Appunti per il corso di di Chimica Analitica 1
con Laboratorio
Gabriele Balducci
Ultimo aggiornamento: 7 aprile 2010
Indice
1 IL TRATTAMENTO “RIGOROSO” DELL’EQUILIBRIO
1.1 La legge dell’azione di massa . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 Un caso semplicissimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Bilancio di massa basato sulla stechiometria . . . . . . . . . .
1.4 Bilancio di massa basato sulla quantita’ iniziale . . . . . . . .
1.5 Due o piu’ reazioni simultanee: il bilancio di carica . . . . . .
1.5.1 L’equilibrio per piu’ reazioni simultanee . . . . . . . .
1.5.2 Il bilancio di carica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.6 Conclusioni sul trattamento rigoroso dell’equilibrio . . . . . .
1.7 Reazioni disaccoppiate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.8 Bilancio di massa e carica danno la stessa equazione . . . . .
1.9 Reazioni (e corrispondenti equazioni) indipendenti . . . . . .
1.10 Piu’ di una equazione di bilancio di massa . . . . . . . . . . .
1.11 Condizioni iniziali equivalenti . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.12 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.12.1 Ionizzazione di una base debole . . . . . . . . . . . . .
1.12.2 Solubilizzazione del fluoruro di calcio: I . . . . . . . .
1.12.3 Solubilizzazione del fluoruro di calcio: II . . . . . . . .
1.12.4 Solubilizzazione del solfuro di zinco . . . . . . . . . . .
1.12.5 Ionizzazione di un acido diprotico . . . . . . . . . . . .
1.12.6 Ionizzazione di un acido triprotico . . . . . . . . . . .
1.12.7 Soluzione tampone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.12.8 Formazione di complessi . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.12.9 Due reazioni simultanee non ioniche . . . . . . . . . .
1.13 Il trattamento approssimato dei problemi di equilibrio . . . .
1.13.1 L’approssimazione dell’equilibrio prevalente . . . . . .
1.13.2 Il metodo della tabella . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.13.3 Ulteriori semplificazioni quando K → 0 o K → ∞ . .
1.14 Schema riassuntivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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3
4
5
6
9
11
11
13
16
17
19
20
23
24
28
28
30
30
32
34
35
37
37
39
42
43
45
54
63
2 POTENZIOMETRIA
2.1 Elettrodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Il potenziale elettrodico . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2.1 Il caso di due o piu’ coppie redox . . . . . . .
2.3 La legge di Nernst . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.4 Potenziali standard e costante di equilibrio . . . . .
2.4.1 Costanti di equilibrio per reazioni redox . . .
2.4.2 Costanti di equilibrio per reazioni non redox .
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77
77
79
86
89
92
93
96
1
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2.5
2.6
2.7
2.8
2.4.3 Il potenziale standard misura la tendenza alla riduzione
Misura dei potenziali elettrodici ed elettrodi di riferimento . . .
Il potenziale di giunto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Elettrodo a vetro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La potenziometria come tecnica analitica . . . . . . . . . . . .
2.8.1 Potenziometria diretta . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.8.2 Elettrodi combinati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.8.3 Titolazioni potenziometriche . . . . . . . . . . . . . . .
2.8.4 Analisi delle curve di titolazione . . . . . . . . . . . . .
A Il raggiungimento dell’equilibrio in un sistema elettrodico
B Il programma icee
B.1 L’interfaccia grafica al programma icee: icee-gui
B.2 Come si lancia icee-gui . . . . . . . . . . . . . . .
B.3 Come si usa icee-gui . . . . . . . . . . . . . . . .
B.3.1 Le due modalita’ principali di icee . . . . .
B.4 Tutorial . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
B.4.1 Ionizzazione di un acido debole in modalita’
B.4.2 Ionizzazione di un acido debole in modalita’
2
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98
100
107
112
116
116
119
121
125
133
140
. . . . . . . . 140
. . . . . . . . 141
. . . . . . . . 141
. . . . . . . . 142
. . . . . . . . 144
“single shot” 144
“parameter scan”162
Capitolo 1
IL TRATTAMENTO
“RIGOROSO”
DELL’EQUILIBRIO
1. Il trattamento rigoroso dell’equilibrio chimico consiste nell’ottenere i valori
numerici di tutte le concentrazioni di equilibrio di un sistema chimico arbitrario.
Come vedremo, e’ sempre possibile scrivere un sistema di equazioni la cui soluzione fornisce i valori delle concentrazioni cercate; tuttavia, solo nei casi piu’
semplici e’ possibile risolvere il sistema di equazioni per via analitica: il piu’
delle volte, invece, la soluzione del problema puo’ essere ottenuta solo per via
numerica.
2. Per questo motivo, e’ importante imparare ad usare alcune approssimazioni
che, se da un lato hanno lo svantaggio di fornire risultati non rigorosi (ma quasi
sempre sufficientemente accurati per gli scopi piu’ comuni), dall’altro hanno
pero’ anche il grande vantaggio di consentire una soluzione analitica e rapida
dei problemi di equilibrio.
3. Normalmente, i metodi approssimati vengono presentati prima del metodo
generale “esatto”. Tuttavia, ritengo che cio’ generi negli studenti una sensazione di frammentarieta’ e poca sistematicita’ (perche’ l’applicazione dei metodi
approssimati richiede un’analisi caso per caso del sistema chimico da affrontare).
Per questo motivo, presenteremo dapprima il metodo generale rigoroso, per
renderci conto che e’ piuttosto semplice impostare un sistema di equazioni per
la soluzione di qualsiasi problema di equilibrio chimico.
Successivamente, dopo aver constatato che il sistema di equazioni e’ facile
da scrivere, ma difficile da risolvere, presenteremo le principali approssimazioni
che si possono fare.
4. Prima di iniziare e’ bene chiarire un punto. Quando parliamo di trattamento
“rigoroso” non dovete pensare che non si facciano delle approssimazioni. Uso il
termine “rigoroso” per distinguere cio’ che vedremo fra breve da un trattamento
“approssimato”(ma sarebbe meglio dire “piu’ approssimato”) che descriveremo
piu’ avanti. In realta’, tutto cio’ che verra’ presentato in queste sezioni poggia
su almeno una approssimazione di fondo: e cioe’ quella di assumere che attivita’
e concentrazione formale coincidano. Questo e’ abbastanza vero per soluzioni
diluite, quali quelle che quasi sempre considereremo in questo corso. Tuttavia,
3
tenete ben presente che un trattamento veramente rigoroso dell’equilibrio chimico non puo’ prescindere dal considerare l’attivita’, e non la concentrazione
formale delle varie specie chimiche coinvolte. Cio’ rende le cose notevolmente
piu’ complesse di quanto possano sembrare in questa sede.
Cio’ premesso, e quindi chiarito bene il limite di tutto quanto seguira’, spero che il metodo che verra’ introdotto vi lasci una sensazione di certezza e
concretezza riguardo l’analisi di un sistema chimico di equilibrio.
1.1
La legge dell’azione di massa
5. Quando una reazione chimica in soluzione raggiunge l’equilibrio, le concentrazioni dei partecipanti soddisfano un vincolo matematico noto come “Legge
dell’azione di massa”.
Per la generica reazione rappresentata da:
aA + bB
= cC + dD
(1.1)
dove A, B, C e D sono specie chimiche generiche e a, b, c e d sono i rispettivi
coefficienti stechiometrici, la legge dell’azione di massa assume la forma:
K
=
c
d
a
b
[C] [D]
[A] [B]
(1.2)
K si chiama costante di equilibrio e non dipende dalle concentrazioni (ma
dipende dalla temperatura).
6. I simboli fra parentesi quadrate stanno a indicare le concentrazioni molari
delle varie specie (ciascuna concentrazione e’ in realta’ divisa per una concentrazione di riferimento, presa uguale a 1 mol/L e quindi i vari termini sono
adimensionali).
Se un partecipante alla reazione e’ in fase gassosa, la concentrazione viene
sostituita dalla sua pressione parziale in bar (anch’essa divisa per una pressione di riferimento, presa uguale a 1.0 bar, in modo tale che il termine sia
adimensionale).
Liquidi e solidi puri, e il solvente nelle soluzioni diluite, non compaiono nella
legge dell’azione di massa.
7. Vediamo alcuni esempi dell’applicazione della legge dell’azione di massa.
Per la reazione redox:
BrO3− + 2Cr3+ + 4H2 O
=
Br− + Cr2 O72− + 8H +
che avviene in soluzione acquosa, la legge dell’azione di massa ha la forma:
K
=
8
[Br− ] Cr2 O72− [H + ]
2
BrO3− [Cr3+ ]
Notate che la concentrazione del solvente (l’acqua) e’ stata omessa.
4
(1.3)
Per la dissoluzione del cloruro d’argento in acqua:
AgCl(s)
Ag + + Cl−
=
la legge dell’azione di massa si scrive cosi’:
K
+ −
Ag
Cl
=
(1.4)
In questo caso la concentrazione del cloruro d’argento solido non compare.
Per la reazione redox in soluzione acquosa:
Hg(l) + 2N O3− + 4H +
Hg 2+ + 2N O2,(g) + 2H2 O
=
si avra’:
K
=
Hg 2+ PN2 O2
2
4
N O3− [H + ]
(1.5)
La concentrazione del mercurio metallico (un liquido puro) e’ stata omessa; per
il biossido di azoto (un gas) e’ stata usata la pressione parziale invece della
concentrazione molare; infine, la concentrazione dell’acqua (il solvente) e’ stata
omessa.
1.2
Un caso semplicissimo
8. Consideriamo il caso piu’ semplice possibile di calcolo di equilibrio: la decomposizione del carbonato di calcio.
CaCO3(s)
=
CaO(s) + CO2(g)
La legge dell’azione di massa per questa reazione e’ particolarmente semplice:
K
=
PCO2
(1.6)
perche’ il carbonato di calcio e l’ossido di calcio sono dei solidi puri.
In questo problema di equilibrio c’e’ una sola incognita da ricavare: la
pressione parziale del biossido di carbonio.
Nei casi “canonici”, le costanti di equilibrio sono note (si possono trovare
tabulate) e quindi la soluzione di questo problema e’ banale: la pressione di
equilibrio del biossido di carbonio (l’unica incognita da trovare) e’ uguale a K,
come dice l’espressione su scritta.
In questo caso il problema di equilibrio comporta una sola incognita: la
legge dell’azione di massa e’ un’equazione che coinvolge l’incognita da trovare.
Risolvendo l’equazione rispetto all’incognita si risolve il problema di equilibrio.
5
1.3
Due concentrazioni di equilibrio da trovare:
il bilancio di massa basato sulla stechiometria
9. Passiamo a un caso leggermente piu’ complicato, che servira’ per introdurre
un ingrediente fondamentale dei calcoli di equilibrio noto come “bilancio di
massa”.
Consideriamo l’autoionizzazione dell’acqua:
H2 O
H + + OH −
=
La legge dell’azione di massa per la reazione e’:
KW
=
H+
OH −
(1.7)
dove KW = 1.0 × 10−14 e’ il prodotto ionico dell’acqua.
In questo (semplicissimo) caso le incognite da trovare (cioe’ le concentrazioni
di equilibrio) sono due: [H + ] e [OH − ]. Fino a questo punto il problema e’ apparentemente insolubile: infatti con una equazione (un vincolo) si puo’ ricavare
un’unica incognita e non due.
10. In generale, da un punto di vista matematico, se la soluzione di un problema
richiede di trovare n incognite, si devono poter scrivere n relazioni indipendenti
che leghino fra loro le n incognite. Si ottiene un sistema di n equazioni in n
incognite che puo’ cosi’ essere risolto (per via analitica o, piu’ spesso, per via
numerica).
11. Nel caso in esame, la legge dell’azione di massa rappresenta una relazione
fra le due incognite da trovare: ce ne serve quindi una seconda.
La seconda relazione fra [H + ] e [OH − ] si ottiene molto facilmente sfruttando cio’ che viene comunemente chiamato “bilancio di massa”. In questo caso,
il bilancio di massa segue direttamente dalla stechiometria della reazione. In
pratica: siccome H + e OH − vengono prodotti in rapporto 1 : 1 e solo dalla
ionizzazione dell’acqua (cioe’, non ci sono altre fonti di ioni H + e/o OH − ), ne
segue che il numero di moli di queste due sostanze devono stare in tale rapporto
in qualsiasi momento della reazione, dall’istante iniziale fino al raggiungimento dell’equilibrio. In particolare, cio’ deve valere anche all’equilibrio. Dovra’
pertanto essere valida la seguente ulteriore relazione fra le due incognite:
+
H
=
OH −
(1.8)
Abbiamo cosi’ ottenuto un sistema di 2 equazioni in 2 incognite:
KW
+
H
=
=
H+
OH − (legge dell’azione di massa)
−
OH
(bilancio di massa)
12. In questo caso semplicissimo, il sistema puo’ essere risolto facilmente per
via analitica. Sostituendo la seconda equazione nella prima:
6
2
H+
p
KW
KW =
+
=
H
1.0 × 10−7
+
H
=
−
=
OH
1.0 × 10−7
=
che e’ il ben noto risultato per la concentrazione di ioni idrogeno e ossidrile in
acqua pura.
13. La cosa importante da comprendere in questo esempio e’ l’utilizzo del bilancio di massa. Abbiamo visto che la stechiometria della reazione consente di
stabilire una relazione matematica ben precisa fra le concentrazioni di equilibrio delle due specie chimiche da determinare. Questa relazione, insieme all’espressione della legge dell’azione di massa, consente di risolvere il problema
(altrimenti insolubile).
14. Notate che il calcolo delle concentrazioni di ioni idrogeno e ioni ossidrile in
acqua pura e’ uno dei primi esercizi che avete imparato a svolgere e l’uso della
relazione (valida in acqua pura): [H + ] = [OH − ] non vi e’ certamente nuovo.
Quello che vogliamo fare in questa sede e’ di inserire questa osservazione nel
contesto piu’ ampio e formale del concetto di bilancio di massa.
Un altro esempio
15. Per chiarire ulteriormente l’applicazione del bilancio di massa consideriamo
un secondo esempio. La riduzione dell’ossido di zinco con carbone e’ un processo
industriale rappresentato dalla seguente equazione:
4ZnO(s) + 3C(s)
=
4Zn(s) + 2CO(g) + CO2(g)
Considerato che l’ossido di zinco, il carbone e lo zinco metallico sono dei
solidi puri, le incognite da trovare in questo problema di equilibrio sono due: le
pressioni parziali di monossido e biossido di carbonio all’equilibrio.
La legge dell’azione di massa per la reazione e’:
K
=
2
PCO
PCO2
(1.9)
16. Assumiamo, per semplicita’, di partire dai soli reagenti, cioe’ al momento
in cui la reazione inizia ad avvenire, l’ambiente di reazione contiene solo ossido
di zinco e carbone. Inoltre, sempre per semplicita’, assumiamo che i due reagenti siano presenti in eccesso rispetto alla quantita’ che se ne consuma fino al
raggiungimento dell’equilibrio.
17. Come nel caso precedente, fino a questo punto abbiamo una relazione (la
legge dell’azione di massa) e due incognite (le pressioni parziali di equilibrio):
ci serve dunque una seconda relazione (indipendente dalla prima) fra le due
incognite.
7
Questa seconda relazione si ottiene come visto nel caso precedente applicando il bilancio di massa: siccome monossido di carbonio e biossido di carbonio
non sono inizialmente presenti e vengono prodotti in rapporto 2 : 1 da un unico
processo, ne segue che i numeri di moli di queste due sostanze devono stare in
tale rapporto in qualsiasi momento della reazione, dall’istante iniziale fino al
raggiungimento dell’equilibrio. In particolare, cio’ deve valere anche all’equilibrio. Quindi, detto nCO il numero di moli di monossido di carbonio e nCO2 il
numero di moli di biossido di carbonio all’equilibrio, dovra’ essere:
nCO
= 2nCO2
(1.10)
Siccome il volume e la temperatura sono gli stessi per entrambi i composti,
moltiplicando ambo i membri per RT /V , dalla legge di Dalton si ha:
nCO
nCO RT
V
PCO
=
2nCO2
2nCO2 RT
2
V
2PCO2
=
=
(1.11)
che e’ la seconda relazione (indipendente dalla legge dell’azione di massa) cercata.
Abbiamo cosi’ ottenuto anche in questo caso un sistema di 2 equazioni in 2
incognite:
2
= PCO
PCO2
= 2PCO2
K
PCO
18. Anche questa volta il sistema puo’ essere risolto facilmente per via analitica.
Sostituendo la seconda equazione nella prima:
K
2
=
(2PCO2 ) PCO2
=
2
P
4PCO
2 CO2
=
3
4PCO
2
K
4
31
K
4
3
PCO
2
=
PCO2
=
Infine, sostituendo l’espressione ora trovata per PCO2 nella seconda equazione del sistema:
PCO
= 2PCO2
13
K
= 2
4
8
(Ricordate che K e’ nota).
19. Come gia’ detto, la cosa importante da capire non e’ la soluzione analitica
del sistema (vedrete che nella maggior parte dei casi i sistemi a cui si giunge nei
problemi di equilibrio NON sono risolvibili per via analitica), ma il fatto che,
sfruttando il bilancio di massa, si ottiene una relazione che, unitamente a quella
della legge dell’azione di massa, consente di scrivere un sistema di equazioni che
risolve in modo rigoroso il problema di equilibrio.
1.4
Due concentrazioni di equilibrio da trovare:
il bilancio di massa basato sulla quantita’
iniziale
20. Nell’esempio precedente abbiamo visto l’applicazione del bilancio di massa
derivante dalla stechiometria di una reazione. In questa sezione vedremo con
un esempio come un’equazione basata sempre sul bilancio di massa puo’ essere
derivata anche quando si conosce la quantita’ iniziale di un partecipante ad una
reazione.
21. Consideriamo il seguente problema. In un recipiente chiuso (a temperatura
costante) si pone del biossido di azoto, N O2 , un gas, ad una pressione pari
a PN◦ O2 . Il biossido di azoto dimerizza a tetraossido di diazoto, N2 O4 , anche
questo gassoso, con una reazione rappresentata da:
2N O2(g)
= N2 O4(g)
Supponendo nota la costante di equilibrio K per la reazione, calcolare le
pressioni parziali PN O2 e PN2 O4 dei due ossidi di azoto all’equilibrio.
22. Come nel caso della sezione precedente, le incognite da trovare sono due.
La legge dell’azione di massa fornisce una prima relazione:
K
PN2 O4
PN2 O2
=
(1.12)
Ci serve una seconda relazione. Anche in questo caso utilizziamo il bilancio
di massa.
23. Indichiamo con n◦N O2 il numero di moli iniziale di biossido di azoto, con
nN O2 e nN2 O4 il numero di moli di biossido di azoto e tetraossido di diazoto,
rispettivamente, all’equilibrio.
Il punto centrale da realizzare e’ che la massa si conserva, cioe’ non puo’ ne’
sparire, ne scaturire dal nulla.
Una parte del monossido di azoto presente inizialmente si trasforma in
tetraossido di diazoto. Quindi si puo’ ben dire quanto segue:
numero di moli iniziale
di N O2
=
numero di moli di N O2
numero di moli di N O2
+
rimaste all’equilibrio
che hanno reagito
Dalla stechiometria della reazione si vede banalmente che il numero di moli
di diossido di azoto che hanno reagito e’ pari al doppio del numero di moli di
tetraossido di diazoto che si sono formate.
9
Quindi:
numero di moli iniziale
di N O2
numero di moli di N O2
numero di moli di N2 O4
+2×
rimaste all’equilibrio
all’equilibrio
=
ovvero:
n◦N O2
=
nN O2 + 2nN2 O4
24. Siccome il volume del recipiente e la temperatura a cui avviene la reazione
sono i medesimi per entrambi i partecipanti, moltiplicando per RT /V entrambi
i membri e ricordando la legge di Dalton si ha:
n◦N O2
RT
V
PN◦ O2
RT
RT
+ 2nN2 O4
V
V
= PN O2 + 2PN2 O4
= nN O2
E questa e’ la seconda relazione che lega le due incognite da trovare.
25. Siamo cosi’ in grado di scrivere un sistema di due equazioni in due incognite:
K
PN◦ O2
=
PN2 O4
PN2 O2
(legge dell’azione di massa)
= PN O2 + 2PN2 O4 (bilancio di massa)
26. Anche in questo caso il sistema puo’ essere risolto per via analitica. Ricavando PN2 O4 dalla prima equazione e sostituendo nella seconda si ha:
= KPN2 O2
PN2 O4
= PN O2 + 2KPN2 O2
PN◦ O2
2KPN2 O2 + PN O2 − PN◦ O2
= 0
=
PN O2
−1 +
p
1 + 8KPN◦ O2
4K
(Nella soluzione dell’equazione quadratica si prende solo la soluzione col segno
positivo per ovvi motivi: quali?)
Infine, sostituendo a ritroso:
PN2 O4
= KPN2 O2
= K
−1 +
10
!2
p
1 + 8KPN◦ O2
4K
27. Al di la’ della soluzione analitica di questo problema, la cosa importante
da realizzare e’ che anche in questo caso il principio di conservazione della massa (il bilancio di massa) consente di scrivere una relazione indipendente fra le
incognite da trovare che, assieme all’espressione della legge dell’azione di massa, costituisce un sistema di equazioni tramite il quale il problema puo’ essere
risolto in modo rigoroso.
28. Riassumiamo quanto visto per il bilancio di massa:
• Il bilancio di massa e’ una diretta conseguenza del principio di conservazione della massa: in pratica, in una reazione chimica, gli atomi non
possono ne’ sparire ne’ generarsi dal nulla.
• Se non e’ nota alcuna quantita’ iniziale, una (o piu’) relazioni di bilancio
di massa fra le concentrazioni (o pressioni parziali) di equilibrio possono
essere scritte basandosi sulla stechiometria della(e) reazione(i)
• Se si conosce la quantita’ iniziale di uno o piu’ reagenti, si possono scrivere
altrettanti bilanci di massa, ciascuno dei quali esprime la conservazione
della quantita’ di quel dato reagente.
1.5
Due o piu’ reazioni simultanee: il bilancio
di carica
29. Nei casi precedenti si aveva a che fare sempre con una sola reazione chimica.
Questo, tuttavia, rappresenta piu’ un’eccezione che una regola. Soprattutto per
le soluzioni acquose che tratteremo nel corso di chimica analitica, e’ normale che
un sistema sia costituito da 2 o piu’ reazioni chimiche che, contemporaneamente, procedono verso l’equilibrio. La cosa e’ poi complicata dal fatto che,
quasi sempre, una o piu’ specie chimiche partecipano a piu’ di una reazione.
30. In questa sezione affronteremo il caso di 2 reazioni simultanee e introdurremo il secondo ingrediente fondamentale per il trattamento rigoroso dei problemi
di equilibrio: il bilancio di carica.
1.5.1
L’equilibrio per piu’ reazioni simultanee
31. Prima di procedere, fissiamo un concetto importante: quando un sistema
chimico (ad esempio una soluzione contenente diverse specie chimiche capaci di
reagire fra loro) raggiunge l’equilibrio, tutte le possibili reazioni chimiche al suo
interno si trovano all’equilibrio e per ciascuna di esse vale la legge dell’azione
di massa. Se una specie chimica e’ implicata in piu’ di un equilibrio, la sua
concentrazione di equilibrio in soluzione (che e’, ovviamente, unica) e’ tale da
soddisfare contemporaneamente tutte le espressioni della legge dell’azione di
massa che la riguardano.
32. Per chiarire ulteriormente questo semplice, ma importante concetto, consideriamo un sistema in cui avvengono due reazioni rappresentate dalle seguenti
equazioni:
A + 2B
2X + 3B
K1
=
K2
=
11
C + 3D
5Y + Z
Come vedete, la specie B partecipa ad entrambe le reazioni. Quando il
sistema raggiunge l’equilibrio, entrambe le reazioni sono all’equilibrio e le due
espressioni della legge dell’azione di massa valgono contemporaneamente:
K1
=
K2
=
[C] [D]3
2
[A] [B]
5
[Y ] [Z]
2
[X] [B]
3
La concentrazione di equilibrio di B, cioe’ [B], soddisfa contemporaneamente entrambe le equazioni (compare elevata al quadrato nella prima ed
elevata alla terza potenza nella seconda).
33. Un esempio numerico puo’ contribuire ulteriormente a fare chiarezza.
Per le due reazioni su scritte, supponiamo che sia:
K1
K2
= 1.5
= 2.5
Se si parte da una soluzione contenente le seguenti concentrazioni iniziali:
◦
CA
◦
CB
= 1.0 mol/L
= 1.0 mol/L
◦
CC
◦
CD
= 0.0 mol/L
= 0.0 mol/L
◦
CX
= 1.0 mol/L
CY◦
CZ◦
= 0.0 mol/L
= 0.0 mol/L
si puo’ calcolare che le concentrazioni di equilibrio saranno1:
[A]
[B]
= 0.792 mol/L
= 0.207 mol/L
[C] = 0.208 mol/L
[D] = 0.624 mol/L
1 Il calcolo si basa proprio su quanto stiamo trattando: si scrive un sistema di 7 equazioni
in 7 incognite: due equazioni sono le leggi dell’azione di massa e poi ci sono 5 bilanci di massa
basati sulla stechiometria delle due reazioni e sulle quantita’ iniziali dei reagenti: sapreste
scrivere il sistema completo? Provateci, non e’ difficile; altrimenti guardate come si fa alla
sezione 1.12.9. Il sistema deve poi essere risolto per via numerica.
12
[X] = 0.749 mol/L
[Y ] = 0.629 mol/L
[Z] = 0.126 mol/L
Notate come le due espressioni della legge dell’azione di massa sono entrambe
verificate (provate a fare il calcolo con la vostra calcolatrice):
0.208 × 0.6243
0.792 × 0.2072
0.6295 × 0.126
0.7492 × 0.2073
1.5 =
2.5 =
Inoltre, come si era detto al punto 31: la concentrazione di equilibrio di B e’
0.207 mol/L (per quanto banale possa sembrare, ripetiamolo: un unico valore):
questo valore soddisfa contemporaneamente le due leggi dell’azione di massa
relative alle due reazioni a cui B partecipa.
1.5.2
Il bilancio di carica
34. Il bilancio di carica consiste nell’applicazione di un fatto molto semplice:
una soluzione deve essere elettricamente neutra, cioe’, in altre parole, la somma delle cariche positive in essa contenute deve uguagliare quella delle cariche
negative.
Da questo gia’ segue una considerazione elementare: il bilancio di carica sara’
applicabile solo in quei casi in cui un sistema chimico contenga specie ioniche.
35. Questa condizione, assieme a quella relativa al bilancio di massa, rappresenta un vincolo fondamentale da applicare per il trattamento sistematico
dell’equilibrio chimico.
36. Illustriamo l’applicazione del bilancio di carica con un semplicissimo esempio.
Consideriamo la ionizzazione di un acido debole HA in soluzione acquosa.
Supponiamo di aver preparato una soluzione acquosa dell’acido debole HA con
◦
costante di ionizzazione acida KA e concentrazione formale CHA
.
La reazione di ionizzazione dell’acido debole puo’ essere rappresentata dalla
seguente equazione:
HA
= H + + A−
Tuttavia, questa non e’ l’unica reazione indipendente che avviene nella soluzione. Infatti, bisogna considerare anche l’autoionizzazione dell’acqua:
H2 O
=
H + + OH −
37. Notate: volendo considerare tutte le possibili reazioni, si sarebbe tentati di
includere anche la ionizzazione basica della base coniugata dell’acido debole:
13
A− + H2 O
=
AH + OH −
Tuttavia, questa reazione NON e’ indipendente: infatti puo’ essere ottenuta
sommando l’inversa della ionizzazione acida e l’autoionizzazione dell’acqua:
H + + A−
=
HA
H2 O
A + H2 O
=
=
H + + OH −
AH + OH −
−
Quindi solo due qualsiasi delle tre reazioni su scritte sono indipendenti; in
altre parole, delle tre reazioni considerate, dobbiamo prenderne due soltanto:
la scelta e’ completamente arbitraria, visto che ciascuna delle tre reazioni puo’
essere espressa come combinazione delle altre due (provateci).
38. Scegliamo come reazioni indipendenti la ionizzazione acida e l’autoionizzazione dell’acqua. Le incognite da trovare (cioe’ le concentrazioni di equilibrio)
sono 4:
[HA]
[A− ]
[H + ]
[OH − ]
(naturalmente, assumiamo di essere in soluzione diluita in modo che la concentrazione dell’acqua sia identica a quella dello stato di riferimento (acqua pura)
e quindi non compaia nelle leggi dell’azione di massa)
39. Avendo 4 incognite da trovare ci servono 4 equazioni indipendenti che le
leghino.
Due equazioni ci vengono fornite dall’espressione delle leggi dell’azione di
massa per le due reazioni:
KA
KW
[A− ] [H + ]
[HA]
+ = H
OH −
=
Una terza equazione proviene dal bilancio di massa per l’acido debole. La
◦
quantita’ iniziale di acido debole introdotta in soluzione (CHA
) si ripartisce fra
−
le specie HA e A , quindi deve essere in ogni istante, compreso lo stato di
equilibrio:
◦
CHA
=
[HA] + A−
Ci serve la quarta relazione. Come anticipato, questa consiste nel bilancio
di carica per la soluzione. In pratica, si tratta di contare le cariche positive e
quelle negative e uguagliare i due conteggi.
Gli unici cationi presenti in soluzione sono gli ioni idrogeno; per quanto
riguarda gli anioni, invece, ce ne sono di due specie: gli ioni ossidrile e gli ioni A− .
Affinche’ la soluzione sia elettricamente neutra, bisogna che la concentrazione
14
di ioni idrogeno sia in ogni istante uguale alla somma delle concentrazioni di
ioni ossidrile e A− . In definitiva:
=
KA
=
KW
=
◦
CHA
+
=
H+
OH − + A−
40. Con il bilancio di carica il problema e’ risolto: siamo arrivati ad un sistema
di 4 equazioni in 4 incognite:
H
=
[A− ] [H + ]
[HA]
+ OH −
H
[HA] + A−
OH − + A−
(1.13)
(1.14)
(1.15)
(1.16)
41. Da questo punto in poi il problema diventa puramente algebrico.
E’ istruttivo vedere come si potrebbe risolvere il sistema ottenuto.
Ricaviamo [A− ] dalla 1.16 ed esprimiamo [OH − ] in funzione di [H + ] sfruttando la 1.14:
A−
H + − OH −
KW
= H+ −
[H + ]
=
Ricaviamo [HA] dal bilancio di massa 1.15 e sfruttiamo l’espressione per
[A− ] appena trovata:
◦
[HA] = CHA
− A−
+
KW
◦
= CHA − H −
[H + ]
Infine, sostituiamo le espressioni ricavate per [A− ] e [HA] nell’espressione
della legge dell’azione di massa 1.13 e riordiniamo:
KA
=
KA
=
KA
=
KA
=
[A− ] [H + ]
[HA]
KW
[H + ]
[H + ] − [H
+]
KW
◦
CHA
− [H + ] − [H
+]
2
[H + ] − Kw
KW
◦
CHA
− [H + ] − [H
+]
3
[H + ] − Kw [H + ]
◦ [H + ] − [H + ]2 − K
CHA
W
15
2
+ 3
+
◦
− Kw H + − KA CHA
H
H + KA H + − KW
2 + 3
◦
+ KW ) − KA KW
+ KA H + − H + (KA CHA
H
= 0
= 0
Abbiamo cosi’ ottenuto un’equazione nell’unica incognita [H + ]. Una volta ricavato il valore per [H + ], tutti gli altri si possono ottenere sostituendo
all’indietro.
Cio’ che vorrei farvi notare e’ che, anche in un caso cosi’ semplice, il trattamento rigoroso del problema di equilibrio richiede la soluzione di un’equazione
di terzo grado.
Attenzione agli ioni polivalenti
42. Mi sembra ovvio, ma e’ meglio dirlo esplicitamente. Quando si scrive un
bilancio di carica, bisogna tenere conto della carica ionica. Cioe’: se in soluzione
e’ presente una concentrazione C di un catione monovalente, ad esempio H + ,
il corrispondente contributo alla concentrazione di carica positiva totale sara’
C; ma se il catione e’ bivalente, ad esempio Zn2+ , allora il contributo alla
concentrazione di carica positiva totale sara’ 2C e non C. Questo perche’ in
un bilancio di carica cio’ che si bilancia e’, per l’appunto, la carica elettrica, e
non la concentrazione ionica. Se la concentrazione di ioni zinco in soluzione e’
0.12 mol/L, la concentrazione di carica positiva dovuta agli ioni zinco deve
essere necessariamente pari a (2 × 0.12) = 0.24 mol/L, semplicemente perche’
ad ogni ione zinco corrispondono 2 cariche positive.
43. Un esempio dovrebbe chiarire definitivamente questo punto.
Scriviamo il bilancio di carica per una soluzione in cui siano stati sciolti i
seguenti composti: AgCl, Al2 (SO4 )3 , H2 S, M g3 (P O4 )2 .
Per semplicita’, assumiamo che gli ioni provenienti dai sali non diano idrolisi;
l’acido solfidrico, invece, puo’ dare due ionizzazioni acide successive.
Sotto queste ipotesi, le specie ioniche presenti in soluzione saranno: Ag + ,
−
Cl , Al3+ , SO42− , HS − , S 2− , M g 2+ , P O43− , H + e OH − .
Come detto, per scrivere l’equazione del bilancio di carica bisogna fare
l’appello di tutte le cariche positive e negative, e uguagliare i due conteggi:
H + + Ag + + 3 Al3+ + 2 M g 2+
=
OH − + Cl− + 2 SO42−
+ HS − + 2 S 2− + 3 P O43−
44. Notate come per gli ioni polivalenti la concentrazione e’ stata moltiplicata
per la carica dello ione, come abbiamo sottolineato al punto 42.
1.6
Conclusioni sul trattamento rigoroso dell’equilibrio
45. Nelle sezioni precedenti abbiamo introdotto il trattamento quantitativo rigoroso dell’equilibrio chimico. Dovreste essere convinti che qualsiasi problema
di equilibrio, anche il piu’ complesso, puo’ essere affrontato in modo rigoroso e
16
al tempo stesso semplice (per lo meno nell’impostazione del sistema di equazioni
risolvente).
46. Scrivere il sistema di equazioni per la risoluzione esatta del problema e’
quasi sempre molto semplice; invece, la risoluzione analitica del sistema non
e’ quasi mai possibile: bisogna cioe’ ricorrere a metodi numerici (ma cio’ oggi
non costituisce un problema, vista la disponibilita’ dei computer).
47. Vediamo di fissare il procedimento con cui si affronta un problema di equilibrio per punti:
1. Prima di tutto si devono individuare le reazioni da considerare; questo
richiede la conoscenza della chimica del sistema (“chi reagisce con chi”).
2. Dall’insieme di tutte le reazioni prese in considerazione, si deve estrarre il
sottoinsieme delle reazioni indipendenti; in altre parole, fra le reazioni
considerate, nessuna deve essere esprimibile come combinazione delle altre.
3. Una volta individuato l’insieme di tutte e sole le reazioni indipendenti, si scrive per ciascuna di esse la corrispondente espressione della legge
dell’azione di massa.
4. Poi si passa a scrivere le equazioni (possono essere piu’ di una) per i bilanci
di massa basandosi sulla stechiometria dei processi e/o la conoscenza della
quantita’ iniziale di uno o piu’ componenti del sistema.
5. Infine, se il sistema contiene ioni, si scrive l’equazione (ce n’e’ una sola)
per il bilancio di carica.
A questo punto, se le concentrazioni di equilibrio da trovare sono n, si deve
aver ottenuto un sistema di n equazioni nelle n incognite. Come detto, da qui
in poi il problema diventa di tipo algebrico/numerico.
48. Tengo a sottolineare il fatto che un problema di equilibrio e’ SEMPRE
risolvibile in modo rigoroso. Se dopo aver compiuto tutti i passi sopra descritti
le cose non tornano, ad esempio il numero di equazioni e’ diverso dal numero di
incognite, potete star certi che:
• o avete sbagliato qualcosa voi (le equazioni non sono tutte indipendenti,
avete dimenticato qualche bilancio di massa etc.)
• oppure il problema era mal posto (mancava qualche costante di equilibrio,
qualche concentrazione iniziale etc.)
La varieta’ dei casi che si possono presentare e’ enorme, ma il procedimento
sopra descritto e’ generale.
Nel seguito cerchiamo di passare in rassegna alcuni prototipi di problemi di
equilibrio: non pensate, tuttavia, che il trattamento quantitativo dell’equilibrio
possa essere ridotto a un fatto puramente meccanico. E’ richiesto sempre il
contributo del vostro senso critico e delle vostre conoscenze chimiche.
1.7
Reazioni disaccoppiate
49. A volte puo’ succedere che ci siano piu’ reazioni indipendenti, ma che queste
siano disaccoppiate. Significa che le specie partecipanti a un gruppo di reazioni
17
non partecipano ad un altro gruppo. In questo caso, il problema puo’ essere suddiviso in due (o piu’) sottoproblemi, ciascuno risolvibile in modo indipendente
dagli altri.
50. Rientrano in questa categoria moltissimi problemi relativi ad equilibri di
solubilita’ in acqua.
Ad esempio, consideriamo l’equilibrio di solubilita’ del cloruro di argento in
acqua.
L’equazione che descrive il processo di solubilizzazione del cloruro d’argento
in acqua e’:
AgCl(s)
Ag + + Cl−
=
La corrispondente espressione della legge dell’azione di massa e’:
KSP
=
Ag +
Cl−
51. Tuttavia, siccome siamo in soluzione acquosa, c’e’ sicuramente un’altra
reazione indipendente rappresentata da:
H2 O
H + + OH −
=
la cui espressione della legge dell’azione di massa e’:
KW
=
H+
OH −
52. In totale, le concentrazioni di equilibrio da trovare sono 4:
[Ag + ]
[Cl− ]
[H + ]
[OH − ]
Oltre alle due espressioni della legge dell’azione di massa su scritte, ci sono
i due bilanci di massa determinati dalla stechiometria dei due processi:
Ag + =
+
=
H
−
Cl
OH −
Come gia’ detto in generale, arriviamo ad un sistema di 4 equazioni nelle 4
incognite:
KSP
=
KW =
Ag + =
+
=
H
+ −
Cl
Ag
+ OH −
H
−
Cl
OH −
(Notate che il bilancio di carica, in questo caso, non costituisce un’equazione
indipendente poiche’ e’ ottenuto sommando le due equazioni del bilancio di
massa:
18
+
Ag
+
H
+ + H + Ag
=
=
=
Cl−
OH −
OH − + Cl−
)
53. Ora, se osservate il sistema di equazioni ottenuto, e’ facile rendersi conto
che le incognite [Ag + ] e [Cl− ] compaiono solo nella prima e nella terza equazione, mentre le incognite [H + ] e [OH − ] solo nella seconda e nella quarta. In
altri termini, [Ag + ] e [Cl− ] possono essere trovate indipendentemente da [H + ]
e [OH − ], sfruttando solo la prima e la terza equazione (2 equazioni per 2 incognite); l’analogo vale per [H + ] e [OH − ], che possono essere trovate utilizzando
solamente la seconda e la quarta equazione.
54. In definitiva, il problema originario puo’ essere ripartito nei due seguenti
sottoproblemi indipendenti:
KSP
+
Ag
Ag + Cl−
= Cl−
=
e
KW
+
H
=
=
H+
OH
OH −
−
Questo e’ cio’ che intendiamo dicendo che le due reazioni:
AgCl(s)
=
Ag + + Cl−
H2 O
=
H + + OH −
sono disaccoppiate.
In generale, ci si puo’ rendere conto molto facilmente se due reazioni sono disaccoppiate: condizione sufficiente e’ che nessun partecipante alla prima
compaia nella seconda e viceversa.
1.8
Bilancio di massa e carica danno la stessa
equazione
55. Come gia’ accennato nella sezione precedente, non sempre e’ necessario
utilizzare sia il bilancio di massa che quello di carica. In ogni caso, non e’ una
questione di scelta: semplicemente puo’ succedere che il bilancio di massa e/o
quello di carica siano ridondanti; di questo ci si rende conto algebricamente e
quindi la cosa non e’ mai opinabile.
56. Nella sezione precedente abbiamo visto il caso in cui il bilancio di carica e’
combinazione di due equazioni di bilancio di massa e quindi non e’ indipendente.
19
57. Vediamo un caso semplicissimo in cui bilancio di carica e di massa semplicemente coincidono.
Consideriamo il caso gia’ visto dell’autoionizzazione dell’acqua:
H2 O
H + + OH −
=
Questo e’ un problema di due incognite e quindi servono due equazioni.
Naturalmente, la prima e’:
KW
=
H+
OH −
Per la seconda, possiamo utilizzare il bilancio di massa, determinato dalla
stechiometria:
H+
H+
=
=
OH −
OH −
E il bilancio di carica? E’ banale rendersi conto che consiste in:
cioe’ la stessa equazione ottenuta col bilancio di massa.
58. Come vedete, il trattamento quantitativo dell’equilibrio e’ assolutamente
“ben definito”: non troverete mai equazioni che “avanzano” o equazioni che
“mancano”. Se il problema e’ ben posto e se non commettete errori, alla fine
arriverete sempre ad un sistema che contiene un numero di equazioni uguale al
numero di incognite: ne’ piu’, ne’ meno.
1.9
Reazioni (e corrispondenti equazioni) indipendenti
59. Abbiamo gia’ accennato a questo aspetto nella sezione 1.5.2. Lo riprendiamo per chiarirlo ulteriormente.
60. Ritorniamo all’esempio della ionizzazione acida di un acido debole (concen◦
trazione formale CHA
, costante di ionizzazione acida KA ) in soluzione acquosa.
Volendo elencare tutti i processi che possono avere luogo, si avranno 3
possibili equazioni chimiche:
HA =
−
A + H2 O =
H2 O
=
H + + A−
AH + OH −
H + + OH −
Come abbiamo gia’ detto nella sezione 1.5.2, tuttavia, solo 2 delle tre equazioni sono indipendenti: qualsiasi delle 3 puo’ essere espressa come somma delle
altre due, previo eventuale cambiamento del verso.
Verifichiamolo.
Per l’autoionizzazione dell’acqua:
20
HA =
A− + H2 O
H2 O
=
=
H + + A−
AH + OH −
H + + OH −
Per la ionizzazione basica della base coniugata di HA:
H2 O
H + + A−
A− + H2 O
= H + + OH −
= HA (inversa della ionizzazione acida)
= AH + OH −
Per la ionizzazione acida di HA:
H2 O
=
AH + OH − =
HA =
H + + OH −
A− + H2 O (inversa della ionizzazione basica)
H + + A−
61. Tutto cio’ trova il perfetto parallelo a livello delle espressioni della legge
dell’azione di massa: cioe’, delle tre equazioni matematiche che esprimono la
legge dell’azione di massa per le tre reazioni, solo 2 sono indipendenti. In termini
matematici, questo vuol dire che se 2 equazioni sono soddisfatte, la terza lo
e’ automaticamente, e quindi non costituisce alcun vincolo addizionale per le
incognite da trovare.
Parallelamente alle combinazioni delle equazioni chimiche si avranno le seguenti possibilita’.
Per l’autoionizzazione dell’acqua, moltiplicando membro a membro (ricordate che la costante di ionizzazione basica della base coniugata e’ data da
KW /KA ):
KA
KW
KA
KW
[A− ] [H + ]
[HA]
[HA] [OH − ]
=
[A− ]
+ OH −
= H
=
Per la ionizzazione basica della base coniugata di HA, dividendo membro a
membro:
KW
=
KA
=
KW
KA
=
H+
OH −
[A− ] [H + ]
[HA]
[HA] [OH − ]
[A− ]
21
Per la ionizzazione acida di HA, ancora dividendo membro a membro:
KW
=
KW
KA
=
KA
=
H+
OH −
[HA] [OH − ]
[A− ]
−
[A ] [H + ]
[HA]
62. La scelta delle equazioni indipendenti e’ completamente arbitraria: purche’
le equazioni scelte siano tutte e sole quelle indipendenti, la soluzione del
sistema condurra’ sempre al medesimo risultato. Quindi, per il semplicissimo
problema qui considerato, i tre possibili sistemi:
1.
KA
=
KW
=
KA
◦
CHA
=
+
=
H
[A− ] [H + ]
[HA]
[HA] [OH − ]
[A− ]
[HA] + A− (bilancio massa)
OH − + A− (bilancio carica)
2.
KA
=
KW
=
◦
CHA
+
=
H
=
KW
=
[A− ] [H + ]
[HA]
+ H
OH −
[HA] + A− (bilancio massa)
OH − + A− (bilancio carica)
3.
KW
=
KA
◦
CHA
=
+
=
H
+ OH −
H
[HA] [OH − ]
[A− ]
[HA] + A− (bilancio massa)
OH − + A− (bilancio carica)
condurranno tutti alla stessa soluzione.
22
1.10
Piu’ di una equazione di bilancio di massa
63. Come gia’ accennato, mentre il bilancio di carica, esprimendo l’elettroneutralita’ della soluzione, e’ unico, i bilanci di massa possono produrre piu’ di
un’equazione indipendente.
64. Il seguente esempio illustra questo aspetto.
Consideriamo una soluzione acquosa in cui viene introdotta una concentra◦
zione formale CHA
dell’acido debole HA (costante KA ) e una concentrazione
◦
formale CB della base debole B (costante KB ).
Ricaviamo il sistema di equazioni risolvente.
E’ facile verificare che le equazioni chimiche indipendenti sono 3. Ad esempio,
possiamo prendere le seguenti:
HA =
HA + B =
H + + A−
BH + + A−
H2 O
H + + OH −
=
(Verificate che tutte le altre equazioni chimiche, ad esempio la ionizzazione
basica della base debole: B + H2 O = BH + + OH − , si ottengono combinando
le 3 equazioni su scritte).
Le espressioni della legge dell’azione di massa per le 3 reazioni considerate
sono:
KA
KA KB
KW
KW
[A− ] [H + ]
[HA]
[A− ] [BH + ]
=
[HA] [B]
= H + OH −
=
(E’ banale verificare che la costante di equilibrio per la reazione di neutralizzazione fra l’acido debole e la base debole e’ quella su scritta)
Le incognite da trovare sono 6:
[HA]
[A− ]
[B]
[BH + ]
[H + ]
[OH − ]
Servono quindi ancora 3 equazioni indipendenti.
La conoscenza della concentrazione iniziale dell’acido debole e della base
debole fornisce 2 corrispondenti equazioni di bilancio di massa:
◦
CHA
=
◦
CB
=
[HA] + A−
[B] + BH +
23
Infine, la sesta equazione e’ il bilancio di carica per l’intera soluzione:
+ H + BH +
1.11
=
OH − + A−
Condizioni iniziali equivalenti
65. I concetti introdotti sul trattamento quantitativo dell’equilibrio ci consentono di spiegare in modo abbastanza formale una proprieta’ dell’equilibrio che
viene usata spesso dagli studenti, ma che secondo me non viene quasi mai
giustificata.
66. La introduciamo attraverso un esempio.
Consideriamo il sistema gia’ descritto alla sezione 1.5.2: una soluzione ac◦
quosa contenente un acido debole con concentrazione iniziale CHA
e costante di
ionizzazione acida KA .
Per quello che diremo in seguito, e’ utile introdurre la seguente notazione
per indicare le condizioni iniziali (di non equilibrio) da cui questo sistema parte
per raggiungere l’equilibrio:
HA
◦
CHA
t=0
H2 O
=
=
t=0
H+
0
H+
0
+A−
0
+OH −
0
In pratica, mettiamo in evidenza le condizioni iniziali (t = 0) che conside◦
riamo; all’inizio, abbiamo una concentrazione pari a CHA
della specie HA, e
concentrazioni nulle di tutte le altre specie, che ancora non hanno iniziato a
formarsi.
Alla sezione 1.5.2 abbiamo gia’ visto che il sistema risolvente di questo
problema e’:
KA
=
KW
=
◦
CHA
+
=
H
=
[A− ] [H + ]
[HA]
+ H
OH −
[HA] + A−
OH − + A−
67. Ora modifichiamo le condizioni iniziali di questo sistema facendo procedere
idealmente la ionizzazione dell’acido verso destra fino a consumare meta’ dell’acido inizialmente presente. Prendiamo le concentrazioni cosi’ ottenute come
nuove condizioni iniziali. Naturalmente, se si consuma meta’ dell’acido inizialmente presente, si formera’ una corrispondente concentrazione in soluzione
di ioni H + e A− . Le nuove condizioni iniziali ottenute saranno rappresentate
da:
HA
t=0
=
◦
CHA
2
H+
◦
CHA
2
24
+A−
◦
CHA
2
H2 O
=
H+
◦
CHA
2
t=0
+OH −
0
Ora ci poniamo la seguente domanda: quale sara’ il sistema risolvente per
questo nuovo problema?
La differenza rispetto a prima sta solo nelle concentrazioni iniziali, quindi le
due espressioni della legge dell’azione di massa e il bilancio di carica restano
immutati.
Il nuovo bilancio di massa si ottiene ragionando nel modo seguente. A t = 0
si ha una certa concentrazione della specie HA e della specie A− . Durante
il raggiungimento dell’equilibrio, queste due specie si interconvertono (a priori,
non sappiamo chi si converte in chi, ne’ quanto di chi si converte in chi); tuttavia,
e questo e’ un punto che vi prego di farvi estremamente chiaro, possiamo ben
dire che la concentrazione totale della specie A, sia sottoforma di HA che
sottoforma di ione A− , deve restare costante in ogni istante. Allora, all’inizio
la concentrazione totale di specie A e’:
conc. iniziale di HA
◦
CHA
2
+
conc. iniziale di A−
◦
CHA
2
+
e questa deve essere anche la concentrazione totale di specie A all’equilibrio,
cioe’: [HA] + [A− ].
In definitiva, l’equazione del bilancio di massa per il problema con queste
nuove condizioni iniziali e’:
◦
CHA
C◦
+ HA
2
2
◦
CHA
=
=
[HA] + A−
[HA] + A−
cioe’, la stessa equazione del caso precedente.
68. Abbiamo scoperto che i due sets di concentrazioni iniziali portano comunque
ad un identico sistema risolvente: se il sistema risolvente e’ identico nei due casi,
e’ chiaro che anche le concentrazioni di equilibrio dovranno essere identiche!
Diciamolo in modo equivalente.
Abbiamo due problemi di equilibrio con differenti condizioni iniziali, ma tali
che un set di condizioni e’ stato ricavato dall’altro facendo procedere idealmente una reazione in un dato verso nel rispetto della conservazione della massa
(cioe’: quando abbiamo idealmente fatto reagire meta’ dell’acido debole inizialmente presente, abbiamo coerentemente fatto produrre una concentrazione
stechiometricamente equivalente di ioni idrogeno e base coniugata A− ):
HA
◦
t = 0 CHA
=
H2 O
=
H+
0
+A−
0
H+
0
+OH −
0
HA
t=0
=⇒
t=0
◦
CHA
2
2
H2 O
t=0
25
= H+
◦
CHA
= H+
◦
CHA
2
+A−
◦
CHA
2
+OH −
0
Ebbene, abbiamo appena verificato che, da queste due diverse condizioni
iniziali si deve necessariamente arrivare a concentrazioni di equilibrio identiche.
Per dirla ancora in un altro modo: risolvere il primo problema oppure il
secondo e’ del tutto equivalente (per quanto riguarda la questione di trovare le
concentrazioni di equilibrio).
69. Estendiamo ora quanto appena visto in modo un po’ piu’ generale.
Sempre partendo dalle concentrazioni iniziali del punto 66, ricaviamo delle
nuove condizioni iniziali facendo reagire idealmente una frazione generica f di
acido debole. Chiaramente, se una frazione f di HA reagisce, dalla stechiometria
◦
della reazione si vede che si formera’ una concentrazione pari a f CHA
sia di
+
−
ioni H che di ioni A ; la concentrazione di HA rimasto sara’ invece pari a
◦
(1 − f ) CHA
. Le nuove condizioni iniziali saranno rappresentate da:
t=0
HA
◦
(1 − f ) CHA
H2 O
=
H+
◦
f CHA
H+
◦
f CHA
=
t=0
+A−
◦
f CHA
+OH −
0
Ora si puo’ ripetere il ragionamento di prima. Le espressioni della legge
dell’azione di massa restano immutate, e cosi’ pure il bilancio di carica.
Per il bilancio di massa, si ha:
=
conc. totale di A
all’equilibrio
=
[HA] + [A− ]
◦
◦
(1 − f ) CHA
+ f CHA
=
[HA] + [A− ]
◦
CHA
=
[HA] + [A− ]
conc. totale iniziale
di A
conc.
HA
iniziale di
+ conc. iniziale di A−
e quindi otteniamo di nuovo la stessa equazione per il bilancio di massa.
Il sistema e’ identico e identica deve pertanto essere la soluzione.
70. Abbiamo cosi’ verificato che per risolvere il problema di equilibrio:
t=0
HA
◦
CHA
H2 O
=
=
t=0
H+
0
H+
0
+A−
0
+OH −
0
siamo liberi di modificare arbitrariamente le condizioni iniziali nel modo piu’
sopra descritto: abbiamo la garanzia che la soluzione sara’ sempre la stessa.
71. Notate che “modificare arbitrariamente le condizioni iniziali” non significa
che si puo’ fare cio’ che si vuole: come mostrato prima, la modifica deve consistere nello spostamento arbitrario di una reazione verso destra o verso sinistra
nel rispetto della stechiometria e della conservazione della massa. Solo
cosi’, infatti, l’equazione del bilancio di massa e quindi l’intero sistema risolvente
rimangono invariati.
72. La proprieta’ ora introdotta con l’esempio considerato e’ di carattere completamente generale.
26
In qualsiasi problema di equilibrio le condizioni iniziali (cioe’ le concentrazioni iniziali di non equilibrio delle specie partecipanti) possono essere modificate arbitrariamente con il procedimento visto
senza che cio’ modifichi in alcun modo le concentrazioni finali di
equilibrio.
73. Per quanto strana possa sembrarvi questa proprieta’, qui introdotta in modo
abbastanza formale, la avete certamente gia’ utilizzata senza troppe giustificazioni.
74. Ad esempio, se dovete calcolare il pH di una soluzione contenente un’ugual concentrazione iniziale pari a C ◦ di un acido debole HA e di N aOH, il
ragionamento che siete abituati a fare e’ molto probabilmente il seguente.
1. La base forte reagisce completamente con l’acido debole.
2. Si forma una concentrazione C ◦ di base coniugata
3. La base coniugata ionizza parzialmente producendo un pH basico (probabilmente sapete anche che la concentrazione di equilibrio degli ioni OH − ,
nei
√ ◦limiti di approssimazioni che vedremo piu’ in dettaglio, e’ data da
C KB , dove KB e’ la costante di ionizzazione basica della base coniugata
A− )
Non c’e’ nulla di sbagliato in questo ragionamento, ma vorrei farvi notare
che esso rappresenta un’applicazione della proprieta’ appena discussa.
Le condizioni iniziali date sono le seguenti:
t=0
HA +OH −
C◦
C◦
=
H2 O
H+
0
=
t=0
A−
0
+H2 O
+OH −
C◦
Da queste condizioni iniziali, voi ne costruite altre, equivalenti a quelle date,
facendo procedere la reazione di neutralizzazione completamente verso destra:
t=0
HA +OH −
0
0
=
H2 O
H+
0
=
t=0
A−
C◦
+H2 O
+OH −
0
e ragionate sulla seconda versione del problema, ottenendo, per quanto discusso in questa sezione, lo stesso risultato che avreste ottenuto considerando le
condizioni iniziali date.
75. A conclusione di questa sezione vorrei sottolineare il fatto che la costruzione
di condizioni iniziali equivalenti viene spesso sfruttata per offrire un ragionamento piu’ semplice, ma ha il risvolto negativo di allontanare dalla chimica che
effettivamente ha luogo in un sistema.
Tanto per restare nell’esempio della neutralizzazione dell’acido debole con
la base forte, lo scenario chimico reale non e’ che tutto l’acido prima reagisce
e poi, in un secondo tempo, la base coniugata riforma parzialmente l’acido
di partenza (uso le frecce per mettere meglio in evidenza quanto detto):
27
HA + OH −
A− + H2 O
−→ A− + H2 O
→
←−
AH + OH −
Il raggiungimento dell’equilibrio chimico non funziona con questo meccanismo “prima tutto avanti e poi un po’ indietro”.
Lo scenario chimico reale e’ che il pH basico finale e’ dovuto al fatto che la
reazione:
HA + OH −
=
A− + H2 O
semplicemente non e’ completa (la costante di equilibrio e’ grande, ma non
infinita; e’ data da KA /KW : sapreste dimostrarlo?). Quindi, per raggiungere
l’equilibrio, il sistema procede sempre “in avanti” (non torna mai “indietro”):
semplicemente la reazione raggiunge l’equilibrio prima che tutti gli ioni OH −
siano stati consumati. La frazione di ioni OH − non reagita determina il pH
basico finale.
1.12
Esempi
Concludiamo questa parte con una serie di esempi che mettono in evidenza
l’applicazione del procedimento per punti visto alla sezione 1.6.
1.12.1
Ionizzazione di una base debole
76. Scrivere il sistema di equazioni risolvente per una soluzione contenente una
◦
concentrazione formale CB
di una base debole B, con costante di ionizzazione
basica KB .
1. Individuiamo le reazioni chimiche da considerare.
Prima di tutto ci sara’ la ionizzazione della base debole:
B + H2 O
=
BH + + OH −
Poi ci sara’ l’autoionizzazione dell’acqua:
H2 O
= H + + OH −
Si potrebbe anche includere la ionizzazione acida dell’acido coniugato:
BH +
= B + H+
28
2. Trovare le reazioni indipendenti.
E’ facile rendersi conto che delle tre reazioni rappresentate sopra, solo due
sono indipendenti. Ad esempio, la ionizzazione acida di BH + si ottiene
sommando l’autoionizzazione dell’acqua con l’inversa della ionizzazione
basica:
H2 O
=
H + + OH −
−
=
=
B + H2 O
B + H+
+
BH + OH
BH +
Quindi dobbiamo scegliere due sole equazioni chimiche: possiamo scegliere
due qualsiasi fra le tre scritte. Ad esempio, possiamo prendere l’equazione
per la ionizzazione basica e quella per l’autoionizzazione dell’acqua.
3. Scrivere le corrispondenti leggi dell’azione di massa:
KB
=
KW
=
[BH + ] [OH − ]
[B]
+ OH −
H
In totale ci sono 4 incognite: ci servono altre due equazioni.
4. La conoscenza della concentrazione iniziale della base debole ci consente di
scrivere un’equazione per la conservazione della specie B, sia sottoforma
di B che di BH + :
◦
CB
=
[B] + BH +
5. Infine, la quarta equazione e’ data dal bilancio di carica:
H + + BH +
=
OH −
Fine: abbiamo ottenuto il sistema di 4 equazioni nelle 4 incognite.
KB
=
KW
=
◦
CB
+
=
+ H + BH
=
29
[BH + ] [OH − ]
[B]
+ OH −
H
[B] + BH +
OH −
1.12.2
Solubilizzazione del fluoruro di calcio: I
77. Scrivere il sistema risolvente per la saturazione di una soluzione acquosa
con CaF2 .
78. Con questo esempio e il seguente mettiamo in evidenza come il trattamento
di un sistema chimico di equilibrio dipenda prima di tutto dalle conoscenze
chimiche di cui si dispone.
79. Supponiamo dapprima di ignorare che lo ione fluoruro ha caratteristiche
basiche non trascurabili. Sotto queste ipotesi, l’unica reazione da considerare
e’:
= Ca2+ + 2F −
CaF2(s)
(Trascuriamo l’autoionizzazione dell’acqua: e’ banale rendersi conto che tale
processo e’ disaccoppiato da quello su scritto)
Le incognite sono due. Una equazione e’ fornita dalla legge dell’azione di
massa:
KSP
=
Ca2+
− 2
F
dove KSP e’ il prodotto di solubilita’ di CaF2 .
La seconda equazione e’ fornita dal bilancio di massa; data la stechiometria
del processo, dovra’ essere:
2 Ca2+
=
F−
e abbiamo finito.
(Notate che il bilancio di massa su scritto coincide con il bilancio di carica)
1.12.3
Solubilizzazione del fluoruro di calcio: II
80. Riconsideriamo il problema precedente, ma questa volta supponiamo di
sapere che lo ione fluoruro ha caratteristiche basiche non trascurabili.
Ora le reazioni da considerare diventano le seguenti:
CaF2(s)
F − + H2 O
H2 O
KSP
=
Ca2+ + 2F −
KF −
=
HF + OH −
KW
H + + OH −
=
Notate che, siccome consideriamo la ionizzazione basica dello ione fluoruro,
l’autoionizzazione dell’acqua non e’ piu’ disaccoppiata, a causa degli ioni OH −
che partecipano all’equilibrio dello ione fluoruro.
Le incognite da trovare diventano 5: Ca2+ , [F − ], [HF ], [H + ] e [OH − ].
Le 3 reazioni consentono di scrivere 3 equazioni relative alla legge dell’azione
di massa:
30
KSP
=
KF −
=
KW
=
Ca2+
F−
2
[HF ] [OH − ]
[F − ]
+ OH −
H
Attenzione al bilancio di massa. Non possiamo dire, come nel caso precedente, che la concentrazione di equilibrio di ioni fluoruro e’ il doppio di quella degli
ioni calcio, perche’ una frazione degli ioni fluoruro si e’ trasformata in acido
fluoridrico a causa della ionizzazione basica (che prima ignoravamo). Quindi:
2 Ca2+ 6= F −
(in particolare, sara’: 2 Ca2+ > [F − ], per il motivo appena detto)
Pero’ possiamo dire che il rapporto 1 : 2 deve valere fra la concentrazione di
ioni calcio e la concentrazione di tutta la specie F , sia essa sotto forma di ione
F − che sottoforma di HF . Cioe’:
2 Ca2+
=
F − + [HF ]
e questa e’ la quarta equazione.
Infine, possiamo scrivere il bilancio di carica, che, diversamente dal caso
precedente, e’ ora un’equazione indipendente dal bilancio di massa:
In definitiva:
H + + 2 Ca2+ =
KSP
=
KF −
=
KW =
2+ 2 Ca
=
+
2+ =
H + 2 Ca
OH − + F −
Ca2+
F−
2
[HF ] [OH − ]
[F − ]
+ H
OH −
−
F + [HF ]
OH − + F −
che sono 5 equazioni per le 5 incognite da trovare.
81. Notate come l’impostazione del trattamento, e, di conseguenza, la bonta’ dei
risultati ottenibili, dipendano prima di tutto dalle nostre conoscenza chimiche:
piu’ conosciamo la chimica dei componenti di un sistema, e maggiore sara’ il
dettaglio con cui saremo in grado di descrivere cio’ che nel sistema avviene (le
possibili reazioni).
31
1.12.4
Solubilizzazione del solfuro di zinco
82. Scrivere il sistema di equazioni da cui si possono calcolare le concentrazioni
di equilibrio di tutte le specie che si formano in una soluzione saturata con ZnS.
Considerare che:
• lo ione solfuro e’ una base debole diprotica
• lo ione zinco puo’ dare idrolisi acida per stadi successivi fino a formare lo
ione tetraidrossozincato: Zn (OH)2−
4
Tutte le costanti di equilibrio necessarie si suppongono note.
83. Sulla base di quanto sopra, le reazioni indipendenti da considerare saranno:
KSP
Zn2+ + S 2−
S 2− + H2 O
KS 2−
=
HS − + OH −
HS − + H2 O
KHS −
=
H2 S + OH −
Zn2+ + H2 O
K1
=
ZnOH + + H +
ZnOH + + H2 O
K2
=
Zn (OH)2(aq) + H +
K3
=
Zn (OH)3 + H +
K4
Zn (OH)4 + H +
KW
H + + OH −
=
ZnS(s)
Zn (OH)2(aq) + H2 O
−
=
Zn (OH)3 + H2 O
H2 O
=
−
2−
84. Notate che:
• la specie Zn (OH)2(aq) scritta sopra non e’ idrossido di zinco solido, ma
uno ione zinco(II) coordinato da due leganti OH − in soluzione
• quelle scritte sopra sono tutte e sole le reazioni indipendenti. Qualsiasi
altra, ad esempio la ionizzazione acida dell’acido solfidrico: H2 S = HS − +
H + , e’ combinazione di quelle gia’ scritte. Convincetevene.
Le incognite da trovare sono 10:
2+ Zn
2− S
[HS − ]
[H2 S]
[ZnOH + ]
h
i
Zn (OH)2(aq)
h
i
−
Zn (OH)3
h
i
2−
Zn (OH)4
[H + ]
[OH − ]
32
e quindi servono 10 equazioni indipendenti.
8 equazioni sono fornite dalle espressioni della legge dell’azione di massa per
le 8 reazioni su scritte.
Per il bilancio di massa, analogamente all’esempio precedente, non possiamo
dire che:
2+ Zn
=
S 2−
(1.17)
perche’ sia gli ioni zinco che gli ioni solfuro vengono in parte consumati dalle
reazioni su scritte.
Pero’ possiamo dire che la concentrazione di tutta la specie Zn, sottoforma
di tutte le specie chimiche che la contengono, deve essere uguale alla concentrazione di tutta la specie S, sottoforma di tutte le specie chimiche che la
contengono; cioe’:
i
h
Zn2+ + ZnOH + + Zn (OH)2(aq)
h
i h
i
−
2−
+ Zn (OH)3 + Zn (OH)4
Infine, abbiamo il bilancio di carica:
H + + 2 Zn2+ + ZnOH + =
Riportiamo il sistema finale:
Zn
2+
+ ZnOH
+
=
S 2− + HS − + [H2 S]
i
h
i
h
2−
OH − + Zn (OH)−
3 + 2 Zn (OH)4
+2 S 2− + HS −
KSP
=
KS 2−
=
KHS −
=
K1
=
K2
=
K3
=
K4
=
KW =
h
i
+ Zn (OH)2(aq)
33
2+ 2− S
Zn
[HS − ] [OH − ]
[S 2− ]
[H2 S] [OH − ]
[HS − ]
[ZnOH + ] [H + ]
[Zn2+ ]
h
i
Zn (OH)2(aq) [H + ]
[ZnOH + ]
h
i
−
Zn (OH)3 [H + ]
h
i
Zn (OH)2(aq)
h
i
Zn (OH)2−
[H + ]
4
h
i
−
Zn (OH)3
+ OH −
H
h
i h
i
−
2−
+ Zn (OH)3 + Zn (OH)4
=
2+ +
+ ZnOH + =
H + 2 Zn
85. Lungo, forse, ma non difficile.
1.12.5
2− + HS − + [H2 S]
S
i
h
i
h
2−
OH − + Zn (OH)−
3 + 2 Zn (OH)4
+2 S 2− + HS −
Ionizzazione di un acido diprotico
86. Scrivere il sistema di equazioni da cui si possono calcolare le concentrazioni
di equilibrio di tutte le specie presenti in una soluzione contenente una concen◦
trazione formale CH
dell’acido diprotico H2 A, con costanti di prima e seconda
2A
ionizzazione acida K1 e K2 , rispettivamente.
E’ facile rendersi conto che le reazioni indipendenti sono quelle rappresentate
da:
H2 A =
−
HA
H2 O
=
=
H + + HA−
H + + A2−
H + + OH −
Verificate che tutte le altre reazioni che si possono pensare sono ottenibili come combinazione di queste (ad esempio, la ionizzazione basica di AH − :
AH − + H2 O = H2 A + OH − , e cosi’ via).
Le incognite da trovare sono 5:
[H2 A]
−
[HA
2− ]
A
[H + ]
[OH − ]
3 equazioni sono fornite dall’espressione della legge dell’azione di massa per
le 3 reazioni rappresentate sopra.
Un’ulteriore equazione e’ fornita dalla conservazione della massa del fram−
mento
2− A, che sara’ ripartito fra le 3 specie in soluzione: [H2 A], [HA ] e
A .
◦
CH
2A
[H2 A] + HA− + A2−
=
Infine, c’e’ il vincolo della elettroneutralita’ della soluzione:
OH − + HA− + 2 A2−
(Notate il fattore 2 che moltiplica A2− )
In definitiva:
H+
=
34
K1
=
K2
=
KW
=
◦
CH
2A
+
=
H
1.12.6
=
[HA− ] [H + ]
[H2 A]
2− +
A
[H ]
[HA− ]
+ OH −
H
[H2 A] + HA− + A2−
OH − + HA− + 2 A2−
Ionizzazione di un acido triprotico
87. Scrivere il sistema di equazioni da cui si possono calcolare le concentrazioni
di equilibrio di tutte le specie presenti in una soluzione contenente concentra◦
◦
◦
◦
zioni formali CH
, CN
aH2 A , CN a2 HA e CN a3 A dell’acido triprotico H3 A e di
3A
tutti i suoi possibili sali sodici. Le costanti di ionizzazione acida di H3 A sono,
rispettivamente, K1 , K2 e K3 .
Questo problema e’ una semplice estensione di quello precedente. Le reazioni
indipendenti sono rappresentate da:
H3 A
= H + + H2 A−
H2 A−
HA2−
= H + + HA2−
= H + + A3−
H2 O
= H + + OH −
Per favore, rendetevi ben conto che avremmo potuto scegliere come reazioni
indipendenti anche le seguenti:
H3 A =
H + + H2 A−
H2 A− + H2 O
HA2− + H2 O
=
=
H3 A + OH −
H2 A− + OH −
A3− + H2 O
=
HA2− + OH −
o qualsiasi altra combinazione.
Le incognite da trovare sono 6:
[H3 A]
−
[H2 A2−]
HA
A3−
[H + ]
[OH − ]
4 equazioni sono fornite, ormai dovrebbe risultarvi banale, dall’espressione
della legge dell’azione di massa per le 4 reazioni indipendenti scritte sopra.
35
Per il bilancio di massa il ragionamento e’ il seguente. Non possiamo conservare ogni singola concentrazione iniziale, perche’ ciascuna specie di partenza
H3 A, N aH2 A, N a2 HA e N a3 A si ripartisce fra tutte le specie chimiche contenenti il frammento A in soluzione. Pero’ possiamo ben dire che la somma di
tutte le concentrazioni iniziali delle specie contenenti il frammento A si conserva;
cioe’:
= [H3 A] + H2 A− + HA2− + A3−
◦
◦
◦
◦
CH
+ CN
aH2 A + CN a2 HA + CN a3 A
3A
Infine c’e’ il bilancio di carica.
Anche qui c’e’ da fare attenzione: fra le cariche positive si devono contare
anche gli ioni N a+ provenienti dalla ionizzazione completa dei vari sali:
H + + N a+ =
OH − + H2 A− + 2 HA2− + 3 A3−
(notate i moltiplicatori per gli ioni polivalenti)
Sembrerebbe che col bilancio di carica abbiamo introdotto una settima incognita: [N a+ ].
In realta’, la concentrazione di equilibrio degli ioni N a+ e’ nota a priori,
assumendo che la ionizzazione dei diversi sali sia completa. In altre parole,
esiste un secondo bilancio di massa, relativo alla concentrazione degli ioni N a+ .
◦
◦
◦
CN
aH2 A + 2CN a2 HA + 3CN a3 A
=
N a+
(non dovrebbero esserci dubbi sul significato dell’equazione su scritta)
Quindi, l’equazione del bilancio di carica assume la forma:
◦
◦
◦
H + + CN
aH2 A + 2CN a2 HA + 3CN a3 A
=
OH − + H2 A− + 2 HA2− + 3 A3−
Alternativamente, in modo piu’ formale, si possono considerare 7 incognite
(le 6 scritte prima piu’ la concentrazione di equilibrio degli ioni N a+ ) e prendere
il bilancio di massa per gli ioni N a+ come settima equazione indipendente.
Concludendo, il sistema risolvente per questo problema e’:
◦
CH
A
3
+
H
+
◦
+ CN
aH2 A
◦
CN
aH2 A +
K1
=
K2
=
K3
=
KW
◦
◦
+ CN a2 HA + CN a3 A
◦
◦
2CN
a2 HA + 3CN a3 A
=
36
=
=
[H2 A− ] [H + ]
[H3 A]
HA2− [H + ]
[H2 A− ]
3− +
A
[H ]
2− H
+ A
H
OH −
[H3 A] + H2 A− + HA2− + A3−
OH − + H2 A− + 2 HA2− + 3 A3−
1.12.7
Soluzione tampone
88. Scrivere il sistema di equazioni da cui si possono calcolare le concentrazioni
di equilibrio di tutte le specie presenti in una soluzione tampone preparata
◦
◦
sciogliendo in acqua concentrazioni formali CHA
e CN
aA dell’acido debole HA
e del suo sale sodico N aA. La costante di ionizzazione acida di HA e’ KA .
Questo problema non presenta nulla di nuovo rispetto a quelli gia’ visti.
Ci sono solo 2 reazioni indipendenti. Possiamo scegliere quelle rappresentate
da:
H + + A−
H + + OH −
HA =
H2 O =
Le incognite da trovare sono 4:
[HA]
[A− ]
[H + ]
[OH − ]
Oltre alle 2 equazioni derivanti dall’espressione della legge dell’azione di
massa, ci sara’ il bilancio di massa:
◦
◦
CHA
+ CN
aA
=
[HA] + A−
e quello di carica:
◦
H + + CN
aA
=
OH − + A−
◦
+
dove CN
aA e’ la concentrazione degli ioni N a , assumendo, come e’ lecito
assumere, che la ionizzazione del sale N aA sia completa
In definitiva:
◦
CHA
+
H
1.12.8
+
+
KA
=
KW
=
◦
CN
aA
◦
CN aA
=
=
[A− ] [H + ]
[HA]
+ H
OH −
[HA] + A−
OH − + A−
Formazione di complessi
89. Scrivere il sistema di equazioni da cui si possono calcolare le concentrazioni di equilibrio di tutte le specie presenti in una soluzione contenente con◦
◦
centrazioni formali CH
e CM(N
O3 ) dell’acido debole diprotico H2 L e del
2L
3
37
sale completamente solubile M (N O3 )3 (M 3+ e’ un generico ione metallico
trivalente).
Le costanti di ionizzazione acida dell’acido debole sono, rispettivamente, K1
e K2 .
Il dianione dell’acido debole reagisce con lo ione metallico trivalente per dare
un complesso di stechiometria (1 : 1):
M 3+ + L2−
= M L+
La costante di formazione del complesso e’ K.
Prima di tutto individuiamo le reazioni indipendenti.
Ci saranno le due ionizzazioni acide, la formazione del complesso e la solita
autoionizzazione dell’acqua.
H2 L =
HL− =
M 3+ + L2−
H2 O
=
=
H + + HL−
H + + L2−
M L+
H + + OH −
A voi verificare che queste sono tutte e sole le reazioni indipendenti: qualsiasi
altra reazione e’ esprimibile come combinazione di queste.
Le incognite da trovare sono 7:
[H2 L]
−
[HL
2− ]
L 3+ M
[M L+ ]
[H + ]
[OH − ]
Come gia’ fatto in altri casi precedenti, non consideriamo la concentrazione
di equilibrio degli ioni nitrato come un’incognita: essi non sono implicati in alcun
equilibrio e, sotto l’ipotesi fatta che la ionizzazione del sale sia completa, la loro
concentrazione di equilibrio coincide semplicemente con la loro concentrazione
formale, ricavabile in modo elementare dalla stechiometria del sale e dalla sua
concentrazione formale:
N O3−
◦
= 3CM(N
O3 )
3
Oltre alle 4 equazioni derivanti dall’applicazione della legge dell’azione di
massa, ci saranno 2 equazioni di bilancio di massa. Una per il frammento L:
◦
CH
2L
= [H2 L] + HL− + L2− + M L+
38
e una per il frammento M :
◦
CM(N
O3 )
3
=
3+ + M L+
M
Infine, va considerato il bilancio di carica:
H + + 3 M 3+ + M L+ =
◦
−
+ 2 L2−
OH − + 3CM(N
O3 ) + HL
3
◦
(il termine 3CM(N
O3 )3 rappresenta la concentrazione di carica negativa dovuta
agli ioni nitrato, come detto prima).
Il sistema finale e’ dunque:
H
+
1.12.9
K1
=
K2
=
K
=
KW
=
◦
CH
2L
=
◦
CM(N
O3 )3
=
3+ +
=
+ ML
+3 M
[HL− ] [H + ]
[H2 L]
2− +
L
[H ]
[HL− ]
[M L+ ]
[M 3+ ] [L2− ]
+ H
OH −
[H2 L] + HL− + L2− + M L+
3+ M
+ M L+
−
◦
+ 2 L2−
OH − + 3CM(N
O3 )3 + HL
Due reazioni simultanee non ioniche
90. Da ultimo, analizziamo il problema gia’ presentato alla sezione 1.5.1 per
discutere l’equilibrio di piu’ reazioni simultanee.
In quell’occasione era stato presentato solo il risultato numerico finale per
sottolineare il fatto che, se una specie partecipa a piu’ di una reazione indipendente, la sua concentrazione di equilibrio soddisfa, contemporaneamente, tutte
le equazioni della legge dell’azione di massa che la coinvolgono.
Ora vediamo come si scrive il sistema che risolve rigorosamente il problema.
Enunciamo nuovamente il problema per comodita’.
In un sistema chimico avvengono le due reazioni rappresentate da:
A + 2B
2X + 3B
◦
CB
K1
=
K2
=
C + 3D
5Y + Z
◦
Supponiamo di conoscere le concentrazioni iniziali di tutti i reagenti: CA
,
◦
e CX .
39
Obiettivo: ricavare il sistema di equazioni risolvente.
Le incognite da trovare sono 7:
[A]
[B]
[C]
[D]
[X]
[Y ]
[Z]
2 equazioni sono fornite, come al solito, dall’espressione della legge dell’azione di massa.
Ne servono altre 5.
Notate che in questo caso, l’autoionizzazione dell’acqua e’ disaccoppiata dalle
reazioni su scritte (in realta’ non e’ necessario sapere neppure se le due reazioni
avvengono in soluzione o in fase gassosa): quindi l’equazione del prodotto ionico
dell’acqua non va considerata.
Inoltre, vedete che nelle due equazioni non compaiono specie ioniche e quindi
anche un’eventuale equazione del bilancio di carica e’ disaccoppiata dal sistema
a cui siamo interessati e quindi non va considerata.
Le 5 equazioni mancanti sono fornite tutte da altrettanti bilanci di massa.
Prima di tutto, 2 equazioni sono fornite dal vincolo stechiometrico che lega
i prodotti delle reazioni.
Siccome la concentrazione iniziale di tutti i prodotti e’ nulla, e’ chiaro che
i prodotti dovranno formarsi in rapporto stechiometrico (badate: questo non
sarebbe vero se la concentrazione iniziale di uno o piu’ prodotti fosse non nulla;
in questo caso, il bilancio di massa dovrebbe essere impostato diversamente:
provate a farlo per esercizio); il rapporto di concentrazione dei prodotti deve
restare inalterato in qualsiasi istante della reazione e in particolare all’equilibrio.
Quindi:
[D] =
3 [C]
[Y ] =
5 [Z]
La stechiometria stabilisce anche delle relazioni indipendenti fra i reagenti
e i prodotti di ciascuna reazione.
Ad esempio, prendiamo la prima reazione. E’ chiaro che la concentrazione
di A che viene consumata deve essere uguale a quella di C che viene prodotta
(naturalmente, potremmo ragionare in modo equivalente sulle concentrazioni
di A e D). Questo vincolo e’ sicuramente indipendente dai primi due perche’
questi ultimi non contengono la variabile [A] (e quindi questo vincolo non e’ in
alcun modo ottenibile da una combinazione dei primi due). Come si esprime
matematicamente quanto appena detto?
Conosciamo la concentrazione iniziale della specie A. Quindi:
concentrazione
consumata
di
40
A
=
concentrazione
prodotta
di
C
concentrazione
concentrazione iniA
rimasta
− di
ziale di A
all’equilibrio
=
concentrazione di C
all’equilibrio
◦
CA
− [A] = [C]
Un vincolo analogo si ricava dalla seconda equazione chimica. In questo caso,
la concentrazione di X consumata deve essere uguale al doppio della concentrazione di Z prodotta (equivalentemente: la concentrazione di X consumata deve
essere uguale ai 2/5 della concentrazione di Y prodotta). Quindi, analogamente
al caso precedente:
concentrazione
consumata
di
X
concentrazione
concentrazione iniX
rimasta
− di
ziale di X
all’equilibrio
= 2×
concentrazione
prodotta
di
= 2×
concentrazione di Z
all’equilibrio
◦
CX
− [X] = 2 [Z]
Finora abbiamo 6 equazioni.
L’ultima equazione dovra’ coinvolgere la concentrazione della specie B, che
finora non compare in nessuno dei bilanci di massa.
Il bilancio di massa per B e’ complicato (si fa per dire) dal fatto che B
partecipa ad entrambe le reazioni.
L’equazione che scriveremo deve esprimere il fatto che la concentrazione
totale di B consumata deve essere ritrovata in parte sotto forma dei prodotti
della prima reazione e in parte sotto forma dei prodotti della seconda reazione:
prodotti
reazione
=
consumo totale di B
+
della
prima
prodotti della seconda
reazione
Ora, la concentrazione di B consumata nella prima reazione deve essere
uguale al doppio della concentrazione di C prodotta (cioe’ la concentrazione di
C all’equilibrio); analogamente, la concentrazione di B consumata nella seconda
reazione deve essere uguale al triplo della concentrazione di Z prodotta (cioe’
la concentrazione di Z all’equilibrio).
Quindi possiamo procedere scrivendo:
consumo totale di B
2×
concentrazione
prodotta
di
C
+3 ×
concentrazione
prodotta
di
Z
=
= 2 [C] + 3 [Z]
41
Z
Infine, resta da osservare che la concentrazione totale di B consumata in entrambe le reazioni e’ semplicemente uguale alla differenza fra la concentrazione
iniziale di B e la concentrazione di B rimasta all’equilibrio. Quindi:
◦
CB
− [B] =
2 [C] + 3 [Z]
e questa e’ l’ultima equazione che dovevamo trovare.
In conclusione, il sistema finale e’:
K1
=
K2
=
[C] [D]3
2
[A] [B]
5
[D] =
[Y ] =
◦
CA
− [A] =
◦
CX
− [X] =
◦
CB − [B] =
[Y ] [Z]
2
3
[X] [B]
3 [C]
5 [Z]
[C]
2 [Z]
2 [C] + 3 [Z]
Come gia’ osservato, tenete presente che le equazioni per il bilancio di massa su scritte non sono le uniche possibili, ma sono fra loro indipendenti. Ad
esempio, al posto della:
◦
CA
− [A] = [C]
avremmo potuto scrivere:
◦
CA
− [A] =
1
[D]
3
E’ piuttosto semplice convincersi che questa equazione si puo’ ottenere da
una combinazione delle equazioni del sistema finale (fatelo!).
1.13
Il trattamento approssimato dei problemi
di equilibrio
91. Nelle sezioni precedenti spero di avervi convinto che i problemi di equilibrio
si possono trattare in modo rigoroso e sistematico: una volta individuate le
reazioni chimiche indipendenti, si scrivono le espressioni della legge dell’azione
di massa, i bilanci di massa e/o carica e si arriva sempre ad un sistema di
equazioni ben posto, in cui il numero di equazioni e’ uguale al numero delle
incognite da trovare.
42
92. Questo metodo, tuttavia, ha lo svantaggio, a cui abbiamo gia’ accennato,
che molto raramente il sistema di equazioni a cui si arriva e’ risolvibile per via
analitica: praticamente sempre bisogna ricorrere ad una soluzione numerica, il
che vuol dire che bisogna conoscere un algoritmo per la soluzione numerica di
sistemi non lineari e programmare questo algoritmo in un computer. Tutto cio’
non sempre e’ facile o agevole.
93. In questa e nelle sezioni seguenti introdurremo un metodo approssimato per
trattare i problemi di equilibrio.
Lapalissianamente, un metodo approssimato non e’ rigoroso, e questo rappresenta il suo svantaggio.
Tuttavia, il metodo che introdurremo ha l’enorme vantaggio di consentire il
trattamento di un problema di equilibrio in modo estremamente veloce e senza
alcun bisogno di ricorrere a metodi numerici: cio’ che serve e’ semplicemente un
foglio di carta e una matita.
A questo va aggiunto che le approssimazioni del metodo introducono degli
errori che generalmente sono trascurabili per tutti gli scopi usuali.
1.13.1
L’approssimazione dell’equilibrio prevalente
94. Una prima approssimazione che molto spesso e’ possibile fare viene talvolta
citata come approssimazione dell’“equilibrio prevalente”.
L’idea di base e’ molto semplice: se fra tutte le reazioni indipendenti che
avvengono in un dato sistema chimico una ha una costante di equilibrio molto
maggiore delle altre e i suoi reagenti non sono troppo diluiti, si puo’ assumere
che i cambiamenti di concentrazione dovuti alle altre reazioni siano trascurabili
rispetto a quelli dovuti alla reazione con costante di equilibrio molto maggiore.
Detto in altri termini, si puo’ assumere che tutto funzioni come se avvenisse
solo la reazione con costante di equilibrio grande e tutte le altre non avessero
luogo.
95. Vediamo subito un esempio concreto di applicazione di questa approssimazione, che sicuramente avete gia’ visto. Consideriamo la ionizzazione dell’acido
acetico in soluzione acquosa. L’acido acetico e’ l’acido debole per antonomasia;
e’ un acido organico monoprotico la cui formula di struttura e’:
H3 C
O
C1
11
O
H
Siccome ad un esame ho sentito dire che l’acido acetico e’ un acido tetraprotico (evidentemente perche’ nella formula ci sono 4 atomi di idrogeno), lo
metto qui, nero su bianco: in soluzione acquosa l’acido acetico e’ un acido monoprotico; il protone interessato alla ionizzazione e’ quello in grassetto nella
formula di struttura; i tre atomi di idrogeno legati all’atomo di carbonio non
hanno caratteristiche acide apprezzabili in acqua.
La reazione di ionizzazione acida dell’acido acetico e’ rappresentata dalla
seguente equazione:
43
H3 C
O
C1
11
=
H3 C
O
C1
1
O−
H
O
+ H+
La costante di ionizzazione acida dell’acido acetico e’ KA = 1.8 × 10−5 .
◦
96. Consideriamo una soluzione di acido acetico di concentrazione iniziale CHA
=
0.1 mol/L (indichiamolo concisamente con HA).
Abbiamo gia’ visto questo caso in generale alla sezione 1.5.2 e il sistema
completo per la risoluzione del problema e’:
KA
=
KW
=
◦
CHA
+
=
H
=
[A− ] [H + ]
[HA]
+ OH −
H
[HA] + A−
OH − + A−
97. Applichiamo ora l’approssimazione dell’equilibrio prevalente: il rapporto
fra KA e KW vale:
KA
KW
=
=
1.8 × 10−5
1.0 × 10−14
1.8 × 109
cioe’, la costante di ionizzazione acida dell’acido acetico e’ quasi due miliardi di
volte piu’ grande della costante di autoprotolisi dell’acqua. Come detto sopra,
proviamo quindi ad assumere che l’equilibrio di autoionizzazione dell’acqua non
avvenga.
98. Quali sono le conseguenze di questa assunzione? Essenzialmente ce ne e’
una sola: possiamo assumere che la concentrazione degli ioni che provengono
dall’autoionizzazione dell’acqua sia nulla.
Come si modifica il sistema su scritto sotto l’ipotesi semplificativa fatta?
In pratica sparisce l’espressione della legge dell’azione di massa per l’acqua e
sparisce la concentrazione di ioni ossidrile dalle incognite (perche’ l’unica fonte
di ioni ossidrile e’ l’acqua). In definitiva il sistema si riduce a:
KA
=
◦
CHA
=
+
H
=
[A− ] [H + ]
[HA]
[HA] + A−
−
A
(1.18)
(1.19)
99. Vedete che il bilancio di massa per la concentrazione totale del frammento
A e’ rimasta invariata, mentre il bilancio di carica afferma ora che le concentrazioni di equilibrio degli ioni idronio e degli ioni acetato sono uguali; questo
44
e’ perfettamente in accordo con l’ipotesi fatta: se trascuriamo l’autoprotolisi
dell’acqua, non ci sono ioni OH − da considerare e gli ioni idrogeno e acetato si
formano solo dall’equilibrio di ionizzazione dell’acido acetico; le loro concentrazioni rimangono in ogni istante nel rapporto stechiometrico di 1 : 1 (questo non
sarebbe vero se si considerasse anche l’autoionizzazione dell’acqua, perche’ in
tal caso gli ioni acetato si formerebbero solo dall’acido acetico, mentre gli ioni
idronio si formerebbero sia dall’acido acetico che dall’acqua).
Notate che il bilancio di carica e’ diventato identico (sotto l’ipotesi fatta) al
bilancio di massa per le specie H + e A− derivante dalla stechiometria dell’unica
reazione che le produce.
L’approssimazione dell’equilibrio prevalente ha semplificato il problema originario da un problema di 4 equazioni in 4 incognite ad un problema di solo
3 equazioni in 3 incognite. Anche la soluzione del sistema diventa molto piu’
semplice. La terza equazione esprime [A− ] in funzione di [H + ]. Sostituendo la
terza equazione nella seconda ed isolando [HA] si ottiene:
[HA] =
◦
CHA
− H+
Sostituendo le espressioni per [A− ] e [HA] cosi’ trovate nella prima equazione
e riordinando si arriva facilmente a:
H+
2
◦
+ KA H + − KA CHA
= 0
che e’ un’equazione di secondo grado, risolvibile con carta e matita (se ritornate
alla soluzione rigorosa della sezione 1.5.2 vedrete che in quel caso l’equazione
finale era di terzo grado).
1.13.2
Il metodo della tabella
100. Nella sezione precedente abbiamo introdotto l’approssimazione dell’equilibrio prevalente e abbiamo messo in evidenza le implicazioni di tale approssimazione nell’ambito del trattamento rigoroso che avevamo gia’ discusso.
101. Tuttavia, quando ci si riduce a trattare un singolo equilibrio, esiste
un metodo molto veloce e semplice per ottenere le concentrazioni incognite.
Probabilmente, anche questo lo avete gia’ incontrato.
102. Gli stadi principali di questo procedimento possono essere cosi’ schematizzati in generale:
1. Scrivete l’equazione che rappresenta la reazione considerata e assicuratevi
che sia correttamente bilanciata
2. Sulla riga sottostante riportate per ciascun partecipante alla reazione, la
corrispondente concentrazione (o pressione parziale) iniziale. Questa riga
indica le condizioni iniziali e viene contrassegnata con t = 0. E’ importante avere un’idea chiara di cosa vuol dire “condizioni iniziali”: in tali
condizioni, tutti i componenti del sistema in esame sono stati mescolati,
ma non hanno ancora cominciato a reagire
3. Valutate il verso in cui procedera’ la reazione per raggiungere l’equilibrio.
Questo dipende chiaramente dalle concentrazioni iniziali: ad esempio, se
45
la concentrazione (o pressione parziale) di un partecipante alla reazione
e’ nulla allora la reazione evolvera’ necessariamente nel verso che porta
alla sua formazione. Se nessuna concentrazione iniziale e’ nulla, si deve
valutare il quoziente di reazione e confrontarlo con la costante di equilibrio.
Oppure, sfruttando la proprieta’ discussa alla sezione 1.11, a partire dalle
condizioni iniziali date si possono costruire nuove condizioni iniziali in cui
una o piu’ concentrazioni iniziali siano nulle e quindi il verso della reazione
sia inequivocabile.
4. Ora scegliete un’incognita: potrebbe essere la concentrazione di un componente all’equilibrio oppure la quantita’ di un componente che viene consumata o prodotta per il raggiungimento dello stato di equilibrio. Siete
completamente liberi nella scelta dell’incognita
5. A questo punto utilizzate la stechiometria della reazione per esprimere
tutte le concentrazioni di equilibrio in funzione dell’incognita che avete
scelto; riportate tali concentrazioni su una riga successiva, contraddistinta
da t = ∞ (questa notazione sta ad indicare che e’ trascorso tutto il tempo
necessario al raggiungimento dell’equilibrio)
6. Se un partecipante alla reazione e’ un solido o un liquido puro, oppure e’ il
solvente di una soluzione diluita, non serve considerarlo, poiche’ esso non
entra nella legge dell’azione di massa (punto 6)
7. Inserite le concentrazioni di equilibrio (tutte espresse in funzione dell’incognita che avete scelto al punto 4) nella legge dell’azione di massa: in tal
modo otterrete un’equazione da cui potrete ricavare il valore numerico dell’incognita (attenzione: non sempre l’equazione che si ottiene e’ risolvibile
in modo semplice)
8. Se l’equazione ammette piu’ soluzioni (ad esempio un’equazione di secondo
grado o superiore) deve essere possibile scartare tutte le soluzioni tranne
una (molto spesso, ad esempio, solo una soluzione e’ positiva mentre le
altre sono tutte negative e quindi non hanno significato fisico se l’incognita
scelta era una concentrazione)
9. Infine, sostituite a ritroso il valore numerico ottenuto nelle varie espressioni delle concentrazioni finali (quelle a t = ∞) per trovare tutte le altre
concentrazioni di equilibrio
103. Puo’ sembrare complicato, ma non lo e’ (e sicuramente lo avete gia’
utilizzato).
Applichiamo il procedimento punto per punto alla ionizzazione dell’acido
acetico. Abbiamo visto che l’approssimazione dell’equilibrio prevalente ci consente di considerare solo l’equilibrio di ionizzazione dell’acido.
Allora:
1. Scriviamo l’equazione chimica da trattare e bilanciamola:
HA =
46
H + + A−
2. Scriviamo la riga delle condizioni iniziali:
t=0
HA
◦
CHA
=
H+
0
+A−
0
3. Valutiamo il verso in cui procedera’ la reazione. Siccome le concentrazioni
iniziali degli ioni H + e A− sono entrambe nulle, e’ banale osservare che la
reazione procedera’ verso destra.
4. Scegliamo un’incognita. Come detto, siamo completamente liberi nella scelta. Ad esempio, prendiamo come incognita la concentrazione di
equilibrio degli ioni H + , che indicheremo con x.
5. Ora esprimiamo tutte le concentrazioni di equilibrio in funzione dell’incognita scelta. A questo scopo, e’ sufficiente sfruttare la stechiometria
della reazione; notate che questo e’ possibile grazie al fatto che stiamo
considerando un unico equilibrio.
Nel caso in esame, le cose sono particolarmente semplici. Avendo indicato
con x la concentrazione di equilibrio degli ioni H + e osservando che gli
ioni H + e A− vengono formati in rapporto 1 : 1, e’ ovvio che anche la
concentrazione di equilibrio degli ioni A− dovra’ essere uguale a x. Per la
concentrazione di equilibrio dell’acido acetico indissociato, basta osservare
che essa sara’ uguale a quella iniziale diminuita della concentrazione che ha
reagito; ma quest’ultima, sempre in virtu’ del rapporto stechiometrico 1 : 1
fra acido acetico indissociato e ioni H + , e’ uguale alla concentrazione di
equilibrio di questi ultimi, cioe’ di nuovo x; in definitiva, la concentrazione
◦
di equilibrio dell’acido acetico indissociato e’ CHA
− x.
Riportiamo le concentrazioni di equilibrio espresse in funzione di x su una
seconda riga, contraddistinta da t = ∞:
HA
=
◦
t=0
CHA
◦
t = ∞ CHA
−x
H+
0
x
+A−
0
x
6. Nella reazione in esame non ci sono partecipanti che siano solidi o liquidi
puri.
7. Ora inseriamo le espressioni trovate per le concentrazioni di equilibrio nella
legge dell’azione di massa:
KA
=
=
Riordiniamo:
47
[H + ] [A− ]
[HA]
xx
◦
CHA − x
KA
=
x2
◦
CHA
−x
= x2
= x2
◦
KA (CHA
− x)
◦
KA CHA
− KA x
◦
x2 + KA x − KA CHA
= 0
x
=
−KA ±
p
2 + 4K C ◦
KA
A HA
2
8. L’equazione ammette 2 soluzioni per x, ma, chiaramente, quella corrispondente al segno negativo davanti al radicale e’ negativa e quindi va scartata
(ricordate che x e’ una concentrazione e quindi non puo’ essere negativa).
Quindi rimane una sola possibilita’:
x =
=
=
−KA +
p
2 + 4K C ◦
KA
A HA
2 q
−1.8 × 10−5 +
2
(1.8 × 10−5 ) + 4 × 1.8 × 10−5 × 0.1
2
1.33 × 10−3 mol/L
9. Non resta che sostituire a ritroso per trovare le altre concentrazioni di equilibrio. La concentrazione di equilibrio degli ioni A− e’ banalmente uguale
al valore numerico appena trovato. Per la concentrazione di equilibrio
dell’acido acetico indissociato si avra’:
[HA] =
=
=
◦
CHA
−x
0.1 − 1.33 × 10−3
9.867 × 10−2 mol/L
104. In pratica, il metodo della tabella ora visto e’ un’applicazione “rapida”
del trattamento rigoroso nel caso di una singola reazione. Se abbiamo a che
fare con una sola reazione, il metodo rigoroso prevede un sistema di equazioni
contenente l’espressione della legge dell’azione di massa e tutti i possibili bilanci
di massa. Allora, con l’aiuto della tabella, si utilizzano automaticamente tutte le
equazioni di bilancio di massa per esprimere tutte le concentrazioni di equilibrio
in funzione di una sola di esse (o comunque in funzione di un’unica incognita
da cui tutte le concentrazioni di equilibrio dipendono). Infine, come ultimo
step, si inseriscono le espressioni cosi’ determinate nella legge dell’azione di
massa. Se riguardate la sezione 1.13.1 dovrebbe esservi chiaro che nello scrivere
la riga corrispondente a t = ∞ della nostra tabella non abbiamo fatto altro che
applicare le due equazioni del bilancio di massa 1.18 e 1.19.
Facciamo ora qualche puntualizzazione, restando nell’esempio appena considerato.
48
Condizioni iniziali
105. Al punto 102 (punto 2 della procedura generale) abbiamo sottolineato
l’importanza di capire bene cosa significa “condizioni iniziali” di un sistema di
equilibrio. Lo ripetiamo in questa sezione e cerchiamo di chiarirlo ulteriormente
con un esempio.
L’istante t = 0 a cui tutte le reazioni di un sistema chimico iniziano ad avvenire (in tale istante, in generale, il sistema NON e’ all’equilibrio) va interpretato
nel modo seguente: tutti i componenti del sistema chimico sono stati messi a
contatto e il sistema e’ omogeneo, ma nessuna reazione e’ ancora iniziata.
Il concetto non e’ puramente teorico, ma ha delle implicazioni “concrete”
sull’impostazione dei calcoli. Per esemplificare, consideriamo il caso in cui un
volume VA◦ di una soluzione contenente il reagente A in concentrazione formale
◦
CA
viene mescolato con un volume VB◦ di una soluzione contenente il reagente
◦
B in concentrazione formale CB
.
A e B reagiscono secondo la seguente equazione:
A+B
= C
In questo caso, le concentrazioni iniziali da considerare per A e B NON sono
◦
◦
CA
e CB
, rispettivamente, perche’ dopo il mescolamento delle due soluzioni, il
volume totale e’ aumentato e quindi entrambe le concentrazioni date sono di∗
∗
minuite. E’ facile realizzare che le concentrazioni CA
e CB
dopo mescolamento
sono date da:
∗
CA
=
∗
CB
=
◦ ◦
CA
VA
◦
VA + VB◦
◦ ◦
CB
VB
VA◦ + VB◦
e queste sono le condizioni iniziali da considerare. Quindi la tabella per il
trattamento del problema sara’ (scegliendo come incognita la concentrazione di
equilibrio del prodotto C):
t=0
t=∞
A
+B
◦
CA
VA◦
VA◦ +VB◦
◦
CB
VB◦
VA◦ +VB◦
◦
CA
VA◦
VA◦ +VB◦
−x
◦
CB
VB◦
VA◦ +VB◦
=
−x
C
0
x
La scelta dell’incognita e’ arbitraria
106. Come abbiamo detto, la scelta dell’(unica) incognita del problema e’ completamente arbitraria, purche’, naturalmente, i bilanci di massa basati su di essa
siano fatti in modo corretto.
Per chiarire meglio questo punto, riprendiamo l’esempio dell’acido acetico e
scegliamo come incognita la concentrazione di acido acetico all’equilibrio.
La tabella si modifica nel modo seguente:
49
HA
◦
t = 0 CHA
t=∞
x
=
H+
0
?
+A−
0
?
Cosa dobbiamo mettere in questo caso al posto dei punti di domanda?
Basta sempre tenere presente la stechiometria della reazione. Innazitutto
vale sempre la considerazione che le concentrazioni di equilibrio degli ioni H + e
A− devono essere uguali.
Avendo posto la concentrazione di equilibrio dell’acido indissociato uguale a
x, possiamo dire che la concentrazione di equilibrio degli ioni H + sara’ uguale
alla concentrazione di acido che ha reagito; questa sara’ la differenza fra la
concentrazione iniziale e quella rimasta (che e’ x). Quindi:
HA
◦
t = 0 CHA
t=∞
x
=
H+
+A−
0
0
◦
◦
CHA
− x CHA
−x
Inseriamo le concentrazioni di equilibrio nella legge dell’azione di massa e
risolviamo rispetto all’incognita:
KA
=
=
=
KA x =
KA x =
◦
x2 − x (2CHA
+ KA ) + C ◦ 2HA
=
x =
[H + ] [A− ]
[HA]
◦
◦
(CHA
− x) (CHA
− x)
x
◦
(CHA
− x)2
x
2
◦
(CHA
− x)
◦
x
C ◦ 2HA + x2 − 2CHA
0
◦
2CHA
+ KA ±
q
2
◦
(2CHA
+ KA ) − 4C ◦ 2HA
2
In questo caso, delle 2 possibili soluzioni, quella corrispondente al segno positivo davanti al radicale va scartata. Infatti il valore numerico di x sarebbe
◦
maggiore di CHA
e cio’ ovviamente non puo’ essere perche’ x e’ la concentrazione di equilibrio dell’acido indissociato e quindi deve essere minore del suo
valore iniziale!
Quindi:
x =
=
=
◦
2CHA
+ KA −
q
◦
(2CHA
+ KA )2 − 4C ◦ 2HA
2 q
2 × 0.1 + 1.8 × 10−5 − (2 × 0.1 + 1.8 × 10−5 )2 − 4 × 0.12
2
9.867 × 10
−2
mol/L
50
che coincide col risultato trovato in precedenza con l’altra scelta dell’incognita.
Naturalmente, per la concentrazione comune degli ioni H + e A− , si avra’:
+ −
H = A
◦
CHA
−x
=
0.1 − 9.87 × 10−2
1.33 × 10−3 mol/L
=
=
Condizioni iniziali equivalenti
107. Le considerazioni fatte alla sezione 1.11 (dove consideravamo proprio la
ionizzazione di un acido debole) valgono anche per il metodo della tabella: in fin
dei conti, avevamo visto che la possibilita’ di cambiare le condizioni iniziali con
delle nuove condizioni iniziali equivalenti dipende solo dal fatto che il bilancio di
massa rimane inalterato e nel metodo della tabella si fa uso proprio del bilancio
di massa (oltre che della legge dell’azione di massa).
Verifichiamo che tutto funziona anche se partiamo da delle condizioni iniziali
diverse (ma equivalenti a quelle date!).
108. Ad esempio, immaginiamo di spostare idealmente la reazione completamente verso destra. Sotto tale ipotesi, tutto l’acido acetico verra’ consumato e
◦
si otterra’ una concentrazione pari a CHA
sia di ioni idrogeno che di ioni acetato.
Prendendo queste come condizioni iniziali, si avra’:
HA =
t=0
0
H+
◦
CHA
+A−
◦
CHA
Ovviamente, in questa ipotesi la reazione procedera’ verso sinistra, perche’
la concentrazione iniziale di acido acetico e’ nulla.
Prendiamo come incognita la concentrazione di acido acetico all’equilibrio;
dovreste realizzare facilmente che la tabella delle concentrazioni in questo caso
sara’:
t=0
t=∞
HA =
H+
+A−
◦
◦
0
CHA
CHA
◦
◦
x
CHA − x CHA − x
A questo punto non serve neppure continuare: l’espressione delle concentrazioni di equilibrio e’ identica a quella vista al punto 106 e quindi il risultato non
puo’ che essere lo stesso.
Troviamo anche le altre concentrazioni
109. Abbiamo visto che l’approssimazione dell’equilibrio prevalente consente di
ridurre un problema di piu’ reazioni simultanee ad un problema piu’ semplice
di una sola reazione. Col metodo della tabella, poi, il trattamento della singola
reazione risulta semplice e veloce.
In questa sezione facciamo vedere che il metodo approssimato non solo ci
consente di ricavare le concentrazioni di equilibrio delle specie che prendono
parte all’unica reazione considerata, ma ci fornisce anche i valori (approssimati)
delle concentrazioni di equilibrio di tutte le specie chimiche presenti nel sistema.
110. Riprendiamo il nostro esempio dell’acido acetico. Abbiamo ricavato le
concentrazioni (approssimate) di equilibrio dell’acido acetico indissociato, degli
51
ioni idrogeno e degli ioni acetato. Gli ioni ossidrile non partecipano alla reazione
di ionizzazione acida dell’acido acetico e quindi non sono stati considerati.
Tuttavia, sfruttando l’approssimazione dell’equilibrio prevalente, ci siamo
ricavati un valore (approssimato) per la concentrazione di equilibrio degli ioni
H +.
Ora: alla sezione 1.5.1 si era visto che quando un sistema, per quanto complesso, raggiunge lo stato di equilibrio, tutte le reazioni sono all’equilibrio e
per ciascuna vale la legge dell’azione di massa. Nel caso presente, cio’ significa
che, all’equilibrio, la legge dell’azione di massa per l’autoionizzazione dell’acqua
deve essere valida (anche se abbiamo ignorato questa reazione nell’ambito dell’approssimazione dell’equilibrio prevalente). In buona sostanza, possiamo dire
che deve valere la seguente relazione:
KW
=
H+
OH −
Ma allora, inserendo il valore di [H + ] in nostro possesso nell’espressione del
prodotto ionico dell’acqua, possiamo ricavare un valore approssimato anche per
la concentrazione di equilibrio degli ioni [OH − ]:
OH −
KW
[H + ]
1.0 × 10−14
=
1.33 × 10−3
= 7.52 × 10−12 mol/L
=
Verifichiamo la validita’ dell’approssimazione
111. Avendo trovato il valore approssimato per la concentrazione di equilibrio
degli ioni OH − nella sezione precedente siamo ora in grado di verificare la
validita’ dell’approssimazione di cui abbiamo fatto uso.
112. Questo e’ un punto molto importante e di carattere generale. Molto spesso
(direi quasi sempre) nei problemi di equilibrio si fanno una o piu’ assunzioni
semplificative (abbiamo visto l’esempio dell’equilibrio prevalente). E’ essenziale
che, dopo aver ottenuto i risultati approssimati, si verifichi con essi che tutte le
approssimazioni fatte erano valide.
113. Se tornate al punto 98 vedrete che l’approssimazione dell’equilibrio prevalente per la ionizzazione dell’acido acetico consiste in pratica nel considerare
trascurabile la concentrazione degli ioni H + e OH − provenienti dall’autoionizzazione dell’acqua. Ora possiamo valutare la bonta’ di questa approssimazione.
Per la concentrazione di equilibrio degli ioni OH − abbiamo ottenuto il valore
di 7.52 × 10−12 : questo e’ effettivamente un valore molto piccolo se confrontato
coi valori delle concentrazioni di equilibrio delle specie HA, A− e H + coinvolte
nell’equilibrio prevalente.
114. Possiamo vedere la stessa cosa da un altro punto di vista.
Al punto 98 si e’ visto che una conseguenza dell’approssimazione dell’equilibrio prevalente era il bilancio 1.19:
H+
=
52
−
A
Cio’ e’ equivalente ad assumere che tutti gli ioni idrogeno della soluzione
provengano solo dalla ionizzazione dell’acido acetico, mentre quelli provenienti
dall’autoionizzazione dell’acqua siano in quantita’ trascurabile.
Per ovvi motivi stechiometrici, la concentrazione di ioni OH − e’ anche numericamente uguale alla concentrazione di quella parte degli ioni H + che provengono dall’autoionizzazione dell’acqua. Quindi siamo ora in grado di valutare quantitativamente la validita’ dell’approssimazione di aver trascurato la
concentrazione degli ioni idrogeno provenienti dall’autoionizzazione dell’acqua:
[H + ]da acido acetico
[H + ]da acqua
=
=
1.33 × 10−3
7.52 × 10−12
1.77 × 108
Cioe’: la concentrazione di ioni idrogeno provenienti dalla ionizzazione dell’acido acetico e’ piu’ di cento milioni di volte maggiore di quella proveniente
dall’autoionizzazione dell’acqua.
Questo significa che un’eventuale correzione del valore approssimato ottenuto
avrebbe effetto sulla nona o decima cifra significativa: raramente serve conoscere
una concentrazione con piu’ di tre o quattro cifre significative.
1.33 × 10−3
=
7.52 × 10−12
=
0.00133000000000
^^^
|||
vvv
0.00000000000752
La concentrazione dei reagenti non deve essere troppo bassa
115. Al punto 94 e’ stata introdotta l’approssimazione dell’equilibrio prevalente. Le condizioni per poterla applicare sono due:
1. la costante di equilibrio di una delle reazioni indipendenti deve esere molto
maggiore di tutte le altre e
2. i partecipanti a questa reazione non devono essere in concentrazione troppo
bassa
In questa sezione vogliamo chiarire meglio il secondo punto. In pratica: se
anche una reazione ha una costante di equilibrio molto maggiore delle altre (e
quindi il corrispondente equilibrio e’ molto piu’ spostato verso destra), ma la
concentrazione dei reagenti e’ molto piccola, allora non e’ piu’ vero che i cambiamenti di concentrazione dovuti alle altre reazioni possono essere trascurati e
l’approssimazione dell’equilibrio prevalente non e’ applicabile.
116. Rendiamoci conto di questo aspetto con un esempio numerico.
◦
Supponiamo che la concentrazione iniziale del nostro acido acetico sia CHA
=
−7
◦
1.0 × 10 mol/L invece che CHA = 0.1 mol/L e ripetiamo il calcolo approssimato.
HA
=
◦
t=0
CHA
◦
t = ∞ CHA
−x
53
H+
0
x
+A−
0
x
KA
◦
KA (CHA
− x)
◦
KA CHA
− KA x
◦
x2 + KA x − KA CHA
=
x2
◦
CHA
−x
= x2
= x2
= 0
x
=
x
=
=
p
2 + 4K C ◦
KA
A HA
2
p
2 + 4K C ◦
−KA + KA
A HA
2 q
−KA ±
−1.8 × 10−5 +
= 9.95 × 10
−8
(1.8 × 10−5 )2 + 4 × 1.8 × 10−5 × 1.0 × 10−7
2
mol/L
Il risultato e’ paradossale! Abbiamo aggiunto all’acqua un acido (anche
se in concentrazione piccolissima) e la concentrazione degli ioni idrogeno e’
diminuita rispetto a quella di equilibrio in acqua pura: questo non puo’ essere!
Possiamo ricavare la concentrazione di equilibrio degli ioni ossidrile:
OH − =
=
=
KW
[H + ]
1.0 × 10−14
9.95 × 10−8
1.01 × 10−7 mol/L
Come vedete, la concentrazione degli ioni OH − risulta addirittura maggiore di quella degli ioni H + . Detto in altre parole, la concentrazione degli ioni H + provenienti dall’autoionizzazione dell’acqua (numericamente uguale alla
concentrazione degli ioni OH − per motivi stechiometrici) e’ maggiore di quella
proveniente dall’acido acetico (nonostante che sia KA ≫ KW ):
+
H da acqua = 1.01 × 10−7
>
H + da acido acetico = 9.95 × 10−8
il che mostra di nuovo che in queste condizioni l’approssimazione dell’equilibrio
prevalente non e’ applicabile.
1.13.3
Ulteriori semplificazioni quando K → 0 o K → ∞
117. Dopo aver ridotto il problema a una sola reazione con l’approssimazione
dell’equilibrio prevalente, e’ generalmente possibile applicare ulteriori semplificazioni basate sul valore della costante di equilibrio.
118. In pratica si possono presentare due casi:
1. La costante di equilibrio e’ molto piccola:
54
K
→ 0
In questo caso, nello scrivere alcune delle concentrazioni di equilibrio nel
metodo della tabella, si puo’ assumere che la reazione in pratica non
avvenga.
2. La costante di equilibrio e’ molto grande:
K
→ ∞
In questo caso, nello scrivere alcune delle concentrazioni di equilibrio
nel metodo della tabella, si puo’ assumere che la reazione in pratica sia
completa.
Vedremo come si applicano queste semplificazioni con degli esempi.
119. Prima, pero’, chiariamo un punto. Potrebbe venire da pensare: “Nel
caso K → 0 l’applicazione dell’approssimazione dell’equilibrio prevalente non
e’ possibile”. In realta’ vedremo che esistono moltissimi sistemi di equilibrio di
uso comune in cui una delle costanti di equilibrio e’ sufficientemente grande
da permettere l’approssimazione dell’equilibrio prevalente, ma al tempo stesso
sufficientemente piccola da consentire le ulteriori approssimazioni trattate in
questa sezione. Uno di questi casi e’ proprio la ionizzazione dell’acido acetico che
abbiamo preso come esempio nelle sezioni precedenti. Come abbiamo visto, il
valore della costante di ionizzazione KA e’ piu’ di un miliardo di volte maggiore
del valore della costante di autoionizzazione dell’acqua (l’unica altra reazione
indipendente presente in questo sistema):
KA
KW
=
1.8 × 109
e cio’ consente di applicare l’approssimazione dell’equilibrio prevalente.
Tuttavia, se e’ vero che la costante di ionizzazione KA e’ grande rispetto alla costante KW , il suo valore numerico “assoluto” e’ pur sempre molto piccolo:
1.8 × 10−5 (≈ un centomillesimo). Cio’ significa che la reazione di ionizzazione acida dell’acido acetico e’ comunque molto poco spostata verso destra (pur
rimanendo molto piu’ spostata verso destra della reazione di autoionizzazione
dell’acqua). Cio’ consente di applicare l’approssimazione K → 0 che stiamo
trattando.
In conclusione: sono molti i casi in cui una costante e’ molto piu’ grande
delle altre (→ equilibrio prevalente), ma il suo valore numerico rimane comunque
piccolo (K → 0).
Ovviamente, il caso in cui una costante di equilibrio contemporaneamente sia
molto maggiore delle altre e abbia un valore numerico molto grande in assoluto
non pone alcun problema di “paradosso”: sia l’approssimazione dell’equilibrio
prevalente che l’approssimazione K → ∞ sono applicabili “senza riserve”.
55
Il caso K → 0
120. Riprendiamo il problema della ionizzazione dell’acido acetico (concentra◦
zione iniziale: CHA
= 0.1 mol/L, KA = 1.8 × 10−5 ).
Abbiamo gia’ visto che l’approssimazione dell’equilibrio prevalente e il metodo della tabella portano a:
HA
=
◦
t=0
CHA
◦
t = ∞ CHA
−x
H+
0
x
+A−
0
x
Quale ulteriore semplificazione possiamo operare basandoci sul fatto che la
costante di equilibrio e’ comunque un numero molto piccolo?
Se la costante di equilibrio e’ piccola, la reazione si spostera’ molto poco
verso destra per raggiungere l’equilibrio, cioe’ la concentrazione di acido acetico
(HA) consumata sara’ molto piccola, cioe’ x sara’ un numero molto piccolo
◦
(x → 0), cioe’ x si potra’ assumere trascurabile rispetto a CHA
, cioe’:
◦
CHA
−x ≈
◦
CHA
e questa e’ l’approssimazione che il valore molto piccolo della costante di equilibrio ci consente di fare.
Col che la tabella si semplifica in questo modo:
HA
◦
t = 0 CHA
◦
t = ∞ CHA
=
H+
0
x
+A−
0
x
Ora la risoluzione del problema rispetto a x e’ ancora piu’ semplice:
KA
=
x2
=
x =
=
=
x2
◦
CHA
◦
CHA
KA
p
◦
CHA KA
p
0.1 × 1.8 × 10−5
1.34 × 10−3 mol/L
121. Confrontate questo valore con il valore ottenuto applicando solo l’approssimazione dell’equilibrio prevalente (punto 103): i due valori differiscono solo di
una unita’ sulla terza cifra significativa. Il valore piu’ approssimato differisce
per meno dell’1% dal valore meno approssimato:
1.34 × 10−3 − 1.33 × 10−3
100 ×
1.33 × 10−3
=
0.75 %
Cio’ e’ ampiamente accettabile per tutti gli scopi comuni.
122. Facciamo alcune considerazioni:
56
• Analogamente a quanto visto al punto 110, possiamo inserire il valore approssimato ottenuto per la concentrazione di equilibrio degli ioni H + nella
legge dell’azione di massa per l’autoionizzazione dell’acqua per trovare la
concentrazione di equilibrio degli ioni OH − :
H2 O
= H + + OH −
H + OH −
KW
[H + ]
1.0 × 10−14
1.34 × 10−3
7.46 × 10−12 mol/L
KW =
OH − =
=
=
da confrontare col valore 7.52 × 10−12 mol/L trovato con la sola approssimazione dell’equilibrio prevalente (punto 110). I due valori differiscono
per meno dell’1%:
7.46 × 10−12 − 7.52 × 10−12
100 ×
7.52 × 10−12
=
−0.80%
• Come gia’ accennato, anche in questo caso possiamo verificare la bonta’
dell’approssimazione applicata.
Il valore numerico di x trovato, 1.34 × 10−3 , e’ effettivamente circa 100
◦
volte piu’ piccolo di CHA
:
1.34 × 10−3
0.1
= 1.34 × 10−2
• Siccome il trattamento mostrato qui poggia comunque sull’approssimazione dell’equilibrio prevalente, bisogna sempre controllare che la concentrazione iniziale non sia troppo piccola (ma questo accade raramente nei
casi comuni). Ad esempio, se ripetiamo il procedimento assumendo una
◦
concentrazione iniziale di acido acetico CHA
= 1.0 × 10−4 , otteniamo:
KA
=
x2
=
x =
=
=
x2
◦
CHA
C ◦ KA
pHA
C ◦ KA
p HA
1.0 × 10−4 × 1.8 × 10−5
4.24 × 10−5 mol/L
57
◦
In questo caso x e’ solo circa la meta’ di CHA
, il che rende inapplicabile
l’approssimazione.
4.24 × 10−5
1.0 × 10−4
=
0.4
Il caso K → ∞
123. Per illustrare questo caso non possiamo trattare la ionizzazione dell’acido
acetico perche’ la costante di ionizzazione KA non e’ certo un numero grande.
124. Consideriamo invece la neutralizzazione dell’acido acetico con idrossido
di sodio. L’idrossiodo di sodio e’ completamente ionizzato e la specie che
effettivamente reagisce con l’acido acetico e’ lo ione ossidrile:
HA + OH −
=
A− + H2 O
E’ banale rendersi conto che la costante di equilibrio di questa reazione e’
data da:
K
=
KA
KW
(la reazione e’ l’inversa della ionizzazione basica dello ione acetato: K = 1/KB =
1/ (KW /KA ) = KA /KW ).
A causa del termine KW = 1.0 × 10−14 al denominatore, il valore della
costante e’ molto grande:
K
1.8 × 10−5
1.0 × 10−14
= 1.8 × 109
=
E’ anche facile rendersi conto che in questo sistema di equilibrio ci sono solo
due reazioni indipendenti:
HA + OH −
H2 O
=
=
A− + H2 O
H + + OH −
(ad esempio, la ionizzazione dell’acido acetico si ottiene sommando le due equazioni su scritte e quindi non e’ indipendente)
Allora, prima di tutto possiamo dire che l’approssimazione dell’equilibrio
prevalente e’ applicabile: la costante K e’ ≈ 1023 volte maggiore di KW :
K
KW
=
=
1.8 × 109
1.0 × 10−14
1.8 × 1023
Quindi possiamo limitarci a considerare il solo equilibrio di neutralizzazione.
58
◦
◦
Indichiamo con CHA
e COH
− la concentrazione iniziale di acido acetico e
idrossido di sodio, rispettivamente, e supponiamo che sia:
◦
CHA
◦
COH
−
= 0.1 mol/L
= 0.08 mol/L
Ora applichiamo il metodo della tabella. Scegliendo come incognita la concentrazione di acetato all’equilibrio e applicando i banali bilanci di massa basati
sulla stechiometria si ha:
HA
+OH −
◦
◦
t=0
CHA
COH
−
◦
◦
t = ∞ CHA
− x COH
− − x
= A−
0
x
+H2 O
(ovviamente, non consideriamo l’acqua)
125. Il problema potrebbe essere risolto gia’ cosi’ com’e’. Inserendo le concentrazioni di equilibrio nella legge dell’azione di massa si ottiene:
K
=
◦
(CHA
x
◦
− x) COH
− − x
che e’ un’equazione di secondo grado, come potete facilmente verificare:
◦
◦
◦
◦
Kx2 − x {K (CHA
+ COH
− ) + 1} + KCHA COH −
=
0
Risolvendo rispetto a x si ottiene:
x
=
=
x1
x2
q
2
◦
◦
◦
◦
◦ C◦
+
1
±
K CHA
+ COH
K CHA
+ COH
+ 1 − 4K 2 CHA
−
−
OH −
2K

1
1.8 × 109 × (0.1 + 0.8) + 1
2 × 1.8 × 109

q
2
2
± {1.8 × 109 × (0.1 + 0.8) + 1} − 4 × (1.8 × 109 ) × 0.1 × 0.8
= 0.0799999977777781 mol/L
= 0.100000002777777 mol/L
(il motivo per cui riporto il risultato con cosi’ tante cifre apparira’ chiaro fra
breve)
Chiaramente, x2 va scartata. Infatti x e’ la concentrazione di equilibrio
degli ioni A− e quindi non puo’ essere maggiore della concentrazione iniziale
di acido acetico (non si possono formare piu’ ioni A− delle molecole di HA messe
inizialmente a reagire!).
Rimane quindi solo x1 . Possiamo quindi trovare tutte le concentrazioni di
equilibrio:
59
−
A
=
≈
0.0799999977777781 mol/l
0.080 mol/l
◦
CHA
− x1
0.1 − 0.08
[HA] =
=
=
−
=
OH
0.02 mol/L
◦
COH
− − x1
=
=
0.08 − 0.0799999977777781
2.22 × 10−9 mol/L
(ecco perche’ ho mantenuto tutte quelle cifre per x1 : se avessimo approssimato
subito a 0.08, la concentrazione di equilibrio degli ioni OH − sarebbe risultata
nulla, il che non puo’ essere mai vero!)
Infine, utilizzzando la legge dell’azione di massa per l’autoionizzazione dell’acqua, possiamo ricavare anche il valore della concentrazione di equilibrio degli
ioni H + (con un ragionamento analogo a quello svolto al punto 110):
H2 O
KW
+
H
=
=
=
=
=
H + + OH −
+ OH −
H
KW
[OH − ]
1.0 × 10−14
2.22 × 10−9
4.50 × 10−6 mol/L
Fin qui abbiamo applicato solo l’approssimazione dell’equilibrio prevalente:
nessuna considerazione e’ stata fatta sulla grandezza della costante di equilibrio.
126. Tuttavia, possiamo ulteriormente semplificare il problema osservando che
la costante di equilibrio della reazione e’ molto grande. Sotto questa ipotesi
possiamo assumere che la reazione sia completamente spostata verso destra e
quindi il calcolo delle concentrazioni di equilibrio diventa immediato.
Infatti, assumendo che la reazione sia completa, tutti gli ioni ossidrile verranno consumati (perche’ sono in difetto stechiometrico rispetto all’acido acetico),
verra’ prodotta un ugual concentrazione di ioni acetato e avanzera’ l’eccesso di
acido acetico indissociato. Rappresentando la situazione con la tabella si ha:
HA
◦
t=0
CHA
◦
◦
t = ∞ CHA − COH
−
+OH −
◦
COH
−
0
=
A−
0
◦
COH
−
+H2 O
◦
◦
(naturalmente, se avessimo supposto CHA
< COH
− tutto sarebbe stato di conseguenza: HA si sarebbe consumato completamente, sarebbe avanzato l’eccesso
di ioni OH − e si sarebbe formata una concentrazione di ione A− uguale alla
concentrazione iniziale di HA)
60
Vedete quindi che, praticamente senza fare calcoli, abbiamo trovato le concentrazioni di equilibrio (approssimate) di 2 delle 4 specie chimiche da determinare:
◦
◦
[HA] = CHA
− COH
−
= 0.1 − 0.08
−
A
= 0.02 mol/L
◦
= COH
−
= 0.08 mol/L
E cio’ grazie all’osservazione che K → ∞.
127. Si potrebbe dire che abbiamo anche un valore approssimato per la concentrazione di equilibrio degli ioni OH − : il valore nullo. Questo e’ senz’altro
vero, pero’ possiamo fare di meglio (in effetti, possiamo ben immaginare che la
concentrazione di equilibrio degli ioni OH − dovra’ essere molto piccola, pero’
ci e’ altrettanto chiaro che non potra’ mai essere nulla).
128. In un sistema chimico all’equilibrio tutte le reazioni chimiche presenti
sono contemporaneamente all’equilibrio (sezione 1.5.1). Allora, avendo le concentrazioni di equilibrio per HA e A− possiamo sfruttare la legge dell’azione
di massa per la reazione di ionizzazione acida dell’acido acetico per trovare un
valore approssimato per la concentrazione di equilibrio degli ioni H + :
HA
KA
=
=
H+
= H + + A−
[H + ] [A− ]
[HA]
[HA]
KA −
[A ]
◦
◦
CHA
− COH
−
KA
◦
COH
−
0.1 − 0.08
1.8 × 10−5
0.08
4.50 × 10−6 mol/L
=
=
=
Infine, utilizzando la legge dell’azione di massa per l’autoionizzazione dell’acqua, possiamo trovare un valore migliore del valore nullo per la concentrazione
di equilibrio degli ioni OH − :
H2 O
KW
=
=
H + + OH −
+ OH −
H
61
OH − =
=
=
KW
[H + ]
1.0 × 10−14
4.50 × 10−6
2.22 × 10−9 mol/L
Possiamo riassumere i risultati numerici ottenuti ai vari livelli di approssimazione:
conc. di eq.
[HA]
[A− ]
[OH − ]
[H + ]
esatto
2.00 × 10−2
8.00 × 10−2
2.22 × 10−9
4.50 × 10−6
solo eq. prevalente
2.00 × 10−2
8.00 × 10−2
2.22 × 10−9
4.50 × 10−6
eq. prevalente PIU’ K → ∞
2.00 × 10−2
8.00 × 10−2
2.22 × 10−9
4.50 × 10−6
Come si vede, le cose vanno decisamente bene.
Facciamo anche qui alcune considerazioni:
• Verifichiamo la validita’ dell’assunzione fatta circa la completezza della
reazione. La concentrazione di equilibrio degli ioni OH − non e’ nulla,
come dovrebbe essere se la reazione fosse veramente completa, ma poco
ci manca. La concentrazione iniziale di ioni OH − si e’ ridotta di un fattore
pari a circa cento milioni:
2.22 × 10−9
0.08
= 2.78 × 10−8
• I valori ottenuti con l’approssimazione K → ∞ coincidono, nel limite
delle cifre significative considerate, con i valori che avevamo trovato applicando solo l’approssimazione dell’equilibrio prevalente; i calcoli da fare
(manualmente) nei due casi, tuttavia, sono di peso ben diverso.
• Anche in questo caso, come in quello K → 0 visto prima, non bisogna
dimenticare che a monte di tutto c’e’ comunque l’approssimazione dell’equilibrio prevalente e quindi le concentrazioni iniziali non possono essere
troppo piccole.
Ad esempio, se rifacciamo il calcolo con:
◦
CHA
=
◦
COH
−
=
1.0 × 10−7 mol/L
0.8 × 10−7 mol/L
si ottengono i seguenti risultati:
conc. di eq.
[HA]
[A− ]
[OH − ]
[H + ]
esatto
6.1 × 10−10
9.9 × 10−8
9.1 × 10−8
1.1 × 10−7
solo eq. prevalente
2.20 × 10−8
7.80 × 10−8
1.97 × 10−9
5.07 × 10−6
62
eq. prevalente PIU’ K → ∞
2.00 × 10−8
8.00 × 10−8
2.22 × 10−9
4.50 × 10−6
Prima di tutto, vedete che le concentrazioni di equilibrio ”esatte” degli ioni H + e OH − sono confrontabili con quelle prodotte dall’autoionizzazione
dell’acqua, il che rende inapplicabile l’approssimazione dell’equilibrio prevalente: confrontate i valori della colonna “esatto” con quelli della colonna
“solo eq. prevalente”.
L’ulteriore approssimazione di assumere la reazione completa (K → ∞)
non cambia di molto la situazione (osservate, pero’ che, curiosamente, i
valori ottenuti con l’approssimazione dell’equilibrio prevalente PIU’ K →
∞ sono leggermente migliori: cio’ e’ probabilmente dovuto al fatto che
l’assunzione K → ∞ rende “un po’ meno ingiustificata” l’approssimazione
dell’equilibrio prevalente perche’, in pratica, considerando una costante di
equilibrio effettivamente infinita, rafforza la base stessa per l’assunzione
dell’equilibrio prevalente).
1.14
Schema riassuntivo
129. Ricapitoliamo quanto detto in questo capitolo sul trattamento dei problemi di equilibrio.
• Risolvere un problema “canonico” di equilibrio significa trovare tutte le
concentrazioni di equilibrio avendo come dati le concentrazioni iniziali e
le costanti di equilibrio
• E’ sempre possibile un approccio “rigoroso” che consiste nello scrivere un
sistema di equazioni contenente tutte le espressioni della legge dell’azione
di massa per le reazioni indipendenti, uno o piu’ bilanci di massa per i vari
partecipanti e un bilancio di carica (se alcuni dei partecipanti sono specie
ioniche)
• Purtroppo, quasi mai il sistema cosi’ ottenuto e’ facilmente risolvibile per
via analitica
• Per questo motivo e’ utile conoscere dei metodi approssimati che, se da
un lato non forniscono risultati “esatti”, dall’altro, pero’, consentono una
risoluzione analitica e veloce del problema.
• La prima approssimazione molto spesso applicabile e’ quella dell’equilibrio
prevalente: i requisiti per poterla applicare sono (i) che una costante di
equilibrio sia molto maggiore delle altre e (ii) che le concentrazioni dei
reagenti della corrispondente reazione non siano troppo basse
• “A valle” di questa prima approssimazione si possono spesso applicare ulteriori semplificazioni legate al valore numerico della costante di equilibrio
dell’unico processo che ci si e’ ristretti a considerare: i casi da considerare
sono essenzialmente due: (i) K → 0 e (ii) K → ∞
• In ogni caso bisogna sempre controllare che i risultati approssimati ottenuti giustifichino le approssimazioni adottate
Lo schema di approccio ad un generico problema di equilibrio e’ mostrato
nella figura 1.1.
63
problema di equilibrio
??
??


??

??



??

??


??


??

??


??


?



trattamento (piu’) aptrattamento “rigoroso”
prossimato
• legge dell’azione
di massa
approssimazione dell’equilibrio prevalente
• bilanci di massa
• bilancio di carica
sistema di equazioni
non lineare (richiede quasi sempre un
approccio numerico)
ulteriori semplificazioni
??

??

??


??


??

??


??


??


??

??


??


?

K→0
K→∞
Figura 1.1: Schema di approccio ad un problema di equilibrio chimico
64
La capacita’ tamponante
130. Per capacita’ (o potere) tamponante di una soluzione si intende la misura di quanto efficacemente la soluzione e’ in grado di contrastare le variazioni
di pH provocate dall’aggiunta di un acido o una base forte.
131. La soluzione considerata non deve essere necessariamente una soluzione
tampone: come vedremo meglio fra poco, ad esempio, soluzioni con pH molto
alto o molto basso (tipicamente soluzioni contenenti acidi forti o basi forti in
elevata concentrazione) presentano un elevato potere tamponante.
132. In questa sezione definiremo in modo quantitativo la capacita’ tamponante
e vedremo da quali parametri sperimentali dipende la capacita’ tamponante di
una soluzione tampone.
133. Data una soluzione qualsiasi, se aggiungiamo ∆CB moli per litro di una
base forte e indichiamo con ∆pH la corrispondente variazione di pH osservata,
allora una misura della capacita’ tamponante β puo’ essere convenientemente
espressa con il rapporto:
β
∆CB
∆pH
=
134. Il significato di β e’:
quanta base forte si deve aggiungere alla soluzione per provocare una
variazione unitaria di pH
β e’ effettivamente una misura del potere tamponante: β e’ tanto maggiore
quanto maggiore e’ l’efficienza della soluzione nel contrastare la variazione di
pH provocata dall’aggiunta di una base forte poiche’ un valore di β elevato
significa che e’ necessario aggiungere una concentrazione di base forte elevata
per provocare una variazione unitaria di pH.
135. Se invece di una base forte consideriamo l’aggiunta ∆CA di un acido forte,
la conseguente variazione di pH (misurata sempre come: pH dopo l’aggiunta −
pH prima dell’aggiunta ) sara’ uguale in modulo, ma negativa, perche’ l’aggiunta di un acido forte provoca una diminuzione di pH, qualsiasi sia il contenuto
di una soluzione.
Per questo motivo, conviene in questo caso definire la capacita’ tamponante
come l’opposto del rapporto prima scritto:
β
=
−
∆CA
∆pH
Questo al solo scopo di avere una definizione che a maggiore potere tamponante associ un numero maggiore.
Per chiarire meglio.
Se l’aggiunta di una concentrazione 0.15 mol/L di un acido forte alla soluzione S1 produce una variazione di pH pari a −0.94 e la stessa aggiunta di
acido forte alla soluzione S2 provoca una variazione di pH pari a −0.45, significa chiaramente che S1 ha un potere tamponante minore di S2 . Se pero’ non
introducessimo il segno meno nella definizione di β per il caso dell’aggiunta di
un acido, si avrebbe:
65
β1
=
=
β2
=
=
0.15
−0.94
−0.16
0.15
−0.45
−0.33
e quindi:
β1
> β2
cioe’ l’ordine dei valori di β sarebbe opposto all’ordine del potere tamponante
delle due soluzioni.
Viceversa, introducendo il segno negativo, si ha:
β1
β2
0.15
−0.94
= 0.16
0.15
= −
−0.45
= 0.33
= −
e la soluzione con potere tamponante maggiore ha anche il valore di β maggiore.
136. In definitiva, una definizione coerente del potere tamponante deve distinguere se la variazione di pH e’ determinata dall’aggiunta di una base o di un
acido forte:
β
=
=
∆CB
∆pH
∆CA
−
∆pH
137. Se l’aggiunta di acido o base forte e la corrispondente variazione di pH
fossero legate da una relazione lineare, allora la definizione appena scritta sarebbe sufficiente, perche’ darebbe sempre lo stesso risultato indipendentemente
dal valore dell’aggiunta.
Invece, la relazione fra variazione di pH e aggiunta di un acido o una base
forte alla soluzione, in generale, non e’ lineare (basta che pensiate solo al fatto che, a parita’ di aggiunta, la variazione di pH dipende prima di tutto dal
contenuto della soluzione!).
138. Per questo motivo e’ opportuno definire la capacita’ tamponante non in
termini di incrementi finiti, ma considerando incrementi infinitesimi. In altre
parole, la definizione piu’ opportuna di potere tamponante viene espressa con
una derivata:
66
β=
β=
∆pH→0
∆CB
dCB
=
∆pH
dpH
lim −
dCA
∆CA
=−
∆pH
dpH
lim
∆pH→0
139. Non fatevi intimorire: la situazione e’ identica a quella che sicuramente
avete gia’ incontrato quando avete definito la velocita’ v in un moto unidimensionale. Se l’accelerazione e’ nulla, allora lo spazio percorso ∆s varia linearmente
con il tempo impiegato a percorrerlo ∆t e la velocita’ lineare (costante) puo’
essere definita come:
v
∆s
∆t
=
Se pero’ il moto e’ accelerato, allora la definizione su scritta non e’ piu’
sufficiente e bisogna definire la velocita’ (che ora non e’ piu’ costante) punto per
punto, facendo tendere a zero l’intervallo di tempo considerato; il che equivale
a fare la derivata della funzione s = s (t):
v = lim
∆t→0
ds
∆s
=
∆t
dt
140. Chiarita la sua definizione, nel resto di questa sezione vogliamo dimostrare che il potere tamponante di una soluzione tampone e’ massimo quando il
rapporto fra le concentrazioni dell’acido debole e della sua base coniugata e’
unitario.
Questo e’ il motivo per cui, quando si prepara una soluzione tampone, si deve
fare in modo che il pH target venga ottenuto con un rapporto di concentrazioni
acido debole/base coniugata il piu’ vicino possibile ad 1 (il che equivale a dire
che il criterio di scelta della coppia coniugata acido base deve essere quello che
la costante di ionizzazione acida sia piu’ vicina possibile al pH target).
141. Procederemo nel modo seguente: ricaveremo la relazione C = C (pH),
dove C e’ la concentrazione della base forte o dell’acido forte che viene aggiunto
alla soluzione, ne faremo la derivata e verificheremo che tale derivata presenta
un massimo quando le concentrazioni dei due membri della coppia coniugata
sono uguali.
142. Consideriamo allora una soluzione contenente una concentrazione CT di
un acido debole monprotico HA con costante di ionizzazione KA a cui aggiungiamo una base forte monoprotica B o un acido forte monoprotico HX in
concentrazione C (la derivazione che segue e’ basata su quella descritta nel libro
di Adam Hulanicki [1] ).
Assumiamo per semplicita’ che le concentrazioni CT e C siano gia’ corrette
per l’eventuale diluizione, nel caso in cui la base o l’acido forte vengano aggiunti
sotto forma di una soluzione che li contiene.
143. La relazione che ci interessa, C = C (pH), viene ottenuta impostando col
metodo visto il sistema di equazioni che descrive questo problema di equilibrio.
[1] Adam Hulanicki. Reactions of acids and bases in Analytical Chemistry. PWN, Warszawa,
2nd edition, 1980.
67
E’ facile rendersi conto che ci sono solo due reazioni indipendenti. Fra tutte
le possibili, scegliamo le seguenti:
HA =
H2 O
=
A− + H +
H + + OH −
Le incognite sono 4: [HA], [A− ], [H + ], [OH − ].
Le 4 equazioni che costituiscono il sistema risolvente sono:
KA
KW
CT
C + H+
[H + ] [A− ]
[HA]
+ OH −
= H
= [HA] + A− (bilancio di massa per l’acido debole)
= OH − + A− (bilancio di carica)
=
144. E’ importante osservare che il sistema appena scritto e’ valido sia per
l’aggiunta di una base forte, che per l’aggiunta di un acido forte. Nel secondo
caso, sara’ C < 0.
Infatti, le prime tre equazioni sono totalmente indipendenti dalla natura di
cio’ che viene aggiunto (cioe’ se si tratta di una base forte o di un acido forte).
L’unica equazione che dipende da cosa si aggiunge alla soluzione e’ la quarta.
Se si aggiunge una base forte, allora l’equazione per il bilancio di carica
e’ quella scritta sopra, con C = [BH + ], perche’ la base forte, per ipotesi, e’
completamente ionizzata e quindi, in questo caso, C e’ il contributo alla carica
positiva dovuto alla base forte completamente protonata (oppure al catione
metallico, se aggiungiamo un idrossido, come N aOH).
Se si aggiungesse un acido forte HX, invece, l’equazione per il bilancio di
carica sarebbe:
+
H
= C + OH − + A−
con C = [X − ] perche’, analogamente al caso della base forte, l’acido forte e’
completamente ionizzato per ipotesi e C sarebbe in questo caso il contributo
alla carica negativa della soluzione dovuto agli anioni X − .
Ma allora il bilancio di carica per il caso dell’aggiunta di un acido forte si
puo’ scrivere come:
C + H+
=
OH − + A−
con C < 0.
In definitiva: il sistema di equazioni su scritto descrive sia il caso dell’aggiunta di una base forte quando C > 0, che quello dell’aggiunta di un acido
forte, quando C < 0.
68
145. Da quanto detto al punto precedente segue anche che, una volta ricavata
la relazione C = C (pH) nello scenario che stiamo considerando, la definizione
della capacita’ tamponante puo’ essere scritta sempre col segno positivo, visto
che nel caso dell’aggiunta di un acido forte si ha gia’ C < 0. Infatti, per il caso
dell’aggiunta di un acido forte, si avra’:
C (pH) < 0 ⇒
d
dC (pH)
=−
|C (pH)|
dpH
dpH
che fornisce, come vogliamo, un risultato non negativo.
146. A questo punto possiamo ricavare la funzione C = C (pH). Dall’espressione della legge dell’azione di massa per la ionizzazione dell’acido debole ricaviamo
[HA]:
[H + ] [A− ]
KA
[HA] =
e sostituiamo nell’equazione del bilancio di massa:
CT
[H + ] [A− ] − + A
KA
=
Da questa equazione ricaviamo [A− ]:
−
A
[H + ]
1+
KA
−
A
= CT
=
A−
=
A−
=
CT
1+
[H + ]
KA
CT
KA +[H + ]
KA
CT KA
KA + [H + ]
Infine, sostituiamo l’espressione ottenuta nell’equazione del bilancio di carica,
esprimendo inoltre la concentrazione degli ioni ossidrile in funzione di quella
degli ioni idrogeno grazie all’espressione della legge dell’azione di massa per
l’autoionizzazione dell’acqua:
C + H+
C + H+
C
=
=
=
OH − + A−
KW
CT KA
+
[H + ] KA + [H + ]
CT KA
KW
− H+ +
+
[H ]
KA + [H + ]
69
La relazione cercata fra C e il pH si otterrebbe a questo punto semplicemente
sostituendo al posto della concentrazione degli ioni idrogeno (nel seguito indicata
con h per semplicita’) la sua espressione in termini di pH:
h
= 10−pH
ma e’ piu’ comodo mantenere la concentrazione di ioni idrogeno come tale e
pensare a C come ad una funzione composta (funzione di funzione): C =
C (h (pH)).
Quindi siamo arrivati a:
C (h) =
CT KA
KW
−h+
h
KA + h
147. Vale la pena di discutere brevemente il comportamento della funzione
appena trovata per valori estremi di pH.
E’ facile rendersi conto che valgono i due seguenti limiti:
lim
pH→+∞
lim
pH→−∞
C (pH) = lim C (h) = +∞
h→0
C (pH) = lim C (h) = −∞
h→+∞
Tutto cio’ e’ assolutamente ragionevole e coerente con quanto abbiamo detto
finora.
Il primo limite dice in pratica che, quando [OH − ] diventa molto grande
(h → 0), anche C fa’ la stessa cosa; la proposizione puo’ essere invertita: se
C tende a +∞ anche [OH − ] fa’ lo stesso: cio’ e’ esattamente quello che ci si
aspetta poiche’ se C → + ∞ significa che e’ stata aggiunta una concentrazione
molto elevata di base forte e quindi la concentrazione di ioni ossidrile in soluzione
deve necessariamente crescere di conseguenza (ricordate che, per ipotesi, la base
aggiunta e’ completamente ionizzata).
Il secondo limite dice che, quando [H + ] diventa molto grande C tende a
−∞; anche in questo caso e’ piu’ chiaro invertire la proposizione: se C tende
a −∞ allora [H + ] tende a +∞: di nuovo, cio’ e’ esattamente quello che ci si
aspetta poiche’ se C → − ∞ significa che e’ stata aggiunta una concentrazione
molto elevata di acido forte (ricordate che C < 0 significa aggiunta di acido
forte) e quindi la concentrazione di ioni idrogeno in soluzione deve necessariamente crescere di conseguenza (l’acido aggiunto e’ completamente ionizzato per
ipotesi).
La figura 1.2 mostra il grafico della funzione C = C (h (pH)).
148. Come detto al punto 145, il potere tamponante β della soluzione e’ dato,
per definizione, dalla derivata dell’espressione su scritta rispetto al pH (non
dobbiamo preoccuparci di cambiare segno nel caso dell’aggiunta di un acido
forte).
Siccome abbiamo mantenuto C come “funzione di funzione” inizieremo con
l’applicare la regola della derivazione di funzioni composte:
70
2.0
C (h (pH)) =
1.5
KW
h(pH)
− h (pH) +
C T KA
KA +h(pH)
h (pH) = 10−pH
C (h (pH))
1.0
0.5
C =concentrazione di base forte ↑
C =concentrazione di acido forte ↓
0.0
-0.5
-1.0
0
2
4
6
8
10
12
14
pH
Figura 1.2: Grafico della funzione C = C (h (pH)) con KA = 1 × 10−5 , CT =
1.0 mol/L e KW = 1 × 10−14 .
d f (y (x))
dx
=
d f (y) dy (x)
dy
dx
Nel nostro caso:
β
=
=
dC (h (pH))
dpH
dC dh
dh dpH
Come detto, la relazione fra h e pH e’ ovviamente:
= 10−pH
h
e quindi:
dh
dpH
=
d
10−pH
dpH
La derivata di 10f (x) e’:
71
d f (x)
10
dx
e quindi:
dh
dpH
=
=
=
=
ln (10) × 10f (x) ×
d f (x)
dx
d
10−pH
dpH
ln (10) × 10−pH × (−1)
− ln (10) × h
(nell’ultimo passaggio abbiamo ri-sostituito a 10−pH il simbolo h)
Col che arriviamo a:
β=
dC
dpH
=
− ln (10) × h ×
dC
dh
Resta da fare la derivata di C rispetto ad h:
β
d
= − ln (10) × h ×
dh
KW
CT KA
−h+
h
KA + h
KW
CT KA
= − ln (10) × h × − 2 − 1 −
2
h
(KA + h)
!
CT KA h
KW
+h+
= ln (10)
h
(KA + h)2
!
e questa e’ l’espressione per β, il potere tamponante.
Il grafico della funzione β (h (pH)) e’ mostrato nella figura 1.3.
149. Analizziamo brevemente il comportamento della funzione β.
E’ facile realizzare che:
lim
pH→+∞
β (h (pH)) = lim β (h) = +∞
h→0
cioe’: la capacita’ tamponante della soluzione tende a infinito quando [OH − ] →
∞ (guardate anche la figura 1.3).
Cio’ e’ assolutamente ragionevole.
Infatti, in queste condizioni, la soluzione NON e’ una soluzione tampone:
e’ stata aggiunta una concentrazione C → + ∞ di base forte (ricordate che
limh→0 C (h) = +∞, punto 147) e quindi praticamente tutto l’acido debole si
trova deprotonato come ione A− .
La capacita’ tamponante tende a infinito semplicemente perche’ la concentrazione di ioni OH − tende ad infinito e quindi per far cambiare il pH di poco,
bisogna aggiungere molto acido forte o base forte.
72
2.5
β (h (pH))
2.0
β (h (pH)) = ln (10)
1.5
h (pH) = 10−pH
KW
h
+h+
C T KA h
(KA +h)2
1.0
0.5
0.0
0
4 pKA
2
6
8
10
12
14
pH
Figura 1.3: Grafico della funzione β (h (pH)) con KA = 1 × 10−5 , CT =
1.0 mol/L e KW = 1 × 10−14 .
Per chiarire ulteriormente: se in una soluzione basica concentrata la concentrazione di ioni OH − e’ COH − e vogliamo fare diminuire il pH di un’unita’, allora dobbiamo ridurre COH − di 10 volte, cioe’ dobbiamo aggiungere una
concentrazione di acido forte (ioni H + ) pari a:
H+
9
C −
10 OH
=
da cui si vede che la concentrazione di ioni H + da aggiungere e’ direttamente proporzionale alla concentrazione di ioni OH − presente in soluzione (ovviamente, si sarebbe potuto fare un discorso analogo se si avesse voluto
incrementare il pH di un’unita’ mediante aggiunta di una base forte).
Quanto appena detto ci consente di concludere che:
Una soluzione basica molto concentrata mostra un effetto tamponante elevato (ma e’ di scarsa utilita’ pratica)
150. Analogamente al caso precedente, e’ facile verificare che:
lim
pH→−∞
β (h (pH)) = lim β (h) = +∞
h→∞
cioe’: la capacita’ tamponante della soluzione tende a infinito anche quando
[H + ] → ∞ (guardate la figura 1.3).
Di nuovo, cio’ e’ assolutamente ragionevole.
73
Come nel caso precedente, in queste condizioni la soluzione NON e’ una soluzione tampone nel senso da noi definito: e’ stata aggiunta una concentrazione
molto elevata di acido forte (ricordate che limh→∞ C (h) = −∞, punto 147, e
un valore di C negativo significa che e’ stato aggiunto un acido forte, punto 144)
e quindi la concentrazione di base debole A− e’ a tutti gli effetti nulla.
La capacita’ tamponante tende a infinito semplicemente perche’ la concentrazione di ioni H + tende ad infinito e quindi per far cambiare il pH di poco,
bisogna aggiungere molto acido forte o base forte.
In modo perfettamente parallelo a quanto detto nel caso precedente: se in
una soluzione acida concentrata la concentrazione di ioni H + e’ CH + e vogliamo
diminuire il pH di un’unita’, allora dobbiamo aumentare CH + di 10 volte, cioe’
dobbiamo aggiungere una concentrazione di acido forte (ioni H + ) pari a:
H+
=
9 CH +
da cui si vede che la concentrazione di ioni H + da aggiungere e’ direttamente
proporzionale alla concentrazione di ioni H + presente in soluzione (provate a
ripetere il ragionamento nel caso in cui si voglia aumentare il pH di un’unita’).
Quindi:
Una soluzione acida molto concentrata mostra un effetto tamponante
elevato (ma e’ di scarsa utilita’ pratica)
151. Consideriamo ora il comportamento di β per valori di pH di interesse
pratico: 0 ≤ pH ≤ 14. In questa regione i primi 2 addendi nell’espressione di β
sono entrambi piccoli, mentre il terzo addendo ha valori non piccoli.
Ad esempio, a pH = 5, con KA = 1 × 10−5 e CT = 1 mol/L, si ha:
Kw
h
=
h
=
2
=
=
CT KA h
(KA + h)
=
1 × 10−14
1 × 10−5
1 × 10−9
1 × 10−5
1.0 × 1 × 10−5 × 1 × 10−5
2
(1 × 10−5 + 1 × 10−5 )
0.25 = 2.5 × 10−1
Allora, per semplificare i calcoli, nella regione 0 ≤ pH ≤ 14 possiamo
considerare una versione semplificata dell’espressione trovata per β:
β
∝
CT KA h
2
(KA + h)
e studiarne il comportamento.
Intanto osserviamo che l’espressione semplificata di β tende ad annullarsi
per valori estremi di pH. Infatti si vede facilmente che:
74
lim
h→±∞
CT KA h
(KA + h)2
=
0
Questo dice soltanto che il terzo addendo dell’espressione completa di β e’
rilevante solo per valori di pH non estremi, che e’ per l’appunto il caso che
stiamo considerando ora (abbiamo gia’ visto che per valori estremi di pH il
comportamento di β e’ dominato dai primi due addendi).
Per cercare massimi o minimi studiamo la derivata prima.
d
dh
CT KA h
2
(KA + h)
!
2
=
CT KA (KA + h) − CT KA h (2 (KA + h))
=
CT KA
=
CT KA
4
(KA + h)
2
KA
+ h2 + 2KA h − 2KA h − 2h2
4
(KA + h)
2
KA
− h2
4
(KA + h)
Quindi, la derivata prima e’ positiva per h < KA , si annulla per h = KA ed
e’ negativa per h > KA :
dβ
dh
>0
dβ
dh
=0
dβ
dh
<0
/h
KA
Ne segue che la funzione (semplificata) e quindi la capacita’ tamponante della
soluzione presenta un massimo per h = KA , ovvero per pH = pKA (figura 1.3).
Ma quando pH = pKA , dall’equazione di Henderson-Hasselbalch segue che
la concentrazione dell’acido debole e della sua base coniugata devono essere
uguali. Quindi in queste condizioni, diversamente dai due casi precedenti, la
soluzione e’ proprio una soluzione tampone nel senso che abbiamo definito.
Abbiamo cosi’ dimostrato la tesi che avevamo dichiarato al punto 140:
la capacita’ tamponante di una soluzione tampone e’ massima quando l’acido debole e la sua base coniugata sono presenti in concentrazioni uguali
152. Inoltre possiamo osservare ancora la cosa seguente:
β(h=KA )
≈
=
=
=
CT KA KA
2
(KA + KA )
2
CT KA
(2KA )2
2
CT KA
2
4KA
CT
4
75
cioe’: la massima capacita’ tamponante di una soluzione tampone e’ direttamente proporzionale alla somma delle concentrazioni dell’acido debole e della
sua base coniugata (CT ).
153. Da quanto visto in tutta questa sezione, possiamo concludere quanto
segue.
Una soluzione tampone sara’ tanto piu’ efficiente:
• quanto piu’ il rapporto fra la concentrazione dell’acido debole e della sua
base coniugata e’ vicino a 1 e
• quanto piu’ e’ concentrata
76
Capitolo 2
POTENZIOMETRIA
154. La potenziometria e’ una tecnica analitica che si basa sulla misura della
differenza di potenziale in una cella elettrochimica in condizioni di equilibrio. Nel seguito vedremo come tale differenza di potenziale possa essere messa
in relazione con la concentrazione dell’analita di interesse. Specificheremo fra
breve cosa significhi “condizioni di equilibrio”: per il momento e’ sufficiente
dire che in una cella elettrochimica all’equilibrio non circola corrente elettrica.
Questo e’ essenziale: la circolazione di corrente elettrica sarebbe infatti inevitabilmente accompagnata da reazioni elettrodiche, che farebbero variare la
concentrazione della specie al cui dosaggio si e’ interessati.
Per cominciare, svilupperemo alcuni concetti fondamentali che useremo in
seguito per la discussione degli aspetti piu’ propriamente analitici di questa
tecnica sperimentale.
2.1
Elettrodi
155. Per gli scopi presenti, possiamo definire elettrodo (o sistema elettrodico o semicella) un sistema costituito da un conduttore elettronico in contatto
con un conduttore elettrolitico. I conduttori elettronici sono quelli in cui la corrente elettrica e’ dovuta al movimento di elettroni: tipici conduttori elettronici
sono tutti i metalli. Nei conduttori elettrolitici, invece, la corrente elettrica e’
trasportata da ioni: l’esempio immediato e’ quello di una soluzione salina.
Nel seguito considereremo sempre sistemi elettrodici costituiti da un metallo
immerso in una soluzione che contiene una o piu’ specie ioniche.
Un aspetto fondamentale dei sistemi elettrodici e’ la presenza di una o piu’
coppie redox: una coppia redox e’ costituita da due specie chimiche che si
interconvertono per acquisto o perdita di elettroni.
Ad esempio, le due specie chimiche Cu2+ e Cu possono trasformarsi l’una
nell’altra per acquisto o perdita di due elettroni:
Cu2+ + 2e = Cu
Diciamo quindi che Cu2+ e Cu costituiscono una coppia redox: Cu2+ si
trasforma in Cu per acquisto di due elettroni e, viceversa, Cu si trasforma in
Cu2+ per perdita di due elettroni. In una coppia redox, la specie piu’ povera
77
di elettroni (lo ione Cu2+ nell’esempio) si chiama forma ossidata e la specie
piu’ ricca di elettroni (il rame metallico nel nostro esempio) si chiama forma
ridotta. Il processo in cui la forma ossidata acquista elettroni per trasformarsi
nella forma ridotta viene detto riduzione, mentre il processo inverso, nel quale
la forma ridotta perde elettroni per trasformarsi nella forma ossidata, viene detto
ossidazione. Una coppia redox si indica generalmente specificando la forma
ossidata e quella ridotta (in questo ordine), separate da un segno di frazione:
la coppia redox appena vista viene percio’ indicata con Cu2+ /Cu. La reazione
che interconverte i due membri di una coppia redox si chiama generalmente
semireazione redox (o reazione elettrodica). Una semireazione redox e’
sempre rappresentata da un’equazione del tipo:
riduzione
/
forma ossidata + elettroni
=
o
ossidazione
forma ridotta
Altri esempi di coppie redox sono:
coppia redox
Ag + /Ag
I2 /I −
F e3+ /F e2+
F e2+ /F e
M nO4− /M n2+
Cr2 O72− /Cr3+
reazione elettrodica
Ag + + e = Ag
I2 + 2e = 2I −
F e3+ + e = F e2+
F e2+ + 2e = F e
−
M nO4 + 8H + + 5e = M n2+ + 4H2 O
Cr2 O72− + 14H + + 6e = 2Cr3+ + 7H2 O
Come si vede, una stessa specie puo’ far parte di piu’ di una coppia redox
(lo ione F e2+ e’ la forma ossidata della coppia F e2+ /F e e la forma ridotta
della coppia F e3+ /F e2+ ); inoltre, ad una semireazione possono partecipare altre
specie oltre ai due membri della coppia redox implicata (nella semireazione che
interconverte i due membri della coppia redox M nO4− /M n2+ compaiono anche
H2 O e H + ).
156. I piu’ comuni sistemi elettrodici possono essere classificati sulla base dello
stato di aggregazione della coppia redox che li caratterizza:
• Elettrodi costituiti da un metallo in contatto con una soluzione che contiene un suo ione, come ad esempio un filo di Ag immerso in una soluzione di
AgN O3 (figura 2.1A) oppure una sbarretta di Cu immersa in una soluzione
di CuSO4 : in questo caso, un membro della coppia redox (generalmente la forma ridotta della coppia) costituisce il conduttore elettronico del
sistema elettrodico, mentre l’altra forma si trova in soluzione.
• Elettrodi costituiti da un metallo inerte immerso in una soluzione che
contiene sia la forma ossidata che quella ridotta di una coppia redox; un
esempio potrebbe essere quello di una sbarretta di P t o Au immersa in
una soluzione che contiene ioni F e2+ e F e3+ (figura 2.1B). In questo caso,
come vedremo, il metallo funge solo da “serbatoio” di elettroni, cedendoli
alla forma ossidata o aquistandoli dalla forma ridotta della coppia redox.
78
• Elettrodi in cui una o entrambe le forme della coppia redox si trovano
sotto forma di un sale insolubile. Un esempio di questo tipo e’ il cosiddetto
elettrodo ad AgCl/Ag (figura 2.1C), in cui la reazione elettrodica e’:
AgCl(s) + e
= Ag(s) + Cl−
Come si vede, AgCl (la forma ossidata) e’ un sale insolubile, che si trova
depositato su un filo di Ag (la forma ridotta). Osserviamo comunque che
e’ necessaria la presenza di ioni Cl− in soluzione affinche’ la semireazione
elettrodica possa avvenire.
Un altro esempio di questo tipo di sistema elettrodico e’ l’elettrodo a
calomelano. “Calomelano” e’ il nome tradizionale del cloruro di mercurio
(I), Hg2 Cl2 , un sale poco solubile. La semireazione che caratterizza questo
elettrodo e’:
Hg2 Cl2(s) + 2e
= 2Hg(l) + 2Cl−
In questo caso, la forma ridotta della coppia redox (Hg), si trova allo stato
liquido. Da un punto di vista pratico, l’elettrodo a calomelano e’ costituito
da un filo di P t posto in intimo contatto con una pasta ottenuta amalgamando Hg2 Cl2(s) e Hg(l) , il tutto immerso in una soluzione contenente
ioni Cl− .
• Elettrodi in cui un membro della coppia redox si trova allo stato gassoso.
Un esempio e’ rappresentato da un filo di P t immerso in una soluzione satura di H2 e contenente una certa concentrazione di ioni H + (figura 2.1D);
la coppia redox e’ H + /H2 :
2H + + 2e =
H2 (aq)
La concentrazione di H2 in soluzione e’ mantenuta al valore di saturazione
mediante una campana di vetro contenente il filo di P t e all’interno della
quale si trova H2 (g) ad una pressione parziale definita. La concetrazione di
H2 in soluzione e’ direttamente legata alla pressione parziale dell’idrogeno
gassoso nella campana.
2.2
Il potenziale elettrodico
157. Quando un sistema elettrodico raggiunge l’equilibrio, si crea una separazione di carica elettrica fra metallo e soluzione: sul metallo si accumula un
eccesso di carica (positiva o negativa), controbilanciato da una quantita’ di carica uguale ma di segno opposto nella soluzione; si puo’ dire equivalentemente che
in tali condizioni esiste una differenza di potenziale elettrostatico fra metallo e soluzione. Questa differenza di potenziale, che per convenzione e’ sempre
misurata come differenza fra il potenziale del metallo e quello della soluzione (e
79
Ag
Ag + + e = Ag
Ag +
Pt
F e3+ + e = F e2+
F e3+
F e2+
Ag
AgCl(s)
AgCl(s) + e = Ag(s) + Cl−
Cl−
Pt
H2 (g)
2H + + 2e = H2(g)
H+
Figura 2.1: Diversi tipi di sistemi elettrodici.
80
non viceversa), si chiama potenziale elettrodico e si indica generalmente con
il simbolo E.
Lo scopo della discussione che segue e’ quello di giustificare in modo semplice
cio’ che abbiamo appena enunciato.
158. Tanto per fissare le idee, consideriamo un sistema elettrodico particolarmente semplice: un filo di Ag immerso in una soluzione di AgN O3 .
Prima di venire immerso nella soluzione, il filo di argento e’ elettricamente
neutro, cioe’ la sua carica elettrica risultante e’ nulla. A questo proposito,
conviene pensare il filo di Ag come costituito da un reticolo fisso di ioni Ag +
permeato dal “gas” degli elettroni di valenza (ogni atomo di argento contribuisce
un elettrone di valenza): il fatto che inizialmente il filo sia elettricamente neutro
significa semplicemente che ogni ione Ag + del reticolo e’ neutralizzato dal suo
elettrone di valenza.
Inizialmente, la neutralita’ elettrica vale anche per la soluzione, dove ogni
ione Ag + e’ neutralizzato da un corrispondente controione N O3− .
Appena si immerge il filo di argento nella soluzione, la semireazione elettrodica relativa alla coppia redox Ag + /Ag comincia ad avvenire. Tale reazione
consiste di due processi che sono uno l’inverso dell’altro:
riduzione:
Ag + + e
ossidazione:
Ag
→ Ag
→ Ag + + e
159. Ciascuno di questi due processi provoca dei cambiamenti nella concentrazione e nella distribuzione della carica elettrica fra metallo e soluzione.
La riduzione tende a produrre un eccesso di carica positiva nel filo metallico
e un corrispondente eccesso di carica negativa nella soluzione: infatti, man mano
che ioni argento (cioe’ particelle con carica elettrica positiva) abbandonano la
soluzione per depositarsi sul metallo, questo si carica positivamente (ogni ione
Ag + “nuovo arrivato” non ha un elettrone di valenza che lo neutralizzi); d’altro
canto, nella soluzione rimangono ioni N O3− (cioe’ particelle con carica elettrica
negativa) in eccesso.
E’ chiaro, inoltre, che la riduzione provoca altresi’ una diminuzione della
concentrazione di ioni Ag + nella soluzione.
La ossidazione tende a produrre effetti contrari a quelli della riduzione.
Ogni atomo di argento che abbandona il metallo passando in soluzione come
ione monopositivo, lascia sul filo di argento il suo elettrone di valenza, cioe’
una carica negativa; inoltre, gli ioni Ag + che passano in soluzione non sono
neutralizzati da alcun controione e quindi determinano un accumulo di carica
positiva nella soluzione.
Per quanto riguarda i cambiamenti di concentrazione, e’ ovvio che l’ossidazione tende a produrre un aumento della concentrazione di ioni Ag + nella
soluzione.
160. La cosa importante e’ che la riduzione e l’ossidazione avvengono contemporaneamente e quindi i cambiamenti netti nella distribuzione della carica elettrica
e nella concentrazione dipenderanno dalla velocita’ relativa dei due processi.
Se inizialmente la riduzione e’ piu’ veloce dell’ossidazione, cio’ significa che,
nell’unita’ di tempo, sono piu’ gli ioni Ag + che dalla soluzione si depositano sul
metallo che non quelli che dal metallo passano in soluzione; conseguentemente,
il metallo assumera’ una carica netta positiva (e la soluzione una corrispondente
carica netta negativa) e la concentrazione di ioni Ag + in soluzione diminuira’.
81
Ad esempio, se in 1 s 10 ioni Ag + si depositano sul metallo e solo 7 atomi
di Ag lo abbandonano per andare in soluzione, si e’ avuto un passaggio netto
di 3 ioni Ag + dalla soluzione al metallo; conseguentemente, sul metallo si e’
accumulata una carica positiva netta pari a +3 e nella soluzione si e’ accumulata
una carica netta negativa pari a −3 (cioe’ ci sono 3 ioni N O3− non neutralizzati
da corrispondenti ioni Ag + ); inoltre, la concentrazione di ioni Ag + in soluzione
ha avuto un calo netto corrispondente alla scomparsa di 3 ioni Ag + .
Se l’ossidazione e’ inizialmente piu’ veloce della riduzione, cio’ vuol dire che,
nell’unita’ di tempo, sono piu’ gli ioni Ag + che dal metallo vanno in soluzione che
non quelli che dalla soluzione si depositano sul metallo; la conseguenza e’ che,
in questo caso, il metallo assumera’ una carica netta negativa (e la soluzione
una corrispondente carica netta positiva) e la concentrazione di ioni Ag + in
soluzione aumentera’.
161. I cambiamenti dovuti al fatto che le velocita’ iniziali della riduzione e
dell’ossidazione sono (in generale) diverse non continuano pero’ all’infinito. Infatti vedremo fra un momento che, proprio a causa di questi cambiamenti, il
processo inizialmente piu’ veloce viene progressivamente rallentato e quello inizialmente piu’ lento viene progressivamente accelerato finche’, inevitabilmente,
si raggiunge la situazione in cui le due velocita’ diventano uguali.
E’ questa la condizione di equilibrio dinamico, che caratterizza tutte le
reazioni chimiche: da questo momento in poi la separazione di carica e la
concentrazione in soluzione rimangono costanti nel tempo.
162. Per comprendere bene come mai le velocita’ della riduzione e della ossidazione, inizialmente diverse, inevitabilmente finiscano per uguagliarsi, facciamo
riferimento alle figure 2.2 e 2.3. Nella figura 2.2 e’ schematizzato un elettrodo
ad Ag + /Ag a diversi istanti di tempo: la freccia diretta verso destra rappresenta
la velocita’ di ossidazione mentre quella diretta verso sinistra rappresenta la velocita’ di riduzione (il verso delle frecce e’ stato fatto arbitrariamente coincidere
con la direzione di movimento degli ioni Ag + : cioe’, l’ossidazione produce un
flusso di ioni Ag + dalla sbarretta metallica alla soluzione, mentre la riduzione
causa il movimento degli ioni Ag + dalla soluzione al metallo).
La figura 2.3 mostra l’andamento temporale delle velocita’ di ossidazione
e riduzione (grafico superiore) e dell’accumulo di carica elettrica nel metallo e
nella soluzione (grafico inferiore) corrispondenti alla situazione rappresentata
nella figura 2.2.
Supponiamo che a t = 0 l’ossidazione sia piu’ veloce della riduzione: nella
figura 2.2 la freccia verso destra e’ piu’ lunga della freccia verso sinistra. Nel
grafico superiore della figura 2.3 si ha (per t = 0): vox > vred . Naturalmente,
per t = 0, la carica elettrica risultante nel metallo e nella soluzione e’ nulla:
guardate il grafico inferiore della figura 2.3.
Ora vediamo cosa succede dopo che e’ trascorso un piccolo intervallo di
tempo (t = t1 nelle figure 2.2 e 2.3).
In base a quanto gia’ detto al punto 160, siccome la velocita’ di ossidazione
e’ maggiore della velocita di riduzione, sul metallo si e’ accumulato un eccesso
di carica negativa e nella soluzione si trova un corrispondente eccesso di carica
positiva (guardate il grafico inferiore della figura 2.3 per t = t1 ). Tutti sappiamo che cariche elettriche dello stesso segno si respingono e cariche di segno
opposto si attraggono. Sulla base di questa semplice considerazione, giungiamo
alla conclusione che la separazione di carica venutasi a creare ostacolera’ la reazione di ossidazione e facilitera’ quella di riduzione. Infatti per uno ione Ag +
82
Ag
/Ag + + e−
o
Ag
Ag
/Ag + + e−
o
⊖
⊖
/Ag + + e−
Ag o
⊖ Ag
⊖⊖
⊖
⊖
⊖
⊖
Ag +
⊕
⊕
⊕
Ag +
t = t1 > 0
t=0
⊕
⊕ ⊕
⊕
⊕
⊕ ⊕
t = t 3 > t2
/
Ag o
⊖
⊖ Ag
⊖
⊖
⊖⊖
⊖⊖
⊖
⊖
Ag +
/
o
Ag + + e−
⊖
Ag
⊖
⊖ ⊖
Ag
⊖
Ag +
Ag
⊖
Ag +
⊕
⊕
⊕
t = t 2 > t1
Ag + + e−
⊕⊕
⊕ ⊕
⊕
⊕ ⊕⊕
⊕ ⊕
t→∞
Figura 2.2: Il raggiungimento dell’equilibrio in un elettrodo Ag + /Ag: la freccia
verso destra rappresenta l’ossidazione mentre quella verso sinistra rappresenta
la riduzione. La lunghezza delle frecce e’ proporzionale alla velocita’ dei due
processi.
83
⊕
⊕
vox , vred
vox
t→∞
da qui in poi: equilibrio
vred
t1
t3
q > 0 −→
t2
qsoluzione
t→∞
da qui in poi: equilibrio
q=0
←− q < 0
qmetallo , qsoluzione
0
0
qmetallo
t1
t2
t3
tempo
Figura 2.3: Andamenti temporali delle velocita’ di ossidazione e riduzione (grafico superiore) e della carica elettrica accumulata nel metallo e nella soluzione
(grafico inferiore) per la situazione schematizzata nella figura 2.2
84
sara’ ora piu’ difficile lasciare un elettrone (negativo) sul metallo che contiene
un eccesso di carica negativa e andare in soluzione dove si trova un eccesso di
carica positiva (che lo “respinge”). Viceversa, sara’ piu’ facile per uno ione Ag +
abbandonare la soluzione (esso sara’ “spinto” dall’eccesso di carica positiva) e
depositarsi sul metallo (che lo “attirera’ ” grazie all’eccesso di carica negativa).
Vediamo quindi che la separazione di carica prodotta inizialmente provoca proprio un rallentamento del processo piu’ veloce (l’ossidazione) e un’accelerazione
del processo piu’ lento (la riduzione), come avevamo preannunciato.
163. Oltre all’effetto della separazione di carica, c’e’ da considerare anche quello
dell’ aumento di concentrazione di ioni Ag + in soluzione (l’effetto della concentrazione non e’ rappresentato nella figura 2.2 per non appesantirla troppo). In
generale, la velocita’ di un processo chimico cresce al crescere della concentrazione dei reagenti. Nel caso dell’ossidazione, il reagente e’ l’argento metallico,
la cui concentrazione rimane costante (sapreste dimostrarlo?). Nel caso della
riduzione, invece, il reagente e’ lo ione Ag + , la cui concentrazione in soluzione e’
aumentata (nell’ipotesi che stiamo considerando): cio’ provochera’, per quanto
appena detto, un corrispondente aumento della velocita’ della riduzione (il processo inizialmente piu’ lento). La velocita’ dell’ossidazione non risente invece di
effetti di concentrazione (perche’ la concentrazione dell’argento metallico non
varia): anche i cambiamenti di concentrazione tendono quindi a “livellare” le
velocita’ della riduzione e dell’ossidazione.
Cercate di ritrovare quanto appena detto nelle figure. Per t = t1 , nella
figura 2.2 la freccia verso destra (che rappresenta l’ossidazione) e’ diventata un
po’ piu’ corta mentre la freccia verso sinistra (che rappresenta la riduzione) e’
diventata un po’ piu’ lunga (notate pero’ che la freccia verso destra rimane
sempre piu’ lunga di quella verso sinistra); inoltre, nella sbarretta metallica si
e’ accumulata della carica negativa e nella soluzione si e’ accumulata una carica
positiva di uguale entita’. Non dovrebbe essere difficile trovare la corrispondenza
fra la figura 2.2 e i grafici della figura 2.3 (sempre per t = t1 ).
164. Col trascorrere del tempo, la sbarretta di argento continua a caricarsi
negativamente e la soluzione positivamente; inoltre, la concentrazione di ioni
Ag + continua a crescere: cio’ fa si’ che la velocita’ dell’ossidazione continui a
diminuire mentre quella della riduzione continui ad aumentare (figure 2.2 e 2.3,
t = t2 , t = t3 ). E’ inevitabile che queste due velocita’ finiscano per diventare
uguali (figure 2.2 e 2.3, t → ∞). In tali condizioni il numero di ioni Ag + che
abbandonano il metallo nell’unita’ di tempo a causa dell’ossidazione e’ uguale
a quello degli ioni Ag + che dalla soluzione si depositano sul metallo a causa
della riduzione: ne segue che l’eccesso di carica negativa sul filo di argento, il
corrispondente eccesso di carica positiva nella soluzione e la concentrazione di
ioni Ag + smettono di variare, e la differenza di potenziale fra metallo e soluzione
(in questo esempio negativa) raggiunge un valore asintotico costante. Il sistema
elettrodico ha raggiunto l’equilibrio e la differenza di potenziale che si e’ cosi’
stabilita fra il filo di argento e la soluzione e’ cio’ che si definisce potenziale
elettrodico.
E’ importante osservare che, in condizioni di equilibrio, l’ossidazione e la
riduzione non si sono fermate, ma continuano ad avvenire entrambe alla stessa
velocita’ (con riferimento alla figura 2.2, le frecce non sono scomparse, ma sono
diventate della stessa lunghezza).
165. Nell’esempio considerato, abbiamo fatto l’ipotesi che, inizialmente, l’ossidazione fosse piu’ veloce della riduzione: provate a ripetere il ragionamento nel
85
caso opposto in cui la riduzione sia inizialmente piu’ veloce dell’ossidazione.
Per inciso: e se le due velocita’ iniziali sono identiche? Nulla di nuovo: significa semplicemente che il sistema si trova gia’ all’equilibrio; non si avra’ alcun
accumulo di carica ne’ variazioni di concentrazione: il potenziale elettrodico in
questo caso sara’ pari a 0.00 V .
166. Vale la pena di osservare che la separazione di carica e le variazioni di
concentrazione che si verificano in soluzione in seguito al raggiungimento dell’equilibrio elettrodico sono piccolissime. Ad esempio, se la concentrazione in
soluzione di ioni Ag + in un elettrodo ad Ag + /Ag e’ 0.1 mol/L, la variazione
di tale concentrazione dovuta ai fenomeni discussi implicati nel raggiungimento
dell’equilibrio e’ totalmente trascurabile. In altre parole, non pensiate che se immergiamo una sbarretta di Ag metallico in una soluzione 0.1 mol/L di AgN O3 ,
la concentrazione di ioni Ag + in soluzione diventa 0.11 mol/L o 0.09 mol/L !
In generale, la separazione di carica elettrica e’ un processo molto costoso dal
punto di vista energetico e quindi e’ sufficiente che si crei una separazione di
carica piccolissima affinche’ un sistema elettrodico raggiunga l’equilibrio.
167. Abbiamo discusso il caso di un elettrodo ad Ag + /Ag, ma gli stessi argomenti si applicano in modo identico a qualsiasi altro sistema elettrodico. Provate
a descrivere da soli cio’ che accade quando si immerge un filo di P t in una soluzione contenente concentrazioni date di ioni F e2+ e F e3+ . L’unica variante,
in questo caso, e’ che nessuno dei due membri della coppia redox si deposita
sull’elettrodo, il cui unico scopo e’ quello di fornire elettroni alla forma ossidata
o accettarne dalla forma ridotta:
F e3+ + e
Fe
2+
= F e2+
= F e3+ + e
Analogamente all’esempio precedente, la riduzione tende ad accumulare carica positiva sul metallo (carica negativa in soluzione), a diminuire la concentrazione di ioni F e3+ e ad aumentare quella degli ioni F e2+ ; l’ossidazione tende
invece a fare esattamente il contrario. Inizialmente la velocita’ dei due processi
sara’ diversa e quindi. . .
A beneficio di coloro che si trovano a proprio agio piu’ con i numeri che con
le parole, nell’appendice A e’ sviluppato un semplicissimo modello che descrive matematicamente il raggiungimento dell’equilibrio di una semireazione e il
concomitante instaurarsi del potenziale elettrodico.
2.2.1
Il caso di due o piu’ coppie redox
168. Una semplice estensione di quanto detto nella sezione precedente e’ il caso
in cui una semicella contenga non una, ma due o piu’ coppie redox. Va detto che
questa e’ la norma, piuttosto che un’eccezione; basti pensare che in una soluzione
acquosa ci sono sempre almeno due coppie redox che coinvolgono l’acqua:
coppia redox
H2 O/H2
O2 /H2 O
semireazione
2H2 O + 2e = H2(g) + 2OH −
O2 + 4e + 4H + = 2H2 O
86
Siccome ci servira’ nel seguito, analizziamo un po’ in dettaglio questa situazione; come vedrete, pero’, non ci sara’ bisogno di introdurre alcun concetto
nuovo.
169. Tanto per fissare le idee, consideriamo una semicella costituita da un filo
di P t immerso in una soluzione contenente le due coppie redox F e3+ /F e2+ e
Sn4+ /Sn2+ . Come visto nella sezione precedente, i membri di ciascuna coppia
scambiano elettroni con il metallo inerte, interconvertendosi e generando una
separazione di carica fra metallo e soluzione:
F e3+ + e
= F e2+
Sn4+ + 2e
= Sn2+
L’aspetto addizionale da considerare in questo caso e’ che i membri delle
due coppie redox possono scambiare elettroni anche direttamente fra di loro,
senza l’“intermediazione” del metallo inerte; in pratica, la forma ossidata di una
coppia puo’ acquistare elettroni dalla forma ridotta dell’altra coppia e viceversa,
in un processo che chiamiamo reazione redox (notate che qui usiamo il termine
“reazione” e non “semireazione”):
2F e3+ + Sn2+
= 2F e2+ + Sn4+
170. Quindi, in questo caso, ci sono tre processi che avvengono contemporaneamente (le due semireazioni elettrodiche e la reazione redox). Ciascun
processo puo’ avvenire in due direzioni opposte e ciascuna direzione tende a
produrre una separazione di carica di un certo tipo fra metallo e soluzione (la
situazione e’ graficamente schematizzata nella figura 2.4). Per ciascuna delle
due semireazioni elettrodiche, come abbiamo gia’ visto, il verso della riduzione
tende a localizzare un eccesso di carica positiva sul metallo e un corrispondente
eccesso di carica negativa nella soluzione; il verso dell’ossidazione tende a fare
esattamente il contrario.
171. La reazione redox coinvolgente le due coppie in soluzione non modifica direttamente la separazione di carica metallo-soluzione; tuttavia, siccome
fa variare le concentrazioni di F e3+ , F e2+ , Sn4+ e Sn2+ , influisce sulla velocita’ delle semireazioni elettrodiche (punto 163) e quindi influenza anch’essa
indirettamente la separazione di carica metallo-soluzione.
Quindi, ciascuno dei tre processi influenza la separazione di carica metallosoluzione e, a sua volta, come abbiamo visto in dettaglio nella sezione precedente, la separazione di carica ha un effetto sulla velocita’ relativa di ogni singolo
verso in cui ciascuno dei tre processi puo’ avvenire.
172. La cosa essenziale da realizzare e’ che tutti i processi in gioco “vedono”
la medesima separazione di carica (che e’ dovuta semplicemente all’eccesso o
difetto di elettroni che si viene a stabilire sul filo di P t, indipendentemente dal
contributo dovuto a ogni singolo processo): dovrebbe a questo punto essere chiaro che, quando l’intero sistema della semicella raggiunge l’equilibrio, ciascuno
dei tre processi sara’ all’equilibrio separatamente (cioe’ la velocita’ dei due versi
di ciascun processo sara’ la stessa) e la separazione di carica metallo-soluzione
(cioe’, in ultima analisi, il potenziale elettrodico), sara’ tale da soddisfare
contemporaneamente la condizione di equilibrio per ciascun singolo
processo.
87
fase metallica
soluzione
e
F e3+
F e2+
F e2+
e
F e3+
2e
Sn4+
2F e3+ +
Sn2+
Sn4+ +
2F e2+
Sn2+
Sn2+
2e
Sn4+
Figura 2.4: Schematica rappresentazione dei vari processi che avvengono in una
semicella contenente le due coppie redox F e3+ /F e2+ e Sn4+ /Sn2+ . All’interfaccia metallo/soluzione avvengono contemporaneamente i seguenti processi (dall’alto verso il basso): F e3+ + e → F e2+ ; F e2+ → F e3+ + e; Sn4+ + 2e → Sn2+
e Sn2+ → Sn4+ + 2e. In soluzione, avvengono i seguenti processi (parte destra
della figura): 2F e3+ +Sn2+ → 2F e2+ +Sn4+ e 2F e2+ +Sn4+ → 2F e3+ +Sn2+ .
88
173. Quanto visto in questo caso particolare di due sole coppie redox ha validita’ completamente generale: in un sistema elettrodico puo’ essere presente un
numero qualsiasi di coppie redox; ci sara’ un corrispondente numero di semireazioni elettrodiche (in cui i membri di ciascuna coppia redox scambiano elettroni
con il metallo della semicella) e di reazioni redox (in cui la forma ossidata di una
certa coppia acquista elettroni dalla forma ridotta di un’altra coppia e viceversa). Tutti questi processi sono fra loro collegati nel senso che ciascuno influisce
sugli altri e dagli altri e’ influenzato e questa influenza reciproca avviene a causa
della separazione di carica fra metallo e soluzione. L’intero sistema elettrodico raggiunge una condizione di equilibrio in cui ogni singolo processo si trova
in uno stato di equilibrio dinamico: in tali condizioni, il potenziale elettrodico
sara’ necessariamente tale da soddisfare contemporaneamente la condizione
di equilibrio per tutte le semireazioni elettrodiche e le reazioni redox presenti in
soluzione.
174. La situazione e’ perfettamente analoga al caso di piu’ equilibri simultanei
in soluzione: se una specie chimica e’ coinvolta in piu’ reazioni, la sua concentrazione finale di equilibrio dovra’ essere necessariamente tale da soddisfare
simultaneamente tutte le leggi dell’azione di massa relative a tutte le reazioni a
cui partecipa.
2.3
La legge di Nernst
175. Dovrebbe a questo punto essere chiaro che gli “ingredienti” dell’equilibrio
in un sistema elettrodico sono le concentrazioni dei partecipanti alla semireazione elettrodica e il potenziale elettrodico. Come per le reazioni chimiche in
soluzione esiste una relazione che lega le concentrazioni di equilibrio dei partecipanti, cosi’ per un sistema elettrodico esiste una relazione che lega fra loro le
concentrazioni di equilibrio e il potenziale elettrodico: tale relazione si chiama
legge di Nernst. Per una generica semireazione:
aA + bB + cC + · · · + ne = xX + yY + zZ + · · ·
essa assume la forma:
E
=
E◦ +
[A]a [B]b [C]c · · ·
RT
ln
nF
[X]x [Y ]y [Z]z · · ·
(2.1)
E e’ il potenziale elettrodico, cioe’, ripetiamolo, la differenza di potenziale elettrico che si e’ instaurata fra il metallo e la soluzione che costituiscono
il sistema elettrodico quando la reazione elettrodica ha raggiunto l’equilibrio,
R e’ la costante universale dei gas, F e’ la costante di Faraday (la carica in
Coulomb posseduta da una mole di elettroni), T e’ la temperatura assoluta e
il termine logaritmico contiene le concentrazioni (rigorosamente: le attivita’)
delle specie partecipanti, ciascuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico: al numeratore compaiono le specie che stanno dalla parte della forma ossidata, al denominatore quelle che stanno dalla parte della forma ridotta nella
semireazione.
176. La legge di Nernst e’ l’equivalente della legge dell’azione di massa per le
reazioni in soluzione: oltre alle concentrazioni di equilibrio, vi compare anche
89
il potenziale elettrodico, che per i sistemi elettrodici e’ una grandezza fisica
addizionale che deve essere considerata come fattore determinante dello stato
di equilibrio.
177. Analogamente a quanto avviene per la legge dell’azione di massa, anche nell’equazione di Nernst ciascun termine di concentrazione e’ in realta’
un rapporto adimensionale fra la concentrazione di una data specie e la sua
concentrazione in uno stato di riferimento, secondo la seguente tabella:
stato di aggregazione
soluti in fase liquida
gas
solidi/liquidi puri
stato di riferimento
soluzione ideale a concentrazione 1 mol/L
gas ideale alla pressione di 1 bar
solidi/liquidi puri alla pressione di 1 bar
Siccome per i soluti e i gas la concentrazione/pressione di riferimento e’ unitaria, il valore del rapporto che compare nella legge di Nernst e’ numericamente
uguale alla concentrazione/pressione misurabile per il dato componente. Nel
caso di solidi o liquidi puri il rapporto adimensionale e’ rigorosamente unitario
se la pressione e’ di 1 bar ed e’ vicinissimo all’unita’ in un vasto range di pressioni (poiche’ le variazioni di pressione non hanno una grande influenza sulle
fasi condensate).
178. E ◦ si chiama potenziale standard e dall’espressione 2.1 si vede che
rappresenta la differenza di potenziale fra metallo e soluzione quando la concentrazione di tutte le specie che partecipano alla semireazione e’ unitaria. E ◦
non dipende quindi dalla concentrazione, ma solo dalla particolare coppia redox
considerata. Ogni coppia redox ha un valore di E ◦ che la caratterizza: molto
spesso, per indicare il potenziale standard di una particolare coppia redox, si
usa il simbolo E ◦ con il simbolo della coppia redox come indice. Ad esempio,
per indicare il potenziale standard della coppia redox F e3+ /F e2+ si scrivera’:
◦
EF◦ e3+ /F e2+ ; oppure, per una generica coppia redox Ox/Rid: EOx/Rid
.
Vale la pena di sottolineare che la legge di Nernst e’ una relazione termodinamica che vale esclusivamente in condizioni di equilibrio e quindi le concentrazioni
che in essa compaiono devono essere quelle corrispondenti a una condizione di
equilibrio.
L’equazione di Nernst rappresenta il fondamento delle applicazioni analitiche
della potenziometria: in ultima analisi, essa consente di risalire dal potenziale
elettrodico alla concentrazione in soluzione.
179. A titolo di esempio, scriviamo la legge di Nernst per alcuni sistemi elettrodici.
• In un sistema elettrodico all’equilibrio costituito da un filo di P t immerso
in una soluzione di ioni F e2+ e F e3+ la semireazione:
F e3+ + e
= F e2+
e’ all’equilibrio. In tali condizioni, il potenziale elettrodico e’ legato alla
concentrazione dei due ioni in soluzione da:
E
=
EF◦ e3+ /F e2+ +
90
[F e3+ ]
RT
ln
F
[F e2+ ]
• Come per la legge dell’azione di massa, ed esattamente per gli stessi motivi, anche nell’equazione di Nernst non compaiono le concentrazioni di
solidi, liquidi puri o la concentrazione del solvente in soluzioni diluite.
Un esempio di questo tipo e’ costituito dall’elettrodo Ag + /Ag, in cui la
reazione elettrodica e’:
Ag + + e =
Ag
In condizioni di equilibrio, il potenziale elettrodico e’ dato da:
E
◦
= EAg
+ /Ag +
RT
ln [Ag + ]
F
• Per un elettrodo costituito da un filo di P t immerso in una soluzione
contenente la coppia redox Cr2 O72− /Cr3+ in condizioni di equilibrio:
Cr2 O72− + 14H + + 6e = 2Cr3+ + 7H2 O
la legge di Nernst si scrive nel modo seguente:
E
=
◦
ECr
2−
3+
2 O7 /Cr
14
Cr2 O72− [H + ]
RT
ln
+
6F
[Cr3+ ]2
Se la soluzione non e’ molto concentrata, si puo’ assumere che l’acqua (il
solvente) sia praticamente in uno stato coincidente con quello di riferimento (acqua pura alla pressione di 1 bar, punto 175) e quindi il termine ad
essa relativo e’ (con buona approssimazione) unitario.
• Per un elettrodo ad AgCl/Ag, caratterizzato, come abbiamo gia’ visto,
dalla semireazione:
AgCl + e
=
Ag + Cl−
la legge di Nernst si scrive cosi’:
E
RT
1
ln
F
[Cl− ]
RT − ln Cl
−
F
=
◦
EAgCl/Ag
+
=
◦
EAgCl/Ag
Osserviamo che, siccome AgCl e Ag sono solidi, il potenziale elettrodico viene a dipendere unicamente dalla concentrazione di ioni Cl− in
soluzione.
91
• Analogamente alla legge dell’azione di massa, anche nella legge di Nernst
se una specie in soluzione si trova in equilibrio con una fase gassosa, la
sua concentrazione e’ sostituita dalla pressione parziale nella fase gassosa.
E’ questo il caso dell’elettrodo a idrogeno, in cui si ha:
2H + + 2e
= H2
e quindi:
2
E
2.4
◦
= EH
+ /H +
2
RT
[H + ]
ln
2F
pH2
Potenziali standard e costante di equilibrio
180. Nella sezione 2.2.1 abbiamo visto che, se una semicella contiene piu’ coppie
redox, il potenziale elettrodico di equilibrio sara’ necessariamente tale da soddisfare contemporaneamente le condizioni di equilibrio per tutte le semireazioni
relative a tutte le coppie redox presenti.
Ora possiamo enunciare questa affermazione in termini piu’ quantitativi: in
una semicella all’equilibrio, il potenziale elettrodico E sara’ tale da soddisfare
contemporaneamente la legge di Nernst per tutte le coppie redox presenti.
181. Facciamo subito un esempio per chiarire. Consideriamo una semicella in
2+
3+
2+
4+
condizioni di equilibrio contenente
e Sn
in concentra 2+ ioni
F3+e , F e2+ , Sn 4+
zione (di equilibrio) pari a F e , F e , Sn
e Sn , rispettivamente.
Siamo quindi in presenza delle due coppie redox F e3+ /F e2+ e Sn4+ /Sn2+ , le
cui semireazioni elettrodiche sono:
F e3+ + e
Sn
4+
+ 2e
= F e2+
= Sn2+
Ciascuna coppia e’ caratterizzata dal proprio potenziale standard: EF◦ e3+ /F e2+ e
◦
ESn
4+ /Sn2+ . Ebbene, siccome la semicella ha raggiunto le condizioni di equilibrio, il potenziale elettrodico E soddisfera’ contemporaneamente entrambe le
espressioni della legge di Nernst per le due coppie redox:
E
E
3+ Fe
RT
=
+
ln
F
[F e2+ ]
4+ Sn
RT
◦
ln
= ESn
4+ /Sn2+ +
2F
[Sn2+ ]
EF◦ e3+ /F e2+
92
2.4.1
Costanti di equilibrio per reazioni redox
182. Quanto appena detto ci consente di ricavare immediatamente una importantissima relazione che lega la costante di equilibrio di una reazione redox ai
potenziali standard delle due coppie redox che la costituiscono.
Come accennato al punto 169, una reazione redox e’ sempre scomponibile
in due semireazioni che avvengono in versi opposti: una procede nel verso della
riduzione e l’altra in quello dell’ossidazione. Ciascuna semireazione coinvolge
una coppia redox: nella reazione redox completa, la forma ossidata di una coppia
redox acquista elettroni dalla forma ridotta dell’altra coppia; si produce cosi’ la
forma ridotta della prima coppia e la forma ossidata della seconda coppia:
coppia Ox2 /Rid2
Ox1
+ Rid2 = Rid1 + Ox2
coppia Ox1 /Rid1
Restiamo nell’esempio delle due coppie F e3+ /F e2+ e Sn4+ /Sn2+ . In questo
caso, la reazione redox completa (e bilanciata) e’:
2F e3+ + Sn2+
= 2F e2+ + Sn4+
Ci proponiamo di ricavare la costante di equilibrio della reazione redox dai
potenziali standard delle due coppie redox coinvolte.
All’equilibrio il potenziale elettrodico soddisfa contemporaneamente entrambe le espressioni della legge di Nernst. Quindi possiamo uguagliare i due secondi
membri delle relazioni scritte prima ottenendo:
EF◦ e3+ /F e2+
3+ Fe
RT
+
ln
F
[F e2+ ]
◦
ESn
4+ /Sn2+
=
4+ Sn
RT
+
ln
2F
[Sn2+ ]
Ora facciamo qualche passaggio algebrico per raggruppare i termini di concentrazione.
Moltiplichiamo ambo i membri per 2:
2EF◦ e3+ /F e2+
3+ Fe
RT
+2
ln
F
[F e2+ ]
◦
2ESn
4+ /Sn2+
=
4+ Sn
RT
+
ln
F
[Sn2+ ]
Per il termine contenente le concentrazioni degli ioni F e, sfruttiamo la
proprieta’ dei logaritmi per cui: a ln b = ln ba :
2EF◦ e3+ /F e2+
3+ 2
Fe
RT
ln
+
2
F
[F e2+ ]
◦
2ESn
4+ /Sn2+
=
4+ Sn
RT
ln
+
F
[Sn2+ ]
2
◦
Sottraiamo 2ESn
4+ /Sn2+ e
RT
F
ln
[F e3+ ]
[F e2+ ]2
93
da entrambi i membri:
2EF◦ e3+ /F e2+
−
◦
2ESn
4+ /Sn2+
4+ 3+ 2
Sn
Fe
RT
RT
ln
−
ln
F
[Sn2+ ]
F
[F e2+ ]2
=
Sfruttiamo la proprieta’ dei logaritmi per cui: ln a − ln b = ln ab :
4+ 2+ 2
Sn
Fe
RT
ln
2
2+
F
[Sn ] [F e3+ ]
=
◦
2EF◦ e3+ /F e2+ − 2ESn
4+ /Sn2+
Infine, raccogliamo il 2 a fattor comune al secondo membro e moltiplichiamo
F
:
ambo i membri per RT
ln
4+ 2+ 2
Sn
Fe
[Sn2+ ] [F e3+ ]2
=
2F ◦
◦
EF e3+ /F e2+ − ESn
4+ /Sn2+
RT
Ora, siccome le concentrazioni sono quelle di equilibrio, l’argomento del
logaritmo e’ proprio la costante di equilibrio K per la reazione redox:
2F e3+ + Sn2+
K
= 2F e2+ + Sn4+
Quindi, introducendo il simbolo K e prendendo l’esponenziale di ambo i
membri arriviamo a:
K
=
exp
2F ◦
◦
EF e3+ /F e2+ − ESn4+ /Sn2+
RT
che lega la costante di equilibrio di una reazione redox ai potenziali elettrodici
standard delle due coppie coinvolte.
Se eleviamo ambo i membri alla −1, otteniamo:
1
K
=
K′
=
−1
2F ◦
◦
exp
EF e3+ /F e2+ − ESn
4+ /Sn2+
RT
2F ◦
exp
ESn4+ /Sn2+ − EF◦ e3+ /F e2+
RT
dove, ovviamente, K ′ e’ la costante di equilibrio della reazione inversa:
2F e2+ + Sn4+
K′
=
2F e3+ + Sn2+
183. Il risultato ottenuto e’ di validita’ completamente generale. Date due
◦
coppie redox qualsiasi Ox1 /Rid1 e Ox2 /Rid2 con potenziali standard EOx
1 /Rid1
◦
e EOx2 /Rid2 , e’ sempre possibile scrivere una reazione redox basata su di esse:
la forma ossidata di una coppia acquista elettroni dalla forma ridotta dell’altra
coppia; i prodotti saranno la forma ridotta della prima coppia e la forma ossidata
94
della seconda coppia (chiaramente si dovra’ bilanciare l’equazione in modo tale
che il numero di elettroni acquistati dall’ossidante e ceduti dal riducente sia lo
stesso). Quindi:
Ox1 + Rid2
= Rid1 + Ox2
(2.2)
Ebbene, generalizzando le espressioni viste prima per le due coppie F e3+ /F e2+
e Sn4+ /Sn2+ , la costante di equilibrio per la reazione redox e’ data da:
K
= exp
nF ◦
◦
EOx1 /Rid1 − EOx2 /Rid2
RT
(2.3)
dove n e’ il numero di elettroni scambiati fra ossidante e riducente (era n = 2
nel caso specifico visto prima) e la differenza fra i potenziali standard va presa
come:
potenziale standard della coppia che si riduce
meno
potenziale standard della coppia che si ossida
nel verso diretto dell’equazione cosi’ come e’ stata scritta.
Puo’ sembrare complicato, ma non lo e’ davvero. Riguardate l’equazione 2.2:
il verso diretto e’ ovviamente quello che va da sinistra verso destra. In tale
verso, la coppia redox che si riduce e’ la coppia Ox1 /Rid1 , perche’ Ox1 acquista
elettroni e si riduce a Rid1 e, ovviamente, la coppia che si ossida e’ Ox2 /Rid2 .
Quindi, la differenza dei potenziali redox da mettere al secondo membro della
equazione 2.3 va presa come mostrato.
Se scriviamo la stessa reazione redox nel verso opposto:
Rid1 + Ox2
= Ox1 + Rid2
la coppia che si riduce (nel verso diretto dell’equazione cosi’ come e’ scritta ora)
e’ la coppia Ox2 /Rid2 e quella che si ossida e’ la coppia Ox1 /Rid1 . Quindi la
relazione fra la costante di equilibrio K ′ e i potenziali standard va scritta nel
modo seguente:
K
′
=
exp
nF ◦
◦
EOx2 /Rid2 − EOx1 /Rid1
RT
Ovviamente, e’ immediato verificare che:
K′
=
come deve essere.
95
1
K
(2.4)
2.4.2
Costanti di equilibrio per reazioni non redox
184. In molti casi la condizione di equilibrio per un sistema elettrodico consente
di ricavare relazioni fra potenziali standard e costanti di equilibrio di reazioni
non redox. In generale cio’ avviene quando una specie chimica e’ contemporaneamente coinvolta nella semireazione elettrodica e in una o piu’ reazioni in
soluzione.
185. Chiariamo subito con un esempio. Consideriamo un sistema elettrodico
costituito da un filo di argento ricoperto di AgCl e immerso in una soluzione contenente una certa concentrazione di ioni cloruro: si tratta dell’elettrodo
descritto al punto 156.
La semireazione elettrodica e’:
AgCl(s) + e
=
Ag (s) + Cl−
e il potenziale elettrodico e’ dato da:
E
=
◦
EAgCl/Ag
+
RT
1
ln
F
[Cl− ]
Tuttavia, in un sistema come quello descritto, deve esserci anche una certa
concentrazione di equilibrio di ioni Ag + , dovuta alla ionizzazione del cloruro
d’argento:
AgCl(s)
KSP
Ag + + Cl−
=
Questo significa che nella semicella e’ presente anche la coppia redox Ag + /Ag
e quindi, all’equilibrio, deve valere anche:
Ag + + e
E
=
= Ag (s)
◦
EAg
/ Ag +
RT
ln Ag +
F
Uguagliando i due secondi membri si ha:
RT
1
ln
F
[Cl− ]
RT
1
RT
ln Ag + −
ln
F
F
[Cl− ]
RT
RT
ln Ag + +
ln Cl−
F
F
+
RT
ln Ag + ln Cl−
F
ln Ag + Cl−
◦
EAgCl/Ag
+
RT
ln Ag +
F
=
◦
EAg
/ Ag +
=
◦
◦
EAgCl/Ag
− EAg
/ Ag
=
◦
◦
− EAg
EAgCl/Ag
/ Ag
=
◦
◦
EAgCl/Ag
− EAg
/ Ag
F
◦
◦
EAgCl/Ag
− EAg
/ Ag
RT
=
96
Ag
+
Cl
−
KSP
F ◦
◦
EAgCl/Ag − EAg/ Ag
exp
RT
F ◦
◦
EAgCl/Ag − EAg/ Ag
exp
RT
=
=
che fornisce una relazione fra i potenziali redox delle coppie AgCl/Ag e Ag + /Ag
e il prodotto di solubilita’ per la dissoluzione del cloruro d’argento, una reazione
non redox.
186. Osservate, tuttavia, che alla base di questa sezione e’ lo stesso concetto
visto alla sezione precedente. Infatti, la dissoluzione del cloruro d’argento puo’
essere sempre vista come la reazione redox fra le due coppie AgCl/Ag e Ag + /Ag,
in cui la specie Ag (s) compare ad entrambi i membri dell’equazione chimica e
viene percio’ “semplificata”:
coppia Ag + /Ag
AgCl(s)
+ Ag (s) = Ag (s) + Ag + + Cl−
coppia AgCl/Ag
AgCl(s)
=
Ag + + Cl−
187. Un’ultima osservazione. La relazione che lega i potenziali standard alle
costanti di equilibrio puo’ essere anche usata per ricavare il potenziale standard
di una coppia redox.
Consideriamo il seguente esempio.
Una semicella all’equilibrio e’ costituita da un filo d’argento ricoperto di
Ag2 CrO4 immerso in una soluzione contenente ioni CrO42− . Sapendo che il
prodotto di solubilita’ del cromato d’argento e’ KSP = 2.0 × 10−12 e che il
◦
potenziale standard della coppia Ag + /Ag e’ EAg
+ /Ag = 0.799 V , calcolare il
potenziale standard della coppia Ag2 CrO4 /Ag.
Nella semicella in questione possiamo individuare almeno due coppie redox:
Ag2 CrO4 /Ag e Ag + /Ag. Quindi il potenziale elettrodico puo’ essere scritto in
almeno due modi equivalenti:
Ag2 CrO4 (s) + 2e =
E
AgCl(s) + e
E
=
2Ag(s) + CrO42−
◦
EAg
+
2 CrO4 /Ag
1
RT
ln 2F
CrO42−
= Ag (s) + Cl−
RT
◦
= EAg
ln Ag +
+ /Ag +
F
97
Le concentrazioni degli ioni CrO42− e Ag + sono legate dalla legge dell’azione
di massa relativa alla dissoluzione del sale poco solubile:
Ag2 CrO4 (s)
KSP
=
= 2Ag + + CrO42−
+ 2 Ag
CrO42−
Allora, utilizzando l’espressione del potenziale elettrodico basata sulla coppia
Ag + /Ag:
E
=
=
=
=
=
RT
ln Ag +
F
s
KSP
RT
◦
ln EAg
+ /Ag +
F
CrO42−
◦
EAg
+ /Ag +
KSP
RT
ln 2F
CrO42−
RT
RT
◦
EAg
ln KSP −
ln CrO42−
+ /Ag +
2F
2F
RT
RT
1
◦
EAg+ /Ag +
ln KSP +
ln 2F
2F
CrO42−
◦
EAg
+ /Ag +
da cui, per confronto con l’espressione del potenziale elettrodico basata sulla
coppia Ag2 CrO4 /Ag, si ricava:
◦
EAg
2 CrO4 /Ag
=
=
=
2.4.3
RT
ln KSP
2F
8.314 × 298
ln 2.0 × 10−12
0.799 +
2 × 96485
0.453 V
◦
EAg
+ /Ag +
Il potenziale standard misura la tendenza alla riduzione
188. La relazione che lega la costante di equilibrio di una reazione redox ai
potenziali elettrodici standard delle due coppie redox coinvolte ci consente di
ricavare un significato del potenziale elettrodico standard molto utile ai fini
pratici.
189. Come visto, per la generica reazione redox:
Ox1 + Rid2
K
= Rid1 + Ox2
vale:
98
K
= exp
nF ◦
◦
EOx1 /Rid1 − EOx2 /Rid2
RT
190. Da questa relazione si vede che la costante di equilibrio K per la reazione
◦
◦
.
rispetto a EOx
e’ tanto maggiore quanto maggiore e’ EOx
2 /Rid2
1 /Rid1
Detto in altri termini, la tendenza termodinamica alla riduzione di Ox1 (a
spese di Rid2 ) sara’ tanto maggiore quanto maggiore e’ il potenziale elettrodico
standard della coppia Ox1 /Rid1 (rispetto a quello della coppia Ox2 /Rid2 ).
Quindi: il valore numerico del potenziale standard di una coppia redox e’
una misura della sua tendenza a reagire nel verso della riduzione; tanto
maggiore e’ il potenziale standard della coppia e tanto maggiore sara’ la tendenza
termodinamica della forma ossidata ad acquistare elettroni trasformandosi nella
forma ridotta.
191. Esistono tabelle molto estese che riportano i potenziali standard (che,
per il motivo appena visto, vengono spesso chiamati potenziali standard di
riduzione) per moltissime coppie redox. Dai valori riportati e’ immediatamente
possibile avere un’idea circa il grado di spontaneita’ della reazione redox fra due
coppie qualsiasi.
Ad esempio, dalle tabelle si puo’ vedere che i potenziali standard delle coppie
M nO4− /M n2+ e I2 /I − sono:
◦
EMnO
−
/Mn2+
1.507 V
EI◦2 /I −
0.620 V
4
da cui si deduce immediatamente che, dei due versi in cui si puo’ scrivere la
reazione redox fra le due coppie, quello che vede la riduzione dello ione M nO4−
(forma ossidata della coppia M nO4− /M n2+ ) a spese dello ione I − (forma ridotta
della coppia I2 /I − ) e’ il verso termodinamicamente favorito:
2M nO4− + 16H + + 10I −
=
2M n2+ + 5I2 + 8H2 O
La costante di equilibrio per la reazione a 25 C e’:
K
=
=
=
=
2
5
M n2+ [I2 ]
2
16
10
M nO4− [H + ] [I − ]
nF ◦
◦
exp
EMnO− /Mn2+ − EI2 /I −
4
RT
10 × 96485
(1.507 − 0.620)
exp
8.314 × 298.15
8.75 × 10149
Notate come, a causa della funzione esponenziale, apparentemente piccole
differenze nei potenziali standard (in questo caso 1.507 − 0.620 = 0.887 V )
determinino valori enormi (o piccolissimi, se le differenze sono negative) delle
corrispondenti costanti di equilibrio.
99
2.5
Misura dei potenziali elettrodici ed elettrodi
di riferimento
192. Consideriamo un elettrodo ad Ag + /Ag, il cui potenziale elettrodico di
equilibrio e’ dato da:
Ag + + e
= Ag
◦
= EAg
+ /Ag +
E
RT + ln Ag
F
Questa espressione puo’ essere facilmente posta nella forma:
Ag
+
=
exp
F ◦
E − EAg+ /Ag
RT
il che suggerirebbe un impiego immediato di questo elettrodo per la determinazione della concentrazione di ioni Ag + in una soluzione: immergiamo nella
◦
soluzione da analizzare un filo di Ag, misuriamo E e T , i valori di EAg
+ /Ag , R e
F sono tabulati e quindi ricaviamo la concentrazione incognita di ioni argento.
Purtroppo, la semplice procedura descritta non e’ possibile perche’ la misura
diretta del potenziale elettrodico di un singolo elettrodo non e’ sperimentalmente
accessibile.
Esistono argomenti rigorosi che dimostrano quanto detto, ma questi vanno oltre il livello a cui vogliamo mantenerci. Tuttavia, possiamo convincerci
ugualmente bene dell’impossibilita’ di misurare un singolo potenziale elettrodico
immaginando un semplice esperimento.
193. Una differenza di potenziale elettrico si misura con uno strumento detto
voltmetro (o potenziometro). Esso e’ costituito da una “scatola nera” (il cui
funzionamento non ci interessa) da cui escono due cavi che terminano con dei
puntali metallici contrassegnati generalmente con i simboli ⊕ e ⊖ (generalmente,
il cavo del puntale ⊕ e’ di colore rosso, mentre quello del puntale ⊖ e’ di colore
nero). Ponendo in contatto i puntali con due punti di un circuito elettrico, lo
strumento fornisce la differenza di potenziale fra i due punti. Tale differenza e’
letta dallo strumento come:
ddp =
potenziale del punto in contatto
potenziale del punto in contatto
−
col puntale ⊕
col puntale ⊖
(quindi, scambiando i due puntali, si ottiene lo stesso valore della differenza di
potenziale, ma cambiato di segno)
Immaginiamo allora di voler misurare il potenziale elettrodico di una semicella ad Ag + /Ag con un voltmetro (figura 2.5). Ricordiamo che, per definizione,
il potenziale elettrodico di questa semicella e’ la differenza di potenziale fra il
filo di argento e la soluzione. Quindi, per misurare questa differenza di potenziale con il voltmetro, dovremmo toccare il filo metallico con il puntale ⊕ e la
soluzione con quello ⊖.
Ma, quando immergiamo il puntale ⊖ del voltmetro nella soluzione, si realizza inevitabilmente una seconda semicella, in cui la parte metallica (il conduttore elettronico) e’ il puntale del voltmetro e la soluzione e’ la stessa della
100
M
⊕
Ag
M
⊖
Ag +
Figura 2.5: Il tentativo di misurare un singolo potenziale elettrodico con un
voltmetro: i diversi toni di grigio indicano le parti del circuito in cui il potenziale
elettrico e’ costante.
semicella Ag + /Ag. Ne segue che il voltmetro non misurera’ il potenziale elettrodico della semicella Ag + /Ag, ma quello della cella elettrochimica costituita
dall’accoppiamento della semicella Ag + /Ag con la semicella ottenuta all’atto
dell’immersione del puntale ⊖ del voltmetro nella soluzione.
E’ importante comprendere bene che cosa misura il voltmetro in questo
esperimento. A tale scopo dobbiamo conoscere alcune semplici proprieta’ del
potenziale elettrico. La prima e’ che il potenziale elettrico in tutti i punti di un
conduttore metallico o di una soluzione si puo’ considerare con buona approssimazione costante; la seconda e’ che la differenza di potenziale fra due punti di
un qualsiasi circuito elettrico e’ sempre esprimibile come somma algebrica delle
differenze di potenziale “parziali” incontrate lungo il percorso fra i due punti in
questione (una differenza di potenziale e’ come il dislivello totale di una montagna, che puo’ essere espresso come somma algebrica di tutti i dislivelli parziali
che si incontrano lungo il percorso per raggiungere la vetta).
Il puntale ⊕ del voltmetro in contatto con il filo di argento rappresenta un
unico conduttore metallico il cui potenziale elettrico avra’ lo stesso valore in tutti
i punti (diciamo che il volume di questo conduttore e’ equipotenziale): chiamiamo
E(Ag) tale potenziale elettrico; il puntale ⊖ del voltmetro costituisce un secondo
conduttore metallico equipotenziale: indichiamo con E(M ) il valore del suo
potenziale (M sta ad indicare il metallo di cui e’ fatto il puntale); chiaramente,
E(Ag) ed E(M ) sono diversi e il display del voltmetro fornisce proprio la loro
differenza: E(Ag)−E(M ). Il significato di questa differenza si puo’ comprendere
se la decomponiamo nei contributi parziali che si incontrano andando dal puntale
⊕ al puntale ⊖. Con riferimento alla figura 2.5, se partiamo dal puntale ⊕ e
ci muoviamo all’interno di esso o del filo di argento, il potenziale e’ sempre
lo stesso; quando passiamo dal filo di argento alla soluzione, incontriamo una
prima differenza di potenziale: indicando con E(S) il potenziale (comune a
tutti i punti) della soluzione, questa prima differenza di potenziale e’ ∆E1 =
E(Ag) − E(S). Una volta nella soluzione, il potenziale rimane costante finche’
passiamo nel puntale ⊖: in questo passaggio registreremo una differenza di
101
potenziale data da ∆E2 = E(S)−E(M ). Il puntale ⊖ e’ equipotenziale e quindi
non ci sono altri contributi alla differenza di potenziale totale che il voltmetro
misura.
In sostanza, indicando con ddp la differenza di potenziale totale misurata dal
voltmetro, si ha (in base alla seconda proprieta’ del potenziale elettrico prima
accennata):
ddp
= ∆E1 + ∆E2
= E(Ag) − E(S) + E(S) − E(M )
= E(Ag) − E(S) − [E(M ) − E(S)]
Vediamo quindi che il voltmetro misura la differenza fra i due termini (E(Ag)−
E(S)) e (E(M ) − E(S)). In base alla definizione che abbiamo dato di potenziale
elettrodico (punto 157), riconosciamo nel termine (E(Ag) − E(S)) il potenziale elettrodico del sistema Ag + /Ag; analogamente, il termine (E(M ) − E(S))
rappresenta il potenziale elettrodico dell’elettrodo costituito dal metallo M immerso in una soluzione contenente ioni Ag + (non e’ banale, ne’ importante ai
fini della discussione, sapere qual’e’ la reazione elettrodica (o le reazioni elettrodiche) che caratterizza(no) questo secondo elettrodo). Se indichiamo questi due
potenziali elettrodici con la notazione usuale EAg+ /Ag e EM/Ag+ , otteniamo:
=
ddp
EAg+ /Ag − EM/Ag+
Questo risultato e’ molto importante perche’ ci mostra che, mentre un singolo
potenziale elettrodico non si puo’ misurare, e’ possibile misurare la differenza
fra due potenziali elettrodici di due semicelle accoppiate a formare una cella
elettrochimica.
194. In generale, una cella elettrochimica e’ costituita da due semicelle, ciascuna caratterizzata da una coppia redox ben definita (figura 2.6). Ad esempio,
potremmo accoppiare una semicella ad Ag + /Ag con una semicella a F e3+ /F e2+ ,
oppure un elettrodo a Cu2+ /Cu con uno a Zn2+ /Zn. In ogni caso, la differenza
di potenziale che si misura con un voltmetro toccando con i puntali i due metalli
delle semicelle e’ uguale (a meno di una piccola complicazione che tratteremo fra
breve) alla differenza fra i due potenziali elettrodici (potenziale elettrodico della
semicella in contatto col puntale ⊕ meno potenziale elettrodico della semicella
in contatto col puntale ⊖).
Se indichiamo con EOss 1 /Rid 1 il potenziale elettrodico della semicella collegata al puntale ⊕ del voltmetro (e caratterizzata dalla coppia redox Oss 1 /Rid 1 )
e con EOss 2 /Rid 2 quello della seconda semicella (in cui reagisce la coppia redox
Oss 2 /Rid 2 ) (figura 2.6), allora si ha:
ddp
=
EOss 1 /Rid 1 − EOss 2 /Rid 2
195. Siccome un singolo potenziale elettrodico non e’ misurabile, si e’ convenuto
di scegliere una semicella come riferimento e di esprimere poi il potenziale di
qualsiasi altro elettrodo relativamente al riferimento.
102
⊕
⊖
ponte salino
voltmetro
Oss 2 /Rid 2
Oss 1 /Rid 1
Figura 2.6: Una generica cella elettrochimica.
La semicella di riferimento e’ l’elettrodo standard a idrogeno (SHE: Standard Hydrogen Electrode). Abbiamo gia’ visto come e’ costituito un elettrodo
a idrogeno (punto 179): nell’elettrodo standard a idrogeno la concentrazione di
ioni idrogeno nella soluzione e la pressione parziale di idrogeno su di essa sono unitarie. In tal modo, dall’equazione di Nernst, il potenziale elettrodico di
questa semicella coincide con il suo potenziale standard (punto 175). Il fatto
essenziale e’ che il potenziale dell’SHE e’ costante (perche’ la concentrazione degli ioni idrogeno e la pressione parziale dell’idrogeno gassoso sopra la soluzione
sono fissate). Allora, per assegnare il potenziale a qualsiasi altro elettrodo relativamente all’SHE, si costruisce una cella in cui l’elettrodo in questione viene
accoppiato con un SHE (figura 2.7): con un voltmetro si misura la differenza di
potenziale fra l’elettrodo di cui si vuole conoscere il potenziale relativo e il filo di
P t dell’SHE; come abbiamo appena visto, la differenza di potenziale misurata
e’:
ddp
= EOss 1 /Rid 1 − ESHE
Ebbene, la differenza di potenziale misurata dal voltmetro definisce il potenziale elettrodico relativo della semicella considerata rispetto all’SHE.
Quindi, il potenziale elettrodico relativo si chiama cosi’ perche’ e’ definito
come differenza fra il potenziale elettrodico “assoluto” di una data semicella
e il potenziale elettrodico “assoluto” di una semicella presa come riferimento
(l’elettrodo standard a idrogeno).
196. Osservate che avere scelto l’SHE come semicella di riferimento equivale
ad assegnare il valore di 0.00 V al suo potenziale elettrodico relativo. Infatti,
il potenziale elettrodico relativo dell’SHE e’, per definizione, la differenza di
potenziale misurata con un voltmetro in una cella costituita da una semicella
SHE accoppiata con la semicella di riferimento, che e’ una semicella SHE identica
alla prima. Quindi:
ddp
=
=
ESHE − ESHE
0.00 V
103
voltmetro
⊕
⊖
Pt
Oss 1 /Rid 1
pH2 = 1.0 atm
[H + ] = 1.0 mol/l
Figura 2.7:
197. Chiaramente, se in una semicella accoppiata con l’SHE la concentrazione
di tutte le specie partecipanti alla semireazione redox e’ unitaria, la differenza di
potenziale misurata con il voltmetro coincide con il potenziale standard relativo
della semicella (punto 178).
198. Il fatto di poter definire solo potenziali elettrodici relativi non rappresenta
un problema. Infatti, in primo luogo, la differenza fra due potenziali elettrodici relativi e’ uguale alla differenza fra i loro valori “assoluti”. Cio’ segue
immediatamente dalla definizione di potenziale relativo che abbiamo dato: se
indichiamo con EOss 1 /Rid 1 e EOss 2 /Rid 2 i potenziali elettrodici “assoluti” di due
coppie redox qualsiasi, allora si ha:
potenziali “assoluti”
z
}|
{
EOss 1 /Rid 1 − EOss 2 /Rid 2 =
=
EOss 1 /Rid 1 − EOss 2 /Rid 2 + ESHE − ESHE
EOss 1 /Rid 1 − ESHE − EOss 2 /Rid 2 − ESHE
|
{z
}
potenziali relativi
Inoltre l’equazione di Nernst mantiene inalterata la sua forma se invece del
potenziale “assoluto” si usa quello relativo. Se indichiamo con l’indice ass i
valori “assoluti” e con l’indice rel quelli relativi, allora, prendendo l’esempio
della coppia F e3+ /F e2+ , si ha:
=
EF◦ e3+ /F e2+ ,ass
Eass − ESHE
=
EF◦ e3+ /F e2+ ,ass
Erel
=
EF◦ e3+ /F e2+ ,rel
Eass
104
3+ Fe
RT
ln
+
F
[F e2+ ]
3+ Fe
RT
− ESHE +
ln
F
[F e2+ ]
3+ Fe
RT
ln
+
F
[F e2+ ]
(E − ESHE )
O
_ E



























(E − ERIF )
_ ERIF








(ERIF − ESHE )







_ ESHE
Figura 2.8: Un potenziale relativo a un riferimento qualsiasi puo’ essere espresso
relativamente all’SHE conoscendo il potenziale del riferimento qualsiasi rispetto
all’SHE
Apparentemente, quindi, il potenziale elettrodico che compare nella legge
di Nernst puo’ essere pensato indifferentemente come relativo (definito rispetto
all’SHE) o “assoluto” (non misurabile).
199. La scelta dell’SHE come elettrodo di riferimento, pur essendo quella internazionalmente riconosciuta, non e’ sicuramente l’unica possibile ne’ la piu’
conveniente: qualsiasi semicella il cui potenziale elettrodico sia costante e riproducibile puo’ servire da riferimento. Naturalmente, il valore numerico di un
potenziale relativo cambia al variare dell’elettrodo di riferimento: tuttavia, e’
sempre possibile convertire un potenziale elettrodico misurato rispetto ad un
riferimento diverso dall’SHE nel corrispondente valore rispetto all’SHE. Infatti,
se indichiamo con E il potenziale “assoluto” di una data semicella, con ERIF il
potenziale “assoluto” di una semicella di riferimento (diversa dall’SHE) e con
ESHE il potenziale “assoluto” dell’SHE, allora si puo’ scrivere:
E − ESHE
= E − ESHE + ERIF − ERIF
= (E − ERIF ) + (ERIF − ESHE )
il che mostra che il potenziale di una semicella riferito all’SHE (E − ESHE )
si ottiene sommando il suo potenziale riferito a un qualsiasi altro riferimento
(E − ERIF ) al potenziale relativo all’SHE della semicella usata come riferimento
(ERIF − ESHE ).
Questo risultato e’ espresso graficamente nella figura 2.8, dove, sull’asse
dei potenziali “assoluti”, sono indicati E, ERIF ed ESHE e viene mostrata la
relazione fra essi.
200. Nel concetto di potenziale relativo che abbiamo introdotto non c’e’ nulla
di “esoterico”. Potremmo definire in modo assolutamente identico una statura relativa in una classe di studenti. Prendiamo uno studente di riferimento
e definiamo la statura relativa di uno studente qualsiasi come la differenza fra
la sua statura “assoluta” e quella dello studente di riferimento. In tal modo,
se uno studente ha una statura relativa di 10 cm cio’ significa semplicemente
che egli e’ piu’ alto dello studente di riferimento di 10 cm; analogamente, uno
105
Ag
Pt
Hg2 Cl2 /Hg
AgCl
Cl−
Cl−
KCl
Figura 2.9: Due elettrodi di riferimento molto usati: l’elettrodo ad AgCl/Ag e
l’elettrodo a calomelano
studente che abbia una statura relativa di −8 cm sara’ piu’ basso dello studente
di riferimento di 8 cm. Appare evidente che definire la statura relativa in questo modo e’ equivalente ad assegnare allo studente di riferimento una statura
relativa nulla (esattamente come abbiamo fatto per il potenziale dell’SHE). E’
chiaro inoltre che la statura relativa di uno studente sara’ diversa per diverse
scelte dello studente di riferimento. Infine, e’ sempre possibile convertire una
statura relativa riferita ad un certo studente nella statura relativa riferita ad
uno studente diverso: se la statura relativa di Marco rispetto a Ottavia e’ 23 cm
e la statura relativa di Ottavia rispetto ad Andrea e’ 4 cm, allora la statura
relativa di Marco rispetto al “riferimento” Andrea sara’ (23 + 4) = 27 cm (vi
appare chiaro il parallelo con la figura 2.8?)
201. L’elettrodo standard a idrogeno non e’ molto comodo da usare in pratica.
Per questo motivo, vengono usati come riferimenti altri elettrodi piu’ semplici da
costruire e utilizzare. Due elettrodi di riferimento molto usati sono l’elettrodo
ad AgCl/Ag e quello a calomelano, che abbiamo gia’ visto al punto 156. Essi
sono schematicamente illustrati nella figura 2.9.
Come abbiamo visto a pagina 91, il potenziale dell’elettrodo ad AgCl/Ag e’
dato da:
E
◦
−
= EAgCl/Ag
RT − ln Cl
F
da cui si vede che, una volta fissata la concentrazione di ioni Cl− in soluzione,
il potenziale elettrodico e’ costante (questa e’ la condizione per poter usare
l’elettrodo come riferimento). Il modo piu’ banale di fissare la concentrazione di
ioni Cl− e’ quello di saturare la soluzione con un sale come KCl: in presenza di
un corpo di fondo di KCl indisciolto siamo certi che la soluzione e’ satura e che,
pertanto, la concentrazione di ioni Cl− al suo interno e’ costante (a temperatura
costante).
L’elettrodo a calomelano e’ basato sulla semireazione (punto 156):
Hg2 Cl2 (s) + 2e = 2Hg(l) + 2Cl−
e quindi il suo potenziale e’ dato da:
106
E
=
◦
EHg
−
2 Cl2 /Hg
RT − 2
ln Cl
2F
(Hg2 Cl2 e’ solido e Hg e’ un liquido puro, quindi le loro concentrazioni non
compaiono)
Anche in questo caso il potenziale dipende dalla sola concentrazione di ioni
Cl− , che puo’ essere facilmente mantenuta costante operando con una soluzione
satura di KCl.
Da quanto detto dovrebbe essere evidente la praticita’ di costruzione e uso
di questi due elettrodi rispetto all’elettrodo standard ad idrogeno.
202. Facciamo il punto della situazione.
• Un elettrodo (per cio’ che ci riguarda) e’ costituito da un metallo immerso
in una soluzione ed e’ caratterizzato dalla presenza di (almeno) una coppia
redox.
• La semireazione che interconverte i due membri della coppia redox produce
una differenza di potenziale elettrico fra il metallo e la soluzione che si
chiama potenziale elettrodico.
• Il segno e l’entita’ del potenziale elettrodico dipendono dalla posizione
raggiunta dall’equilibrio della semireazione elettrodica e sono legati alle
concentrazioni (di equilibrio) delle specie implicate nella semireazione dalla
legge di Nernst.
• Se in un sistema elettrodico sono presenti piu’ coppie redox, le corrispondenti semireazioni e tutte le possibili reazioni redox fra le varie coppie
avvengono simultaneamente: il potenziale elettrodico di equilibrio sara’
tale da soddisfare contemporaneamente tutte le espressioni della legge
di Nernst per tutte le coppie redox presenti.
• Un singolo potenziale elettrodico non e’ sperimentalmente misurabile: cio’
che si puo’ misurare e’ la differenza fra i potenziali elettrodici di due
semicelle accoppiate.
• Per questo motivo, i potenziali elettrodici sono numericamente definiti rispetto ad un elettrodo scelto come riferimento; cio’ vuol dire che il potenziale elettrodico relativo di una semicella e’ definito come la differenza fra il
potenziale elettrodico “assoluto” della semicella e il potenziale elettrodico
“assoluto” della semicella di riferimento.
• L’elettrodo di riferimento deve avere un potenziale costante; l’elettrodo
di riferimento “ufficiale” e’ l’SHE; in pratica, pero’, si usano elettrodi di
riferimento piu’ funzionali.
2.6
Il potenziale di giunto
203. Abbiamo visto finora che la misura di un potenziale elettrodico implica necessariamente la presenza di un elettrodo di riferimento. E’ essenziale
che il potenziale di quest’ultimo sia sempre costante e riproducibile e quindi
107
la soluzione dell’elettrodo di riferimento deve essere tenuta separata da quella
dell’elettrodo di cui si vuole misurare il potenziale relativo (da qui in poi non
useremo piu’ l’aggettivo “relativo”). Provate ad immaginare di voler misurare il
potenziale di un elettrodo ad Ag + /Ag rispetto ad un riferimento a calomelano
senza che le soluzioni delle due semicelle siano separate: gli ioni Ag + del sistema
elettrodico Ag + /Ag reagirebbero con gli ioni Cl− del riferimento precipitando
come AgCl e cio’, come minimo, farebbe variare la concentrazione di ioni Cl−
e quindi il potenziale del riferimento. Se da un lato le soluzioni dei due elettrodi di una cella devono in generale essere separate per i motivi appena detti,
dall’altro, tuttavia, esse devono essere in contatto elettrico, perche’ altrimenti
non e’ possibile misurare la differenza di potenziale fra i due metalli. Infatti,
affinche’ un voltmetro possa misurare una differenza di potenziale fra due punti,
bisogna che essi siano elettricamente connessi. “Contatto elettrico” significa per
noi che deve esserci la possibilita’ che una corrente elettrica fluisca da una cella
all’altra.
204. L’obiettivo di separare le due semicelle mantenendole pero’ in contatto
elettrico puo’ essere realizzato in vari modi. Quello classico e’ l’uso di un cosiddetto ponte salino (figura 2.6): si tratta di un tubo ad “U” contenente una
soluzione elettrolitica (ad esempio KN O3 ) molto concentrata (la soluzione si
trova generalmente in forma di gelatina, per evitare che fuoriesca dal tubo). Il
ponte salino viene sistemato capovolto con le due estremita’ ciascuna immersa
in una delle due soluzioni delle semicelle da accoppiare. In questo modo, le due
soluzioni elettrodiche non si mescolano, pur tuttavia esse sono elettricamente
connesse grazie al movimento degli ioni presenti nel gel.
Un altro mezzo di separazione molto usato e’ un setto poroso, cioe’, in
pratica, una parete divisoria dotata di pori aventi dimensioni molecolari: in
questo caso gli ioni e le molecole di solvente delle due semicelle attraversano
effettivamente la separazione (che quindi consente il contatto elettrico), ma lo
fanno talmente lentamente che il mescolamento delle due soluzioni per la durata della misura e’ del tutto trascurabile. A questo proposito e’ opportuno
accennare alla realizzazione commerciale di moltissimi elettrodi di riferimento.
Per evidenti questioni di praticita’ di impiego, gli elettrodi di riferimento sono
costruiti come illustrato nella figura 2.10: l’elettrodo e’ contenuto in una provetta sul fondo della quale si trova un setto poroso avente un diametro di circa
1 mm. In pratica, immergendo la provetta nella soluzione test che contiene il
secondo elettrodo si realizza una cella elettrochimica completa (figura 2.10) in
cui il contatto elettrico fra le due semicelle e’ costituito dal setto poroso sul
fondo della provetta contenente l’elettrodo di riferimento. La provetta e’ chiusa
alla sommita’ con un coperchio da cui esce un cavo connesso al metallo di cui
e’ fatto l’elettrodo: a questo cavo viene connesso il puntale ⊖ del voltmetro
quando si effettua la misura della differenza di potenziale nella cella. Generalmente, la provetta contiene anche un foro laterale (chiuso con un tappo) che
si puo’ utilizzare per rinnovare saltuariamente la soluzione in cui e’ immerso
l’elettrodo di riferimento. Durante le misure, il tappo deve essere aperto per
meglio consentire il passaggio degli ioni attraverso il setto poroso.
Simili ai setti porosi sono le membrane semipermeabili: si tratta di
materiali che macroscopicamente assomigliano a fogli di carta o naylon, ma la
cui struttura microscopica e’ tale per cui solo certi ioni o certe molecole possono
passarvi attraverso.
205. La necessaria separazione fra le due soluzioni comporta una complicazione
108
voltmetro
⊕
⊖
elettrodo
di riferimento
coperchio
tappo di gomma
filo di
argento
soluzione satura
di KCl
deposito di
AgCl
setto
poroso
soluzione test
Figura 2.10: Un tipico elettrodo di riferimento commerciale ad AgCl/Ag.
109
voltmetro
⊖
⊕
M1
M2
H+
S1
S2
Cl−
HCl
HCl
C1
>
C2
Figura 2.11: La creazione di un potenziale di giunto.
nella misura della differenza di potenziale di una cella: il cosiddetto potenziale
di giunto. Esso consiste in una differenza di potenziale che si viene a creare
in corrispondenza ad ogni “confine” che separi due soluzioni diverse. Per comprendere qualitativamente l’origine del potenziale di giunto e i suoi effetti sulla
misura della differenza di potenziale in una cella elettrochimica consideriamo la
cella mostrata nella figura 2.11.
Le due semicelle sono separate da un setto poroso e contengono due soluzioni
di HCl a diversa concentrazione. Ignoriamo per il momento tutto il resto (le
sbarrette metalliche e il voltmetro). Se C1 > C2 , come mostrato, allora ioni H +
e Cl− tenderanno a diffondere attraverso il setto dalla soluzione S1 alla soluzione S2 . Tuttavia, e questo e’ il motivo ultimo per cui si stabilisce il potenziale
di giunto, le velocita’ di diffusione dei due tipi di ioni sono diverse. Nel caso
specifico, gli ioni idrogeno migrano da S1 a S2 molto piu’ velocemente degli ioni
Cl− . Se riguardate quanto abbiamo detto a proposito del meccanismo di formazione del potenziale elettrodico, potete facilmente prevedere la conseguenza di
cio’. Inizialmente le due soluzioni sono elettricamente neutre, cioe’ in ciascuna
il numero di ioni H + e’ esattamente uguale al numero di ioni Cl− . Dopo che
e’ trascorso un piccolo intervallo di tempo, tuttavia, il numero di ioni H + che
e’ passato da S1 ad S2 e’ maggiore del numero di ioni Cl− che hanno compiuto
lo stesso percorso (proprio a causa delle diverse velocita’ di migrazione). Ma
questo significa che in S1 si e’ creato un eccesso di carica negativa (ci sono piu’
ioni Cl− che H + ) mentre in S2 si e’ creato un eccesso di carica positiva di uguale entita’ (in S2 ci sono ora piu’ ioni H + che Cl− ): in definitiva, tra S1 ed S2
si e’ venuta a creare una differenza di potenziale elettrico che viene chiamato
potenziale di giunto. Cosa accade man mano che il tempo passa? L’eccesso di
carica negativa in S1 e l’eccesso di carica positiva in S2 concordemente rallentano l’ulteriore migrazione di ioni H + (S1 li “trattiene” ed S2 li “respinge”);
la migrazione degli ioni Cl− e’ invece accelerata per gli stessi motivi (gli ioni
110
Cl− , negativi, sono “sospinti” da S1 e “attirati” da S2 ). Quindi, il processo
inizialmente piu’ veloce viene rallentato e quello inizialmente piu’ lento viene
accelerato (dove avete gia’ sentito questa storia?): inevitabilmente si arrivera’
ad una situazione in cui le velocita’ di migrazione degli ioni H + e Cl− diventano
uguali. Da questo momento in poi, la differenza di potenziale fra S1 ed S2 , cioe’
il potenziale di giunto, smette di aumentare.
206. Se ci riflettete un istante, vi renderete conto che il meccanismo con cui
si instaura il potenziale elettrodico e quello con cui si stabilisce il potenziale
di giunto sono pressocche’ identici: in entrambi i casi ci sono due processi che
avvengono inizialmente a velocita’ diversa; a causa di cio’ si crea una separazione
di carica fra due fasi; ma proprio questa separazione di carica opera nel senso di
rallentare il processo inizialmente piu’ veloce ed accelerare quello che all’inizio
era piu’ lento; l’epilogo ineluttabile e’ che le velocita’ dei due processi finiscono
per diventare identiche. Da questo punto in poi la separazione di carica smette
di aumentare (anche se i due processi responsabili della sua creazione continuano
ad avvenire).
C’e’ tuttavia una differenza sostanziale fra lo stato finale di un sistema elettrodico e quello di due soluzioni separate da un setto poroso: mentre in un
elettrodo si raggiunge uno stato di vero e proprio equilibrio (inteso in senso
chimico), nel caso del potenziale di giunto lo stato in cui si viene a trovare il
sistema e’ approssimabile ad uno stato stazionario. Per apprezzare la differenza
pensate a questo: un elettrodo che abbia raggiunto l’equilibrio rimarra’ in quello
stato indefinitamente (se non intervengono perturbazioni esterne); nel caso delle
due soluzioni di HCl a diversa concentrazione poste in contatto con un setto
poroso, invece, il potenziale di giunto si instaura dopo un tempo brevissimo,
ma se avessimo la pazienza di aspettare per un tempo molto lungo (tanto piu’
lungo quanto piu’ stretti sono i pori del setto), vedremmo che lo stato delle
due soluzioni in realta’ cambia lentamente: la concentrazione in S1 diminuisce e
quella in S2 aumenta. Uno stato di equilibrio vero e proprio si raggiunge anche
in questo caso, ma dopo un tempo lunghissimo: lo stato di equilibrio finale consiste, chiaramente, nel fatto che le due soluzioni raggiungono il medesimo valore
di concentrazione (notate che in questo stato di equilibrio finale il potenziale di
giunto e’ nullo: quindi il potenziale di giunto e’ un fenomeno legato a condizioni
di non-equilibrio). Siccome in genere la durata di una misura potenziometrica
e’ molto minore del tempo che impiegherebbero le due soluzioni a mescolarsi
completamente, tutto funziona come se la migrazione ionica attraverso il setto
si trovasse in condizioni effettivamente stazionarie.
207. Ora che abbiamo visto come si stabilisce il potenziale di giunto, torniamo
alla figura 2.11 e consideriamo la cella elettrochimica completa: non ci interessa
la natura dei due metalli M1 ed M2 (potrebbero essere due fili di argento ricoperti di AgCl, cosicche’ avremmo a che fare con due semicelle ad AgCl/Ag). Cio’
che vogliamo capire e’ che cosa misura il voltmetro in questa cella. Ripetendo il
ragionamento fatto al punto 193, possiamo decomporre la differenza di potenziale totale letta dallo strumento nei vari contributi parziali che si incontrano
andando dal puntale ⊕ al puntale ⊖.
Con ovvio significato dei simboli si ha:
ddp
=
=
E(M1 ) − E(S1 ) + E(S1 ) − E(S2 ) + E(S2 ) − E(M2 )
[E(M1 ) − E(S1 )] − [E(M2 ) − E(S2 )] + [E(S1 ) − E(S2 )]
111
V
RIF1
soluzione
test
RIF2
HCl
0.1 mol/L
membrana di vetro
Figura 2.12: Schematica illustrazione del funzionamento di un elettrodo a vetro
Vediamo dunque che, come era logico aspettarsi, la differenza di potenziale misurata dal voltmetro contiene la differenza fra i potenziali elettrodici
(E(M1 ) − E(S1 )) − (E(M2 ) − E(S2 )). Tuttavia, a causa del fatto che le due
soluzioni non hanno lo stesso potenziale, la differenza di potenziale misurata
contiene anche il termine (E(S1 ) − E(S2 )), cioe’ il potenziale di giunto.
Le conclusioni raggiunte con questo esempio specifico sono di carattere completamente generale: quando una cella elettrochimica contiene membrane o setti
porosi che separano soluzioni diverse, si generano dei corrispondenti potenziali
di giunto che rappresentano in generale una fonte di errore se lo scopo e’ quello
di misurare solo la differenza dei potenziali elettrodici.
2.7
Elettrodo a vetro
Un’applicazione importantissima della potenziometria e’ la misura “diretta” del
pH di una soluzione, che si fa con il cosiddetto “elettrodo a vetro”. Come
vedremo, il funzionamento di un elettrodo a vetro e’ basato sulla presenza di una
membrana di vetro con particolari proprieta’. Inoltre, dipendentemente dal tipo
di vetro, e’ possibile trovare in commercio elettrodi sensibili alla concentrazione
di ioni diversi dal protone, come ad esempio Li+ , N a+ , K + , Ag + , N H4+ .
Il funzionamento dell’elettrodo a vetro puo’ essere illustrato con la cella
mostrata in figura 2.12
Cio’ che viene chiamato elettrodo a vetro e’ rappresentato dalla meta’ di
destra della cella, membrana di vetro compresa. Abbiamo dunque un elettrodo
di riferimento (generalmente AgCl/Ag) immerso in una soluzione ad attivita’
protonica costante (generalmente HCl 0.1 M ) e separata dalla soluzione oggetto di misura (soluzione test) mediante una membrana di vetro. Attraverso
tale membrana si genera una differenza di potenziale che dipende dall’attivita’
112
strato idratato
strato idratato
porzione
“secca”
100 nm
N a+ , Li+
soluzione
test
50 µm
HCl
0.1 mol/L
EG
membrana di vetro
Figura 2.13: Ingrandimento della membrana di un elettrodo a vetro
degli ioni H + nella soluzione test (vedere oltre). Se in quest’ultima e’ immerso
un secondo elettrodo di riferimento, allora la differenza di potenziale della cella
e’ data da:
ddp
=
E1 + Ej1 + EG − E2
(2.5)
dove E1 ed E2 sono i potenziali elettrodici dei due elettrodi di riferimento,
Ej1 e’ il potenziale di giunto eventualmente presente all’interfaccia fra la soluzione test e l’elettrodo di riferimento RIF1 , EG e’ la differenza di potenziale
attraverso la membrana di vetro.
Nell’espressione sopra scritta, E1 ed E2 sono costanti, in quanto potenziali
elettrodici di elettrodi di riferimento. Quando il pH della soluzione test cambia,
in generale cambieranno sia Ej1 che EG . Tuttavia, le variazioni di Ej1 sono di
solito molto piccole, per cui le variazioni di differenza di potenziale al variare
del pH nella soluzione test sono dovute essenzialmente alle variazioni di EG . Si
comprende dunque come la misura della differenza di potenziale della cella su
mostrata fornisce una misura del pH della soluzione test.
E’ opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che l’elettrodo a vetro, contrariamente a cio’ che induce a pensare il suo nome, non e’ un unico sistema elettrodico: esso presuppone la presenza di due elettrodi di riferimento (a potenziale
elettrodico costante) e la differenza di potenziale legata all’attivita’ protonica e’
piu’ simile ad un potenziale di giunto che ad un potenziale elettrodico.
Viene di seguito illustrata in modo qualitativo l’origine della differenza di potenziale EG su cui si basa l’elettrodo a vetro. Un ingrandimento della membrana
di vetro appare come in figura 2.13.
113
Quando la membrana di vetro e’ a contatto con due soluzioni acquose da
entrambi i lati, le due facce vengono idratate per una profondita’ di circa
5 − 100 nm. Nei due strati idratati si stabilisce un equilibrio di adsorbimento/desorbimento degli ioni H + , presenti nella soluzione acquosa, e degli ioni
N a+ o Li+ che occupano le posizioni reticolari dello scheletro di silicato costituente la membrana. E’ questo equilibrio che determina lo stabilirsi di una
differenza di potenziale fra ciascuna faccia della membrana e la soluzione con
cui essa e’ a contatto.
Va osservato che la membrana deve assicurare il passaggio di corrente elettrica: nella parte non idratata (“secca”), la conducibilita’ e’ assicurata dalla
migrazione interstiziale dei cationi presenti nel vetro (N a+ , Li+ etc).
La differenza di potenziale fra la faccia della membrana a contatto con la
soluzione di HCl 0.1 M e quest’ultima e’ sempre costante (perche’ la soluzione
e’ sempre la stessa). Per contro, la differenza di potenziale fra l’altra faccia
della membrana e la soluzione test dipendera’ dal pH della soluzione test, perche’ l’equilibrio di adsorbimento degli ioni H + dipende dalla loro attivita’ in
soluzione aH + . Si trova che tale differenza di potenziale dipende linearmente
dal pH della soluzione test tramite un’espressione formalmente identica a quella
della legge di Nernst. Ne segue che la differenza di potenziale attraverso l’intera
membrana, cioe’ EG , e’ data da:
EG
=
=
RT
ln aH +
F
K + BT pH
K+
dove K e BT sono costanti (ma BT dipende dalla temperatura).
Sostituendo nella equazione 2.5, si conclude che l’intera differenza di potenziale della cella e’ una funzione lineare del pH della soluzione test:
ddp
=
K ′ + BT pH
(K ′ contiene K e tutti gli altri termini costanti).
Verranno di seguito riportate alcune considerazioni pratiche riguardanti l’uso
degli elettrodi a vetro.
Gli elettrodi commerciali sono in genere molto compatti. I piu’ pratici sono i
cosiddetti elettrodi combinati, che contengono la soluzione di HCl, la membrana
di vetro e i due elettrodi di riferimento in un unico stilo (figura 2.14).
Non dovrebbe essere difflcile riconoscere l’esatta corrispondenza dell’assemblaggio mostrato con lo schema di principio illustrato prima. La misura della
differenza di potenziale della cella viene eseguita con un voltmetro ad elevata
impedenza di ingresso (cio’ per fare in modo che la corrente circolante nella
cella durante la misure sia di intensita’ trascurabile). Nel caso specifico della
misura del pH, esistono strumenti, detti pH-metri, in grado di fornire la lettura
direttamente in unita’ di pH.
Ciascun elettrodo a vetro e’ caratterizzato da una propria risposta:
114
RIF1 (AgCl/Ag)
RIF2 (AgCl/Ag)
V
V
KCl(sol.sat.)
setto poroso
HCl 0.1 mol/L
membrana di vetro
soluzione
test
Figura 2.14: Corrispondenza fra lo schema di principio e le varie parti di un
elettrodo a vetro combinato
ddp
=
K ′ + BT pH
Di conseguenza, prima di effettuare una misura, il sistema costituito dal
pH-metro e dall’elettrodo va tarato con delle soluzioni a pH noto. In genere
gli strumenti consentono di effettuare una taratura con due soluzioni tampone.
La taratura si esegue dapprima calibrando il pH-metro sulla prima soluzione
per mezzo di una manopola potenziometrica di regolazione. A questo punto si
estrae l’elettrodo dalla soluzione, lo si lava accuratamente con acqua distillata,
lo si immerge nella seconda soluzione e si calibra lo strumento sul secondo valore
di pH mediante un’altra manopola potenziometrica, che in genere viene detta
“slope control”. Si ricontrolla infine la lettura sulla prima soluzione e, se risulta
corretta, si puo’ assumere che lo strumento fornisca letture attendibili di pH
nell’intervallo determinato dalle due soluzioni tampone. Va aggiunto che la
maggior parte dei pH-metri prevede anche la possibilita’ di tenere conto della
temperatura della soluzione test, che in questo caso va misurata preventivamente
(si ricordi che il parametro BT dipende dalla temperatura).
Diciamo ancora qualcosa sulle possibili fonti di errore connesse all’impiego
dell’elettrodo a vetro.
Errore alcalino: se una soluzione contiene alte concentrazioni di un piccolo
catione e basse concentrazioni di ioni H + (ad esempio una soluzione di
115
N aOH ), allora il piccolo catione puo’ competere favorevolmente con i
protoni nell’equilibrio di adsorbimento alla membrana di vetro, causando
un errore nella sua risposta. Tale errore puo’ essere minimizzato agendo
opportunamente sulla composizione della membrana di vetro. Generalmente, il campo di pH entro cui un elettrodo a vetro fornisce risposte
attendibili viene specificato dal costruttore.
Errore acido: si verifica in soluzioni molto acide ([H + ] > 1 M ) ed e’ meno
importante di quello alcalino sopra visto. E’ dovuto al fatto che a pH
molto bassi l’attivita’ dell’acqua e’ sensibilmente ridotta e questo influenza
l’equilibrio di adsorbimento degli ioni H + . Anche in questo caso, tuttavia,
sono disponibili in commercio membrane la cui composizione minimizza
tale inconveniente.
Potenziale di asimmetria: se le due facce della membrana di un elettrodo a vetro
sono in contatto con la stessa soluzione, la differenza di potenziale fra di
esse non e’ nulla (come sarebbe logico aspettarsi), ma ha un valore detto
potenziale di asimmetria. Tale potenziale varia lentamente nel tempo e
viene generalmente attribuito a differenti condizioni di stress delle due
facce della membrana (originate, ad esempio, in fase di lavorazione). E’
anche a causa del potenziale di asimmetria che gli elettrodi a vetro vanno
tarati di frequente e prima di ogni singola misura.
2.8
La potenziometria come tecnica analitica
208. I concetti fondamentali che abbiamo introdotto fino a questo punto sono
quello che serve per discutere le applicazioni analitiche della potenziometria.
Come abbiamo gia’ accennato (punto 175) la chiave di volta e’ l’equazione di
Nernst, che fornisce il legame fra il potenziale elettrodico e la concentrazione in
soluzione di un dato analita.
Abbiamo pero’ imparato che cio’ che si puo’ misurare e’ in realta’ solo una
differenza fra potenziali elettrodici e quindi una determinazione analitica per via
potenziometrica richiede invariabilmente l’allestimento di una cella elettrochimica completa: uno dei due elettrodi sara’ un elettrodo di riferimento, mentre
l’altro, il cui potenziale e’ utilizzato ai fini analitici, viene detto elettrodo
indicatore.
2.8.1
Potenziometria diretta
209. La potenziometria diretta consiste nella determinazione della concentrazione di un analita da una singola misura di differenza di potenziale in una
cella.
210. Un esempio di questo tipo di applicazione e’ la determinazione dello ione
Ag + . Abbiamo una soluzione test che contiene una concentrazione incognita di
ioni Ag + ; se immergiamo un filo di argento in questa soluzione otteniamo un
elettrodo ad Ag + /Ag, il cui potenziale e’ legato proprio alla concentrazione che
dobbiamo determinare dalla relazione (punto 192):
EAg+ /Ag
=
◦
EAg
+ /Ag +
116
RT + ln Ag
F
voltmetro
⊖
⊕
Ag
elettrodo di
riferimento
soluzione
test
Ag +
Figura 2.15: Cella per la determinazione potenziometrica dello ione Ag + .
Il potenziale di questo elettrodo, che rappresenta quindi il nostro elettrodo
indicatore, puo’ essere misurato solo relativamente ad un elettrodo di riferimento
e quindi dovremo allestire una cella come quella mostrata nella figura 2.15.
La differenza di potenziale che si puo’ misurare con il voltmetro e’ data da:
ddp
=
EAg+ /Ag − Erif + Egiunto
dove EAg+ /Ag e’ il potenziale elettrodico dell’elettrodo indicatore, Erif quello
dell’elettrodo di riferimento (non ha importanza specificare di che tipo; potrebbe
essere un calomelano o un AgCl/Ag) e Egiunto e’ la somma di tutti i contributi
dovuti ai potenziali di giunto (dalla figura si vede che ci sono due potenziali di
giunto in corrispondenza al contatto delle due estremita’ del ponte salino con le
due soluzioni elettrodiche). Se scriviamo la forma esplicita di EAg+ /Ag con la
legge di Nernst ed isoliamo la concentrazione di ioni argento otteniamo:
ddp
RT + ln Ag
F
ln Ag +
+
Ag
◦
= EAg
+ /Ag +
RT + ln Ag − Erif + Egiunto
F
◦
= ddp − EAg
+ /Ag + Erif − Egiunto
F
◦
ddp − EAg
=
+ /Ag + Erif − Egiunto
RT F ◦
= exp
ddp − EAg
+ /Ag + Erif − Egiunto
RT
da cui si vede che, misurando ddp con il voltmetro e T con un termometro
e conoscendo il resto, possiamo ottenere la concentrazione cercata. Va notato che, mentre i potenziali standard e i potenziali elettrodici degli elettrodi di
riferimento piu’ comuni sono tabulati con buona precisione, la misura o il calcolo dei potenziali di giunto presentano notevoli difficolta’. Quindi, in questo
117
caso, il termine Egiunto rappresenta sicuramente una possibile fonte di errore,
tanto piu’ in quanto compare in un termine esponenziale. D’altro canto, per
la cella mostrata, c’e’ da aspettarsi che i potenziali di giunto che si originano
alle due estremita’ del ponte salino siano di segno contrario e tendano quindi a
cancellarsi.
211. La cella di figura 2.15 puo’ essere adoperata per la determinazione analitica
di moltissimi ioni metallici: basta semplicemente cambiare il metallo dell’elettrodo indicatore. Ad esempio, se invece di un filo di argento utilizziamo un filo
di rame, possiamo dosare gli ioni Cu2+ . In questo caso il potenziale elettrodico
dell’elettrodo indicatore e’ dato da:
ECu2+ /Cu
◦
= ECu
2+ /Cu +
RT 2+ ln Cu
2F
e la differenza di potenziale che si puo’ misurare con il voltmetro e’ data da:
ddp
=
ECu2+ /Cu − Erif + Egiunto
da cui, identicamente a quanto visto prima, si puo’ ricavare la concentrazione
incognita di ioni Cu2+ .
212. Le possibilita’ dei metodi potenziometrici non sono certo limitate ai cationi metallici: esistono elettrodi indicatori per la determinazione di moltissime
specie. Un esempio di elettrodo indicatore utilizzabile per gli ioni Cl− e’ l’elettrodo ad AgCl/Ag. Ne abbiamo parlato a piu’ riprese (punto 156, pagina 91,
punto 201) e lo abbiamo citato come esempio di elettrodo di riferimento molto
usato.
Riscriviamo la legge di Nernst per questo elettrodo:
E
◦
= EAgCl/Ag
−
RT − ln Cl
F
Questa relazione dice che, se la concentrazione di ioni Cl− e’ mantenuta
costante, allora il potenziale elettrodico rimarra’ costante e su questo si basa
l’impiego dell’elettrodo ad AgCl/Ag come riferimento. Tuttavia, la relazione
su scritta puo’ essere intesa anche in senso “analitico” considerando la concentrazione di ioni Cl− come un’incognita da trovare misurando il potenziale
elettrodico.
Al solito, si dovra’ allestire una cella come quella mostrata in figura 2.16 e misurare la differenza di potenzaile fra l’elettrodo indicatore e quello di riferimento
(che potrebbe essere anch’esso un elettrodo ad AgCl/Ag!):
ddp
= EAgCl/Ag − Erif + Egiunto
Da questa relazione si ricava, analogamente a quanto abbiamo gia’ visto, la
concentrazione incognita di ioni Cl− .
118
voltmetro
⊖
⊕
Ag
AgCl
elettrodo di
riferimento
soluzione
test
Cl−
Figura 2.16: Cella per la determinazione potenziometrica dello ione Cl− .
2.8.2
Elettrodi combinati
213. L’allestimento di una cella elettrochimica completa per effettuare una misura potenziometrica puo’ essere di gran lunga semplificato utilizzando un cosiddetto elettrodo combinato. Si tratta di un sistema compatto che contiene
l’elettrodo indicatore insieme all’elettrodo di riferimento in un unico assemblaggio: immergendo l’elettrodo combinato nella soluzione test si realizza una
cella elettrochimica completa. E’ importante rendersi conto che un elettrodo
combinato immerso nella soluzione test e’ perfettamente equivalente ad una cella elettrochimica “convenzionale”, cioe’ del tipo che abbiamo illustrato finora.
La figura 2.17 mostra la “metamorfosi” che porta da una cella usuale ad un
elettrodo combinato.
Nello stadio 1 si vede la cella elettrochimica “convenzionale”: “I” sta ad
indicare la semicella dell’elettrodo indicatore (ad esempio il solito filo di Ag)
contenente la soluzione test; “R” indica la semicella dell’elettrodo di riferimento
(ad esempio un elettrodo ad AgCl/Ag con una soluzione satura di KCl). Le
due semicelle sono separate da un setto poroso indicato dalla linea tratteggiata.
Infine, e’ mostrato un voltmetro che misura la differenza di potenziale della
cella.
Il primo passo per arrivare all’assemblaggio combinato consiste nel prendere
(idealmente) la semicella di riferimento e immergerla nella semicella dell’elettrodo indicatore: si arriva cosi’ allo stadio 2. Naturalmente, per mantenere il
contatto elettrico fra le due semicelle, nella semicella di riferimento e’ presente
una “finestra” costituita dal setto poroso (indicata con la linea tratteggiata nella
figura). Notate che, nella sostanza, non e’ cambiato nulla; solo la forma della
cella e’ cambiata.
Nello stadio successivo, il numero 3, abbiamo preso il metallo dell’elettrodo
indicatore e lo abbiamo messo in contatto con la soluzione test, ma facendolo
passare attraverso la semicella di riferimento. Ovviamente, siccome il metallo dell’elettrodo indicatore deve stare in contatto solo con la soluzione test (e
non con la soluzione dell’elettrodo di riferimento) la parte di metallo che passa attraverso la soluzione dell’elettrodo di riferimento e’ stata opportunamente
119
I
I
R
R
'!&3"%$#
'!&2"%$#
I
'!&4"%$#
I
R
'!&1"%$#
Figura 2.17: “Metamorfosi” di una cella usuale in elettrodo combinato.
120
R
isolata inserendola all’interno di uno stretto tubo in vetro (indicato in grigio
nella figura). Un altro cambiamento che si e’ verificato nel passaggio da 2 a 3
riguarda il setto poroso, che si e’ ridotto ad una finestrella avente le dimensioni
di 1 − 2 mm. Di nuovo: solo la forma sta cambiando, ma le varie parti e la loro
connessione rimangono inalterate.
Nello stadio 4 la metamorfosi si e’ conclusa: l’elettrodo combinato e’ completato da un coperchio superiore da cui escono i cavi collegati al riferimento e
all’elettrodo indicatore. Inoltre, e’ stato aggiunto un piccolo raccordo in vetro
con tappo che serve per aggiungere soluzione (all’occorrenza) nella semicella di
riferimento.
A questo punto, dovrebbe esservi chiaro che l’elettrodo combinato immerso
nella soluzione test dello stadio numero 4 e’ perfettamente equivalente alla cella
“convenzionale” dello stadio numero 1 da cui siamo partiti (questo e’ sottolineato dal grande segno di uguaglianza che connette lo stadio 1 allo stadio 4 in
figura 2.17).
2.8.3
Titolazioni potenziometriche
214. Immaginiamo di compiere una titolazione di ioni Cl− con una soluzione
standard di AgN O3 . Nel corso della titolazione la concentrazione di ioni Ag + in
soluzione varia: prima del punto di equivalenza essa sara’ molto piccola poiche’
gli ioni Cl− sono in eccesso; al punto di equivalenza la concentrazione degli
ioni Ag + subisce un brusco incremento poiche’ gli ioni Cl− “finiscono”; dopo il
punto di equivalenza, la concentrazione di ioni Ag + aumenta all’aumentare del
volume di soluzione titolante aggiunto.
Sulla base di quello che abbiamo appreso finora, possiamo comprendere facilmente che, se immergiamo un filo di argento nel beaker in cui stiamo conducendo
la titolazione, realizziamo un elettrodo ad Ag + /Ag il cui potenziale seguira’ le
variazioni di concentrazione degli ioni argento nel corso della titolazione.
Una titolazione potenziometrica, dunque, consiste in una titolazione ordinaria in cui la misura potenziometrica viene utilizzata per monitorare il corso
della titolazione.
Se vogliamo seguire la titolazione di Cl− con AgN O3 per via potenziometrica non e’ sufficiente immergere un filo d’argento nel beaker contenente la
soluzione da titolare: sappiamo che oltre all’elettrodo indicatore abbiamo bisogno di un elettrodo di riferimento rispetto al quale misurare il potenziale del
primo. Dovremo percio’ allestire una cella o, piu’ comodamente, usare un elettrodo combinato (la relazione fra i due setup sperimentali e’ illustrata nella
figura2.18).
Come abbiamo gia’ visto piu’ volte, la differenza di potenziale misurata dal
voltmetro e’ data da:
ddp
=
=
EAg+ /Ag − Erif + Egiunto
RT + ◦
ln Ag − Erif + Egiunto
EAg
+ /Ag +
F
Come abbiamo detto prima, la concentrazione di ioni Ag + cambia in funzione del volume di soluzione titolante aggiunto: la relazione su scritta mostra che
121
buretta
voltmetro
agitatore
buretta
voltmetro
agitatore
Figura 2.18: Titolazione di ioni Cl− con AgN O3 seguita per via potenziometrica
con una cella elettrochimica “convenzionale” (parte superiore) o con un elettrodo
combinato (parte inferiore). E’ stata evidenziata la corrispondenza fra elettrodo
indicatore ed elettrodo di riferimento nei due setup sperimentali.
122
ddp
volume di soluzione titolante
Figura 2.19: Una tipica curva di titolazione potenziometrica.
la differenza di potenziale della cella riflettera’ questo cambiamento. Possiamo
allora costruire una tabella in cui, per ogni valore del volume di titolante aggiunto, riportiamo il corrispondente valore di differenza di potenziale letto dal
voltmetro. Diagrammando i dati cosi’ raccolti otterremo una tipica curva di
titolazione di forma sigmoide: il flesso di tale curva, facilmente determinabile,
come vedremo, individua cio’ che rappresenta lo scopo della titolazione, e cioe’
il volume di equivalenza (figura 2.19).
215. Le titolazioni potenziometriche presentano dei vantaggi rispetto alle misure potenziometriche dirette. Siccome il punto finale viene determinato dal
flesso della curva di titolazione, non e’ necessario conoscere con esattezza il
potenziale dell’elettrodo di riferimento (diversamente da quanto avviene invece
in una misura potenziometrica diretta). Infatti, dall’espressione della differenza di potenziale prima scritta, si vede che il termine Erif interviene come un
semplice addendo: cio’ vuol dire che il suo effetto e’ semplicemente quello di
traslare verticalmente la curva di titolazione. Ma questo non ha alcuna influenza sulla posizione del flesso lungo l’asse delle ascisse. Un altro vantaggio delle
titolazioni potenziometriche rispetto alle misure dirette riguarda il potenziale di
giunto (Egiunto nell’espressione piu’ sopra). Questo, come sappiamo, e’ difficile
da misurare o calcolare e quindi rappresenta una fonte di errore ineliminabile.
Tuttavia, la variazione del potenziale di giunto durante una titolazione e’ sicuramente molto piccola: in altre parole, i valori di differenza di potenziale che
leggiamo nel corso di una titolazione sono affetti da un errore uguale per tutti.
123
Come per il termine Erif , cio’ determina solo una traslazione verticale della
curva di titolazione, senza alcuna conseguenza nella determinazione del punto
finale.
216. Qualsiasi titolazione puo’ essere seguita per via potenziometrica: e’ sufficiente disporre di un elettrodo indicatore il cui potenziale dipenda dalla concentrazione di una delle specie chimiche che partecipano alla reazione su cui la
titolazione e’ basata. Citiamo qualche ulteriore esempio.
• E’ ovvio che, come la titolazione degli ioni Cl− con AgN O3 , anche quella
degli altri alogenuri puo’ essere seguita per via potenziometrica utilizzando
lo stesso elettrodo indicatore. E’ inoltre possibile dosare miscele di alogenuri: ad esempio, per una miscela di ioni Cl− e I − titolata con AgN O3
si ottiene una curva di titolazione potenziometrica con due punti di flesso
corrispondenti al punto di equivalenza per ciascun alogenuro.
• Tutte le titolazioni acido base possono essere seguite per via potenziometrica. In linea di principio, un elettrodo indicatore appropriato potrebbe
essere l’elettrodo a H + /H2 (andate a riverderlo nella figura 2.1): come
mostrato a pagina 92, il suo potenziale dipende dalla concentrazione di
ioni idrogeno in soluzione. In pratica, tuttavia, le titolazioni di neutralizzazione vengono seguite con l’elettrodo a vetro, di gran lunga piu’
comodo da utilizzare e universalmente adoperato per misurare il pH delle
soluzioni.
• Molte titolazioni complessometriche possono essere convenientemente seguite per via potenziometrica. In queste titolazioni un catione metallico
viene fatto reagire con un opportuno agente complessante (l’EDTA e’ un
complessante molto usato). Il modo piu’ banale di seguire la titolazione
per via potenziometrica e’ quindi quello di introdurre nella soluzione una
sbarretta del metallo il cui catione viene titolato.
• Un’altra classe di titolazioni che puo’ essere seguita per via potenziometrica e’ quella delle titolazioni redox. Prendiamo ad esempio la titolazione
di ioni F e2+ con soluzione standard di Cr2 O72− . La reazione analitica e’
l’ ossidazione del F e2+ a F e3+ ad opera dello ione Cr2 O72− in ambiente
acido:
6F e2+ + Cr2 O72− + 14H +
= 6F e3+ + 2Cr3+ + 7H2 O
Nel corso della titolazione il rapporto fra la concentrazione dello ione F e3+
e quella dello ione F e2+ passa da un valore iniziale molto piccolo ad un
valore molto grande dopo il punto di equivalenza (quando praticamente
tutti gli ioni F e2+ sono stati ossidati). Se immergiamo un filo di platino
nella soluzione, otteniamo un sistema elettrodico il cui potenziale dipende
proprio dal rapporto delle concentrazioni dei due ioni ferro (pagina 90) e
che quindi puo’ essere sfruttato per seguire la titolazione:
E
=
EF◦ e3+ /F e2+ +
124
[F e3+ ]
RT
ln
F
[F e2+ ]
2.8.4
Analisi delle curve di titolazione
217. Come abbiamo detto, al termine di una titolazione potenziometrica ci ritroviamo con una tabella in cui, per ogni valore del volume di soluzione titolante,
abbiamo riportato la corrispondente differenza di potenziale letta sul voltmetro.
La prima cosa da fare e’ costruire un grafico in cui si riporta la differenza di
potenziale in funzione del volume di titolante.
Una volta costruita la curva di titolazione, si pone il problema della determinazione del punto finale, corrispondente al flesso della curva.
La cosa piu’ semplice e’ quella di stimare ad occhio la posizione del flesso.
Quando il salto della curva in corrispondenza al punto finale e’ sufficientemente
netto, la precisione del risultato ottenibile con questo sistema e’ sicuramente
comparabile con quella fornita da metodi piu’ sofisticati.
Fra i tanti metodi grafici sviluppati a questo scopo, citiamo i seguenti due.
• Metodo grafico mostrato nella figura 2.20:
1. tracciare la retta 1 estrapolando il tratto finale della curva
2. tracciare la retta 2 estrapolando il tratto iniziale della curva
3. tracciare le due rette 3 e 4 parallele all’asse verticale in modo che la
loro intersezione con la curva di titolazione sia piu’ vicina possibile
al flesso, pur restando nella zona in cui la curva non si e’ ancora
discostata dal tratto lineare estrapolato
4. determinare il punto medio dei segmenti individuati dall’intersezione
di ciascuna delle due rette 3 e 4 con le rette 1 e 2
5. l’intersezione della congiungente i due punti medi cosi’ trovati con la
curva di titolazione individua il punto finale
• Metodo grafico mostrato nella figura 2.21:
1. tracciare la tangente 1 al flesso della curva
2. tracciare la retta 2 estrapolando il tratto finale della curva
3. tracciare la retta 3 estrapolando il tratto iniziale della curva
4. per il punto di intersezione fra 1 e 2 tracciare la parallela 4 all’asse
orizzontale e la parallela 5 all’asse verticale
5. per il punto di intersezione fra 1 e 3 tracciare la parallela 6 all’asse
orizzontale e la parallela 7 all’asse verticale
6. tracciare la diagonale 8 del rettangolo delimitato dalle rette 4 5 6 7:
l’intersezione di tale diagonale con la retta 1 individua il punto finale
218. Allo scopo di aumentare la precisione (ad esempio quando il salto in corrispondenza del punto finale non e’ molto netto) si possono elaborare numericamente i dati ottenuti ricavando la derivata prima e seconda della curva di
titolazione. Al termine dell’esperienza si e’ in possesso di una sequenza di N
coppie di valori (Vi , ddp i ). Allora e’ possibile costruire una sequenza di (N − 1)
coppie di valori (Vi′ , (∆ddp/∆V )i ), con:
125
12
pH o ddp
11
1
10
9
5
8
2
7
6
4
5
4
3
3
0
5
10
15
20
25
volume titolante
30
35
40
Figura 2.20: Metodo grafico per la determinazione del punto finale in una
titolazione potenziometrica
12
5 1
4
pH o ddp
11
2
10
9
8
3
7
6
6
5
4
3
1
0
5
10
15
5
7
8
20
25
volume titolante
30
35
40
Figura 2.21: Metodo grafico per la determinazione del punto finale in una
titolazione potenziometrica
126
ddp i+1
(ddp i+1 − ddp i )
ddp i
(Vi+1 − Vi )
Vi +Vi+1
2
Vi
Vi+1
Figura 2.22: L’approssimazione della derivata della curva di titolazione
∆ddp
∆V
Vi′
i
i
Vi + Vi+1
2
ddp i+1 − ddp i
=
Vi+1 − Vi
= 1 · · · (N − 1)
=
Notate che (∆ddp/∆V )i e’ la pendenza della retta che passa per i punti di
coordinate (Vi , ddp i ) e (Vi+1 , ddp i+1 ), e quindi rappresenta un’approssimazione
alla derivata prima della curva di titolazione nel punto medio fra Vi e Vi+1 , cioe’
(Vi + Vi+1 )/2. La cosa e’ illustrata nella figura 2.22.
Siccome la curva di titolazione ha un andamento sigmoide, la sua derivata
prima mostrera’ un picco pronunciato in corrispondenza al punto finale, che
ne consente una piu’ facile determinazione. (Per rendervi conto di come la
derivata prima di una sigmoide sia una funzione a picco, considerate come varia
la pendenza di una retta tangente alla curva y(x) in figura 2.23 al variare di x)
Il procedimento puo’ essere ripetuto per ottenere la derivata seconda. A
partire dalle (N − 1) coppie di valori (Vi′ , (∆ddp/∆V )i ) e’ possibile ricavare
(N − 2) coppie di dati (Vi′′ , (∆2 ddp/∆V 2 )i ), con:
Vi′′
2
∆ ddp
∆V 2
i
i
=
=
′
Vi′ + Vi+1
2 ∆ddp
∆V
i+1
−
∆ddp
∆V
′
− Vi′
Vi+1
i
= 1 · · · (N − 2)
Siccome la derivata prima della curva di titolazione e’ una funzione a picco,
la sua derivata (cioe’ la derivata seconda della curva di titolazione) sara’ una
funzione che presenta una brusca oscillazione che taglia l’asse delle ascisse in
corrispondenza al punto finale (figura 2.23).
127
y(x)
dy
dx
d2 y
dx2
x
Figura 2.23: Le derivate prima e seconda di una funzione sigmoide
128
ddp
250
0
-250
-500
d
dV
ddp
1000
500
0
d2
dV 2 ddp
2000
1000
0
-1000
-2000
V
Figura 2.24: Le derivate prima e seconda di una curva di titolazione reale
Nonostante questi metodi possano risultare accattivanti, va comunque tenuto presente che essi sono limitati dal livello di “rumore” associato ai dati
sperimentali raccolti: l’operazione di derivazione comporta infatti un’inevitabile
amplificazione degli errori sempre presenti nelle misure sperimentali, portandoli
in molti casi a livelli inaccettabili.
Un esempio di applicazione di questo metodo a un caso reale e’ mostrato
nella figura 2.24.
219. Un approccio numerico completamente diverso all’analisi della curva di
titolazione consiste nell’approssimazione della curva stessa con una opportuna
funzione analitica.
L’idea si basa sulla seguente considerazione: siccome il nostro interesse e’
quello di trovare il flesso della curva di titolazione, e’ sufficiente scovare una
funzione qualsiasi che segua bene l’andamento dei punti sperimentali in un intervallo non molto ampio e centrato intorno al punto di flesso. Una volta trovata
una funzione simile, e’ sufficiente farne la derivata seconda e porla uguale a zero.
Uno fra i possibili modelli analitici in grado di riprodurre il tipico andamento
di una curva di titolazione e’ quello che segue:
ddp(V ) =
p1
+ p4 V 3 + p5 V 2 + p6 V + p7
1 + exp (p2 (V − p3 ))
Questa relazione esprime la differenza di potenziale misurata ddp come funzione del volume di titolante V . I termini p1 . . . p7 sono dei parametri: mentre
129
le caratteristiche generali della funzione sono determinate dalla sua forma analitica, il suo aspetto particolare e’ determinato dal valore numerico dei parametri. Per comprendere cosa significhi cio’, facciamo un semplicissimo parallelo.
Sappiamo tutti che la funzione:
y(x) = mx + q
rappresenta una retta nel piano cartesiano. Questa (cioe’ quella di essere una
retta) e’ una caratteristica insita nel modello analitico, indipendente dal particolare valore dei parametri, che in questo caso sono m, la pendenza, e q, l’intercetta. La forma che abbiamo scritto sopra rappresenta una (doppia) infinita’ di
rette: possiamo individuare una particolare retta di questo insieme assegnando
due particolari valori a m e q.
Cerchiamo di comprendere in modo qualitativo come e’ fatto il modello proposto per approssimare le curve di titolazione. A questo scopo, e’ utile riscriverlo
come somma di due parti:
y1 (V ) =
y2 (V ) =
ddp(V ) =
p1
1 + exp (p2 (V − p3 ))
p4 V 3 + p5 V 2 + p6 V + p7
y1 (V ) + y2 (V )
Il termine y1 (V ) e’ la parte piu’ significativa del modello: esso rappresenta una funzione sigmoide le cui caratteristiche dipendono dai tre parametri
p1 , p2 , p3 . L’andamento di y1 (V ) e’ mostrato nella figura 2.25: in pratica la
funzione e’ contenuta in una “striscia” delimitata dall’asse V e dalla retta orizzontale y = p1 ; presenta un punto di flesso la cui posizione lungo l’asse V
coincide con il parametro p3 ; restringendoci ai soli valori positivi del parametro
p1 , la funzione e’ crescente se p2 < 0 e decrescente se p2 > 0; infine, la “ripidezza” del salto compiuto dalla funzione in corrispondenza al punto di flesso e’
proporzionale al valore assoluto di p2 (dovreste essere in grado di verificare tutto
cio’ con le tecniche di analisi che avete appreso alla scuola media superiore).
Il termine y2 (V ), che non e’ altro che un polinomio di terzo grado, e’ stato
introdotto per due motivi. Il primo e’ che le curve di titolazione sperimentali
possono essere traslate arbitrariamente lungo l’asse verticale mentre la funzione
y1 (V ) tende inevitabilmente a 0, per V → +∞ o V → −∞ (a seconda del
segno di p1 e p2 ): y2 (V ) ha quindi il compito di traslare opportunamente la
sigmoide affinche’ possa seguire la curva sperimentale. Il secondo scopo del
termine polinomiale e’ quello di aumentare le “possibilita’ di adattamento” della
sigmoide all’andamento dei punti sperimentali.
Come si procede in pratica? Alla fine dell’esperimento di titolazione potenziometrica abbiamo un grafico della differenza di potenziale misurata in funzione
del volume di titolante aggiunto. A questo punto il problema e’ quello di determinare i valori dei parametri p1 · · · p7 per i quali il modello analitico segue
l’andamento dei dati sperimentali nel modo migliore possibile. Problemi di questo tipo sono detti di “modellizzazione” o “best fit” ed esistono numerosissimi
metodi per la loro soluzione (saro’ lieto di dare maggiori dettagli a chi sia interessato). In definitiva, i dati sperimentali vengono immessi in un programma
130
y1 (V )
2
1
0
y2 (V )
8
6
4
2
ddp(V )
6
4
2
0
0
10
20
30
V
Figura 2.25: L’approssimazione di una curva di titolazione potenziometrica con
la funzione descritta nel testo: i due tratti verticali indicano la regione dell’asse
V selezionata per la procedura di ottimizzazione. I valori ottimizzati dei parametri sono: p1 = 1.436, p2 = −1.977, p3 = 14.898, p4 = −8.45 × 10−4 , p5 =
0.040, p6 = −0.429, p7 = 3.877
131
che realizza un algoritmo tramite il quale i valori dei parametri vengono iterativamente affinati finche’ l’accordo fra modello e dati sperimentali risulta il
migliore possibile; a questo punto, il programma risolve l’equazione:
d2
ddp(V )
dV 2
= 0
fornendo cosi’ il valore del volume finale.
Nella figura 2.25 e’ illustrato il procedimento di ottimizzazione di cui stiamo
parlando applicato ad un caso reale. Per maggior chiarezza, i termini ottimizzati
y1 (V ) e y2 (V ) sono mostrati separatamente nei primi due grafici; nel terzo
grafico i circoletti sono i punti sperimentali mentre la linea continua e’ il grafico
della funzione ddp(V ) = y1 (V ) + y2 (V ) con i valori ottimizzati dei parametri.
Osservate come i dati sperimentali descrivano una sigmoide compresa all’incirca
fra 2 e 6, mentre la funzione y1 (V ), come detto prima, e’ compresa fra 0 e ≈ 1.5:
il termine y2 (V ) trasla la sigmoide portandola sui punti sperimentali. Osservate
ancora che l’accordo del modello con i dati sperimentali e’ piuttosto buono solo
in un intervallo limitato e centrato intorno al punto finale: al di fuori di questo
intervallo (si vede particolarmente bene per V → 0) la funzione analitica non
segue affatto i dati sperimentali. Questo non e’ un problema, visto che siamo
interessati solo al punto di flesso della curva di titolazione e quindi ci basta che
la funzione coincida il piu’ possibile con la curva di titolazione solo in un intorno
del flesso.
132
Appendice A
Il raggiungimento
dell’equilibrio in un sistema
elettrodico
220. In questa sezione useremo un semplicissimo modello matematico della reazione elettrodica per comprendere piu’ a fondo il modo in cui un sistema elettrodico raggiunge l’equilibrio e come in tale stato di equilibrio esista una differenza
di potenziale fra metallo e soluzione.
Sappiamo che la semireazione redox che interconverte i due membri della coppia
redox presente nel sistema elettrodico e’ la “risultante” di due processi che sono
uno l’inverso dell’altro: l’ossidazione e la riduzione.
Indichiamo con voss e vrid le velocita’ di questi due processi. Se consideriamo
il semplice sistema Ag + /Ag, allora voss e’ il numero di moli di atomi di Ag che
abbandonano il metallo per andare in soluzione come ioni Ag + nell’unita’ di
tempo. Analogamente, vrid rappresenta il numero di moli di ioni Ag + che si
depositano dalla soluzione sul filo metallico nell’unita’ di tempo.
Se in automobile stiamo viaggiando ad una velocita’ v, in un intervallo di tempo
∆t percorreremo uno spazio pari v∆t. In modo identico, il numero di moli di
atomi di Ag che abbandonano il metallo e il numero di moli di ioni Ag + che vi
si depositano in un intervallo di tempo ∆t sono dati, rispettivamente, da voss ∆t
e vrid ∆t.
Il punto essenziale per cui il sistema elettrodico raggiunge l’equilibrio e’ che voss
e vrid cambiano nel tempo a causa della separazione di carica che si instaura fra
metallo e soluzione.
La dipendenza delle velocita’ dei due processi (ossidazione e riduzione) dalla
separazione di carica fra metallo e soluzione puo’ essere espressa in modo molto
semplice come segue:
voss
0
= voss
+ koss q
(A.1)
vrid
0
= vrid
− krid q
(A.2)
Nelle due espressioni su scritte, koss e krid sono delle costanti positive e q e’
la carica elettrica in eccesso presente sul metallo (chiaramente, ad ogni istante
133
di tempo, la carica q sul metallo e’ bilanciata da una carica di uguale entita’
ma di segno opposto presente in soluzione). Inizialmente, a t = 0, non c’e’
separazione di carica fra metallo e soluzione; in tale condizione si ha q = 0 e
0
0
0
0
quindi voss = voss
e vrid = vrid
: voss
e vrid
sono cioe’ i valori iniziali di voss e vrid ,
rispettivamente. Col trascorrere del tempo, sul metallo si accumula un eccesso
di carica elettrica: se q > 0, allora voss viene aumentata di (koss q) rispetto al suo
valore iniziale e vrid viene diminuita di (krid q) rispetto al suo valore iniziale; si
ha il viceversa, se q < 0. Le due espressioni dicono quindi matematicamente cio’
che abbiamo gia’ illustrato a parole (punto 162): un eccesso di carica elettrica
positiva sul metallo accelera l’ossidazione e rallenta la riduzione; il viceversa vale
se sul metallo e’ presente un eccesso di carica negativa. Le costanti moltiplicative
koss e krid esprimono la sensibilita’ di ciascuna velocita’ ad un determinato
eccesso di carica sul metallo: maggiore e’ il loro valore, e maggiore sara’ l’effetto
di accelerazione o rallentamento sulla corrispondente velocita’ per un dato valore
di q.
Chiaramente, le equazioni A.1 e A.2 sono ben lungi dal rappresentare anche solo
lontanamente la complessita’ di un sistema elettrodico (ad esempio, abbiamo volutamente tralasciato di rappresentare la dipendenza dalla concentrazione); cio’
non di meno, esse possiedono le caratteristiche minime che servono ad illustrare
l’evoluzione del sistema.
Assegniamo ora dei valori numerici ai vari parametri e proviamo a seguire
l’evoluzione del sistema nel tempo.
Poniamo, ad esempio:
0
voss
= 10
0
vrid
koss
= 5
= 2
krid
= 2
Questa scelta corrisponde alla situazione che abbiamo prima descritto (punto 162), in cui a t = 0 l’ossidazione e’ piu’ veloce della riduzione.
Per seguire l’evoluzione temporale del sistema elettrodico, consideriamo un intervallo di tempo ∆t = 0.1 e calcoliamo i valori che assumono voss , vrid e q dopo
un tempo pari a ∆t, 2∆t, 3∆t . . .
0
0
A t = 0, come abbiamo gia’ visto, si ha: voss = voss
, vrid = vrid
e q = 0.
Quando e’ trascorso un tempo pari a ∆t = 0.1, un numero di moli di atomi
0
di Ag pari a voss ∆t = voss
∆t = 10 × 0.1 = 1 hanno abbandonato il metallo
+
sotto forma di ioni Ag : per effetto dell’ossidazione, quindi, sul metallo si e’
creata una carica negativa pari a 1 mole di elettroni; chiamiamo qoss tale carica,
per sottolineare che e’ l’eccesso di carica dovuto al solo processo di ossidazione.
0
Nello stesso tempo, un numero di moli di ioni Ag + dato da vrid ∆t = vrid
∆t =
5 × 0.1 = 0.5 si e’ depositato sul metallo dalla soluzione: questo processo crea
quindi sul metallo una carica positiva qrid = +0.5. L’eccesso di carica risultante
sul metallo e’ dato dalla somma algebrica di qoss e qrid , cioe’: q = qoss +
qrid = −1 + 0.5 = −0.5. Vediamo quindi che, siccome abbiamo supposto che
l’ossidazione sia inizialmente piu’ veloce della riduzione, sul metallo si accumula
carica negativa (e nella soluzione si crea una corrispondente carica positiva). La
134
carica q accumulatasi sul metallo determina a sua volta un cambiamento di voss
0
e vrid secondo le equazioni A.1 e (A.2): voss = voss
+ koss q = 10 + 2 × (−0.5) = 9
0
e vrid = vrid
− krid q = 5 − 2 × (−0.5) = 6. Troviamo cosi’ che, dopo un tempo
pari a ∆t = 0.1, il processo inizialmente piu’ veloce (l’ossidazione) e’ rallentato,
mentre quello piu’ lento (la riduzione) e’ accelerato, come avevamo gia’ detto in
precedenza.
A questo punto siamo pronti per calcolare i valori di voss , vrid e q dopo un
tempo pari a 2∆t, a partire dai valori che abbiamo appena calcolato al tempo ∆t.
Durante questo secondo intervallo di tempo, l’ossidazione produce sul metallo
una carica negativa data da: qoss = −voss ∆t = −9 × 0.1 = −0.9 e la riduzione
crea nel filo metallico una carica positiva pari a qrid = vrid ∆t = 6 × 0.1 = 0.6.
La carica risultante sul metallo sara’ data ora dalla somma algebrica di tre
termini: la carica che si era gia’ accumulata durante il primo intervallo di tempo
(chiamiamola q(t=∆t) ), il contributo negativo dell’ossidazione relativo al secondo
intervallo di tempo e il contributo positivo della riduzione nello stesso intervallo
di tempo. In simboli: q = q(t=∆t) + qoss + qrid = −0.5 − 0.9 + 0.6 = −0.8.
I valori di voss e vrid al tempo t = 2∆t si ricavano sempre dalle espressioni (A.1)
e (A.2):
voss
vrid
0
= voss
+ koss q = 10 + 2 × (−0.8) = 8.4
0
= vrid
− krid q = 5 − 2 × (−0.8) = 6.6
Come si vede, dopo un tempo pari a 2∆t, sul filo di Ag continua ad accumularsi
carica negativa; contemporaneamente, voss continua a diminuire e vrid continua
ad aumentare.
Sulla base di quanto appena visto, possiamo ora generalizzare le formule per il
calcolo di q, voss e vrid . A un dato tempo, si calcolano qoss e qrid utilizzando
i valori di voss e vrid , rispettivamente, calcolati nello step precedente. Poi si
calcola q sommando i valori correnti di qoss e qrid e il valore di q allo step
precedente. Infine, si aggiornano i valori di voss e vrid con il valore di q appena
ottenuto.
Indicando con l’indice n lo step “corrente”, corrispondente percio’ al tempo
t = n∆t, il calcolo puo’ venire cosi’ illustrato:
(n=0)
voss
0
= voss
vrid
(n=0)
0
= vrid
(n=0)
qoss
= 0
(n=0)
qrid
(n=0)
= 0
q
n
qoss
n
qrid
q
n
= 0
n−1
= −voss
∆t
0
= −(voss
+ koss q n−1 )∆t
n−1
= vrid
∆t
0
= (vrid
− krid q n−1 )∆t
n−1
n
n
= q
+ qoss
+ qrid
135
n
voss
0
= voss
+ koss q n
n
vrid
n
0
= vrid
− krid q n
= 1, 2, 3 . . .
Con una calcolatrice da tavolo (piu’ comodamente con un computer, se si conosce un linguaggio di programmazione qualsiasi) e’ possibile costruire la tabella
che segue:
n
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
t
0.000
0.100
0.200
0.300
0.400
0.500
0.600
0.700
0.800
0.900
1.000
1.100
1.200
1.300
1.400
1.500
1.600
1.700
1.800
1.900
2.000
qoss
0.000
−1.000
−0.900
−0.840
−0.804
−0.782
−0.769
−0.762
−0.757
−0.754
−0.753
−0.752
−0.751
−0.751
−0.750
−0.750
−0.750
−0.750
−0.750
−0.750
−0.750
qrid
0.000
0.500
0.600
0.660
0.696
0.718
0.731
0.738
0.743
0.746
0.747
0.748
0.749
0.749
0.750
0.750
0.750
0.750
0.750
0.750
0.750
q
0.000
−0.500
−0.800
−0.980
−1.088
−1.153
−1.192
−1.215
−1.229
−1.237
−1.242
−1.245
−1.247
−1.248
−1.249
−1.249
−1.250
−1.250
−1.250
−1.250
−1.250
voss
10.000
9.000
8.400
8.040
7.824
7.694
7.617
7.570
7.542
7.525
7.515
7.509
7.505
7.503
7.502
7.501
7.501
7.500
7.500
7.500
7.500
vrid
5.000
6.000
6.600
6.960
7.176
7.306
7.383
7.430
7.458
7.475
7.485
7.491
7.495
7.497
7.498
7.499
7.499
7.500
7.500
7.500
7.500
Commentiamo i dati riportati nella tabella (per comodita’, l’andamento di q,
voss e vrid in funzione del tempo e’ stato diagrammato nelle figure (A.1) e (A.2)).
Siccome siamo nell’ipotesi che l’ossidazione sia inizialmente piu’ veloce della
riduzione, nel periodo iniziale la carica negativa creata dalla ossidazione sul
metallo e’ maggiore (in modulo) della carica positiva prodotta dalla riduzione;
cio’ fa si’ che il metallo acquisti una carica netta negativa che cresce nel tempo
(la colonna q nella tabella e la figura (A.1)). Tuttavia, la presenza di questa
carica netta negativa sul filo di Ag provoca una diminuzione di voss e un aumento
di vrid ; la conseguenza e’ che il caricamento negativo del metallo rispetto alla
soluzione avviene a velocita’ via via minore. Si arriva cosi’, inevitabilmente,
al momento in cui, nell’intervallo ∆t, si ha |qoss | = qrid (step numero 16 nella
tabella): da questo punto in poi, q, voss e vrid smettono di cambiare e il sistema
elettrodico ha raggiunto l’equilibrio.
E’ importante realizzare che, all’equilibrio, l’ossidazione e la riduzione non si
sono fermate: i due processi stanno continuando ad avvenire, ma alla stessa
velocita’ (7.5 (moli di Ag o Ag + )/(unita’ di tempo), nella tabella).
Osserviamo ancora che, quando si e’ raggiunto l’equilibrio, sul filo di Ag e’ presente un eccesso di carica negativa pari a −1.25 moli di elettroni. Chiaramente
136
0.0
-0.2
q
-0.5
-0.8
-1.0
-1.2
0
0.5
1
t
Figura A.1:
137
1.5
2
10.0
9.0
voss
v
8.0
7.0
6.0
vrid
5.0
0
0.5
1
t
Figura A.2:
138
1.5
2
la soluzione conterra’ un eccesso di carica positiva di uguale valore. A causa
di questa separazione di carica, fra metallo e soluzione esiste una differenza di
potenziale elettrico che abbiamo chiamato potenziale elettrodico.
Provate a ripetere i calcoli cambiando i parametri: ad esempio, costruite una
tabella analoga per il caso in cui la riduzione sia inizialmente piu’ veloce dell’ossidazione. Una scelta opportuna dei parametri potrebbe essere:
0
voss
0
vrid
=
=
4
9
koss
krid
=
=
3
2
∆t
=
0.1
139
Appendice B
Il programma icee
Questa appendice e’ ancora incompleta...
221. Nel capitolo 1 abbiamo visto che tutti i problemi di equilibrio possono
essere trattati in modo esatto; scrivere il sistema di equazioni che fornisce tutte
le concentrazioni di equilibrio e’ (o dovrebbe essere) abbastanza semplice. Una
volta scritto il sistema, tuttavia, la sua risoluzione solo raramente puo’ essere
condotta per via analitica: la maggior parte delle volte, invece, si deve ricorrere
a metodi numerici.
222. In questa sezione presentero’ il programma icee, che serve proprio a
risolvere un sistema non lineare per via numerica.
223. Questa sezione e’ cio’ che comunemente viene chiamato un “tutorial”: cioe’
non vi esporro’ le istruzioni dettagliate del programma, ma piuttosto cerchero’
di mettervi in grado di usarlo attraverso degli esempi concreti di difficolta’ crescente. Vi consiglio di leggere questa sezione in aula computer e di provare “dal
vivo” tutti gli esempi, seguendo le istruzioni.
PER QUALSIASI PROBLEMA NON ESITATE A CHIEDERMI AIUTO
Sono convinto che l’uso del programma icee possa contribuire molto positivamente alla comprensione di tutti gli argomenti che vengono trattati nel
corso.
224. icee e’ un acronimo che sta per “ I c ompute e quilibria, e xactly!” e
si pronuncia: “ais-i:”.
B.1
L’interfaccia grafica al programma icee: icee-gui
225. Il programma icee e’ progettato per un ambiente Unix, cioe’ per il sistema operativo utilizzato dalle macchine che trovate in aula computer. Siccome
so per esperienza che pochi hanno il grado di dimestichezza necessario con questo sistema operativo, oltre al programma icee ho scritto anche un’interfaccia
grafica che vi permette di utilizzare il programma senza dover conoscere alcun
comando Unix. Il nome di questa interfaccia e’ icee-gui, dove gui sta per
“ g raphical u ser i nterface”.
140
226. In questa sede descrivero’ l’uso dell’interfaccia grafica, ma tenete presente
che il programma icee e’ completamente indipendente da questa interfaccia;
in altre parole, esso non necessita di alcuna “sovrastruttura”; tuttavia, per
utilizzare direttamente il programma icee, e’ necessario conoscere qualcosa del
sistema operativo Unix e normalmente gli utenti dell’aula computer (cioe’ gli
studenti del corso di studio in chimica) mancano totalmente o quasi di questo
requisito.
227. In pratica, l’interfaccia grafica icee-gui vi consente di:
=⇒
preparare l’input per il programma icee
=⇒
lanciare il programma icee sull’input preparato
=⇒
vedere l’output sia in forma di testo che in forma grafica
usando praticamente solo il mouse.
B.2
Come si lancia icee-gui
228. Se non possedete ancora le credenziali (username e password) per accedere
al sistema dell’aula computer, venite da me per ottenerle.
229. Andate in aula computer e aprite una sessione di lavoro (cioe’ digitate il
vostro username e la vostra password come richiesto dal programma di accesso
al sistema).
230. Le istruzioni che seguono vi permettono di creare un’icona per icee-gui
sul vostro desktop: per lanciare icee-gui bastera’ in seguito fare un doppio
click sull’icona.
231. Clickate con il bottone destro del mouse sullo sfondo del desktop: compare un menu, dal quale selezionate “Create Launcher”.
232. Viene attivata una finestra che richiede alcune informazioni. E’ sufficiente
che ne diate solo due:
Name
Command
icee-gui
icee-gui
Infine, se volete, clickate su “No Icon” e selezionate un’icona di vostro gradimento con cui verra’ rappresentato icee-gui sul desktop.
Terminate clickando su “OK”.
233. A questo punto sul vostro desktop dovrebbe essere comparsa l’icona che
avete scelto (o un’icona default se non avete fatto alcuna scelta esplicita) con il
nome icee-gui.
Per lanciare icee-gui fate un doppio click sulla sua icona.
B.3
Come si usa icee-gui
234. La finestra iniziale di icee-gui si presenta come mostrato nella figura B.1.
141
Figura B.1: La finestra iniziale di icee-gui
In pratica, ci sono quattro zone principali. Partendo dall’alto troviamo:
=⇒
un’area con righe numerate in cui si immettono le equazioni del sistema
=⇒
un’area con righe numerate in cui si specificano le variabili che compaiono nel sistema
=⇒
un’area con righe numerate in cui si specificano i parametri che compaiono nel sistema
=⇒
un’area che consente di specificare i valori di alcuni parametri che riguardano l’algoritmo di risoluzione del sistema non lineare
Infine, nella parte inferiore, si trovano alcuni bottoni descritti di seguito.
B.3.1
Le due modalita’ principali di icee
235. Il programma icee puo’ essere usato in 2 modalita’:
La modalita’ “single shot”
236. In questa modalita’, il sistema di equazioni originato da un dato problema
di equilibrio viene risolto per un singolo set di parametri e fornisce un’unica
soluzione, cioe’ un’unico set di valori per le concentrazioni di equilibrio.
142
237. Ad esempio, il problema potrebbe essere quello della ionizzazione in acqua di un acido debole AH, con costante di ionizzazione KA e concentrazione
◦
formale CAH
. Come visto a lezione, le incognite del problema sono le quattro
concentrazioni di equilibrio dell’acido indissociato, dell’anione A− , degli ioni
ossidrile e degli ioni idrogeno.
I parametri del problema sono invece la costante di ionizzazione acida KA , la
◦
concentrazione formale dell’acido CAH
e la costante di autoionizzazione dell’acqua KW .
Una soluzione di questo problema in modalita’ “single shot” significa che si
assegna un singolo valore ad ogni parametro, ad esempio:
KA
◦
CAH
KW
1.8 × 10−5
0.1
1 × 10−14
e si risolve il sistema, ottenendo cosi’ i quattro valori delle concentrazioni di
equilibrio.
La modalita’ “parameter scan”
238. In modalita’ “parameter scan” si ha la possibilita’ di variare un parametro
del sistema entro un range predefinito e di risolvere il sistema in corrispondenza
a tutti i possibili valori assunti dal parametro che viene scansionato (solo uno
dei parametri puo’ venire scansionato: tutti gli altri sono fissati ad un unico
valore).
239. Questa modalita’ e’ piu’ interessante perche’ consente di vedere come la
soluzione del problema dipende dal valore numerico di un parametro.
240. Inoltre, come vedremo, con questa modalita’ si possono calcolare tutte le
curve di titolazione che discuteremo durante il corso.
241. Per tornare all’esempio dell’acido debole, si puo’ richiedere al programma
icee di risolvere il sistema con valori fissati di KA e KW :
KA
KW
1.8 × 10−5
1 × 10−14
◦
e facendo assumere a CAH
200 valori equispaziati nell’intervallo [0.001, 1.0].
In tal modo, si ottengono 200 soluzioni del sistema in corrispondenza ai 200
◦
valori di CAH
. Si puo’ poi riportare in grafico, ad esempio, la concentrazione di
equilibrio degli ioni idrogeno in funzione della concentrazione formale di acido
debole. Sullo stesso grafico, si puo’ rappresentare l’espressione approssimata che
abbiamo ricavato a lezione:
143
Figura B.2: Un esempio dell’uso di icee in modalita’ “parameter scan”
H+
=
p
◦
KA CAH
Il confronto dei due grafici mostra fino a che punto sono valide l’approssimazione dell’equilibrio prevalente e l’assunzione KA → 0 per questo problema
(figura B.2).
B.4
Tutorial
242. Iniziamo ora il tutorial vero e proprio: imparerete ad usare icee-gui (e
icee) attraverso una serie di esempi. Potete provare direttamente gli esempi
che seguono in aula computer.
B.4.1
Ionizzazione di un acido debole in modalita’ “single
shot”
243. Consideriamo il caso semplicissimo visto a lezione della ionizzazione di un
acido debole in acqua.
Questo primo esempio sara’ un po’ lungo perche’ ci servira’ per introdurre molte
delle informazioni che servono per usare icee-gui.
244. Si e’ visto che questo problema e’ costituito da due reazioni indipendenti,
rappresentate da:
AH
H2 O
=
=
A− + H +
OH − + H +
e 4 concentrazioni di equilibrio incognite: [AH], [A− ], [H + ] e [OH − ].
144
I parametri di questo problema sono: la costante di ionizzazione acida KA , la
◦
concentrazione formale dell’acido debole CAH
e la costante di autoionizzazione
dell’acqua KW .
Il sistema per trovare le 4 concentrazioni di equilibrio e’:
KA
=
KW
=
◦
CAH
+
=
H
=
[A− ] [H + ]
[AH]
+ OH −
H
[AH] + A− (bilancio di massa per A)
OH − + A− (bilancio di carica)
Questo e’ quanto abbiamo gia’ visto a lezione.
Ora vediamo come usare icee-gui per risolvere questo problema di equilibrio.
Le equazioni
245. Prima di tutto dobbiamo riscrivere le equazioni, le incognite e i parametri
del sistema in “computerese”.
Ad esempio, le concentrazioni non possono essere rappresentate con parentesi
quadrate come siamo abituati a fare sul foglio di carta, perche’ le parentesi
quadrate sono simboli “speciali” per un computer. Inoltre, non abbiamo a
disposizione apici o pedici.
In generale, per quanto riguarda l’uso di icee-gui, per la rappresentazione
simbolica di incognite e parametri tenete presente che:
=⇒
i simboli possono contenere lettere minuscole/maiuscole, cifre e il simbolo underscore (trattino basso): “_” (utile come separatore)
=⇒
il primo carattere di un simbolo deve essere una lettera (minuscola/maiuscola):
non puo’ essere una cifra.
=⇒
non c’e’ limite al numero di caratteri usati per un simbolo
=⇒
lettere minuscole e maiuscole vengono considerate diverse. Quindi “A_0”
e “a_0” sono due simboli diversi
Nel caso presente, possiamo adottare la seguente mappa per passare dai simboli
usati piu’ sopra a quelli “digeribili” dal computer:
[AH]
[A− ]
[H + ]
[OH − ]
KA
KW
◦
CAH
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
AH
A
H
OH
KA
KW
C0
Ora possiamo scrivere le 4 equazioni del sistema nelle prime 4 righe dell’area
“Equations” di icee-gui.
246. Prima, pero’, vanno fatte alcune precisazioni.
• Ciascuna equazione va sempre messa nella forma:
145
(espressione al primo membro) = 0
e dell’equazione si scrive solo il primo membro.
Ovviamente questo e’ sempre possibile. Ad esempio, la prima equazione
del sistema:
KA
=
[A− ] [H + ]
[AH]
deve eseere scritta cosi’:
KA −
[A− ] [H + ]
[AH]
= 0
• Siccome nel processo di raggiungimento della soluzione del sistema i valori
delle incognite vengono variati iterativamente e possono talvolta diventare nulli o quasi, evitate accuratamente che ci siano incognite al
denominatore.
Anche questa condizione e’ molto facile da soddisfare. Ad esempio, per
la prima equazione del sistema, che contiene [AH] al denominatore, e’
altamente consigliato moltiplicare ambo i membri per [AH], mettendola
nella forma:
[AH] KA − A− H +
= 0
• I segni per le 4 operazioni che si usano in “computerese” sono:
+
*
/
per
per
per
per
l’addizione
la sottrazione
la moltiplicazione
la divisione
(diro’ di piu’ sull’uso della funzione logaritmica, l’elevamento a potenza o
la radice quadrata piu’ avanti)
• Potete usare le parentesi (solo quelle tonde, non quadrate o graffe) come
le usereste normalmente su un foglio di carta
Alla luce di quanto detto, il sistema scritto in “computerese” diventa:
AH*KA-A*H=0
KW-H*OH=0
C0-(AH+A)=0
H-(OH+A)=0
247. A questo punto (siete seduti in aula computer e avete icee-gui sullo
schermo, no?) digitate le 4 equazioni in altrettante righe dell’area “Equations”
di icee-gui.
146
Figura B.3: La finestra di icee-gui dopo aver digitato le equazioni
Portate il cursore nella prima riga clickando con il mouse (bottone sinistro) e
digitate la prima equazione (ricordate: solo il primo membro, NON digitate
anche “=0”).
Naturalmente, se vi serve, potete usare le freccine per spostare il cursore e/o cancellare con il tasto di backspace. Oppure potete posizionare il cursore clickando
col mouse.
Dopo che avete digitato le equazioni, la finestra di icee-gui dovrebbe essere
come mostrato nella figura B.3.
Le incognite
248. Ora dobbiamo dire ad icee chi sono le incognite nel sistema. A questo
scopo useremo l’area “Variables”. Anche ora va fatta qualche precisazione.
249. In generale, il sistema da risolvere puo’ avere piu’ di una soluzione. Ad
esempio, il sistema per l’equilibrio di autoionizzazione dell’acqua:
147
H+
OH −
+
H
= KW
= OH −
ammette, dal punto di vista matematico, le due soluzioni:
[H + ] =
[OH − ] =
1. × 10−7
1. × 10−7
e
[H + ] = −1. × 10−7
[OH − ] = −1. × 10−7
Solo una delle possibili soluzioni ha significato fisico, ma questo icee non lo
sa. Allora, possiamo “suggerire” ad icee di convergere, fra tutte le possibili
soluzioni di un dato sistema, solo su quell’unica che ha significato fisico. A
questo scopo, per ciascuna incognita, spcifichiamo anche un limite minimo e un
limite massimo entro cui il suo valore finale deve essere compreso.
Per questo motivo, nell’area “Variables” di icee-gui ogni riga contiene 3 campi:
nel primo scriverete il simbolo dell’incognita, mentre riempirete il secondo e il
terzo campo con, rispettivamente, il valore minimo e massimo ammissibili per
quell’incognita.
Vedremo fra un’attimo come fare per il problema che stiamo trattando.
250. Prima, pero’, e’ opportuno aggiungere ancora qualcosa che riguarda
l’algoritmo usato per le risoluzione del sistema.
L’algoritmo usato da icee per risolvere il sistema non lineare e’ chiamato metodo di Newton-Raphson. Senza entrare nei dettagli, e’ sufficiente dire che questo
metodo e’ un cosiddetto metodo “iterativo”: cioe, si scelgono dei valori iniziali per le incognite e l’algoritmo affina iterativamente questi valori facendoli
convergere alla (o meglio: “ad una”) soluzione del sistema.
La convergenza e’ tanto piu’ rapida (cioe’ il numero di iterazioni da compiere e’
tanto minore) quanto piu’ i valori iniziali di partenza sono vicini alla soluzione.
Nel caso dei sistemi risolventi i nostri problemi di equilibrio sarebbe facile assegnare alle incognite valori approssimati vicini a quelli corretti, ma questo,
come abbiamo visto a lezione parlando dei metodi approssimati, presuppone
un’analisi caso per caso (approssimazione dell’equilibrio prevalente, K → 0 o
K → ∞).
Tradurre quest’analisi approssimata del problema in un algoritmo generale,
pero’, e’ molto complicato (almeno per me).
148
251. Allora come si comporta icee? In un modo molto “grezzo”:
=⇒
A ciascuna incognita viene assegnato un valore a caso compreso nell’intervallo di variazione specificato per quell’incognita
=⇒
L’insieme dei valori per tutte le incognite cosi’ sorteggiati viene preso
come punto di partenza per il metodo di Newton-Raphson.
=⇒
L’algoritmo viene fatto procedere per un numero dato di iterazioni (il
parametro n_trial nella parte inferiore della figuraB.3)
=⇒
Se viene raggiunta una soluzione, allora il lavoro e’ finito
=⇒
Altrimenti, si effettua un nuovo sorteggio di valori iniziali e si riprova
=⇒
I tentativi non vanno avanti all’infinito: dopo un numero massimo di
sorteggi infruttuosi (il parametro n_shots nella parte inferiore della
figuraB.3) icee si arrende e segnala un errore
Quindi: l’intervallo di variazione specificato per ciascuna incognita serve a due
scopi:
1
per dire ad icee di accettare per quella variabile solo le soluzioni comprese entro l’intervallo (e quindi, ad esempio, scartare soluzioni negative,
se la variabile e’ una concentrazione)
2
per permettere ad icee di scegliere per la variabile dei valori di partenza
in un intervallo “ragionevole”
252. L’intervallo di variazione per ciascuna variabile e’ obbligatorio. Pero’ a
volte puo’ essere conveniente “lasciare libera” la variabile di convergere ad un
valore esterno a tale intervallo. Cio’ si puo’ ottenere clickando nella casella piu’
a destra della riga corrispondente alla variabile. In tal modo, i valori di partenza
per la variabile vengono sempre pescati a caso nell’intervallo specificato, ma la
variabile e’ “libera” di convergere su qualsiasi valore, anche esterno all’intervallo.
253. L’intestazione dell’area “Variables” (figuraB.3)) vi ricorda brevemente cosa digitare nei vari campi:
Variables: name
min_value
max_value
[free(on/off)]
Significa che nei campi di ciascuna riga dovete digitare:
1
Il nome della variabile
2
Il suo minimo valore
3
Il suo massimo valore
4
Facoltativamente (per questo ci sono le parentesi quadrate): potete
richiedere che la variabile converga su qualsiasi valore (anche esterno
all’intervallo specificato)
254. Bene: alla luce di quanto detto, vediamo cosa scrivere nell’area “Variables”.
Le nostre incognite sono AH, A, H e OH.
149
Cominciamo con AH: che intervallo di variazione specifichiamo per essa?
E’ la concentrazione di equilibrio dell’acido indissociato, quindi sicuramente
dovra’ essere positiva: possiamo dare come valore minimo 0.
Quale potra’ essere il suo valore massimo? Qui dovete mettere in campo quello
che avete imparato! La concentrazione di equilibrio dell’acido indissociato dipende, in generale, dal valore della costante di equilibrio e dalla concentrazione
iniziale: pero’, in tutti i casi, possiamo dire che la concentrazione di equilibrio
(finale) di acido indissociato non potra’ mai esser maggiore della concentrazione iniziale di acido posta in soluzione. La concentrazione iniziale di
acido debole l’abbiamo chiamata (in computerese) C0: bene, possiamo scrivere
C0 nel terzo campo della riga per AH.
255. Notate: potete esprimere l’estremo superiore dell’intervallo di variazione
della variabile AH in forma simbolica! Questo e’ utilissimo: se fate piu’ calcoli
in cui variate la concentrazione iniziale di acido debole, non serve che ogni
volta cambiate questo valore: esso viene aggiornato automaticamente al valore
selezionato per C0 (che viene specificato nell’area “Parameters”).
In definitiva, le cose da scrivere nella prima riga sono:
campo n.1
AH
campo n.2
0
campo n.3
C0
Per la seconda variabile, A, valgono le stesse considerazioni: anch’essa dovra’
essere positiva e minore di C0:
campo n.1
A
campo n.2
0
campo n.3
C0
256. La terza variabile e’ la concentrazione di equilibrio degli ioni idronio, H.
Anche qua si ragiona allo stesso modo. H dovra’ essere positiva. Inoltre, il suo
valore massimo dipende dalla costante di ionizzazione acida:
se KA → 0
la concentrazione di equilibrio degli ioni idronio tende ad essere quella
dell’acqua pura, 1 × 10−7 mol/L
se KA → ∞
la concentrazione di equilibrio degli ioni idronio sara’ praticamente
coincidente con C0, perche’ tutto l’acido si sara’ dissociato.
Si potrebbe quindi dare come estremo superiore C0. Ma attenzione: se vogliamo risolvere il sistema anche per valori di C0 molto piccoli (10−7 ,10−8 o minori)
la concentrazione di equilibrio degli ioni idronio potrebbe essere maggiore di
C0, perche’ in tal caso il contributo dell’acqua (≈ 10−7 ) sarebbe predominante.
Allora, un limite piu’ generale e’ non “C0”, ma “C0 + 10−7” (10−7 e’ il massimo
valore della concentrazione di ioni idrogeno prodotti dall’acqua in questo sistema: ne siete ben convinti?). Se poi vogliamo mantenerci ancora piu’ in generale,
possiamo non assumere che il prodotto ionico dell’acqua abbia necessariamente
un valore di 10−14 : possiamo quindi esprimere la massima
concentrazione di
√
ioni idronio prodotti dall’acqua semplicemente come KW . In questo modo, ad
esempio, potremmo calcolare le concentrazioni di equilibrio per un acido debole
in un solvente protico non acquoso, ad esempio l’acido acetico, per il quale la costante di autoprotolisi vale 3.5 × 10−15 (chiaramente, in questo caso, dovremmo
conoscere la costante di ionizzazione acida dell’acido debole in quel solvente).
150
La radice quadrata in computerese si indica con sqrt() (“sqrt” sta per “square
root”). In definitiva, per la riga corrispondente all’incognita H possiamo scrivere:
campo n.1
H
campo n.2
0
campo n.3
C0+sqrt(KW)
Resta la variabile OH, la concentrazione di equilibrio degli ioni ossidrile. Qui le
cose sono piu’ semplici. Il limite inferiore e’ ovviamente 0. Il limite superiore e’
sicuramente 10−7 , o meglio, se non vogliamo assumere Kw = 10−14 , sqrt(KW)
(gia’ scritto in computerese). Non dovrebbero esserci dubbi in proposito: il
sistema che stiamo simulando e’ costituito da un acido in soluzione acquosa.
In questo sistema, la concentrazione di ioni ossidrile non potra’ essere MAI
maggiore di sqrt(KW), cioe’ mai maggiore della loro concentrazione di equilibrio
in acqua pura.
Quindi, per OH scriveremo:
campo n.1
OH
campo n.2
0
campo n.3
sqrt(KW)
257. Bene: ora digitate tutto quanto nelle righe dell’area “Variables”: alla fine
la finestra sara’ come mostrato nella figura B.4.
I parametri
258. Ci siamo quasi. Restano da specificare i valori dei parametri. Vogliamo
lanciare icee in modalita’ “single shot”, quindi dobbiamo specificare un singolo
valore per ciascun parametro.
Ad esempio, facciamo il calcolo per:
◦
CAH
KA
KW
= 0.1
= 1 × 10−5
= 1 × 10−14
In computerese si scrive cosi’:
C0
KA
KW
0.1
1.0e-5
1.0e-14
259. Notate come si scrivono i numeri in formato esponenziale in computerese: mantissa, seguita dalla lettera “e”, seguita dall’esponente con un eventuale
segno.
Potete digitare quanto sopra nel primo e secondo campo delle prime 3 righe
dell’area “Parameters” (il terzo e quarto campo si usano per lanciare icee in
modalita’ “parameter scan”, come vedremo fra un po’).
Dovreste aver ottenuto quanto mostrato nella figura B.5.
Regolazione fine dell’algoritmo
260. C’e’ ancora l’ultima area, sotto l’area “Parameters”. Come ho detto, in
quest’area e’ possibile modificare alcune “regolazioni” dell’algoritmo di NewtonRaphson usato da icee.
151
Figura B.4: La finestra di icee-gui dopo aver riempito l’area “Variables”
152
Figura B.5: La finestra di icee-gui dopo aver riempito l’area “Parameters”
153
icee propone dei valori default (cioe’ predefiniti) per queste regolazioni. Questi
valori predefiniti vanno bene per casi “normali”, ma potreste avere la necessita’
di cambiarli se vi avventurate su terreni “pericolosi”.
n shots
Come detto al punto 251, questo e’ il numero massimo di sorteggi
che viene effettuato da icee per ottenere punti di partenza da
cui procedere. 100 e’ un numero piu’ che sufficiente: se icee
non riesce a trovare la soluzione del sistema dopo 100 sorteggi,
potete star certi che avete sbagliato qualcosa nell’input
n trial
Anche questo parametro e’ stato introdotto al punto 251: questo e’ il numero massimo di iterazioni che viene compiuto per
un dato punto di partenza. Se non si converge dopo n_trial
iterazioni, si effettua un altro sorteggio e si riparte. Anche qui,
1000 e’ un limite molto largo: se le cose non vanno dopo 1000
iterazioni c’e’ qualcosa che non va.
tolx/tolf
Il metodo di Newton-Raphson e’ un metodo iterativo: il punto
di partenza (il cosiddetto “guess” iniziale) viene migliorato ciclicamente. Questo procedimento puo’ andare avanti all’infinito:
come si decide che siamo arrivati alla soluzione? Ci sono due
criteri da considerare:
1 ad ogni iterazione vengono calcolati i primi membri delle
equazioni. Se i valori delle variabili sono quelli corretti,
questi primi membri dovrebbero essere rigorosamente nulli.
Ricordate che le equazioni sono state date nella forma:
(espressione al primo membro) = 0
Nel calcolo numerico, 0 non vuol dire necessariamente 0,
ma puo’ voler dire “un numero molto piccolo”. Allora, un
primo criterio di convergenza e’ il seguente:
“dopo ogni iterazione faccio la somma di tutti i
primi membri delle equazioni con i valori correnti
delle incognite (e i valori dati dei parametri, naturalmente) e, se questa somma e’ piu’ piccola di una
soglia prefissata, mi dichiaro contento del risultato
raggiunto e mi fermo”
Il parametro tolf e’ appunto la soglia prefissata con la quale si confronta la somma dei primi membri. Se avete capito
la filosofia del criterio, dovrebbe esservi chiaro che un valore piu’ piccolo di tolf forza una soluzione piu’ accurata.
Attenti, pero’, che questo significa anche un tempo di esecuzione piu’ lungo, perche servono piu’ iterazioni per spingere
l’accuratezza.
154
D’altro canto, se si fissa tolf ad un valore troppo grande, si
rischia di ottenere risultati senza senso. Considerate questa
equazione del sistema che stiamo studiando:
KW-H*OH
KW e’ 1 × 10−14 e quindi dei valori accurati di [H + ] e
[OH − ] dovranno essere tali che la differenza su scritta sia
almeno minore (in valore assoluto) di 1 × 10−14 . Se fissiamo
tolf=1e-5 il test di convergenza sarebbe superato anche
con valori completamente senza senso per le due incognite.
In generale, tolf dovrebbe essere abbastanza piu’ piccolo della piu’ piccola costante di equilibrio che compare nel
sistema. Ad ogni modo questo e’ un parametro che va
regolato caso per caso, molto spesso per tentativi.
2 un secondo criterio di convergenza e’ basato sulla seguente
considerazione. Se siamo arrivati alla soluzione del sistema
e continuiamo ad iterare, i valori delle incognite da un’iterazione alla successiva rimangono identici. Allora il secondo
criterio di convergenza e’:
“se la somma delle variazioni subite dalle incognite
passando da un’iterazione alla successiva e’ minore
di una soglia prefissata, mi dichiaro contento del
risultato raggiunto e mi fermo”
Questa seconda soglia di convergenza e’ il parametro tolx.
Anche qui si deve trovare un compromesso: un valore troppo piccolo spinge l’accuratezza, ma allunga il tempo di calolo; un valore troppo “lasco” rischia di produrre risultati
senza senso.
icee assume di aver fatto un buon lavoro quando almeno uno
(e’ indifferente quale) dei due criteri di convergenza viene soddisfatto.
go!
261. Siamo pronti per lanciare il calcolo! Prima pero’, salviamo il lavoro fatto
finora: in seguito, se ci servira’, potremo ricaricarlo per usarlo come punto di
partenza per altri calcoli.
Clickate sul bottone “save” e digitate il nome di un file in cui salvare il vostro
input. Attenti: in Unix e’ meglio non mettere spazi nei nomi dei files. Se volete
separare le parole, usate l’underscore. Inoltre, per una semplice questione di
ordine, usate l’estensione icee, che vi ricorda subito cosa contiene il file. Ad
esempio: “weak_acid.icee” potrebbe essere una buona scelta del nome.
262. Ed ora: rullo di tamburi. Clickate “go!”.
Sembra che non sia successo nulla, ma se guardate a fianco dell’area “Equations”
vedrete che e’ comparso il bottone “view icee output”. Clickate il bottone:
compare una finestra che contiene il vostro risultato (potete allargare la finestra
trascinandone il bordo con il mouse).
155
Figura B.6: Il risultato!
156
Il contenuto della finestra e’ mostrato nella figura B.6.
263. Quello che vedete e’ l’output generato da icee. C’e’ una riga che vi ricorda
cosa significa l’acronimo icee.
Poi icee vi ripresenta le equazioni che ha letto dall’input che avete preparato:
“the system was:”.
Vi ripropone i valori che avevate assegnato ai parametri: “the parameters were:”.
E finalmente vi mostra il risultato del calcolo: “the refined values of the variables
are:”.
Per ultimo, icee vi mostra quanto vale ciascun primo membro delle equazioni
con i valori trovati per le incognite: “the residuals are:”. Come avevo accennato,
questi dovrebbero essere teoricamente nulli. Vedete che in realta’ non sono nulli,
ma hanno comunque valori molto piccoli. Se i residui non sono molto piccoli,
c’e’ qualcosa che non va.
264. Ma vediamo un po’ ’sti risultati e cerchiamo di valutarli chimicamente.
Quanto acido debole si e’ dissociato? Assai poco, in realta’:
A =
0.000995012495 ≈ 1.0 × 10−4
In fin dei conti, abbiamo simulato la ionizzazione di un tipico acido debole: il
valore di KA era praticamente quello dell’acido acetico. Praticamente tutto
l’acido all’equilibrio e’ indissociato:
AH =
0.0990049875
Notate che le concentrazioni di equilibrio di A e H sono identiche fino alla decima
cifra decimale: questo significa che l’approssimazione dell’equilibrio prevalente
e’ ampiamente giustificata per queste condizioni. Gli ioni idronio provenienti
dall’acqua sono numericamente uguali agli ioni ossidrile, la cui concentrazione
di equilibrio e’ dell’ordine di 10−11 :
OH =
1.00501249e-11
265. Proviamo a vedere come aumenta la frazione di acido dissociato se la
costante di ionizzazione acida e’ piu’ grande.
Clickate sul bottone “OK” della finestra che vi mostra il risultato. Ora modificate il valore di KA da 1.0e-5 a 1.0e-4 e rilanciate il calcolo con le nuove
condizioni: clickate “go!”.
157
Clickate “view icee output”. Questa volta il risultato e’:
icee: I Compute Equilibria, Exactly!
the system was:
AH*KA-A*H =
KW-H*OH =
C0-(AH+A) =
H-(OH+A) =
0
0
0
0
the parameters were:
C0 =
KA =
KW =
0.1
0.0001
1e-14
the refined values of the variables are:
AH =
0.0968873271
A =
0.00311267292
H =
0.00311267292
OH =
3.21267292e-12
the residuals
AH*KA-A*H
KW-H*OH
C0-(AH+A)
H-(OH+A)
are:
= -1.67173202e-21
= 2.45748661e-31
= 1.30104261e-18
= -1.69194831e-19
Osservate che la concentrazione dell’anione e’ aumentata, come ci aspettavamo.
Inoltre la concentrazione dell’anione e quella degli ioni idronio sono identiche
(entro le cifre decimali mostrate): cio’ e’ perfettamente ragionevole. Abbiamo aumetato di un fattore 10 la costante di ionizzazione dell’acido e quindi
l’approssimazione dell’equilibrio prevalente e’ ancora piu’ giustificata.
Notate ancora che la concentrazione di equilibrio degli ioni ossidrile e’ diminuita
rispetto a prima (ovvio! acido piu’ forte → ionizzazione dell’acido piu’ spostata
verso destra → autoprotolisi dell’acqua piu’ repressa verso sinistra).
266. L’acido rimane comunque un acido debole, anche in queste condizioni.
Vogliamo simulare un acido veramente forte?
Clickate il bottone “OK” e modificate il valore di KA portandolo a 1.0e10.
158
Clickate “go!” e guardate il risultato clickando “view icee output”:
icee: I Compute Equilibria, Exactly!
the system was:
AH*KA-A*H =
KW-H*OH =
C0-(AH+A) =
H-(OH+A) =
0
0
0
0
the parameters were:
C0 =
KA =
KW =
0.1
1e+10
1e-14
the refined values of the variables are:
AH =
1e-12
A =
0.1
H =
0.1
OH =
1e-13
the residuals
AH*KA-A*H
KW-H*OH
C0-(AH+A)
H-(OH+A)
are:
= 8.32633387e-19
= -2.04148574e-31
= 5.63107503e-18
= 3.34069794e-18
Ora si che l’acido e’ forte: lo ritroviamo praticamente tutto dissociato, mentre
la concentrazione di acido indissociato sopravvissuto e’ solo:
AH =
1e-12
La concentrazione di ioni ossidrile all’equilibrio e’ ancora diminuita, naturalmente.
Mettiamo alla prova le approssimazioni
267. Ora vediamo come si puo’ usare icee per mettere alla prova i metodi
approssimati che abbiamo visto a lezione.
Se riguardate gli appunti sull’approssimazione dell’equilibrio prevalente, vedrete
che, per la ionizzazione di un acido debole in acqua, avevamo ricavato la seguente
espressione approssimata per la concentrazione di ioni idronio all’equilibrio:
H+
=
p
◦
CAH
KA
Questo risultato e’ valido sotto le seguenti ipotesi:
159
KA
◦
CAH
KA
≫
→
KW
non troppo piccola
0
Possiamo indagare numericamente il campo di validita’ di queste approssimazioni con icee.
L’errore percentuale del valore approssimato rispetto al valore “teorico” e’ definito da:
err =
100
p
◦
CAH
KA − [H + ]teorica
[H + ]teorica
A questo punto potremmo lanciare vari calcoli con icee per diversi valori di KA
◦
e CAH
e calcolare con la calcolatrice tascabile l’errore come mostrato sopra.
268. Tuttavia possiamo fare in modo che icee calcoli direttamente l’errore per
noi.
A questo scopo aggiungiamo una quinta incognita al problema dell’acido debole:
l’errore che vogliamo far calcolare ad icee. Questa “finta” incognita e’ legata
alla concentrazione di equilibrio degli ioni idronio dalla relazione su scritta, che
quindi e’ la quinta equazione richiesta visto che ora le incognite sono diventate
5.
Notate che tutto cio’ e’ perfettamente lecito, dal punto di vista matematico:
aggiungiamo un’incognita e un’equazione indipendente; i conti tornano: ora
risolviamo un sistema di 5 equazioni per 5 incognite. Per icee non c’e’ alcun
problema.
Mettiamo l’equazione da aggiungere nella forma richiesta:
err × H + teorica
=
100
p
◦
CAH
KA − H + teorica
p
◦
CAH
KA − H + teorica
err × H + teorica − 100
=
0
e traduciamo in computerese:
ERR*H-100*(sqrt(C0*KA)-H)
Digitate l’espressione su scritta nella quinta riga dell’area “Equations”.
Ora aggiungiamo la quinta variabile, ERR, nella quinta riga dell’area “Variables”. Questa volta ERR puo’ assumere anche valori negativi: ricordate che e’
un errore percentuale. Diciamo che vogliamo esplorare casi in cui ci aspettiamo
che l’errore percentuale sia compreso fra −100 e 100. Allora digitate −100 nel
secondo campo (minimo valore) e 100 nel terzo campo (massimo valore).
160
269. Siamo pronti. Facciamo un calcolo con:
C0 =
KA =
KW =
0.1
1e-05
1e-14
Il risultato e’:
icee: I Compute Equilibria, Exactly!
the system was:
AH*KA-A*H
KW-H*OH
C0-(AH+A)
H-(OH+A)
ERR*H-100*(sqrt(C0*KA)-H)
the parameters were:
C0 =
KA =
KW =
=
=
=
=
=
0
0
0
0
0
0.1
1e-05
1e-14
the refined values of the variables are:
AH =
0.0990049875
A =
0.000995012495
H =
0.000995012505
OH =
1.00501249e-11
ERR =
0.501249482
the residuals are:
AH*KA-A*H
KW-H*OH
C0-(AH+A)
H-(OH+A)
ERR*H-100*(sqrt(C0*KA)-H)
=
=
=
=
=
9.41951923e-23
1.50222536e-31
1.73472348e-18
6.3527471e-20
-2.493665e-18
I valori di tutte le concentrazioni di equilibrio sono quelli che avevamo gia’
visto prima. L’errore percentuale del valore approssimato e’ 0.5 %: un valore
ampiamente accettabile per tutti gli scopi pratici.
270. Proviamo a vedere come l’errore dipende dalla concentrazione iniziale di
acido.
Facciamo una serie di calcoli in cui la concentrazione iniziale diminuisce progressivamente. Ormai dovreste essere in grado di riprodurre la seguente tabella:
161
C0
0.1
0.01
0.001
0.0001
0.00001
ERR
0.50
1.59
5.12
17.05
61.77
Vedete che al diminuire della concentrazione iniziale di acido le cose peggiorano
abbastanza rapidamente: uno dei requisiti per l’applicazione dell’approssimazione dell’equilibrio prevalente viene a mancare.
Potete provare a variare la costante di ionizzazione acida tenendo fissa la concentrazione iniziale e vedere come cambia l’errore in questo caso.
271. Comunque, come potreste aver gia’ intuito, questo tipo di analisi si effettua
molto piu’ efficientemente usando icee nella modalita’ “Parameter scan”.
B.4.2
Ionizzazione di un acido debole in modalita’ “parameter scan”
272. Restiamo nell’esempio che stiamo considerando per vedere come si imposta
il lancio di icee in modalita’ “parameter scan”. Se avete ancora la finestra
del programma aperta dall’esempio precedente, cancellate la riga della quinta
equazione e la corrispondente riga nelle variabili.
In pratica, riportiamoci nelle seguenti condizioni:
Equazioni:
AH*KA-A*H
KW-H*OH
C0-(AH+A)
H-(OH+A)
Incognite:
AH
A
H
OH
0
0
0
0
C0
C0
C0+sqrt(KW)
sqrt(KW)
273. Ora vogliamo ottenere con la modalita’ “parameter scan”cio’ che abbiamo
fatto alla fine della sezione precedente: cioe’ vogliamo vedere come le 4 concentrazioni di equilibrio dipendono dalla concentrazione iniziale di acido. Quindi:
fissiamo KW e KA ai valori gia’ visti, e richiediamo ad icee di variare C0 entro un
certo range.
274. Allora: l’input per KA e KW resta identico a quello visto prima.
Invece, nella riga corrispondente a C0, specificheremo nei 3 campi successivi al
primo, rispettivamente, il valore minimo, il valore massimo e il numero di valori
da calcolare entro tali limiti.
L’inserimento di valori numerici in tutti e 4 i campi della riga relativa ad un
parametro segnala al programma che si richiede la modalita’ “parameter scan”.
162
Ad esempio: se volessimo fare 250 calcoli (cioe’ volessimo ottenere 250 soluzioni del sistema) in
corrispondenza a 250 valori di C0 equispaziati nell’intervallo 10−11 : 10−1 , dovremmo riempire la riga corrispondente a C0 nel modo
seguente:
C0
1.0e-11
1.0e-1
250
275. Il modo di riempire i campi nell’area parameters vi viene ricordato nell’intestazione posta sopra:
Parameters: name
[min_]value [ max_value
n_of_values ]
che riassume cio’ che va inserito nei vari campi:
1
il nome del paramtero (name)
2
il suo valore (value), oppure il suo minimo valore (min_value) se richiediamo di variarlo in un intervallo (min_ e’ posto fra parentesi quadrate
proprio per indicare che il significato del contenuto del campo dipende
dalla modalita’ in cui stiamo lanciando icee)
3
il suo massimo valore (max_value)
4
il numero di valori equispaziati che assumera’ il parametro nell’intervallo
specificato (n_of_values)
max_value e n_of_values sono tra parentesi quadrate perche’ la loro presenza
non e’ obbligatoria: questi campi vengono riempiti per un parametro solo se si
richiede la modalita’ “parameter scan”.
Griglie logaritmiche
276. In definitiva, l’area relativa ai parametri andrebbe riempita cosi’:
C0
KA
KW
1.0e-11
1.0e-5
1.0e-14
1.0e-1
250
Ho detto “andrebbe”, perche’
c’e’ un aspetto da considerare.
Se dividiamo l’intervallo 1.0 × 10−11 : 1.0 × 10−1 in 250 punti equispaziati non
otteniamo quello che vogliamo. Noi vogliamo che C0 assuma valori equamente
distribuiti in tutte le regioni “interessanti” dell’intervallo. Cioe’ noi vogliamo
campionare in modo uniforme i valori di C0 fra 1.0 × 10−11 e 1.0 × 10−10 , fra
1.0 × 10−10 e 1.0 × 10−9 e cosi’ via. Cio’ non avviene con l’input mostrato sopra.
Possiamo rendercene
conto praticamente.
La scelta di 10 punti equispaziati
nell’intervallo 1.0 × 10−11 : 1.0 × 10−1 si fa con la formula:
xi
=
i =
1.0 × 10−11 + i ×
1.0 × 10−1 − 1.0 × 10−11
9
0, · · · , 9
Se calcolate i punti con la calcolatrice, troverete che essi sono:
163
1.000000000 × 10−11
1.111111112 × 10−02
2.222222223 × 10−02
3.333333334 × 10−02
4.444444445 × 10−02
5.555555556 × 10−02
6.666666667 × 10−02
7.777777778 × 10−02
8.888888889 × 10−02
1.000000000 × 10−01
Vedete che fra 10−11 e 1.1 × 10−2 non c’e’ nemmeno un punto: e questo non ci
va bene!
Per avere una griglia di punti distribuiti in modo migliore si deve costruire una
cosiddetta griglia logaritmica: cioe’, invece che considerare un intervallo del
parametro C0, consideriamo un intervallo del logaritmo (decimale) di C0.
Se C0 varia fra 1.0 × 10−11 e 1.0 × 10−1 , il suo logaritmo variera’ fra −11 e −1.
Allora, se applichiamo la stessa formula di suddivisione all’intervallo [−11 : −1]
otteniamo:
xi
=
−11 + i ×
i
=
0, · · · , 9
log (C0)
−11.000000000
−9.888888889
−8.777777778
−7.666666667
−6.555555556
−5.444444444
−4.333333333
−3.222222222
−2.111111111
−1.000000000
−1 − (−11)
9
C0 = 10log (C0)
1.000000000 × 10−11
1.291549665 × 10−10
1.668100537 × 10−09
2.154434690 × 10−08
2.782559402 × 10−07
3.593813664 × 10−06
4.641588834 × 10−05
5.994842503 × 10−04
7.742636827 × 10−03
1.000000000 × 10−01
Ora i valori di C0, dati da 10log (C0) , sono distribuiti molto meglio! (guardate la
seconda colonna)
277. Come si puo’ usare una griglia logaritmica per C0 nel nostro input?
Ci sono almeno due modi per raggiungere lo scopo.
primo modo
Questo e’ il modo piu’ scomodo, perche’ bisogna modificare un po’ quanto gia’ scritto. Invece di C0 consideriamo
come parametro il suo logaritmo (lo chiameremo LOG_C0
per chiarezza). Questo implica che modifichiamo le equazioni e le variabili in modo tale che al posto di C0 compaia
10^LOG_C0 (in icee l’elevamento a potenza si scrive col
simbolo ^ (in inglese: caret)).
164
Quindi l’input per icee diventa:
Equazioni:
AH*KA-A*H
KW-H*OH
10^LOG_C0-(AH+A)
H-(OH+A)
Variabili:
AH
A
H
OH
0
0
0
0
10^LOG_C0
10^LOG_C0
10^LOG_C0+sqrt(KW)
sqrt(KW)
Parametri:
LOG_C0
KA
KW
secondo modo
-11
1.0e-5
1.0e-14
-1
250
Questo e’ il modo piu’ comodo. Lasciamo praticamente
tutto come sta, ma introduciamo un parametro in piu’, che
e’ appunto LOG_C0, che faremo variare come detto. L’unica
ulteriore modifica da fare e’ cambiare il valore del parametro C0, che ora dovra’ essere: 10^LOG_C0, ovviamente.
Quindi, le equazioni e le variabili restano immutate, mentre
la sezione dei parametri diventa:
C0
KA
KW
LOG_C0
10^LOG_C0
1.0e-5
1.0e-14
-11
-1
250
In questo modo icee calcola una griglia di 250 punti equispaziati nell’intervallo [−11 : −1] per LOG_C0 e per ogni valore di LOG_C0, il parametro C0 viene settato di conseguenza.
278. Quanto appena detto sulla griglia logaritmica e’ di carattere molto generale. Nello studio della dipendenza degli equilibri da un parametro, molto spesso
si ha interesse a scansionare il parametro attraverso molti ordini di grandezza e in tal caso l’uso di griglie logaritmiche e’ praticamente obbligatorio, se si
vogliono ottenere risultati significativi.
279. Modificate l’input per icee in modo da usare la griglia logaritmica (usate
il secondo modo descritto sopra). In definitiva:
165
Equazioni:
AH*KA-A*H
KW-H*OH
C0-(AH+A)
H-(OH+A)
Variabili:
AH
A
H
OH
0
0
0
0
C0
C0
C0+sqrt(KW)
sqrt(KW)
Parametri:
C0
KA
KW
LOG_C0
10^LOG_C0
1.0e-5
1.0e-14
-11
-1
250
go!
280. Ora, finalmente!, clickate il bottone “go!”.
Come nel caso della modalita’ “single shot” non succede nulla di eclatante: pero’,
in alto a destra, sono comparsi tre bottoni: “view icee results”, “edit gnuplot command file”
e “plot”.
Tanto per provare, clickate il bottone “plot”: compare una finestra con un
grafico. Di che grafico si tratta? Per capire come saltano fuori i grafici di icee
dovete avere ancora un po’ di pazienza e seguire questo tutorial.
281. Chiudete la finestra che mostra il grafico portando il mouse al suo interno
e digitando “q” (la lettera “q” minuscola).
282. Innanzitutto vediamo l’output di icee. Clickate sul bottone “view icee results”.
Compare una finestra come quella mostrata nella figura B.7.
Descriviamo l’output di icee per la modalita’ “parameter scan”.
Come nel caso “single shot”, vengono riproposte le equazioni (“the system
was:”).
Poi vengono mostrati i parametri (“the parameters were:”). Notate che la
riga corrispondente al parametro LOG_C0 vi dice che tale parametro e’ stato
scansionato nell’intervallo [−11 : −1]:
LOG_C0
-11 ==> -1
Notate ancora che C0 era definito in termini del parametro scansionato LOG_C0
come 10^LOG_C0: quindi anche C0 e’ variato di conseguenza. Tuttavia per esso
viene riportato solo l’ultimo valore assunto (nel nostro caso 10(−1) = 0.1).
Infine, vengono riportati i risultati veri e propri. Potete vedere una serie di
colonne di numeri. La prima colonna (LOG_C0) e’ la serie di valori del parametro
scansionato: vanno da −11 a −1 e ce ne sono 250, come avevamo richiesto.
Le altre 4 colonne sono i valori delle 4 incognite (ogni colonna e’ identificata dal
simbolo dell’incognita a cui si riferisce) corrispondenti ai valori del parametro
scansionato.
166
Figura B.7: L’output di icee in modalita’ “parameter scan”
167
Ad esempio, la prima riga di numeri dice che, per LOG_C0 = −11, la soluzione
del sistema e’:
AH
A
H
OH
9.90148122e-14
9.90098519e-12
1.00004951e-07
9.99950498e-08
e cosi’ via.
I grafici per “icee” li fa “gnuplot”
283. Chiaramente, analizzare visivamente le colonne di numeri generate da
icee non e’ proponibile: per questo motivo icee consente di rappresentare
graficamente (“plottare”) i dati ottenuti.
284. icee non e’ capace di fare i grafici e quindi si affida ad un altro programma,
che si chiama gnuplot. gnuplot e’ uno dei programmi piu’ usati per fare grafici
in ambiente Unix. Se volete avere tutte le informazioni su gnuplot potete
visitare il suo sito web:
http://www.gnuplot.info
Il manuale completo e’ qui:
http://www.gnuplot.info/documentation.html
Alcuni tutorials sono qui:
http://www.gnuplot.info/help.html
285. gnuplot e’ un programma molto articolato che consente di fare cose estremamente complesse. Per quanto riguarda l’uso di gnuplot dall’interno di icee,
ci limiteremo ad un minimo di informazioni.
gnuplot esegue il suo compito basandosi su delle istruzioni che icee gli passa.
Voi avete accesso a e potete modificare queste istruzioni attraverso il bottone
“edit gnuplot command file”.
Ora elencheremo e spiegheremo i principali comandi di gnuplot usati in icee.
286. Quando viene lanciato in modalita’ “parameter scan” icee prepara un file minimale di comandi per gnuplot. Clickate su “edit gnuplot command file”:
compare una finestra di testo che contiene il file di comandi per gnuplot preparato da icee:
reset
set terminal x11
set output
unset key
plot ’/tmp/icee-4073.out’ using ($1):($2) with lines linetype 3
Cosa significano questi comandi?
168
Innazitutto, ogni riga contiene un singolo comando. Alcuni comandi sono costituiti da un’unica stringa (ad esempio reset), altri contengono piu’ parole (ad
esempio set terminal x11).
Spieghiamo il significato dei comandi contenuti nel file minimale, poi ne spiegheremo altri che potete aggiungere per far fare a gnuplot cio’ che vi serve.
reset
questo comando dice a gnuplot di riportare tutte le sue
(moltissime) opzioni ai valori default (predefiniti). E’
buona norma iniziare un file di comandi con questo.
set terminal . . .
gnuplot supporta un gran numero di formati di output.
Un particolare formato di output e’ selezionato col comando “set terminal <formato>”, dove “<formato>”
e’ il formato di output richiesto. “set terminal x11”
seleziona il formato di output sul monitor del computer
nell’ambiente grafico di Unix (che si chiama “X Windows”). Normalmente, non avrete bisogno di modificare
mai questo comando.
set output
e’ possibile dire a gnuplot di salvare in un file le istruzioni (determinate dal tipo di terminale selezionato con
“set terminal ...”) che generano il grafico. A questo scopo si usa il comando “set output <nome_file>”.
Scrivendo semplicemente “set output” (senza specificare <nome_file> ) si richiede a gnuplot di mandare le
istruzioni per fare il grafico direttamente al terminale: si
deve fare in questo modo se si vuole avere il grafico sul
monitor del computer, come nel vostro caso. Anche questo comando non necessita praticamente mai di essere
modificato.
unset key
questo e’ un esempio delle numrosissime opzioni di gnuplot
che possono essere attivate con “set <opzione>” o disattivate con “unset <opzione>”. “unset key” disabilita la legenda del grafico (questa opzione e’ attiva per
default). La legenda e’ un modo per descrivere i diversi
plots presenti sullo stesso grafico. Per vedere di cosa si
tratta, provate ad attivarla. Trasformate “unset key”
in “set key” e clickate su “replot now”. Visto? Io trovo che nei grafici di icee la legenda affolla inutilmente il
plot, e quindi questa opzione e’ disabilitata.
287. Il comando che inizia con plot e’ quello che dice a gnuplot cosa e come
plottare e lo consideriamo in modo piu’ dettagliato. La sintassi di questo comando e’ molto ricca, ma per quello che ci riguarda possiamo considerarne solo
una parte.
Il comando plot serve per plottare o il contenuto di un file oppure una funzione
definita in precedenza nel file di comandi per gnuplot (vedremo fra un po’ come
si possono definire funzioni arbitrarie nel file di comandi per gnuplot).
169
icee scrive i suoi risultati (quelli che avete visto clickando sul bottone “view icee results”)
in un file temporaneo. Il nome di questo file e’ quello che compare racchiuso fra
apici dopo la keyword “plot”. Quindi:
plot ’/tmp/icee-4073.out’ ....
significa: “plotta il contenuto del file /tmp/icee-4073.out”.
Ma il file in questione contiene diverse colonne di numeri: come fa gnuplot a
sapere quali colonne deve considerare? Per questo c’e’ la keyword “using”. Il
frammento:
... using ($1):($2) ...
significa: “plotta la seconda colonna in funzione della prima”. Cioe’, “prendi
la prima colonna del file ($1) come una serie di valori sull’asse x e la seconda
colonna ($2) come la serie di valori corrispondenti sull’asse y e plotta i punti
di coordinate (x, y)”. (Attenzione: le parentesi rotonde, il segno di dollaro e il
doppio punto fanno parte della sintassi e sono obbligatori)
Quindi il comando plot cosi’ come e’ scritto ora plotta la concentrazione dell’acido indissociato (AH) in funzione del logaritmo della sua concentrazione iniziale
(LOG_C0). Questo lo potete vedere se clickate sul bottone “view icee results”,
che vi mostra il contenuto del file creato da icee: vedete che la prima colonna
e’ quella dei valori di LOG_C0 e la seconda contiene i corrispondenti valori di AH.
288. Per inciso: vedete che il file creato da icee contiene anche del testo. Come
fa gnuplot a sapere che deve ignorare il testo? Se osservate meglio il contenuto
del file, vedrete che il primo carattere di ogni riga di testo e’ il simbolo cancelletto
“#” (in inglese “hash”). Lo hash e’ il carattere di commento per gnuplot: esso
semplicemente ignora tale carattere e qualsiasi cosa lo segua fino alla fine della
riga. Inoltre gnuplot ignora anche le righe vuote o quelle che contengono solo
spazi.
289. L’ultima parte del comando plot:
... with lines linetype 3
dice a gnuplot come deve plottare le due colonne spcificate. “with lines” vuol
dire che deve unire punti successivi con una linea; “linetype 3” vuol dire che
deve usare la linea di tipo 3, che col terminal “x11” (quello settato col comando
set terminal x11) e’ una linea di colore blu.
170
Quando si usa “with lines”, si puo’ anche specificare lo spessore della linea,
come in:
... with lines linewidth 2 linetype 3
Un’alternativa alla linea continua che potreste voler utilizzare certe volte e’
quella di usare dei punti, che possono essere di forma e dimensioni diverse. Per
plottare con dei punti invece che con una linea continua dovete cambiare il
frammento su scritto con, ad esempio:
... with points pointsize 2 pointtype 6
290. Ora, per prendere un po’ di dimestichezza con gnuplot, proviamo ad ottenere il plot della concentrazione di ioni idrogeno in funzione della concentrazione
iniziale di acido debole. Se guardate il file dei dati, vedrete che la colonna della
concentrazione di equilibrio degli ioni idrogeno e’ la quarta. Allora modificate
il comando plot cosi’:
plot ’/tmp/icee-4073.out’ using ($1):($4) with lines linetype 3
e clickate “replot now”.
Avete ottenuto il plot di H in funzione di LOG_C0. Vi sembra ragionevole? Direi
di si’: quando LOG_C0 vale −1, cioe’ C0 = 0.1, H e’ circa 0.001. Poi, man mano
che la concentrazione iniziale dell’acido debole diminuisce (LOG_C0 assume valori
sempre piu’ negativi), la concentrazione di ioni idrogeno diventa sempre piu’
piccola.
291. Quale vi aspettate che sia il limite della concentrazione di ioni idrogeno
quando la concentrazione iniziale di acido debole diventa molto piccola? Quando
la concentrazione iniziale di acido debole tende a 0 la soluzione tende ad essere
della semplice acqua pura e quindi la concentrazione
di ioni idrogeno dovra’
√
tendere al valore dell’acqua pura, ovvero KW , che nel nostro caso (avendo
posto KW = 1 × 10−14 ), sara’ 1 × 10−7 .
Nel grafico cosi com’e’ e’ impossibile vedere se H tende effettivamente a 1 × 10−7,
perche’ il range dell’asse y e’ troppo grande (vediamo solo che H tende a diventare
piccolissima). Allora impariamo un’altra cosa riguardo a gnuplot e al terminale
“x11”: tenendo clickato il bottone destro del mouse, zoomate la parte inferiore
del grafico, cioe’ aprite una finestra che prenda una “fettina” molto stretta del
grafico contenente la “coda” della curva H vs LOG_C0. Rilasciate il bottone del
mouse e avete ottenuto un ingrandimento della parte di grafico che avevate
selezionato. Ora si vede bene che la coda si appiattisce su un valore prossimo
a zero, ma probabilmente non si capisce ancora quanto e’ questo valore. Allora
ripetete la procedura di zoom fino a che sulla scala dell’asse y la suddivisione
comprende il valore 1e-7: ora dovrebbe essere chiaro che il limite della curva
H vs LOG_C0 e’ proprio 1 × 10−7 come ci aspettavamo. Riprisitnate il plot “a
grandezza naturale” digitando “u” (la lettera minuscola “u”) col pointer (mouse)
all’interno della finestra del grafico.
292. Ora vediamo un altro modo di mettere in evidenza il limite a cui tende la
curva H vs LOG_C0 che ci fara’ imparare altri comandi utili di gnuplot.
171
Quando gnuplot presenta un grafico, seleziona automaticamente, basandosi sui
punti da plottare, i valori massimo e minimo da considerare su ciascuno dei due
assi cartesiani. Si puo’ pero’ richiedere dei ranges esplicitamente. I comandi
sono:
set xrange [<min>,<max>]
set yrange [<min>,<max>]
e il significato dovrebbe essere ovvio.
Inoltre, gia’ che ci siamo, introduciamo altri due comandi, strettamente correlati
ai precedenti, che servono per richiedere una particolare suddivisione degli assi
(i cosiddetti “tics”):
set xtics <start>,<incr>,<end>
set ytics <start>,<incr>,<end>
Il significato di questi comandi e’ molto semplice. Ad esempio:
set xtics -12,1,0
traccia i tics sull’asse x a partire da −12 (<start>), con un incremento di 1
(<incr>) e arrivando fino a 0 (<end>).
Allora, se non e’ gia’ presente sullo schermo, richiamate la finestra dei comandi per gnuplot clickando sul bottone “edit gnuplot command file” e modificate
l’input per gnuplot introducendo le istruzioni per selezionare esplicitamente il
rettangolo del piano cartesiano che ci interessa:
reset
set terminal x11
set output
set
set
set
set
xrange [-12:-8]
xtics -12,-1,-8
yrange [0:2e-7]
ytics 0,1e-7,2e-7
unset key
plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):($4) with lines linetype 3
Clickate su “replot now” e voila’. Come prima, adesso si vede chiaramente che:
lim
LOG C0→−∞
H = lim H = 1.0 × 10−7
C0→0
293. Per imparare una funzionalita’ molto utile di gnuplot, vediamo ora
come potremmo plottare non la concentrazione di ioni idrogeno, ma il pH della
soluzione in funzione di LOG_C0. Nella specifica delle colonne da plottare si
possono eseguire anche delle trasformazioni matematiche sui valori numerici.
Abbiamo visto che la quarta colonna del file dei dati prodotti da icee e’ quella
della concentrazione di equilibrio degli ioni idronio. Il pH e’ definito come:
172
pH
=
− log H +
Quindi, per avere un plot del pH vs LOG_C0, basterebbe fare il logaritmo decimale negativo dei valori contenuti nella quarta colonna di dati. Cio’ si puo’
ottenere molto semplicemente con gnuplot: basta modificare il comando “plot”
nel modo seguente:
plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) ...
Il frammento “...(-log10($4))...” dice a gnuplot di prendere come ordinate
del grafico i logaritmi negativi dei valori della quarta colonna (come per icee,
anche per gnuplot il logaritmo decimale si scrive log10).
In generale, nella specifica “...using ...” si possono richiedere trasformazioni
arbitrarie da applicare alle colonne specificate. Ad esempio:
...using ($1-3):($4/2.5) ...
...using (sqrt($2)):(1.23*sin($5)) ...
...using ($1):($5**3) ...
(sqrt() vuol dire radice quadrata, come per icee, mentre, diversamente da
icee, l’elevamento a potenza per gnuplot e’ indicato con il doppio asterisco
“**” come nel linguaggio Fortran; sin() vuol dire seno, ma per il nostro corso
questa funzione non vi servira’ mai, credo)
Allora, modificate l’input per gnuplot nel modo seguente:
reset
set terminal x11
set output
#
#
#
#
set
set
set
set
xrange [-12:-8]
xtics -12,-1,-8
yrange [0:2e-7]
ytics 0,1e-7,2e-7
unset key
plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3
Notate che abbiamo commentato le istruzioni sui ranges, che ora non sono appropriate: commentare invece che cancellare puo’ essere utile perche’ i commenti
possono essere “scommentati” se servono nuovamente.
173
Figura B.8: L’andamento del pH in funzione della concentrazione iniziale di
acido.
Ora clickate su “replot now”: avete il grafico del pH vs LOG_C0. Probabilmente
non si vede bene il tratto orizzontale della curva: scommentate le istruzioni sul
range dell’asse y e modificatele opportunamente cosi’:
reset
set terminal x11
set output
# set xrange [-12:-8]
# set xtics -12,-1,-8
set yrange [2:8]
set ytics 2,1,8
unset key
plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3
Abbiamo scommentato solo le istruzioni relative all’asse y: per l’asse x lasciamo
che gnuplot determini il range opportuno “di testa sua”.
174
Clickate su “replot now”: ora si vede molto meglio (figura B.8). In particolare,
vedete che per valori molto bassi di LOG_C0 il pH tende a 7, come deve essere.
294. A lezione abbiamo visto che il grado di dissociazione di un acido debole
aumenta al diminuire della sua concentrazione iniziale. Ora possiamo verificare
questa affermazione “in pratica”.
Il grado di dissociazione e’ definito cosi’:
α
=
=
[A− ]
◦
CAH
[A− ]
[AH] + [A− ]
I valori di [A− ] sono contenuti nella terza colonna, mentre quelli per [AH] nella
seconda.
Allora, per ottenere un plot del grado di dissociazione in funzione di LOG_C0,
bastera’ dire a gnuplot:
...using ($1):($3/($2+$3)) ...
Notate: nella specifica ...using... non solo si possono operare trasformazioni
arbitrarie su una colonna di dati, ma si possono combinare fra loro arbitrariamente anche piu’ colonne di dati.
Ora: modificate il file di comandi per gnuplot cosi’:
reset
set terminal x11
set output
# set xrange [-12:-8]
# set xtics -12,-1,-8
set yrange [0:1.1]
# set ytics 2,1,8
unset key
plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):($3/($2+$3)) with lines linetype 3
(Ricordatevi di modificare anche il range sull’asse y)
Clickate “replot now” e avete il plot del grado di dissociazione in funzione di
LOG_C0 (figura B.9).
Il grado di dissociazione e’ prossimo a zero quando la concentrazione iniziale dell’acido debole e’ 0.1 (LOG_C0= −1) mentre aumenta rapidamente e si appiattisce
su un asintoto di valore 1 man mano che la concentrazione iniziale dell’acido
debole diminuisce.
Interessante, no?
295. Ora rifacciamo in modo piu’ efficiente l’analisi sulla validita’ del calcolo
approssimato del pH per questa soluzione che avevamo fatto al punto 270.
Questa e’ l’occasione per vedere come si possono definire e plottare delle funzioni
arbitrarie con gnuplot.
175
Figura B.9: L’andamento del grado di dissociazione in funzione della
concentrazione iniziale di acido.
176
L’uso dell’approssimazione dell’equilibrio prevalente e del fatto che KA → 0
permette di ottenere, per la concentrazione degli ioni idronio in questa soluzione,
la seguente espressione:
p
◦
CAH
KA
=
=
− log
H+
Possiamo riscrivere questa espressione in termini di pH prendendo il logaritmo
negativo di ambo i membri:
pH
p
◦
CAH
KA
Ora vogliamo plottare sullo stesso grafico in funzione di LOG_C0 sia il pH calcolato in modo “esatto” da icee che quello calcolato in modo approssimato con
la formula su scritta.
Cominciamo a vedere come scrivere la formula approssimata per gnuplot.
gnuplot consente di definire variabili e funzioni arbitrarie nel suo file di input.
La sintassi e’ estremamente intuitiva. Ad esempio, posso definire la variabile
KA ed assegnarle il valore 1 × 10−5 scrivendo semplicemente:
KA=1.0e-5
(Le regole per i nomi delle variabili in gnuplot sono le stesse viste per i nomi
delle variabili in icee al punto 245)
Oltre a semplici variabili, gnuplot consente di definire delle funzioni. Ad
esempio, per definire la funzione:
◦
pH (CAH
)
= − log
basta semplicemente scrivere:
p
◦
CAH
KA
pH(C0)=-log10(sqrt(C0*KA))
Notate che questo C0 non ha nulla a che fare con il C0 che avevamo definito per
icee.
In realta’, per fare il confronto con i valori “esatti”, dobbiamo scrivere la funzione
che lega il pH approssimato non alla concentrazione iniziale di acido debole, ma
al suo logaritmo. Quindi l’espressione piu’ appropriata e’:
pH(LOG_C0)=-log10(sqrt((10**LOG_C0)*KA))
Anche qui, LOG_C0 non c’entra nulla con il LOG_C0 che avevamo definito in icee:
semplicemente usiamo lo stesso nome perche’ il significato delle due variabili e’
esattamente lo stesso.
177
In definitiva, la formula approssimata da plottare viene definita in gnuplot con
queste due righe:
KA=1.0e-5
pH(LOG_C0)=-log10(sqrt((10**LOG_C0)*KA))
Dobbiamo aggiungere ancora qualcosa. Per maggiore chiarezza, la variabile indipendente della funzione pH l’abbiamo chiamata LOG_C0. Per la definizione
delle funzioni gnuplot assume che la variabile indipendente si chiami “x”. Invece di x si puo’ usare un nome qualsiasi (come abbiamo fatto), pero’ bisogna
dire a gnuplot che si usa quel nome invece di “x”. Questo si fa con il comando:
set dummy LOG_C0
che informa gnuplot del fatto che la “dummy variable” (si potrebbe tradurre
con “variabile fittizia”, in pratica e’ la variabile indipendente di una funzione)
non e’ piu’ x ma LOG_C0.
Resta un’ultima cosa: come si dice a gnuplot che deve plottare sia i dati prodotti
da icee che la funzione appena definita?
gnuplot puo’ produrre un numero qualsiasi di plots sullo stesso grafico.
Per il primo si usa il comando “plot” che abbiamo gia’ visto, mentre per tutti i
successivi si usa il comando “replot”, che e’ identico al comando “plot”, salvo
che il suo nome dice a gnuplot che deve plottare su un grafico che contiene gia’
altri plots.
Quindi, nel nostro caso, dovremo scrivere:
plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3
replot pH(LOG_C0) with lines linetype 2
Notate che, per distingure meglio i due plots, plottiamo la funzione pH(LOG_C0)
con una linea continua di tipo diverso da quella usata per i dati (linetype 2).
Ora potete introdurre le modifiche nella finestra del file di comandi per gnuplot:
reset
set terminal x11
set output
KA=1.e-5
pH(LOG_C0)=-log10(sqrt((10**LOG_C0)*KA))
set dummy LOG_C0
# set xrange [-12:-8]
# set xtics -12,-1,-8
set yrange [2:8]
# set ytics 2,1,8
unset key
plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3
replot pH(LOG_C0) with lines linetype 2
Clickate “replot now” e dovreste ottenere il grafico mostrato nella figura B.4.
178
Come gia’ visto, il pH “esatto” cresce al diminuire della concentrazione iniziale
dell’acido, ma poi si appiattisce su un asintoto a pH = 7 (il pH non puo’
diventare basico: in fin dei conti, stiamo aggiungendo un acido all’acqua!)
◦
La formula approssimata e’ una retta nel piano pH vs log CAH
:
pH
pH
p
◦
= − log CAH
KA
1
1
◦
− log KA
= − log CAH
2
2
che e’ del tipo:
−
1
X +Q
2
Y
=
Y
= pH
X
◦
= log CAH
1
= − log KA
2
ponendo:
Q
◦
Potete vedere che l’approssimazione regge fino a circa CAH
= 1 × 10−4 . Poi,
−9
◦
−4
nell’intervallo 1 × 10 < CAH < 1 × 10 , il pH “esatto” e’ maggiore di quello
◦
approssimato. Per CAH
< 1 × 10−9 , il pH“esatto” e’ praticamente costante (=
7) mentre quello calcolato in modo approssimato continua a crescere linearmente
diventando paradossalmente basico!
296. Terminiamo questo (lunghissimo) esempio presentando altre tre funzionalita’ di gnuplot che possono tornare utili.
gnuplot consente di tracciare delle frecce (con o senza punta) e posizionare delle
stringhe di testo sul grafico. Anche la sintassi di questi comandi e’ estremamente
intuitiva.
Per tracciare una freccia (“arrow”) si deve specificare il punto di partenza e
quello di arrivo. Il comando:
set arrow 1 from -3.5,2 to -3.5,8 nohead
definisce la freccia numero 1 che parte dal punto di coordinate (−3.5, 2) e arriva
al punto di coordinate (−3.5, 8). La specifica “nohead” richiede che non venga
disegnata la punta della freccia (quindi, in questo caso, si ottiene un semplice
segmento). Se si vuole la punta, basta omettere la keyword “nohead”.
Frecce successive devono avere un numero di identificazione diverso. Cosi’, se
volessimo definire una seconda freccia, scriveremmo:
set arrow 2 from -11,5 to -2,5
e cosi’ via.
179
Siccome gnuplot ricorda tutte le frecce tracciate, e’ buona norma in un file di
comandi azzerare la memoria delle frecce prima di definire quelle che si vogliono.
Cio’ si realizza con il comando “unset arrow”. Quindi, il frammento relativo
alle due frecce viste sopra sarebbe:
unset arrow
set arrow 1 from -3.5,2 to -3.5,8 nohead
set arrow 2 from -11,5 to -2,5
Il posizionamento di stringhe di testo sul grafico e’ analogo. Il comando da usare
e’ “set label ...”. Ad esempio:
set label 1 "This is a label" at -6,7 left
definisce la label numero 1, il cui testo e’ “This is a label” che verra’ posizionata sul grafico in corrispondenza al punto di coordinate (−6, 7), appoggiata a
sinistra.
Anche per le stringhe vale quanto detto per le frecce: conviene sempre azzerare
la memoria di gnuplot prima di definire le nostre stringhe. Cio’ si fa con il
comando “unset label”.
Tanto per prendere pratica, proviamo ad abbellire il grafico che abbiamo prodotto indicando “chi e’ chi”.
Quando si vogliono tracciare frecce o posizionare stringhe su un grafico di
gnuplot, e’ utile attivare una griglia, che consente di capire meglio le coordinate da utilizzare. Cio’ si ottiene con il comando “set grid”. (Come vi
sarete gia’ accorti, il terminale “x11” e alcuni altri mostra in basso a sinistra le
coordinate del punto dove si trova il pointer: quindi, in questo caso, non serve
tracciare alcuna griglia; ma facciamolo lo stesso, per prendere pratica)
Allora, inserite il comando “set grid” nel file dei comandi di gnuplot:
reset
set terminal x11
set output
KA=1.e-5
pH(LOG_C0)=-log10(sqrt((10**LOG_C0)*KA))
set dummy LOG_C0
# set xrange [-12:-8]
# set xtics -12,-1,-8
set yrange [2:8]
# set ytics 2,1,8
set grid
unset key
plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3
replot pH(LOG_C0) with lines linetype 2
e ritracciate il grafico.
180
Ora vogliamo posizionare la stringa “calcolo esatto” con una freccia che indichi
il plot relativo al calcolo esatto e la stringa “calcolo approssimato” con una
freccia che indichi il plot relativo al calcolo approssimato.
Avendo la griglia siamo facilitati. Ad esempio, possiamo posizionare la prima
stringa al punto di coordinate (−4, 7), appoggiandola a sinistra e la relativa
freccia possiamo tracciarla dal punto (−4.1, 6.9) al punto (−5.8, 6.1). La seconda
stringa possiamo appoggiarla a destra contro il punto di coordinate (−8, 5)
tracciando la relativa freccia da (−7.9, 5.1) a (−7, 5.9).
I corrispondenti comandi per gnuplot sono:
unset label
set label 1 "calcolo esatto" at -4,7 left
set label 2 "calcolo approssimato" at -8,5 right
unset arrow
set arrow 1 from -4.1,6.9 to -5.8,6.1
set arrow 2 from -7.9,5.1 to -7,5.9
Inseriteli nella finestra dei comandi per gnuplot:
reset
set terminal x11
set output
KA=1.e-5
pH(LOG_C0)=-log10(sqrt((10**LOG_C0)*KA))
set dummy LOG_C0
# set xrange [-12:-8]
# set xtics -12,-1,-8
set yrange [2:8]
# set ytics 2,1,8
unset label
set label 1 "calcolo esatto" at -4,7 left
set label 2 "calcolo approssimato" at -8,5 right
unset arrow
set arrow 1 from -4.1,6.9 to -5.8,6.1
set arrow 2 from -7.9,5.1 to -7,5.9
set grid
unset key
plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3
replot pH(LOG_C0) with lines linetype 2
e ritracciate il grafico. Se siete soddisfatti, commentate il comando “set grid”,
che ora non serve piu’, e ritracciate il grafico.
181
297. Infine, vediamo come si puo’ dire a gnuplot di indicare le grandezze
rappresentate sui due assi cartesiani.
Nel nostro caso, stiamo riportando LOG_C0 sull’asse x e il pH sull’asse y. Le
labels sugli assi si specificano con i seguenti due comandi:
set xlabel "LOG_C0"
set ylabel "pH"
Finite di inserire questi due comandi. Il file completo di comandi per gnuplot
relativo a questo esempio e’:
reset
set terminal x11
set output
KA=1.e-5
pH(LOG_C0)=-log10(sqrt((10**LOG_C0)*KA))
set dummy LOG_C0
# set xrange [-12:-8]
# set xtics -12,-1,-8
set yrange [2:8]
# set ytics 2,1,8
unset label
set label 1 "calcolo esatto" at -4,7 left
set label 2 "calcolo approssimato" at -8,5 right
unset arrow
set arrow 1 from -4.1,6.9 to -5.8,6.1
set arrow 2 from -7.9,5.1 to -7,5.9
set xlabel "LOG_C0"
set ylabel "pH"
# set grid
unset key
plot ’/tmp/icee-4048.out’ using ($1):(-log10($4)) with lines linetype 3
replot pH(LOG_C0) with lines linetype 2
Il grafico dovrebbe essere come quello mostrato nella figura B.10.
182
Figura B.10: Il grafico con gli “abbellimenti”.
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Appunti per il corso di di Chimica Analitica 1 con Laboratorio