenzato a tuo avviso dalla vostra presenza nel paese? Al Jazeera Al Arabiya Totale Si 4 4 8 No 0 0 0 297 Questionario N. 32 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya Come a tuo avviso il modo di comunicare che Mubarak e i candidati del partito di governo hanno adottato nel corso delle ultime campagne elettorali è stato influenzato a tuo avviso dalla vostra presenza nel paese? (max. due opzioni) Al Jazeera Al Arabiya Totale Era evidente che preparavano i loro discorsi e le loro dichiarazioni pensando 2 2 4 che sarebbero state trasmesse in tutta la regione da noi Nel corso delle conferenze stampa hanno dato più spazio a noi che ai me0 1 1 dia nazionali Hanno tentato di escuterci dalle conferenze stampa 1 0 1 Sapendo di poter contare su un minor livello di controllo nei nostri confronti 0 1 1 hanno dovuto prestare attenzione alle dichiarazioni che facevano Hanno dedicato più tempo ai media in generale rispetto alle precedenti con1 1 2 sultazioni elettorali Hanno dedicato meno tempo ai media in generale rispetto alle precedenti 0 0 0 consultazioni elettorali Ci hanno più volte attaccato durante le campagne elettorali per cercare di 2 0 2 toglierci credibilità agli occhi dei cittadini egiziani Ci hanno trattato con particolare riguardo per rabbonirci 0 1 1 Altro 0 0 0 Questionario N. 33 Corrispondenti al Cairo di Al Jazeera e Al Arabiya Come a tuo avviso il modo di comunicare che i candidati dei partiti politici d’opposizione e dei movimenti hanno adottato nel corso delle ultime campagne elettorali è stato influenzato dalla vostra presenza nel paese? (max. due opzioni) Al Jazeera Al Arabiya Totale Era evidente che preparavano i loro discorsi e le loro dichiarazioni pensando 0 1 1 che sarebbero state trasmesse in tutta la regione da noi Nel corso delle conferenze stampa hanno dato più spazio a noi che ai me1 2 3 dia nazionali Ci hanno concesso interviste esclusive 2 2 4 Sapendo che i media nazionali avrebbero avuto un atteggiamento negativo 2 1 3 nei loro confronti hanno cercato un rapporto privilegiato con noi Hanno dedicato più tempo ai media in generale rispetto alle precedenti con0 0 0 sultazioni elettorali Hanno dedicato meno tempo ai media in generale rispetto alle precedenti 0 0 0 consultazioni elettorali Ci chiamavano per segnalarci scorrettezze o intimidazioni ai loro danni 3 2 5 Altro 0 0 0 298 Bibliografia AA.VV. (2006) The Al Jazeera Decade 1996-2006, Manama: Al Waraqoon W.L.L. Abdelnasser, G. (2003) “Egypt: Succession Politics” in V. Perthes (ed), Arab Elites. 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Constrained by censorship and self-censorship and limited by scarce economic resources, national journalists are forced to redefine their professional position vis a vis the public, political actors and competitors in a context inhabited also by non-national subjects. Starting from this perspective, the text focus on Arab journalists as actors in a “transnational relationship”. Through a discussion of the negotiation process involving journalists in defining values and practices of their own professional culture, the research investigates how far the coverage and practices of pan-Arab all news broadcasters have blurred the borders of national media systems, creating new spaces and systems. In investigating the relationship between pan-Arab broadcast journalists and journalists employed in national news organizations this study tries to reconsider the idea of “national media system” and its permeability to external influences in the context of the Arab World. The idea of hybrid structures, neither homogeneous nor defined by common rules, strategies or goals but, at the same time, defining important arenas of exchange, is presented as the more appropriate analytical model to understand the reality of the contemporary Arab news media environment. The book is based on a multi-sited fieldwork conducted in Egypt, Doha and Dubai (where Al Jazeera and Al Arabiya headquarters are located). Being the relationship between national (Egyptian) journalists and Pan-Arab journalists the cornerstone of the research, it was in fact crucial investigating the attitude of all the different actors involved in such a rela- 311 tion. Moreover the book wants to suggest that the existence of transnational hybrid systems affects not only professionals employed inside national media systems. On the contrary here is assumed that direct or mediated relations with different national media systems and persons influence also journalists working for pan-Arab broadcasters, in defining their own professional culture. Following this idea the study was not limited to Egyptian newsrooms (the national casestudy); it was carried out also in Al- Jazeera and Al-Arabiya bureaux in Cairo and in these channels' central newsrooms in Doha and Dubai. This multi-sited approach offered a better understanding of how journalists at pan-Arab stations and national news media are involved in a common arena of negotiation of professional values and practices. During the research work three groups have been defined: national journalists (employed in Egyptian news media and services), pan-Arab correspondents (employed in the Cairo bureaux of Al-Jazeera and Al-Arabiya) and pan-Arab ‘in-house’ journalists (working inside the central newsrooms of Al-Jazeera and Al-Arabiya, in Doha and Dubai respectively). Investigate whether these groups perceive themselves in terms of a mutual relationship, interact with each other and use common or divergent symbolic contents in order to define their professional values and practices was the main aim of the research. In a nutshell my interest was to define how Arab Journalists create the borders and the narratives of their “interpretative community” in a context defined by “high speed transnationalism”. It is in fact working on this borders and narratives that they negotiate the values and practices of their professional culture. The negotiation of values and practices of journalistic culture has been investigated analyzing the following parameters: structure of the professional community, power distance, role in society, ethics and nationalistic attitude in relation to values; newsmaking activity, sources management and newsroom organization in relation to practices. The way each of the three groups describes its own professionalism in relation to these parameters and the reference journalists make to the other two groups in defining the core elements of their own culture has been used to investigate the dialogic structure linking national and pan-Arab journalists. The findings presented in the book show that pan-Arab journalists working in-house, pan-Arab correspondents working in their own country, and national journalists working in national media define their professional culture in terms of both constructive and conflictual relationships with each other. This confirms that professional values and practices are created in a space of exchange, dialogue and conflict between subjects occupying different positions inside and outside the national media system. The observation of others’ work is used to define one’s own values and practices and to promote defensive strategies legitimizing one’s choices and professional convictions. In fact, while defining shared or distinguishing elements, journalists seem eager to create a relationship that transcends the national news media system. In this context journalists continuously re-interpret and re-adapt values and practices of their professional culture in order to legitimate their work and their position vis a vis other professional and social actors. Within this system of relationships those who represent themselves as “hybrid subjects” par excellence are the pan-Arab correspondents. In their everyday professional life, they inter- 312 act both with people outside the national system, namely their in-house colleagues, and at the same time with people within the national system: officials, colleagues and national audience. Pan-Arab correspondents are the most involved in the hybrid transnational space since they are completely absorbed by it. Considering the contradictions that Cairo correspondents of Al-Jazeera and Al-Arabiya see in relation to their professional community, it becomes clear that national and pan-Arab media practitioners find themselves in a new negotiable dimension — one that leads not to rigid category boundaries but to intersections and mutual references. As for national journalists’ perspective the book stresses on the idea that their work and their community has been characterized by huge transformations during the last decade. Most of these changes are based on endogenous elements within the national Egyptian system. The government has authorized private press and some experiment of private TV, creating a more diverse news media landscape. Some of these new editorial projects have developed a strong contravening attitude versus the regime and have adopted new and more dynamic editorial structures and projects. These elements, together with the consequent diversification and increasing in the number of people working in the news media environment have forced the Egyptian journalistic community in rethinking itself in a conflictual and negotial process. Nevertheless, besides a dominant national dimension, there has emerged a relational space of transnational negotiation; people employed within the national system use and perceive this hybrid space in very different ways. But none of them ignores it when it comes to evaluating themselves professionally. 313 Finito di stampare nel mese di gennaio da Editografica (Bologna) i libri di EMIL www.ilibridiemil.it