Appunti per il corso di di Chimica Analitica 1 con Laboratorio Gabriele Balducci Ultimo aggiornamento: 7 aprile 2010 Indice 1 IL TRATTAMENTO “RIGOROSO” DELL’EQUILIBRIO 1.1 La legge dell’azione di massa . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Un caso semplicissimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Bilancio di massa basato sulla stechiometria . . . . . . . . . . 1.4 Bilancio di massa basato sulla quantita’ iniziale . . . . . . . . 1.5 Due o piu’ reazioni simultanee: il bilancio di carica . . . . . . 1.5.1 L’equilibrio per piu’ reazioni simultanee . . . . . . . . 1.5.2 Il bilancio di carica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.6 Conclusioni sul trattamento rigoroso dell’equilibrio . . . . . . 1.7 Reazioni disaccoppiate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.8 Bilancio di massa e carica danno la stessa equazione . . . . . 1.9 Reazioni (e corrispondenti equazioni) indipendenti . . . . . . 1.10 Piu’ di una equazione di bilancio di massa . . . . . . . . . . . 1.11 Condizioni iniziali equivalenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.12 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.12.1 Ionizzazione di una base debole . . . . . . . . . . . . . 1.12.2 Solubilizzazione del fluoruro di calcio: I . . . . . . . . 1.12.3 Solubilizzazione del fluoruro di calcio: II . . . . . . . . 1.12.4 Solubilizzazione del solfuro di zinco . . . . . . . . . . . 1.12.5 Ionizzazione di un acido diprotico . . . . . . . . . . . . 1.12.6 Ionizzazione di un acido triprotico . . . . . . . . . . . 1.12.7 Soluzione tampone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.12.8 Formazione di complessi . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.12.9 Due reazioni simultanee non ioniche . . . . . . . . . . 1.13 Il trattamento approssimato dei problemi di equilibrio . . . . 1.13.1 L’approssimazione dell’equilibrio prevalente . . . . . . 1.13.2 Il metodo della tabella . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.13.3 Ulteriori semplificazioni quando K → 0 o K → ∞ . . 1.14 Schema riassuntivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 4 5 6 9 11 11 13 16 17 19 20 23 24 28 28 30 30 32 34 35 37 37 39 42 43 45 54 63 2 POTENZIOMETRIA 2.1 Elettrodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Il potenziale elettrodico . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.1 Il caso di due o piu’ coppie redox . . . . . . . 2.3 La legge di Nernst . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Potenziali standard e costante di equilibrio . . . . . 2.4.1 Costanti di equilibrio per reazioni redox . . . 2.4.2 Costanti di equilibrio per reazioni non redox . . . . . . . . . . . . . . . 77 77 79 86 89 92 93 96 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5 2.6 2.7 2.8 2.4.3 Il potenziale standard misura la tendenza alla riduzione Misura dei potenziali elettrodici ed elettrodi di riferimento . . . Il potenziale di giunto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Elettrodo a vetro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La potenziometria come tecnica analitica . . . . . . . . . . . . 2.8.1 Potenziometria diretta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.8.2 Elettrodi combinati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.8.3 Titolazioni potenziometriche . . . . . . . . . . . . . . . 2.8.4 Analisi delle curve di titolazione . . . . . . . . . . . . . A Il raggiungimento dell’equilibrio in un sistema elettrodico B Il programma icee B.1 L’interfaccia grafica al programma icee: icee-gui B.2 Come si lancia icee-gui . . . . . . . . . . . . . . . B.3 Come si usa icee-gui . . . . . . . . . . . . . . . . B.3.1 Le due modalita’ principali di icee . . . . . B.4 Tutorial . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . B.4.1 Ionizzazione di un acido debole in modalita’ B.4.2 Ionizzazione di un acido debole in modalita’ 2 . . . . . . . . . 98 100 107 112 116 116 119 121 125 133 140 . . . . . . . . 140 . . . . . . . . 141 . . . . . . . . 141 . . . . . . . . 142 . . . . . . . . 144 “single shot” 144 “parameter scan”162 Capitolo 1 IL TRATTAMENTO “RIGOROSO” DELL’EQUILIBRIO 1. Il trattamento rigoroso dell’equilibrio chimico consiste nell’ottenere i valori numerici di tutte le concentrazioni di equilibrio di un sistema chimico arbitrario. Come vedremo, e’ sempre possibile scrivere un sistema di equazioni la cui soluzione fornisce i valori delle concentrazioni cercate; tuttavia, solo nei casi piu’ semplici e’ possibile risolvere il sistema di equazioni per via analitica: il piu’ delle volte, invece, la soluzione del problema puo’ essere ottenuta solo per via numerica. 2. Per questo motivo, e’ importante imparare ad usare alcune approssimazioni che, se da un lato hanno lo svantaggio di fornire risultati non rigorosi (ma quasi sempre sufficientemente accurati per gli scopi piu’ comuni), dall’altro hanno pero’ anche il grande vantaggio di consentire una soluzione analitica e rapida dei problemi di equilibrio. 3. Normalmente, i metodi approssimati vengono presentati prima del metodo generale “esatto”. Tuttavia, ritengo che cio’ generi negli studenti una sensazione di frammentarieta’ e poca sistematicita’ (perche’ l’applicazione dei metodi approssimati richiede un’analisi caso per caso del sistema chimico da affrontare). Per questo motivo, presenteremo dapprima il metodo generale rigoroso, per renderci conto che e’ piuttosto semplice impostare un sistema di equazioni per la soluzione di qualsiasi problema di equilibrio chimico. Successivamente, dopo aver constatato che il sistema di equazioni e’ facile da scrivere, ma difficile da risolvere, presenteremo le principali approssimazioni che si possono fare. 4. Prima di iniziare e’ bene chiarire un punto. Quando parliamo di trattamento “rigoroso” non dovete pensare che non si facciano delle approssimazioni. Uso il termine “rigoroso” per distinguere cio’ che vedremo fra breve da un trattamento “approssimato”(ma sarebbe meglio dire “piu’ approssimato”) che descriveremo piu’ avanti. In realta’, tutto cio’ che verra’ presentato in queste sezioni poggia su almeno una approssimazione di fondo: e cioe’ quella di assumere che attivita’ e concentrazione formale coincidano. Questo e’ abbastanza vero per soluzioni diluite, quali quelle che quasi sempre considereremo in questo corso. Tuttavia, 3 tenete ben presente che un trattamento veramente rigoroso dell’equilibrio chimico non puo’ prescindere dal considerare l’attivita’, e non la concentrazione formale delle varie specie chimiche coinvolte. Cio’ rende le cose notevolmente piu’ complesse di quanto possano sembrare in questa sede. Cio’ premesso, e quindi chiarito bene il limite di tutto quanto seguira’, spero che il metodo che verra’ introdotto vi lasci una sensazione di certezza e concretezza riguardo l’analisi di un sistema chimico di equilibrio. 1.1 La legge dell’azione di massa 5. Quando una reazione chimica in soluzione raggiunge l’equilibrio, le concentrazioni dei partecipanti soddisfano un vincolo matematico noto come “Legge dell’azione di massa”. Per la generica reazione rappresentata da: aA + bB = cC + dD (1.1) dove A, B, C e D sono specie chimiche generiche e a, b, c e d sono i rispettivi coefficienti stechiometrici, la legge dell’azione di massa assume la forma: K = c d a b [C] [D] [A] [B] (1.2) K si chiama costante di equilibrio e non dipende dalle concentrazioni (ma dipende dalla temperatura). 6. I simboli fra parentesi quadrate stanno a indicare le concentrazioni molari delle varie specie (ciascuna concentrazione e’ in realta’ divisa per una concentrazione di riferimento, presa uguale a 1 mol/L e quindi i vari termini sono adimensionali). Se un partecipante alla reazione e’ in fase gassosa, la concentrazione viene sostituita dalla sua pressione parziale in bar (anch’essa divisa per una pressione di riferimento, presa uguale a 1.0 bar, in modo tale che il termine sia adimensionale). Liquidi e solidi puri, e il solvente nelle soluzioni diluite, non compaiono nella legge dell’azione di massa. 7. Vediamo alcuni esempi dell’applicazione della legge dell’azione di massa. Per la reazione redox: BrO3− + 2Cr3+ + 4H2 O = Br− + Cr2 O72− + 8H + che avviene in soluzione acquosa, la legge dell’azione di massa ha la forma: K = 8 [Br− ] Cr2 O72− [H + ] 2 BrO3− [Cr3+ ] Notate che la concentrazione del solvente (l’acqua) e’ stata omessa. 4 (1.3) Per la dissoluzione del cloruro d’argento in acqua: AgCl(s) Ag + + Cl− = la legge dell’azione di massa si scrive cosi’: K + − Ag Cl = (1.4) In questo caso la concentrazione del cloruro d’argento solido non compare. Per la reazione redox in soluzione acquosa: Hg(l) + 2N O3− + 4H + Hg 2+ + 2N O2,(g) + 2H2 O = si avra’: K = Hg 2+ PN2 O2 2 4 N O3− [H + ] (1.5) La concentrazione del mercurio metallico (un liquido puro) e’ stata omessa; per il biossido di azoto (un gas) e’ stata usata la pressione parziale invece della concentrazione molare; infine, la concentrazione dell’acqua (il solvente) e’ stata omessa. 1.2 Un caso semplicissimo 8. Consideriamo il caso piu’ semplice possibile di calcolo di equilibrio: la decomposizione del carbonato di calcio. CaCO3(s) = CaO(s) + CO2(g) La legge dell’azione di massa per questa reazione e’ particolarmente semplice: K = PCO2 (1.6) perche’ il carbonato di calcio e l’ossido di calcio sono dei solidi puri. In questo problema di equilibrio c’e’ una sola incognita da ricavare: la pressione parziale del biossido di carbonio. Nei casi “canonici”, le costanti di equilibrio sono note (si possono trovare tabulate) e quindi la soluzione di questo problema e’ banale: la pressione di equilibrio del biossido di carbonio (l’unica incognita da trovare) e’ uguale a K, come dice l’espressione su scritta. In questo caso il problema di equilibrio comporta una sola incognita: la legge dell’azione di massa e’ un’equazione che coinvolge l’incognita da trovare. Risolvendo l’equazione rispetto all’incognita si risolve il problema di equilibrio. 5 1.3 Due concentrazioni di equilibrio da trovare: il bilancio di massa basato sulla stechiometria 9. Passiamo a un caso leggermente piu’ complicato, che servira’ per introdurre un ingrediente fondamentale dei calcoli di equilibrio noto come “bilancio di massa”. Consideriamo l’autoionizzazione dell’acqua: H2 O H + + OH − = La legge dell’azione di massa per la reazione e’: KW = H+ OH − (1.7) dove KW = 1.0 × 10−14 e’ il prodotto ionico dell’acqua. In questo (semplicissimo) caso le incognite da trovare (cioe’ le concentrazioni di equilibrio) sono due: [H + ] e [OH − ]. Fino a questo punto il problema e’ apparentemente insolubile: infatti con una equazione (un vincolo) si puo’ ricavare un’unica incognita e non due. 10. In generale, da un punto di vista matematico, se la soluzione di un problema richiede di trovare n incognite, si devono poter scrivere n relazioni indipendenti che leghino fra loro le n incognite. Si ottiene un sistema di n equazioni in n incognite che puo’ cosi’ essere risolto (per via analitica o, piu’ spesso, per via numerica). 11. Nel caso in esame, la legge dell’azione di massa rappresenta una relazione fra le due incognite da trovare: ce ne serve quindi una seconda. La seconda relazione fra [H + ] e [OH − ] si ottiene molto facilmente sfruttando cio’ che viene comunemente chiamato “bilancio di massa”. In questo caso, il bilancio di massa segue direttamente dalla stechiometria della reazione. In pratica: siccome H + e OH − vengono prodotti in rapporto 1 : 1 e solo dalla ionizzazione dell’acqua (cioe’, non ci sono altre fonti di ioni H + e/o OH − ), ne segue che il numero di moli di queste due sostanze devono stare in tale rapporto in qualsiasi momento della reazione, dall’istante iniziale fino al raggiungimento dell’equilibrio. In particolare, cio’ deve valere anche all’equilibrio. Dovra’ pertanto essere valida la seguente ulteriore relazione fra le due incognite: + H = OH − (1.8) Abbiamo cosi’ ottenuto un sistema di 2 equazioni in 2 incognite: KW + H = = H+ OH − (legge dell’azione di massa) − OH (bilancio di massa) 12. In questo caso semplicissimo, il sistema puo’ essere risolto facilmente per via analitica. Sostituendo la seconda equazione nella prima: 6 2 H+ p KW KW = + = H 1.0 × 10−7 + H = − = OH 1.0 × 10−7 = che e’ il ben noto risultato per la concentrazione di ioni idrogeno e ossidrile in acqua pura. 13. La cosa importante da comprendere in questo esempio e’ l’utilizzo del bilancio di massa. Abbiamo visto che la stechiometria della reazione consente di stabilire una relazione matematica ben precisa fra le concentrazioni di equilibrio delle due specie chimiche da determinare. Questa relazione, insieme all’espressione della legge dell’azione di massa, consente di risolvere il problema (altrimenti insolubile). 14. Notate che il calcolo delle concentrazioni di ioni idrogeno e ioni ossidrile in acqua pura e’ uno dei primi esercizi che avete imparato a svolgere e l’uso della relazione (valida in acqua pura): [H + ] = [OH − ] non vi e’ certamente nuovo. Quello che vogliamo fare in questa sede e’ di inserire questa osservazione nel contesto piu’ ampio e formale del concetto di bilancio di massa. Un altro esempio 15. Per chiarire ulteriormente l’applicazione del bilancio di massa consideriamo un secondo esempio. La riduzione dell’ossido di zinco con carbone e’ un processo industriale rappresentato dalla seguente equazione: 4ZnO(s) + 3C(s) = 4Zn(s) + 2CO(g) + CO2(g) Considerato che l’ossido di zinco, il carbone e lo zinco metallico sono dei solidi puri, le incognite da trovare in questo problema di equilibrio sono due: le pressioni parziali di monossido e biossido di carbonio all’equilibrio. La legge dell’azione di massa per la reazione e’: K = 2 PCO PCO2 (1.9) 16. Assumiamo, per semplicita’, di partire dai soli reagenti, cioe’ al momento in cui la reazione inizia ad avvenire, l’ambiente di reazione contiene solo ossido di zinco e carbone. Inoltre, sempre per semplicita’, assumiamo che i due reagenti siano presenti in eccesso rispetto alla quantita’ che se ne consuma fino al raggiungimento dell’equilibrio. 17. Come nel caso precedente, fino a questo punto abbiamo una relazione (la legge dell’azione di massa) e due incognite (le pressioni parziali di equilibrio): ci serve dunque una seconda relazione (indipendente dalla prima) fra le due incognite. 7 Questa seconda relazione si ottiene come visto nel caso precedente applicando il bilancio di massa: siccome monossido di carbonio e biossido di carbonio non sono inizialmente presenti e vengono prodotti in rapporto 2 : 1 da un unico processo, ne segue che i numeri di moli di queste due sostanze devono stare in tale rapporto in qualsiasi momento della reazione, dall’istante iniziale fino al raggiungimento dell’equilibrio. In particolare, cio’ deve valere anche all’equilibrio. Quindi, detto nCO il numero di moli di monossido di carbonio e nCO2 il numero di moli di biossido di carbonio all’equilibrio, dovra’ essere: nCO = 2nCO2 (1.10) Siccome il volume e la temperatura sono gli stessi per entrambi i composti, moltiplicando ambo i membri per RT /V , dalla legge di Dalton si ha: nCO nCO RT V PCO = 2nCO2 2nCO2 RT 2 V 2PCO2 = = (1.11) che e’ la seconda relazione (indipendente dalla legge dell’azione di massa) cercata. Abbiamo cosi’ ottenuto anche in questo caso un sistema di 2 equazioni in 2 incognite: 2 = PCO PCO2 = 2PCO2 K PCO 18. Anche questa volta il sistema puo’ essere risolto facilmente per via analitica. Sostituendo la seconda equazione nella prima: K 2 = (2PCO2 ) PCO2 = 2 P 4PCO 2 CO2 = 3 4PCO 2 K 4 31 K 4 3 PCO 2 = PCO2 = Infine, sostituendo l’espressione ora trovata per PCO2 nella seconda equazione del sistema: PCO = 2PCO2 13 K = 2 4 8 (Ricordate che K e’ nota). 19. Come gia’ detto, la cosa importante da capire non e’ la soluzione analitica del sistema (vedrete che nella maggior parte dei casi i sistemi a cui si giunge nei problemi di equilibrio NON sono risolvibili per via analitica), ma il fatto che, sfruttando il bilancio di massa, si ottiene una relazione che, unitamente a quella della legge dell’azione di massa, consente di scrivere un sistema di equazioni che risolve in modo rigoroso il problema di equilibrio. 1.4 Due concentrazioni di equilibrio da trovare: il bilancio di massa basato sulla quantita’ iniziale 20. Nell’esempio precedente abbiamo visto l’applicazione del bilancio di massa derivante dalla stechiometria di una reazione. In questa sezione vedremo con un esempio come un’equazione basata sempre sul bilancio di massa puo’ essere derivata anche quando si conosce la quantita’ iniziale di un partecipante ad una reazione. 21. Consideriamo il seguente problema. In un recipiente chiuso (a temperatura costante) si pone del biossido di azoto, N O2 , un gas, ad una pressione pari a PN◦ O2 . Il biossido di azoto dimerizza a tetraossido di diazoto, N2 O4 , anche questo gassoso, con una reazione rappresentata da: 2N O2(g) = N2 O4(g) Supponendo nota la costante di equilibrio K per la reazione, calcolare le pressioni parziali PN O2 e PN2 O4 dei due ossidi di azoto all’equilibrio. 22. Come nel caso della sezione precedente, le incognite da trovare sono due. La legge dell’azione di massa fornisce una prima relazione: K PN2 O4 PN2 O2 = (1.12) Ci serve una seconda relazione. Anche in questo caso utilizziamo il bilancio di massa. 23. Indichiamo con n◦N O2 il numero di moli iniziale di biossido di azoto, con nN O2 e nN2 O4 il numero di moli di biossido di azoto e tetraossido di diazoto, rispettivamente, all’equilibrio. Il punto centrale da realizzare e’ che la massa si conserva, cioe’ non puo’ ne’ sparire, ne scaturire dal nulla. Una parte del monossido di azoto presente inizialmente si trasforma in tetraossido di diazoto. Quindi si puo’ ben dire quanto segue: numero di moli iniziale di N O2 = numero di moli di N O2 numero di moli di N O2 + rimaste all’equilibrio che hanno reagito Dalla stechiometria della reazione si vede banalmente che il numero di moli di diossido di azoto che hanno reagito e’ pari al doppio del numero di moli di tetraossido di diazoto che si sono formate. 9 Quindi: numero di moli iniziale di N O2 numero di moli di N O2 numero di moli di N2 O4 +2× rimaste all’equilibrio all’equilibrio = ovvero: n◦N O2 = nN O2 + 2nN2 O4 24. Siccome il volume del recipiente e la temperatura a cui avviene la reazione sono i medesimi per entrambi i partecipanti, moltiplicando per RT /V entrambi i membri e ricordando la legge di Dalton si ha: n◦N O2 RT V PN◦ O2 RT RT + 2nN2 O4 V V = PN O2 + 2PN2 O4 = nN O2 E questa e’ la seconda relazione che lega le due incognite da trovare. 25. Siamo cosi’ in grado di scrivere un sistema di due equazioni in due incognite: K PN◦ O2 = PN2 O4 PN2 O2 (legge dell’azione di massa) = PN O2 + 2PN2 O4 (bilancio di massa) 26. Anche in questo caso il sistema puo’ essere risolto per via analitica. Ricavando PN2 O4 dalla prima equazione e sostituendo nella seconda si ha: = KPN2 O2 PN2 O4 = PN O2 + 2KPN2 O2 PN◦ O2 2KPN2 O2 + PN O2 − PN◦ O2 = 0 = PN O2 −1 + p 1 + 8KPN◦ O2 4K (Nella soluzione dell’equazione quadratica si prende solo la soluzione col segno positivo per ovvi motivi: quali?) Infine, sostituendo a ritroso: PN2 O4 = KPN2 O2 = K −1 + 10 !2 p 1 + 8KPN◦ O2 4K 27. Al di la’ della soluzione analitica di questo problema, la cosa importante da realizzare e’ che anche in questo caso il principio di conservazione della massa (il bilancio di massa) consente di scrivere una relazione indipendente fra le incognite da trovare che, assieme all’espressione della legge dell’azione di massa, costituisce un sistema di equazioni tramite il quale il problema puo’ essere risolto in modo rigoroso. 28. Riassumiamo quanto visto per il bilancio di massa: • Il bilancio di massa e’ una diretta conseguenza del principio di conservazione della massa: in pratica, in una reazione chimica, gli atomi non possono ne’ sparire ne’ generarsi dal nulla. • Se non e’ nota alcuna quantita’ iniziale, una (o piu’) relazioni di bilancio di massa fra le concentrazioni (o pressioni parziali) di equilibrio possono essere scritte basandosi sulla stechiometria della(e) reazione(i) • Se si conosce la quantita’ iniziale di uno o piu’ reagenti, si possono scrivere altrettanti bilanci di massa, ciascuno dei quali esprime la conservazione della quantita’ di quel dato reagente. 1.5 Due o piu’ reazioni simultanee: il bilancio di carica 29. Nei casi precedenti si aveva a che fare sempre con una sola reazione chimica. Questo, tuttavia, rappresenta piu’ un’eccezione che una regola. Soprattutto per le soluzioni acquose che tratteremo nel corso di chimica analitica, e’ normale che un sistema sia costituito da 2 o piu’ reazioni chimiche che, contemporaneamente, procedono verso l’equilibrio. La cosa e’ poi complicata dal fatto che, quasi sempre, una o piu’ specie chimiche partecipano a piu’ di una reazione. 30. In questa sezione affronteremo il caso di 2 reazioni simultanee e introdurremo il secondo ingrediente fondamentale per il trattamento rigoroso dei problemi di equilibrio: il bilancio di carica. 1.5.1 L’equilibrio per piu’ reazioni simultanee 31. Prima di procedere, fissiamo un concetto importante: quando un sistema chimico (ad esempio una soluzione contenente diverse specie chimiche capaci di reagire fra loro) raggiunge l’equilibrio, tutte le possibili reazioni chimiche al suo interno si trovano all’equilibrio e per ciascuna di esse vale la legge dell’azione di massa. Se una specie chimica e’ implicata in piu’ di un equilibrio, la sua concentrazione di equilibrio in soluzione (che e’, ovviamente, unica) e’ tale da soddisfare contemporaneamente tutte le espressioni della legge dell’azione di massa che la riguardano. 32. Per chiarire ulteriormente questo semplice, ma importante concetto, consideriamo un sistema in cui avvengono due reazioni rappresentate dalle seguenti equazioni: A + 2B 2X + 3B K1 = K2 = 11 C + 3D 5Y + Z Come vedete, la specie B partecipa ad entrambe le reazioni. Quando il sistema raggiunge l’equilibrio, entrambe le reazioni sono all’equilibrio e le due espressioni della legge dell’azione di massa valgono contemporaneamente: K1 = K2 = [C] [D]3 2 [A] [B] 5 [Y ] [Z] 2 [X] [B] 3 La concentrazione di equilibrio di B, cioe’ [B], soddisfa contemporaneamente entrambe le equazioni (compare elevata al quadrato nella prima ed elevata alla terza potenza nella seconda). 33. Un esempio numerico puo’ contribuire ulteriormente a fare chiarezza. Per le due reazioni su scritte, supponiamo che sia: K1 K2 = 1.5 = 2.5 Se si parte da una soluzione contenente le seguenti concentrazioni iniziali: ◦ CA ◦ CB = 1.0 mol/L = 1.0 mol/L ◦ CC ◦ CD = 0.0 mol/L = 0.0 mol/L ◦ CX = 1.0 mol/L CY◦ CZ◦ = 0.0 mol/L = 0.0 mol/L si puo’ calcolare che le concentrazioni di equilibrio saranno1: [A] [B] = 0.792 mol/L = 0.207 mol/L [C] = 0.208 mol/L [D] = 0.624 mol/L 1 Il calcolo si basa proprio su quanto stiamo trattando: si scrive un sistema di 7 equazioni in 7 incognite: due equazioni sono le leggi dell’azione di massa e poi ci sono 5 bilanci di massa basati sulla stechiometria delle due reazioni e sulle quantita’ iniziali dei reagenti: sapreste scrivere il sistema completo? Provateci, non e’ difficile; altrimenti guardate come si fa alla sezione 1.12.9. Il sistema deve poi essere risolto per via numerica. 12 [X] = 0.749 mol/L [Y ] = 0.629 mol/L [Z] = 0.126 mol/L Notate come le due espressioni della legge dell’azione di massa sono entrambe verificate (provate a fare il calcolo con la vostra calcolatrice): 0.208 × 0.6243 0.792 × 0.2072 0.6295 × 0.126 0.7492 × 0.2073 1.5 = 2.5 = Inoltre, come si era detto al punto 31: la concentrazione di equilibrio di B e’ 0.207 mol/L (per quanto banale possa sembrare, ripetiamolo: un unico valore): questo valore soddisfa contemporaneamente le due leggi dell’azione di massa relative alle due reazioni a cui B partecipa. 1.5.2 Il bilancio di carica 34. Il bilancio di carica consiste nell’applicazione di un fatto molto semplice: una soluzione deve essere elettricamente neutra, cioe’, in altre parole, la somma delle cariche positive in essa contenute deve uguagliare quella delle cariche negative. Da questo gia’ segue una considerazione elementare: il bilancio di carica sara’ applicabile solo in quei casi in cui un sistema chimico contenga specie ioniche. 35. Questa condizione, assieme a quella relativa al bilancio di massa, rappresenta un vincolo fondamentale da applicare per il trattamento sistematico dell’equilibrio chimico. 36. Illustriamo l’applicazione del bilancio di carica con un semplicissimo esempio. Consideriamo la ionizzazione di un acido debole HA in soluzione acquosa. Supponiamo di aver preparato una soluzione acquosa dell’acido debole HA con ◦ costante di ionizzazione acida KA e concentrazione formale CHA . La reazione di ionizzazione dell’acido debole puo’ essere rappresentata dalla seguente equazione: HA = H + + A− Tuttavia, questa non e’ l’unica reazione indipendente che avviene nella soluzione. Infatti, bisogna considerare anche l’autoionizzazione dell’acqua: H2 O = H + + OH − 37. Notate: volendo considerare tutte le possibili reazioni, si sarebbe tentati di includere anche la ionizzazione basica della base coniugata dell’acido debole: 13 A− + H2 O = AH + OH − Tuttavia, questa reazione NON e’ indipendente: infatti puo’ essere ottenuta sommando l’inversa della ionizzazione acida e l’autoionizzazione dell’acqua: H + + A− = HA H2 O A + H2 O = = H + + OH − AH + OH − − Quindi solo due qualsiasi delle tre reazioni su scritte sono indipendenti; in altre parole, delle tre reazioni considerate, dobbiamo prenderne due soltanto: la scelta e’ completamente arbitraria, visto che ciascuna delle tre reazioni puo’ essere espressa come combinazione delle altre due (provateci). 38. Scegliamo come reazioni indipendenti la ionizzazione acida e l’autoionizzazione dell’acqua. Le incognite da trovare (cioe’ le concentrazioni di equilibrio) sono 4: [HA] [A− ] [H + ] [OH − ] (naturalmente, assumiamo di essere in soluzione diluita in modo che la concentrazione dell’acqua sia identica a quella dello stato di riferimento (acqua pura) e quindi non compaia nelle leggi dell’azione di massa) 39. Avendo 4 incognite da trovare ci servono 4 equazioni indipendenti che le leghino. Due equazioni ci vengono fornite dall’espressione delle leggi dell’azione di massa per le due reazioni: KA KW [A− ] [H + ] [HA] + = H OH − = Una terza equazione proviene dal bilancio di massa per l’acido debole. La ◦ quantita’ iniziale di acido debole introdotta in soluzione (CHA ) si ripartisce fra − le specie HA e A , quindi deve essere in ogni istante, compreso lo stato di equilibrio: ◦ CHA = [HA] + A− Ci serve la quarta relazione. Come anticipato, questa consiste nel bilancio di carica per la soluzione. In pratica, si tratta di contare le cariche positive e quelle negative e uguagliare i due conteggi. Gli unici cationi presenti in soluzione sono gli ioni idrogeno; per quanto riguarda gli anioni, invece, ce ne sono di due specie: gli ioni ossidrile e gli ioni A− . Affinche’ la soluzione sia elettricamente neutra, bisogna che la concentrazione 14 di ioni idrogeno sia in ogni istante uguale alla somma delle concentrazioni di ioni ossidrile e A− . In definitiva: = KA = KW = ◦ CHA + = H+ OH − + A− 40. Con il bilancio di carica il problema e’ risolto: siamo arrivati ad un sistema di 4 equazioni in 4 incognite: H = [A− ] [H + ] [HA] + OH − H [HA] + A− OH − + A− (1.13) (1.14) (1.15) (1.16) 41. Da questo punto in poi il problema diventa puramente algebrico. E’ istruttivo vedere come si potrebbe risolvere il sistema ottenuto. Ricaviamo [A− ] dalla 1.16 ed esprimiamo [OH − ] in funzione di [H + ] sfruttando la 1.14: A− H + − OH − KW = H+ − [H + ] = Ricaviamo [HA] dal bilancio di massa 1.15 e sfruttiamo l’espressione per [A− ] appena trovata: ◦ [HA] = CHA − A− + KW ◦ = CHA − H − [H + ] Infine, sostituiamo le espressioni ricavate per [A− ] e [HA] nell’espressione della legge dell’azione di massa 1.13 e riordiniamo: KA = KA = KA = KA = [A− ] [H + ] [HA] KW [H + ] [H + ] − [H +] KW ◦ CHA − [H + ] − [H +] 2 [H + ] − Kw KW ◦ CHA − [H + ] − [H +] 3 [H + ] − Kw [H + ] ◦ [H + ] − [H + ]2 − K CHA W 15 2 + 3 + ◦ − Kw H + − KA CHA H H + KA H + − KW 2 + 3 ◦ + KW ) − KA KW + KA H + − H + (KA CHA H = 0 = 0 Abbiamo cosi’ ottenuto un’equazione nell’unica incognita [H + ]. Una volta ricavato il valore per [H + ], tutti gli altri si possono ottenere sostituendo all’indietro. Cio’ che vorrei farvi notare e’ che, anche in un caso cosi’ semplice, il trattamento rigoroso del problema di equilibrio richiede la soluzione di un’equazione di terzo grado. Attenzione agli ioni polivalenti 42. Mi sembra ovvio, ma e’ meglio dirlo esplicitamente. Quando si scrive un bilancio di carica, bisogna tenere conto della carica ionica. Cioe’: se in soluzione e’ presente una concentrazione C di un catione monovalente, ad esempio H + , il corrispondente contributo alla concentrazione di carica positiva totale sara’ C; ma se il catione e’ bivalente, ad esempio Zn2+ , allora il contributo alla concentrazione di carica positiva totale sara’ 2C e non C. Questo perche’ in un bilancio di carica cio’ che si bilancia e’, per l’appunto, la carica elettrica, e non la concentrazione ionica. Se la concentrazione di ioni zinco in soluzione e’ 0.12 mol/L, la concentrazione di carica positiva dovuta agli ioni zinco deve essere necessariamente pari a (2 × 0.12) = 0.24 mol/L, semplicemente perche’ ad ogni ione zinco corrispondono 2 cariche positive. 43. Un esempio dovrebbe chiarire definitivamente questo punto. Scriviamo il bilancio di carica per una soluzione in cui siano stati sciolti i seguenti composti: AgCl, Al2 (SO4 )3 , H2 S, M g3 (P O4 )2 . Per semplicita’, assumiamo che gli ioni provenienti dai sali non diano idrolisi; l’acido solfidrico, invece, puo’ dare due ionizzazioni acide successive. Sotto queste ipotesi, le specie ioniche presenti in soluzione saranno: Ag + , − Cl , Al3+ , SO42− , HS − , S 2− , M g 2+ , P O43− , H + e OH − . Come detto, per scrivere l’equazione del bilancio di carica bisogna fare l’appello di tutte le cariche positive e negative, e uguagliare i due conteggi: H + + Ag + + 3 Al3+ + 2 M g 2+ = OH − + Cl− + 2 SO42− + HS − + 2 S 2− + 3 P O43− 44. Notate come per gli ioni polivalenti la concentrazione e’ stata moltiplicata per la carica dello ione, come abbiamo sottolineato al punto 42. 1.6 Conclusioni sul trattamento rigoroso dell’equilibrio 45. Nelle sezioni precedenti abbiamo introdotto il trattamento quantitativo rigoroso dell’equilibrio chimico. Dovreste essere convinti che qualsiasi problema di equilibrio, anche il piu’ complesso, puo’ essere affrontato in modo rigoroso e 16 al tempo stesso semplice (per lo meno nell’impostazione del sistema di equazioni risolvente). 46. Scrivere il sistema di equazioni per la risoluzione esatta del problema e’ quasi sempre molto semplice; invece, la risoluzione analitica del sistema non e’ quasi mai possibile: bisogna cioe’ ricorrere a metodi numerici (ma cio’ oggi non costituisce un problema, vista la disponibilita’ dei computer). 47. Vediamo di fissare il procedimento con cui si affronta un problema di equilibrio per punti: 1. Prima di tutto si devono individuare le reazioni da considerare; questo richiede la conoscenza della chimica del sistema (“chi reagisce con chi”). 2. Dall’insieme di tutte le reazioni prese in considerazione, si deve estrarre il sottoinsieme delle reazioni indipendenti; in altre parole, fra le reazioni considerate, nessuna deve essere esprimibile come combinazione delle altre. 3. Una volta individuato l’insieme di tutte e sole le reazioni indipendenti, si scrive per ciascuna di esse la corrispondente espressione della legge dell’azione di massa. 4. Poi si passa a scrivere le equazioni (possono essere piu’ di una) per i bilanci di massa basandosi sulla stechiometria dei processi e/o la conoscenza della quantita’ iniziale di uno o piu’ componenti del sistema. 5. Infine, se il sistema contiene ioni, si scrive l’equazione (ce n’e’ una sola) per il bilancio di carica. A questo punto, se le concentrazioni di equilibrio da trovare sono n, si deve aver ottenuto un sistema di n equazioni nelle n incognite. Come detto, da qui in poi il problema diventa di tipo algebrico/numerico. 48. Tengo a sottolineare il fatto che un problema di equilibrio e’ SEMPRE risolvibile in modo rigoroso. Se dopo aver compiuto tutti i passi sopra descritti le cose non tornano, ad esempio il numero di equazioni e’ diverso dal numero di incognite, potete star certi che: • o avete sbagliato qualcosa voi (le equazioni non sono tutte indipendenti, avete dimenticato qualche bilancio di massa etc.) • oppure il problema era mal posto (mancava qualche costante di equilibrio, qualche concentrazione iniziale etc.) La varieta’ dei casi che si possono presentare e’ enorme, ma il procedimento sopra descritto e’ generale. Nel seguito cerchiamo di passare in rassegna alcuni prototipi di problemi di equilibrio: non pensate, tuttavia, che il trattamento quantitativo dell’equilibrio possa essere ridotto a un fatto puramente meccanico. E’ richiesto sempre il contributo del vostro senso critico e delle vostre conoscenze chimiche. 1.7 Reazioni disaccoppiate 49. A volte puo’ succedere che ci siano piu’ reazioni indipendenti, ma che queste siano disaccoppiate. Significa che le specie partecipanti a un gruppo di reazioni 17 non partecipano ad un altro gruppo. In questo caso, il problema puo’ essere suddiviso in due (o piu’) sottoproblemi, ciascuno risolvibile in modo indipendente dagli altri. 50. Rientrano in questa categoria moltissimi problemi relativi ad equilibri di solubilita’ in acqua. Ad esempio, consideriamo l’equilibrio di solubilita’ del cloruro di argento in acqua. L’equazione che descrive il processo di solubilizzazione del cloruro d’argento in acqua e’: AgCl(s) Ag + + Cl− = La corrispondente espressione della legge dell’azione di massa e’: KSP = Ag + Cl− 51. Tuttavia, siccome siamo in soluzione acquosa, c’e’ sicuramente un’altra reazione indipendente rappresentata da: H2 O H + + OH − = la cui espressione della legge dell’azione di massa e’: KW = H+ OH − 52. In totale, le concentrazioni di equilibrio da trovare sono 4: [Ag + ] [Cl− ] [H + ] [OH − ] Oltre alle due espressioni della legge dell’azione di massa su scritte, ci sono i due bilanci di massa determinati dalla stechiometria dei due processi: Ag + = + = H − Cl OH − Come gia’ detto in generale, arriviamo ad un sistema di 4 equazioni nelle 4 incognite: KSP = KW = Ag + = + = H + − Cl Ag + OH − H − Cl OH − (Notate che il bilancio di carica, in questo caso, non costituisce un’equazione indipendente poiche’ e’ ottenuto sommando le due equazioni del bilancio di massa: 18 + Ag + H + + H + Ag = = = Cl− OH − OH − + Cl− ) 53. Ora, se osservate il sistema di equazioni ottenuto, e’ facile rendersi conto che le incognite [Ag + ] e [Cl− ] compaiono solo nella prima e nella terza equazione, mentre le incognite [H + ] e [OH − ] solo nella seconda e nella quarta. In altri termini, [Ag + ] e [Cl− ] possono essere trovate indipendentemente da [H + ] e [OH − ], sfruttando solo la prima e la terza equazione (2 equazioni per 2 incognite); l’analogo vale per [H + ] e [OH − ], che possono essere trovate utilizzando solamente la seconda e la quarta equazione. 54. In definitiva, il problema originario puo’ essere ripartito nei due seguenti sottoproblemi indipendenti: KSP + Ag Ag + Cl− = Cl− = e KW + H = = H+ OH OH − − Questo e’ cio’ che intendiamo dicendo che le due reazioni: AgCl(s) = Ag + + Cl− H2 O = H + + OH − sono disaccoppiate. In generale, ci si puo’ rendere conto molto facilmente se due reazioni sono disaccoppiate: condizione sufficiente e’ che nessun partecipante alla prima compaia nella seconda e viceversa. 1.8 Bilancio di massa e carica danno la stessa equazione 55. Come gia’ accennato nella sezione precedente, non sempre e’ necessario utilizzare sia il bilancio di massa che quello di carica. In ogni caso, non e’ una questione di scelta: semplicemente puo’ succedere che il bilancio di massa e/o quello di carica siano ridondanti; di questo ci si rende conto algebricamente e quindi la cosa non e’ mai opinabile. 56. Nella sezione precedente abbiamo visto il caso in cui il bilancio di carica e’ combinazione di due equazioni di bilancio di massa e quindi non e’ indipendente. 19 57. Vediamo un caso semplicissimo in cui bilancio di carica e di massa semplicemente coincidono. Consideriamo il caso gia’ visto dell’autoionizzazione dell’acqua: H2 O H + + OH − = Questo e’ un problema di due incognite e quindi servono due equazioni. Naturalmente, la prima e’: KW = H+ OH − Per la seconda, possiamo utilizzare il bilancio di massa, determinato dalla stechiometria: H+ H+ = = OH − OH − E il bilancio di carica? E’ banale rendersi conto che consiste in: cioe’ la stessa equazione ottenuta col bilancio di massa. 58. Come vedete, il trattamento quantitativo dell’equilibrio e’ assolutamente “ben definito”: non troverete mai equazioni che “avanzano” o equazioni che “mancano”. Se il problema e’ ben posto e se non commettete errori, alla fine arriverete sempre ad un sistema che contiene un numero di equazioni uguale al numero di incognite: ne’ piu’, ne’ meno. 1.9 Reazioni (e corrispondenti equazioni) indipendenti 59. Abbiamo gia’ accennato a questo aspetto nella sezione 1.5.2. Lo riprendiamo per chiarirlo ulteriormente. 60. Ritorniamo all’esempio della ionizzazione acida di un acido debole (concen◦ trazione formale CHA , costante di ionizzazione acida KA ) in soluzione acquosa. Volendo elencare tutti i processi che possono avere luogo, si avranno 3 possibili equazioni chimiche: HA = − A + H2 O = H2 O = H + + A− AH + OH − H + + OH − Come abbiamo gia’ detto nella sezione 1.5.2, tuttavia, solo 2 delle tre equazioni sono indipendenti: qualsiasi delle 3 puo’ essere espressa come somma delle altre due, previo eventuale cambiamento del verso. Verifichiamolo. Per l’autoionizzazione dell’acqua: 20 HA = A− + H2 O H2 O = = H + + A− AH + OH − H + + OH − Per la ionizzazione basica della base coniugata di HA: H2 O H + + A− A− + H2 O = H + + OH − = HA (inversa della ionizzazione acida) = AH + OH − Per la ionizzazione acida di HA: H2 O = AH + OH − = HA = H + + OH − A− + H2 O (inversa della ionizzazione basica) H + + A− 61. Tutto cio’ trova il perfetto parallelo a livello delle espressioni della legge dell’azione di massa: cioe’, delle tre equazioni matematiche che esprimono la legge dell’azione di massa per le tre reazioni, solo 2 sono indipendenti. In termini matematici, questo vuol dire che se 2 equazioni sono soddisfatte, la terza lo e’ automaticamente, e quindi non costituisce alcun vincolo addizionale per le incognite da trovare. Parallelamente alle combinazioni delle equazioni chimiche si avranno le seguenti possibilita’. Per l’autoionizzazione dell’acqua, moltiplicando membro a membro (ricordate che la costante di ionizzazione basica della base coniugata e’ data da KW /KA ): KA KW KA KW [A− ] [H + ] [HA] [HA] [OH − ] = [A− ] + OH − = H = Per la ionizzazione basica della base coniugata di HA, dividendo membro a membro: KW = KA = KW KA = H+ OH − [A− ] [H + ] [HA] [HA] [OH − ] [A− ] 21 Per la ionizzazione acida di HA, ancora dividendo membro a membro: KW = KW KA = KA = H+ OH − [HA] [OH − ] [A− ] − [A ] [H + ] [HA] 62. La scelta delle equazioni indipendenti e’ completamente arbitraria: purche’ le equazioni scelte siano tutte e sole quelle indipendenti, la soluzione del sistema condurra’ sempre al medesimo risultato. Quindi, per il semplicissimo problema qui considerato, i tre possibili sistemi: 1. KA = KW = KA ◦ CHA = + = H [A− ] [H + ] [HA] [HA] [OH − ] [A− ] [HA] + A− (bilancio massa) OH − + A− (bilancio carica) 2. KA = KW = ◦ CHA + = H = KW = [A− ] [H + ] [HA] + H OH − [HA] + A− (bilancio massa) OH − + A− (bilancio carica) 3. KW = KA ◦ CHA = + = H + OH − H [HA] [OH − ] [A− ] [HA] + A− (bilancio massa) OH − + A− (bilancio carica) condurranno tutti alla stessa soluzione. 22 1.10 Piu’ di una equazione di bilancio di massa 63. Come gia’ accennato, mentre il bilancio di carica, esprimendo l’elettroneutralita’ della soluzione, e’ unico, i bilanci di massa possono produrre piu’ di un’equazione indipendente. 64. Il seguente esempio illustra questo aspetto. Consideriamo una soluzione acquosa in cui viene introdotta una concentra◦ zione formale CHA dell’acido debole HA (costante KA ) e una concentrazione ◦ formale CB della base debole B (costante KB ). Ricaviamo il sistema di equazioni risolvente. E’ facile verificare che le equazioni chimiche indipendenti sono 3. Ad esempio, possiamo prendere le seguenti: HA = HA + B = H + + A− BH + + A− H2 O H + + OH − = (Verificate che tutte le altre equazioni chimiche, ad esempio la ionizzazione basica della base debole: B + H2 O = BH + + OH − , si ottengono combinando le 3 equazioni su scritte). Le espressioni della legge dell’azione di massa per le 3 reazioni considerate sono: KA KA KB KW KW [A− ] [H + ] [HA] [A− ] [BH + ] = [HA] [B] = H + OH − = (E’ banale verificare che la costante di equilibrio per la reazione di neutralizzazione fra l’acido debole e la base debole e’ quella su scritta) Le incognite da trovare sono 6: [HA] [A− ] [B] [BH + ] [H + ] [OH − ] Servono quindi ancora 3 equazioni indipendenti. La conoscenza della concentrazione iniziale dell’acido debole e della base debole fornisce 2 corrispondenti equazioni di bilancio di massa: ◦ CHA = ◦ CB = [HA] + A− [B] + BH + 23 Infine, la sesta equazione e’ il bilancio di carica per l’intera soluzione: + H + BH + 1.11 = OH − + A− Condizioni iniziali equivalenti 65. I concetti introdotti sul trattamento quantitativo dell’equilibrio ci consentono di spiegare in modo abbastanza formale una proprieta’ dell’equilibrio che viene usata spesso dagli studenti, ma che secondo me non viene quasi mai giustificata. 66. La introduciamo attraverso un esempio. Consideriamo il sistema gia’ descritto alla sezione 1.5.2: una soluzione ac◦ quosa contenente un acido debole con concentrazione iniziale CHA e costante di ionizzazione acida KA . Per quello che diremo in seguito, e’ utile introdurre la seguente notazione per indicare le condizioni iniziali (di non equilibrio) da cui questo sistema parte per raggiungere l’equilibrio: HA ◦ CHA t=0 H2 O = = t=0 H+ 0 H+ 0 +A− 0 +OH − 0 In pratica, mettiamo in evidenza le condizioni iniziali (t = 0) che conside◦ riamo; all’inizio, abbiamo una concentrazione pari a CHA della specie HA, e concentrazioni nulle di tutte le altre specie, che ancora non hanno iniziato a formarsi. Alla sezione 1.5.2 abbiamo gia’ visto che il sistema risolvente di questo problema e’: KA = KW = ◦ CHA + = H = [A− ] [H + ] [HA] + H OH − [HA] + A− OH − + A− 67. Ora modifichiamo le condizioni iniziali di questo sistema facendo procedere idealmente la ionizzazione dell’acido verso destra fino a consumare meta’ dell’acido inizialmente presente. Prendiamo le concentrazioni cosi’ ottenute come nuove condizioni iniziali. Naturalmente, se si consuma meta’ dell’acido inizialmente presente, si formera’ una corrispondente concentrazione in soluzione di ioni H + e A− . Le nuove condizioni iniziali ottenute saranno rappresentate da: HA t=0 = ◦ CHA 2 H+ ◦ CHA 2 24 +A− ◦ CHA 2 H2 O = H+ ◦ CHA 2 t=0 +OH − 0 Ora ci poniamo la seguente domanda: quale sara’ il sistema risolvente per questo nuovo problema? La differenza rispetto a prima sta solo nelle concentrazioni iniziali, quindi le due espressioni della legge dell’azione di massa e il bilancio di carica restano immutati. Il nuovo bilancio di massa si ottiene ragionando nel modo seguente. A t = 0 si ha una certa concentrazione della specie HA e della specie A− . Durante il raggiungimento dell’equilibrio, queste due specie si interconvertono (a priori, non sappiamo chi si converte in chi, ne’ quanto di chi si converte in chi); tuttavia, e questo e’ un punto che vi prego di farvi estremamente chiaro, possiamo ben dire che la concentrazione totale della specie A, sia sottoforma di HA che sottoforma di ione A− , deve restare costante in ogni istante. Allora, all’inizio la concentrazione totale di specie A e’: conc. iniziale di HA ◦ CHA 2 + conc. iniziale di A− ◦ CHA 2 + e questa deve essere anche la concentrazione totale di specie A all’equilibrio, cioe’: [HA] + [A− ]. In definitiva, l’equazione del bilancio di massa per il problema con queste nuove condizioni iniziali e’: ◦ CHA C◦ + HA 2 2 ◦ CHA = = [HA] + A− [HA] + A− cioe’, la stessa equazione del caso precedente. 68. Abbiamo scoperto che i due sets di concentrazioni iniziali portano comunque ad un identico sistema risolvente: se il sistema risolvente e’ identico nei due casi, e’ chiaro che anche le concentrazioni di equilibrio dovranno essere identiche! Diciamolo in modo equivalente. Abbiamo due problemi di equilibrio con differenti condizioni iniziali, ma tali che un set di condizioni e’ stato ricavato dall’altro facendo procedere idealmente una reazione in un dato verso nel rispetto della conservazione della massa (cioe’: quando abbiamo idealmente fatto reagire meta’ dell’acido debole inizialmente presente, abbiamo coerentemente fatto produrre una concentrazione stechiometricamente equivalente di ioni idrogeno e base coniugata A− ): HA ◦ t = 0 CHA = H2 O = H+ 0 +A− 0 H+ 0 +OH − 0 HA t=0 =⇒ t=0 ◦ CHA 2 2 H2 O t=0 25 = H+ ◦ CHA = H+ ◦ CHA 2 +A− ◦ CHA 2 +OH − 0 Ebbene, abbiamo appena verificato che, da queste due diverse condizioni iniziali si deve necessariamente arrivare a concentrazioni di equilibrio identiche. Per dirla ancora in un altro modo: risolvere il primo problema oppure il secondo e’ del tutto equivalente (per quanto riguarda la questione di trovare le concentrazioni di equilibrio). 69. Estendiamo ora quanto appena visto in modo un po’ piu’ generale. Sempre partendo dalle concentrazioni iniziali del punto 66, ricaviamo delle nuove condizioni iniziali facendo reagire idealmente una frazione generica f di acido debole. Chiaramente, se una frazione f di HA reagisce, dalla stechiometria ◦ della reazione si vede che si formera’ una concentrazione pari a f CHA sia di + − ioni H che di ioni A ; la concentrazione di HA rimasto sara’ invece pari a ◦ (1 − f ) CHA . Le nuove condizioni iniziali saranno rappresentate da: t=0 HA ◦ (1 − f ) CHA H2 O = H+ ◦ f CHA H+ ◦ f CHA = t=0 +A− ◦ f CHA +OH − 0 Ora si puo’ ripetere il ragionamento di prima. Le espressioni della legge dell’azione di massa restano immutate, e cosi’ pure il bilancio di carica. Per il bilancio di massa, si ha: = conc. totale di A all’equilibrio = [HA] + [A− ] ◦ ◦ (1 − f ) CHA + f CHA = [HA] + [A− ] ◦ CHA = [HA] + [A− ] conc. totale iniziale di A conc. HA iniziale di + conc. iniziale di A− e quindi otteniamo di nuovo la stessa equazione per il bilancio di massa. Il sistema e’ identico e identica deve pertanto essere la soluzione. 70. Abbiamo cosi’ verificato che per risolvere il problema di equilibrio: t=0 HA ◦ CHA H2 O = = t=0 H+ 0 H+ 0 +A− 0 +OH − 0 siamo liberi di modificare arbitrariamente le condizioni iniziali nel modo piu’ sopra descritto: abbiamo la garanzia che la soluzione sara’ sempre la stessa. 71. Notate che “modificare arbitrariamente le condizioni iniziali” non significa che si puo’ fare cio’ che si vuole: come mostrato prima, la modifica deve consistere nello spostamento arbitrario di una reazione verso destra o verso sinistra nel rispetto della stechiometria e della conservazione della massa. Solo cosi’, infatti, l’equazione del bilancio di massa e quindi l’intero sistema risolvente rimangono invariati. 72. La proprieta’ ora introdotta con l’esempio considerato e’ di carattere completamente generale. 26 In qualsiasi problema di equilibrio le condizioni iniziali (cioe’ le concentrazioni iniziali di non equilibrio delle specie partecipanti) possono essere modificate arbitrariamente con il procedimento visto senza che cio’ modifichi in alcun modo le concentrazioni finali di equilibrio. 73. Per quanto strana possa sembrarvi questa proprieta’, qui introdotta in modo abbastanza formale, la avete certamente gia’ utilizzata senza troppe giustificazioni. 74. Ad esempio, se dovete calcolare il pH di una soluzione contenente un’ugual concentrazione iniziale pari a C ◦ di un acido debole HA e di N aOH, il ragionamento che siete abituati a fare e’ molto probabilmente il seguente. 1. La base forte reagisce completamente con l’acido debole. 2. Si forma una concentrazione C ◦ di base coniugata 3. La base coniugata ionizza parzialmente producendo un pH basico (probabilmente sapete anche che la concentrazione di equilibrio degli ioni OH − , nei √ ◦limiti di approssimazioni che vedremo piu’ in dettaglio, e’ data da C KB , dove KB e’ la costante di ionizzazione basica della base coniugata A− ) Non c’e’ nulla di sbagliato in questo ragionamento, ma vorrei farvi notare che esso rappresenta un’applicazione della proprieta’ appena discussa. Le condizioni iniziali date sono le seguenti: t=0 HA +OH − C◦ C◦ = H2 O H+ 0 = t=0 A− 0 +H2 O +OH − C◦ Da queste condizioni iniziali, voi ne costruite altre, equivalenti a quelle date, facendo procedere la reazione di neutralizzazione completamente verso destra: t=0 HA +OH − 0 0 = H2 O H+ 0 = t=0 A− C◦ +H2 O +OH − 0 e ragionate sulla seconda versione del problema, ottenendo, per quanto discusso in questa sezione, lo stesso risultato che avreste ottenuto considerando le condizioni iniziali date. 75. A conclusione di questa sezione vorrei sottolineare il fatto che la costruzione di condizioni iniziali equivalenti viene spesso sfruttata per offrire un ragionamento piu’ semplice, ma ha il risvolto negativo di allontanare dalla chimica che effettivamente ha luogo in un sistema. Tanto per restare nell’esempio della neutralizzazione dell’acido debole con la base forte, lo scenario chimico reale non e’ che tutto l’acido prima reagisce e poi, in un secondo tempo, la base coniugata riforma parzialmente l’acido di partenza (uso le frecce per mettere meglio in evidenza quanto detto): 27 HA + OH − A− + H2 O −→ A− + H2 O → ←− AH + OH − Il raggiungimento dell’equilibrio chimico non funziona con questo meccanismo “prima tutto avanti e poi un po’ indietro”. Lo scenario chimico reale e’ che il pH basico finale e’ dovuto al fatto che la reazione: HA + OH − = A− + H2 O semplicemente non e’ completa (la costante di equilibrio e’ grande, ma non infinita; e’ data da KA /KW : sapreste dimostrarlo?). Quindi, per raggiungere l’equilibrio, il sistema procede sempre “in avanti” (non torna mai “indietro”): semplicemente la reazione raggiunge l’equilibrio prima che tutti gli ioni OH − siano stati consumati. La frazione di ioni OH − non reagita determina il pH basico finale. 1.12 Esempi Concludiamo questa parte con una serie di esempi che mettono in evidenza l’applicazione del procedimento per punti visto alla sezione 1.6. 1.12.1 Ionizzazione di una base debole 76. Scrivere il sistema di equazioni risolvente per una soluzione contenente una ◦ concentrazione formale CB di una base debole B, con costante di ionizzazione basica KB . 1. Individuiamo le reazioni chimiche da considerare. Prima di tutto ci sara’ la ionizzazione della base debole: B + H2 O = BH + + OH − Poi ci sara’ l’autoionizzazione dell’acqua: H2 O = H + + OH − Si potrebbe anche includere la ionizzazione acida dell’acido coniugato: BH + = B + H+ 28 2. Trovare le reazioni indipendenti. E’ facile rendersi conto che delle tre reazioni rappresentate sopra, solo due sono indipendenti. Ad esempio, la ionizzazione acida di BH + si ottiene sommando l’autoionizzazione dell’acqua con l’inversa della ionizzazione basica: H2 O = H + + OH − − = = B + H2 O B + H+ + BH + OH BH + Quindi dobbiamo scegliere due sole equazioni chimiche: possiamo scegliere due qualsiasi fra le tre scritte. Ad esempio, possiamo prendere l’equazione per la ionizzazione basica e quella per l’autoionizzazione dell’acqua. 3. Scrivere le corrispondenti leggi dell’azione di massa: KB = KW = [BH + ] [OH − ] [B] + OH − H In totale ci sono 4 incognite: ci servono altre due equazioni. 4. La conoscenza della concentrazione iniziale della base debole ci consente di scrivere un’equazione per la conservazione della specie B, sia sottoforma di B che di BH + : ◦ CB = [B] + BH + 5. Infine, la quarta equazione e’ data dal bilancio di carica: H + + BH + = OH − Fine: abbiamo ottenuto il sistema di 4 equazioni nelle 4 incognite. KB = KW = ◦ CB + = + H + BH = 29 [BH + ] [OH − ] [B] + OH − H [B] + BH + OH − 1.12.2 Solubilizzazione del fluoruro di calcio: I 77. Scrivere il sistema risolvente per la saturazione di una soluzione acquosa con CaF2 . 78. Con questo esempio e il seguente mettiamo in evidenza come il trattamento di un sistema chimico di equilibrio dipenda prima di tutto dalle conoscenze chimiche di cui si dispone. 79. Supponiamo dapprima di ignorare che lo ione fluoruro ha caratteristiche basiche non trascurabili. Sotto queste ipotesi, l’unica reazione da considerare e’: = Ca2+ + 2F − CaF2(s) (Trascuriamo l’autoionizzazione dell’acqua: e’ banale rendersi conto che tale processo e’ disaccoppiato da quello su scritto) Le incognite sono due. Una equazione e’ fornita dalla legge dell’azione di massa: KSP = Ca2+ − 2 F dove KSP e’ il prodotto di solubilita’ di CaF2 . La seconda equazione e’ fornita dal bilancio di massa; data la stechiometria del processo, dovra’ essere: 2 Ca2+ = F− e abbiamo finito. (Notate che il bilancio di massa su scritto coincide con il bilancio di carica) 1.12.3 Solubilizzazione del fluoruro di calcio: II 80. Riconsideriamo il problema precedente, ma questa volta supponiamo di sapere che lo ione fluoruro ha caratteristiche basiche non trascurabili. Ora le reazioni da considerare diventano le seguenti: CaF2(s) F − + H2 O H2 O KSP = Ca2+ + 2F − KF − = HF + OH − KW H + + OH − = Notate che, siccome consideriamo la ionizzazione basica dello ione fluoruro, l’autoionizzazione dell’acqua non e’ piu’ disaccoppiata, a causa degli ioni OH − che partecipano all’equilibrio dello ione fluoruro. Le incognite da trovare diventano 5: Ca2+ , [F − ], [HF ], [H + ] e [OH − ]. Le 3 reazioni consentono di scrivere 3 equazioni relative alla legge dell’azione di massa: 30 KSP = KF − = KW = Ca2+ F− 2 [HF ] [OH − ] [F − ] + OH − H Attenzione al bilancio di massa. Non possiamo dire, come nel caso precedente, che la concentrazione di equilibrio di ioni fluoruro e’ il doppio di quella degli ioni calcio, perche’ una frazione degli ioni fluoruro si e’ trasformata in acido fluoridrico a causa della ionizzazione basica (che prima ignoravamo). Quindi: 2 Ca2+ 6= F − (in particolare, sara’: 2 Ca2+ > [F − ], per il motivo appena detto) Pero’ possiamo dire che il rapporto 1 : 2 deve valere fra la concentrazione di ioni calcio e la concentrazione di tutta la specie F , sia essa sotto forma di ione F − che sottoforma di HF . Cioe’: 2 Ca2+ = F − + [HF ] e questa e’ la quarta equazione. Infine, possiamo scrivere il bilancio di carica, che, diversamente dal caso precedente, e’ ora un’equazione indipendente dal bilancio di massa: In definitiva: H + + 2 Ca2+ = KSP = KF − = KW = 2+ 2 Ca = + 2+ = H + 2 Ca OH − + F − Ca2+ F− 2 [HF ] [OH − ] [F − ] + H OH − − F + [HF ] OH − + F − che sono 5 equazioni per le 5 incognite da trovare. 81. Notate come l’impostazione del trattamento, e, di conseguenza, la bonta’ dei risultati ottenibili, dipendano prima di tutto dalle nostre conoscenza chimiche: piu’ conosciamo la chimica dei componenti di un sistema, e maggiore sara’ il dettaglio con cui saremo in grado di descrivere cio’ che nel sistema avviene (le possibili reazioni). 31 1.12.4 Solubilizzazione del solfuro di zinco 82. Scrivere il sistema di equazioni da cui si possono calcolare le concentrazioni di equilibrio di tutte le specie che si formano in una soluzione saturata con ZnS. Considerare che: • lo ione solfuro e’ una base debole diprotica • lo ione zinco puo’ dare idrolisi acida per stadi successivi fino a formare lo ione tetraidrossozincato: Zn (OH)2− 4 Tutte le costanti di equilibrio necessarie si suppongono note. 83. Sulla base di quanto sopra, le reazioni indipendenti da considerare saranno: KSP Zn2+ + S 2− S 2− + H2 O KS 2− = HS − + OH − HS − + H2 O KHS − = H2 S + OH − Zn2+ + H2 O K1 = ZnOH + + H + ZnOH + + H2 O K2 = Zn (OH)2(aq) + H + K3 = Zn (OH)3 + H + K4 Zn (OH)4 + H + KW H + + OH − = ZnS(s) Zn (OH)2(aq) + H2 O − = Zn (OH)3 + H2 O H2 O = − 2− 84. Notate che: • la specie Zn (OH)2(aq) scritta sopra non e’ idrossido di zinco solido, ma uno ione zinco(II) coordinato da due leganti OH − in soluzione • quelle scritte sopra sono tutte e sole le reazioni indipendenti. Qualsiasi altra, ad esempio la ionizzazione acida dell’acido solfidrico: H2 S = HS − + H + , e’ combinazione di quelle gia’ scritte. Convincetevene. Le incognite da trovare sono 10: 2+ Zn 2− S [HS − ] [H2 S] [ZnOH + ] h i Zn (OH)2(aq) h i − Zn (OH)3 h i 2− Zn (OH)4 [H + ] [OH − ] 32 e quindi servono 10 equazioni indipendenti. 8 equazioni sono fornite dalle espressioni della legge dell’azione di massa per le 8 reazioni su scritte. Per il bilancio di massa, analogamente all’esempio precedente, non possiamo dire che: 2+ Zn = S 2− (1.17) perche’ sia gli ioni zinco che gli ioni solfuro vengono in parte consumati dalle reazioni su scritte. Pero’ possiamo dire che la concentrazione di tutta la specie Zn, sottoforma di tutte le specie chimiche che la contengono, deve essere uguale alla concentrazione di tutta la specie S, sottoforma di tutte le specie chimiche che la contengono; cioe’: i h Zn2+ + ZnOH + + Zn (OH)2(aq) h i h i − 2− + Zn (OH)3 + Zn (OH)4 Infine, abbiamo il bilancio di carica: H + + 2 Zn2+ + ZnOH + = Riportiamo il sistema finale: Zn 2+ + ZnOH + = S 2− + HS − + [H2 S] i h i h 2− OH − + Zn (OH)− 3 + 2 Zn (OH)4 +2 S 2− + HS − KSP = KS 2− = KHS − = K1 = K2 = K3 = K4 = KW = h i + Zn (OH)2(aq) 33 2+ 2− S Zn [HS − ] [OH − ] [S 2− ] [H2 S] [OH − ] [HS − ] [ZnOH + ] [H + ] [Zn2+ ] h i Zn (OH)2(aq) [H + ] [ZnOH + ] h i − Zn (OH)3 [H + ] h i Zn (OH)2(aq) h i Zn (OH)2− [H + ] 4 h i − Zn (OH)3 + OH − H h i h i − 2− + Zn (OH)3 + Zn (OH)4 = 2+ + + ZnOH + = H + 2 Zn 85. Lungo, forse, ma non difficile. 1.12.5 2− + HS − + [H2 S] S i h i h 2− OH − + Zn (OH)− 3 + 2 Zn (OH)4 +2 S 2− + HS − Ionizzazione di un acido diprotico 86. Scrivere il sistema di equazioni da cui si possono calcolare le concentrazioni di equilibrio di tutte le specie presenti in una soluzione contenente una concen◦ trazione formale CH dell’acido diprotico H2 A, con costanti di prima e seconda 2A ionizzazione acida K1 e K2 , rispettivamente. E’ facile rendersi conto che le reazioni indipendenti sono quelle rappresentate da: H2 A = − HA H2 O = = H + + HA− H + + A2− H + + OH − Verificate che tutte le altre reazioni che si possono pensare sono ottenibili come combinazione di queste (ad esempio, la ionizzazione basica di AH − : AH − + H2 O = H2 A + OH − , e cosi’ via). Le incognite da trovare sono 5: [H2 A] − [HA 2− ] A [H + ] [OH − ] 3 equazioni sono fornite dall’espressione della legge dell’azione di massa per le 3 reazioni rappresentate sopra. Un’ulteriore equazione e’ fornita dalla conservazione della massa del fram− mento 2− A, che sara’ ripartito fra le 3 specie in soluzione: [H2 A], [HA ] e A . ◦ CH 2A [H2 A] + HA− + A2− = Infine, c’e’ il vincolo della elettroneutralita’ della soluzione: OH − + HA− + 2 A2− (Notate il fattore 2 che moltiplica A2− ) In definitiva: H+ = 34 K1 = K2 = KW = ◦ CH 2A + = H 1.12.6 = [HA− ] [H + ] [H2 A] 2− + A [H ] [HA− ] + OH − H [H2 A] + HA− + A2− OH − + HA− + 2 A2− Ionizzazione di un acido triprotico 87. Scrivere il sistema di equazioni da cui si possono calcolare le concentrazioni di equilibrio di tutte le specie presenti in una soluzione contenente concentra◦ ◦ ◦ ◦ zioni formali CH , CN aH2 A , CN a2 HA e CN a3 A dell’acido triprotico H3 A e di 3A tutti i suoi possibili sali sodici. Le costanti di ionizzazione acida di H3 A sono, rispettivamente, K1 , K2 e K3 . Questo problema e’ una semplice estensione di quello precedente. Le reazioni indipendenti sono rappresentate da: H3 A = H + + H2 A− H2 A− HA2− = H + + HA2− = H + + A3− H2 O = H + + OH − Per favore, rendetevi ben conto che avremmo potuto scegliere come reazioni indipendenti anche le seguenti: H3 A = H + + H2 A− H2 A− + H2 O HA2− + H2 O = = H3 A + OH − H2 A− + OH − A3− + H2 O = HA2− + OH − o qualsiasi altra combinazione. Le incognite da trovare sono 6: [H3 A] − [H2 A2−] HA A3− [H + ] [OH − ] 4 equazioni sono fornite, ormai dovrebbe risultarvi banale, dall’espressione della legge dell’azione di massa per le 4 reazioni indipendenti scritte sopra. 35 Per il bilancio di massa il ragionamento e’ il seguente. Non possiamo conservare ogni singola concentrazione iniziale, perche’ ciascuna specie di partenza H3 A, N aH2 A, N a2 HA e N a3 A si ripartisce fra tutte le specie chimiche contenenti il frammento A in soluzione. Pero’ possiamo ben dire che la somma di tutte le concentrazioni iniziali delle specie contenenti il frammento A si conserva; cioe’: = [H3 A] + H2 A− + HA2− + A3− ◦ ◦ ◦ ◦ CH + CN aH2 A + CN a2 HA + CN a3 A 3A Infine c’e’ il bilancio di carica. Anche qui c’e’ da fare attenzione: fra le cariche positive si devono contare anche gli ioni N a+ provenienti dalla ionizzazione completa dei vari sali: H + + N a+ = OH − + H2 A− + 2 HA2− + 3 A3− (notate i moltiplicatori per gli ioni polivalenti) Sembrerebbe che col bilancio di carica abbiamo introdotto una settima incognita: [N a+ ]. In realta’, la concentrazione di equilibrio degli ioni N a+ e’ nota a priori, assumendo che la ionizzazione dei diversi sali sia completa. In altre parole, esiste un secondo bilancio di massa, relativo alla concentrazione degli ioni N a+ . ◦ ◦ ◦ CN aH2 A + 2CN a2 HA + 3CN a3 A = N a+ (non dovrebbero esserci dubbi sul significato dell’equazione su scritta) Quindi, l’equazione del bilancio di carica assume la forma: ◦ ◦ ◦ H + + CN aH2 A + 2CN a2 HA + 3CN a3 A = OH − + H2 A− + 2 HA2− + 3 A3− Alternativamente, in modo piu’ formale, si possono considerare 7 incognite (le 6 scritte prima piu’ la concentrazione di equilibrio degli ioni N a+ ) e prendere il bilancio di massa per gli ioni N a+ come settima equazione indipendente. Concludendo, il sistema risolvente per questo problema e’: ◦ CH A 3 + H + ◦ + CN aH2 A ◦ CN aH2 A + K1 = K2 = K3 = KW ◦ ◦ + CN a2 HA + CN a3 A ◦ ◦ 2CN a2 HA + 3CN a3 A = 36 = = [H2 A− ] [H + ] [H3 A] HA2− [H + ] [H2 A− ] 3− + A [H ] 2− H + A H OH − [H3 A] + H2 A− + HA2− + A3− OH − + H2 A− + 2 HA2− + 3 A3− 1.12.7 Soluzione tampone 88. Scrivere il sistema di equazioni da cui si possono calcolare le concentrazioni di equilibrio di tutte le specie presenti in una soluzione tampone preparata ◦ ◦ sciogliendo in acqua concentrazioni formali CHA e CN aA dell’acido debole HA e del suo sale sodico N aA. La costante di ionizzazione acida di HA e’ KA . Questo problema non presenta nulla di nuovo rispetto a quelli gia’ visti. Ci sono solo 2 reazioni indipendenti. Possiamo scegliere quelle rappresentate da: H + + A− H + + OH − HA = H2 O = Le incognite da trovare sono 4: [HA] [A− ] [H + ] [OH − ] Oltre alle 2 equazioni derivanti dall’espressione della legge dell’azione di massa, ci sara’ il bilancio di massa: ◦ ◦ CHA + CN aA = [HA] + A− e quello di carica: ◦ H + + CN aA = OH − + A− ◦ + dove CN aA e’ la concentrazione degli ioni N a , assumendo, come e’ lecito assumere, che la ionizzazione del sale N aA sia completa In definitiva: ◦ CHA + H 1.12.8 + + KA = KW = ◦ CN aA ◦ CN aA = = [A− ] [H + ] [HA] + H OH − [HA] + A− OH − + A− Formazione di complessi 89. Scrivere il sistema di equazioni da cui si possono calcolare le concentrazioni di equilibrio di tutte le specie presenti in una soluzione contenente con◦ ◦ centrazioni formali CH e CM(N O3 ) dell’acido debole diprotico H2 L e del 2L 3 37 sale completamente solubile M (N O3 )3 (M 3+ e’ un generico ione metallico trivalente). Le costanti di ionizzazione acida dell’acido debole sono, rispettivamente, K1 e K2 . Il dianione dell’acido debole reagisce con lo ione metallico trivalente per dare un complesso di stechiometria (1 : 1): M 3+ + L2− = M L+ La costante di formazione del complesso e’ K. Prima di tutto individuiamo le reazioni indipendenti. Ci saranno le due ionizzazioni acide, la formazione del complesso e la solita autoionizzazione dell’acqua. H2 L = HL− = M 3+ + L2− H2 O = = H + + HL− H + + L2− M L+ H + + OH − A voi verificare che queste sono tutte e sole le reazioni indipendenti: qualsiasi altra reazione e’ esprimibile come combinazione di queste. Le incognite da trovare sono 7: [H2 L] − [HL 2− ] L 3+ M [M L+ ] [H + ] [OH − ] Come gia’ fatto in altri casi precedenti, non consideriamo la concentrazione di equilibrio degli ioni nitrato come un’incognita: essi non sono implicati in alcun equilibrio e, sotto l’ipotesi fatta che la ionizzazione del sale sia completa, la loro concentrazione di equilibrio coincide semplicemente con la loro concentrazione formale, ricavabile in modo elementare dalla stechiometria del sale e dalla sua concentrazione formale: N O3− ◦ = 3CM(N O3 ) 3 Oltre alle 4 equazioni derivanti dall’applicazione della legge dell’azione di massa, ci saranno 2 equazioni di bilancio di massa. Una per il frammento L: ◦ CH 2L = [H2 L] + HL− + L2− + M L+ 38 e una per il frammento M : ◦ CM(N O3 ) 3 = 3+ + M L+ M Infine, va considerato il bilancio di carica: H + + 3 M 3+ + M L+ = ◦ − + 2 L2− OH − + 3CM(N O3 ) + HL 3 ◦ (il termine 3CM(N O3 )3 rappresenta la concentrazione di carica negativa dovuta agli ioni nitrato, come detto prima). Il sistema finale e’ dunque: H + 1.12.9 K1 = K2 = K = KW = ◦ CH 2L = ◦ CM(N O3 )3 = 3+ + = + ML +3 M [HL− ] [H + ] [H2 L] 2− + L [H ] [HL− ] [M L+ ] [M 3+ ] [L2− ] + H OH − [H2 L] + HL− + L2− + M L+ 3+ M + M L+ − ◦ + 2 L2− OH − + 3CM(N O3 )3 + HL Due reazioni simultanee non ioniche 90. Da ultimo, analizziamo il problema gia’ presentato alla sezione 1.5.1 per discutere l’equilibrio di piu’ reazioni simultanee. In quell’occasione era stato presentato solo il risultato numerico finale per sottolineare il fatto che, se una specie partecipa a piu’ di una reazione indipendente, la sua concentrazione di equilibrio soddisfa, contemporaneamente, tutte le equazioni della legge dell’azione di massa che la coinvolgono. Ora vediamo come si scrive il sistema che risolve rigorosamente il problema. Enunciamo nuovamente il problema per comodita’. In un sistema chimico avvengono le due reazioni rappresentate da: A + 2B 2X + 3B ◦ CB K1 = K2 = C + 3D 5Y + Z ◦ Supponiamo di conoscere le concentrazioni iniziali di tutti i reagenti: CA , ◦ e CX . 39 Obiettivo: ricavare il sistema di equazioni risolvente. Le incognite da trovare sono 7: [A] [B] [C] [D] [X] [Y ] [Z] 2 equazioni sono fornite, come al solito, dall’espressione della legge dell’azione di massa. Ne servono altre 5. Notate che in questo caso, l’autoionizzazione dell’acqua e’ disaccoppiata dalle reazioni su scritte (in realta’ non e’ necessario sapere neppure se le due reazioni avvengono in soluzione o in fase gassosa): quindi l’equazione del prodotto ionico dell’acqua non va considerata. Inoltre, vedete che nelle due equazioni non compaiono specie ioniche e quindi anche un’eventuale equazione del bilancio di carica e’ disaccoppiata dal sistema a cui siamo interessati e quindi non va considerata. Le 5 equazioni mancanti sono fornite tutte da altrettanti bilanci di massa. Prima di tutto, 2 equazioni sono fornite dal vincolo stechiometrico che lega i prodotti delle reazioni. Siccome la concentrazione iniziale di tutti i prodotti e’ nulla, e’ chiaro che i prodotti dovranno formarsi in rapporto stechiometrico (badate: questo non sarebbe vero se la concentrazione iniziale di uno o piu’ prodotti fosse non nulla; in questo caso, il bilancio di massa dovrebbe essere impostato diversamente: provate a farlo per esercizio); il rapporto di concentrazione dei prodotti deve restare inalterato in qualsiasi istante della reazione e in particolare all’equilibrio. Quindi: [D] = 3 [C] [Y ] = 5 [Z] La stechiometria stabilisce anche delle relazioni indipendenti fra i reagenti e i prodotti di ciascuna reazione. Ad esempio, prendiamo la prima reazione. E’ chiaro che la concentrazione di A che viene consumata deve essere uguale a quella di C che viene prodotta (naturalmente, potremmo ragionare in modo equivalente sulle concentrazioni di A e D). Questo vincolo e’ sicuramente indipendente dai primi due perche’ questi ultimi non contengono la variabile [A] (e quindi questo vincolo non e’ in alcun modo ottenibile da una combinazione dei primi due). Come si esprime matematicamente quanto appena detto? Conosciamo la concentrazione iniziale della specie A. Quindi: concentrazione consumata di 40 A = concentrazione prodotta di C concentrazione concentrazione iniA rimasta − di ziale di A all’equilibrio = concentrazione di C all’equilibrio ◦ CA − [A] = [C] Un vincolo analogo si ricava dalla seconda equazione chimica. In questo caso, la concentrazione di X consumata deve essere uguale al doppio della concentrazione di Z prodotta (equivalentemente: la concentrazione di X consumata deve essere uguale ai 2/5 della concentrazione di Y prodotta). Quindi, analogamente al caso precedente: concentrazione consumata di X concentrazione concentrazione iniX rimasta − di ziale di X all’equilibrio = 2× concentrazione prodotta di = 2× concentrazione di Z all’equilibrio ◦ CX − [X] = 2 [Z] Finora abbiamo 6 equazioni. L’ultima equazione dovra’ coinvolgere la concentrazione della specie B, che finora non compare in nessuno dei bilanci di massa. Il bilancio di massa per B e’ complicato (si fa per dire) dal fatto che B partecipa ad entrambe le reazioni. L’equazione che scriveremo deve esprimere il fatto che la concentrazione totale di B consumata deve essere ritrovata in parte sotto forma dei prodotti della prima reazione e in parte sotto forma dei prodotti della seconda reazione: prodotti reazione = consumo totale di B + della prima prodotti della seconda reazione Ora, la concentrazione di B consumata nella prima reazione deve essere uguale al doppio della concentrazione di C prodotta (cioe’ la concentrazione di C all’equilibrio); analogamente, la concentrazione di B consumata nella seconda reazione deve essere uguale al triplo della concentrazione di Z prodotta (cioe’ la concentrazione di Z all’equilibrio). Quindi possiamo procedere scrivendo: consumo totale di B 2× concentrazione prodotta di C +3 × concentrazione prodotta di Z = = 2 [C] + 3 [Z] 41 Z Infine, resta da osservare che la concentrazione totale di B consumata in entrambe le reazioni e’ semplicemente uguale alla differenza fra la concentrazione iniziale di B e la concentrazione di B rimasta all’equilibrio. Quindi: ◦ CB − [B] = 2 [C] + 3 [Z] e questa e’ l’ultima equazione che dovevamo trovare. In conclusione, il sistema finale e’: K1 = K2 = [C] [D]3 2 [A] [B] 5 [D] = [Y ] = ◦ CA − [A] = ◦ CX − [X] = ◦ CB − [B] = [Y ] [Z] 2 3 [X] [B] 3 [C] 5 [Z] [C] 2 [Z] 2 [C] + 3 [Z] Come gia’ osservato, tenete presente che le equazioni per il bilancio di massa su scritte non sono le uniche possibili, ma sono fra loro indipendenti. Ad esempio, al posto della: ◦ CA − [A] = [C] avremmo potuto scrivere: ◦ CA − [A] = 1 [D] 3 E’ piuttosto semplice convincersi che questa equazione si puo’ ottenere da una combinazione delle equazioni del sistema finale (fatelo!). 1.13 Il trattamento approssimato dei problemi di equilibrio 91. Nelle sezioni precedenti spero di avervi convinto che i problemi di equilibrio si possono trattare in modo rigoroso e sistematico: una volta individuate le reazioni chimiche indipendenti, si scrivono le espressioni della legge dell’azione di massa, i bilanci di massa e/o carica e si arriva sempre ad un sistema di equazioni ben posto, in cui il numero di equazioni e’ uguale al numero delle incognite da trovare. 42 92. Questo metodo, tuttavia, ha lo svantaggio, a cui abbiamo gia’ accennato, che molto raramente il sistema di equazioni a cui si arriva e’ risolvibile per via analitica: praticamente sempre bisogna ricorrere ad una soluzione numerica, il che vuol dire che bisogna conoscere un algoritmo per la soluzione numerica di sistemi non lineari e programmare questo algoritmo in un computer. Tutto cio’ non sempre e’ facile o agevole. 93. In questa e nelle sezioni seguenti introdurremo un metodo approssimato per trattare i problemi di equilibrio. Lapalissianamente, un metodo approssimato non e’ rigoroso, e questo rappresenta il suo svantaggio. Tuttavia, il metodo che introdurremo ha l’enorme vantaggio di consentire il trattamento di un problema di equilibrio in modo estremamente veloce e senza alcun bisogno di ricorrere a metodi numerici: cio’ che serve e’ semplicemente un foglio di carta e una matita. A questo va aggiunto che le approssimazioni del metodo introducono degli errori che generalmente sono trascurabili per tutti gli scopi usuali. 1.13.1 L’approssimazione dell’equilibrio prevalente 94. Una prima approssimazione che molto spesso e’ possibile fare viene talvolta citata come approssimazione dell’“equilibrio prevalente”. L’idea di base e’ molto semplice: se fra tutte le reazioni indipendenti che avvengono in un dato sistema chimico una ha una costante di equilibrio molto maggiore delle altre e i suoi reagenti non sono troppo diluiti, si puo’ assumere che i cambiamenti di concentrazione dovuti alle altre reazioni siano trascurabili rispetto a quelli dovuti alla reazione con costante di equilibrio molto maggiore. Detto in altri termini, si puo’ assumere che tutto funzioni come se avvenisse solo la reazione con costante di equilibrio grande e tutte le altre non avessero luogo. 95. Vediamo subito un esempio concreto di applicazione di questa approssimazione, che sicuramente avete gia’ visto. Consideriamo la ionizzazione dell’acido acetico in soluzione acquosa. L’acido acetico e’ l’acido debole per antonomasia; e’ un acido organico monoprotico la cui formula di struttura e’: H3 C O C1 11 O H Siccome ad un esame ho sentito dire che l’acido acetico e’ un acido tetraprotico (evidentemente perche’ nella formula ci sono 4 atomi di idrogeno), lo metto qui, nero su bianco: in soluzione acquosa l’acido acetico e’ un acido monoprotico; il protone interessato alla ionizzazione e’ quello in grassetto nella formula di struttura; i tre atomi di idrogeno legati all’atomo di carbonio non hanno caratteristiche acide apprezzabili in acqua. La reazione di ionizzazione acida dell’acido acetico e’ rappresentata dalla seguente equazione: 43 H3 C O C1 11 = H3 C O C1 1 O− H O + H+ La costante di ionizzazione acida dell’acido acetico e’ KA = 1.8 × 10−5 . ◦ 96. Consideriamo una soluzione di acido acetico di concentrazione iniziale CHA = 0.1 mol/L (indichiamolo concisamente con HA). Abbiamo gia’ visto questo caso in generale alla sezione 1.5.2 e il sistema completo per la risoluzione del problema e’: KA = KW = ◦ CHA + = H = [A− ] [H + ] [HA] + OH − H [HA] + A− OH − + A− 97. Applichiamo ora l’approssimazione dell’equilibrio prevalente: il rapporto fra KA e KW vale: KA KW = = 1.8 × 10−5 1.0 × 10−14 1.8 × 109 cioe’, la costante di ionizzazione acida dell’acido acetico e’ quasi due miliardi di volte piu’ grande della costante di autoprotolisi dell’acqua. Come detto sopra, proviamo quindi ad assumere che l’equilibrio di autoionizzazione dell’acqua non avvenga. 98. Quali sono le conseguenze di questa assunzione? Essenzialmente ce ne e’ una sola: possiamo assumere che la concentrazione degli ioni che provengono dall’autoionizzazione dell’acqua sia nulla. Come si modifica il sistema su scritto sotto l’ipotesi semplificativa fatta? In pratica sparisce l’espressione della legge dell’azione di massa per l’acqua e sparisce la concentrazione di ioni ossidrile dalle incognite (perche’ l’unica fonte di ioni ossidrile e’ l’acqua). In definitiva il sistema si riduce a: KA = ◦ CHA = + H = [A− ] [H + ] [HA] [HA] + A− − A (1.18) (1.19) 99. Vedete che il bilancio di massa per la concentrazione totale del frammento A e’ rimasta invariata, mentre il bilancio di carica afferma ora che le concentrazioni di equilibrio degli ioni idronio e degli ioni acetato sono uguali; questo 44 e’ perfettamente in accordo con l’ipotesi fatta: se trascuriamo l’autoprotolisi dell’acqua, non ci sono ioni OH − da considerare e gli ioni idrogeno e acetato si formano solo dall’equilibrio di ionizzazione dell’acido acetico; le loro concentrazioni rimangono in ogni istante nel rapporto stechiometrico di 1 : 1 (questo non sarebbe vero se si considerasse anche l’autoionizzazione dell’acqua, perche’ in tal caso gli ioni acetato si formerebbero solo dall’acido acetico, mentre gli ioni idronio si formerebbero sia dall’acido acetico che dall’acqua). Notate che il bilancio di carica e’ diventato identico (sotto l’ipotesi fatta) al bilancio di massa per le specie H + e A− derivante dalla stechiometria dell’unica reazione che le produce. L’approssimazione dell’equilibrio prevalente ha semplificato il problema originario da un problema di 4 equazioni in 4 incognite ad un problema di solo 3 equazioni in 3 incognite. Anche la soluzione del sistema diventa molto piu’ semplice. La terza equazione esprime [A− ] in funzione di [H + ]. Sostituendo la terza equazione nella seconda ed isolando [HA] si ottiene: [HA] = ◦ CHA − H+ Sostituendo le espressioni per [A− ] e [HA] cosi’ trovate nella prima equazione e riordinando si arriva facilmente a: H+ 2 ◦ + KA H + − KA CHA = 0 che e’ un’equazione di secondo grado, risolvibile con carta e matita (se ritornate alla soluzione rigorosa della sezione 1.5.2 vedrete che in quel caso l’equazione finale era di terzo grado). 1.13.2 Il metodo della tabella 100. Nella sezione precedente abbiamo introdotto l’approssimazione dell’equilibrio prevalente e abbiamo messo in evidenza le implicazioni di tale approssimazione nell’ambito del trattamento rigoroso che avevamo gia’ discusso. 101. Tuttavia, quando ci si riduce a trattare un singolo equilibrio, esiste un metodo molto veloce e semplice per ottenere le concentrazioni incognite. Probabilmente, anche questo lo avete gia’ incontrato. 102. Gli stadi principali di questo procedimento possono essere cosi’ schematizzati in generale: 1. Scrivete l’equazione che rappresenta la reazione considerata e assicuratevi che sia correttamente bilanciata 2. Sulla riga sottostante riportate per ciascun partecipante alla reazione, la corrispondente concentrazione (o pressione parziale) iniziale. Questa riga indica le condizioni iniziali e viene contrassegnata con t = 0. E’ importante avere un’idea chiara di cosa vuol dire “condizioni iniziali”: in tali condizioni, tutti i componenti del sistema in esame sono stati mescolati, ma non hanno ancora cominciato a reagire 3. Valutate il verso in cui procedera’ la reazione per raggiungere l’equilibrio. Questo dipende chiaramente dalle concentrazioni iniziali: ad esempio, se 45 la concentrazione (o pressione parziale) di un partecipante alla reazione e’ nulla allora la reazione evolvera’ necessariamente nel verso che porta alla sua formazione. Se nessuna concentrazione iniziale e’ nulla, si deve valutare il quoziente di reazione e confrontarlo con la costante di equilibrio. Oppure, sfruttando la proprieta’ discussa alla sezione 1.11, a partire dalle condizioni iniziali date si possono costruire nuove condizioni iniziali in cui una o piu’ concentrazioni iniziali siano nulle e quindi il verso della reazione sia inequivocabile. 4. Ora scegliete un’incognita: potrebbe essere la concentrazione di un componente all’equilibrio oppure la quantita’ di un componente che viene consumata o prodotta per il raggiungimento dello stato di equilibrio. Siete completamente liberi nella scelta dell’incognita 5. A questo punto utilizzate la stechiometria della reazione per esprimere tutte le concentrazioni di equilibrio in funzione dell’incognita che avete scelto; riportate tali concentrazioni su una riga successiva, contraddistinta da t = ∞ (questa notazione sta ad indicare che e’ trascorso tutto il tempo necessario al raggiungimento dell’equilibrio) 6. Se un partecipante alla reazione e’ un solido o un liquido puro, oppure e’ il solvente di una soluzione diluita, non serve considerarlo, poiche’ esso non entra nella legge dell’azione di massa (punto 6) 7. Inserite le concentrazioni di equilibrio (tutte espresse in funzione dell’incognita che avete scelto al punto 4) nella legge dell’azione di massa: in tal modo otterrete un’equazione da cui potrete ricavare il valore numerico dell’incognita (attenzione: non sempre l’equazione che si ottiene e’ risolvibile in modo semplice) 8. Se l’equazione ammette piu’ soluzioni (ad esempio un’equazione di secondo grado o superiore) deve essere possibile scartare tutte le soluzioni tranne una (molto spesso, ad esempio, solo una soluzione e’ positiva mentre le altre sono tutte negative e quindi non hanno significato fisico se l’incognita scelta era una concentrazione) 9. Infine, sostituite a ritroso il valore numerico ottenuto nelle varie espressioni delle concentrazioni finali (quelle a t = ∞) per trovare tutte le altre concentrazioni di equilibrio 103. Puo’ sembrare complicato, ma non lo e’ (e sicuramente lo avete gia’ utilizzato). Applichiamo il procedimento punto per punto alla ionizzazione dell’acido acetico. Abbiamo visto che l’approssimazione dell’equilibrio prevalente ci consente di considerare solo l’equilibrio di ionizzazione dell’acido. Allora: 1. Scriviamo l’equazione chimica da trattare e bilanciamola: HA = 46 H + + A− 2. Scriviamo la riga delle condizioni iniziali: t=0 HA ◦ CHA = H+ 0 +A− 0 3. Valutiamo il verso in cui procedera’ la reazione. Siccome le concentrazioni iniziali degli ioni H + e A− sono entrambe nulle, e’ banale osservare che la reazione procedera’ verso destra. 4. Scegliamo un’incognita. Come detto, siamo completamente liberi nella scelta. Ad esempio, prendiamo come incognita la concentrazione di equilibrio degli ioni H + , che indicheremo con x. 5. Ora esprimiamo tutte le concentrazioni di equilibrio in funzione dell’incognita scelta. A questo scopo, e’ sufficiente sfruttare la stechiometria della reazione; notate che questo e’ possibile grazie al fatto che stiamo considerando un unico equilibrio. Nel caso in esame, le cose sono particolarmente semplici. Avendo indicato con x la concentrazione di equilibrio degli ioni H + e osservando che gli ioni H + e A− vengono formati in rapporto 1 : 1, e’ ovvio che anche la concentrazione di equilibrio degli ioni A− dovra’ essere uguale a x. Per la concentrazione di equilibrio dell’acido acetico indissociato, basta osservare che essa sara’ uguale a quella iniziale diminuita della concentrazione che ha reagito; ma quest’ultima, sempre in virtu’ del rapporto stechiometrico 1 : 1 fra acido acetico indissociato e ioni H + , e’ uguale alla concentrazione di equilibrio di questi ultimi, cioe’ di nuovo x; in definitiva, la concentrazione ◦ di equilibrio dell’acido acetico indissociato e’ CHA − x. Riportiamo le concentrazioni di equilibrio espresse in funzione di x su una seconda riga, contraddistinta da t = ∞: HA = ◦ t=0 CHA ◦ t = ∞ CHA −x H+ 0 x +A− 0 x 6. Nella reazione in esame non ci sono partecipanti che siano solidi o liquidi puri. 7. Ora inseriamo le espressioni trovate per le concentrazioni di equilibrio nella legge dell’azione di massa: KA = = Riordiniamo: 47 [H + ] [A− ] [HA] xx ◦ CHA − x KA = x2 ◦ CHA −x = x2 = x2 ◦ KA (CHA − x) ◦ KA CHA − KA x ◦ x2 + KA x − KA CHA = 0 x = −KA ± p 2 + 4K C ◦ KA A HA 2 8. L’equazione ammette 2 soluzioni per x, ma, chiaramente, quella corrispondente al segno negativo davanti al radicale e’ negativa e quindi va scartata (ricordate che x e’ una concentrazione e quindi non puo’ essere negativa). Quindi rimane una sola possibilita’: x = = = −KA + p 2 + 4K C ◦ KA A HA 2 q −1.8 × 10−5 + 2 (1.8 × 10−5 ) + 4 × 1.8 × 10−5 × 0.1 2 1.33 × 10−3 mol/L 9. Non resta che sostituire a ritroso per trovare le altre concentrazioni di equilibrio. La concentrazione di equilibrio degli ioni A− e’ banalmente uguale al valore numerico appena trovato. Per la concentrazione di equilibrio dell’acido acetico indissociato si avra’: [HA] = = = ◦ CHA −x 0.1 − 1.33 × 10−3 9.867 × 10−2 mol/L 104. In pratica, il metodo della tabella ora visto e’ un’applicazione “rapida” del trattamento rigoroso nel caso di una singola reazione. Se abbiamo a che fare con una sola reazione, il metodo rigoroso prevede un sistema di equazioni contenente l’espressione della legge dell’azione di massa e tutti i possibili bilanci di massa. Allora, con l’aiuto della tabella, si utilizzano automaticamente tutte le equazioni di bilancio di massa per esprimere tutte le concentrazioni di equilibrio in funzione di una sola di esse (o comunque in funzione di un’unica incognita da cui tutte le concentrazioni di equilibrio dipendono). Infine, come ultimo step, si inseriscono le espressioni cosi’ determinate nella legge dell’azione di massa. Se riguardate la sezione 1.13.1 dovrebbe esservi chiaro che nello scrivere la riga corrispondente a t = ∞ della nostra tabella non abbiamo fatto altro che applicare le due equazioni del bilancio di massa 1.18 e 1.19. Facciamo ora qualche puntualizzazione, restando nell’esempio appena considerato. 48 Condizioni iniziali 105. Al punto 102 (punto 2 della procedura generale) abbiamo sottolineato l’importanza di capire bene cosa significa “condizioni iniziali” di un sistema di equilibrio. Lo ripetiamo in questa sezione e cerchiamo di chiarirlo ulteriormente con un esempio. L’istante t = 0 a cui tutte le reazioni di un sistema chimico iniziano ad avvenire (in tale istante, in generale, il sistema NON e’ all’equilibrio) va interpretato nel modo seguente: tutti i componenti del sistema chimico sono stati messi a contatto e il sistema e’ omogeneo, ma nessuna reazione e’ ancora iniziata. Il concetto non e’ puramente teorico, ma ha delle implicazioni “concrete” sull’impostazione dei calcoli. Per esemplificare, consideriamo il caso in cui un volume VA◦ di una soluzione contenente il reagente A in concentrazione formale ◦ CA viene mescolato con un volume VB◦ di una soluzione contenente il reagente ◦ B in concentrazione formale CB . A e B reagiscono secondo la seguente equazione: A+B = C In questo caso, le concentrazioni iniziali da considerare per A e B NON sono ◦ ◦ CA e CB , rispettivamente, perche’ dopo il mescolamento delle due soluzioni, il volume totale e’ aumentato e quindi entrambe le concentrazioni date sono di∗ ∗ minuite. E’ facile realizzare che le concentrazioni CA e CB dopo mescolamento sono date da: ∗ CA = ∗ CB = ◦ ◦ CA VA ◦ VA + VB◦ ◦ ◦ CB VB VA◦ + VB◦ e queste sono le condizioni iniziali da considerare. Quindi la tabella per il trattamento del problema sara’ (scegliendo come incognita la concentrazione di equilibrio del prodotto C): t=0 t=∞ A +B ◦ CA VA◦ VA◦ +VB◦ ◦ CB VB◦ VA◦ +VB◦ ◦ CA VA◦ VA◦ +VB◦ −x ◦ CB VB◦ VA◦ +VB◦ = −x C 0 x La scelta dell’incognita e’ arbitraria 106. Come abbiamo detto, la scelta dell’(unica) incognita del problema e’ completamente arbitraria, purche’, naturalmente, i bilanci di massa basati su di essa siano fatti in modo corretto. Per chiarire meglio questo punto, riprendiamo l’esempio dell’acido acetico e scegliamo come incognita la concentrazione di acido acetico all’equilibrio. La tabella si modifica nel modo seguente: 49 HA ◦ t = 0 CHA t=∞ x = H+ 0 ? +A− 0 ? Cosa dobbiamo mettere in questo caso al posto dei punti di domanda? Basta sempre tenere presente la stechiometria della reazione. Innazitutto vale sempre la considerazione che le concentrazioni di equilibrio degli ioni H + e A− devono essere uguali. Avendo posto la concentrazione di equilibrio dell’acido indissociato uguale a x, possiamo dire che la concentrazione di equilibrio degli ioni H + sara’ uguale alla concentrazione di acido che ha reagito; questa sara’ la differenza fra la concentrazione iniziale e quella rimasta (che e’ x). Quindi: HA ◦ t = 0 CHA t=∞ x = H+ +A− 0 0 ◦ ◦ CHA − x CHA −x Inseriamo le concentrazioni di equilibrio nella legge dell’azione di massa e risolviamo rispetto all’incognita: KA = = = KA x = KA x = ◦ x2 − x (2CHA + KA ) + C ◦ 2HA = x = [H + ] [A− ] [HA] ◦ ◦ (CHA − x) (CHA − x) x ◦ (CHA − x)2 x 2 ◦ (CHA − x) ◦ x C ◦ 2HA + x2 − 2CHA 0 ◦ 2CHA + KA ± q 2 ◦ (2CHA + KA ) − 4C ◦ 2HA 2 In questo caso, delle 2 possibili soluzioni, quella corrispondente al segno positivo davanti al radicale va scartata. Infatti il valore numerico di x sarebbe ◦ maggiore di CHA e cio’ ovviamente non puo’ essere perche’ x e’ la concentrazione di equilibrio dell’acido indissociato e quindi deve essere minore del suo valore iniziale! Quindi: x = = = ◦ 2CHA + KA − q ◦ (2CHA + KA )2 − 4C ◦ 2HA 2 q 2 × 0.1 + 1.8 × 10−5 − (2 × 0.1 + 1.8 × 10−5 )2 − 4 × 0.12 2 9.867 × 10 −2 mol/L 50 che coincide col risultato trovato in precedenza con l’altra scelta dell’incognita. Naturalmente, per la concentrazione comune degli ioni H + e A− , si avra’: + − H = A ◦ CHA −x = 0.1 − 9.87 × 10−2 1.33 × 10−3 mol/L = = Condizioni iniziali equivalenti 107. Le considerazioni fatte alla sezione 1.11 (dove consideravamo proprio la ionizzazione di un acido debole) valgono anche per il metodo della tabella: in fin dei conti, avevamo visto che la possibilita’ di cambiare le condizioni iniziali con delle nuove condizioni iniziali equivalenti dipende solo dal fatto che il bilancio di massa rimane inalterato e nel metodo della tabella si fa uso proprio del bilancio di massa (oltre che della legge dell’azione di massa). Verifichiamo che tutto funziona anche se partiamo da delle condizioni iniziali diverse (ma equivalenti a quelle date!). 108. Ad esempio, immaginiamo di spostare idealmente la reazione completamente verso destra. Sotto tale ipotesi, tutto l’acido acetico verra’ consumato e ◦ si otterra’ una concentrazione pari a CHA sia di ioni idrogeno che di ioni acetato. Prendendo queste come condizioni iniziali, si avra’: HA = t=0 0 H+ ◦ CHA +A− ◦ CHA Ovviamente, in questa ipotesi la reazione procedera’ verso sinistra, perche’ la concentrazione iniziale di acido acetico e’ nulla. Prendiamo come incognita la concentrazione di acido acetico all’equilibrio; dovreste realizzare facilmente che la tabella delle concentrazioni in questo caso sara’: t=0 t=∞ HA = H+ +A− ◦ ◦ 0 CHA CHA ◦ ◦ x CHA − x CHA − x A questo punto non serve neppure continuare: l’espressione delle concentrazioni di equilibrio e’ identica a quella vista al punto 106 e quindi il risultato non puo’ che essere lo stesso. Troviamo anche le altre concentrazioni 109. Abbiamo visto che l’approssimazione dell’equilibrio prevalente consente di ridurre un problema di piu’ reazioni simultanee ad un problema piu’ semplice di una sola reazione. Col metodo della tabella, poi, il trattamento della singola reazione risulta semplice e veloce. In questa sezione facciamo vedere che il metodo approssimato non solo ci consente di ricavare le concentrazioni di equilibrio delle specie che prendono parte all’unica reazione considerata, ma ci fornisce anche i valori (approssimati) delle concentrazioni di equilibrio di tutte le specie chimiche presenti nel sistema. 110. Riprendiamo il nostro esempio dell’acido acetico. Abbiamo ricavato le concentrazioni (approssimate) di equilibrio dell’acido acetico indissociato, degli 51 ioni idrogeno e degli ioni acetato. Gli ioni ossidrile non partecipano alla reazione di ionizzazione acida dell’acido acetico e quindi non sono stati considerati. Tuttavia, sfruttando l’approssimazione dell’equilibrio prevalente, ci siamo ricavati un valore (approssimato) per la concentrazione di equilibrio degli ioni H +. Ora: alla sezione 1.5.1 si era visto che quando un sistema, per quanto complesso, raggiunge lo stato di equilibrio, tutte le reazioni sono all’equilibrio e per ciascuna vale la legge dell’azione di massa. Nel caso presente, cio’ significa che, all’equilibrio, la legge dell’azione di massa per l’autoionizzazione dell’acqua deve essere valida (anche se abbiamo ignorato questa reazione nell’ambito dell’approssimazione dell’equilibrio prevalente). In buona sostanza, possiamo dire che deve valere la seguente relazione: KW = H+ OH − Ma allora, inserendo il valore di [H + ] in nostro possesso nell’espressione del prodotto ionico dell’acqua, possiamo ricavare un valore approssimato anche per la concentrazione di equilibrio degli ioni [OH − ]: OH − KW [H + ] 1.0 × 10−14 = 1.33 × 10−3 = 7.52 × 10−12 mol/L = Verifichiamo la validita’ dell’approssimazione 111. Avendo trovato il valore approssimato per la concentrazione di equilibrio degli ioni OH − nella sezione precedente siamo ora in grado di verificare la validita’ dell’approssimazione di cui abbiamo fatto uso. 112. Questo e’ un punto molto importante e di carattere generale. Molto spesso (direi quasi sempre) nei problemi di equilibrio si fanno una o piu’ assunzioni semplificative (abbiamo visto l’esempio dell’equilibrio prevalente). E’ essenziale che, dopo aver ottenuto i risultati approssimati, si verifichi con essi che tutte le approssimazioni fatte erano valide. 113. Se tornate al punto 98 vedrete che l’approssimazione dell’equilibrio prevalente per la ionizzazione dell’acido acetico consiste in pratica nel considerare trascurabile la concentrazione degli ioni H + e OH − provenienti dall’autoionizzazione dell’acqua. Ora possiamo valutare la bonta’ di questa approssimazione. Per la concentrazione di equilibrio degli ioni OH − abbiamo ottenuto il valore di 7.52 × 10−12 : questo e’ effettivamente un valore molto piccolo se confrontato coi valori delle concentrazioni di equilibrio delle specie HA, A− e H + coinvolte nell’equilibrio prevalente. 114. Possiamo vedere la stessa cosa da un altro punto di vista. Al punto 98 si e’ visto che una conseguenza dell’approssimazione dell’equilibrio prevalente era il bilancio 1.19: H+ = 52 − A Cio’ e’ equivalente ad assumere che tutti gli ioni idrogeno della soluzione provengano solo dalla ionizzazione dell’acido acetico, mentre quelli provenienti dall’autoionizzazione dell’acqua siano in quantita’ trascurabile. Per ovvi motivi stechiometrici, la concentrazione di ioni OH − e’ anche numericamente uguale alla concentrazione di quella parte degli ioni H + che provengono dall’autoionizzazione dell’acqua. Quindi siamo ora in grado di valutare quantitativamente la validita’ dell’approssimazione di aver trascurato la concentrazione degli ioni idrogeno provenienti dall’autoionizzazione dell’acqua: [H + ]da acido acetico [H + ]da acqua = = 1.33 × 10−3 7.52 × 10−12 1.77 × 108 Cioe’: la concentrazione di ioni idrogeno provenienti dalla ionizzazione dell’acido acetico e’ piu’ di cento milioni di volte maggiore di quella proveniente dall’autoionizzazione dell’acqua. Questo significa che un’eventuale correzione del valore approssimato ottenuto avrebbe effetto sulla nona o decima cifra significativa: raramente serve conoscere una concentrazione con piu’ di tre o quattro cifre significative. 1.33 × 10−3 = 7.52 × 10−12 = 0.00133000000000 ^^^ ||| vvv 0.00000000000752 La concentrazione dei reagenti non deve essere troppo bassa 115. Al punto 94 e’ stata introdotta l’approssimazione dell’equilibrio prevalente. Le condizioni per poterla applicare sono due: 1. la costante di equilibrio di una delle reazioni indipendenti deve esere molto maggiore di tutte le altre e 2. i partecipanti a questa reazione non devono essere in concentrazione troppo bassa In questa sezione vogliamo chiarire meglio il secondo punto. In pratica: se anche una reazione ha una costante di equilibrio molto maggiore delle altre (e quindi il corrispondente equilibrio e’ molto piu’ spostato verso destra), ma la concentrazione dei reagenti e’ molto piccola, allora non e’ piu’ vero che i cambiamenti di concentrazione dovuti alle altre reazioni possono essere trascurati e l’approssimazione dell’equilibrio prevalente non e’ applicabile. 116. Rendiamoci conto di questo aspetto con un esempio numerico. ◦ Supponiamo che la concentrazione iniziale del nostro acido acetico sia CHA = −7 ◦ 1.0 × 10 mol/L invece che CHA = 0.1 mol/L e ripetiamo il calcolo approssimato. HA = ◦ t=0 CHA ◦ t = ∞ CHA −x 53 H+ 0 x +A− 0 x KA ◦ KA (CHA − x) ◦ KA CHA − KA x ◦ x2 + KA x − KA CHA = x2 ◦ CHA −x = x2 = x2 = 0 x = x = = p 2 + 4K C ◦ KA A HA 2 p 2 + 4K C ◦ −KA + KA A HA 2 q −KA ± −1.8 × 10−5 + = 9.95 × 10 −8 (1.8 × 10−5 )2 + 4 × 1.8 × 10−5 × 1.0 × 10−7 2 mol/L Il risultato e’ paradossale! Abbiamo aggiunto all’acqua un acido (anche se in concentrazione piccolissima) e la concentrazione degli ioni idrogeno e’ diminuita rispetto a quella di equilibrio in acqua pura: questo non puo’ essere! Possiamo ricavare la concentrazione di equilibrio degli ioni ossidrile: OH − = = = KW [H + ] 1.0 × 10−14 9.95 × 10−8 1.01 × 10−7 mol/L Come vedete, la concentrazione degli ioni OH − risulta addirittura maggiore di quella degli ioni H + . Detto in altre parole, la concentrazione degli ioni H + provenienti dall’autoionizzazione dell’acqua (numericamente uguale alla concentrazione degli ioni OH − per motivi stechiometrici) e’ maggiore di quella proveniente dall’acido acetico (nonostante che sia KA ≫ KW ): + H da acqua = 1.01 × 10−7 > H + da acido acetico = 9.95 × 10−8 il che mostra di nuovo che in queste condizioni l’approssimazione dell’equilibrio prevalente non e’ applicabile. 1.13.3 Ulteriori semplificazioni quando K → 0 o K → ∞ 117. Dopo aver ridotto il problema a una sola reazione con l’approssimazione dell’equilibrio prevalente, e’ generalmente possibile applicare ulteriori semplificazioni basate sul valore della costante di equilibrio. 118. In pratica si possono presentare due casi: 1. La costante di equilibrio e’ molto piccola: 54 K → 0 In questo caso, nello scrivere alcune delle concentrazioni di equilibrio nel metodo della tabella, si puo’ assumere che la reazione in pratica non avvenga. 2. La costante di equilibrio e’ molto grande: K → ∞ In questo caso, nello scrivere alcune delle concentrazioni di equilibrio nel metodo della tabella, si puo’ assumere che la reazione in pratica sia completa. Vedremo come si applicano queste semplificazioni con degli esempi. 119. Prima, pero’, chiariamo un punto. Potrebbe venire da pensare: “Nel caso K → 0 l’applicazione dell’approssimazione dell’equilibrio prevalente non e’ possibile”. In realta’ vedremo che esistono moltissimi sistemi di equilibrio di uso comune in cui una delle costanti di equilibrio e’ sufficientemente grande da permettere l’approssimazione dell’equilibrio prevalente, ma al tempo stesso sufficientemente piccola da consentire le ulteriori approssimazioni trattate in questa sezione. Uno di questi casi e’ proprio la ionizzazione dell’acido acetico che abbiamo preso come esempio nelle sezioni precedenti. Come abbiamo visto, il valore della costante di ionizzazione KA e’ piu’ di un miliardo di volte maggiore del valore della costante di autoionizzazione dell’acqua (l’unica altra reazione indipendente presente in questo sistema): KA KW = 1.8 × 109 e cio’ consente di applicare l’approssimazione dell’equilibrio prevalente. Tuttavia, se e’ vero che la costante di ionizzazione KA e’ grande rispetto alla costante KW , il suo valore numerico “assoluto” e’ pur sempre molto piccolo: 1.8 × 10−5 (≈ un centomillesimo). Cio’ significa che la reazione di ionizzazione acida dell’acido acetico e’ comunque molto poco spostata verso destra (pur rimanendo molto piu’ spostata verso destra della reazione di autoionizzazione dell’acqua). Cio’ consente di applicare l’approssimazione K → 0 che stiamo trattando. In conclusione: sono molti i casi in cui una costante e’ molto piu’ grande delle altre (→ equilibrio prevalente), ma il suo valore numerico rimane comunque piccolo (K → 0). Ovviamente, il caso in cui una costante di equilibrio contemporaneamente sia molto maggiore delle altre e abbia un valore numerico molto grande in assoluto non pone alcun problema di “paradosso”: sia l’approssimazione dell’equilibrio prevalente che l’approssimazione K → ∞ sono applicabili “senza riserve”. 55 Il caso K → 0 120. Riprendiamo il problema della ionizzazione dell’acido acetico (concentra◦ zione iniziale: CHA = 0.1 mol/L, KA = 1.8 × 10−5 ). Abbiamo gia’ visto che l’approssimazione dell’equilibrio prevalente e il metodo della tabella portano a: HA = ◦ t=0 CHA ◦ t = ∞ CHA −x H+ 0 x +A− 0 x Quale ulteriore semplificazione possiamo operare basandoci sul fatto che la costante di equilibrio e’ comunque un numero molto piccolo? Se la costante di equilibrio e’ piccola, la reazione si spostera’ molto poco verso destra per raggiungere l’equilibrio, cioe’ la concentrazione di acido acetico (HA) consumata sara’ molto piccola, cioe’ x sara’ un numero molto piccolo ◦ (x → 0), cioe’ x si potra’ assumere trascurabile rispetto a CHA , cioe’: ◦ CHA −x ≈ ◦ CHA e questa e’ l’approssimazione che il valore molto piccolo della costante di equilibrio ci consente di fare. Col che la tabella si semplifica in questo modo: HA ◦ t = 0 CHA ◦ t = ∞ CHA = H+ 0 x +A− 0 x Ora la risoluzione del problema rispetto a x e’ ancora piu’ semplice: KA = x2 = x = = = x2 ◦ CHA ◦ CHA KA p ◦ CHA KA p 0.1 × 1.8 × 10−5 1.34 × 10−3 mol/L 121. Confrontate questo valore con il valore ottenuto applicando solo l’approssimazione dell’equilibrio prevalente (punto 103): i due valori differiscono solo di una unita’ sulla terza cifra significativa. Il valore piu’ approssimato differisce per meno dell’1% dal valore meno approssimato: 1.34 × 10−3 − 1.33 × 10−3 100 × 1.33 × 10−3 = 0.75 % Cio’ e’ ampiamente accettabile per tutti gli scopi comuni. 122. Facciamo alcune considerazioni: 56 • Analogamente a quanto visto al punto 110, possiamo inserire il valore approssimato ottenuto per la concentrazione di equilibrio degli ioni H + nella legge dell’azione di massa per l’autoionizzazione dell’acqua per trovare la concentrazione di equilibrio degli ioni OH − : H2 O = H + + OH − H + OH − KW [H + ] 1.0 × 10−14 1.34 × 10−3 7.46 × 10−12 mol/L KW = OH − = = = da confrontare col valore 7.52 × 10−12 mol/L trovato con la sola approssimazione dell’equilibrio prevalente (punto 110). I due valori differiscono per meno dell’1%: 7.46 × 10−12 − 7.52 × 10−12 100 × 7.52 × 10−12 = −0.80% • Come gia’ accennato, anche in questo caso possiamo verificare la bonta’ dell’approssimazione applicata. Il valore numerico di x trovato, 1.34 × 10−3 , e’ effettivamente circa 100 ◦ volte piu’ piccolo di CHA : 1.34 × 10−3 0.1 = 1.34 × 10−2 • Siccome il trattamento mostrato qui poggia comunque sull’approssimazione dell’equilibrio prevalente, bisogna sempre controllare che la concentrazione iniziale non sia troppo piccola (ma questo accade raramente nei casi comuni). Ad esempio, se ripetiamo il procedimento assumendo una ◦ concentrazione iniziale di acido acetico CHA = 1.0 × 10−4 , otteniamo: KA = x2 = x = = = x2 ◦ CHA C ◦ KA pHA C ◦ KA p HA 1.0 × 10−4 × 1.8 × 10−5 4.24 × 10−5 mol/L 57 ◦ In questo caso x e’ solo circa la meta’ di CHA , il che rende inapplicabile l’approssimazione. 4.24 × 10−5 1.0 × 10−4 = 0.4 Il caso K → ∞ 123. Per illustrare questo caso non possiamo trattare la ionizzazione dell’acido acetico perche’ la costante di ionizzazione KA non e’ certo un numero grande. 124. Consideriamo invece la neutralizzazione dell’acido acetico con idrossido di sodio. L’idrossiodo di sodio e’ completamente ionizzato e la specie che effettivamente reagisce con l’acido acetico e’ lo ione ossidrile: HA + OH − = A− + H2 O E’ banale rendersi conto che la costante di equilibrio di questa reazione e’ data da: K = KA KW (la reazione e’ l’inversa della ionizzazione basica dello ione acetato: K = 1/KB = 1/ (KW /KA ) = KA /KW ). A causa del termine KW = 1.0 × 10−14 al denominatore, il valore della costante e’ molto grande: K 1.8 × 10−5 1.0 × 10−14 = 1.8 × 109 = E’ anche facile rendersi conto che in questo sistema di equilibrio ci sono solo due reazioni indipendenti: HA + OH − H2 O = = A− + H2 O H + + OH − (ad esempio, la ionizzazione dell’acido acetico si ottiene sommando le due equazioni su scritte e quindi non e’ indipendente) Allora, prima di tutto possiamo dire che l’approssimazione dell’equilibrio prevalente e’ applicabile: la costante K e’ ≈ 1023 volte maggiore di KW : K KW = = 1.8 × 109 1.0 × 10−14 1.8 × 1023 Quindi possiamo limitarci a considerare il solo equilibrio di neutralizzazione. 58 ◦ ◦ Indichiamo con CHA e COH − la concentrazione iniziale di acido acetico e idrossido di sodio, rispettivamente, e supponiamo che sia: ◦ CHA ◦ COH − = 0.1 mol/L = 0.08 mol/L Ora applichiamo il metodo della tabella. Scegliendo come incognita la concentrazione di acetato all’equilibrio e applicando i banali bilanci di massa basati sulla stechiometria si ha: HA +OH − ◦ ◦ t=0 CHA COH − ◦ ◦ t = ∞ CHA − x COH − − x = A− 0 x +H2 O (ovviamente, non consideriamo l’acqua) 125. Il problema potrebbe essere risolto gia’ cosi’ com’e’. Inserendo le concentrazioni di equilibrio nella legge dell’azione di massa si ottiene: K = ◦ (CHA x ◦ − x) COH − − x che e’ un’equazione di secondo grado, come potete facilmente verificare: ◦ ◦ ◦ ◦ Kx2 − x {K (CHA + COH − ) + 1} + KCHA COH − = 0 Risolvendo rispetto a x si ottiene: x = = x1 x2 q 2 ◦ ◦ ◦ ◦ ◦ C◦ + 1 ± K CHA + COH K CHA + COH + 1 − 4K 2 CHA − − OH − 2K 1 1.8 × 109 × (0.1 + 0.8) + 1 2 × 1.8 × 109 q 2 2 ± {1.8 × 109 × (0.1 + 0.8) + 1} − 4 × (1.8 × 109 ) × 0.1 × 0.8 = 0.0799999977777781 mol/L = 0.100000002777777 mol/L (il motivo per cui riporto il risultato con cosi’ tante cifre apparira’ chiaro fra breve) Chiaramente, x2 va scartata. Infatti x e’ la concentrazione di equilibrio degli ioni A− e quindi non puo’ essere maggiore della concentrazione iniziale di acido acetico (non si possono formare piu’ ioni A− delle molecole di HA messe inizialmente a reagire!). Rimane quindi solo x1 . Possiamo quindi trovare tutte le concentrazioni di equilibrio: 59 − A = ≈ 0.0799999977777781 mol/l 0.080 mol/l ◦ CHA − x1 0.1 − 0.08 [HA] = = = − = OH 0.02 mol/L ◦ COH − − x1 = = 0.08 − 0.0799999977777781 2.22 × 10−9 mol/L (ecco perche’ ho mantenuto tutte quelle cifre per x1 : se avessimo approssimato subito a 0.08, la concentrazione di equilibrio degli ioni OH − sarebbe risultata nulla, il che non puo’ essere mai vero!) Infine, utilizzzando la legge dell’azione di massa per l’autoionizzazione dell’acqua, possiamo ricavare anche il valore della concentrazione di equilibrio degli ioni H + (con un ragionamento analogo a quello svolto al punto 110): H2 O KW + H = = = = = H + + OH − + OH − H KW [OH − ] 1.0 × 10−14 2.22 × 10−9 4.50 × 10−6 mol/L Fin qui abbiamo applicato solo l’approssimazione dell’equilibrio prevalente: nessuna considerazione e’ stata fatta sulla grandezza della costante di equilibrio. 126. Tuttavia, possiamo ulteriormente semplificare il problema osservando che la costante di equilibrio della reazione e’ molto grande. Sotto questa ipotesi possiamo assumere che la reazione sia completamente spostata verso destra e quindi il calcolo delle concentrazioni di equilibrio diventa immediato. Infatti, assumendo che la reazione sia completa, tutti gli ioni ossidrile verranno consumati (perche’ sono in difetto stechiometrico rispetto all’acido acetico), verra’ prodotta un ugual concentrazione di ioni acetato e avanzera’ l’eccesso di acido acetico indissociato. Rappresentando la situazione con la tabella si ha: HA ◦ t=0 CHA ◦ ◦ t = ∞ CHA − COH − +OH − ◦ COH − 0 = A− 0 ◦ COH − +H2 O ◦ ◦ (naturalmente, se avessimo supposto CHA < COH − tutto sarebbe stato di conseguenza: HA si sarebbe consumato completamente, sarebbe avanzato l’eccesso di ioni OH − e si sarebbe formata una concentrazione di ione A− uguale alla concentrazione iniziale di HA) 60 Vedete quindi che, praticamente senza fare calcoli, abbiamo trovato le concentrazioni di equilibrio (approssimate) di 2 delle 4 specie chimiche da determinare: ◦ ◦ [HA] = CHA − COH − = 0.1 − 0.08 − A = 0.02 mol/L ◦ = COH − = 0.08 mol/L E cio’ grazie all’osservazione che K → ∞. 127. Si potrebbe dire che abbiamo anche un valore approssimato per la concentrazione di equilibrio degli ioni OH − : il valore nullo. Questo e’ senz’altro vero, pero’ possiamo fare di meglio (in effetti, possiamo ben immaginare che la concentrazione di equilibrio degli ioni OH − dovra’ essere molto piccola, pero’ ci e’ altrettanto chiaro che non potra’ mai essere nulla). 128. In un sistema chimico all’equilibrio tutte le reazioni chimiche presenti sono contemporaneamente all’equilibrio (sezione 1.5.1). Allora, avendo le concentrazioni di equilibrio per HA e A− possiamo sfruttare la legge dell’azione di massa per la reazione di ionizzazione acida dell’acido acetico per trovare un valore approssimato per la concentrazione di equilibrio degli ioni H + : HA KA = = H+ = H + + A− [H + ] [A− ] [HA] [HA] KA − [A ] ◦ ◦ CHA − COH − KA ◦ COH − 0.1 − 0.08 1.8 × 10−5 0.08 4.50 × 10−6 mol/L = = = Infine, utilizzando la legge dell’azione di massa per l’autoionizzazione dell’acqua, possiamo trovare un valore migliore del valore nullo per la concentrazione di equilibrio degli ioni OH − : H2 O KW = = H + + OH − + OH − H 61 OH − = = = KW [H + ] 1.0 × 10−14 4.50 × 10−6 2.22 × 10−9 mol/L Possiamo riassumere i risultati numerici ottenuti ai vari livelli di approssimazione: conc. di eq. [HA] [A− ] [OH − ] [H + ] esatto 2.00 × 10−2 8.00 × 10−2 2.22 × 10−9 4.50 × 10−6 solo eq. prevalente 2.00 × 10−2 8.00 × 10−2 2.22 × 10−9 4.50 × 10−6 eq. prevalente PIU’ K → ∞ 2.00 × 10−2 8.00 × 10−2 2.22 × 10−9 4.50 × 10−6 Come si vede, le cose vanno decisamente bene. Facciamo anche qui alcune considerazioni: • Verifichiamo la validita’ dell’assunzione fatta circa la completezza della reazione. La concentrazione di equilibrio degli ioni OH − non e’ nulla, come dovrebbe essere se la reazione fosse veramente completa, ma poco ci manca. La concentrazione iniziale di ioni OH − si e’ ridotta di un fattore pari a circa cento milioni: 2.22 × 10−9 0.08 = 2.78 × 10−8 • I valori ottenuti con l’approssimazione K → ∞ coincidono, nel limite delle cifre significative considerate, con i valori che avevamo trovato applicando solo l’approssimazione dell’equilibrio prevalente; i calcoli da fare (manualmente) nei due casi, tuttavia, sono di peso ben diverso. • Anche in questo caso, come in quello K → 0 visto prima, non bisogna dimenticare che a monte di tutto c’e’ comunque l’approssimazione dell’equilibrio prevalente e quindi le concentrazioni iniziali non possono essere troppo piccole. Ad esempio, se rifacciamo il calcolo con: ◦ CHA = ◦ COH − = 1.0 × 10−7 mol/L 0.8 × 10−7 mol/L si ottengono i seguenti risultati: conc. di eq. [HA] [A− ] [OH − ] [H + ] esatto 6.1 × 10−10 9.9 × 10−8 9.1 × 10−8 1.1 × 10−7 solo eq. prevalente 2.20 × 10−8 7.80 × 10−8 1.97 × 10−9 5.07 × 10−6 62 eq. prevalente PIU’ K → ∞ 2.00 × 10−8 8.00 × 10−8 2.22 × 10−9 4.50 × 10−6 Prima di tutto, vedete che le concentrazioni di equilibrio ”esatte” degli ioni H + e OH − sono confrontabili con quelle prodotte dall’autoionizzazione dell’acqua, il che rende inapplicabile l’approssimazione dell’equilibrio prevalente: confrontate i valori della colonna “esatto” con quelli della colonna “solo eq. prevalente”. L’ulteriore approssimazione di assumere la reazione completa (K → ∞) non cambia di molto la situazione (osservate, pero’ che, curiosamente, i valori ottenuti con l’approssimazione dell’equilibrio prevalente PIU’ K → ∞ sono leggermente migliori: cio’ e’ probabilmente dovuto al fatto che l’assunzione K → ∞ rende “un po’ meno ingiustificata” l’approssimazione dell’equilibrio prevalente perche’, in pratica, considerando una costante di equilibrio effettivamente infinita, rafforza la base stessa per l’assunzione dell’equilibrio prevalente). 1.14 Schema riassuntivo 129. Ricapitoliamo quanto detto in questo capitolo sul trattamento dei problemi di equilibrio. • Risolvere un problema “canonico” di equilibrio significa trovare tutte le concentrazioni di equilibrio avendo come dati le concentrazioni iniziali e le costanti di equilibrio • E’ sempre possibile un approccio “rigoroso” che consiste nello scrivere un sistema di equazioni contenente tutte le espressioni della legge dell’azione di massa per le reazioni indipendenti, uno o piu’ bilanci di massa per i vari partecipanti e un bilancio di carica (se alcuni dei partecipanti sono specie ioniche) • Purtroppo, quasi mai il sistema cosi’ ottenuto e’ facilmente risolvibile per via analitica • Per questo motivo e’ utile conoscere dei metodi approssimati che, se da un lato non forniscono risultati “esatti”, dall’altro, pero’, consentono una risoluzione analitica e veloce del problema. • La prima approssimazione molto spesso applicabile e’ quella dell’equilibrio prevalente: i requisiti per poterla applicare sono (i) che una costante di equilibrio sia molto maggiore delle altre e (ii) che le concentrazioni dei reagenti della corrispondente reazione non siano troppo basse • “A valle” di questa prima approssimazione si possono spesso applicare ulteriori semplificazioni legate al valore numerico della costante di equilibrio dell’unico processo che ci si e’ ristretti a considerare: i casi da considerare sono essenzialmente due: (i) K → 0 e (ii) K → ∞ • In ogni caso bisogna sempre controllare che i risultati approssimati ottenuti giustifichino le approssimazioni adottate Lo schema di approccio ad un generico problema di equilibrio e’ mostrato nella figura 1.1. 63 problema di equilibrio ?? ?? ?? ?? ?? ?? ?? ?? ?? ?? ? trattamento (piu’) aptrattamento “rigoroso” prossimato • legge dell’azione di massa approssimazione dell’equilibrio prevalente • bilanci di massa • bilancio di carica sistema di equazioni non lineare (richiede quasi sempre un approccio numerico) ulteriori semplificazioni ?? ?? ?? ?? ?? ?? ?? ?? ?? ?? ?? ? K→0 K→∞ Figura 1.1: Schema di approccio ad un problema di equilibrio chimico 64 La capacita’ tamponante 130. Per capacita’ (o potere) tamponante di una soluzione si intende la misura di quanto efficacemente la soluzione e’ in grado di contrastare le variazioni di pH provocate dall’aggiunta di un acido o una base forte. 131. La soluzione considerata non deve essere necessariamente una soluzione tampone: come vedremo meglio fra poco, ad esempio, soluzioni con pH molto alto o molto basso (tipicamente soluzioni contenenti acidi forti o basi forti in elevata concentrazione) presentano un elevato potere tamponante. 132. In questa sezione definiremo in modo quantitativo la capacita’ tamponante e vedremo da quali parametri sperimentali dipende la capacita’ tamponante di una soluzione tampone. 133. Data una soluzione qualsiasi, se aggiungiamo ∆CB moli per litro di una base forte e indichiamo con ∆pH la corrispondente variazione di pH osservata, allora una misura della capacita’ tamponante β puo’ essere convenientemente espressa con il rapporto: β ∆CB ∆pH = 134. Il significato di β e’: quanta base forte si deve aggiungere alla soluzione per provocare una variazione unitaria di pH β e’ effettivamente una misura del potere tamponante: β e’ tanto maggiore quanto maggiore e’ l’efficienza della soluzione nel contrastare la variazione di pH provocata dall’aggiunta di una base forte poiche’ un valore di β elevato significa che e’ necessario aggiungere una concentrazione di base forte elevata per provocare una variazione unitaria di pH. 135. Se invece di una base forte consideriamo l’aggiunta ∆CA di un acido forte, la conseguente variazione di pH (misurata sempre come: pH dopo l’aggiunta − pH prima dell’aggiunta ) sara’ uguale in modulo, ma negativa, perche’ l’aggiunta di un acido forte provoca una diminuzione di pH, qualsiasi sia il contenuto di una soluzione. Per questo motivo, conviene in questo caso definire la capacita’ tamponante come l’opposto del rapporto prima scritto: β = − ∆CA ∆pH Questo al solo scopo di avere una definizione che a maggiore potere tamponante associ un numero maggiore. Per chiarire meglio. Se l’aggiunta di una concentrazione 0.15 mol/L di un acido forte alla soluzione S1 produce una variazione di pH pari a −0.94 e la stessa aggiunta di acido forte alla soluzione S2 provoca una variazione di pH pari a −0.45, significa chiaramente che S1 ha un potere tamponante minore di S2 . Se pero’ non introducessimo il segno meno nella definizione di β per il caso dell’aggiunta di un acido, si avrebbe: 65 β1 = = β2 = = 0.15 −0.94 −0.16 0.15 −0.45 −0.33 e quindi: β1 > β2 cioe’ l’ordine dei valori di β sarebbe opposto all’ordine del potere tamponante delle due soluzioni. Viceversa, introducendo il segno negativo, si ha: β1 β2 0.15 −0.94 = 0.16 0.15 = − −0.45 = 0.33 = − e la soluzione con potere tamponante maggiore ha anche il valore di β maggiore. 136. In definitiva, una definizione coerente del potere tamponante deve distinguere se la variazione di pH e’ determinata dall’aggiunta di una base o di un acido forte: β = = ∆CB ∆pH ∆CA − ∆pH 137. Se l’aggiunta di acido o base forte e la corrispondente variazione di pH fossero legate da una relazione lineare, allora la definizione appena scritta sarebbe sufficiente, perche’ darebbe sempre lo stesso risultato indipendentemente dal valore dell’aggiunta. Invece, la relazione fra variazione di pH e aggiunta di un acido o una base forte alla soluzione, in generale, non e’ lineare (basta che pensiate solo al fatto che, a parita’ di aggiunta, la variazione di pH dipende prima di tutto dal contenuto della soluzione!). 138. Per questo motivo e’ opportuno definire la capacita’ tamponante non in termini di incrementi finiti, ma considerando incrementi infinitesimi. In altre parole, la definizione piu’ opportuna di potere tamponante viene espressa con una derivata: 66 β= β= ∆pH→0 ∆CB dCB = ∆pH dpH lim − dCA ∆CA =− ∆pH dpH lim ∆pH→0 139. Non fatevi intimorire: la situazione e’ identica a quella che sicuramente avete gia’ incontrato quando avete definito la velocita’ v in un moto unidimensionale. Se l’accelerazione e’ nulla, allora lo spazio percorso ∆s varia linearmente con il tempo impiegato a percorrerlo ∆t e la velocita’ lineare (costante) puo’ essere definita come: v ∆s ∆t = Se pero’ il moto e’ accelerato, allora la definizione su scritta non e’ piu’ sufficiente e bisogna definire la velocita’ (che ora non e’ piu’ costante) punto per punto, facendo tendere a zero l’intervallo di tempo considerato; il che equivale a fare la derivata della funzione s = s (t): v = lim ∆t→0 ds ∆s = ∆t dt 140. Chiarita la sua definizione, nel resto di questa sezione vogliamo dimostrare che il potere tamponante di una soluzione tampone e’ massimo quando il rapporto fra le concentrazioni dell’acido debole e della sua base coniugata e’ unitario. Questo e’ il motivo per cui, quando si prepara una soluzione tampone, si deve fare in modo che il pH target venga ottenuto con un rapporto di concentrazioni acido debole/base coniugata il piu’ vicino possibile ad 1 (il che equivale a dire che il criterio di scelta della coppia coniugata acido base deve essere quello che la costante di ionizzazione acida sia piu’ vicina possibile al pH target). 141. Procederemo nel modo seguente: ricaveremo la relazione C = C (pH), dove C e’ la concentrazione della base forte o dell’acido forte che viene aggiunto alla soluzione, ne faremo la derivata e verificheremo che tale derivata presenta un massimo quando le concentrazioni dei due membri della coppia coniugata sono uguali. 142. Consideriamo allora una soluzione contenente una concentrazione CT di un acido debole monprotico HA con costante di ionizzazione KA a cui aggiungiamo una base forte monoprotica B o un acido forte monoprotico HX in concentrazione C (la derivazione che segue e’ basata su quella descritta nel libro di Adam Hulanicki [1] ). Assumiamo per semplicita’ che le concentrazioni CT e C siano gia’ corrette per l’eventuale diluizione, nel caso in cui la base o l’acido forte vengano aggiunti sotto forma di una soluzione che li contiene. 143. La relazione che ci interessa, C = C (pH), viene ottenuta impostando col metodo visto il sistema di equazioni che descrive questo problema di equilibrio. [1] Adam Hulanicki. Reactions of acids and bases in Analytical Chemistry. PWN, Warszawa, 2nd edition, 1980. 67 E’ facile rendersi conto che ci sono solo due reazioni indipendenti. Fra tutte le possibili, scegliamo le seguenti: HA = H2 O = A− + H + H + + OH − Le incognite sono 4: [HA], [A− ], [H + ], [OH − ]. Le 4 equazioni che costituiscono il sistema risolvente sono: KA KW CT C + H+ [H + ] [A− ] [HA] + OH − = H = [HA] + A− (bilancio di massa per l’acido debole) = OH − + A− (bilancio di carica) = 144. E’ importante osservare che il sistema appena scritto e’ valido sia per l’aggiunta di una base forte, che per l’aggiunta di un acido forte. Nel secondo caso, sara’ C < 0. Infatti, le prime tre equazioni sono totalmente indipendenti dalla natura di cio’ che viene aggiunto (cioe’ se si tratta di una base forte o di un acido forte). L’unica equazione che dipende da cosa si aggiunge alla soluzione e’ la quarta. Se si aggiunge una base forte, allora l’equazione per il bilancio di carica e’ quella scritta sopra, con C = [BH + ], perche’ la base forte, per ipotesi, e’ completamente ionizzata e quindi, in questo caso, C e’ il contributo alla carica positiva dovuto alla base forte completamente protonata (oppure al catione metallico, se aggiungiamo un idrossido, come N aOH). Se si aggiungesse un acido forte HX, invece, l’equazione per il bilancio di carica sarebbe: + H = C + OH − + A− con C = [X − ] perche’, analogamente al caso della base forte, l’acido forte e’ completamente ionizzato per ipotesi e C sarebbe in questo caso il contributo alla carica negativa della soluzione dovuto agli anioni X − . Ma allora il bilancio di carica per il caso dell’aggiunta di un acido forte si puo’ scrivere come: C + H+ = OH − + A− con C < 0. In definitiva: il sistema di equazioni su scritto descrive sia il caso dell’aggiunta di una base forte quando C > 0, che quello dell’aggiunta di un acido forte, quando C < 0. 68 145. Da quanto detto al punto precedente segue anche che, una volta ricavata la relazione C = C (pH) nello scenario che stiamo considerando, la definizione della capacita’ tamponante puo’ essere scritta sempre col segno positivo, visto che nel caso dell’aggiunta di un acido forte si ha gia’ C < 0. Infatti, per il caso dell’aggiunta di un acido forte, si avra’: C (pH) < 0 ⇒ d dC (pH) =− |C (pH)| dpH dpH che fornisce, come vogliamo, un risultato non negativo. 146. A questo punto possiamo ricavare la funzione C = C (pH). Dall’espressione della legge dell’azione di massa per la ionizzazione dell’acido debole ricaviamo [HA]: [H + ] [A− ] KA [HA] = e sostituiamo nell’equazione del bilancio di massa: CT [H + ] [A− ] − + A KA = Da questa equazione ricaviamo [A− ]: − A [H + ] 1+ KA − A = CT = A− = A− = CT 1+ [H + ] KA CT KA +[H + ] KA CT KA KA + [H + ] Infine, sostituiamo l’espressione ottenuta nell’equazione del bilancio di carica, esprimendo inoltre la concentrazione degli ioni ossidrile in funzione di quella degli ioni idrogeno grazie all’espressione della legge dell’azione di massa per l’autoionizzazione dell’acqua: C + H+ C + H+ C = = = OH − + A− KW CT KA + [H + ] KA + [H + ] CT KA KW − H+ + + [H ] KA + [H + ] 69 La relazione cercata fra C e il pH si otterrebbe a questo punto semplicemente sostituendo al posto della concentrazione degli ioni idrogeno (nel seguito indicata con h per semplicita’) la sua espressione in termini di pH: h = 10−pH ma e’ piu’ comodo mantenere la concentrazione di ioni idrogeno come tale e pensare a C come ad una funzione composta (funzione di funzione): C = C (h (pH)). Quindi siamo arrivati a: C (h) = CT KA KW −h+ h KA + h 147. Vale la pena di discutere brevemente il comportamento della funzione appena trovata per valori estremi di pH. E’ facile rendersi conto che valgono i due seguenti limiti: lim pH→+∞ lim pH→−∞ C (pH) = lim C (h) = +∞ h→0 C (pH) = lim C (h) = −∞ h→+∞ Tutto cio’ e’ assolutamente ragionevole e coerente con quanto abbiamo detto finora. Il primo limite dice in pratica che, quando [OH − ] diventa molto grande (h → 0), anche C fa’ la stessa cosa; la proposizione puo’ essere invertita: se C tende a +∞ anche [OH − ] fa’ lo stesso: cio’ e’ esattamente quello che ci si aspetta poiche’ se C → + ∞ significa che e’ stata aggiunta una concentrazione molto elevata di base forte e quindi la concentrazione di ioni ossidrile in soluzione deve necessariamente crescere di conseguenza (ricordate che, per ipotesi, la base aggiunta e’ completamente ionizzata). Il secondo limite dice che, quando [H + ] diventa molto grande C tende a −∞; anche in questo caso e’ piu’ chiaro invertire la proposizione: se C tende a −∞ allora [H + ] tende a +∞: di nuovo, cio’ e’ esattamente quello che ci si aspetta poiche’ se C → − ∞ significa che e’ stata aggiunta una concentrazione molto elevata di acido forte (ricordate che C < 0 significa aggiunta di acido forte) e quindi la concentrazione di ioni idrogeno in soluzione deve necessariamente crescere di conseguenza (l’acido aggiunto e’ completamente ionizzato per ipotesi). La figura 1.2 mostra il grafico della funzione C = C (h (pH)). 148. Come detto al punto 145, il potere tamponante β della soluzione e’ dato, per definizione, dalla derivata dell’espressione su scritta rispetto al pH (non dobbiamo preoccuparci di cambiare segno nel caso dell’aggiunta di un acido forte). Siccome abbiamo mantenuto C come “funzione di funzione” inizieremo con l’applicare la regola della derivazione di funzioni composte: 70 2.0 C (h (pH)) = 1.5 KW h(pH) − h (pH) + C T KA KA +h(pH) h (pH) = 10−pH C (h (pH)) 1.0 0.5 C =concentrazione di base forte ↑ C =concentrazione di acido forte ↓ 0.0 -0.5 -1.0 0 2 4 6 8 10 12 14 pH Figura 1.2: Grafico della funzione C = C (h (pH)) con KA = 1 × 10−5 , CT = 1.0 mol/L e KW = 1 × 10−14 . d f (y (x)) dx = d f (y) dy (x) dy dx Nel nostro caso: β = = dC (h (pH)) dpH dC dh dh dpH Come detto, la relazione fra h e pH e’ ovviamente: = 10−pH h e quindi: dh dpH = d 10−pH dpH La derivata di 10f (x) e’: 71 d f (x) 10 dx e quindi: dh dpH = = = = ln (10) × 10f (x) × d f (x) dx d 10−pH dpH ln (10) × 10−pH × (−1) − ln (10) × h (nell’ultimo passaggio abbiamo ri-sostituito a 10−pH il simbolo h) Col che arriviamo a: β= dC dpH = − ln (10) × h × dC dh Resta da fare la derivata di C rispetto ad h: β d = − ln (10) × h × dh KW CT KA −h+ h KA + h KW CT KA = − ln (10) × h × − 2 − 1 − 2 h (KA + h) ! CT KA h KW +h+ = ln (10) h (KA + h)2 ! e questa e’ l’espressione per β, il potere tamponante. Il grafico della funzione β (h (pH)) e’ mostrato nella figura 1.3. 149. Analizziamo brevemente il comportamento della funzione β. E’ facile realizzare che: lim pH→+∞ β (h (pH)) = lim β (h) = +∞ h→0 cioe’: la capacita’ tamponante della soluzione tende a infinito quando [OH − ] → ∞ (guardate anche la figura 1.3). Cio’ e’ assolutamente ragionevole. Infatti, in queste condizioni, la soluzione NON e’ una soluzione tampone: e’ stata aggiunta una concentrazione C → + ∞ di base forte (ricordate che limh→0 C (h) = +∞, punto 147) e quindi praticamente tutto l’acido debole si trova deprotonato come ione A− . La capacita’ tamponante tende a infinito semplicemente perche’ la concentrazione di ioni OH − tende ad infinito e quindi per far cambiare il pH di poco, bisogna aggiungere molto acido forte o base forte. 72 2.5 β (h (pH)) 2.0 β (h (pH)) = ln (10) 1.5 h (pH) = 10−pH KW h +h+ C T KA h (KA +h)2 1.0 0.5 0.0 0 4 pKA 2 6 8 10 12 14 pH Figura 1.3: Grafico della funzione β (h (pH)) con KA = 1 × 10−5 , CT = 1.0 mol/L e KW = 1 × 10−14 . Per chiarire ulteriormente: se in una soluzione basica concentrata la concentrazione di ioni OH − e’ COH − e vogliamo fare diminuire il pH di un’unita’, allora dobbiamo ridurre COH − di 10 volte, cioe’ dobbiamo aggiungere una concentrazione di acido forte (ioni H + ) pari a: H+ 9 C − 10 OH = da cui si vede che la concentrazione di ioni H + da aggiungere e’ direttamente proporzionale alla concentrazione di ioni OH − presente in soluzione (ovviamente, si sarebbe potuto fare un discorso analogo se si avesse voluto incrementare il pH di un’unita’ mediante aggiunta di una base forte). Quanto appena detto ci consente di concludere che: Una soluzione basica molto concentrata mostra un effetto tamponante elevato (ma e’ di scarsa utilita’ pratica) 150. Analogamente al caso precedente, e’ facile verificare che: lim pH→−∞ β (h (pH)) = lim β (h) = +∞ h→∞ cioe’: la capacita’ tamponante della soluzione tende a infinito anche quando [H + ] → ∞ (guardate la figura 1.3). Di nuovo, cio’ e’ assolutamente ragionevole. 73 Come nel caso precedente, in queste condizioni la soluzione NON e’ una soluzione tampone nel senso da noi definito: e’ stata aggiunta una concentrazione molto elevata di acido forte (ricordate che limh→∞ C (h) = −∞, punto 147, e un valore di C negativo significa che e’ stato aggiunto un acido forte, punto 144) e quindi la concentrazione di base debole A− e’ a tutti gli effetti nulla. La capacita’ tamponante tende a infinito semplicemente perche’ la concentrazione di ioni H + tende ad infinito e quindi per far cambiare il pH di poco, bisogna aggiungere molto acido forte o base forte. In modo perfettamente parallelo a quanto detto nel caso precedente: se in una soluzione acida concentrata la concentrazione di ioni H + e’ CH + e vogliamo diminuire il pH di un’unita’, allora dobbiamo aumentare CH + di 10 volte, cioe’ dobbiamo aggiungere una concentrazione di acido forte (ioni H + ) pari a: H+ = 9 CH + da cui si vede che la concentrazione di ioni H + da aggiungere e’ direttamente proporzionale alla concentrazione di ioni H + presente in soluzione (provate a ripetere il ragionamento nel caso in cui si voglia aumentare il pH di un’unita’). Quindi: Una soluzione acida molto concentrata mostra un effetto tamponante elevato (ma e’ di scarsa utilita’ pratica) 151. Consideriamo ora il comportamento di β per valori di pH di interesse pratico: 0 ≤ pH ≤ 14. In questa regione i primi 2 addendi nell’espressione di β sono entrambi piccoli, mentre il terzo addendo ha valori non piccoli. Ad esempio, a pH = 5, con KA = 1 × 10−5 e CT = 1 mol/L, si ha: Kw h = h = 2 = = CT KA h (KA + h) = 1 × 10−14 1 × 10−5 1 × 10−9 1 × 10−5 1.0 × 1 × 10−5 × 1 × 10−5 2 (1 × 10−5 + 1 × 10−5 ) 0.25 = 2.5 × 10−1 Allora, per semplificare i calcoli, nella regione 0 ≤ pH ≤ 14 possiamo considerare una versione semplificata dell’espressione trovata per β: β ∝ CT KA h 2 (KA + h) e studiarne il comportamento. Intanto osserviamo che l’espressione semplificata di β tende ad annullarsi per valori estremi di pH. Infatti si vede facilmente che: 74 lim h→±∞ CT KA h (KA + h)2 = 0 Questo dice soltanto che il terzo addendo dell’espressione completa di β e’ rilevante solo per valori di pH non estremi, che e’ per l’appunto il caso che stiamo considerando ora (abbiamo gia’ visto che per valori estremi di pH il comportamento di β e’ dominato dai primi due addendi). Per cercare massimi o minimi studiamo la derivata prima. d dh CT KA h 2 (KA + h) ! 2 = CT KA (KA + h) − CT KA h (2 (KA + h)) = CT KA = CT KA 4 (KA + h) 2 KA + h2 + 2KA h − 2KA h − 2h2 4 (KA + h) 2 KA − h2 4 (KA + h) Quindi, la derivata prima e’ positiva per h < KA , si annulla per h = KA ed e’ negativa per h > KA : dβ dh >0 dβ dh =0 dβ dh <0 /h KA Ne segue che la funzione (semplificata) e quindi la capacita’ tamponante della soluzione presenta un massimo per h = KA , ovvero per pH = pKA (figura 1.3). Ma quando pH = pKA , dall’equazione di Henderson-Hasselbalch segue che la concentrazione dell’acido debole e della sua base coniugata devono essere uguali. Quindi in queste condizioni, diversamente dai due casi precedenti, la soluzione e’ proprio una soluzione tampone nel senso che abbiamo definito. Abbiamo cosi’ dimostrato la tesi che avevamo dichiarato al punto 140: la capacita’ tamponante di una soluzione tampone e’ massima quando l’acido debole e la sua base coniugata sono presenti in concentrazioni uguali 152. Inoltre possiamo osservare ancora la cosa seguente: β(h=KA ) ≈ = = = CT KA KA 2 (KA + KA ) 2 CT KA (2KA )2 2 CT KA 2 4KA CT 4 75 cioe’: la massima capacita’ tamponante di una soluzione tampone e’ direttamente proporzionale alla somma delle concentrazioni dell’acido debole e della sua base coniugata (CT ). 153. Da quanto visto in tutta questa sezione, possiamo concludere quanto segue. Una soluzione tampone sara’ tanto piu’ efficiente: • quanto piu’ il rapporto fra la concentrazione dell’acido debole e della sua base coniugata e’ vicino a 1 e • quanto piu’ e’ concentrata 76 Capitolo 2 POTENZIOMETRIA 154. La potenziometria e’ una tecnica analitica che si basa sulla misura della differenza di potenziale in una cella elettrochimica in condizioni di equilibrio. Nel seguito vedremo come tale differenza di potenziale possa essere messa in relazione con la concentrazione dell’analita di interesse. Specificheremo fra breve cosa significhi “condizioni di equilibrio”: per il momento e’ sufficiente dire che in una cella elettrochimica all’equilibrio non circola corrente elettrica. Questo e’ essenziale: la circolazione di corrente elettrica sarebbe infatti inevitabilmente accompagnata da reazioni elettrodiche, che farebbero variare la concentrazione della specie al cui dosaggio si e’ interessati. Per cominciare, svilupperemo alcuni concetti fondamentali che useremo in seguito per la discussione degli aspetti piu’ propriamente analitici di questa tecnica sperimentale. 2.1 Elettrodi 155. Per gli scopi presenti, possiamo definire elettrodo (o sistema elettrodico o semicella) un sistema costituito da un conduttore elettronico in contatto con un conduttore elettrolitico. I conduttori elettronici sono quelli in cui la corrente elettrica e’ dovuta al movimento di elettroni: tipici conduttori elettronici sono tutti i metalli. Nei conduttori elettrolitici, invece, la corrente elettrica e’ trasportata da ioni: l’esempio immediato e’ quello di una soluzione salina. Nel seguito considereremo sempre sistemi elettrodici costituiti da un metallo immerso in una soluzione che contiene una o piu’ specie ioniche. Un aspetto fondamentale dei sistemi elettrodici e’ la presenza di una o piu’ coppie redox: una coppia redox e’ costituita da due specie chimiche che si interconvertono per acquisto o perdita di elettroni. Ad esempio, le due specie chimiche Cu2+ e Cu possono trasformarsi l’una nell’altra per acquisto o perdita di due elettroni: Cu2+ + 2e = Cu Diciamo quindi che Cu2+ e Cu costituiscono una coppia redox: Cu2+ si trasforma in Cu per acquisto di due elettroni e, viceversa, Cu si trasforma in Cu2+ per perdita di due elettroni. In una coppia redox, la specie piu’ povera 77 di elettroni (lo ione Cu2+ nell’esempio) si chiama forma ossidata e la specie piu’ ricca di elettroni (il rame metallico nel nostro esempio) si chiama forma ridotta. Il processo in cui la forma ossidata acquista elettroni per trasformarsi nella forma ridotta viene detto riduzione, mentre il processo inverso, nel quale la forma ridotta perde elettroni per trasformarsi nella forma ossidata, viene detto ossidazione. Una coppia redox si indica generalmente specificando la forma ossidata e quella ridotta (in questo ordine), separate da un segno di frazione: la coppia redox appena vista viene percio’ indicata con Cu2+ /Cu. La reazione che interconverte i due membri di una coppia redox si chiama generalmente semireazione redox (o reazione elettrodica). Una semireazione redox e’ sempre rappresentata da un’equazione del tipo: riduzione / forma ossidata + elettroni = o ossidazione forma ridotta Altri esempi di coppie redox sono: coppia redox Ag + /Ag I2 /I − F e3+ /F e2+ F e2+ /F e M nO4− /M n2+ Cr2 O72− /Cr3+ reazione elettrodica Ag + + e = Ag I2 + 2e = 2I − F e3+ + e = F e2+ F e2+ + 2e = F e − M nO4 + 8H + + 5e = M n2+ + 4H2 O Cr2 O72− + 14H + + 6e = 2Cr3+ + 7H2 O Come si vede, una stessa specie puo’ far parte di piu’ di una coppia redox (lo ione F e2+ e’ la forma ossidata della coppia F e2+ /F e e la forma ridotta della coppia F e3+ /F e2+ ); inoltre, ad una semireazione possono partecipare altre specie oltre ai due membri della coppia redox implicata (nella semireazione che interconverte i due membri della coppia redox M nO4− /M n2+ compaiono anche H2 O e H + ). 156. I piu’ comuni sistemi elettrodici possono essere classificati sulla base dello stato di aggregazione della coppia redox che li caratterizza: • Elettrodi costituiti da un metallo in contatto con una soluzione che contiene un suo ione, come ad esempio un filo di Ag immerso in una soluzione di AgN O3 (figura 2.1A) oppure una sbarretta di Cu immersa in una soluzione di CuSO4 : in questo caso, un membro della coppia redox (generalmente la forma ridotta della coppia) costituisce il conduttore elettronico del sistema elettrodico, mentre l’altra forma si trova in soluzione. • Elettrodi costituiti da un metallo inerte immerso in una soluzione che contiene sia la forma ossidata che quella ridotta di una coppia redox; un esempio potrebbe essere quello di una sbarretta di P t o Au immersa in una soluzione che contiene ioni F e2+ e F e3+ (figura 2.1B). In questo caso, come vedremo, il metallo funge solo da “serbatoio” di elettroni, cedendoli alla forma ossidata o aquistandoli dalla forma ridotta della coppia redox. 78 • Elettrodi in cui una o entrambe le forme della coppia redox si trovano sotto forma di un sale insolubile. Un esempio di questo tipo e’ il cosiddetto elettrodo ad AgCl/Ag (figura 2.1C), in cui la reazione elettrodica e’: AgCl(s) + e = Ag(s) + Cl− Come si vede, AgCl (la forma ossidata) e’ un sale insolubile, che si trova depositato su un filo di Ag (la forma ridotta). Osserviamo comunque che e’ necessaria la presenza di ioni Cl− in soluzione affinche’ la semireazione elettrodica possa avvenire. Un altro esempio di questo tipo di sistema elettrodico e’ l’elettrodo a calomelano. “Calomelano” e’ il nome tradizionale del cloruro di mercurio (I), Hg2 Cl2 , un sale poco solubile. La semireazione che caratterizza questo elettrodo e’: Hg2 Cl2(s) + 2e = 2Hg(l) + 2Cl− In questo caso, la forma ridotta della coppia redox (Hg), si trova allo stato liquido. Da un punto di vista pratico, l’elettrodo a calomelano e’ costituito da un filo di P t posto in intimo contatto con una pasta ottenuta amalgamando Hg2 Cl2(s) e Hg(l) , il tutto immerso in una soluzione contenente ioni Cl− . • Elettrodi in cui un membro della coppia redox si trova allo stato gassoso. Un esempio e’ rappresentato da un filo di P t immerso in una soluzione satura di H2 e contenente una certa concentrazione di ioni H + (figura 2.1D); la coppia redox e’ H + /H2 : 2H + + 2e = H2 (aq) La concentrazione di H2 in soluzione e’ mantenuta al valore di saturazione mediante una campana di vetro contenente il filo di P t e all’interno della quale si trova H2 (g) ad una pressione parziale definita. La concetrazione di H2 in soluzione e’ direttamente legata alla pressione parziale dell’idrogeno gassoso nella campana. 2.2 Il potenziale elettrodico 157. Quando un sistema elettrodico raggiunge l’equilibrio, si crea una separazione di carica elettrica fra metallo e soluzione: sul metallo si accumula un eccesso di carica (positiva o negativa), controbilanciato da una quantita’ di carica uguale ma di segno opposto nella soluzione; si puo’ dire equivalentemente che in tali condizioni esiste una differenza di potenziale elettrostatico fra metallo e soluzione. Questa differenza di potenziale, che per convenzione e’ sempre misurata come differenza fra il potenziale del metallo e quello della soluzione (e 79 Ag Ag + + e = Ag Ag + Pt F e3+ + e = F e2+ F e3+ F e2+ Ag AgCl(s) AgCl(s) + e = Ag(s) + Cl− Cl− Pt H2 (g) 2H + + 2e = H2(g) H+ Figura 2.1: Diversi tipi di sistemi elettrodici. 80 non viceversa), si chiama potenziale elettrodico e si indica generalmente con il simbolo E. Lo scopo della discussione che segue e’ quello di giustificare in modo semplice cio’ che abbiamo appena enunciato. 158. Tanto per fissare le idee, consideriamo un sistema elettrodico particolarmente semplice: un filo di Ag immerso in una soluzione di AgN O3 . Prima di venire immerso nella soluzione, il filo di argento e’ elettricamente neutro, cioe’ la sua carica elettrica risultante e’ nulla. A questo proposito, conviene pensare il filo di Ag come costituito da un reticolo fisso di ioni Ag + permeato dal “gas” degli elettroni di valenza (ogni atomo di argento contribuisce un elettrone di valenza): il fatto che inizialmente il filo sia elettricamente neutro significa semplicemente che ogni ione Ag + del reticolo e’ neutralizzato dal suo elettrone di valenza. Inizialmente, la neutralita’ elettrica vale anche per la soluzione, dove ogni ione Ag + e’ neutralizzato da un corrispondente controione N O3− . Appena si immerge il filo di argento nella soluzione, la semireazione elettrodica relativa alla coppia redox Ag + /Ag comincia ad avvenire. Tale reazione consiste di due processi che sono uno l’inverso dell’altro: riduzione: Ag + + e ossidazione: Ag → Ag → Ag + + e 159. Ciascuno di questi due processi provoca dei cambiamenti nella concentrazione e nella distribuzione della carica elettrica fra metallo e soluzione. La riduzione tende a produrre un eccesso di carica positiva nel filo metallico e un corrispondente eccesso di carica negativa nella soluzione: infatti, man mano che ioni argento (cioe’ particelle con carica elettrica positiva) abbandonano la soluzione per depositarsi sul metallo, questo si carica positivamente (ogni ione Ag + “nuovo arrivato” non ha un elettrone di valenza che lo neutralizzi); d’altro canto, nella soluzione rimangono ioni N O3− (cioe’ particelle con carica elettrica negativa) in eccesso. E’ chiaro, inoltre, che la riduzione provoca altresi’ una diminuzione della concentrazione di ioni Ag + nella soluzione. La ossidazione tende a produrre effetti contrari a quelli della riduzione. Ogni atomo di argento che abbandona il metallo passando in soluzione come ione monopositivo, lascia sul filo di argento il suo elettrone di valenza, cioe’ una carica negativa; inoltre, gli ioni Ag + che passano in soluzione non sono neutralizzati da alcun controione e quindi determinano un accumulo di carica positiva nella soluzione. Per quanto riguarda i cambiamenti di concentrazione, e’ ovvio che l’ossidazione tende a produrre un aumento della concentrazione di ioni Ag + nella soluzione. 160. La cosa importante e’ che la riduzione e l’ossidazione avvengono contemporaneamente e quindi i cambiamenti netti nella distribuzione della carica elettrica e nella concentrazione dipenderanno dalla velocita’ relativa dei due processi. Se inizialmente la riduzione e’ piu’ veloce dell’ossidazione, cio’ significa che, nell’unita’ di tempo, sono piu’ gli ioni Ag + che dalla soluzione si depositano sul metallo che non quelli che dal metallo passano in soluzione; conseguentemente, il metallo assumera’ una carica netta positiva (e la soluzione una corrispondente carica netta negativa) e la concentrazione di ioni Ag + in soluzione diminuira’. 81 Ad esempio, se in 1 s 10 ioni Ag + si depositano sul metallo e solo 7 atomi di Ag lo abbandonano per andare in soluzione, si e’ avuto un passaggio netto di 3 ioni Ag + dalla soluzione al metallo; conseguentemente, sul metallo si e’ accumulata una carica positiva netta pari a +3 e nella soluzione si e’ accumulata una carica netta negativa pari a −3 (cioe’ ci sono 3 ioni N O3− non neutralizzati da corrispondenti ioni Ag + ); inoltre, la concentrazione di ioni Ag + in soluzione ha avuto un calo netto corrispondente alla scomparsa di 3 ioni Ag + . Se l’ossidazione e’ inizialmente piu’ veloce della riduzione, cio’ vuol dire che, nell’unita’ di tempo, sono piu’ gli ioni Ag + che dal metallo vanno in soluzione che non quelli che dalla soluzione si depositano sul metallo; la conseguenza e’ che, in questo caso, il metallo assumera’ una carica netta negativa (e la soluzione una corrispondente carica netta positiva) e la concentrazione di ioni Ag + in soluzione aumentera’. 161. I cambiamenti dovuti al fatto che le velocita’ iniziali della riduzione e dell’ossidazione sono (in generale) diverse non continuano pero’ all’infinito. Infatti vedremo fra un momento che, proprio a causa di questi cambiamenti, il processo inizialmente piu’ veloce viene progressivamente rallentato e quello inizialmente piu’ lento viene progressivamente accelerato finche’, inevitabilmente, si raggiunge la situazione in cui le due velocita’ diventano uguali. E’ questa la condizione di equilibrio dinamico, che caratterizza tutte le reazioni chimiche: da questo momento in poi la separazione di carica e la concentrazione in soluzione rimangono costanti nel tempo. 162. Per comprendere bene come mai le velocita’ della riduzione e della ossidazione, inizialmente diverse, inevitabilmente finiscano per uguagliarsi, facciamo riferimento alle figure 2.2 e 2.3. Nella figura 2.2 e’ schematizzato un elettrodo ad Ag + /Ag a diversi istanti di tempo: la freccia diretta verso destra rappresenta la velocita’ di ossidazione mentre quella diretta verso sinistra rappresenta la velocita’ di riduzione (il verso delle frecce e’ stato fatto arbitrariamente coincidere con la direzione di movimento degli ioni Ag + : cioe’, l’ossidazione produce un flusso di ioni Ag + dalla sbarretta metallica alla soluzione, mentre la riduzione causa il movimento degli ioni Ag + dalla soluzione al metallo). La figura 2.3 mostra l’andamento temporale delle velocita’ di ossidazione e riduzione (grafico superiore) e dell’accumulo di carica elettrica nel metallo e nella soluzione (grafico inferiore) corrispondenti alla situazione rappresentata nella figura 2.2. Supponiamo che a t = 0 l’ossidazione sia piu’ veloce della riduzione: nella figura 2.2 la freccia verso destra e’ piu’ lunga della freccia verso sinistra. Nel grafico superiore della figura 2.3 si ha (per t = 0): vox > vred . Naturalmente, per t = 0, la carica elettrica risultante nel metallo e nella soluzione e’ nulla: guardate il grafico inferiore della figura 2.3. Ora vediamo cosa succede dopo che e’ trascorso un piccolo intervallo di tempo (t = t1 nelle figure 2.2 e 2.3). In base a quanto gia’ detto al punto 160, siccome la velocita’ di ossidazione e’ maggiore della velocita di riduzione, sul metallo si e’ accumulato un eccesso di carica negativa e nella soluzione si trova un corrispondente eccesso di carica positiva (guardate il grafico inferiore della figura 2.3 per t = t1 ). Tutti sappiamo che cariche elettriche dello stesso segno si respingono e cariche di segno opposto si attraggono. Sulla base di questa semplice considerazione, giungiamo alla conclusione che la separazione di carica venutasi a creare ostacolera’ la reazione di ossidazione e facilitera’ quella di riduzione. Infatti per uno ione Ag + 82 Ag /Ag + + e− o Ag Ag /Ag + + e− o ⊖ ⊖ /Ag + + e− Ag o ⊖ Ag ⊖⊖ ⊖ ⊖ ⊖ ⊖ Ag + ⊕ ⊕ ⊕ Ag + t = t1 > 0 t=0 ⊕ ⊕ ⊕ ⊕ ⊕ ⊕ ⊕ t = t 3 > t2 / Ag o ⊖ ⊖ Ag ⊖ ⊖ ⊖⊖ ⊖⊖ ⊖ ⊖ Ag + / o Ag + + e− ⊖ Ag ⊖ ⊖ ⊖ Ag ⊖ Ag + Ag ⊖ Ag + ⊕ ⊕ ⊕ t = t 2 > t1 Ag + + e− ⊕⊕ ⊕ ⊕ ⊕ ⊕ ⊕⊕ ⊕ ⊕ t→∞ Figura 2.2: Il raggiungimento dell’equilibrio in un elettrodo Ag + /Ag: la freccia verso destra rappresenta l’ossidazione mentre quella verso sinistra rappresenta la riduzione. La lunghezza delle frecce e’ proporzionale alla velocita’ dei due processi. 83 ⊕ ⊕ vox , vred vox t→∞ da qui in poi: equilibrio vred t1 t3 q > 0 −→ t2 qsoluzione t→∞ da qui in poi: equilibrio q=0 ←− q < 0 qmetallo , qsoluzione 0 0 qmetallo t1 t2 t3 tempo Figura 2.3: Andamenti temporali delle velocita’ di ossidazione e riduzione (grafico superiore) e della carica elettrica accumulata nel metallo e nella soluzione (grafico inferiore) per la situazione schematizzata nella figura 2.2 84 sara’ ora piu’ difficile lasciare un elettrone (negativo) sul metallo che contiene un eccesso di carica negativa e andare in soluzione dove si trova un eccesso di carica positiva (che lo “respinge”). Viceversa, sara’ piu’ facile per uno ione Ag + abbandonare la soluzione (esso sara’ “spinto” dall’eccesso di carica positiva) e depositarsi sul metallo (che lo “attirera’ ” grazie all’eccesso di carica negativa). Vediamo quindi che la separazione di carica prodotta inizialmente provoca proprio un rallentamento del processo piu’ veloce (l’ossidazione) e un’accelerazione del processo piu’ lento (la riduzione), come avevamo preannunciato. 163. Oltre all’effetto della separazione di carica, c’e’ da considerare anche quello dell’ aumento di concentrazione di ioni Ag + in soluzione (l’effetto della concentrazione non e’ rappresentato nella figura 2.2 per non appesantirla troppo). In generale, la velocita’ di un processo chimico cresce al crescere della concentrazione dei reagenti. Nel caso dell’ossidazione, il reagente e’ l’argento metallico, la cui concentrazione rimane costante (sapreste dimostrarlo?). Nel caso della riduzione, invece, il reagente e’ lo ione Ag + , la cui concentrazione in soluzione e’ aumentata (nell’ipotesi che stiamo considerando): cio’ provochera’, per quanto appena detto, un corrispondente aumento della velocita’ della riduzione (il processo inizialmente piu’ lento). La velocita’ dell’ossidazione non risente invece di effetti di concentrazione (perche’ la concentrazione dell’argento metallico non varia): anche i cambiamenti di concentrazione tendono quindi a “livellare” le velocita’ della riduzione e dell’ossidazione. Cercate di ritrovare quanto appena detto nelle figure. Per t = t1 , nella figura 2.2 la freccia verso destra (che rappresenta l’ossidazione) e’ diventata un po’ piu’ corta mentre la freccia verso sinistra (che rappresenta la riduzione) e’ diventata un po’ piu’ lunga (notate pero’ che la freccia verso destra rimane sempre piu’ lunga di quella verso sinistra); inoltre, nella sbarretta metallica si e’ accumulata della carica negativa e nella soluzione si e’ accumulata una carica positiva di uguale entita’. Non dovrebbe essere difficile trovare la corrispondenza fra la figura 2.2 e i grafici della figura 2.3 (sempre per t = t1 ). 164. Col trascorrere del tempo, la sbarretta di argento continua a caricarsi negativamente e la soluzione positivamente; inoltre, la concentrazione di ioni Ag + continua a crescere: cio’ fa si’ che la velocita’ dell’ossidazione continui a diminuire mentre quella della riduzione continui ad aumentare (figure 2.2 e 2.3, t = t2 , t = t3 ). E’ inevitabile che queste due velocita’ finiscano per diventare uguali (figure 2.2 e 2.3, t → ∞). In tali condizioni il numero di ioni Ag + che abbandonano il metallo nell’unita’ di tempo a causa dell’ossidazione e’ uguale a quello degli ioni Ag + che dalla soluzione si depositano sul metallo a causa della riduzione: ne segue che l’eccesso di carica negativa sul filo di argento, il corrispondente eccesso di carica positiva nella soluzione e la concentrazione di ioni Ag + smettono di variare, e la differenza di potenziale fra metallo e soluzione (in questo esempio negativa) raggiunge un valore asintotico costante. Il sistema elettrodico ha raggiunto l’equilibrio e la differenza di potenziale che si e’ cosi’ stabilita fra il filo di argento e la soluzione e’ cio’ che si definisce potenziale elettrodico. E’ importante osservare che, in condizioni di equilibrio, l’ossidazione e la riduzione non si sono fermate, ma continuano ad avvenire entrambe alla stessa velocita’ (con riferimento alla figura 2.2, le frecce non sono scomparse, ma sono diventate della stessa lunghezza). 165. Nell’esempio considerato, abbiamo fatto l’ipotesi che, inizialmente, l’ossidazione fosse piu’ veloce della riduzione: provate a ripetere il ragionamento nel 85 caso opposto in cui la riduzione sia inizialmente piu’ veloce dell’ossidazione. Per inciso: e se le due velocita’ iniziali sono identiche? Nulla di nuovo: significa semplicemente che il sistema si trova gia’ all’equilibrio; non si avra’ alcun accumulo di carica ne’ variazioni di concentrazione: il potenziale elettrodico in questo caso sara’ pari a 0.00 V . 166. Vale la pena di osservare che la separazione di carica e le variazioni di concentrazione che si verificano in soluzione in seguito al raggiungimento dell’equilibrio elettrodico sono piccolissime. Ad esempio, se la concentrazione in soluzione di ioni Ag + in un elettrodo ad Ag + /Ag e’ 0.1 mol/L, la variazione di tale concentrazione dovuta ai fenomeni discussi implicati nel raggiungimento dell’equilibrio e’ totalmente trascurabile. In altre parole, non pensiate che se immergiamo una sbarretta di Ag metallico in una soluzione 0.1 mol/L di AgN O3 , la concentrazione di ioni Ag + in soluzione diventa 0.11 mol/L o 0.09 mol/L ! In generale, la separazione di carica elettrica e’ un processo molto costoso dal punto di vista energetico e quindi e’ sufficiente che si crei una separazione di carica piccolissima affinche’ un sistema elettrodico raggiunga l’equilibrio. 167. Abbiamo discusso il caso di un elettrodo ad Ag + /Ag, ma gli stessi argomenti si applicano in modo identico a qualsiasi altro sistema elettrodico. Provate a descrivere da soli cio’ che accade quando si immerge un filo di P t in una soluzione contenente concentrazioni date di ioni F e2+ e F e3+ . L’unica variante, in questo caso, e’ che nessuno dei due membri della coppia redox si deposita sull’elettrodo, il cui unico scopo e’ quello di fornire elettroni alla forma ossidata o accettarne dalla forma ridotta: F e3+ + e Fe 2+ = F e2+ = F e3+ + e Analogamente all’esempio precedente, la riduzione tende ad accumulare carica positiva sul metallo (carica negativa in soluzione), a diminuire la concentrazione di ioni F e3+ e ad aumentare quella degli ioni F e2+ ; l’ossidazione tende invece a fare esattamente il contrario. Inizialmente la velocita’ dei due processi sara’ diversa e quindi. . . A beneficio di coloro che si trovano a proprio agio piu’ con i numeri che con le parole, nell’appendice A e’ sviluppato un semplicissimo modello che descrive matematicamente il raggiungimento dell’equilibrio di una semireazione e il concomitante instaurarsi del potenziale elettrodico. 2.2.1 Il caso di due o piu’ coppie redox 168. Una semplice estensione di quanto detto nella sezione precedente e’ il caso in cui una semicella contenga non una, ma due o piu’ coppie redox. Va detto che questa e’ la norma, piuttosto che un’eccezione; basti pensare che in una soluzione acquosa ci sono sempre almeno due coppie redox che coinvolgono l’acqua: coppia redox H2 O/H2 O2 /H2 O semireazione 2H2 O + 2e = H2(g) + 2OH − O2 + 4e + 4H + = 2H2 O 86 Siccome ci servira’ nel seguito, analizziamo un po’ in dettaglio questa situazione; come vedrete, pero’, non ci sara’ bisogno di introdurre alcun concetto nuovo. 169. Tanto per fissare le idee, consideriamo una semicella costituita da un filo di P t immerso in una soluzione contenente le due coppie redox F e3+ /F e2+ e Sn4+ /Sn2+ . Come visto nella sezione precedente, i membri di ciascuna coppia scambiano elettroni con il metallo inerte, interconvertendosi e generando una separazione di carica fra metallo e soluzione: F e3+ + e = F e2+ Sn4+ + 2e = Sn2+ L’aspetto addizionale da considerare in questo caso e’ che i membri delle due coppie redox possono scambiare elettroni anche direttamente fra di loro, senza l’“intermediazione” del metallo inerte; in pratica, la forma ossidata di una coppia puo’ acquistare elettroni dalla forma ridotta dell’altra coppia e viceversa, in un processo che chiamiamo reazione redox (notate che qui usiamo il termine “reazione” e non “semireazione”): 2F e3+ + Sn2+ = 2F e2+ + Sn4+ 170. Quindi, in questo caso, ci sono tre processi che avvengono contemporaneamente (le due semireazioni elettrodiche e la reazione redox). Ciascun processo puo’ avvenire in due direzioni opposte e ciascuna direzione tende a produrre una separazione di carica di un certo tipo fra metallo e soluzione (la situazione e’ graficamente schematizzata nella figura 2.4). Per ciascuna delle due semireazioni elettrodiche, come abbiamo gia’ visto, il verso della riduzione tende a localizzare un eccesso di carica positiva sul metallo e un corrispondente eccesso di carica negativa nella soluzione; il verso dell’ossidazione tende a fare esattamente il contrario. 171. La reazione redox coinvolgente le due coppie in soluzione non modifica direttamente la separazione di carica metallo-soluzione; tuttavia, siccome fa variare le concentrazioni di F e3+ , F e2+ , Sn4+ e Sn2+ , influisce sulla velocita’ delle semireazioni elettrodiche (punto 163) e quindi influenza anch’essa indirettamente la separazione di carica metallo-soluzione. Quindi, ciascuno dei tre processi influenza la separazione di carica metallosoluzione e, a sua volta, come abbiamo visto in dettaglio nella sezione precedente, la separazione di carica ha un effetto sulla velocita’ relativa di ogni singolo verso in cui ciascuno dei tre processi puo’ avvenire. 172. La cosa essenziale da realizzare e’ che tutti i processi in gioco “vedono” la medesima separazione di carica (che e’ dovuta semplicemente all’eccesso o difetto di elettroni che si viene a stabilire sul filo di P t, indipendentemente dal contributo dovuto a ogni singolo processo): dovrebbe a questo punto essere chiaro che, quando l’intero sistema della semicella raggiunge l’equilibrio, ciascuno dei tre processi sara’ all’equilibrio separatamente (cioe’ la velocita’ dei due versi di ciascun processo sara’ la stessa) e la separazione di carica metallo-soluzione (cioe’, in ultima analisi, il potenziale elettrodico), sara’ tale da soddisfare contemporaneamente la condizione di equilibrio per ciascun singolo processo. 87 fase metallica soluzione e F e3+ F e2+ F e2+ e F e3+ 2e Sn4+ 2F e3+ + Sn2+ Sn4+ + 2F e2+ Sn2+ Sn2+ 2e Sn4+ Figura 2.4: Schematica rappresentazione dei vari processi che avvengono in una semicella contenente le due coppie redox F e3+ /F e2+ e Sn4+ /Sn2+ . All’interfaccia metallo/soluzione avvengono contemporaneamente i seguenti processi (dall’alto verso il basso): F e3+ + e → F e2+ ; F e2+ → F e3+ + e; Sn4+ + 2e → Sn2+ e Sn2+ → Sn4+ + 2e. In soluzione, avvengono i seguenti processi (parte destra della figura): 2F e3+ +Sn2+ → 2F e2+ +Sn4+ e 2F e2+ +Sn4+ → 2F e3+ +Sn2+ . 88 173. Quanto visto in questo caso particolare di due sole coppie redox ha validita’ completamente generale: in un sistema elettrodico puo’ essere presente un numero qualsiasi di coppie redox; ci sara’ un corrispondente numero di semireazioni elettrodiche (in cui i membri di ciascuna coppia redox scambiano elettroni con il metallo della semicella) e di reazioni redox (in cui la forma ossidata di una certa coppia acquista elettroni dalla forma ridotta di un’altra coppia e viceversa). Tutti questi processi sono fra loro collegati nel senso che ciascuno influisce sugli altri e dagli altri e’ influenzato e questa influenza reciproca avviene a causa della separazione di carica fra metallo e soluzione. L’intero sistema elettrodico raggiunge una condizione di equilibrio in cui ogni singolo processo si trova in uno stato di equilibrio dinamico: in tali condizioni, il potenziale elettrodico sara’ necessariamente tale da soddisfare contemporaneamente la condizione di equilibrio per tutte le semireazioni elettrodiche e le reazioni redox presenti in soluzione. 174. La situazione e’ perfettamente analoga al caso di piu’ equilibri simultanei in soluzione: se una specie chimica e’ coinvolta in piu’ reazioni, la sua concentrazione finale di equilibrio dovra’ essere necessariamente tale da soddisfare simultaneamente tutte le leggi dell’azione di massa relative a tutte le reazioni a cui partecipa. 2.3 La legge di Nernst 175. Dovrebbe a questo punto essere chiaro che gli “ingredienti” dell’equilibrio in un sistema elettrodico sono le concentrazioni dei partecipanti alla semireazione elettrodica e il potenziale elettrodico. Come per le reazioni chimiche in soluzione esiste una relazione che lega le concentrazioni di equilibrio dei partecipanti, cosi’ per un sistema elettrodico esiste una relazione che lega fra loro le concentrazioni di equilibrio e il potenziale elettrodico: tale relazione si chiama legge di Nernst. Per una generica semireazione: aA + bB + cC + · · · + ne = xX + yY + zZ + · · · essa assume la forma: E = E◦ + [A]a [B]b [C]c · · · RT ln nF [X]x [Y ]y [Z]z · · · (2.1) E e’ il potenziale elettrodico, cioe’, ripetiamolo, la differenza di potenziale elettrico che si e’ instaurata fra il metallo e la soluzione che costituiscono il sistema elettrodico quando la reazione elettrodica ha raggiunto l’equilibrio, R e’ la costante universale dei gas, F e’ la costante di Faraday (la carica in Coulomb posseduta da una mole di elettroni), T e’ la temperatura assoluta e il termine logaritmico contiene le concentrazioni (rigorosamente: le attivita’) delle specie partecipanti, ciascuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico: al numeratore compaiono le specie che stanno dalla parte della forma ossidata, al denominatore quelle che stanno dalla parte della forma ridotta nella semireazione. 176. La legge di Nernst e’ l’equivalente della legge dell’azione di massa per le reazioni in soluzione: oltre alle concentrazioni di equilibrio, vi compare anche 89 il potenziale elettrodico, che per i sistemi elettrodici e’ una grandezza fisica addizionale che deve essere considerata come fattore determinante dello stato di equilibrio. 177. Analogamente a quanto avviene per la legge dell’azione di massa, anche nell’equazione di Nernst ciascun termine di concentrazione e’ in realta’ un rapporto adimensionale fra la concentrazione di una data specie e la sua concentrazione in uno stato di riferimento, secondo la seguente tabella: stato di aggregazione soluti in fase liquida gas solidi/liquidi puri stato di riferimento soluzione ideale a concentrazione 1 mol/L gas ideale alla pressione di 1 bar solidi/liquidi puri alla pressione di 1 bar Siccome per i soluti e i gas la concentrazione/pressione di riferimento e’ unitaria, il valore del rapporto che compare nella legge di Nernst e’ numericamente uguale alla concentrazione/pressione misurabile per il dato componente. Nel caso di solidi o liquidi puri il rapporto adimensionale e’ rigorosamente unitario se la pressione e’ di 1 bar ed e’ vicinissimo all’unita’ in un vasto range di pressioni (poiche’ le variazioni di pressione non hanno una grande influenza sulle fasi condensate). 178. E ◦ si chiama potenziale standard e dall’espressione 2.1 si vede che rappresenta la differenza di potenziale fra metallo e soluzione quando la concentrazione di tutte le specie che partecipano alla semireazione e’ unitaria. E ◦ non dipende quindi dalla concentrazione, ma solo dalla particolare coppia redox considerata. Ogni coppia redox ha un valore di E ◦ che la caratterizza: molto spesso, per indicare il potenziale standard di una particolare coppia redox, si usa il simbolo E ◦ con il simbolo della coppia redox come indice. Ad esempio, per indicare il potenziale standard della coppia redox F e3+ /F e2+ si scrivera’: ◦ EF◦ e3+ /F e2+ ; oppure, per una generica coppia redox Ox/Rid: EOx/Rid . Vale la pena di sottolineare che la legge di Nernst e’ una relazione termodinamica che vale esclusivamente in condizioni di equilibrio e quindi le concentrazioni che in essa compaiono devono essere quelle corrispondenti a una condizione di equilibrio. L’equazione di Nernst rappresenta il fondamento delle applicazioni analitiche della potenziometria: in ultima analisi, essa consente di risalire dal potenziale elettrodico alla concentrazione in soluzione. 179. A titolo di esempio, scriviamo la legge di Nernst per alcuni sistemi elettrodici. • In un sistema elettrodico all’equilibrio costituito da un filo di P t immerso in una soluzione di ioni F e2+ e F e3+ la semireazione: F e3+ + e = F e2+ e’ all’equilibrio. In tali condizioni, il potenziale elettrodico e’ legato alla concentrazione dei due ioni in soluzione da: E = EF◦ e3+ /F e2+ + 90 [F e3+ ] RT ln F [F e2+ ] • Come per la legge dell’azione di massa, ed esattamente per gli stessi motivi, anche nell’equazione di Nernst non compaiono le concentrazioni di solidi, liquidi puri o la concentrazione del solvente in soluzioni diluite. Un esempio di questo tipo e’ costituito dall’elettrodo Ag + /Ag, in cui la reazione elettrodica e’: Ag + + e = Ag In condizioni di equilibrio, il potenziale elettrodico e’ dato da: E ◦ = EAg + /Ag + RT ln [Ag + ] F • Per un elettrodo costituito da un filo di P t immerso in una soluzione contenente la coppia redox Cr2 O72− /Cr3+ in condizioni di equilibrio: Cr2 O72− + 14H + + 6e = 2Cr3+ + 7H2 O la legge di Nernst si scrive nel modo seguente: E = ◦ ECr 2− 3+ 2 O7 /Cr 14 Cr2 O72− [H + ] RT ln + 6F [Cr3+ ]2 Se la soluzione non e’ molto concentrata, si puo’ assumere che l’acqua (il solvente) sia praticamente in uno stato coincidente con quello di riferimento (acqua pura alla pressione di 1 bar, punto 175) e quindi il termine ad essa relativo e’ (con buona approssimazione) unitario. • Per un elettrodo ad AgCl/Ag, caratterizzato, come abbiamo gia’ visto, dalla semireazione: AgCl + e = Ag + Cl− la legge di Nernst si scrive cosi’: E RT 1 ln F [Cl− ] RT − ln Cl − F = ◦ EAgCl/Ag + = ◦ EAgCl/Ag Osserviamo che, siccome AgCl e Ag sono solidi, il potenziale elettrodico viene a dipendere unicamente dalla concentrazione di ioni Cl− in soluzione. 91 • Analogamente alla legge dell’azione di massa, anche nella legge di Nernst se una specie in soluzione si trova in equilibrio con una fase gassosa, la sua concentrazione e’ sostituita dalla pressione parziale nella fase gassosa. E’ questo il caso dell’elettrodo a idrogeno, in cui si ha: 2H + + 2e = H2 e quindi: 2 E 2.4 ◦ = EH + /H + 2 RT [H + ] ln 2F pH2 Potenziali standard e costante di equilibrio 180. Nella sezione 2.2.1 abbiamo visto che, se una semicella contiene piu’ coppie redox, il potenziale elettrodico di equilibrio sara’ necessariamente tale da soddisfare contemporaneamente le condizioni di equilibrio per tutte le semireazioni relative a tutte le coppie redox presenti. Ora possiamo enunciare questa affermazione in termini piu’ quantitativi: in una semicella all’equilibrio, il potenziale elettrodico E sara’ tale da soddisfare contemporaneamente la legge di Nernst per tutte le coppie redox presenti. 181. Facciamo subito un esempio per chiarire. Consideriamo una semicella in 2+ 3+ 2+ 4+ condizioni di equilibrio contenente e Sn in concentra 2+ ioni F3+e , F e2+ , Sn 4+ zione (di equilibrio) pari a F e , F e , Sn e Sn , rispettivamente. Siamo quindi in presenza delle due coppie redox F e3+ /F e2+ e Sn4+ /Sn2+ , le cui semireazioni elettrodiche sono: F e3+ + e Sn 4+ + 2e = F e2+ = Sn2+ Ciascuna coppia e’ caratterizzata dal proprio potenziale standard: EF◦ e3+ /F e2+ e ◦ ESn 4+ /Sn2+ . Ebbene, siccome la semicella ha raggiunto le condizioni di equilibrio, il potenziale elettrodico E soddisfera’ contemporaneamente entrambe le espressioni della legge di Nernst per le due coppie redox: E E 3+ Fe RT = + ln F [F e2+ ] 4+ Sn RT ◦ ln = ESn 4+ /Sn2+ + 2F [Sn2+ ] EF◦ e3+ /F e2+ 92 2.4.1 Costanti di equilibrio per reazioni redox 182. Quanto appena detto ci consente di ricavare immediatamente una importantissima relazione che lega la costante di equilibrio di una reazione redox ai potenziali standard delle due coppie redox che la costituiscono. Come accennato al punto 169, una reazione redox e’ sempre scomponibile in due semireazioni che avvengono in versi opposti: una procede nel verso della riduzione e l’altra in quello dell’ossidazione. Ciascuna semireazione coinvolge una coppia redox: nella reazione redox completa, la forma ossidata di una coppia redox acquista elettroni dalla forma ridotta dell’altra coppia; si produce cosi’ la forma ridotta della prima coppia e la forma ossidata della seconda coppia: coppia Ox2 /Rid2 Ox1 + Rid2 = Rid1 + Ox2 coppia Ox1 /Rid1 Restiamo nell’esempio delle due coppie F e3+ /F e2+ e Sn4+ /Sn2+ . In questo caso, la reazione redox completa (e bilanciata) e’: 2F e3+ + Sn2+ = 2F e2+ + Sn4+ Ci proponiamo di ricavare la costante di equilibrio della reazione redox dai potenziali standard delle due coppie redox coinvolte. All’equilibrio il potenziale elettrodico soddisfa contemporaneamente entrambe le espressioni della legge di Nernst. Quindi possiamo uguagliare i due secondi membri delle relazioni scritte prima ottenendo: EF◦ e3+ /F e2+ 3+ Fe RT + ln F [F e2+ ] ◦ ESn 4+ /Sn2+ = 4+ Sn RT + ln 2F [Sn2+ ] Ora facciamo qualche passaggio algebrico per raggruppare i termini di concentrazione. Moltiplichiamo ambo i membri per 2: 2EF◦ e3+ /F e2+ 3+ Fe RT +2 ln F [F e2+ ] ◦ 2ESn 4+ /Sn2+ = 4+ Sn RT + ln F [Sn2+ ] Per il termine contenente le concentrazioni degli ioni F e, sfruttiamo la proprieta’ dei logaritmi per cui: a ln b = ln ba : 2EF◦ e3+ /F e2+ 3+ 2 Fe RT ln + 2 F [F e2+ ] ◦ 2ESn 4+ /Sn2+ = 4+ Sn RT ln + F [Sn2+ ] 2 ◦ Sottraiamo 2ESn 4+ /Sn2+ e RT F ln [F e3+ ] [F e2+ ]2 93 da entrambi i membri: 2EF◦ e3+ /F e2+ − ◦ 2ESn 4+ /Sn2+ 4+ 3+ 2 Sn Fe RT RT ln − ln F [Sn2+ ] F [F e2+ ]2 = Sfruttiamo la proprieta’ dei logaritmi per cui: ln a − ln b = ln ab : 4+ 2+ 2 Sn Fe RT ln 2 2+ F [Sn ] [F e3+ ] = ◦ 2EF◦ e3+ /F e2+ − 2ESn 4+ /Sn2+ Infine, raccogliamo il 2 a fattor comune al secondo membro e moltiplichiamo F : ambo i membri per RT ln 4+ 2+ 2 Sn Fe [Sn2+ ] [F e3+ ]2 = 2F ◦ ◦ EF e3+ /F e2+ − ESn 4+ /Sn2+ RT Ora, siccome le concentrazioni sono quelle di equilibrio, l’argomento del logaritmo e’ proprio la costante di equilibrio K per la reazione redox: 2F e3+ + Sn2+ K = 2F e2+ + Sn4+ Quindi, introducendo il simbolo K e prendendo l’esponenziale di ambo i membri arriviamo a: K = exp 2F ◦ ◦ EF e3+ /F e2+ − ESn4+ /Sn2+ RT che lega la costante di equilibrio di una reazione redox ai potenziali elettrodici standard delle due coppie coinvolte. Se eleviamo ambo i membri alla −1, otteniamo: 1 K = K′ = −1 2F ◦ ◦ exp EF e3+ /F e2+ − ESn 4+ /Sn2+ RT 2F ◦ exp ESn4+ /Sn2+ − EF◦ e3+ /F e2+ RT dove, ovviamente, K ′ e’ la costante di equilibrio della reazione inversa: 2F e2+ + Sn4+ K′ = 2F e3+ + Sn2+ 183. Il risultato ottenuto e’ di validita’ completamente generale. Date due ◦ coppie redox qualsiasi Ox1 /Rid1 e Ox2 /Rid2 con potenziali standard EOx 1 /Rid1 ◦ e EOx2 /Rid2 , e’ sempre possibile scrivere una reazione redox basata su di esse: la forma ossidata di una coppia acquista elettroni dalla forma ridotta dell’altra coppia; i prodotti saranno la forma ridotta della prima coppia e la forma ossidata 94 della seconda coppia (chiaramente si dovra’ bilanciare l’equazione in modo tale che il numero di elettroni acquistati dall’ossidante e ceduti dal riducente sia lo stesso). Quindi: Ox1 + Rid2 = Rid1 + Ox2 (2.2) Ebbene, generalizzando le espressioni viste prima per le due coppie F e3+ /F e2+ e Sn4+ /Sn2+ , la costante di equilibrio per la reazione redox e’ data da: K = exp nF ◦ ◦ EOx1 /Rid1 − EOx2 /Rid2 RT (2.3) dove n e’ il numero di elettroni scambiati fra ossidante e riducente (era n = 2 nel caso specifico visto prima) e la differenza fra i potenziali standard va presa come: potenziale standard della coppia che si riduce meno potenziale standard della coppia che si ossida nel verso diretto dell’equazione cosi’ come e’ stata scritta. Puo’ sembrare complicato, ma non lo e’ davvero. Riguardate l’equazione 2.2: il verso diretto e’ ovviamente quello che va da sinistra verso destra. In tale verso, la coppia redox che si riduce e’ la coppia Ox1 /Rid1 , perche’ Ox1 acquista elettroni e si riduce a Rid1 e, ovviamente, la coppia che si ossida e’ Ox2 /Rid2 . Quindi, la differenza dei potenziali redox da mettere al secondo membro della equazione 2.3 va presa come mostrato. Se scriviamo la stessa reazione redox nel verso opposto: Rid1 + Ox2 = Ox1 + Rid2 la coppia che si riduce (nel verso diretto dell’equazione cosi’ come e’ scritta ora) e’ la coppia Ox2 /Rid2 e quella che si ossida e’ la coppia Ox1 /Rid1 . Quindi la relazione fra la costante di equilibrio K ′ e i potenziali standard va scritta nel modo seguente: K ′ = exp nF ◦ ◦ EOx2 /Rid2 − EOx1 /Rid1 RT Ovviamente, e’ immediato verificare che: K′ = come deve essere. 95 1 K (2.4) 2.4.2 Costanti di equilibrio per reazioni non redox 184. In molti casi la condizione di equilibrio per un sistema elettrodico consente di ricavare relazioni fra potenziali standard e costanti di equilibrio di reazioni non redox. In generale cio’ avviene quando una specie chimica e’ contemporaneamente coinvolta nella semireazione elettrodica e in una o piu’ reazioni in soluzione. 185. Chiariamo subito con un esempio. Consideriamo un sistema elettrodico costituito da un filo di argento ricoperto di AgCl e immerso in una soluzione contenente una certa concentrazione di ioni cloruro: si tratta dell’elettrodo descritto al punto 156. La semireazione elettrodica e’: AgCl(s) + e = Ag (s) + Cl− e il potenziale elettrodico e’ dato da: E = ◦ EAgCl/Ag + RT 1 ln F [Cl− ] Tuttavia, in un sistema come quello descritto, deve esserci anche una certa concentrazione di equilibrio di ioni Ag + , dovuta alla ionizzazione del cloruro d’argento: AgCl(s) KSP Ag + + Cl− = Questo significa che nella semicella e’ presente anche la coppia redox Ag + /Ag e quindi, all’equilibrio, deve valere anche: Ag + + e E = = Ag (s) ◦ EAg / Ag + RT ln Ag + F Uguagliando i due secondi membri si ha: RT 1 ln F [Cl− ] RT 1 RT ln Ag + − ln F F [Cl− ] RT RT ln Ag + + ln Cl− F F + RT ln Ag + ln Cl− F ln Ag + Cl− ◦ EAgCl/Ag + RT ln Ag + F = ◦ EAg / Ag + = ◦ ◦ EAgCl/Ag − EAg / Ag = ◦ ◦ − EAg EAgCl/Ag / Ag = ◦ ◦ EAgCl/Ag − EAg / Ag F ◦ ◦ EAgCl/Ag − EAg / Ag RT = 96 Ag + Cl − KSP F ◦ ◦ EAgCl/Ag − EAg/ Ag exp RT F ◦ ◦ EAgCl/Ag − EAg/ Ag exp RT = = che fornisce una relazione fra i potenziali redox delle coppie AgCl/Ag e Ag + /Ag e il prodotto di solubilita’ per la dissoluzione del cloruro d’argento, una reazione non redox. 186. Osservate, tuttavia, che alla base di questa sezione e’ lo stesso concetto visto alla sezione precedente. Infatti, la dissoluzione del cloruro d’argento puo’ essere sempre vista come la reazione redox fra le due coppie AgCl/Ag e Ag + /Ag, in cui la specie Ag (s) compare ad entrambi i membri dell’equazione chimica e viene percio’ “semplificata”: coppia Ag + /Ag AgCl(s) + Ag (s) = Ag (s) + Ag + + Cl− coppia AgCl/Ag AgCl(s) = Ag + + Cl− 187. Un’ultima osservazione. La relazione che lega i potenziali standard alle costanti di equilibrio puo’ essere anche usata per ricavare il potenziale standard di una coppia redox. Consideriamo il seguente esempio. Una semicella all’equilibrio e’ costituita da un filo d’argento ricoperto di Ag2 CrO4 immerso in una soluzione contenente ioni CrO42− . Sapendo che il prodotto di solubilita’ del cromato d’argento e’ KSP = 2.0 × 10−12 e che il ◦ potenziale standard della coppia Ag + /Ag e’ EAg + /Ag = 0.799 V , calcolare il potenziale standard della coppia Ag2 CrO4 /Ag. Nella semicella in questione possiamo individuare almeno due coppie redox: Ag2 CrO4 /Ag e Ag + /Ag. Quindi il potenziale elettrodico puo’ essere scritto in almeno due modi equivalenti: Ag2 CrO4 (s) + 2e = E AgCl(s) + e E = 2Ag(s) + CrO42− ◦ EAg + 2 CrO4 /Ag 1 RT ln 2F CrO42− = Ag (s) + Cl− RT ◦ = EAg ln Ag + + /Ag + F 97 Le concentrazioni degli ioni CrO42− e Ag + sono legate dalla legge dell’azione di massa relativa alla dissoluzione del sale poco solubile: Ag2 CrO4 (s) KSP = = 2Ag + + CrO42− + 2 Ag CrO42− Allora, utilizzando l’espressione del potenziale elettrodico basata sulla coppia Ag + /Ag: E = = = = = RT ln Ag + F s KSP RT ◦ ln EAg + /Ag + F CrO42− ◦ EAg + /Ag + KSP RT ln 2F CrO42− RT RT ◦ EAg ln KSP − ln CrO42− + /Ag + 2F 2F RT RT 1 ◦ EAg+ /Ag + ln KSP + ln 2F 2F CrO42− ◦ EAg + /Ag + da cui, per confronto con l’espressione del potenziale elettrodico basata sulla coppia Ag2 CrO4 /Ag, si ricava: ◦ EAg 2 CrO4 /Ag = = = 2.4.3 RT ln KSP 2F 8.314 × 298 ln 2.0 × 10−12 0.799 + 2 × 96485 0.453 V ◦ EAg + /Ag + Il potenziale standard misura la tendenza alla riduzione 188. La relazione che lega la costante di equilibrio di una reazione redox ai potenziali elettrodici standard delle due coppie redox coinvolte ci consente di ricavare un significato del potenziale elettrodico standard molto utile ai fini pratici. 189. Come visto, per la generica reazione redox: Ox1 + Rid2 K = Rid1 + Ox2 vale: 98 K = exp nF ◦ ◦ EOx1 /Rid1 − EOx2 /Rid2 RT 190. Da questa relazione si vede che la costante di equilibrio K per la reazione ◦ ◦ . rispetto a EOx e’ tanto maggiore quanto maggiore e’ EOx 2 /Rid2 1 /Rid1 Detto in altri termini, la tendenza termodinamica alla riduzione di Ox1 (a spese di Rid2 ) sara’ tanto maggiore quanto maggiore e’ il potenziale elettrodico standard della coppia Ox1 /Rid1 (rispetto a quello della coppia Ox2 /Rid2 ). Quindi: il valore numerico del potenziale standard di una coppia redox e’ una misura della sua tendenza a reagire nel verso della riduzione; tanto maggiore e’ il potenziale standard della coppia e tanto maggiore sara’ la tendenza termodinamica della forma ossidata ad acquistare elettroni trasformandosi nella forma ridotta. 191. Esistono tabelle molto estese che riportano i potenziali standard (che, per il motivo appena visto, vengono spesso chiamati potenziali standard di riduzione) per moltissime coppie redox. Dai valori riportati e’ immediatamente possibile avere un’idea circa il grado di spontaneita’ della reazione redox fra due coppie qualsiasi. Ad esempio, dalle tabelle si puo’ vedere che i potenziali standard delle coppie M nO4− /M n2+ e I2 /I − sono: ◦ EMnO − /Mn2+ 1.507 V EI◦2 /I − 0.620 V 4 da cui si deduce immediatamente che, dei due versi in cui si puo’ scrivere la reazione redox fra le due coppie, quello che vede la riduzione dello ione M nO4− (forma ossidata della coppia M nO4− /M n2+ ) a spese dello ione I − (forma ridotta della coppia I2 /I − ) e’ il verso termodinamicamente favorito: 2M nO4− + 16H + + 10I − = 2M n2+ + 5I2 + 8H2 O La costante di equilibrio per la reazione a 25 C e’: K = = = = 2 5 M n2+ [I2 ] 2 16 10 M nO4− [H + ] [I − ] nF ◦ ◦ exp EMnO− /Mn2+ − EI2 /I − 4 RT 10 × 96485 (1.507 − 0.620) exp 8.314 × 298.15 8.75 × 10149 Notate come, a causa della funzione esponenziale, apparentemente piccole differenze nei potenziali standard (in questo caso 1.507 − 0.620 = 0.887 V ) determinino valori enormi (o piccolissimi, se le differenze sono negative) delle corrispondenti costanti di equilibrio. 99 2.5 Misura dei potenziali elettrodici ed elettrodi di riferimento 192. Consideriamo un elettrodo ad Ag + /Ag, il cui potenziale elettrodico di equilibrio e’ dato da: Ag + + e = Ag ◦ = EAg + /Ag + E RT + ln Ag F Questa espressione puo’ essere facilmente posta nella forma: Ag + = exp F ◦ E − EAg+ /Ag RT il che suggerirebbe un impiego immediato di questo elettrodo per la determinazione della concentrazione di ioni Ag + in una soluzione: immergiamo nella ◦ soluzione da analizzare un filo di Ag, misuriamo E e T , i valori di EAg + /Ag , R e F sono tabulati e quindi ricaviamo la concentrazione incognita di ioni argento. Purtroppo, la semplice procedura descritta non e’ possibile perche’ la misura diretta del potenziale elettrodico di un singolo elettrodo non e’ sperimentalmente accessibile. Esistono argomenti rigorosi che dimostrano quanto detto, ma questi vanno oltre il livello a cui vogliamo mantenerci. Tuttavia, possiamo convincerci ugualmente bene dell’impossibilita’ di misurare un singolo potenziale elettrodico immaginando un semplice esperimento. 193. Una differenza di potenziale elettrico si misura con uno strumento detto voltmetro (o potenziometro). Esso e’ costituito da una “scatola nera” (il cui funzionamento non ci interessa) da cui escono due cavi che terminano con dei puntali metallici contrassegnati generalmente con i simboli ⊕ e ⊖ (generalmente, il cavo del puntale ⊕ e’ di colore rosso, mentre quello del puntale ⊖ e’ di colore nero). Ponendo in contatto i puntali con due punti di un circuito elettrico, lo strumento fornisce la differenza di potenziale fra i due punti. Tale differenza e’ letta dallo strumento come: ddp = potenziale del punto in contatto potenziale del punto in contatto − col puntale ⊕ col puntale ⊖ (quindi, scambiando i due puntali, si ottiene lo stesso valore della differenza di potenziale, ma cambiato di segno) Immaginiamo allora di voler misurare il potenziale elettrodico di una semicella ad Ag + /Ag con un voltmetro (figura 2.5). Ricordiamo che, per definizione, il potenziale elettrodico di questa semicella e’ la differenza di potenziale fra il filo di argento e la soluzione. Quindi, per misurare questa differenza di potenziale con il voltmetro, dovremmo toccare il filo metallico con il puntale ⊕ e la soluzione con quello ⊖. Ma, quando immergiamo il puntale ⊖ del voltmetro nella soluzione, si realizza inevitabilmente una seconda semicella, in cui la parte metallica (il conduttore elettronico) e’ il puntale del voltmetro e la soluzione e’ la stessa della 100 M ⊕ Ag M ⊖ Ag + Figura 2.5: Il tentativo di misurare un singolo potenziale elettrodico con un voltmetro: i diversi toni di grigio indicano le parti del circuito in cui il potenziale elettrico e’ costante. semicella Ag + /Ag. Ne segue che il voltmetro non misurera’ il potenziale elettrodico della semicella Ag + /Ag, ma quello della cella elettrochimica costituita dall’accoppiamento della semicella Ag + /Ag con la semicella ottenuta all’atto dell’immersione del puntale ⊖ del voltmetro nella soluzione. E’ importante comprendere bene che cosa misura il voltmetro in questo esperimento. A tale scopo dobbiamo conoscere alcune semplici proprieta’ del potenziale elettrico. La prima e’ che il potenziale elettrico in tutti i punti di un conduttore metallico o di una soluzione si puo’ considerare con buona approssimazione costante; la seconda e’ che la differenza di potenziale fra due punti di un qualsiasi circuito elettrico e’ sempre esprimibile come somma algebrica delle differenze di potenziale “parziali” incontrate lungo il percorso fra i due punti in questione (una differenza di potenziale e’ come il dislivello totale di una montagna, che puo’ essere espresso come somma algebrica di tutti i dislivelli parziali che si incontrano lungo il percorso per raggiungere la vetta). Il puntale ⊕ del voltmetro in contatto con il filo di argento rappresenta un unico conduttore metallico il cui potenziale elettrico avra’ lo stesso valore in tutti i punti (diciamo che il volume di questo conduttore e’ equipotenziale): chiamiamo E(Ag) tale potenziale elettrico; il puntale ⊖ del voltmetro costituisce un secondo conduttore metallico equipotenziale: indichiamo con E(M ) il valore del suo potenziale (M sta ad indicare il metallo di cui e’ fatto il puntale); chiaramente, E(Ag) ed E(M ) sono diversi e il display del voltmetro fornisce proprio la loro differenza: E(Ag)−E(M ). Il significato di questa differenza si puo’ comprendere se la decomponiamo nei contributi parziali che si incontrano andando dal puntale ⊕ al puntale ⊖. Con riferimento alla figura 2.5, se partiamo dal puntale ⊕ e ci muoviamo all’interno di esso o del filo di argento, il potenziale e’ sempre lo stesso; quando passiamo dal filo di argento alla soluzione, incontriamo una prima differenza di potenziale: indicando con E(S) il potenziale (comune a tutti i punti) della soluzione, questa prima differenza di potenziale e’ ∆E1 = E(Ag) − E(S). Una volta nella soluzione, il potenziale rimane costante finche’ passiamo nel puntale ⊖: in questo passaggio registreremo una differenza di 101 potenziale data da ∆E2 = E(S)−E(M ). Il puntale ⊖ e’ equipotenziale e quindi non ci sono altri contributi alla differenza di potenziale totale che il voltmetro misura. In sostanza, indicando con ddp la differenza di potenziale totale misurata dal voltmetro, si ha (in base alla seconda proprieta’ del potenziale elettrico prima accennata): ddp = ∆E1 + ∆E2 = E(Ag) − E(S) + E(S) − E(M ) = E(Ag) − E(S) − [E(M ) − E(S)] Vediamo quindi che il voltmetro misura la differenza fra i due termini (E(Ag)− E(S)) e (E(M ) − E(S)). In base alla definizione che abbiamo dato di potenziale elettrodico (punto 157), riconosciamo nel termine (E(Ag) − E(S)) il potenziale elettrodico del sistema Ag + /Ag; analogamente, il termine (E(M ) − E(S)) rappresenta il potenziale elettrodico dell’elettrodo costituito dal metallo M immerso in una soluzione contenente ioni Ag + (non e’ banale, ne’ importante ai fini della discussione, sapere qual’e’ la reazione elettrodica (o le reazioni elettrodiche) che caratterizza(no) questo secondo elettrodo). Se indichiamo questi due potenziali elettrodici con la notazione usuale EAg+ /Ag e EM/Ag+ , otteniamo: = ddp EAg+ /Ag − EM/Ag+ Questo risultato e’ molto importante perche’ ci mostra che, mentre un singolo potenziale elettrodico non si puo’ misurare, e’ possibile misurare la differenza fra due potenziali elettrodici di due semicelle accoppiate a formare una cella elettrochimica. 194. In generale, una cella elettrochimica e’ costituita da due semicelle, ciascuna caratterizzata da una coppia redox ben definita (figura 2.6). Ad esempio, potremmo accoppiare una semicella ad Ag + /Ag con una semicella a F e3+ /F e2+ , oppure un elettrodo a Cu2+ /Cu con uno a Zn2+ /Zn. In ogni caso, la differenza di potenziale che si misura con un voltmetro toccando con i puntali i due metalli delle semicelle e’ uguale (a meno di una piccola complicazione che tratteremo fra breve) alla differenza fra i due potenziali elettrodici (potenziale elettrodico della semicella in contatto col puntale ⊕ meno potenziale elettrodico della semicella in contatto col puntale ⊖). Se indichiamo con EOss 1 /Rid 1 il potenziale elettrodico della semicella collegata al puntale ⊕ del voltmetro (e caratterizzata dalla coppia redox Oss 1 /Rid 1 ) e con EOss 2 /Rid 2 quello della seconda semicella (in cui reagisce la coppia redox Oss 2 /Rid 2 ) (figura 2.6), allora si ha: ddp = EOss 1 /Rid 1 − EOss 2 /Rid 2 195. Siccome un singolo potenziale elettrodico non e’ misurabile, si e’ convenuto di scegliere una semicella come riferimento e di esprimere poi il potenziale di qualsiasi altro elettrodo relativamente al riferimento. 102 ⊕ ⊖ ponte salino voltmetro Oss 2 /Rid 2 Oss 1 /Rid 1 Figura 2.6: Una generica cella elettrochimica. La semicella di riferimento e’ l’elettrodo standard a idrogeno (SHE: Standard Hydrogen Electrode). Abbiamo gia’ visto come e’ costituito un elettrodo a idrogeno (punto 179): nell’elettrodo standard a idrogeno la concentrazione di ioni idrogeno nella soluzione e la pressione parziale di idrogeno su di essa sono unitarie. In tal modo, dall’equazione di Nernst, il potenziale elettrodico di questa semicella coincide con il suo potenziale standard (punto 175). Il fatto essenziale e’ che il potenziale dell’SHE e’ costante (perche’ la concentrazione degli ioni idrogeno e la pressione parziale dell’idrogeno gassoso sopra la soluzione sono fissate). Allora, per assegnare il potenziale a qualsiasi altro elettrodo relativamente all’SHE, si costruisce una cella in cui l’elettrodo in questione viene accoppiato con un SHE (figura 2.7): con un voltmetro si misura la differenza di potenziale fra l’elettrodo di cui si vuole conoscere il potenziale relativo e il filo di P t dell’SHE; come abbiamo appena visto, la differenza di potenziale misurata e’: ddp = EOss 1 /Rid 1 − ESHE Ebbene, la differenza di potenziale misurata dal voltmetro definisce il potenziale elettrodico relativo della semicella considerata rispetto all’SHE. Quindi, il potenziale elettrodico relativo si chiama cosi’ perche’ e’ definito come differenza fra il potenziale elettrodico “assoluto” di una data semicella e il potenziale elettrodico “assoluto” di una semicella presa come riferimento (l’elettrodo standard a idrogeno). 196. Osservate che avere scelto l’SHE come semicella di riferimento equivale ad assegnare il valore di 0.00 V al suo potenziale elettrodico relativo. Infatti, il potenziale elettrodico relativo dell’SHE e’, per definizione, la differenza di potenziale misurata con un voltmetro in una cella costituita da una semicella SHE accoppiata con la semicella di riferimento, che e’ una semicella SHE identica alla prima. Quindi: ddp = = ESHE − ESHE 0.00 V 103 voltmetro ⊕ ⊖ Pt Oss 1 /Rid 1 pH2 = 1.0 atm [H + ] = 1.0 mol/l Figura 2.7: 197. Chiaramente, se in una semicella accoppiata con l’SHE la concentrazione di tutte le specie partecipanti alla semireazione redox e’ unitaria, la differenza di potenziale misurata con il voltmetro coincide con il potenziale standard relativo della semicella (punto 178). 198. Il fatto di poter definire solo potenziali elettrodici relativi non rappresenta un problema. Infatti, in primo luogo, la differenza fra due potenziali elettrodici relativi e’ uguale alla differenza fra i loro valori “assoluti”. Cio’ segue immediatamente dalla definizione di potenziale relativo che abbiamo dato: se indichiamo con EOss 1 /Rid 1 e EOss 2 /Rid 2 i potenziali elettrodici “assoluti” di due coppie redox qualsiasi, allora si ha: potenziali “assoluti” z }| { EOss 1 /Rid 1 − EOss 2 /Rid 2 = = EOss 1 /Rid 1 − EOss 2 /Rid 2 + ESHE − ESHE EOss 1 /Rid 1 − ESHE − EOss 2 /Rid 2 − ESHE | {z } potenziali relativi Inoltre l’equazione di Nernst mantiene inalterata la sua forma se invece del potenziale “assoluto” si usa quello relativo. Se indichiamo con l’indice ass i valori “assoluti” e con l’indice rel quelli relativi, allora, prendendo l’esempio della coppia F e3+ /F e2+ , si ha: = EF◦ e3+ /F e2+ ,ass Eass − ESHE = EF◦ e3+ /F e2+ ,ass Erel = EF◦ e3+ /F e2+ ,rel Eass 104 3+ Fe RT ln + F [F e2+ ] 3+ Fe RT − ESHE + ln F [F e2+ ] 3+ Fe RT ln + F [F e2+ ] (E − ESHE ) O _ E (E − ERIF ) _ ERIF (ERIF − ESHE ) _ ESHE Figura 2.8: Un potenziale relativo a un riferimento qualsiasi puo’ essere espresso relativamente all’SHE conoscendo il potenziale del riferimento qualsiasi rispetto all’SHE Apparentemente, quindi, il potenziale elettrodico che compare nella legge di Nernst puo’ essere pensato indifferentemente come relativo (definito rispetto all’SHE) o “assoluto” (non misurabile). 199. La scelta dell’SHE come elettrodo di riferimento, pur essendo quella internazionalmente riconosciuta, non e’ sicuramente l’unica possibile ne’ la piu’ conveniente: qualsiasi semicella il cui potenziale elettrodico sia costante e riproducibile puo’ servire da riferimento. Naturalmente, il valore numerico di un potenziale relativo cambia al variare dell’elettrodo di riferimento: tuttavia, e’ sempre possibile convertire un potenziale elettrodico misurato rispetto ad un riferimento diverso dall’SHE nel corrispondente valore rispetto all’SHE. Infatti, se indichiamo con E il potenziale “assoluto” di una data semicella, con ERIF il potenziale “assoluto” di una semicella di riferimento (diversa dall’SHE) e con ESHE il potenziale “assoluto” dell’SHE, allora si puo’ scrivere: E − ESHE = E − ESHE + ERIF − ERIF = (E − ERIF ) + (ERIF − ESHE ) il che mostra che il potenziale di una semicella riferito all’SHE (E − ESHE ) si ottiene sommando il suo potenziale riferito a un qualsiasi altro riferimento (E − ERIF ) al potenziale relativo all’SHE della semicella usata come riferimento (ERIF − ESHE ). Questo risultato e’ espresso graficamente nella figura 2.8, dove, sull’asse dei potenziali “assoluti”, sono indicati E, ERIF ed ESHE e viene mostrata la relazione fra essi. 200. Nel concetto di potenziale relativo che abbiamo introdotto non c’e’ nulla di “esoterico”. Potremmo definire in modo assolutamente identico una statura relativa in una classe di studenti. Prendiamo uno studente di riferimento e definiamo la statura relativa di uno studente qualsiasi come la differenza fra la sua statura “assoluta” e quella dello studente di riferimento. In tal modo, se uno studente ha una statura relativa di 10 cm cio’ significa semplicemente che egli e’ piu’ alto dello studente di riferimento di 10 cm; analogamente, uno 105 Ag Pt Hg2 Cl2 /Hg AgCl Cl− Cl− KCl Figura 2.9: Due elettrodi di riferimento molto usati: l’elettrodo ad AgCl/Ag e l’elettrodo a calomelano studente che abbia una statura relativa di −8 cm sara’ piu’ basso dello studente di riferimento di 8 cm. Appare evidente che definire la statura relativa in questo modo e’ equivalente ad assegnare allo studente di riferimento una statura relativa nulla (esattamente come abbiamo fatto per il potenziale dell’SHE). E’ chiaro inoltre che la statura relativa di uno studente sara’ diversa per diverse scelte dello studente di riferimento. Infine, e’ sempre possibile convertire una statura relativa riferita ad un certo studente nella statura relativa riferita ad uno studente diverso: se la statura relativa di Marco rispetto a Ottavia e’ 23 cm e la statura relativa di Ottavia rispetto ad Andrea e’ 4 cm, allora la statura relativa di Marco rispetto al “riferimento” Andrea sara’ (23 + 4) = 27 cm (vi appare chiaro il parallelo con la figura 2.8?) 201. L’elettrodo standard a idrogeno non e’ molto comodo da usare in pratica. Per questo motivo, vengono usati come riferimenti altri elettrodi piu’ semplici da costruire e utilizzare. Due elettrodi di riferimento molto usati sono l’elettrodo ad AgCl/Ag e quello a calomelano, che abbiamo gia’ visto al punto 156. Essi sono schematicamente illustrati nella figura 2.9. Come abbiamo visto a pagina 91, il potenziale dell’elettrodo ad AgCl/Ag e’ dato da: E ◦ − = EAgCl/Ag RT − ln Cl F da cui si vede che, una volta fissata la concentrazione di ioni Cl− in soluzione, il potenziale elettrodico e’ costante (questa e’ la condizione per poter usare l’elettrodo come riferimento). Il modo piu’ banale di fissare la concentrazione di ioni Cl− e’ quello di saturare la soluzione con un sale come KCl: in presenza di un corpo di fondo di KCl indisciolto siamo certi che la soluzione e’ satura e che, pertanto, la concentrazione di ioni Cl− al suo interno e’ costante (a temperatura costante). L’elettrodo a calomelano e’ basato sulla semireazione (punto 156): Hg2 Cl2 (s) + 2e = 2Hg(l) + 2Cl− e quindi il suo potenziale e’ dato da: 106 E = ◦ EHg − 2 Cl2 /Hg RT − 2 ln Cl 2F (Hg2 Cl2 e’ solido e Hg e’ un liquido puro, quindi le loro concentrazioni non compaiono) Anche in questo caso il potenziale dipende dalla sola concentrazione di ioni Cl− , che puo’ essere facilmente mantenuta costante operando con una soluzione satura di KCl. Da quanto detto dovrebbe essere evidente la praticita’ di costruzione e uso di questi due elettrodi rispetto all’elettrodo standard ad idrogeno. 202. Facciamo il punto della situazione. • Un elettrodo (per cio’ che ci riguarda) e’ costituito da un metallo immerso in una soluzione ed e’ caratterizzato dalla presenza di (almeno) una coppia redox. • La semireazione che interconverte i due membri della coppia redox produce una differenza di potenziale elettrico fra il metallo e la soluzione che si chiama potenziale elettrodico. • Il segno e l’entita’ del potenziale elettrodico dipendono dalla posizione raggiunta dall’equilibrio della semireazione elettrodica e sono legati alle concentrazioni (di equilibrio) delle specie implicate nella semireazione dalla legge di Nernst. • Se in un sistema elettrodico sono presenti piu’ coppie redox, le corrispondenti semireazioni e tutte le possibili reazioni redox fra le varie coppie avvengono simultaneamente: il potenziale elettrodico di equilibrio sara’ tale da soddisfare contemporaneamente tutte le espressioni della legge di Nernst per tutte le coppie redox presenti. • Un singolo potenziale elettrodico non e’ sperimentalmente misurabile: cio’ che si puo’ misurare e’ la differenza fra i potenziali elettrodici di due semicelle accoppiate. • Per questo motivo, i potenziali elettrodici sono numericamente definiti rispetto ad un elettrodo scelto come riferimento; cio’ vuol dire che il potenziale elettrodico relativo di una semicella e’ definito come la differenza fra il potenziale elettrodico “assoluto” della semicella e il potenziale elettrodico “assoluto” della semicella di riferimento. • L’elettrodo di riferimento deve avere un potenziale costante; l’elettrodo di riferimento “ufficiale” e’ l’SHE; in pratica, pero’, si usano elettrodi di riferimento piu’ funzionali. 2.6 Il potenziale di giunto 203. Abbiamo visto finora che la misura di un potenziale elettrodico implica necessariamente la presenza di un elettrodo di riferimento. E’ essenziale che il potenziale di quest’ultimo sia sempre costante e riproducibile e quindi 107 la soluzione dell’elettrodo di riferimento deve essere tenuta separata da quella dell’elettrodo di cui si vuole misurare il potenziale relativo (da qui in poi non useremo piu’ l’aggettivo “relativo”). Provate ad immaginare di voler misurare il potenziale di un elettrodo ad Ag + /Ag rispetto ad un riferimento a calomelano senza che le soluzioni delle due semicelle siano separate: gli ioni Ag + del sistema elettrodico Ag + /Ag reagirebbero con gli ioni Cl− del riferimento precipitando come AgCl e cio’, come minimo, farebbe variare la concentrazione di ioni Cl− e quindi il potenziale del riferimento. Se da un lato le soluzioni dei due elettrodi di una cella devono in generale essere separate per i motivi appena detti, dall’altro, tuttavia, esse devono essere in contatto elettrico, perche’ altrimenti non e’ possibile misurare la differenza di potenziale fra i due metalli. Infatti, affinche’ un voltmetro possa misurare una differenza di potenziale fra due punti, bisogna che essi siano elettricamente connessi. “Contatto elettrico” significa per noi che deve esserci la possibilita’ che una corrente elettrica fluisca da una cella all’altra. 204. L’obiettivo di separare le due semicelle mantenendole pero’ in contatto elettrico puo’ essere realizzato in vari modi. Quello classico e’ l’uso di un cosiddetto ponte salino (figura 2.6): si tratta di un tubo ad “U” contenente una soluzione elettrolitica (ad esempio KN O3 ) molto concentrata (la soluzione si trova generalmente in forma di gelatina, per evitare che fuoriesca dal tubo). Il ponte salino viene sistemato capovolto con le due estremita’ ciascuna immersa in una delle due soluzioni delle semicelle da accoppiare. In questo modo, le due soluzioni elettrodiche non si mescolano, pur tuttavia esse sono elettricamente connesse grazie al movimento degli ioni presenti nel gel. Un altro mezzo di separazione molto usato e’ un setto poroso, cioe’, in pratica, una parete divisoria dotata di pori aventi dimensioni molecolari: in questo caso gli ioni e le molecole di solvente delle due semicelle attraversano effettivamente la separazione (che quindi consente il contatto elettrico), ma lo fanno talmente lentamente che il mescolamento delle due soluzioni per la durata della misura e’ del tutto trascurabile. A questo proposito e’ opportuno accennare alla realizzazione commerciale di moltissimi elettrodi di riferimento. Per evidenti questioni di praticita’ di impiego, gli elettrodi di riferimento sono costruiti come illustrato nella figura 2.10: l’elettrodo e’ contenuto in una provetta sul fondo della quale si trova un setto poroso avente un diametro di circa 1 mm. In pratica, immergendo la provetta nella soluzione test che contiene il secondo elettrodo si realizza una cella elettrochimica completa (figura 2.10) in cui il contatto elettrico fra le due semicelle e’ costituito dal setto poroso sul fondo della provetta contenente l’elettrodo di riferimento. La provetta e’ chiusa alla sommita’ con un coperchio da cui esce un cavo connesso al metallo di cui e’ fatto l’elettrodo: a questo cavo viene connesso il puntale ⊖ del voltmetro quando si effettua la misura della differenza di potenziale nella cella. Generalmente, la provetta contiene anche un foro laterale (chiuso con un tappo) che si puo’ utilizzare per rinnovare saltuariamente la soluzione in cui e’ immerso l’elettrodo di riferimento. Durante le misure, il tappo deve essere aperto per meglio consentire il passaggio degli ioni attraverso il setto poroso. Simili ai setti porosi sono le membrane semipermeabili: si tratta di materiali che macroscopicamente assomigliano a fogli di carta o naylon, ma la cui struttura microscopica e’ tale per cui solo certi ioni o certe molecole possono passarvi attraverso. 205. La necessaria separazione fra le due soluzioni comporta una complicazione 108 voltmetro ⊕ ⊖ elettrodo di riferimento coperchio tappo di gomma filo di argento soluzione satura di KCl deposito di AgCl setto poroso soluzione test Figura 2.10: Un tipico elettrodo di riferimento commerciale ad AgCl/Ag. 109 voltmetro ⊖ ⊕ M1 M2 H+ S1 S2 Cl− HCl HCl C1 > C2 Figura 2.11: La creazione di un potenziale di giunto. nella misura della differenza di potenziale di una cella: il cosiddetto potenziale di giunto. Esso consiste in una differenza di potenziale che si viene a creare in corrispondenza ad ogni “confine” che separi due soluzioni diverse. Per comprendere qualitativamente l’origine del potenziale di giunto e i suoi effetti sulla misura della differenza di potenziale in una cella elettrochimica consideriamo la cella mostrata nella figura 2.11. Le due semicelle sono separate da un setto poroso e contengono due soluzioni di HCl a diversa concentrazione. Ignoriamo per il momento tutto il resto (le sbarrette metalliche e il voltmetro). Se C1 > C2 , come mostrato, allora ioni H + e Cl− tenderanno a diffondere attraverso il setto dalla soluzione S1 alla soluzione S2 . Tuttavia, e questo e’ il motivo ultimo per cui si stabilisce il potenziale di giunto, le velocita’ di diffusione dei due tipi di ioni sono diverse. Nel caso specifico, gli ioni idrogeno migrano da S1 a S2 molto piu’ velocemente degli ioni Cl− . Se riguardate quanto abbiamo detto a proposito del meccanismo di formazione del potenziale elettrodico, potete facilmente prevedere la conseguenza di cio’. Inizialmente le due soluzioni sono elettricamente neutre, cioe’ in ciascuna il numero di ioni H + e’ esattamente uguale al numero di ioni Cl− . Dopo che e’ trascorso un piccolo intervallo di tempo, tuttavia, il numero di ioni H + che e’ passato da S1 ad S2 e’ maggiore del numero di ioni Cl− che hanno compiuto lo stesso percorso (proprio a causa delle diverse velocita’ di migrazione). Ma questo significa che in S1 si e’ creato un eccesso di carica negativa (ci sono piu’ ioni Cl− che H + ) mentre in S2 si e’ creato un eccesso di carica positiva di uguale entita’ (in S2 ci sono ora piu’ ioni H + che Cl− ): in definitiva, tra S1 ed S2 si e’ venuta a creare una differenza di potenziale elettrico che viene chiamato potenziale di giunto. Cosa accade man mano che il tempo passa? L’eccesso di carica negativa in S1 e l’eccesso di carica positiva in S2 concordemente rallentano l’ulteriore migrazione di ioni H + (S1 li “trattiene” ed S2 li “respinge”); la migrazione degli ioni Cl− e’ invece accelerata per gli stessi motivi (gli ioni 110 Cl− , negativi, sono “sospinti” da S1 e “attirati” da S2 ). Quindi, il processo inizialmente piu’ veloce viene rallentato e quello inizialmente piu’ lento viene accelerato (dove avete gia’ sentito questa storia?): inevitabilmente si arrivera’ ad una situazione in cui le velocita’ di migrazione degli ioni H + e Cl− diventano uguali. Da questo momento in poi, la differenza di potenziale fra S1 ed S2 , cioe’ il potenziale di giunto, smette di aumentare. 206. Se ci riflettete un istante, vi renderete conto che il meccanismo con cui si instaura il potenziale elettrodico e quello con cui si stabilisce il potenziale di giunto sono pressocche’ identici: in entrambi i casi ci sono due processi che avvengono inizialmente a velocita’ diversa; a causa di cio’ si crea una separazione di carica fra due fasi; ma proprio questa separazione di carica opera nel senso di rallentare il processo inizialmente piu’ veloce ed accelerare quello che all’inizio era piu’ lento; l’epilogo ineluttabile e’ che le velocita’ dei due processi finiscono per diventare identiche. Da questo punto in poi la separazione di carica smette di aumentare (anche se i due processi responsabili della sua creazione continuano ad avvenire). C’e’ tuttavia una differenza sostanziale fra lo stato finale di un sistema elettrodico e quello di due soluzioni separate da un setto poroso: mentre in un elettrodo si raggiunge uno stato di vero e proprio equilibrio (inteso in senso chimico), nel caso del potenziale di giunto lo stato in cui si viene a trovare il sistema e’ approssimabile ad uno stato stazionario. Per apprezzare la differenza pensate a questo: un elettrodo che abbia raggiunto l’equilibrio rimarra’ in quello stato indefinitamente (se non intervengono perturbazioni esterne); nel caso delle due soluzioni di HCl a diversa concentrazione poste in contatto con un setto poroso, invece, il potenziale di giunto si instaura dopo un tempo brevissimo, ma se avessimo la pazienza di aspettare per un tempo molto lungo (tanto piu’ lungo quanto piu’ stretti sono i pori del setto), vedremmo che lo stato delle due soluzioni in realta’ cambia lentamente: la concentrazione in S1 diminuisce e quella in S2 aumenta. Uno stato di equilibrio vero e proprio si raggiunge anche in questo caso, ma dopo un tempo lunghissimo: lo stato di equilibrio finale consiste, chiaramente, nel fatto che le due soluzioni raggiungono il medesimo valore di concentrazione (notate che in questo stato di equilibrio finale il potenziale di giunto e’ nullo: quindi il potenziale di giunto e’ un fenomeno legato a condizioni di non-equilibrio). Siccome in genere la durata di una misura potenziometrica e’ molto minore del tempo che impiegherebbero le due soluzioni a mescolarsi completamente, tutto funziona come se la migrazione ionica attraverso il setto si trovasse in condizioni effettivamente stazionarie. 207. Ora che abbiamo visto come si stabilisce il potenziale di giunto, torniamo alla figura 2.11 e consideriamo la cella elettrochimica completa: non ci interessa la natura dei due metalli M1 ed M2 (potrebbero essere due fili di argento ricoperti di AgCl, cosicche’ avremmo a che fare con due semicelle ad AgCl/Ag). Cio’ che vogliamo capire e’ che cosa misura il voltmetro in questa cella. Ripetendo il ragionamento fatto al punto 193, possiamo decomporre la differenza di potenziale totale letta dallo strumento nei vari contributi parziali che si incontrano andando dal puntale ⊕ al puntale ⊖. Con ovvio significato dei simboli si ha: ddp = = E(M1 ) − E(S1 ) + E(S1 ) − E(S2 ) + E(S2 ) − E(M2 ) [E(M1 ) − E(S1 )] − [E(M2 ) − E(S2 )] + [E(S1 ) − E(S2 )] 111 V RIF1 soluzione test RIF2 HCl 0.1 mol/L membrana di vetro Figura 2.12: Schematica illustrazione del funzionamento di un elettrodo a vetro Vediamo dunque che, come era logico aspettarsi, la differenza di potenziale misurata dal voltmetro contiene la differenza fra i potenziali elettrodici (E(M1 ) − E(S1 )) − (E(M2 ) − E(S2 )). Tuttavia, a causa del fatto che le due soluzioni non hanno lo stesso potenziale, la differenza di potenziale misurata contiene anche il termine (E(S1 ) − E(S2 )), cioe’ il potenziale di giunto. Le conclusioni raggiunte con questo esempio specifico sono di carattere completamente generale: quando una cella elettrochimica contiene membrane o setti porosi che separano soluzioni diverse, si generano dei corrispondenti potenziali di giunto che rappresentano in generale una fonte di errore se lo scopo e’ quello di misurare solo la differenza dei potenziali elettrodici. 2.7 Elettrodo a vetro Un’applicazione importantissima della potenziometria e’ la misura “diretta” del pH di una soluzione, che si fa con il cosiddetto “elettrodo a vetro”. Come vedremo, il funzionamento di un elettrodo a vetro e’ basato sulla presenza di una membrana di vetro con particolari proprieta’. Inoltre, dipendentemente dal tipo di vetro, e’ possibile trovare in commercio elettrodi sensibili alla concentrazione di ioni diversi dal protone, come ad esempio Li+ , N a+ , K + , Ag + , N H4+ . Il funzionamento dell’elettrodo a vetro puo’ essere illustrato con la cella mostrata in figura 2.12 Cio’ che viene chiamato elettrodo a vetro e’ rappresentato dalla meta’ di destra della cella, membrana di vetro compresa. Abbiamo dunque un elettrodo di riferimento (generalmente AgCl/Ag) immerso in una soluzione ad attivita’ protonica costante (generalmente HCl 0.1 M ) e separata dalla soluzione oggetto di misura (soluzione test) mediante una membrana di vetro. Attraverso tale membrana si genera una differenza di potenziale che dipende dall’attivita’ 112 strato idratato strato idratato porzione “secca” 100 nm N a+ , Li+ soluzione test 50 µm HCl 0.1 mol/L EG membrana di vetro Figura 2.13: Ingrandimento della membrana di un elettrodo a vetro degli ioni H + nella soluzione test (vedere oltre). Se in quest’ultima e’ immerso un secondo elettrodo di riferimento, allora la differenza di potenziale della cella e’ data da: ddp = E1 + Ej1 + EG − E2 (2.5) dove E1 ed E2 sono i potenziali elettrodici dei due elettrodi di riferimento, Ej1 e’ il potenziale di giunto eventualmente presente all’interfaccia fra la soluzione test e l’elettrodo di riferimento RIF1 , EG e’ la differenza di potenziale attraverso la membrana di vetro. Nell’espressione sopra scritta, E1 ed E2 sono costanti, in quanto potenziali elettrodici di elettrodi di riferimento. Quando il pH della soluzione test cambia, in generale cambieranno sia Ej1 che EG . Tuttavia, le variazioni di Ej1 sono di solito molto piccole, per cui le variazioni di differenza di potenziale al variare del pH nella soluzione test sono dovute essenzialmente alle variazioni di EG . Si comprende dunque come la misura della differenza di potenziale della cella su mostrata fornisce una misura del pH della soluzione test. E’ opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che l’elettrodo a vetro, contrariamente a cio’ che induce a pensare il suo nome, non e’ un unico sistema elettrodico: esso presuppone la presenza di due elettrodi di riferimento (a potenziale elettrodico costante) e la differenza di potenziale legata all’attivita’ protonica e’ piu’ simile ad un potenziale di giunto che ad un potenziale elettrodico. Viene di seguito illustrata in modo qualitativo l’origine della differenza di potenziale EG su cui si basa l’elettrodo a vetro. Un ingrandimento della membrana di vetro appare come in figura 2.13. 113 Quando la membrana di vetro e’ a contatto con due soluzioni acquose da entrambi i lati, le due facce vengono idratate per una profondita’ di circa 5 − 100 nm. Nei due strati idratati si stabilisce un equilibrio di adsorbimento/desorbimento degli ioni H + , presenti nella soluzione acquosa, e degli ioni N a+ o Li+ che occupano le posizioni reticolari dello scheletro di silicato costituente la membrana. E’ questo equilibrio che determina lo stabilirsi di una differenza di potenziale fra ciascuna faccia della membrana e la soluzione con cui essa e’ a contatto. Va osservato che la membrana deve assicurare il passaggio di corrente elettrica: nella parte non idratata (“secca”), la conducibilita’ e’ assicurata dalla migrazione interstiziale dei cationi presenti nel vetro (N a+ , Li+ etc). La differenza di potenziale fra la faccia della membrana a contatto con la soluzione di HCl 0.1 M e quest’ultima e’ sempre costante (perche’ la soluzione e’ sempre la stessa). Per contro, la differenza di potenziale fra l’altra faccia della membrana e la soluzione test dipendera’ dal pH della soluzione test, perche’ l’equilibrio di adsorbimento degli ioni H + dipende dalla loro attivita’ in soluzione aH + . Si trova che tale differenza di potenziale dipende linearmente dal pH della soluzione test tramite un’espressione formalmente identica a quella della legge di Nernst. Ne segue che la differenza di potenziale attraverso l’intera membrana, cioe’ EG , e’ data da: EG = = RT ln aH + F K + BT pH K+ dove K e BT sono costanti (ma BT dipende dalla temperatura). Sostituendo nella equazione 2.5, si conclude che l’intera differenza di potenziale della cella e’ una funzione lineare del pH della soluzione test: ddp = K ′ + BT pH (K ′ contiene K e tutti gli altri termini costanti). Verranno di seguito riportate alcune considerazioni pratiche riguardanti l’uso degli elettrodi a vetro. Gli elettrodi commerciali sono in genere molto compatti. I piu’ pratici sono i cosiddetti elettrodi combinati, che contengono la soluzione di HCl, la membrana di vetro e i due elettrodi di riferimento in un unico stilo (figura 2.14). Non dovrebbe essere difflcile riconoscere l’esatta corrispondenza dell’assemblaggio mostrato con lo schema di principio illustrato prima. La misura della differenza di potenziale della cella viene eseguita con un voltmetro ad elevata impedenza di ingresso (cio’ per fare in modo che la corrente circolante nella cella durante la misure sia di intensita’ trascurabile). Nel caso specifico della misura del pH, esistono strumenti, detti pH-metri, in grado di fornire la lettura direttamente in unita’ di pH. Ciascun elettrodo a vetro e’ caratterizzato da una propria risposta: 114 RIF1 (AgCl/Ag) RIF2 (AgCl/Ag) V V KCl(sol.sat.) setto poroso HCl 0.1 mol/L membrana di vetro soluzione test Figura 2.14: Corrispondenza fra lo schema di principio e le varie parti di un elettrodo a vetro combinato ddp = K ′ + BT pH Di conseguenza, prima di effettuare una misura, il sistema costituito dal pH-metro e dall’elettrodo va tarato con delle soluzioni a pH noto. In genere gli strumenti consentono di effettuare una taratura con due soluzioni tampone. La taratura si esegue dapprima calibrando il pH-metro sulla prima soluzione per mezzo di una manopola potenziometrica di regolazione. A questo punto si estrae l’elettrodo dalla soluzione, lo si lava accuratamente con acqua distillata, lo si immerge nella seconda soluzione e si calibra lo strumento sul secondo valore di pH mediante un’altra manopola potenziometrica, che in genere viene detta “slope control”. Si ricontrolla infine la lettura sulla prima soluzione e, se risulta corretta, si puo’ assumere che lo strumento fornisca letture attendibili di pH nell’intervallo determinato dalle due soluzioni tampone. Va aggiunto che la maggior parte dei pH-metri prevede anche la possibilita’ di tenere conto della temperatura della soluzione test, che in questo caso va misurata preventivamente (si ricordi che il parametro BT dipende dalla temperatura). Diciamo ancora qualcosa sulle possibili fonti di errore connesse all’impiego dell’elettrodo a vetro. Errore alcalino: se una soluzione contiene alte concentrazioni di un piccolo catione e basse concentrazioni di ioni H + (ad esempio una soluzione di 115 N aOH ), allora il piccolo catione puo’ competere favorevolmente con i protoni nell’equilibrio di adsorbimento alla membrana di vetro, causando un errore nella sua risposta. Tale errore puo’ essere minimizzato agendo opportunamente sulla composizione della membrana di vetro. Generalmente, il campo di pH entro cui un elettrodo a vetro fornisce risposte attendibili viene specificato dal costruttore. Errore acido: si verifica in soluzioni molto acide ([H + ] > 1 M ) ed e’ meno importante di quello alcalino sopra visto. E’ dovuto al fatto che a pH molto bassi l’attivita’ dell’acqua e’ sensibilmente ridotta e questo influenza l’equilibrio di adsorbimento degli ioni H + . Anche in questo caso, tuttavia, sono disponibili in commercio membrane la cui composizione minimizza tale inconveniente. Potenziale di asimmetria: se le due facce della membrana di un elettrodo a vetro sono in contatto con la stessa soluzione, la differenza di potenziale fra di esse non e’ nulla (come sarebbe logico aspettarsi), ma ha un valore detto potenziale di asimmetria. Tale potenziale varia lentamente nel tempo e viene generalmente attribuito a differenti condizioni di stress delle due facce della membrana (originate, ad esempio, in fase di lavorazione). E’ anche a causa del potenziale di asimmetria che gli elettrodi a vetro vanno tarati di frequente e prima di ogni singola misura. 2.8 La potenziometria come tecnica analitica 208. I concetti fondamentali che abbiamo introdotto fino a questo punto sono quello che serve per discutere le applicazioni analitiche della potenziometria. Come abbiamo gia’ accennato (punto 175) la chiave di volta e’ l’equazione di Nernst, che fornisce il legame fra il potenziale elettrodico e la concentrazione in soluzione di un dato analita. Abbiamo pero’ imparato che cio’ che si puo’ misurare e’ in realta’ solo una differenza fra potenziali elettrodici e quindi una determinazione analitica per via potenziometrica richiede invariabilmente l’allestimento di una cella elettrochimica completa: uno dei due elettrodi sara’ un elettrodo di riferimento, mentre l’altro, il cui potenziale e’ utilizzato ai fini analitici, viene detto elettrodo indicatore. 2.8.1 Potenziometria diretta 209. La potenziometria diretta consiste nella determinazione della concentrazione di un analita da una singola misura di differenza di potenziale in una cella. 210. Un esempio di questo tipo di applicazione e’ la determinazione dello ione Ag + . Abbiamo una soluzione test che contiene una concentrazione incognita di ioni Ag + ; se immergiamo un filo di argento in questa soluzione otteniamo un elettrodo ad Ag + /Ag, il cui potenziale e’ legato proprio alla concentrazione che dobbiamo determinare dalla relazione (punto 192): EAg+ /Ag = ◦ EAg + /Ag + 116 RT + ln Ag F voltmetro ⊖ ⊕ Ag elettrodo di riferimento soluzione test Ag + Figura 2.15: Cella per la determinazione potenziometrica dello ione Ag + . Il potenziale di questo elettrodo, che rappresenta quindi il nostro elettrodo indicatore, puo’ essere misurato solo relativamente ad un elettrodo di riferimento e quindi dovremo allestire una cella come quella mostrata nella figura 2.15. La differenza di potenziale che si puo’ misurare con il voltmetro e’ data da: ddp = EAg+ /Ag − Erif + Egiunto dove EAg+ /Ag e’ il potenziale elettrodico dell’elettrodo indicatore, Erif quello dell’elettrodo di riferimento (non ha importanza specificare di che tipo; potrebbe essere un calomelano o un AgCl/Ag) e Egiunto e’ la somma di tutti i contributi dovuti ai potenziali di giunto (dalla figura si vede che ci sono due potenziali di giunto in corrispondenza al contatto delle due estremita’ del ponte salino con le due soluzioni elettrodiche). Se scriviamo la forma esplicita di EAg+ /Ag con la legge di Nernst ed isoliamo la concentrazione di ioni argento otteniamo: ddp RT + ln Ag F ln Ag + + Ag ◦ = EAg + /Ag + RT + ln Ag − Erif + Egiunto F ◦ = ddp − EAg + /Ag + Erif − Egiunto F ◦ ddp − EAg = + /Ag + Erif − Egiunto RT F ◦ = exp ddp − EAg + /Ag + Erif − Egiunto RT da cui si vede che, misurando ddp con il voltmetro e T con un termometro e conoscendo il resto, possiamo ottenere la concentrazione cercata. Va notato che, mentre i potenziali standard e i potenziali elettrodici degli elettrodi di riferimento piu’ comuni sono tabulati con buona precisione, la misura o il calcolo dei potenziali di giunto presentano notevoli difficolta’. Quindi, in questo 117 caso, il termine Egiunto rappresenta sicuramente una possibile fonte di errore, tanto piu’ in quanto compare in un termine esponenziale. D’altro canto, per la cella mostrata, c’e’ da aspettarsi che i potenziali di giunto che si originano alle due estremita’ del ponte salino siano di segno contrario e tendano quindi a cancellarsi. 211. La cella di figura 2.15 puo’ essere adoperata per la determinazione analitica di moltissimi ioni metallici: basta semplicemente cambiare il metallo dell’elettrodo indicatore. Ad esempio, se invece di un filo di argento utilizziamo un filo di rame, possiamo dosare gli ioni Cu2+ . In questo caso il potenziale elettrodico dell’elettrodo indicatore e’ dato da: ECu2+ /Cu ◦ = ECu 2+ /Cu + RT 2+ ln Cu 2F e la differenza di potenziale che si puo’ misurare con il voltmetro e’ data da: ddp = ECu2+ /Cu − Erif + Egiunto da cui, identicamente a quanto visto prima, si puo’ ricavare la concentrazione incognita di ioni Cu2+ . 212. Le possibilita’ dei metodi potenziometrici non sono certo limitate ai cationi metallici: esistono elettrodi indicatori per la determinazione di moltissime specie. Un esempio di elettrodo indicatore utilizzabile per gli ioni Cl− e’ l’elettrodo ad AgCl/Ag. Ne abbiamo parlato a piu’ riprese (punto 156, pagina 91, punto 201) e lo abbiamo citato come esempio di elettrodo di riferimento molto usato. Riscriviamo la legge di Nernst per questo elettrodo: E ◦ = EAgCl/Ag − RT − ln Cl F Questa relazione dice che, se la concentrazione di ioni Cl− e’ mantenuta costante, allora il potenziale elettrodico rimarra’ costante e su questo si basa l’impiego dell’elettrodo ad AgCl/Ag come riferimento. Tuttavia, la relazione su scritta puo’ essere intesa anche in senso “analitico” considerando la concentrazione di ioni Cl− come un’incognita da trovare misurando il potenziale elettrodico. Al solito, si dovra’ allestire una cella come quella mostrata in figura 2.16 e misurare la differenza di potenzaile fra l’elettrodo indicatore e quello di riferimento (che potrebbe essere anch’esso un elettrodo ad AgCl/Ag!): ddp = EAgCl/Ag − Erif + Egiunto Da questa relazione si ricava, analogamente a quanto abbiamo gia’ visto, la concentrazione incognita di ioni Cl− . 118 voltmetro ⊖ ⊕ Ag AgCl elettrodo di riferimento soluzione test Cl− Figura 2.16: Cella per la determinazione potenziometrica dello ione Cl− . 2.8.2 Elettrodi combinati 213. L’allestimento di una cella elettrochimica completa per effettuare una misura potenziometrica puo’ essere di gran lunga semplificato utilizzando un cosiddetto elettrodo combinato. Si tratta di un sistema compatto che contiene l’elettrodo indicatore insieme all’elettrodo di riferimento in un unico assemblaggio: immergendo l’elettrodo combinato nella soluzione test si realizza una cella elettrochimica completa. E’ importante rendersi conto che un elettrodo combinato immerso nella soluzione test e’ perfettamente equivalente ad una cella elettrochimica “convenzionale”, cioe’ del tipo che abbiamo illustrato finora. La figura 2.17 mostra la “metamorfosi” che porta da una cella usuale ad un elettrodo combinato. Nello stadio 1 si vede la cella elettrochimica “convenzionale”: “I” sta ad indicare la semicella dell’elettrodo indicatore (ad esempio il solito filo di Ag) contenente la soluzione test; “R” indica la semicella dell’elettrodo di riferimento (ad esempio un elettrodo ad AgCl/Ag con una soluzione satura di KCl). Le due semicelle sono separate da un setto poroso indicato dalla linea tratteggiata. Infine, e’ mostrato un voltmetro che misura la differenza di potenziale della cella. Il primo passo per arrivare all’assemblaggio combinato consiste nel prendere (idealmente) la semicella di riferimento e immergerla nella semicella dell’elettrodo indicatore: si arriva cosi’ allo stadio 2. Naturalmente, per mantenere il contatto elettrico fra le due semicelle, nella semicella di riferimento e’ presente una “finestra” costituita dal setto poroso (indicata con la linea tratteggiata nella figura). Notate che, nella sostanza, non e’ cambiato nulla; solo la forma della cella e’ cambiata. Nello stadio successivo, il numero 3, abbiamo preso il metallo dell’elettrodo indicatore e lo abbiamo messo in contatto con la soluzione test, ma facendolo passare attraverso la semicella di riferimento. Ovviamente, siccome il metallo dell’elettrodo indicatore deve stare in contatto solo con la soluzione test (e non con la soluzione dell’elettrodo di riferimento) la parte di metallo che passa attraverso la soluzione dell’elettrodo di riferimento e’ stata opportunamente 119 I I R R '!&3"%$# '!&2"%$# I '!&4"%$# I R '!&1"%$# Figura 2.17: “Metamorfosi” di una cella usuale in elettrodo combinato. 120 R isolata inserendola all’interno di uno stretto tubo in vetro (indicato in grigio nella figura). Un altro cambiamento che si e’ verificato nel passaggio da 2 a 3 riguarda il setto poroso, che si e’ ridotto ad una finestrella avente le dimensioni di 1 − 2 mm. Di nuovo: solo la forma sta cambiando, ma le varie parti e la loro connessione rimangono inalterate. Nello stadio 4 la metamorfosi si e’ conclusa: l’elettrodo combinato e’ completato da un coperchio superiore da cui escono i cavi collegati al riferimento e all’elettrodo indicatore. Inoltre, e’ stato aggiunto un piccolo raccordo in vetro con tappo che serve per aggiungere soluzione (all’occorrenza) nella semicella di riferimento. A questo punto, dovrebbe esservi chiaro che l’elettrodo combinato immerso nella soluzione test dello stadio numero 4 e’ perfettamente equivalente alla cella “convenzionale” dello stadio numero 1 da cui siamo partiti (questo e’ sottolineato dal grande segno di uguaglianza che connette lo stadio 1 allo stadio 4 in figura 2.17). 2.8.3 Titolazioni potenziometriche 214. Immaginiamo di compiere una titolazione di ioni Cl− con una soluzione standard di AgN O3 . Nel corso della titolazione la concentrazione di ioni Ag + in soluzione varia: prima del punto di equivalenza essa sara’ molto piccola poiche’ gli ioni Cl− sono in eccesso; al punto di equivalenza la concentrazione degli ioni Ag + subisce un brusco incremento poiche’ gli ioni Cl− “finiscono”; dopo il punto di equivalenza, la concentrazione di ioni Ag + aumenta all’aumentare del volume di soluzione titolante aggiunto. Sulla base di quello che abbiamo appreso finora, possiamo comprendere facilmente che, se immergiamo un filo di argento nel beaker in cui stiamo conducendo la titolazione, realizziamo un elettrodo ad Ag + /Ag il cui potenziale seguira’ le variazioni di concentrazione degli ioni argento nel corso della titolazione. Una titolazione potenziometrica, dunque, consiste in una titolazione ordinaria in cui la misura potenziometrica viene utilizzata per monitorare il corso della titolazione. Se vogliamo seguire la titolazione di Cl− con AgN O3 per via potenziometrica non e’ sufficiente immergere un filo d’argento nel beaker contenente la soluzione da titolare: sappiamo che oltre all’elettrodo indicatore abbiamo bisogno di un elettrodo di riferimento rispetto al quale misurare il potenziale del primo. Dovremo percio’ allestire una cella o, piu’ comodamente, usare un elettrodo combinato (la relazione fra i due setup sperimentali e’ illustrata nella figura2.18). Come abbiamo gia’ visto piu’ volte, la differenza di potenziale misurata dal voltmetro e’ data da: ddp = = EAg+ /Ag − Erif + Egiunto RT + ◦ ln Ag − Erif + Egiunto EAg + /Ag + F Come abbiamo detto prima, la concentrazione di ioni Ag + cambia in funzione del volume di soluzione titolante aggiunto: la relazione su scritta mostra che 121 buretta voltmetro agitatore buretta voltmetro agitatore Figura 2.18: Titolazione di ioni Cl− con AgN O3 seguita per via potenziometrica con una cella elettrochimica “convenzionale” (parte superiore) o con un elettrodo combinato (parte inferiore). E’ stata evidenziata la corrispondenza fra elettrodo indicatore ed elettrodo di riferimento nei due setup sperimentali. 122 ddp volume di soluzione titolante Figura 2.19: Una tipica curva di titolazione potenziometrica. la differenza di potenziale della cella riflettera’ questo cambiamento. Possiamo allora costruire una tabella in cui, per ogni valore del volume di titolante aggiunto, riportiamo il corrispondente valore di differenza di potenziale letto dal voltmetro. Diagrammando i dati cosi’ raccolti otterremo una tipica curva di titolazione di forma sigmoide: il flesso di tale curva, facilmente determinabile, come vedremo, individua cio’ che rappresenta lo scopo della titolazione, e cioe’ il volume di equivalenza (figura 2.19). 215. Le titolazioni potenziometriche presentano dei vantaggi rispetto alle misure potenziometriche dirette. Siccome il punto finale viene determinato dal flesso della curva di titolazione, non e’ necessario conoscere con esattezza il potenziale dell’elettrodo di riferimento (diversamente da quanto avviene invece in una misura potenziometrica diretta). Infatti, dall’espressione della differenza di potenziale prima scritta, si vede che il termine Erif interviene come un semplice addendo: cio’ vuol dire che il suo effetto e’ semplicemente quello di traslare verticalmente la curva di titolazione. Ma questo non ha alcuna influenza sulla posizione del flesso lungo l’asse delle ascisse. Un altro vantaggio delle titolazioni potenziometriche rispetto alle misure dirette riguarda il potenziale di giunto (Egiunto nell’espressione piu’ sopra). Questo, come sappiamo, e’ difficile da misurare o calcolare e quindi rappresenta una fonte di errore ineliminabile. Tuttavia, la variazione del potenziale di giunto durante una titolazione e’ sicuramente molto piccola: in altre parole, i valori di differenza di potenziale che leggiamo nel corso di una titolazione sono affetti da un errore uguale per tutti. 123 Come per il termine Erif , cio’ determina solo una traslazione verticale della curva di titolazione, senza alcuna conseguenza nella determinazione del punto finale. 216. Qualsiasi titolazione puo’ essere seguita per via potenziometrica: e’ sufficiente disporre di un elettrodo indicatore il cui potenziale dipenda dalla concentrazione di una delle specie chimiche che partecipano alla reazione su cui la titolazione e’ basata. Citiamo qualche ulteriore esempio. • E’ ovvio che, come la titolazione degli ioni Cl− con AgN O3 , anche quella degli altri alogenuri puo’ essere seguita per via potenziometrica utilizzando lo stesso elettrodo indicatore. E’ inoltre possibile dosare miscele di alogenuri: ad esempio, per una miscela di ioni Cl− e I − titolata con AgN O3 si ottiene una curva di titolazione potenziometrica con due punti di flesso corrispondenti al punto di equivalenza per ciascun alogenuro. • Tutte le titolazioni acido base possono essere seguite per via potenziometrica. In linea di principio, un elettrodo indicatore appropriato potrebbe essere l’elettrodo a H + /H2 (andate a riverderlo nella figura 2.1): come mostrato a pagina 92, il suo potenziale dipende dalla concentrazione di ioni idrogeno in soluzione. In pratica, tuttavia, le titolazioni di neutralizzazione vengono seguite con l’elettrodo a vetro, di gran lunga piu’ comodo da utilizzare e universalmente adoperato per misurare il pH delle soluzioni. • Molte titolazioni complessometriche possono essere convenientemente seguite per via potenziometrica. In queste titolazioni un catione metallico viene fatto reagire con un opportuno agente complessante (l’EDTA e’ un complessante molto usato). Il modo piu’ banale di seguire la titolazione per via potenziometrica e’ quindi quello di introdurre nella soluzione una sbarretta del metallo il cui catione viene titolato. • Un’altra classe di titolazioni che puo’ essere seguita per via potenziometrica e’ quella delle titolazioni redox. Prendiamo ad esempio la titolazione di ioni F e2+ con soluzione standard di Cr2 O72− . La reazione analitica e’ l’ ossidazione del F e2+ a F e3+ ad opera dello ione Cr2 O72− in ambiente acido: 6F e2+ + Cr2 O72− + 14H + = 6F e3+ + 2Cr3+ + 7H2 O Nel corso della titolazione il rapporto fra la concentrazione dello ione F e3+ e quella dello ione F e2+ passa da un valore iniziale molto piccolo ad un valore molto grande dopo il punto di equivalenza (quando praticamente tutti gli ioni F e2+ sono stati ossidati). Se immergiamo un filo di platino nella soluzione, otteniamo un sistema elettrodico il cui potenziale dipende proprio dal rapporto delle concentrazioni dei due ioni ferro (pagina 90) e che quindi puo’ essere sfruttato per seguire la titolazione: E = EF◦ e3+ /F e2+ + 124 [F e3+ ] RT ln F [F e2+ ] 2.8.4 Analisi delle curve di titolazione 217. Come abbiamo detto, al termine di una titolazione potenziometrica ci ritroviamo con una tabella in cui, per ogni valore del volume di soluzione titolante, abbiamo riportato la corrispondente differenza di potenziale letta sul voltmetro. La prima cosa da fare e’ costruire un grafico in cui si riporta la differenza di potenziale in funzione del volume di titolante. Una volta costruita la curva di titolazione, si pone il problema della determinazione del punto finale, corrispondente al flesso della curva. La cosa piu’ semplice e’ quella di stimare ad occhio la posizione del flesso. Quando il salto della curva in corrispondenza al punto finale e’ sufficientemente netto, la precisione del risultato ottenibile con questo sistema e’ sicuramente comparabile con quella fornita da metodi piu’ sofisticati. Fra i tanti metodi grafici sviluppati a questo scopo, citiamo i seguenti due. • Metodo grafico mostrato nella figura 2.20: 1. tracciare la retta 1 estrapolando il tratto finale della curva 2. tracciare la retta 2 estrapolando il tratto iniziale della curva 3. tracciare le due rette 3 e 4 parallele all’asse verticale in modo che la loro intersezione con la curva di titolazione sia piu’ vicina possibile al flesso, pur restando nella zona in cui la curva non si e’ ancora discostata dal tratto lineare estrapolato 4. determinare il punto medio dei segmenti individuati dall’intersezione di ciascuna delle due rette 3 e 4 con le rette 1 e 2 5. l’intersezione della congiungente i due punti medi cosi’ trovati con la curva di titolazione individua il punto finale • Metodo grafico mostrato nella figura 2.21: 1. tracciare la tangente 1 al flesso della curva 2. tracciare la retta 2 estrapolando il tratto finale della curva 3. tracciare la retta 3 estrapolando il tratto iniziale della curva 4. per il punto di intersezione fra 1 e 2 tracciare la parallela 4 all’asse orizzontale e la parallela 5 all’asse verticale 5. per il punto di intersezione fra 1 e 3 tracciare la parallela 6 all’asse orizzontale e la parallela 7 all’asse verticale 6. tracciare la diagonale 8 del rettangolo delimitato dalle rette 4 5 6 7: l’intersezione di tale diagonale con la retta 1 individua il punto finale 218. Allo scopo di aumentare la precisione (ad esempio quando il salto in corrispondenza del punto finale non e’ molto netto) si possono elaborare numericamente i dati ottenuti ricavando la derivata prima e seconda della curva di titolazione. Al termine dell’esperienza si e’ in possesso di una sequenza di N coppie di valori (Vi , ddp i ). Allora e’ possibile costruire una sequenza di (N − 1) coppie di valori (Vi′ , (∆ddp/∆V )i ), con: 125 12 pH o ddp 11 1 10 9 5 8 2 7 6 4 5 4 3 3 0 5 10 15 20 25 volume titolante 30 35 40 Figura 2.20: Metodo grafico per la determinazione del punto finale in una titolazione potenziometrica 12 5 1 4 pH o ddp 11 2 10 9 8 3 7 6 6 5 4 3 1 0 5 10 15 5 7 8 20 25 volume titolante 30 35 40 Figura 2.21: Metodo grafico per la determinazione del punto finale in una titolazione potenziometrica 126 ddp i+1 (ddp i+1 − ddp i ) ddp i (Vi+1 − Vi ) Vi +Vi+1 2 Vi Vi+1 Figura 2.22: L’approssimazione della derivata della curva di titolazione ∆ddp ∆V Vi′ i i Vi + Vi+1 2 ddp i+1 − ddp i = Vi+1 − Vi = 1 · · · (N − 1) = Notate che (∆ddp/∆V )i e’ la pendenza della retta che passa per i punti di coordinate (Vi , ddp i ) e (Vi+1 , ddp i+1 ), e quindi rappresenta un’approssimazione alla derivata prima della curva di titolazione nel punto medio fra Vi e Vi+1 , cioe’ (Vi + Vi+1 )/2. La cosa e’ illustrata nella figura 2.22. Siccome la curva di titolazione ha un andamento sigmoide, la sua derivata prima mostrera’ un picco pronunciato in corrispondenza al punto finale, che ne consente una piu’ facile determinazione. (Per rendervi conto di come la derivata prima di una sigmoide sia una funzione a picco, considerate come varia la pendenza di una retta tangente alla curva y(x) in figura 2.23 al variare di x) Il procedimento puo’ essere ripetuto per ottenere la derivata seconda. A partire dalle (N − 1) coppie di valori (Vi′ , (∆ddp/∆V )i ) e’ possibile ricavare (N − 2) coppie di dati (Vi′′ , (∆2 ddp/∆V 2 )i ), con: Vi′′ 2 ∆ ddp ∆V 2 i i = = ′ Vi′ + Vi+1 2 ∆ddp ∆V i+1 − ∆ddp ∆V ′ − Vi′ Vi+1 i = 1 · · · (N − 2) Siccome la derivata prima della curva di titolazione e’ una funzione a picco, la sua derivata (cioe’ la derivata seconda della curva di titolazione) sara’ una funzione che presenta una brusca oscillazione che taglia l’asse delle ascisse in corrispondenza al punto finale (figura 2.23). 127 y(x) dy dx d2 y dx2 x Figura 2.23: Le derivate prima e seconda di una funzione sigmoide 128 ddp 250 0 -250 -500 d dV ddp 1000 500 0 d2 dV 2 ddp 2000 1000 0 -1000 -2000 V Figura 2.24: Le derivate prima e seconda di una curva di titolazione reale Nonostante questi metodi possano risultare accattivanti, va comunque tenuto presente che essi sono limitati dal livello di “rumore” associato ai dati sperimentali raccolti: l’operazione di derivazione comporta infatti un’inevitabile amplificazione degli errori sempre presenti nelle misure sperimentali, portandoli in molti casi a livelli inaccettabili. Un esempio di applicazione di questo metodo a un caso reale e’ mostrato nella figura 2.24. 219. Un approccio numerico completamente diverso all’analisi della curva di titolazione consiste nell’approssimazione della curva stessa con una opportuna funzione analitica. L’idea si basa sulla seguente considerazione: siccome il nostro interesse e’ quello di trovare il flesso della curva di titolazione, e’ sufficiente scovare una funzione qualsiasi che segua bene l’andamento dei punti sperimentali in un intervallo non molto ampio e centrato intorno al punto di flesso. Una volta trovata una funzione simile, e’ sufficiente farne la derivata seconda e porla uguale a zero. Uno fra i possibili modelli analitici in grado di riprodurre il tipico andamento di una curva di titolazione e’ quello che segue: ddp(V ) = p1 + p4 V 3 + p5 V 2 + p6 V + p7 1 + exp (p2 (V − p3 )) Questa relazione esprime la differenza di potenziale misurata ddp come funzione del volume di titolante V . I termini p1 . . . p7 sono dei parametri: mentre 129 le caratteristiche generali della funzione sono determinate dalla sua forma analitica, il suo aspetto particolare e’ determinato dal valore numerico dei parametri. Per comprendere cosa significhi cio’, facciamo un semplicissimo parallelo. Sappiamo tutti che la funzione: y(x) = mx + q rappresenta una retta nel piano cartesiano. Questa (cioe’ quella di essere una retta) e’ una caratteristica insita nel modello analitico, indipendente dal particolare valore dei parametri, che in questo caso sono m, la pendenza, e q, l’intercetta. La forma che abbiamo scritto sopra rappresenta una (doppia) infinita’ di rette: possiamo individuare una particolare retta di questo insieme assegnando due particolari valori a m e q. Cerchiamo di comprendere in modo qualitativo come e’ fatto il modello proposto per approssimare le curve di titolazione. A questo scopo, e’ utile riscriverlo come somma di due parti: y1 (V ) = y2 (V ) = ddp(V ) = p1 1 + exp (p2 (V − p3 )) p4 V 3 + p5 V 2 + p6 V + p7 y1 (V ) + y2 (V ) Il termine y1 (V ) e’ la parte piu’ significativa del modello: esso rappresenta una funzione sigmoide le cui caratteristiche dipendono dai tre parametri p1 , p2 , p3 . L’andamento di y1 (V ) e’ mostrato nella figura 2.25: in pratica la funzione e’ contenuta in una “striscia” delimitata dall’asse V e dalla retta orizzontale y = p1 ; presenta un punto di flesso la cui posizione lungo l’asse V coincide con il parametro p3 ; restringendoci ai soli valori positivi del parametro p1 , la funzione e’ crescente se p2 < 0 e decrescente se p2 > 0; infine, la “ripidezza” del salto compiuto dalla funzione in corrispondenza al punto di flesso e’ proporzionale al valore assoluto di p2 (dovreste essere in grado di verificare tutto cio’ con le tecniche di analisi che avete appreso alla scuola media superiore). Il termine y2 (V ), che non e’ altro che un polinomio di terzo grado, e’ stato introdotto per due motivi. Il primo e’ che le curve di titolazione sperimentali possono essere traslate arbitrariamente lungo l’asse verticale mentre la funzione y1 (V ) tende inevitabilmente a 0, per V → +∞ o V → −∞ (a seconda del segno di p1 e p2 ): y2 (V ) ha quindi il compito di traslare opportunamente la sigmoide affinche’ possa seguire la curva sperimentale. Il secondo scopo del termine polinomiale e’ quello di aumentare le “possibilita’ di adattamento” della sigmoide all’andamento dei punti sperimentali. Come si procede in pratica? Alla fine dell’esperimento di titolazione potenziometrica abbiamo un grafico della differenza di potenziale misurata in funzione del volume di titolante aggiunto. A questo punto il problema e’ quello di determinare i valori dei parametri p1 · · · p7 per i quali il modello analitico segue l’andamento dei dati sperimentali nel modo migliore possibile. Problemi di questo tipo sono detti di “modellizzazione” o “best fit” ed esistono numerosissimi metodi per la loro soluzione (saro’ lieto di dare maggiori dettagli a chi sia interessato). In definitiva, i dati sperimentali vengono immessi in un programma 130 y1 (V ) 2 1 0 y2 (V ) 8 6 4 2 ddp(V ) 6 4 2 0 0 10 20 30 V Figura 2.25: L’approssimazione di una curva di titolazione potenziometrica con la funzione descritta nel testo: i due tratti verticali indicano la regione dell’asse V selezionata per la procedura di ottimizzazione. I valori ottimizzati dei parametri sono: p1 = 1.436, p2 = −1.977, p3 = 14.898, p4 = −8.45 × 10−4 , p5 = 0.040, p6 = −0.429, p7 = 3.877 131 che realizza un algoritmo tramite il quale i valori dei parametri vengono iterativamente affinati finche’ l’accordo fra modello e dati sperimentali risulta il migliore possibile; a questo punto, il programma risolve l’equazione: d2 ddp(V ) dV 2 = 0 fornendo cosi’ il valore del volume finale. Nella figura 2.25 e’ illustrato il procedimento di ottimizzazione di cui stiamo parlando applicato ad un caso reale. Per maggior chiarezza, i termini ottimizzati y1 (V ) e y2 (V ) sono mostrati separatamente nei primi due grafici; nel terzo grafico i circoletti sono i punti sperimentali mentre la linea continua e’ il grafico della funzione ddp(V ) = y1 (V ) + y2 (V ) con i valori ottimizzati dei parametri. Osservate come i dati sperimentali descrivano una sigmoide compresa all’incirca fra 2 e 6, mentre la funzione y1 (V ), come detto prima, e’ compresa fra 0 e ≈ 1.5: il termine y2 (V ) trasla la sigmoide portandola sui punti sperimentali. Osservate ancora che l’accordo del modello con i dati sperimentali e’ piuttosto buono solo in un intervallo limitato e centrato intorno al punto finale: al di fuori di questo intervallo (si vede particolarmente bene per V → 0) la funzione analitica non segue affatto i dati sperimentali. Questo non e’ un problema, visto che siamo interessati solo al punto di flesso della curva di titolazione e quindi ci basta che la funzione coincida il piu’ possibile con la curva di titolazione solo in un intorno del flesso. 132 Appendice A Il raggiungimento dell’equilibrio in un sistema elettrodico 220. In questa sezione useremo un semplicissimo modello matematico della reazione elettrodica per comprendere piu’ a fondo il modo in cui un sistema elettrodico raggiunge l’equilibrio e come in tale stato di equilibrio esista una differenza di potenziale fra metallo e soluzione. Sappiamo che la semireazione redox che interconverte i due membri della coppia redox presente nel sistema elettrodico e’ la “risultante” di due processi che sono uno l’inverso dell’altro: l’ossidazione e la riduzione. Indichiamo con voss e vrid le velocita’ di questi due processi. Se consideriamo il semplice sistema Ag + /Ag, allora voss e’ il numero di moli di atomi di Ag che abbandonano il metallo per andare in soluzione come ioni Ag + nell’unita’ di tempo. Analogamente, vrid rappresenta il numero di moli di ioni Ag + che si depositano dalla soluzione sul filo metallico nell’unita’ di tempo. Se in automobile stiamo viaggiando ad una velocita’ v, in un intervallo di tempo ∆t percorreremo uno spazio pari v∆t. In modo identico, il numero di moli di atomi di Ag che abbandonano il metallo e il numero di moli di ioni Ag + che vi si depositano in un intervallo di tempo ∆t sono dati, rispettivamente, da voss ∆t e vrid ∆t. Il punto essenziale per cui il sistema elettrodico raggiunge l’equilibrio e’ che voss e vrid cambiano nel tempo a causa della separazione di carica che si instaura fra metallo e soluzione. La dipendenza delle velocita’ dei due processi (ossidazione e riduzione) dalla separazione di carica fra metallo e soluzione puo’ essere espressa in modo molto semplice come segue: voss 0 = voss + koss q (A.1) vrid 0 = vrid − krid q (A.2) Nelle due espressioni su scritte, koss e krid sono delle costanti positive e q e’ la carica elettrica in eccesso presente sul metallo (chiaramente, ad ogni istante 133 di tempo, la carica q sul metallo e’ bilanciata da una carica di uguale entita’ ma di segno opposto presente in soluzione). Inizialmente, a t = 0, non c’e’ separazione di carica fra metallo e soluzione; in tale condizione si ha q = 0 e 0 0 0 0 quindi voss = voss e vrid = vrid : voss e vrid sono cioe’ i valori iniziali di voss e vrid , rispettivamente. Col trascorrere del tempo, sul metallo si accumula un eccesso di carica elettrica: se q > 0, allora voss viene aumentata di (koss q) rispetto al suo valore iniziale e vrid viene diminuita di (krid q) rispetto al suo valore iniziale; si ha il viceversa, se q < 0. Le due espressioni dicono quindi matematicamente cio’ che abbiamo gia’ illustrato a parole (punto 162): un eccesso di carica elettrica positiva sul metallo accelera l’ossidazione e rallenta la riduzione; il viceversa vale se sul metallo e’ presente un eccesso di carica negativa. Le costanti moltiplicative koss e krid esprimono la sensibilita’ di ciascuna velocita’ ad un determinato eccesso di carica sul metallo: maggiore e’ il loro valore, e maggiore sara’ l’effetto di accelerazione o rallentamento sulla corrispondente velocita’ per un dato valore di q. Chiaramente, le equazioni A.1 e A.2 sono ben lungi dal rappresentare anche solo lontanamente la complessita’ di un sistema elettrodico (ad esempio, abbiamo volutamente tralasciato di rappresentare la dipendenza dalla concentrazione); cio’ non di meno, esse possiedono le caratteristiche minime che servono ad illustrare l’evoluzione del sistema. Assegniamo ora dei valori numerici ai vari parametri e proviamo a seguire l’evoluzione del sistema nel tempo. Poniamo, ad esempio: 0 voss = 10 0 vrid koss = 5 = 2 krid = 2 Questa scelta corrisponde alla situazione che abbiamo prima descritto (punto 162), in cui a t = 0 l’ossidazione e’ piu’ veloce della riduzione. Per seguire l’evoluzione temporale del sistema elettrodico, consideriamo un intervallo di tempo ∆t = 0.1 e calcoliamo i valori che assumono voss , vrid e q dopo un tempo pari a ∆t, 2∆t, 3∆t . . . 0 0 A t = 0, come abbiamo gia’ visto, si ha: voss = voss , vrid = vrid e q = 0. Quando e’ trascorso un tempo pari a ∆t = 0.1, un numero di moli di atomi 0 di Ag pari a voss ∆t = voss ∆t = 10 × 0.1 = 1 hanno abbandonato il metallo + sotto forma di ioni Ag : per effetto dell’ossidazione, quindi, sul metallo si e’ creata una carica negativa pari a 1 mole di elettroni; chiamiamo qoss tale carica, per sottolineare che e’ l’eccesso di carica dovuto al solo processo di ossidazione. 0 Nello stesso tempo, un numero di moli di ioni Ag + dato da vrid ∆t = vrid ∆t = 5 × 0.1 = 0.5 si e’ depositato sul metallo dalla soluzione: questo processo crea quindi sul metallo una carica positiva qrid = +0.5. L’eccesso di carica risultante sul metallo e’ dato dalla somma algebrica di qoss e qrid , cioe’: q = qoss + qrid = −1 + 0.5 = −0.5. Vediamo quindi che, siccome abbiamo supposto che l’ossidazione sia inizialmente piu’ veloce della riduzione, sul metallo si accumula carica negativa (e nella soluzione si crea una corrispondente carica positiva). La 134 carica q accumulatasi sul metallo determina a sua volta un cambiamento di voss 0 e vrid secondo le equazioni A.1 e (A.2): voss = voss + koss q = 10 + 2 × (−0.5) = 9 0 e vrid = vrid − krid q = 5 − 2 × (−0.5) = 6. Troviamo cosi’ che, dopo un tempo pari a ∆t = 0.1, il processo inizialmente piu’ veloce (l’ossidazione) e’ rallentato, mentre quello piu’ lento (la riduzione) e’ accelerato, come avevamo gia’ detto in precedenza. A questo punto siamo pronti per calcolare i valori di voss , vrid e q dopo un tempo pari a 2∆t, a partire dai valori che abbiamo appena calcolato al tempo ∆t. Durante questo secondo intervallo di tempo, l’ossidazione produce sul metallo una carica negativa data da: qoss = −voss ∆t = −9 × 0.1 = −0.9 e la riduzione crea nel filo metallico una carica positiva pari a qrid = vrid ∆t = 6 × 0.1 = 0.6. La carica risultante sul metallo sara’ data ora dalla somma algebrica di tre termini: la carica che si era gia’ accumulata durante il primo intervallo di tempo (chiamiamola q(t=∆t) ), il contributo negativo dell’ossidazione relativo al secondo intervallo di tempo e il contributo positivo della riduzione nello stesso intervallo di tempo. In simboli: q = q(t=∆t) + qoss + qrid = −0.5 − 0.9 + 0.6 = −0.8. I valori di voss e vrid al tempo t = 2∆t si ricavano sempre dalle espressioni (A.1) e (A.2): voss vrid 0 = voss + koss q = 10 + 2 × (−0.8) = 8.4 0 = vrid − krid q = 5 − 2 × (−0.8) = 6.6 Come si vede, dopo un tempo pari a 2∆t, sul filo di Ag continua ad accumularsi carica negativa; contemporaneamente, voss continua a diminuire e vrid continua ad aumentare. Sulla base di quanto appena visto, possiamo ora generalizzare le formule per il calcolo di q, voss e vrid . A un dato tempo, si calcolano qoss e qrid utilizzando i valori di voss e vrid , rispettivamente, calcolati nello step precedente. Poi si calcola q sommando i valori correnti di qoss e qrid e il valore di q allo step precedente. Infine, si aggiornano i valori di voss e vrid con il valore di q appena ottenuto. Indicando con l’indice n lo step “corrente”, corrispondente percio’ al tempo t = n∆t, il calcolo puo’ venire cosi’ illustrato: (n=0) voss 0 = voss vrid (n=0) 0 = vrid (n=0) qoss = 0 (n=0) qrid (n=0) = 0 q n qoss n qrid q n = 0 n−1 = −voss ∆t 0 = −(voss + koss q n−1 )∆t n−1 = vrid ∆t 0 = (vrid − krid q n−1 )∆t n−1 n n = q + qoss + qrid 135 n voss 0 = voss + koss q n n vrid n 0 = vrid − krid q n = 1, 2, 3 . . . Con una calcolatrice da tavolo (piu’ comodamente con un computer, se si conosce un linguaggio di programmazione qualsiasi) e’ possibile costruire la tabella che segue: n 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 t 0.000 0.100 0.200 0.300 0.400 0.500 0.600 0.700 0.800 0.900 1.000 1.100 1.200 1.300 1.400 1.500 1.600 1.700 1.800 1.900 2.000 qoss 0.000 −1.000 −0.900 −0.840 −0.804 −0.782 −0.769 −0.762 −0.757 −0.754 −0.753 −0.752 −0.751 −0.751 −0.750 −0.750 −0.750 −0.750 −0.750 −0.750 −0.750 qrid 0.000 0.500 0.600 0.660 0.696 0.718 0.731 0.738 0.743 0.746 0.747 0.748 0.749 0.749 0.750 0.750 0.750 0.750 0.750 0.750 0.750 q 0.000 −0.500 −0.800 −0.980 −1.088 −1.153 −1.192 −1.215 −1.229 −1.237 −1.242 −1.245 −1.247 −1.248 −1.249 −1.249 −1.250 −1.250 −1.250 −1.250 −1.250 voss 10.000 9.000 8.400 8.040 7.824 7.694 7.617 7.570 7.542 7.525 7.515 7.509 7.505 7.503 7.502 7.501 7.501 7.500 7.500 7.500 7.500 vrid 5.000 6.000 6.600 6.960 7.176 7.306 7.383 7.430 7.458 7.475 7.485 7.491 7.495 7.497 7.498 7.499 7.499 7.500 7.500 7.500 7.500 Commentiamo i dati riportati nella tabella (per comodita’, l’andamento di q, voss e vrid in funzione del tempo e’ stato diagrammato nelle figure (A.1) e (A.2)). Siccome siamo nell’ipotesi che l’ossidazione sia inizialmente piu’ veloce della riduzione, nel periodo iniziale la carica negativa creata dalla ossidazione sul metallo e’ maggiore (in modulo) della carica positiva prodotta dalla riduzione; cio’ fa si’ che il metallo acquisti una carica netta negativa che cresce nel tempo (la colonna q nella tabella e la figura (A.1)). Tuttavia, la presenza di questa carica netta negativa sul filo di Ag provoca una diminuzione di voss e un aumento di vrid ; la conseguenza e’ che il caricamento negativo del metallo rispetto alla soluzione avviene a velocita’ via via minore. Si arriva cosi’, inevitabilmente, al momento in cui, nell’intervallo ∆t, si ha |qoss | = qrid (step numero 16 nella tabella): da questo punto in poi, q, voss e vrid smettono di cambiare e il sistema elettrodico ha raggiunto l’equilibrio. E’ importante realizzare che, all’equilibrio, l’ossidazione e la riduzione non si sono fermate: i due processi stanno continuando ad avvenire, ma alla stessa velocita’ (7.5 (moli di Ag o Ag + )/(unita’ di tempo), nella tabella). Osserviamo ancora che, quando si e’ raggiunto l’equilibrio, sul filo di Ag e’ presente un eccesso di carica negativa pari a −1.25 moli di elettroni. Chiaramente 136 0.0 -0.2 q -0.5 -0.8 -1.0 -1.2 0 0.5 1 t Figura A.1: 137 1.5 2 10.0 9.0 voss v 8.0 7.0 6.0 vrid 5.0 0 0.5 1 t Figura A.2: 138 1.5 2 la soluzione conterra’ un eccesso di carica positiva di uguale valore. A causa di questa separazione di carica, fra metallo e soluzione esiste una differenza di potenziale elettrico che abbiamo chiamato potenziale elettrodico. Provate a ripetere i calcoli cambiando i parametri: ad esempio, costruite una tabella analoga per il caso in cui la riduzione sia inizialmente piu’ veloce dell’ossidazione. Una scelta opportuna dei parametri potrebbe essere: 0 voss 0 vrid = = 4 9 koss krid = = 3 2 ∆t = 0.1 139 Appendice B Il programma icee Questa appendice e’ ancora incompleta... 221. Nel capitolo 1 abbiamo visto che tutti i problemi di equilibrio possono essere trattati in modo esatto; scrivere il sistema di equazioni che fornisce tutte le concentrazioni di equilibrio e’ (o dovrebbe essere) abbastanza semplice. Una volta scritto il sistema, tuttavia, la sua risoluzione solo raramente puo’ essere condotta per via analitica: la maggior parte delle volte, invece, si deve ricorrere a metodi numerici. 222. In questa sezione presentero’ il programma icee, che serve proprio a risolvere un sistema non lineare per via numerica. 223. Questa sezione e’ cio’ che comunemente viene chiamato un “tutorial”: cioe’ non vi esporro’ le istruzioni dettagliate del programma, ma piuttosto cerchero’ di mettervi in grado di usarlo attraverso degli esempi concreti di difficolta’ crescente. Vi consiglio di leggere questa sezione in aula computer e di provare “dal vivo” tutti gli esempi, seguendo le istruzioni. PER QUALSIASI PROBLEMA NON ESITATE A CHIEDERMI AIUTO Sono convinto che l’uso del programma icee possa contribuire molto positivamente alla comprensione di tutti gli argomenti che vengono trattati nel corso. 224. icee e’ un acronimo che sta per “ I c ompute e quilibria, e xactly!” e si pronuncia: “ais-i:”. B.1 L’interfaccia grafica al programma icee: icee-gui 225. Il programma icee e’ progettato per un ambiente Unix, cioe’ per il sistema operativo utilizzato dalle macchine che trovate in aula computer. Siccome so per esperienza che pochi hanno il grado di dimestichezza necessario con questo sistema operativo, oltre al programma icee ho scritto anche un’interfaccia grafica che vi permette di utilizzare il programma senza dover conoscere alcun comando Unix. Il nome di questa interfaccia e’ icee-gui, dove gui sta per “ g raphical u ser i nterface”. 140 226. In questa sede descrivero’ l’uso dell’interfaccia grafica, ma tenete presente che il programma icee e’ completamente indipendente da questa interfaccia; in altre parole, esso non necessita di alcuna “sovrastruttura”; tuttavia, per utilizzare direttamente il programma icee, e’ necessario conoscere qualcosa del sistema operativo Unix e normalmente gli utenti dell’aula computer (cioe’ gli studenti del corso di studio in chimica) mancano totalmente o quasi di questo requisito. 227. In pratica, l’interfaccia grafica icee-gui vi consente di: =⇒ preparare l’input per il programma icee =⇒ lanciare il programma icee sull’input preparato =⇒ vedere l’output sia in forma di testo che in forma grafica usando praticamente solo il mouse. B.2 Come si lancia icee-gui 228. Se non possedete ancora le credenziali (username e password) per accedere al sistema dell’aula computer, venite da me per ottenerle. 229. Andate in aula computer e aprite una sessione di lavoro (cioe’ digitate il vostro username e la vostra password come richiesto dal programma di accesso al sistema). 230. Le istruzioni che seguono vi permettono di creare un’icona per icee-gui sul vostro desktop: per lanciare icee-gui bastera’ in seguito fare un doppio click sull’icona. 231. Clickate con il bottone destro del mouse sullo sfondo del desktop: compare un menu, dal quale selezionate “Create Launcher”. 232. Viene attivata una finestra che richiede alcune informazioni. E’ sufficiente che ne diate solo due: Name Command icee-gui icee-gui Infine, se volete, clickate su “No Icon” e selezionate un’icona di vostro gradimento con cui verra’ rappresentato icee-gui sul desktop. Terminate clickando su “OK”. 233. A questo punto sul vostro desktop dovrebbe essere comparsa l’icona che avete scelto (o un’icona default se non avete fatto alcuna scelta esplicita) con il nome icee-gui. Per lanciare icee-gui fate un doppio click sulla sua icona. B.3 Come si usa icee-gui 234. La finestra iniziale di icee-gui si presenta come mostrato nella figura B.1. 141 Figura B.1: La finestra iniziale di icee-gui In pratica, ci sono quattro zone principali. Partendo dall’alto troviamo: =⇒ un’area con righe numerate in cui si immettono le equazioni del sistema =⇒ un’area con righe numerate in cui si specificano le variabili che compaiono nel sistema =⇒ un’area con righe numerate in cui si specificano i parametri che compaiono nel sistema =⇒ un’area che consente di specificare i valori di alcuni parametri che riguardano l’algoritmo di risoluzione del sistema non lineare Infine, nella parte inferiore, si trovano alcuni bottoni descritti di seguito. B.3.1 Le due modalita’ principali di icee 235. Il programma icee puo’ essere usato in 2 modalita’: La modalita’ “single shot” 236. In questa modalita’, il sistema di equazioni originato da un dato problema di equilibrio viene risolto per un singolo set di parametri e fornisce un’unica soluzione, cioe’ un’unico set di valori per le concentrazioni di equilibrio. 142 237. Ad esempio, il problema potrebbe essere quello della ionizzazione in acqua di un acido debole AH, con costante di ionizzazione KA e concentrazione ◦ formale CAH . Come visto a lezione, le incognite del problema sono le quattro concentrazioni di equilibrio dell’acido indissociato, dell’anione A− , degli ioni ossidrile e degli ioni idrogeno. I parametri del problema sono invece la costante di ionizzazione acida KA , la ◦ concentrazione formale dell’acido CAH e la costante di autoionizzazione dell’acqua KW . Una soluzione di questo problema in modalita’ “single shot” significa che si assegna un singolo valore ad ogni parametro, ad esempio: KA ◦ CAH KW 1.8 × 10−5 0.1 1 × 10−14 e si risolve il sistema, ottenendo cosi’ i quattro valori delle concentrazioni di equilibrio. La modalita’ “parameter scan” 238. In modalita’ “parameter scan” si ha la possibilita’ di variare un parametro del sistema entro un range predefinito e di risolvere il sistema in corrispondenza a tutti i possibili valori assunti dal parametro che viene scansionato (solo uno dei parametri puo’ venire scansionato: tutti gli altri sono fissati ad un unico valore). 239. Questa modalita’ e’ piu’ interessante perche’ consente di vedere come la soluzione del problema dipende dal valore numerico di un parametro. 240. Inoltre, come vedremo, con questa modalita’ si possono calcolare tutte le curve di titolazione che discuteremo durante il corso. 241. Per tornare all’esempio dell’acido debole, si puo’ richiedere al programma icee di risolvere il sistema con valori fissati di KA e KW : KA KW 1.8 × 10−5 1 × 10−14 ◦ e facendo assumere a CAH 200 valori equispaziati nell’intervallo [0.001, 1.0]. In tal modo, si ottengono 200 soluzioni del sistema in corrispondenza ai 200 ◦ valori di CAH . Si puo’ poi riportare in grafico, ad esempio, la concentrazione di equilibrio degli ioni idrogeno in funzione della concentrazione formale di acido debole. Sullo stesso grafico, si puo’ rappresentare l’espressione approssimata che abbiamo ricavato a lezione: 143 Figura B.2: Un esempio dell’uso di icee in modalita’ “parameter scan” H+ = p ◦ KA CAH Il confronto dei due grafici mostra fino a che punto sono valide l’approssimazione dell’equilibrio prevalente e l’assunzione KA → 0 per questo problema (figura B.2). B.4 Tutorial 242. Iniziamo ora il tutorial vero e proprio: imparerete ad usare icee-gui (e icee) attraverso una serie di esempi. Potete provare direttamente gli esempi che seguono in aula computer. B.4.1 Ionizzazione di un acido debole in modalita’ “single shot” 243. Consideriamo il caso semplicissimo visto a lezione della ionizzazione di un acido debole in acqua. Questo primo esempio sara’ un po’ lungo perche’ ci servira’ per introdurre molte delle informazioni che servono per usare icee-gui. 244. Si e’ visto che questo problema e’ costituito da due reazioni indipendenti, rappresentate da: AH H2 O = = A− + H + OH − + H + e 4 concentrazioni di equilibrio incognite: [AH], [A− ], [H + ] e [OH − ]. 144 I parametri di questo problema sono: la costante di ionizzazione acida KA , la ◦ concentrazione formale dell’acido debole CAH e la costante di autoionizzazione dell’acqua KW . Il sistema per trovare le 4 concentrazioni di equilibrio e’: KA = KW = ◦ CAH + = H = [A− ] [H + ] [AH] + OH − H [AH] + A− (bilancio di massa per A) OH − + A− (bilancio di carica) Questo e’ quanto abbiamo gia’ visto a lezione. Ora vediamo come usare icee-gui per risolvere questo problema di equilibrio. Le equazioni 245. Prima di tutto dobbiamo riscrivere le equazioni, le incognite e i parametri del sistema in “computerese”. Ad esempio, le concentrazioni non possono essere rappresentate con parentesi quadrate come siamo abituati a fare sul foglio di carta, perche’ le parentesi quadrate sono simboli “speciali” per un computer. Inoltre, non abbiamo a disposizione apici o pedici. In generale, per quanto riguarda l’uso di icee-gui, per la rappresentazione simbolica di incognite e parametri tenete presente che: =⇒ i simboli possono contenere lettere minuscole/maiuscole, cifre e il simbolo underscore (trattino basso): “_” (utile come separatore) =⇒ il primo carattere di un simbolo deve essere una lettera (minuscola/maiuscola): non puo’ essere una cifra. =⇒ non c’e’ limite al numero di caratteri usati per un simbolo =⇒ lettere minuscole e maiuscole vengono considerate diverse. Quindi “A_0” e “a_0” sono due simboli diversi Nel caso presente, possiamo adottare la seguente mappa per passare dai simboli usati piu’ sopra a quelli “digeribili” dal computer: [AH] [A− ] [H + ] [OH − ] KA KW ◦ CAH ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ AH A H OH KA KW C0 Ora possiamo scrivere le 4 equazioni del sistema nelle prime 4 righe dell’area “Equations” di icee-gui. 246. Prima, pero’, vanno fatte alcune precisazioni. • Ciascuna equazione va sempre messa nella forma: 145 (espressione al primo membro) = 0 e dell’equazione si scrive solo il primo membro. Ovviamente questo e’ sempre possibile. Ad esempio, la prima equazione del sistema: KA = [A− ] [H + ] [AH] deve eseere scritta cosi’: KA − [A− ] [H + ] [AH] = 0 • Siccome nel processo di raggiungimento della soluzione del sistema i valori delle incognite vengono variati iterativamente e possono talvolta diventare nulli o quasi, evitate accuratamente che ci siano incognite al denominatore. Anche questa condizione e’ molto facile da soddisfare. Ad esempio, per la prima equazione del sistema, che contiene [AH] al denominatore, e’ altamente consigliato moltiplicare ambo i membri per [AH], mettendola nella forma: [AH] KA − A− H + = 0 • I segni per le 4 operazioni che si usano in “computerese” sono: + * / per per per per l’addizione la sottrazione la moltiplicazione la divisione (diro’ di piu’ sull’uso della funzione logaritmica, l’elevamento a potenza o la radice quadrata piu’ avanti) • Potete usare le parentesi (solo quelle tonde, non quadrate o graffe) come le usereste normalmente su un foglio di carta Alla luce di quanto detto, il sistema scritto in “computerese” diventa: AH*KA-A*H=0 KW-H*OH=0 C0-(AH+A)=0 H-(OH+A)=0 247. A questo punto (siete seduti in aula computer e avete icee-gui sullo schermo, no?) digitate le 4 equazioni in altrettante righe dell’area “Equations” di icee-gui. 146 Figura B.3: La finestra di icee-gui dopo aver digitato le equazioni Portate il cursore nella prima riga clickando con il mouse (bottone sinistro) e digitate la prima equazione (ricordate: solo il primo membro, NON digitate anche “=0”). Naturalmente, se vi serve, potete usare le freccine per spostare il cursore e/o cancellare con il tasto di backspace. Oppure potete posizionare il cursore clickando col mouse. Dopo che avete digitato le equazioni, la finestra di icee-gui dovrebbe essere come mostrato nella figura B.3. Le incognite 248. Ora dobbiamo dire ad icee chi sono le incognite nel sistema. A questo scopo useremo l’area “Variables”. Anche ora va fatta qualche precisazione. 249. In generale, il sistema da risolvere puo’ avere piu’ di una soluzione. Ad esempio, il sistema per l’equilibrio di autoionizzazione dell’acqua: 147 H+ OH − + H = KW = OH − ammette, dal punto di vista matematico, le due soluzioni: [H + ] = [OH − ] = 1. × 10−7 1. × 10−7 e [H + ] = −1. × 10−7 [OH − ] = −1. × 10−7 Solo una delle possibili soluzioni ha significato fisico, ma questo icee non lo sa. Allora, possiamo “suggerire” ad icee di convergere, fra tutte le possibili soluzioni di un dato sistema, solo su quell’unica che ha significato fisico. A questo scopo, per ciascuna incognita, spcifichiamo anche un limite minimo e un limite massimo entro cui il suo valore finale deve essere compreso. Per questo motivo, nell’area “Variables” di icee-gui ogni riga contiene 3 campi: nel primo scriverete il simbolo dell’incognita, mentre riempirete il secondo e il terzo campo con, rispettivamente, il valore minimo e massimo ammissibili per quell’incognita. Vedremo fra un’attimo come fare per il problema che stiamo trattando. 250. Prima, pero’, e’ opportuno aggiungere ancora qualcosa che riguarda l’algoritmo usato per le risoluzione del sistema. L’algoritmo usato da icee per risolvere il sistema non lineare e’ chiamato metodo di Newton-Raphson. Senza entrare nei dettagli, e’ sufficiente dire che questo metodo e’ un cosiddetto metodo “iterativo”: cioe, si scelgono dei valori iniziali per le incognite e l’algoritmo affina iterativamente questi valori facendoli convergere alla (o meglio: “ad una”) soluzione del sistema. La convergenza e’ tanto piu’ rapida (cioe’ il numero di iterazioni da compiere e’ tanto minore) quanto piu’ i valori iniziali di partenza sono vicini alla soluzione. Nel caso dei sistemi risolventi i nostri problemi di equilibrio sarebbe facile assegnare alle incognite valori approssimati vicini a quelli corretti, ma questo, come abbiamo visto a lezione parlando dei metodi approssimati, presuppone un’analisi caso per caso (approssimazione dell’equilibrio prevalente, K → 0 o K → ∞). Tradurre quest’analisi approssimata del problema in un algoritmo generale, pero’, e’ molto complicato (almeno per me). 148 251. Allora come si comporta icee? In un modo molto “grezzo”: =⇒ A ciascuna incognita viene assegnato un valore a caso compreso nell’intervallo di variazione specificato per quell’incognita =⇒ L’insieme dei valori per tutte le incognite cosi’ sorteggiati viene preso come punto di partenza per il metodo di Newton-Raphson. =⇒ L’algoritmo viene fatto procedere per un numero dato di iterazioni (il parametro n_trial nella parte inferiore della figuraB.3) =⇒ Se viene raggiunta una soluzione, allora il lavoro e’ finito =⇒ Altrimenti, si effettua un nuovo sorteggio di valori iniziali e si riprova =⇒ I tentativi non vanno avanti all’infinito: dopo un numero massimo di sorteggi infruttuosi (il parametro n_shots nella parte inferiore della figuraB.3) icee si arrende e segnala un errore Quindi: l’intervallo di variazione specificato per ciascuna incognita serve a due scopi: 1 per dire ad icee di accettare per quella variabile solo le soluzioni comprese entro l’intervallo (e quindi, ad esempio, scartare soluzioni negative, se la variabile e’ una concentrazione) 2 per permettere ad icee di scegliere per la variabile dei valori di partenza in un intervallo “ragionevole” 252. L’intervallo di variazione per ciascuna variabile e’ obbligatorio. Pero’ a volte puo’ essere conveniente “lasciare libera” la variabile di convergere ad un valore esterno a tale intervallo. Cio’ si puo’ ottenere clickando nella casella piu’ a destra della riga corrispondente alla variabile. In tal modo, i valori di partenza per la variabile vengono sempre pescati a caso nell’intervallo specificato, ma la variabile e’ “libera” di convergere su qualsiasi valore, anche esterno all’intervallo. 253. L’intestazione dell’area “Variables” (figuraB.3)) vi ricorda brevemente cosa digitare nei vari campi: Variables: name min_value max_value [free(on/off)] Significa che nei campi di ciascuna riga dovete digitare: 1 Il nome della variabile 2 Il suo minimo valore 3 Il suo massimo valore 4 Facoltativamente (per questo ci sono le parentesi quadrate): potete richiedere che la variabile converga su qualsiasi valore (anche esterno all’intervallo specificato) 254. Bene: alla luce di quanto detto, vediamo cosa scrivere nell’area “Variables”. Le nostre incognite sono AH, A, H e OH. 149 Cominciamo con AH: che intervallo di variazione specifichiamo per essa? E’ la concentrazione di equilibrio dell’acido indissociato, quindi sicuramente dovra’ essere positiva: possiamo dare come valore minimo 0. Quale potra’ essere il suo valore massimo? Qui dovete mettere in campo quello che avete imparato! La concentrazione di equilibrio dell’acido indissociato dipende, in generale, dal valore della costante di equilibrio e dalla concentrazione iniziale: pero’, in tutti i casi, possiamo dire che la concentrazione di equilibrio (finale) di acido indissociato non potra’ mai esser maggiore della concentrazione iniziale di acido posta in soluzione. La concentrazione iniziale di acido debole l’abbiamo chiamata (in computerese) C0: bene, possiamo scrivere C0 nel terzo campo della riga per AH. 255. Notate: potete esprimere l’estremo superiore dell’intervallo di variazione della variabile AH in forma simbolica! Questo e’ utilissimo: se fate piu’ calcoli in cui variate la concentrazione iniziale di acido debole, non serve che ogni volta cambiate questo valore: esso viene aggiornato automaticamente al valore selezionato per C0 (che viene specificato nell’area “Parameters”). In definitiva, le cose da scrivere nella prima riga sono: campo n.1 AH campo n.2 0 campo n.3 C0 Per la seconda variabile, A, valgono le stesse considerazioni: anch’essa dovra’ essere positiva e minore di C0: campo n.1 A campo n.2 0 campo n.3 C0 256. La terza variabile e’ la concentrazione di equilibrio degli ioni idronio, H. Anche qua si ragiona allo stesso modo. H dovra’ essere positiva. Inoltre, il suo valore massimo dipende dalla costante di ionizzazione acida: se KA → 0 la concentrazione di equilibrio degli ioni idronio tende ad essere quella dell’acqua pura, 1 × 10−7 mol/L se KA → ∞ la concentrazione di equilibrio degli ioni idronio sara’ praticamente coincidente con C0, perche’ tutto l’acido si sara’ dissociato. Si potrebbe quindi dare come estremo superiore C0. Ma attenzione: se vogliamo risolvere il sistema anche per valori di C0 molto piccoli (10−7 ,10−8 o minori) la concentrazione di equilibrio degli ioni idronio potrebbe essere maggiore di C0, perche’ in tal caso il contributo dell’acqua (≈ 10−7 ) sarebbe predominante. Allora, un limite piu’ generale e’ non “C0”, ma “C0 + 10−7” (10−7 e’ il massimo valore della concentrazione di ioni idrogeno prodotti dall’acqua in questo sistema: ne siete ben convinti?). Se poi vogliamo mantenerci ancora piu’ in generale, possiamo non assumere che il prodotto ionico dell’acqua abbia necessariamente un valore di 10−14 : possiamo quindi esprimere la massima concentrazione di √ ioni idronio prodotti dall’acqua semplicemente come KW . In questo modo, ad esempio, potremmo calcolare le concentrazioni di equilibrio per un acido debole in un solvente protico non acquoso, ad esempio l’acido acetico, per il quale la costante di autoprotolisi vale 3.5 × 10−15 (chiaramente, in questo caso, dovremmo conoscere la costante di ionizzazione acida dell’acido debole in quel solvente). 150 La radice quadrata in computerese si indica con sqrt() (“sqrt” sta per “square root”). In definitiva, per la riga corrispondente all’incognita H possiamo scrivere: campo n.1 H campo n.2 0 campo n.3 C0+sqrt(KW) Resta la variabile OH, la concentrazione di equilibrio degli ioni ossidrile. Qui le cose sono piu’ semplici. Il limite inferiore e’ ovviamente 0. Il limite superiore e’ sicuramente 10−7 , o meglio, se non vogliamo assumere Kw = 10−14 , sqrt(KW) (gia’ scritto in computerese). Non dovrebbero esserci dubbi in proposito: il sistema che stiamo simulando e’ costituito da un acido in soluzione acquosa. In questo sistema, la concentrazione di ioni ossidrile non potra’ essere MAI maggiore di sqrt(KW), cioe’ mai maggiore della loro concentrazione di equilibrio in acqua pura. Quindi, per OH scriveremo: campo n.1 OH campo n.2 0 campo n.3 sqrt(KW) 257. Bene: ora digitate tutto quanto nelle righe dell’area “Variables”: alla fine la finestra sara’ come mostrato nella figura B.4. I parametri 258. Ci siamo quasi. Restano da specificare i valori dei parametri. Vogliamo lanciare icee in modalita’ “single shot”, quindi dobbiamo specificare un singolo valore per ciascun parametro. Ad esempio, facciamo il calcolo per: ◦ CAH KA KW = 0.1 = 1 × 10−5 = 1 × 10−14 In computerese si scrive cosi’: C0 KA KW 0.1 1.0e-5 1.0e-14 259. Notate come si scrivono i numeri in formato esponenziale in computerese: mantissa, seguita dalla lettera “e”, seguita dall’esponente con un eventuale segno. Potete digitare quanto sopra nel primo e secondo campo delle prime 3 righe dell’area “Parameters” (il terzo e quarto campo si usano per lanciare icee in modalita’ “parameter scan”, come vedremo fra un po’). Dovreste aver ottenuto quanto mostrato nella figura B.5. Regolazione fine dell’algoritmo 260. C’e’ ancora l’ultima area, sotto l’area “Parameters”. Come ho detto, in quest’area e’ possibile modificare alcune “regolazioni” dell’algoritmo di NewtonRaphson usato da icee. 151 Figura B.4: La finestra di icee-gui dopo aver riempito l’area “Variables” 152 Figura B.5: La finestra di icee-gui dopo aver riempito l’area “Parameters” 153 icee propone dei valori default (cioe’ predefiniti) per queste regolazioni. Questi valori predefiniti vanno bene per casi “normali”, ma potreste avere la necessita’ di cambiarli se vi avventurate su terreni “pericolosi”. n shots Come detto al punto 251, questo e’ il numero massimo di sorteggi che viene effettuato da icee per ottenere punti di partenza da cui procedere. 100 e’ un numero piu’ che sufficiente: se icee non riesce a trovare la soluzione del sistema dopo 100 sorteggi, potete star certi che avete sbagliato qualcosa nell’input n trial Anche questo parametro e’ stato introdotto al punto 251: questo e’ il numero massimo di iterazioni che viene compiuto per un dato punto di partenza. Se non si converge dopo n_trial iterazioni, si effettua un altro sorteggio e si riparte. Anche qui, 1000 e’ un limite molto largo: se le cose non vanno dopo 1000 iterazioni c’e’ qualcosa che non va. tolx/tolf Il metodo di Newton-Raphson e’ un metodo iterativo: il punto di partenza (il cosiddetto “guess” iniziale) viene migliorato ciclicamente. Questo procedimento puo’ andare avanti all’infinito: come si decide che siamo arrivati alla soluzione? Ci sono due criteri da considerare: 1 ad ogni iterazione vengono calcolati i primi membri delle equazioni. Se i valori delle variabili sono quelli corretti, questi primi membri dovrebbero essere rigorosamente nulli. Ricordate che le equazioni sono state date nella forma: (espressione al primo membro) = 0 Nel calcolo numerico, 0 non vuol dire necessariamente 0, ma puo’ voler dire “un numero molto piccolo”. Allora, un primo criterio di convergenza e’ il seguente: “dopo ogni iterazione faccio la somma di tutti i primi membri delle equazioni con i valori correnti delle incognite (e i valori dati dei parametri, naturalmente) e, se questa somma e’ piu’ piccola di una soglia prefissata, mi dichiaro contento del risultato raggiunto e mi fermo” Il parametro tolf e’ appunto la soglia prefissata con la quale si confronta la somma dei primi membri. Se avete capito la filosofia del criterio, dovrebbe esservi chiaro che un valore piu’ piccolo di tolf forza una soluzione piu’ accurata. Attenti, pero’, che questo significa anche un tempo di esecuzione piu’ lungo, perche servono piu’ iterazioni per spingere l’accuratezza. 154 D’altro canto, se si fissa tolf ad un valore troppo grande, si rischia di ottenere risultati senza senso. Considerate questa equazione del sistema che stiamo studiando: KW-H*OH KW e’ 1 × 10−14 e quindi dei valori accurati di [H + ] e [OH − ] dovranno essere tali che la differenza su scritta sia almeno minore (in valore assoluto) di 1 × 10−14 . Se fissiamo tolf=1e-5 il test di convergenza sarebbe superato anche con valori completamente senza senso per le due incognite. In generale, tolf dovrebbe essere abbastanza piu’ piccolo della piu’ piccola costante di equilibrio che compare nel sistema. Ad ogni modo questo e’ un parametro che va regolato caso per caso, molto spesso per tentativi. 2 un secondo criterio di convergenza e’ basato sulla seguente considerazione. Se siamo arrivati alla soluzione del sistema e continuiamo ad iterare, i valori delle incognite da un’iterazione alla successiva rimangono identici. Allora il secondo criterio di convergenza e’: “se la somma delle variazioni subite dalle incognite passando da un’iterazione alla successiva e’ minore di una soglia prefissata, mi dichiaro contento del risultato raggiunto e mi fermo” Questa seconda soglia di convergenza e’ il parametro tolx. Anche qui si deve trovare un compromesso: un valore troppo piccolo spinge l’accuratezza, ma allunga il tempo di calolo; un valore troppo “lasco” rischia di produrre risultati senza senso. icee assume di aver fatto un buon lavoro quando almeno uno (e’ indifferente quale) dei due criteri di convergenza viene soddisfatto. go! 261. Siamo pronti per lanciare il calcolo! Prima pero’, salviamo il lavoro fatto finora: in seguito, se ci servira’, potremo ricaricarlo per usarlo come punto di partenza per altri calcoli. Clickate sul bottone “save” e digitate il nome di un file in cui salvare il vostro input. Attenti: in Unix e’ meglio non mettere spazi nei nomi dei files. Se volete separare le parole, usate l’underscore. Inoltre, per una semplice questione di ordine, usate l’estensione icee, che vi ricorda subito cosa contiene il file. Ad esempio: “weak_acid.icee” potrebbe essere una buona scelta del nome. 262. Ed ora: rullo di tamburi. Clickate “go!”. Sembra che non sia successo nulla, ma se guardate a fianco dell’area “Equations” vedrete che e’ comparso il bottone “view icee output”. Clickate il bottone: compare una finestra che contiene il vostro risultato (potete allargare la finestra trascinandone il bordo con il mouse). 155 Figura B.6: Il risultato! 156 Il contenuto della finestra e’ mostrato nella figura B.6. 263. Quello che vedete e’ l’output generato da icee. C’e’ una riga che vi ricorda cosa significa l’acronimo icee. Poi icee vi ripresenta le equazioni che ha letto dall’input che avete preparato: “the system was:”. Vi ripropone i valori che avevate assegnato ai parametri: “the parameters were:”. E finalmente vi mostra il risultato del calcolo: “the refined values of the variables are:”. Per ultimo, icee vi mostra quanto vale ciascun primo membro delle equazioni con i valori trovati per le incognite: “the residuals are:”. Come avevo accennato, questi dovrebbero essere teoricamente nulli. Vedete che in realta’ non sono nulli, ma hanno comunque valori molto piccoli. Se i residui non sono molto piccoli, c’e’ qualcosa che non va. 264. Ma vediamo un po’ ’sti risultati e cerchiamo di valutarli chimicamente. Quanto acido debole si e’ dissociato? Assai poco, in realta’: A = 0.000995012495 ≈ 1.0 × 10−4 In fin dei conti, abbiamo simulato la ionizzazione di un tipico acido debole: il valore di KA era praticamente quello dell’acido acetico. Praticamente tutto l’acido all’equilibrio e’ indissociato: AH = 0.0990049875 Notate che le concentrazioni di equilibrio di A e H sono identiche fino alla decima cifra decimale: questo significa che l’approssimazione dell’equilibrio prevalente e’ ampiamente giustificata per queste condizioni. Gli ioni idronio provenienti dall’acqua sono numericamente uguali agli ioni ossidrile, la cui concentrazione di equilibrio e’ dell’ordine di 10−11 : OH = 1.00501249e-11 265. Proviamo a vedere come aumenta la frazione di acido dissociato se la costante di ionizzazione acida e’ piu’ grande. Clickate sul bottone “OK” della finestra che vi mostra il risultato. Ora modificate il valore di KA da 1.0e-5 a 1.0e-4 e rilanciate il calcolo con le nuove condizioni: clickate “go!”. 157 Clickate “view icee output”. Questa volta il risultato e’: icee: I Compute Equilibria, Exactly! the system was: AH*KA-A*H = KW-H*OH = C0-(AH+A) = H-(OH+A) = 0 0 0 0 the parameters were: C0 = KA = KW = 0.1 0.0001 1e-14 the refined values of the variables are: AH = 0.0968873271 A = 0.00311267292 H = 0.00311267292 OH = 3.21267292e-12 the residuals AH*KA-A*H KW-H*OH C0-(AH+A) H-(OH+A) are: = -1.67173202e-21 = 2.45748661e-31 = 1.30104261e-18 = -1.69194831e-19 Osservate che la concentrazione dell’anione e’ aumentata, come ci aspettavamo. Inoltre la concentrazione dell’anione e quella degli ioni idronio sono identiche (entro le cifre decimali mostrate): cio’ e’ perfettamente ragionevole. Abbiamo aumetato di un fattore 10 la costante di ionizzazione dell’acido e quindi l’approssimazione dell’equilibrio prevalente e’ ancora piu’ giustificata. Notate ancora che la concentrazione di equilibrio degli ioni ossidrile e’ diminuita rispetto a prima (ovvio! acido piu’ forte → ionizzazione dell’acido piu’ spostata verso destra → autoprotolisi dell’acqua piu’ repressa verso sinistra). 266. L’acido rimane comunque un acido debole, anche in queste condizioni. Vogliamo simulare un acido veramente forte? Clickate il bottone “OK” e modificate il valore di KA portandolo a 1.0e10. 158 Clickate “go!” e guardate il risultato clickando “view icee output”: icee: I Compute Equilibria, Exactly! the system was: AH*KA-A*H = KW-H*OH = C0-(AH+A) = H-(OH+A) = 0 0 0 0 the parameters were: C0 = KA = KW = 0.1 1e+10 1e-14 the refined values of the variables are: AH = 1e-12 A = 0.1 H = 0.1 OH = 1e-13 the residuals AH*KA-A*H KW-H*OH C0-(AH+A) H-(OH+A) are: = 8.32633387e-19 = -2.04148574e-31 = 5.63107503e-18 = 3.34069794e-18 Ora si che l’acido e’ forte: lo ritroviamo praticamente tutto dissociato, mentre la concentrazione di acido indissociato sopravvissuto e’ solo: AH = 1e-12 La concentrazione di ioni ossidrile all’equilibrio e’ ancora diminuita, naturalmente. Mettiamo alla prova le approssimazioni 267. Ora vediamo come si puo’ usare icee per mettere alla prova i metodi approssimati che abbiamo visto a lezione. Se riguardate gli appunti sull’approssimazione dell’equilibrio prevalente, vedrete che, per la ionizzazione di un acido debole in acqua, avevamo ricavato la seguente espressione approssimata per la concentrazione di ioni idronio all’equilibrio: H+ = p ◦ CAH KA Questo risultato e’ valido sotto le seguenti ipotesi: 159 KA ◦ CAH KA ≫ → KW non troppo piccola 0 Possiamo indagare numericamente il campo di validita’ di queste approssimazioni con icee. L’errore percentuale del valore approssimato rispetto al valore “teorico” e’ definito da: err = 100 p ◦ CAH KA − [H + ]teorica [H + ]teorica A questo punto potremmo lanciare vari calcoli con icee per diversi valori di KA ◦ e CAH e calcolare con la calcolatrice tascabile l’errore come mostrato sopra. 268. Tuttavia possiamo fare in modo che icee calcoli direttamente l’errore per noi. A questo scopo aggiungiamo una quinta incognita al problema dell’acido debole: l’errore che vogliamo far calcolare ad icee. Questa “finta” incognita e’ legata alla concentrazione di equilibrio degli ioni idronio dalla relazione su scritta, che quindi e’ la quinta equazione richiesta visto che ora le incognite sono diventate 5. Notate che tutto cio’ e’ perfettamente lecito, dal punto di vista matematico: aggiungiamo un’incognita e un’equazione indipendente; i conti tornano: ora risolviamo un sistema di 5 equazioni per 5 incognite. Per icee non c’e’ alcun problema. Mettiamo l’equazione da aggiungere nella forma richiesta: err × H + teorica = 100 p ◦ CAH KA − H + teorica p ◦ CAH KA − H + teorica err × H + teorica − 100 = 0 e traduciamo in computerese: ERR*H-100*(sqrt(C0*KA)-H) Digitate l’espressione su scritta nella quinta riga dell’area “Equations”. Ora aggiungiamo la quinta variabile, ERR, nella quinta riga dell’area “Variables”. Questa volta ERR puo’ assumere anche valori negativi: ricordate che e’ un errore percentuale. Diciamo che vogliamo esplorare casi in cui ci aspettiamo che l’errore percentuale sia compreso fra −100 e 100. Allora digitate −100 nel secondo campo (minimo valore) e 100 nel terzo campo (massimo valore). 160 269. Siamo pronti. Facciamo un calcolo con: C0 = KA = KW = 0.1 1e-05 1e-14 Il risultato e’: icee: I Compute Equilibria, Exactly! the system was: AH*KA-A*H KW-H*OH C0-(AH+A) H-(OH+A) ERR*H-100*(sqrt(C0*KA)-H) the parameters were: C0 = KA = KW = = = = = = 0 0 0 0 0 0.1 1e-05 1e-14 the refined values of the variables are: AH = 0.0990049875 A = 0.000995012495 H = 0.000995012505 OH = 1.00501249e-11 ERR = 0.501249482 the residuals are: AH*KA-A*H KW-H*OH C0-(AH+A) H-(OH+A) ERR*H-100*(sqrt(C0*KA)-H) = = = = = 9.41951923e-23 1.50222536e-31 1.73472348e-18 6.3527471e-20 -2.493665e-18 I valori di tutte le concentrazioni di equilibrio sono quelli che avevamo gia’ visto prima. L’errore percentuale del valore approssimato e’ 0.5 %: un valore ampiamente accettabile per tutti gli scopi pratici. 270. Proviamo a vedere come l’errore dipende dalla concentrazione iniziale di acido. Facciamo una serie di calcoli in cui la concentrazione iniziale diminuisce progressivamente. Ormai dovreste essere in grado di riprodurre la seguente tabella: 161 C0 0.1 0.01 0.001 0.0001 0.00001 ERR 0.50 1.59 5.12 17.05 61.77 Vedete che al diminuire della concentrazione iniziale di acido le cose peggiorano abbastanza rapidamente: uno dei requisiti per l’applicazione dell’approssimazione dell’equilibrio prevalente viene a mancare. Potete provare a variare la costante di ionizzazione acida tenendo fissa la concentrazione iniziale e vedere come cambia l’errore in questo caso. 271. Comunque, come potreste aver gia’ intuito, questo tipo di analisi si effettua molto piu’ efficientemente usando icee nella modalita’ “Parameter scan”. B.4.2 Ionizzazione di un acido debole in modalita’ “parameter scan” 272. Restiamo nell’esempio che stiamo considerando per vedere come si imposta il lancio di icee in modalita’ “parameter scan”. Se avete ancora la finestra del programma aperta dall’esempio precedente, cancellate la riga della quinta equazione e la corrispondente riga nelle variabili. In pratica, riportiamoci nelle seguenti condizioni: Equazioni: AH*KA-A*H KW-H*OH C0-(AH+A) H-(OH+A) Incognite: AH A H OH 0 0 0 0 C0 C0 C0+sqrt(KW) sqrt(KW) 273. Ora vogliamo ottenere con la modalita’ “parameter scan”cio’ che abbiamo fatto alla fine della sezione precedente: cioe’ vogliamo vedere come le 4 concentrazioni di equilibrio dipendono dalla concentrazione iniziale di acido. Quindi: fissiamo KW e KA ai valori gia’ visti, e richiediamo ad icee di variare C0 entro un certo range. 274. Allora: l’input per KA e KW resta identico a quello visto prima. Invece, nella riga corrispondente a C0, specificheremo nei 3 campi successivi al primo, rispettivamente, il valore minimo, il valore massimo e il numero di valori da calcolare entro tali limiti. L’inserimento di valori numerici in tutti e 4 i campi della riga relativa ad un parametro segnala al programma che si richiede la modalita’ “parameter scan”. 162 Ad esempio: se volessimo fare 250 calcoli (cioe’ volessimo ottenere 250 soluzioni del sistema) in corrispondenza a 250 valori di C0 equispaziati nell’intervallo 10−11 : 10−1 , dovremmo riempire la riga corrispondente a C0 nel modo seguente: C0 1.0e-11 1.0e-1 250 275. Il modo di riempire i campi nell’area parameters vi viene ricordato nell’intestazione posta sopra: Parameters: name [min_]value [ max_value n_of_values ] che riassume cio’ che va inserito nei vari campi: 1 il nome del paramtero (name) 2 il suo valore (value), oppure il suo minimo valore (min_value) se richiediamo di variarlo in un intervallo (min_ e’ posto fra parentesi quadrate proprio per indicare che il significato del contenuto del campo dipende dalla modalita’ in cui stiamo lanciando icee) 3 il suo massimo valore (max_value) 4 il numero di valori equispaziati che assumera’ il parametro nell’intervallo specificato (n_of_values) max_value e n_of_values sono tra parentesi quadrate perche’ la loro presenza non e’ obbligatoria: questi campi vengono riempiti per un parametro solo se si richiede la modalita’ “parameter scan”. Griglie logaritmiche 276. In definitiva, l’area relativa ai parametri andrebbe riempita cosi’: C0 KA KW 1.0e-11 1.0e-5 1.0e-14 1.0e-1 250 Ho detto “andrebbe”, perche’ c’e’ un aspetto da considerare. Se dividiamo l’intervallo 1.0 × 10−11 : 1.0 × 10−1 in 250 punti equispaziati non otteniamo quello che vogliamo. Noi vogliamo che C0 assuma valori equamente distribuiti in tutte le regioni “interessanti” dell’intervallo. Cioe’ noi vogliamo campionare in modo uniforme i valori di C0 fra 1.0 × 10−11 e 1.0 × 10−10 , fra 1.0 × 10−10 e 1.0 × 10−9 e cosi’ via. Cio’ non avviene con l’input mostrato sopra. Possiamo rendercene conto praticamente. La scelta di 10 punti equispaziati nell’intervallo 1.0 × 10−11 : 1.0 × 10−1 si fa con la formula: xi = i = 1.0 × 10−11 + i × 1.0 × 10−1 − 1.0 × 10−11 9 0, · · · , 9 Se calcolate i punti con la calcolatrice, troverete che essi sono: 163 1.000000000 × 10−11 1.111111112 × 10−02 2.222222223 × 10−02 3.333333334 × 10−02 4.444444445 × 10−02 5.555555556 × 10−02 6.666666667 × 10−02 7.777777778 × 10−02 8.888888889 × 10−02 1.000000000 × 10−01 Vedete che fra 10−11 e 1.1 × 10−2 non c’e’ nemmeno un punto: e questo non ci va bene! Per avere una griglia di punti distribuiti in modo migliore si deve costruire una cosiddetta griglia logaritmica: cioe’, invece che considerare un intervallo del parametro C0, consideriamo un intervallo del logaritmo (decimale) di C0. Se C0 varia fra 1.0 × 10−11 e 1.0 × 10−1 , il suo logaritmo variera’ fra −11 e −1. Allora, se applichiamo la stessa formula di suddivisione all’intervallo [−11 : −1] otteniamo: xi = −11 + i × i = 0, · · · , 9 log (C0) −11.000000000 −9.888888889 −8.777777778 −7.666666667 −6.555555556 −5.444444444 −4.333333333 −3.222222222 −2.111111111 −1.000000000 −1 − (−11) 9 C0 = 10log (C0) 1.000000000 × 10−11 1.291549665 × 10−10 1.668100537 × 10−09 2.154434690 × 10−08 2.782559402 × 10−07 3.593813664 × 10−06 4.641588834 × 10−05 5.994842503 × 10−04 7.742636827 × 10−03 1.000000000 × 10−01 Ora i valori di C0, dati da 10log (C0) , sono distribuiti molto meglio! (guardate la seconda colonna) 277. Come si puo’ usare una griglia logaritmica per C0 nel nostro input? Ci sono almeno due modi per raggiungere lo scopo. primo modo Questo e’ il modo piu’ scomodo, perche’ bisogna modificare un po’ quanto gia’ scritto. Invece di C0 consideriamo come parametro il suo logaritmo (lo chiameremo LOG_C0 per chiarezza). Questo implica che modifichiamo le equazioni e le variabili in modo tale che al posto di C0 compaia 10^LOG_C0 (in icee l’elevamento a potenza si scrive col simbolo ^ (in inglese: caret)). 164 Quindi l’input per icee diventa: Equazioni: AH*KA-A*H KW-H*OH 10^LOG_C0-(AH+A) H-(OH+A) Variabili: AH A H OH 0 0 0 0 10^LOG_C0 10^LOG_C0 10^LOG_C0+sqrt(KW) sqrt(KW) Parametri: LOG_C0 KA KW secondo modo -11 1.0e-5 1.0e-14 -1 250 Questo e’ il modo piu’ comodo. Lasciamo praticamente tutto come sta, ma introduciamo un parametro in piu’, che e’ appunto LOG_C0, che faremo variare come detto. L’unica ulteriore modifica da fare e’ cambiare il valore del parametro C0, che ora dovra’ essere: 10^LOG_C0, ovviamente. Quindi, le equazioni e le variabili restano immutate, mentre la sezione dei parametri diventa: C0 KA KW LOG_C0 10^LOG_C0 1.0e-5 1.0e-14 -11 -1 250 In questo modo icee calcola una griglia di 250 punti equispaziati nell’intervallo [−11 : −1] per LOG_C0 e per ogni valore di LOG_C0, il parametro C0 viene settato di conseguenza. 278. Quanto appena detto sulla griglia logaritmica e’ di carattere molto generale. Nello studio della dipendenza degli equilibri da un parametro, molto spesso si ha interesse a scansionare il parametro attraverso molti ordini di grandezza e in tal caso l’uso di griglie logaritmiche e’ praticamente obbligatorio, se si vogliono ottenere risultati significativi. 279. Modificate l’input per icee in modo da usare la griglia logaritmica (usate il secondo modo descritto sopra). In definitiva: 165 Equazioni: AH*KA-A*H KW-H*OH C0-(AH+A) H-(OH+A) Variabili: AH A H OH 0 0 0 0 C0 C0 C0+sqrt(KW) sqrt(KW) Parametri: C0 KA KW LOG_C0 10^LOG_C0 1.0e-5 1.0e-14 -11 -1 250 go! 280. Ora, finalmente!, clickate il bottone “go!”. Come nel caso della modalita’ “single shot” non succede nulla di eclatante: pero’, in alto a destra, sono comparsi tre bottoni: “view icee results”, “edit gnuplot command file” e “plot”. Tanto per provare, clickate il bottone “plot”: compare una finestra con un grafico. Di che grafico si tratta? Per capire come saltano fuori i grafici di icee dovete avere ancora un po’ di pazienza e seguire questo tutorial. 281. Chiudete la finestra che mostra il grafico portando il mouse al suo interno e digitando “q” (la lettera “q” minuscola). 282. Innanzitutto vediamo l’output di icee. Clickate sul bottone “view icee results”. Compare una finestra come quella mostrata nella figura B.7. Descriviamo l’output di icee per la modalita’ “parameter scan”. Come nel caso “single shot”, vengono riproposte le equazioni (“the system was:”). Poi vengono mostrati i parametri (“the parameters were:”). Notate che la riga corrispondente al parametro LOG_C0 vi dice che tale parametro e’ stato scansionato nell’intervallo [−11 : −1]: LOG_C0 -11 ==> -1 Notate ancora che C0 era definito in termini del parametro scansionato LOG_C0 come 10^LOG_C0: quindi anche C0 e’ variato di conseguenza. Tuttavia per esso viene riportato solo l’ultimo valore assunto (nel nostro caso 10(−1) = 0.1). Infine, vengono riportati i risultati veri e propri. Potete vedere una serie di colonne di numeri. La prima colonna (LOG_C0) e’ la serie di valori del parametro scansionato: vanno da −11 a −1 e ce ne sono 250, come avevamo richiesto. Le altre 4 colonne sono i valori delle 4 incognite (ogni colonna e’ identificata dal simbolo dell’incognita a cui si riferisce) corrispondenti ai valori del parametro scansionato. 166 Figura B.7: L’output di icee in modalita’ “parameter scan” 167 Ad esempio, la prima riga di numeri dice che, per LOG_C0 = −11, la soluzione del sistema e’: AH A H OH 9.90148122e-14 9.90098519e-12 1.00004951e-07 9.99950498e-08 e cosi’ via. I grafici per “icee” li fa “gnuplot” 283. Chiaramente, analizzare visivamente le colonne di numeri generate da icee non e’ proponibile: per questo motivo icee consente di rappresentare graficamente (“plottare”) i dati ottenuti. 284. icee non e’ capace di fare i grafici e quindi si affida ad un altro programma, che si chiama gnuplot. gnuplot e’ uno dei programmi piu’ usati per fare grafici in ambiente Unix. Se volete avere tutte le informazioni su gnuplot potete visitare il suo sito web: http://www.gnuplot.info Il manuale completo e’ qui: http://www.gnuplot.info/documentation.html Alcuni tutorials sono qui: http://www.gnuplot.info/help.html 285. gnuplot e’ un programma molto articolato che consente di fare cose estremamente complesse. Per quanto riguarda l’uso di gnuplot dall’interno di icee, ci limiteremo ad un minimo di informazioni. gnuplot esegue il suo compito basandosi su delle istruzioni che icee gli passa. Voi avete accesso a e potete modificare queste istruzioni attraverso il bottone “edit gnuplot command file”. Ora elencheremo e spiegheremo i principali comandi di gnuplot usati in icee. 286. Quando viene lanciato in modalita’ “parameter scan” icee prepara un file minimale di comandi per gnuplot. Clickate su “edit gnuplot command file”: compare una finestra di testo che contiene il file di comandi per gnuplot preparato da icee: reset set terminal x11 set output unset key plot ’/tmp/icee-4073.out’ using ($1):($2) with lines linetype 3 Cosa significano questi comandi? 168 Innazitutto, ogni riga contiene un singolo comando. Alcuni comandi sono costituiti da un’unica stringa (ad esempio reset), altri contengono piu’ parole (ad esempio set terminal x11). Spieghiamo il significato dei comandi contenuti nel file minimale, poi ne spiegheremo altri che potete aggiungere per far fare a gnuplot cio’ che vi serve. reset questo comando dice a gnuplot di riportare tutte le sue (moltissime) opzioni ai valori default (predefiniti). E’ buona norma iniziare un file di comandi con questo. set terminal . . . gnuplot supporta un gran numero di formati di output. Un particolare formato di output e’ selezionato col comando “set terminal <formato>”, dove “<formato>” e’ il formato di output richiesto. “set terminal x11” seleziona il formato di output sul monitor del computer nell’ambiente grafico di Unix (che si chiama “X Windows”). Normalmente, non avrete bisogno di modificare mai questo comando. set output e’ possibile dire a gnuplot di salvare in un file le istruzioni (determinate dal tipo di terminale selezionato con “set terminal ...”) che generano il grafico. A questo scopo si usa il comando “set output <nome_file>”. Scrivendo semplicemente “set output” (senza specificare <nome_file> ) si richiede a gnuplot di mandare le istruzioni per fare il grafico direttamente al terminale: si deve fare in questo modo se si vuole avere il grafico sul monitor del computer, come nel vostro caso. Anche questo comando non necessita praticamente mai di essere modificato. unset key questo e’ un esempio delle numrosissime opzioni di gnuplot che possono essere attivate con “set <opzione>” o disattivate con “unset <opzione>”. “unset key” disabilita la legenda del grafico (questa opzione e’ attiva per default). La legenda e’ un modo per descrivere i diversi plots presenti sullo stesso grafico. Per vedere di cosa si tratta, provate ad attivarla. Trasformate “unset key” in “set key” e clickate su “replot now”. Visto? Io trovo che nei grafici di icee la legenda affolla inutilmente il plot, e quindi questa opzione e’ disabilitata. 287. Il comando che inizia con plot e’ quello che dice a gnuplot cosa e come plottare e lo consideriamo in modo piu’ dettagliato. La sintassi di questo comando e’ molto ricca, ma per quello che ci riguarda possiamo considerarne solo una parte. Il comando plot serve per plottare o il contenuto di un file oppure una funzione definita in precedenza nel file di comandi per gnuplot (vedremo fra un po’ come si possono definire funzioni arbitrarie nel file di comandi per gnuplot). 169 icee scrive i suoi risultati (quelli che avete visto clickando sul bottone “view icee results”) in un file temporaneo. Il nome di questo file e’ quello che compare racchiuso fra apici dopo la keyword “plot”. Quindi: plot ’/tmp/icee-4073.out’ .... significa: “plotta il contenuto del file /tmp/icee-4073.out”. Ma il file in questione contiene diverse colonne di numeri: come fa gnuplot a sapere quali colonne deve considerare? Per questo c’e’ la keyword “using”. Il frammento: ... using ($1):($2) ... significa: “plotta la seconda colonna in funzione della prima”. Cioe’, “prendi la prima colonna del file ($1) come una serie di valori sull’asse x e la seconda colonna ($2) come la serie di valori corrispondenti sull’asse y e plotta i punti di coordinate (x, y)”. (Attenzione: le parentesi rotonde, il segno di dollaro e il doppio punto fanno parte della sintassi e sono obbligatori) Quindi il comando plot cosi’ come e’ scritto ora plotta la concentrazione dell’acido indissociato (AH) in funzione del logaritmo della sua concentrazione iniziale (LOG_C0). Questo lo potete vedere se clickate sul bottone “view icee results”, che vi mostra il contenuto del file creato da icee: vedete che la prima colonna e’ quella dei valori di LOG_C0 e la seconda contiene i corrispondenti valori di AH. 288. Per inciso: vedete che il file creato da icee contiene anche del testo. Come fa gnuplot a sapere che deve ignorare il testo? Se osservate meglio il contenuto del file, vedrete che il primo carattere di ogni riga di testo e’ il simbolo cancelletto “#” (in inglese “hash”). Lo hash e’ il carattere di commento per gnuplot: esso semplicemente ignora tale carattere e qualsiasi cosa lo segua fino alla fine della riga. Inoltre gnuplot ignora anche le righe vuote o quelle che contengono solo spazi. 289. L’ultima parte del comando plot: ... with lines linetype 3 dice a gnuplot come deve plottare le due colonne spcificate. “with lines” vuol dire che deve unire punti successivi con una linea; “linetype 3” vuol dire che deve usare la linea di tipo 3, che col terminal “x11” (quello settato col comando set terminal x11) e’ una linea di colore blu. 170 Quando si usa “with lines”, si puo’ anche specificare lo spessore della linea, come in: ... with lines linewidth 2 linetype 3 Un’alternativa alla linea continua che potreste voler utilizzare certe volte e’ quella di usare dei punti, che possono essere di forma e dimensioni diverse. Per plottare con dei punti invece che con una linea continua dovete cambiare il frammento su scritto con, ad esempio: ... with points pointsize 2 pointtype 6 290. Ora, per prendere un po’ di dimestichezza con gnuplot, proviamo ad ottenere il plot della concentrazione di ioni idrogeno in funzione della concentrazione iniziale di acido debole. Se guardate il file dei dati, vedrete che la colonna della concentrazione di equilibrio degli ioni idrogeno e’ la quarta. Allora modificate il comando plot cosi’: plot ’/tmp/icee-4073.out’ using ($1):($4) with lines linetype 3 e clickate “replot now”. Avete ottenuto il plot di H in funzione di LOG_C0. Vi sembra ragionevole? Direi di si’: quando LOG_C0 vale −1, cioe’ C0 = 0.1, H e’ circa 0.001. Poi, man mano che la concentrazione iniziale dell’acido debole diminuisce (LOG_C0 assume valori sempre piu’ negativi), la concentrazione di ioni idrogeno diventa sempre piu’ piccola. 291. Quale vi aspettate che sia il limite della concentrazione di ioni idrogeno quando la concentrazione iniziale di acido debole diventa molto piccola? Quando la concentrazione iniziale di acido debole tende a 0 la soluzione tende ad essere della semplice acqua pura e quindi la concentrazione di ioni idrogeno dovra’ √ tendere al valore dell’acqua pura, ovvero KW , che nel nostro caso (avendo posto KW = 1 × 10−14 ), sara’ 1 × 10−7 . Nel grafico cosi com’e’ e’ impossibile vedere se H tende effettivamente a 1 × 10−7, perche’ il range dell’asse y e’ troppo grande (vediamo solo che H tende a diventare piccolissima). Allora impariamo un’altra cosa riguardo a gnuplot e al terminale “x11”: tenendo clickato il bottone destro del mouse, zoomate la parte inferiore del grafico, cioe’ aprite una finestra che prenda una “fettina” molto stretta del grafico contenente la “coda” della curva H vs LOG_C0. Rilasciate il bottone del mouse e avete ottenuto un ingrandimento della parte di grafico che avevate selezionato. Ora si vede bene che la coda si appiattisce su un valore prossimo a zero, ma probabilmente non si capisce ancora quanto e’ questo valore. Allora ripetete la procedura di zoom fino a che sulla scala dell’asse y la suddivisione comprende il valore 1e-7: ora dovrebbe essere chiaro che il limite della curva H vs LOG_C0 e’ proprio 1 × 10−7 come ci aspettavamo. Riprisitnate il plot “a grandezza naturale” digitando “u” (la lettera minuscola “u”) col pointer (mouse) all’interno della finestra del grafico. 292. Ora vediamo un altro modo di mettere in evidenza il limite a cui tende la curva H vs LOG_C0 che ci fara’ imparare altri comandi utili di gnuplot. 171 Quando gnuplot presenta un grafico, seleziona automaticamente, basandosi sui punti da plottare, i valori massimo e minimo da considerare su ciascuno dei due assi cartesiani. Si puo’ pero’ richiedere dei ranges esplicitamente. I comandi sono: set xrange [<min>,<max>] set yrange [<min>,<max>] e il significato dovrebbe essere ovvio. Inoltre, gia’ che ci siamo, introduciamo altri due comandi, strettamente correlati ai precedenti, che servono per richiedere una particolare suddivisione degli assi (i cosiddetti “tics”): set xtics <start>,<incr>,<end> set ytics <start>,<incr>,<end> Il significato di questi comandi e’ molto semplice. Ad esempio: set xtics -12,1,0 traccia i tics sull’asse x a partire da −12 (<start>), con un incremento di 1 (<incr>) e arrivando fino a 0 (<end>). Allora, se non e’ gia’ presente sullo schermo, richiamate la finestra dei comandi per gnuplot clickando sul bottone “edit gnuplot command file” e modificate l’input per gnuplot introducendo le istruzioni per selezionare esplicitamente il rettangolo del piano cartesiano che ci interessa: reset set terminal x11 set output set set set set xrange [-12:-8] xtics -12,-1,-8 yrange [0:2e-7] ytics 0,1e-7,2e-7 unset key plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):($4) with lines linetype 3 Clickate su “replot now” e voila’. Come prima, adesso si vede chiaramente che: lim LOG C0→−∞ H = lim H = 1.0 × 10−7 C0→0 293. Per imparare una funzionalita’ molto utile di gnuplot, vediamo ora come potremmo plottare non la concentrazione di ioni idrogeno, ma il pH della soluzione in funzione di LOG_C0. Nella specifica delle colonne da plottare si possono eseguire anche delle trasformazioni matematiche sui valori numerici. Abbiamo visto che la quarta colonna del file dei dati prodotti da icee e’ quella della concentrazione di equilibrio degli ioni idronio. Il pH e’ definito come: 172 pH = − log H + Quindi, per avere un plot del pH vs LOG_C0, basterebbe fare il logaritmo decimale negativo dei valori contenuti nella quarta colonna di dati. Cio’ si puo’ ottenere molto semplicemente con gnuplot: basta modificare il comando “plot” nel modo seguente: plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) ... Il frammento “...(-log10($4))...” dice a gnuplot di prendere come ordinate del grafico i logaritmi negativi dei valori della quarta colonna (come per icee, anche per gnuplot il logaritmo decimale si scrive log10). In generale, nella specifica “...using ...” si possono richiedere trasformazioni arbitrarie da applicare alle colonne specificate. Ad esempio: ...using ($1-3):($4/2.5) ... ...using (sqrt($2)):(1.23*sin($5)) ... ...using ($1):($5**3) ... (sqrt() vuol dire radice quadrata, come per icee, mentre, diversamente da icee, l’elevamento a potenza per gnuplot e’ indicato con il doppio asterisco “**” come nel linguaggio Fortran; sin() vuol dire seno, ma per il nostro corso questa funzione non vi servira’ mai, credo) Allora, modificate l’input per gnuplot nel modo seguente: reset set terminal x11 set output # # # # set set set set xrange [-12:-8] xtics -12,-1,-8 yrange [0:2e-7] ytics 0,1e-7,2e-7 unset key plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3 Notate che abbiamo commentato le istruzioni sui ranges, che ora non sono appropriate: commentare invece che cancellare puo’ essere utile perche’ i commenti possono essere “scommentati” se servono nuovamente. 173 Figura B.8: L’andamento del pH in funzione della concentrazione iniziale di acido. Ora clickate su “replot now”: avete il grafico del pH vs LOG_C0. Probabilmente non si vede bene il tratto orizzontale della curva: scommentate le istruzioni sul range dell’asse y e modificatele opportunamente cosi’: reset set terminal x11 set output # set xrange [-12:-8] # set xtics -12,-1,-8 set yrange [2:8] set ytics 2,1,8 unset key plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3 Abbiamo scommentato solo le istruzioni relative all’asse y: per l’asse x lasciamo che gnuplot determini il range opportuno “di testa sua”. 174 Clickate su “replot now”: ora si vede molto meglio (figura B.8). In particolare, vedete che per valori molto bassi di LOG_C0 il pH tende a 7, come deve essere. 294. A lezione abbiamo visto che il grado di dissociazione di un acido debole aumenta al diminuire della sua concentrazione iniziale. Ora possiamo verificare questa affermazione “in pratica”. Il grado di dissociazione e’ definito cosi’: α = = [A− ] ◦ CAH [A− ] [AH] + [A− ] I valori di [A− ] sono contenuti nella terza colonna, mentre quelli per [AH] nella seconda. Allora, per ottenere un plot del grado di dissociazione in funzione di LOG_C0, bastera’ dire a gnuplot: ...using ($1):($3/($2+$3)) ... Notate: nella specifica ...using... non solo si possono operare trasformazioni arbitrarie su una colonna di dati, ma si possono combinare fra loro arbitrariamente anche piu’ colonne di dati. Ora: modificate il file di comandi per gnuplot cosi’: reset set terminal x11 set output # set xrange [-12:-8] # set xtics -12,-1,-8 set yrange [0:1.1] # set ytics 2,1,8 unset key plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):($3/($2+$3)) with lines linetype 3 (Ricordatevi di modificare anche il range sull’asse y) Clickate “replot now” e avete il plot del grado di dissociazione in funzione di LOG_C0 (figura B.9). Il grado di dissociazione e’ prossimo a zero quando la concentrazione iniziale dell’acido debole e’ 0.1 (LOG_C0= −1) mentre aumenta rapidamente e si appiattisce su un asintoto di valore 1 man mano che la concentrazione iniziale dell’acido debole diminuisce. Interessante, no? 295. Ora rifacciamo in modo piu’ efficiente l’analisi sulla validita’ del calcolo approssimato del pH per questa soluzione che avevamo fatto al punto 270. Questa e’ l’occasione per vedere come si possono definire e plottare delle funzioni arbitrarie con gnuplot. 175 Figura B.9: L’andamento del grado di dissociazione in funzione della concentrazione iniziale di acido. 176 L’uso dell’approssimazione dell’equilibrio prevalente e del fatto che KA → 0 permette di ottenere, per la concentrazione degli ioni idronio in questa soluzione, la seguente espressione: p ◦ CAH KA = = − log H+ Possiamo riscrivere questa espressione in termini di pH prendendo il logaritmo negativo di ambo i membri: pH p ◦ CAH KA Ora vogliamo plottare sullo stesso grafico in funzione di LOG_C0 sia il pH calcolato in modo “esatto” da icee che quello calcolato in modo approssimato con la formula su scritta. Cominciamo a vedere come scrivere la formula approssimata per gnuplot. gnuplot consente di definire variabili e funzioni arbitrarie nel suo file di input. La sintassi e’ estremamente intuitiva. Ad esempio, posso definire la variabile KA ed assegnarle il valore 1 × 10−5 scrivendo semplicemente: KA=1.0e-5 (Le regole per i nomi delle variabili in gnuplot sono le stesse viste per i nomi delle variabili in icee al punto 245) Oltre a semplici variabili, gnuplot consente di definire delle funzioni. Ad esempio, per definire la funzione: ◦ pH (CAH ) = − log basta semplicemente scrivere: p ◦ CAH KA pH(C0)=-log10(sqrt(C0*KA)) Notate che questo C0 non ha nulla a che fare con il C0 che avevamo definito per icee. In realta’, per fare il confronto con i valori “esatti”, dobbiamo scrivere la funzione che lega il pH approssimato non alla concentrazione iniziale di acido debole, ma al suo logaritmo. Quindi l’espressione piu’ appropriata e’: pH(LOG_C0)=-log10(sqrt((10**LOG_C0)*KA)) Anche qui, LOG_C0 non c’entra nulla con il LOG_C0 che avevamo definito in icee: semplicemente usiamo lo stesso nome perche’ il significato delle due variabili e’ esattamente lo stesso. 177 In definitiva, la formula approssimata da plottare viene definita in gnuplot con queste due righe: KA=1.0e-5 pH(LOG_C0)=-log10(sqrt((10**LOG_C0)*KA)) Dobbiamo aggiungere ancora qualcosa. Per maggiore chiarezza, la variabile indipendente della funzione pH l’abbiamo chiamata LOG_C0. Per la definizione delle funzioni gnuplot assume che la variabile indipendente si chiami “x”. Invece di x si puo’ usare un nome qualsiasi (come abbiamo fatto), pero’ bisogna dire a gnuplot che si usa quel nome invece di “x”. Questo si fa con il comando: set dummy LOG_C0 che informa gnuplot del fatto che la “dummy variable” (si potrebbe tradurre con “variabile fittizia”, in pratica e’ la variabile indipendente di una funzione) non e’ piu’ x ma LOG_C0. Resta un’ultima cosa: come si dice a gnuplot che deve plottare sia i dati prodotti da icee che la funzione appena definita? gnuplot puo’ produrre un numero qualsiasi di plots sullo stesso grafico. Per il primo si usa il comando “plot” che abbiamo gia’ visto, mentre per tutti i successivi si usa il comando “replot”, che e’ identico al comando “plot”, salvo che il suo nome dice a gnuplot che deve plottare su un grafico che contiene gia’ altri plots. Quindi, nel nostro caso, dovremo scrivere: plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3 replot pH(LOG_C0) with lines linetype 2 Notate che, per distingure meglio i due plots, plottiamo la funzione pH(LOG_C0) con una linea continua di tipo diverso da quella usata per i dati (linetype 2). Ora potete introdurre le modifiche nella finestra del file di comandi per gnuplot: reset set terminal x11 set output KA=1.e-5 pH(LOG_C0)=-log10(sqrt((10**LOG_C0)*KA)) set dummy LOG_C0 # set xrange [-12:-8] # set xtics -12,-1,-8 set yrange [2:8] # set ytics 2,1,8 unset key plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3 replot pH(LOG_C0) with lines linetype 2 Clickate “replot now” e dovreste ottenere il grafico mostrato nella figura B.4. 178 Come gia’ visto, il pH “esatto” cresce al diminuire della concentrazione iniziale dell’acido, ma poi si appiattisce su un asintoto a pH = 7 (il pH non puo’ diventare basico: in fin dei conti, stiamo aggiungendo un acido all’acqua!) ◦ La formula approssimata e’ una retta nel piano pH vs log CAH : pH pH p ◦ = − log CAH KA 1 1 ◦ − log KA = − log CAH 2 2 che e’ del tipo: − 1 X +Q 2 Y = Y = pH X ◦ = log CAH 1 = − log KA 2 ponendo: Q ◦ Potete vedere che l’approssimazione regge fino a circa CAH = 1 × 10−4 . Poi, −9 ◦ −4 nell’intervallo 1 × 10 < CAH < 1 × 10 , il pH “esatto” e’ maggiore di quello ◦ approssimato. Per CAH < 1 × 10−9 , il pH“esatto” e’ praticamente costante (= 7) mentre quello calcolato in modo approssimato continua a crescere linearmente diventando paradossalmente basico! 296. Terminiamo questo (lunghissimo) esempio presentando altre tre funzionalita’ di gnuplot che possono tornare utili. gnuplot consente di tracciare delle frecce (con o senza punta) e posizionare delle stringhe di testo sul grafico. Anche la sintassi di questi comandi e’ estremamente intuitiva. Per tracciare una freccia (“arrow”) si deve specificare il punto di partenza e quello di arrivo. Il comando: set arrow 1 from -3.5,2 to -3.5,8 nohead definisce la freccia numero 1 che parte dal punto di coordinate (−3.5, 2) e arriva al punto di coordinate (−3.5, 8). La specifica “nohead” richiede che non venga disegnata la punta della freccia (quindi, in questo caso, si ottiene un semplice segmento). Se si vuole la punta, basta omettere la keyword “nohead”. Frecce successive devono avere un numero di identificazione diverso. Cosi’, se volessimo definire una seconda freccia, scriveremmo: set arrow 2 from -11,5 to -2,5 e cosi’ via. 179 Siccome gnuplot ricorda tutte le frecce tracciate, e’ buona norma in un file di comandi azzerare la memoria delle frecce prima di definire quelle che si vogliono. Cio’ si realizza con il comando “unset arrow”. Quindi, il frammento relativo alle due frecce viste sopra sarebbe: unset arrow set arrow 1 from -3.5,2 to -3.5,8 nohead set arrow 2 from -11,5 to -2,5 Il posizionamento di stringhe di testo sul grafico e’ analogo. Il comando da usare e’ “set label ...”. Ad esempio: set label 1 "This is a label" at -6,7 left definisce la label numero 1, il cui testo e’ “This is a label” che verra’ posizionata sul grafico in corrispondenza al punto di coordinate (−6, 7), appoggiata a sinistra. Anche per le stringhe vale quanto detto per le frecce: conviene sempre azzerare la memoria di gnuplot prima di definire le nostre stringhe. Cio’ si fa con il comando “unset label”. Tanto per prendere pratica, proviamo ad abbellire il grafico che abbiamo prodotto indicando “chi e’ chi”. Quando si vogliono tracciare frecce o posizionare stringhe su un grafico di gnuplot, e’ utile attivare una griglia, che consente di capire meglio le coordinate da utilizzare. Cio’ si ottiene con il comando “set grid”. (Come vi sarete gia’ accorti, il terminale “x11” e alcuni altri mostra in basso a sinistra le coordinate del punto dove si trova il pointer: quindi, in questo caso, non serve tracciare alcuna griglia; ma facciamolo lo stesso, per prendere pratica) Allora, inserite il comando “set grid” nel file dei comandi di gnuplot: reset set terminal x11 set output KA=1.e-5 pH(LOG_C0)=-log10(sqrt((10**LOG_C0)*KA)) set dummy LOG_C0 # set xrange [-12:-8] # set xtics -12,-1,-8 set yrange [2:8] # set ytics 2,1,8 set grid unset key plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3 replot pH(LOG_C0) with lines linetype 2 e ritracciate il grafico. 180 Ora vogliamo posizionare la stringa “calcolo esatto” con una freccia che indichi il plot relativo al calcolo esatto e la stringa “calcolo approssimato” con una freccia che indichi il plot relativo al calcolo approssimato. Avendo la griglia siamo facilitati. Ad esempio, possiamo posizionare la prima stringa al punto di coordinate (−4, 7), appoggiandola a sinistra e la relativa freccia possiamo tracciarla dal punto (−4.1, 6.9) al punto (−5.8, 6.1). La seconda stringa possiamo appoggiarla a destra contro il punto di coordinate (−8, 5) tracciando la relativa freccia da (−7.9, 5.1) a (−7, 5.9). I corrispondenti comandi per gnuplot sono: unset label set label 1 "calcolo esatto" at -4,7 left set label 2 "calcolo approssimato" at -8,5 right unset arrow set arrow 1 from -4.1,6.9 to -5.8,6.1 set arrow 2 from -7.9,5.1 to -7,5.9 Inseriteli nella finestra dei comandi per gnuplot: reset set terminal x11 set output KA=1.e-5 pH(LOG_C0)=-log10(sqrt((10**LOG_C0)*KA)) set dummy LOG_C0 # set xrange [-12:-8] # set xtics -12,-1,-8 set yrange [2:8] # set ytics 2,1,8 unset label set label 1 "calcolo esatto" at -4,7 left set label 2 "calcolo approssimato" at -8,5 right unset arrow set arrow 1 from -4.1,6.9 to -5.8,6.1 set arrow 2 from -7.9,5.1 to -7,5.9 set grid unset key plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3 replot pH(LOG_C0) with lines linetype 2 e ritracciate il grafico. Se siete soddisfatti, commentate il comando “set grid”, che ora non serve piu’, e ritracciate il grafico. 181 297. Infine, vediamo come si puo’ dire a gnuplot di indicare le grandezze rappresentate sui due assi cartesiani. Nel nostro caso, stiamo riportando LOG_C0 sull’asse x e il pH sull’asse y. Le labels sugli assi si specificano con i seguenti due comandi: set xlabel "LOG_C0" set ylabel "pH" Finite di inserire questi due comandi. Il file completo di comandi per gnuplot relativo a questo esempio e’: reset set terminal x11 set output KA=1.e-5 pH(LOG_C0)=-log10(sqrt((10**LOG_C0)*KA)) set dummy LOG_C0 # set xrange [-12:-8] # set xtics -12,-1,-8 set yrange [2:8] # set ytics 2,1,8 unset label set label 1 "calcolo esatto" at -4,7 left set label 2 "calcolo approssimato" at -8,5 right unset arrow set arrow 1 from -4.1,6.9 to -5.8,6.1 set arrow 2 from -7.9,5.1 to -7,5.9 set xlabel "LOG_C0" set ylabel "pH" # set grid unset key plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3 replot pH(LOG_C0) with lines linetype 2 Il grafico dovrebbe essere come quello mostrato nella figura B.10. 182 Figura B.10: Il grafico con gli “abbellimenti”. 183