Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, CN/BO
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CANTIERI SOCIALI
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Ognuno è clandestino
IL
PAESE della rivoluzione e della
cittadinanza repubblicana ha
rotto l’argine delle deportazioni di massa e la destra xenofoba conquista seggi nel parlamento della tranquilla socialdemocrazia scandinava. Intanto, in tante città italiane prende forma il secondo Clandestino Day, la giornata dell’orgoglio migrante che Carta ha messo a disposizione della rete
di solidarietà e antirazzismo che continua a pulsare nelle
strade del paese di Bossi e La Russa.
L’Almanacco che state leggendo prende le mosse dal rapporto di Social Watch, un prezioso
documento e una miniera di informazioni
sull’Europa dei movimenti migratori. Non
è un caso: quest’anno l’«anomalia italiana»
ha smesso di essere tale, o almeno lo è un
po’ di meno, e ha contagiato altri paesi.
Quello che pareva di volta in volta un
rigurgito pittoresco o doloroso di razzismo, una sgrammaticatura maleducata e contro la storia, sta facendo scuola. Gestire la crisi,
per troppi paesi, sta diventando
innalzare barriere. I paesi fondatori dell’Ue si illudono di poter
conservare diritti e garanzie innalzando
muri lungo i confini e costruendo nuovi nemici. Quelli usciti dall’orbita del socialismo
reale innescano guerre tra poveri che
hanno il solo effetto di rinforzare chi sta al
potere. E invece – come dimostrano questi testi densi di dati, leggi e progetti - l’Europa dovrebbe fare tesoro dei flussi che la attraversano, delle nuove «culture» che la arricchiscono, per trovare un ruolo nel caos della crisi economica
planetaria e della scomposizione degli equilibri geopolitici.
Le pagine che seguono sono appunti di viaggio nel continente in cerca di se stesso. Se la cittadinanza è in crisi, bisogna cogliere l’arrivo dei cittadini del mondo nella Vecchia
Europa come un evento profetico: è l’occasione per sperimentare i diritti del futuro, per considerarsi tutti un po’
clandestini nell’epoca della crisi permanente, per inventare forme di convivenza e scambio.
Un’altra cosa emerge dalle analisi che raccogliamo in
questo Almanacco: migrare significa già cambiare il
mondo. Spostarsi nell’era dell’aereo e della rete telematica vuol dire cambiare sia la «cultura» del luogo di arrivo che
quella del luogo di partenza, come dicono gli autori che sottolineano l’autonomia dei movimenti migranti e il loro eccedere le esigenze della divisione del lavoro globale, ma anche gli studiosi che si concentrano più sugli aspetti antropologici e culturali. Chi parte è sospeso nel tempo e nello
spazio, condizione che trova una corrispondenza oggettiva anche nel tentativo fallimentare di codificare lo status
giuridico dei migranti, di incasellare in qualche modo queste vite sospese e precarie cui sono richieste capacità di autoattivazione e volontà di sottomissione, autonomia e dipendenza, creatività individuale e annichilimento personale.
Mai come adesso, le parole con cui si chiudeva l’appello per il Clandestino Day suonano
poco retoriche: «Ognuno è clandestino, nessuno è clandestino». Nel loro piccolo, i tanti
eventi del C-Day [cortei, cene, tornei di calcetto, dibattiti, proiezioni…] si occupano
proprio di questo: cercano di innovare i
linguaggi e di confondere le carte in tavola. Le centinaia di organizzazioni
sociali e individui che hanno aderito alla giornata del 24 settembre provengono da culture, pratiche ed esperienze differenti.
Ma hanno qualcosa di sostanziale
in comune: gettano ponti tra l’importante
patrimonio di lotte del passato e quello tutto da costruire del futuro. Affondano le mani nella difficile situazione di questi tempi
senza altro schema che la difesa della dignità
e la costruzione di nuove forme di libertà e uguaglianza.
Saremmo i primi a contraddire questo spirito se non ci
mettessimo in discussione per primi. Carta si trova in una
situazione gravissima. Non abbiamo la pretesa di considerarci indispensabili. Ma in queste settimane di crescente attenzione verso il 24 settembre ci avete fatto comprendere
che questo strano mezzo di comunicazione sociale ha ancora qualche funzione da svolgere. Per questo, vi chiediamo di sottoscrivere in gruppo alla nostra campagna per la
bonifica della palude economica in cui siamo invischiati
[vedi a pagina 2]: versate cento euro [o più] e contribuite alla diffusione dell’informazione clandestina.
sos
TENGO
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CARTA 31 ANNO XII 24 - 30 SETTEMBRE 2010
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SEGRETERIA
DI REDAZIONE
tel 06 45495659
fax 06 45496323
[email protected]
ABBONAMENTI
E DIFFUSIONE
tel 06 45495685
SPEDIZIONI
tel 0776 832873
NUMERO 31
Settimanale della
Cooperativa Carta
Presidente
Marco Calabria
Iscrizione al Tribunale
di Roma
Reg. Stampa n.548/99
del 22/11/1999
Direttore responsabile
Enzo Mangini
Via Scalo
di San Lorenzo, 67.
00185 – ROMA
Distribuzione
in edicola: Reds
Rete Europea
distribuzione e servizi
Roma - via bastioni
Michelangelo
5/A tel.0639745482
fax 0639762130
Stampa:
Poligrafici il Borgo
S.p.A
via del Litografo, 6
40138 Bologna
Tel. 051.6034001
Chiuso in tipografia
il 20 settembre 2010
La testata fruisce dei
contributi statali diretti
di cui alla legge
7 agosto 1990, n. 250.
Numeri arretrati:
€ 3,00
con ccp n. 16972044
intestato a:
Carta soc. coop.
via Scalo
di San Lorenzo, 67
00185 - Roma
[email protected]
REDAZIONE
Enzo Mangini
Marco Calabria
Gianluca Carmosino
Rosa Mordenti
Giuliano Santoro
RAZZISMI
8 Se scoppia la guerra tra égalité
e fraternité [INTERVISTA A MIGUEL BENASAYAG]
10 Il nuovo razzismo è già vecchio
[DI ANNAMARIA RIVERA]
AMMINISTRAZIONE
Gabriele Savona
CITTADINI
16 Il doppio senso dell’Europa migrante
[DI ROBERTO BISSIO]
17 Un’analisi molto critica [DI GIULIO SENSI]
18 Il Mali estremo delle riammissioni
[DI MIGREUROP]
22 La «triplice vittoria» dopo l’11/09
[DI PETER VERHAEGHE]
26 I movimenti migratori,
una questione di genere [DI AMADINE BACH]
30 Chi rimette i peccati
della globalizzazione [DI LUISA VOGIAZIDES]
36 Le tante facce del nuovo razzismo
[DI LUCIANO SCAGLIOTTI]
40 L’Onu raccomanda, L’Ue ignora [DI RENÉ
PLATEVOET E NICOLA FLAMIGNI]
44 I migranti giovani
non hanno confini [DI MARCO PEROLINI]
48 L’arcipelago Cie
MIGRANTI
52 Un nuovo welfare in cerca
di cittadinanza [DI GRAZIA NALETTO]
54 Sciopero nei «Kalifoo round»
[DI MIMMA D’AMICO]
55 Cosa resta di Rosarno
[DI ANTONIO RUSSO]
56 I giornali si scrivono
in questura [DI LORENZO GUADAGNUCCI]
58 Alcuni buoni motivi per studiare
le migrazioni [DI FRANCO PITTAU]
60 Quel razzismo istituzionale antirom
[DI GIUSY D’ALCONZO]
62 I migranti si fermano in carcere
[DI DANIELA RONCO]
64 Ecco perché rifiuto
la società multiculturale [DI KARIM METREF]
66 Accogliere rifugiati [DI NEVA COCCHI]
68 Una nuova idea di cittadinanza
[DI FILIPPO MIRAGLIA]
CLANDESTINO DAY
72 Il 24 settembre è arrivato
81 Tra Rosarno e Pomigliano
[DI SVEVA HAERTTER COCCHI]
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PROGETTO GRAFICO
E IMPAGINAZIONE
Lorenzo Sansonetti
Antonella Tancredi
Nel 1995 un gruppo di organizzazioni della società civile
fondò il Social Watch [Osservatorio Sociale], per promuovere politiche che trasformassero in realtà le promesse dell’Onu e per ricordare ai governi gli impegni
presi e monitorarne in modo
indipendente l’applicazione.
Social Watch [Sw] oggi è una
rete di 400 ong attive in oltre 60 paesi.
Il rapporto annuale Sw è un
monitoraggio sugli impegni
assunti a livello internazionale per la lotta alla povertà,
l’esclusione sociale e l’equità di genere. Rappresenta una delle analisi sullo sviluppo sociale più riconosciute al mondo ed è spesso considerato il «rapporto ombra»
della società civile rispetto a
quello dell’Undp [il Programma per lo Sviluppo dell’Onu]. La coalizione italiana è
composta da 10 organizzazioni nazionali, con ambiti
operativi diversi e la condivisione di una piattaforma e di
finalità comuni. Fanno parte
di Sw Italia: Acli, Amnesty,
Arci, Crbm, Fcre, Lunaria,
ManiTese, Sbilanciamoci,
Ucodep-Oxfam Italia, Wwf.
HANNO
COLLABORATO
Matteo Micalella
Sarah Di Nella
Mimma D’Amico
Daniela Ronco
Grazia Naletto
Karim Metref
Neva Cocchi
Sveva Haertter
Filippo Miraglia
Stefano Galieni
Antonio Russo
Giusy D’Alconzo
Roberto Bissio
Annamaria Rivera
Giulio Sensi
Migreurop
Peter Verhaeghe
Amadine Bach
Franco Pittau
Luisa Vogiazides
Luciano Scagliotti
René Plaetevoet
Nicola Flamigni
Marco Perolini
IN COPERTINA
foto di Sara Munari
www.saramunari.it
Questa pubblicazione
è stata realizzata
con il contributo finanziario dell’Unione
Europea, la responsabilità del contenuto
di questo rapporto è
da imputare unicamente agli autori e
non riflette in alcun
modo le opinioni ufficiali della Commissione Europea- EuropeAid
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Migranti, cittadini d’Europa
“H
“
«Viviamo in un paese così addormentato che solo coloro a cui la legge nega tutti i diritti, persino il diritto alla salute,
e il diritto all’istruzione dei propri figli, infine il diritto di esistere, finiscono per restituire agli italiani una dignità che
tutti sembriamo aver dimenticato». [Dall’appello di Banca Etica del gennaio 2010, dopo i fatti di Rosarno]
DI JASON NARDI *
O UN AMICO che vive in Italia da
quindici anni. È arrivato dopo esser scappato dal Kosovo in
guerra. Ha vissuto per anni in un campo alla periferia di Firenze ed è riuscito a portare tutta la famiglia, regolarizzandola nel tempo. Ha lavorato in una cooperativa e i suoi figli, oggi tutti maggiorenni, lavorano regolarmente. Dopo anni di tentativi e delusioni è riuscito a ottenere una casa popolare dal comune, seguendo le graduatorie. Poi per motivi di salute ha perso il lavoro e da pochi
giorni gli è scaduto il permesso di soggiorno, valido sei mesi. Se non riesce a ottenere il ricongiungimento familiare al contrario [cioè sulla base del lavoro dei figli], rischia di perdere tutto e di dover rientrare
in un paese dove non ha più nulla. Perché
la casa in Kosovo nel frattempo gliela hanno bruciata e il terreno è stato «venduto»
[posso testimoniarlo]. Perché dopo tutto
questo tempo il mio amico non è considerato cittadino italiano a tutti gli effetti?
Quando si smette di essere stranieri in un
paese e in un continente che di stranieri,
emigranti, ne ha prodotti milioni? Dov’è
l’Europa promessa e promossa come campione dei diritti e dell’idea di cittadinanza?
In Italia, non manca giorno che episodi di aperto razzismo non si manifestino nelle nostre città, ricordando altre
epoche tristi. A partire dai roghi dei campi rom alla sopraffazione mafiosa nei campi di Rosarno. E poi c’è il razzismo
istituzionale: dai limiti di alunni stranieri a scuola, all’imposizione dei Cie, dove il dibattito politico è sul dove costruirli e non se debbano esistere. Come se si trattasse di discariche che non vogliamo nel nostro cortile. Tra i succes-
si del governo, viene proclamata la riduzione degli sbarchi
di «clandestini», grazie ad accordi come quello con la Libia,
che i diritti umani li ignora. Come se si trattasse di merce.
La dimensione europea, però, spesso sfugge: non si conoscono le situazioni negli altri paesi dell’Ue. Sia le politiche interne sia le politiche di «difesa» della Fortezza Europa e di cooperazione finalizzata a tener lontano [dai nostri
occhi] chi scappa da paesi senza diritti e senza futuro. Come anche le politiche di «aiuto allo sviluppo», a cui pochi
continuano a credere, stando ai mezzi e alle risorse ridicole impegnate, e che hanno bisogno di essere ripensate.
I migranti hanno oggi un ruolo di protagonismo invisibile. Sono di fatto, «attori di sviluppo» nei nostri e nei loro
paesi, come abbiamo cercato di dimostrare nel primo rapporto europeo della rete Social Watch, un’osservatorio di organizzazioni della società civile internazionale sui diritti sociali, economici e culturali che ogni anno fotografa la situazione in
oltre sessanta paesi. Il rapporto guarda al
ruolo attivo di chi riesce a contribuire al benessere sociale e a quello dei propri familiari [attraverso le rimesse].
Come coalizione italiana del Social Watch, abbiamo voluto fare un’operazione anomala, pubblicando estratti del rapporto europeo per diffonderli oltre gli «addetti ai lavori». Ed è venuto naturale farlo con Carta, che di questi temi è un attenta osservatrice critica. Alla prima parte si è quindi aggiunta una seconda, sul nostro paese,
scritta da chi su questi temi nelle organizzazioni che aderiscono al Social Watch e in altre lavora tutti i giorni, insieme alla redazione di Carta [che ringraziamo
per l’accoglienza e la perseveranza]. Punti di vista e temi diversi, campagne e iniziative, per alimentare la discussione,
che ha bisogno di nuove e più voci. Forti e documentate. Per
verificare e denunciare, ma anche per agire.
* coordinatore della coalizione italiana Social
Watch, www.socialwatch.it, www.socialwatch.eu,
www.socialwatch.org; [email protected]
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REPORTAGE DI DAVIDE FALCIONI
Il piano
di Alemanno
DUE ANALISTI E STUDIOSI
DEL RAZZISMO EUROPEO
RACCONTANO STRATEGIE E OBIETTIVI
DELLA DISCRIMINAZIONE SUI MIGRANTI
E I ROM. CRESCE UN APARTHEID
MULTIPLO, DOVE ALCUNI GRUPPI
DI PERSONE NON HANNO CITTADINANZA
Le foto di queste pagine sono state
scattate da Davide Falcioni durante i
dieci mesi di sgombero del campo
rom «Casilino 900», a Roma, avvenuto
tra l’aprile del 2009 e il febbraio di
quest’anno. Era il più grande insediamento abusivo d’Europa – ci vivevano
almeno 700 persone – ed è stato
sgomberato dal sindaco Alemanno,
che ha costruito sull’«evento» una
grande campagna mediatica. Contro
il cosiddetto «Piano nomadi» [!] della
giunta Alemanno si è scagliata anche
Amnesty. Recentemente, l’associazione «21 luglio» ha esaminato gli effetti dello sgombero sulla vita dei
bambini: su un totale di 247 minori in
età scolare che frequentavano regolarmente le scuole prima della chiusura del campo, è emerso che ben 37
hanno perso l’anno e più di 70 hanno
interrotto la frequenza per un periodo
non inferiore a due mesi. «Tali dati –
ha spiegato l’associazione – contraddicono le rassicurazioni dell’amministrazione comunale che, prima dello
sgombero, aveva offerto ampie garanzie sulla continuità didattica dei
minori residenti nel Casilino 900».
Inoltre l’associazione ha denunciato
la «grave violazione del diritto allo studio sancito dalla Convenzione internazionale di New York e da altri accordi internazionali sui diritti dell’Infanzia». Dal lavoro di documentazione
quotidiana e solidale di Davide è nato
anche un dvd, «Me sem rom» [«Io sono rom» in romanì] a cui hanno lavorato anche Ermelinda Coccia e Andrea
Cottini. Un’idea nata nella casa di Roma dove i tre abitavano insieme, a
500 metri di distanza dal «Casilino
900». Le proiezioni sono già numerose solo grazie al passaparola. È un dvd
autoprodotto: per riceverlo svrivete a
[email protected], ma presto lo troverete anche nella bottega di Carta
[[email protected]].
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RAZZISMI
Se scoppia la guerra
tra égalité e fraternité
LA STRATEGIA DI SARKOZY SUI ROM È DETTATA DAGLI IMPERATIVI NEOLIBERISTI:
PERFORMANCE, FLESSIBILITÀ, MOBILITÀ. RICHIEDONO DISCIPLINA, SEPARAZIONE
E CONTROLLO DELLE POPOLAZIONI. UN PROCESSO CHE RIGUARDA L’INTERA UE
INTERVISTA A MIGUEL BENASAYAG DI SARAH DI NELLA
N
ELL’ERA DI NICOLAS SARKOZY la Francia ha sposato apertamente il razzismo di Stato, creando
categorie di «sub-cittadini» e rendendo mobili i confini della cittadinanza. Le deportazioni di rom
iniziate nel cuore dell’estate sono tuttora in corso.
Il filosofo e psicanalista franco-argentino Miguel Benasayag, autore di «Resistere è creare» e «L’epoca delle passioni tristi», impegnato con la «Rete educazione senza frontiere» contro le espulsioni delle famiglie
di sans papiers con bambini scolarizzati in Francia,
parla di «neopetainismo». «Si sta per stabilire un regime di apartheid multiplo – spiega – basato su categorie diverse di cittadini». Un processo che non riguarda solo la Francia, ma l’intera Unione europea.
Perché Sarkozy si scaglia contro i rom?
Hanno voluto dare un segnale forte e a basso costo.
Non solo contro i rom: si è parlato di togliere la cittadinanza anche a persone che avessero, ad esempio,
rapporti poligami. Prendere di mira una popolazione è gravissimo ma è anche stupido. Quando deporta i rom, Sarkozy non può non evocare il petainismo.
Già prima dell’ormai famosa circolare del 5 agosto,
che chiedeva ai prefetti di sgomberare i campi rom,
Sarkozy aveva posto le basi di questa politica di
esclusione dalla cittadinanza di alcune categorie di
persone...
Si è compiuto un passo in più verso l’accettazione dell’apartheid. La Francia non è di tutti: c’è la società e
poi ci sono i «tollerati». La figura simbolo di questi ultimi sono i rom. Il governo non si aspettava la forte
reazione che invece c’è stata, anche perché c’è un settore molto ampio di popolazione che accetta, di fatto, l’apartheid.
Perché il consenso atteso non c’è stato? Non è la prima volta che i rom vengono presi di mira. Basta pen-
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sare all’Italia…
Per diversi motivi. Nessun paese
europeo è cosi disarticolato, nei
suoi legami sociali, quanto l’Italia, campo di sperimentazione
ideale del neoliberismo totale. È
anche per questo che la capacità
di reazione del corpo sociale italiano è incredibilmente bassa. La
Francia invece è l’unico paese europeo dove la lotta e la solidarietà
con gli stranieri va avanti, c’è una
reattività forte dell’opinione pubblica e continua a pesare il ruolo
degli intellettuali, che non esiste
più in Italia e negli altri paesi europei.
Si è evidenziato un vuoto di potere: le istituzioni europee non
riescono a impedire ciò che riconoscono come inaccettabile.
È un problema attuale e complesso: quale sarà il rapporto tra le
organizzazioni di base locali e le
istituzioni europee? I centri di potere negli ultimi quindici anni sono diventati meno politici e più
economici. Di fronte al concentramento di poteri burocratici, in
Europa non si sa come rapportarsi a un potere europeo. Ma in
Francia esistono ancora livelli di
organizzazione intermediari, e il
protagonismo sociale permette
ancora di resistere alla trappola
dell’individualizzazione. Il grande pericolo è la dissoluzione di
tutti i tessuti intermediari, cioè il
trovarsi con delle società di individui serializzati che hanno di
fronte delle macro-istituzioni, o
delle mafie. È un po’ la situazione dell’Italia.
Francia e Italia però si trovano
ora sulla stessa barca, alleati.
Il sarkozysmo ha lo stesso obiettivo del berlusconismo: la dissoluzione dei contropoteri perché i
mercati dettino legge. Da questo
punto di vista, la discriminazione dei rom mira a disciplinare la
popolazione e ordinarla in categorie. È del tutto congiunturale
che Italia e Francia siano sulla
stessa barca, perché tutti i paesi
europei partecipano alla stessa
deriva.
Le categorie pericolose aumentano: prima i clandestini, ora i
francesi di origine straniera...
Sarkozy e Berlusconi rischiano di
essere travolti da quello che stanno facendo. Credo che nessuno
auspichi la balcanizzazione del
proprio paese. C’è la crisi economica: creando categorie e pratiche di apartheid, opponendo e dividendo le popolazioni si può
scatenare una forte tensione sociale. Nei momenti di crisi la patina di pacificazione delle società
può saltare.
Qual è l’obiettivo di questa strategia di disintegrazione sociale, sia in Italia che in Francia?
È una strategia guidata dagli imperativi macroeconomici della
performance, della flessibilità,
della mobilità. Richiede discipli-
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RAZZISMI
«LA SFIDA È COSTRUIRE IL COMUNE,
na, separazione e controllo delle
popolazioni, e anche lo scontro
tra culture. Imperativi dispiegati da un neoliberismo spinto.
Ma il modello neoliberista impera già...
Il modello neoliberista per natura non ha limiti. Il regime neoliberista è come il mostro di un
cartone animato dei Beatles, «Yellow submarine»: quando ha divorato tutto, divora se stesso. Nel
neoliberismo le donne e gli uomini sono delle risorse: devono
avere il minor costo possibile. Il
controllo della popolazione vuol
dire anche il controllo sulla vita
delle persone: decidere chi deve
vivere, chi deve essere curato e
protetto, chi invece può essere
esposto ad alcuni pericoli. Ciò
non ha limiti, perché la rivalità
tra le diverse regioni – oramai
non ci sono più Stati – non ha
LA CONSAPEVOLEZZA DI CONDIVIDERE
UNO SPAZIO E UN TEMPO. RIPARTIRE, AD ESEMPIO,
DALLA MANCANZA DI SCUOLE.
DEVIRTUALIZZARE IL PENSIERO»
nessun motivo per fermarsi. Un cinese costerà
sempre meno di un francese, e lavoratori sans papiers
conviene che rimangano senza documenti. I sans papiers sono l’esempio e il laboratorio della popolazione controllata e senza diritti: quello che succede a loro succede, in maniera diversa, a tutti. Le zone di
«non diritto» si sviluppano, come la paura.
Lavori da anni in periferia, con le università popolari. Che aria si respira?
Purtroppo l’atmosfera è pessima. La disintegrazione sociale è drammatica: i figli di seconda, terza,
quarta generazione di immigrati si vivono come se
non facessero più parte di un progetto comune. Basta fare i venticinque minuti di metropolitana che separano il centro di Parigi dalla periferia per trovarsi in un altro mondo, dove si sviluppano ceppi culturali e sociali molto violenti. Il nostro lavoro in periferia, lasciandosi dietro l’ispirazione universalista,
spesso colonialista, è di creare «il comune». La sfida
oggi non è più quella della laicità o della repubblica,
perché per milioni di persone
queste sono parole d’ordine che
vengono vissute come aggressive. C’è una parola sintomatica
che dilaga in periferia, dal rap allo slam: «rispetto». Siamo in uno
scontro, il rispetto è tra due guerrieri, è una pace armata.
La sfida è costruire il comune,
il fatto di condividere uno spazio
e un tempo. Ripartire, ad esempio, dalla mancanza di scuole:
ovvero devirtualizzare il pensiero.
Liberté, égalité, fraternité sembrano non essere più all’ordine
del giorno…
Lo sono sempre, ma in Francia
uguaglianza e fratellanza si scontrano, perché non si capisce come
articolare l’uguaglianza con le reti di fratellanza che esistono.
Questa difficoltà apre le porte a
un comunitarismo aggressivo.
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Il nuovo razzismo
è già vecchio
DI ANNA MARIA RIVERA
C
HI ABITUALMENTE analizza e denuncia le derive
razziste di una società si espone, soprattutto in
Italia, a un rischio consueto: quantunque il suo
pubblico sia per lo più di sinistra – e, non per suo volere, selezionato e ristretto – le sue parole sono spesso archiviate come un’esagerazione isterica o come
una debolezza intellettuale che lo/a indurrebbe a cogliere il «secondario». La strategia, spesso inconscia,
che porta a rimuovere o minimizzare i segni, anche
i più vistosi, del razzismo, mentre essi a mano a mano vanno accumulandosi, e a bollare «come oscurantista chi si ribella contro l’oscurità», per dirla con
Theodor W. Adorno, è parte del problema.
Lo è soprattutto nel nostro paese, dove una sorta di
negazionismo impedisce perfino di concettualizzarlo, di nominarlo e di riconoscerlo, il razzismo. Di conseguenza, neppure a sinistra l’impegno antirazzista
è reputato degno di stare ai primi posti dell’agenda
politica. Meno che mai si è capaci di concepire che
per analizzare il tempo, la società e anche
l’economia presenti – e per progettare il
cambiamento – è d’obbligo affrontare il
nodo del razzismo, attraverso il quale oggi si
manifestano tanto le metamorfosi dello sfruttamento del lavoro – giunte a forme servili o quasi-schiavili – quanto la grave crisi democratica italiana.
Un tale «negazionismo» rimanda ad alcune delle
ragioni che possono spiegare il razzismo italiano dei
nostri giorni. Esso è il frutto di una lunga sedimentazione, ma anche di molti rimossi. Non alludo solo
alla persistenza di un rapporto problematico col passato di emigranti, spesso allontanato come una vergogna da dimenticare, ma anche all’incapacità, tipicamente italiana, di fare i conti con la storia specifica del proprio razzismo: dall’antigiudaismo cattolico all’antisemitismo fascista, dal pregiudizio antimeridionale e antizigano al razzismo coloniale. La società italiana non ha mai condotto un’opera collettiva di elaborazione e di ripulsa di tale passato – dal
quale ha ereditato un repertorio di stereotipi e pregiudizi che permane in forma latente per tornare a
riattivarsi periodicamente –, anzi lo ha dissimulato
o abbellito col mito degli italiani, brava gente.
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Quanto alle ragioni che attengono all’oggi, posso fare solo
qualche cenno fugace. La tendenza a costruire una comunità razzista [secondo l’espressione di
Etienne Balibar] si accentua
quando il senso civico è debole e
le relazioni sociali basate sulla reciprocità e sulla solidarietà si sono inaridite, quando prevale la
cultura dell’individualismo, del
consumismo, dell’egoismo o addirittura del cinismo collettivi,
quando la rivendicazione e il
conflitto sociali non hanno più
lingua e forme in cui esprimersi.
È ciò che accade oggi in Italia, soprattutto nelle aree in cui è forte
l’egemonia politica e culturale
della Lega Nord.
La quale, facendo del razzismo
la propria forma politica peculiare, ha altresì esercitato un’opera
di pedagogia di massa, così da arrivare a influenzare non solo
larghi strati popolari e operai ma
perfino una, sia pur minoritaria,
parte di migranti. Mostrando
che «il razzismo paga» in termini
di consenso elettorale e alzando
progressivamente il tiro delle
sparate [e delle misure] intolleranti e discriminatorie, la Lega
Nord ha contribuito a detabuizzarlo e a banalizzarlo, e nel contempo ha spinto gli alleati e buona parte degli avversari politici a
una corsa affannosa sul suo stesso terreno.
Si potrebbe obiettare che senso civico, senso del pubblico e
dello Stato, saldo possesso di
una cultura collettiva dei diritti e
del conflitto sociale non hanno
impedito alla società francese e ai
suoi governanti di stigmatizzare
e discriminare i discendenti dei
colonizzati e i rom, questi ultimi
oggi prescelti manifestamente
come capro espiatorio, ma da
molto tempo fatti oggetto di trattamento discriminatorio e di allontanamento coatto.
Tuttavia, benché la Francia di
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RAZZISMI
DA DOVE VIENE ILRAZZISMO DEI NOSTRI GIORNI? PERCHÉ, A SINISTRA,
L’IMPEGNO ANTIRAZZISTA NON È REPUTATO DEGNO DI STARE AI PRIMI POSTI
DELL’AGENDA POLITICA? PERCHÉ IN ITALIA LE MANIFESTAZIONI PER I DIRITTI
DEI ROM SONO FALLITE? PICCOLA STORIA IGNOBILE DELLE RIMOZIONI
E DEI PROBLEMI CHE CI HANNO PORTATO FIN QUI.
Sarkozy somigli all’Italia berlusconiana, la reattività pubblica
resta molto alta, al contrario che
in Italia. Basterebbe comparare le
cifre dei partecipanti alla giornata del 4 settembre in difesa dei diritti dei rom: in Francia hanno
manifestato almeno centomila
persone, in ben 140 città; in Italia poche centinaia, in pochissime
città. Ancora un esempio. Nel no-
stro paese può accadere che in soli quattro giorni [nel
settembre 2008] ben sette persone di origine immigrata siano vittime di violenza razzista omicida [l’assassinio di Abdul Guibre a Milano, la strage di sei lavoratori africani a Castel Volturno] senza che questa
spaventosa spirale susciti preoccupazioni e reazioni adeguate. Nessuna rivolta popolare, nessuna
manifestazione nazionale di rilievo, nessuna crisi politica. Anzi, subito dopo l’eccidio, il ministro
degli interni, Maroni, annuncia la costruzione di dieci nuovi lager per migranti e misu-
re per limitare il diritto al ricongiungimento familiare. La manifestazione spontanea di lavoratori immigrati che segue alla strage è violentemente repressa dalla polizia.
E pochi giorni fa, in occasione
della giornata di commemorazione dell’eccidio organizzata da
associazioni antirazziste, che fa il
sindaco di Castel Volturno, un tal
Antonio Scalzone, ignoto ai più
ma ben noto, sembra, a pentiti di
camorra e a procure campane? In
spregio alle conclusioni della magistratura [che ha accertato la natura razzista, mafiosa e terroristica della strage di onesti lavoratori] egli deplora pubblicamente
che si sia voluto onorare «persone che forse non erano innocenti», anzi celebrare «una banda di
criminali», mentre per colpa di
gente come loro «la nostra povera comunità, schiacciata dal peso dell’immigrazione, farà la fine
degli indiani d’America».
Questo esempio sintetizza efficacemente la convergenza mostruosa fra interessi criminali i
più vari, una politica nazionale e
locale per lo più all’insegna del
malaffare, il ricorso costante alla strategia del capro espiatorio –
per deviare l’attenzione dei cittadini e catturare consenso – lo stillicidio di norme discriminatorie e
persecutorie contro i migranti, le
campagne mediatiche allarmistiche e di stampo razzista, infine la
diffusione di un senso comune intollerante, condiviso fra le più diverse classi sociali e orientamenti politici.
Va detto anche che l’articolazione tra lo sfruttamento, spesso
brutale, della forza-lavoro immigrata e la sua stigmatizzazione,
discriminazione, persecuzione è
un paradosso solo apparente: la
clandestinizzazione, lo spettro
dell’espulsione e dell’interna-
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RAZZISMI
IL RAZZISMO IN ITALIA SI MANIFESTA PER LA PRIMA VOLTA
NEL 1991, A SEGUITO DEL SECONDO GRANDE SBARCO DI PROFUGHI ALBANESI
NEL PORTO DI BARI. SARANNO OGGETTO DI UN TRATTAMENTO ALLA CILENA
mento, la privazione di diritti e tutele, l’ostilità popolare, rendendo i migranti più vulnerabili, aggravano e perpetuano la loro condizione di meteci, braccia
da lavoro non «cittadinizzabili».
L’ho scritto più volte: la relativa novità del-
la fase attuale mi sembra sia costituita dalla saldatura fra il razzismo di Stato e una
xenofobia popolare che si esprime nella
forma di un’ostilità diffusa, talvolta attiva,
verso rom e migranti, la quale può arrivare fi-
no alla violenza e al pogrom, all’omicidio e alla strage. A mio parere, il classico circolo vizioso del razzismo – la dialettica fra dimensioni istituzionale, mediatica, popolare – si manifesta per la prima volta in
forma esemplare nel 1991, a seguito del secondo
grande sbarco di profughi albanesi nel porto di Bari,
che saranno oggetto di un trattamento alla cilena.
Da allora a variare saranno solo i capri espiatori,
prescelti in base alle contingenze politiche e alla loro posizione statistica nella scala dell’immigrazione:
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il gruppo preso di mira è solitamente quello al momento più numeroso [«marocchini», albanesi,
«slavi», romeni…] con l’eccezione di «zingari» e «musulmani»,
invarianti per eccellenza.
La saldatura di cui ho detto è
oggi non solo oggettiva, come nel
passato, ma anche soggettiva,
nel senso che sembra essersi determinata una certa sintonia fra
il discorso e l’operato di istituzioni centrali e locali, da una parte,
e dall’altra il senso comune più
diffuso. L’escalation di proposte e
misure legislative anticostituzionali, discriminatorie, perfino
persecutorie – delle quali esemplare è l’ultimo pacchetto-sicurezza – si accompagna, insomma,
con una xenofobia popolare che
non è «guerra fra poveri», come si
dice banalmente, se mai qualcosa di affine a ciò che un tempo,
negli Usa, fu definito «razzismo
dei piccoli bianchi».
La crisi economica, l’impoverimento crescente di strati popolari, lo smantellamento dello stato sociale, la flessibilità e la precarizzazione del lavoro, l’indebolimento della socialità, la mediocrità di una politica mainstream
ridotta a marketing, quindi sempre meno interessata al bene
pubblico, producono senso di incertezza e di insicurezza, frustrazione e risentimento, che si traducono in ricerca del capro espiatorio. In tal senso il razzismo popolare potrebbe essere definito
come una forma di socializzazione del rancore.
Il ritorno al governo della
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RAZZISMI
compagine di destra ha solo accelerato un processo
al quale ha contribuito non poco «la politica della
paura» [è la definizione adottata da Amnesty nel suo
Rapporto del 2007] che ha caratterizzato la breve durata dell’ultimo governo di centrosinistra. Il circolo
vizioso che lega il discorso sicuritario alle pratiche
razziste si è definito e rafforzato nel corso del ciclo
che va dai «Patti per le città sicure» - anticipati da sindaci per lo più democratici, più tardi siglati per iniziativa del ministero dell’interno – al pacchetto-sicurezza, fino al disegno di legge detto anti-rom [Limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza] per il
quale il governo Prodi richiese il voto di fiducia. Tutto questo senza che alcuna norma positiva o migliorativa fosse varata in difesa dei diritti dei migranti,
dei rifugiati, dei rom, senza che alcuno strumento
fosse attuato per contrastare discriminazione e
razzismo.
I dispositivi messi in campo e rodati in quella fase sono, in sostanza, gli stessi che oggi dilagano in forme, certo, più capillari, estreme, brutali.
I sindaci-sceriffi e i più fantasiosi divieti e ordinanze comunali, volti a punire categorie sociali che
abbiano stili di vita difformi da quello dell’italianomedio, in primo luogo migranti e rom; il conferimento ai prefetti di poteri speciali per l’allontanamento coatto dal territorio nazionale di cittadini comunitari, per ragioni di «sicurezza pubblica e decoro urbano»; la reintroduzione del criterio barbarico
della «colpa d’autore» e della punizione collettiva [si
ricordi il consiglio dei ministri, convocato d’urgenza quasi fosse un consiglio di guerra, dopo l’omicidio Reggiani]; la sospensione delle garanzie democratiche per specifiche categorie connotate etnicamente; la pratica istituzionale della distruzione violenta degli insediamenti rom, dell’allontanamento
AMNESTY L’HA DEFINITA POLITICA DELLA PAURA:
HA CARATTERIZZATO L’ULTIMO GOVERNO PRODI, ED È INIZIATA
DAI «PATTI PER LE CITTÀ SICURE» DEI SINDACI «DEMOCRATICI»
o della deportazione dei loro
abitanti.
Non c’è da aspettarsi
un’inversione di tendenza
nel futuro prossimo. Non
solo perché la crisi economica, che le élite e la politica ufficiale non sono in
grado di gestire o addomesticare, è destinata ad
alimentare rancori, ripiegamenti e conflitti orizzontali. Ma anche perché l’uni-
ca strategia di cui esse sono capaci per tentare di restare a galla consiste nell’estremizzare quel
processo di restaurazione reazionaria che ormai sta investendo i
più vari aspetti dell’esistenza
sociale.
A meno che i meteci di ogni colore e provenienza, migranti e nativi, non si facciano soggetti di
conflitti, rivendicazioni, cultura,
prendendo la parola nello spazio
pubblico e stringendo alleanze.
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CIT
TA
DINI
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C I T TA D I N I
FOTO DI ALMASIO CAVICCHIONI
Due anni
senza Abba
UN’INDAGINE SUI MIGRANTI
E SUL NUOVO RAZZISMO IN EUROPA.
PER COMPRENDERE COME MAI
LE DEPORTAZIONI DI SARKOZY
E GLI EGOISMI LOCALI DELLA LEGA
NON SIANO UN FATTO ISOLATO
Per illustrare i tasselli sulla condizione
migrante che compongono il Rapporto di Social Watch che pubblichiamo
nelle pagine successive abbiamo scelto le immagini degli amici di Abba, il
cittadino italiano di origini burkinabè
che venne ucciso nel settembre del
2007 perché accusato di aver rubato
un pacco di biscotti. I tragici fatti che
portano alla morte di Abba hanno
portato la Milano antirazzista a ritrovarsi in piazza e a chiedersi se oggi,
nel centro di una metropoli della Mitteleuropa, sia ancora possibile morire
a causa della discriminazione razziale.
«A 2 anni dall’omicidio di Abba - dicono oggi - il 24 e 25 settembre stiamo
costruendo un grande evento antirazzista che sia reale espressione della
Milano meticcia, che ricordi Abba,
Emil ucciso a 13 anni dall’ennesimo
sgombero di un campo rom da parte
del Comune di Milano, costretto in
una baracca senza allacciamento a
gas, acqua ed elettricità e bruciato a
causa di una fuga di gas, Rachel, bimba di pochi mesi si è vista negare le cure mediche perché era scaduta la tessera sanitaria del padre ed è morta in
un'ospedale Lombardo. Attraverseremo il Clandestino Day facendo della
memoria un'arma, attraverso un
evento che ripudi il razzismo e l'intolleranza, seminandone anticorpi. Un
evento di cultura antirazzista, di sport
cooperativo e solidale, di musica:
quella di tutto il mondo e quella
hiphop, colonna sonora meticcia e ribelle delle generazioni metropolitane. Perché esiste una Milano che ha
mille volti, parla di diritti genereralizzati ed è fatta di mille colori, lingue,
culture, sapori e musiche». Proprio come l’Europa che descriviamo nelle pagine successive.
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Il doppio senso
dell’Europa migrante
UNA VOLTA L’EMIGRAZIONE ERA UN MOVIMENTO A SENSO UNICO. OGGI I MIGRANTI COSTRUISCONO
UN PONTE TRA LUOGO DI ARRIVO E LUOGO DI PARTENZA. PER QUESTO MOTIVO, L’EUROPA HA L’OCCASIONE
DI METTERE IN GIOCO LA SUA IDENTITÀ PLURALE E METICCIA E DIVENTARE UN SOGGETTO GLOBALE
DI ROBERTO BISSIO
Q
UANDO ERO BAMBINO, le parole «Europa» e «migrazione» erano associate: l’Europa era il posto dal
quale venivano i migranti [nel mio paese]! Durante gli anni della scuola elementare alla Deutsche
Schule di Montevideo, nei primi anni sessanta del secolo scorso, molti miei compagni erano ebrei i cui parenti erano scappati alla persecuzione in Europa centrale,
molti dei miei insegnanti erano stati fisicamente e probabilmente anche emozionalmente traumatizzati dalla guerra e molti avevano deciso di rimanere in Sud America. Il negozio all’angolo dove compravo le verdure era
di un galiziano che aveva giurato che non sarebbe tornato in Spagna finché Franco fosse ancora vivo e mia
nonna imprecava in italiano, la lingua di suo padre.
Una decade dopo, negli anni settanta, quando i regimi dittatoriali in tutta l’America Latina mandavano migliaia di persone in esilio forzato per fuggire a prigione,
tortura o «sparizione», l’Europa accolse caldamente
molti di loro, dando a parole astratte come diritti umani e solidarietà un significato molto tangibile. Durante
gli anni ottanta, l’Europa aveva ricostruito e l’America
latina distrutto la sua base industriale in nome della liberalizzazione dell’economia e il flusso migratorio si è
invertito. Un trattato del 1890 tra Uruguay e Spagna,
mai abrogato, che dava ai cittadini di entrambi i paese
il diritto alla residenza nell’altro, si dimostrò alla fine
unilaterale. Quando i miei connazionali cercarono di invocarlo in Spagna, prevalsero le regole di Schengen.
Per la gente di molti paesi del mondo, in particolare
per coloro che vivono in quelli così detti «in via di sviluppo», l’Europa è vista al tempo stesso come fonte di
speranza e causa di disperazione. Speranza per la sua
continua promozione dei valori fondamentali dei diritti umani, della legge e del buongoverno; disperazione
perché troppo spesso le sue azioni smentiscono quegli
stessi valori.
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Questo rapporto europeo del Social Watch si focalizza sul ruolo dell’Europa nel
mondo. L’Europa è un importante attore
globale. Le decisioni prese in Europa hanno
effetti in tutto il mondo. L’Europa è il principale
donatore di aiuti allo sviluppo per i paesi emergenti e lo
sradicamento della povertà è uno degli obiettivi espliciti delle politiche dell’Unione europea. Per il Social
Watch, l’impegno dell’Europa ai valori sociali e al sistema di protezione sociale che si è diffuso in tutto il continente è altrettanto importante. Per chi vive in Europa questi valori sottendono la lotta alla povertà. Per il
resto di noi, danno un modello a cui aspirare.
La migrazione è un’interfaccia umana tra paesi, continenti e civilizzazioni. Milioni di europei sono emigrati negli ultimi due secoli e, come hanno dimostrato test
del Dna, a loro volta i moderni europei sono il risultato
di continue onde migratorie. Nel passato la migrazione
era un movimento a senso unico. Adesso molti migranti restano solo per un periodo breve. Costruiscono un
ponte tra l’Europa e altre parti del mondo e contribuiscono ad entrambe. L’attrazione che esercita l’Europa dovrebbe esser considerata un asset, non una liability. L’Europa ha qualcosa da offrire al mondo. Eppure, il modo in
cui l’Europa si relaziona e tratta i migranti è un indicatore molto importante sulle sue relazioni con il resto del
mondo. L’immigrazione è un’opportunità per l’Europa di
dimostrare i suoi impegni per i diritti umani e per lo sviluppo. La prosperità dell’Europa si è costruita in buona
parte sulla mobilità delle persone.
La migrazione è stata scelta come il tema del primo
rapporto Social Watch europeo, riconoscendone le fondamentali implicazioni per l’Europa, sia interne sia
esterne. L’iniziativa di produrre un rapporto europeo del
Social Watch nasce dal desiderio di rafforzare un’identità europea comune per molte delle coalizioni del Social Watch in Europa e al tempo stesso per affrontare
una questione dalle conseguenze globali.
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Un’analisi
molto critica
DI GIULIO SENSI
I
[MANI TESE]
L RAPPORTO EUROPEO Social Watch dal titolo «Migranti
in Europa come attori di sviluppo, tra speranza e vulnerabilità», prodotto in inglese e scaricabile dal sito del
Social Watch [socialwatch.eu], fotografa e illustra come i
paesi dell’Unione europea fanno fronte al gran numero di
persone che quotidianamente tentano di varcare le sue
frontiere, e indaga le fi nalità delle politiche e la loro coerenza con il raggiungimento degli Obiettivi del millennio
e con la difesa dei diritti umani di cui l’Europa si fa portabandiera sia dentro che fuori i suoi confini.
Il rapporto si domanda: gli immigrati sono soggetti di
sviluppo? E di quale sviluppo in particolare? Da un lato è oramai assodata la tesi che l’immigrazione porti benefi ci sia ai paesi di provenienza che a quelli di destinazione, oltre che ai migranti, tramite soprattutto il
meccanismo delle rimesse che rappresenta una delle
principali voci di fiussi di denaro fra Nord e Sud del
mondo Dall’altra parte appare evidente che oggi le politiche dell’Unione hanno come obiettivo principale
quello di controllare e prevenire l’immigrazione. Dopo
l’11 settembre c’è stato un radicale cambiamento nelle politiche europee. Non si è più parlato di cooperazione allo sviluppo con paesi terzi. Le misure adottate hanno avuto nuove priorità, prima di tutti la sicurezza. Sono state modificate procedure riguardanti il diritto d’asilo e il ricongiungimento familiare. La gestione delle
frontiere è diventato lo strumento principale per combattere il terrorismo e la rete internazionale di immigrazione. La Commissione europea ha cominciato a negoziare accordi di riammissione con Albania, Algeria, Cina, Turchia, paesi africani e Acp [Africa, Caraibi e Pacifico], affinché si impegnassero a riammettere i loro cittadini o le persone che avevano transitato sul proprio
territorio durante il viaggio verso l’Europa.
Come sottolinea Peter Verhaeghe di Caritas Europa,
far dipendere gli aiuti ai paesi terzi dalla loro cooperazione nel controllo dei flussi migratori diventa un mero strumento per le politiche europee in materia di immigrazione. In Francia ad esempio, il governo utilizza
parte del bilancio dell’aiuto allo sviluppo per combattere l’immigrazione illegale. Ma il modello francese non
solo non frenerà i fussi migratori, ma, facendo pressio-
È ORAMAI ASSODATO CHE L’IMMIGRAZIONE
PORTI BENEFICI AI PAESI DI PROVENIENZA E A QUELLI
DI DESTINAZIONE. EPPURE DALL’11 SETTEMBRE
CI SI OCCUPA SOLO DI FERMARE I FLUSSI.
SOCIAL WATCH INDAGA IL FENOMENO
ne sui paesi di origine e transito affinché inaspriscano
i controlli, aumenterà le possibilità di violazione dei diritti umani, soprattutto di donne e bambini.
La detenzione di migranti senza documenti e di richiedenti asilo è allarmante. Persone il cui crimine è
quello di cercare migliori condizioni di vita o di scappare da persecuzioni si ritrovano private della propria libertà a volte per più di 18 mesi.
Il Rapporto critica anche il criterio di ammissione dei
migranti. In Belgio il ministro delle migrazioni ha detto che l’entrata dipende delle esigenze del mercato del
lavoro: «Dobbiamo individuare e scegliere immigrati
‘utili’, e restringere l’arrivo di migranti che dipendano
da sussidi sociali». Il brain waste, l’impiego di
migranti altamente qualificati per mansioni di basso grado, è anche brain drain, fuga di cervelli dal Sud del mondo. L’apertura
dell’Europa a migranti altamente qualificati in base alle necessità del proprio mercato del lavoro non necessariamente beneficia i paesi di origine. Ad esempio,
l’ammissione di personale medico straniero altamente qualificato può mettere a repentaglio l’assistenza medica nel paese di origine e quindi remare contro il raggiungimento degli Obiettivi del millennio in campo sanitario. In Grecia il salario medio di un lavoratore straniero è del 28 per cento più basso rispetto ad uno greco, nel settore delle costruzioni la differenza arriva anche al 35 per cento. I migranti, che spesso lavorano in
condizioni disagevoli, senza sicurezze ed assistenza,
danno un importante contributo all’economia europea.
Eppure sono spesso visti in maniera negativa: «rubano il lavoro», «portano insicurezza», «minacciano la coesione culturale e sociale».
Le conseguenze sono razzismo e xenofobia. A Malta
i partiti di destra si sono rafforzati: la popolazione non
vuole il passaggio dei migranti. In Olanda, nazione multiculturale per eccellenza, le migrazioni e l’integrazione continuano ad essere tema caldo. Ma secondo il Social Watch «i migranti accrescono la diversità e il dinamismo europeo». Le migrazioni sono risultato dello squilibrio tra essa e molti paesi confinanti o oltre confine. Lavorando sulle cause che spingono tante persone a migrare si può arrivare a una soluzione in grado di rispettare, garantire e promuovere i diritti umani di tutti.
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Il Mali estremo
delle riammissioni
GLI ACCORDI SIGLATI TRA I PAESI DI PROVENIENZA DEI MIGRANTI E QUELLI DI ARRIVO MINACCIANO
REALMENTE I DIRITTI FONDAMENTALI DEI COSIDDETTI «IRREGOLARI». IL CASO DEL MALI, PAESE CROCEVIAXX
DEI FLUSSI MIGRATORI E LABORATORIO DELLE FRONTIERE FLESSIBILI IMPOSTE DAL NORD DEL MONDO
DI MIGREUROP
L
’UNIONE EUROPEA e ha intensificato la lotta contro
la cosiddetta «immigrazione irregolare» con l’adozione della Direttiva sul ritorno nel giugno 2008
e col Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo dell’ottobre dello stesso anno. Ma si lascia ancora agli Stati membri ampia possibilità di definire le politiche d’immigrazione nazionali.
Negli scorsi mesi, gli Stati membri dell’Ue hanno
rafforzato il controllo delle frontiere e cercato di intensificare il ritorno di immigrati senza documenti ai loro
paesi d’origine, in particolare tramite gli accordi di
riammissione. Questi accordi bilaterali assicurano opportunità per le migrazioni regolari in cambio dell’impegno dei paesi d’origine a partecipare al controllo dei
migranti senza documenti.
Il risultato di queste politiche è stata la crescente stigmatizzazione, quando non la criminalizzazione, dei richiedenti asilo e dei migranti senza documenti, e la detenzione ed espulsione di immigrati, in flagrante violazione dei diritti umani fondamentali
Attraverso gli accordi di riammissione, gli
Stati firmatari si impegnano a riammettere
nei loro territori i connazionali arrestati
mentre risiedevano irregolarmente all’interno del territorio di un paese straniero, ma
anche altri stranieri che transitavano attraverso i loro territori. Gli accordi possono anche essere accordi bilaterali, conclusi tra uno Stato membro
dell’Ue e un paese terzo, o accordi comunitari, conclusi tra l’Ue – impegnando in questo senso i 27 paesi membri – e un paese terzo. A partire dal Consiglio di Siviglia
del giugno 2002, le «clausole di riammissione» devono
essere incluse in ogni accordo economico, commerciale e di cooperazione tra l’Ue e i paesi terzi.
Queste clausole e gli accordi di riammissione formano uno dei principali aspetti della politica europea di
esternalizzazione, che è diventata ufficiale con il Pro1 8 • C A R TA N . 3 1 A L M A N A C C O
gramma dell’Aia del 2004, e attraverso cui l’Ue esternalizza a paesi terzi una parte del controllo dei flussi migratori.
Da allora, tutto l’aiuto allo sviluppo e anche tutta la
cooperazione economica e commerciale sono stati subordinati alla negoziazione di questi accordi. È questo
il caso degli accordi bilaterali per la «gestione concertata dei flussi migratori» firmati da Francia e Spagna e
dai paesi dell’Africa occidentale, e la «partnership per
la mobilità» prevista dall’Ue.
Questi accordi sono pericolosi. Minacciano diritti
fondamentali: la loro applicazione rischia di violare l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani attraverso la firma di «accordi a cascata» che permettono l’espulsione di individui senza nessuna garanzia per
il rispetto della vita e dell’integrità nel paese di destinazione finale.
Inoltre, violano il principio di non respingimento previsto dalla Convenzione di Ginevra [principalmente attraverso l’attuazione della procedura accelerata ad oggi prevista negli accordi con la Russia, l’Ucraina e alcuni paesi dei Balcani occidentali] e portano alla generalizzazione dell’uso dei centri per stranieri ad ogni livello della procedura di espulsione.
I respingimenti sono sempre più frequenti alle
frontiere europee [per esempio tra Italia e Libia o tra
Grecia e Turchia]: tutto ciò conferma che questo problema merita urgente attenzione.
Il lavoro portato avanti dal network euro-africano
Migreurop sugli accordi di riammissione si sviluppa sia
a livello europeo sia a livello nazionale e consiste nella collaborazione tra i membri del network con altri innumerevoli partner in America latina, Haiti e nei Balcani. Storicamente e geograficamente, il Mali è un importante crocevia di culture e migrazioni. Il Mali è allo stesso tempo un paese di emigrazione, immigrazione, transito e rimpatrio.
Si stima che circa un terzo della popolazione del Mali, ossia 4 milioni di persone, vivano fuori del paese, e
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2008
Milano,
17 settembre
2008.
Murales in
ricordo di
Abba,
il 19enne
originario del
Burkina Faso
ucciso a
sprangate in
via Zuretti
Nella foto
gli amici di
Abba
nel cortile
vicino
alla sua casa.
FotoErmes
Beltrami
Emblema
che di questi più della metà risieda in altri paesi dell’Africa occidentale. Un gran numero di migranti del Mali senza documenti in Europa si sta confrontando con
l’attuale rafforzamento delle politiche europee sull’immigrazione.
La autorità del Mali prestano molta attenzione ai
contributi finanziari dei migranti inviati al loro paese
nella forma di rimesse e al sostegno allo sviluppo nel loro località d’origine. Creato nel 2004, il ministero per i
maliani all’estero e per l’integrazione africana [Mmeia]
è stato progettato per raccogliere i bisogni dei maliani
all’estero e per renderli maggiormente coscienti del ruolo che possono giocare per lo sviluppo del loro paese.
Finora, peraltro, nessun paese europeo ha ratificato
la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie.
Negli ultimi anni il Mali è diventato anche un paese di
transito per migranti dell’Africa Sub Sahariana che si dirigono verso la costa africana occidentale [Mauritania,
Senegal, Guinea, Gambia and Guinea Bissau] verso il Maghreb e verso il Mediterraneo per aggiungere l’Europa.
Il Mali è anche un paese di rimpatrio, in quanto spes-
DALLA SPAGNA ALLA MAURITANIA
Nel 2006 sono arrivati sulle coste delle isole Canarie 38.678 migranti africani ed asiatici. Da allora, l’Ue e il
governo spagnolo hanno intensificato gli accordi con alcuni paesi africani, tra gli altri Senegal e Mauritania. Ciò ha ridotto i numeri dei flussi: solo 9.181 persone sono arrivate nelle Canarie nel 2008, ma da più
parti giunge la denuncia dell’esternalizzazione del controllo sull’immigrazione. Il campo di Nouadhibou in
Mauritania è stato costruito nel 2006 dall’esercito spagnolo con i fondi dell’Agenzia spagnola per la cooperazione internazionale allo sviluppo, sorge in una struttura inadeguata [una vecchia scuola riadattata].La maggior parte dei detenuti non riceve
assistenza legale o servizi di mediazione linguistica durante la detenzione. Gli ufficiali mauritani affermano di assecondare le
richieste del governo spagnolo. Le persone vengono trattenute nel per un massimo di 15 giorni. È opinione diffusa che una
volta espulse dalla Mauritania tentino di nuovo di rientrare.
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so riceve maliani e altri migranti dell’Africa subsahariana espulsi dall’Europa, dai paesi di transito del Maghreb e da paesi africani piegati dalla guerra.
I migranti in transito che vengono bloccati sono o
scortati ai confini del Mali [con la Mauritania, l’Algeria
o la Libia] e abbandonati in mezzo al deserto, o rimandati indietro con l’aereo, legati e imbavagliati. I maliani soggetti a rimpatrio involontario descrivono raid
massicci, trattamenti degradanti e lunghi periodi di detenzione con la prospettiva di un rimpatrio forzato verso il loro paese d’origine, spesso senza avere denaro con
loro. L’interesse per l’espulsione dei migranti è molto
forte nella società maliana.
Spesso, i paesi soffrono della mancanza di meccanismi di protezione dei diritti dei migranti rimpatriati. Le
organizzazioni che offrono sostegno ai migranti hanno
LE ORGANIZZAZIONI CHE OFFRONO SOSTEGNO AI MIGRANTI
HANNO DOCUMENTATO LA FREQUENTE VIOLAZIONE
DEI DIRITTI: FLAGRANTI VIOLAZIONI DELLA DIGNITÀ UMANA,
ESPULSIONI DI MASSA, DETENZIONI ARBITRARIE
documentato una grande quantità di violazioni dei diritti umani in base a cui hanno sviluppato il loro impegno di advocacy e le loro denunce legali. Organizzazioni della società civile malese portano avanti missioni
esplorative, spesso in collaborazione con organizzazioni di solidarietà internazionale, per registrare la realtà
dei rimpatri forzati alle frontiere. I rapporti rivelano la
criminalizzazione dei migranti in transito, flagranti violazioni dell’integrità e dignità dei migranti espulsi in
massa, detenzioni arbitrarie, condizioni inumane durante il trasporto e l’abbandono nel deserto.
L’Ue non prevede centri di assistenza per migranti
espulsi alle frontiere, né ci sono Ong internazionali attive in queste zone di confine. Le associazioni di
volontari che cercano di assistere i migranti rimpatriati non sono dotate della capacità
e delle risorse necessarie ad adempiere a
questo compito. Allo stesso tempo, l’Ue ha finan-
ziato la costituzione di centri di detenzione in paesi come la Libia e la Mauritania per trattenere gli immigrati irregolari prima del loro rimpatrio forzato. Questi centri sono parte integrante della strategia europea di esternalizzazione del controllo dell’immigrazione fuori dei
confini dell’Unione europea.
La Delegazione generale dei maliani all’estero [Dgme], il cui mandato include l’assistenza, la protezione
e promozione dei maliani nel mondo, ha un ufficio all’aeroporto di Bamako per l’assistenza amministrativa
e tecnica dei migranti rimpatriati volontariamente e forzatamente. L’arrivo di aerei che trasportano immigrati rimpatriati è supervisionato dalla protezione civile,
in collaborazione con la Croce Rossa maliana. Ciò riguarda solo il caso delle cosiddette «procedure urgenti», ossia quando le autorità sono informate in anticipo,
cosa peraltro rara.
I migranti rimpatriati in modo forzato spesso arrivano a casa, dopo numerosi anni di assenza, bisognosi di tutto. La maggior parte di loro proviene da aree rurali e non hanno parenti a Bamako. Un certo numero di
associazioni della società civile maliana, con risorse limitate, sono attive nel cercare di fornire sistemazioni,
cure mediche, assistenza legale e aiuto finanziario per
far ritornare i migranti alle loro regioni di provenienza. A questi soggetti vulnerabili non è dato nessun aiuto ufficiale.
Le autorità maliane cercano di contenere i flussi migratori promuovendo opportunità di formazione e impiego in Mali e negoziando accordi sulla gestione concertata dei flussi migratori. Nel 2008, il ministero per
i maliani all’estero e l’integrazione africana, in partenariato con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e varie associazioni che forniscono sostegno
ai migranti rimpatriati, hanno sviluppato una campagna di sensibilizzazione sui pericoli legati all’immigrazione illegale.
Finanziato dall’Ue, è stato inaugurato a Bamako,
nell’ottobre 2009, un Centro per l’informazione e la gestione delle migrazioni [Cigem]. La creazione del Cigem
è parte dell’approccio globale sulle migrazioni dell’Ue
lanciato nel 2005; il Cigem lavora per promuovere il
collegamento delle migrazioni con il bisogno di sviluppo dei paesi d’origine dei migranti e incoraggia la collaborazione con i paesi d’origine e di transito dei migranti nella gestione dei flussi migratori.
Le attività del Cigem includono la definizione di una
politica di governance delle migrazioni nazionali, la
promozione di un approccio al fenomeno basato sul cosviluppo, la promozione di piani legali sulle migrazioni, e la lotta contro l’immigrazione illegale attraverso
campagne di sensibilizzazione e l’orientamento di coloro che vorrebbero emigrare attraverso opportunità
di lavoro ed educazione nei paesi di origine.
Gli incentivi offerti ai potenziali migranti per invogliarli a rimanere in Mali e l’espulsione di massa dei migranti illegali dai paesi di transito e destinazione sono
due facce della stessa medaglia: sono parte della strategia interessata dell’Ue per ricevere un’«immigrazione selezionata».
[Traduzione di Silvia De Silvestri]
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La «triplice vittoria»
dopo l’11 settembre
LE NAZIONI UNITE AUSPICANO POLITICHE A VANTAGGIO DEI PAESI DI ORIGINE DEI MIGRANTI,
DI QUELLI DI ORIGINE E DEI MIGRANTI STESSI. QUANTO È REALISTICA LA RELAZIONE
ALLA PROVA DEI FATTI DEGLI ULTIMI ANNI LA RELAZIONE TRA MIGRAZIONI E SVILUPPO?
DI PETER VERHAEGHE [CARITAS EUROPA]
I
L DIBATTITO sull’interdipendenza tra migrazione e svi-
luppo ha raccolto una crescente attenzione nel corso degli ultimi dieci anni, sia all’interno dell’Unione
europea che a livello globale.
Dopo l’adozione del programma pluriennale «per
creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia» - il cosiddetto «programma di Tampere» - nel 1999, si stanno
esplorando le possibili sinergie tra sviluppo e politiche
migratorie. Avvicinare le due aree politiche per aumentarne efficacia e coerenza è una grande sfida, per molte ragioni. L’Ue ha diversi livelli di competenza in entrambe queste aree; legislatori e politici hanno obiettivi divergenti e spesso relativi alla «loro» area politica,
e gli Stati membri dell’Ue hanno proprie relazioni privilegiate con diversi paesi terzi. «Migrazione e sviluppo» è dunque un classico dibattito tipo quello «della gallina e dell’uovo». Quanto è realistico l’invito del segretario generale dell’Onu per una «triplice vittoria», a vantaggio dei paesi di accoglienza dei migranti, dei paesi di
origine e dei migranti stessi?
1999. Collegare le politiche dell’Unione
europea sulla migrazione e sullo sviluppo
in uno spirito di partenariato con i paesi
terzi
Nell’ottobre 1999, sotto la presidenza finlandese, il Consiglio europeo ha adottato un ambizioso programma
quinquennale per lo sviluppo delle politiche dell’Ue nel
settore della giustizia e degli affari interni. Il programma si basa sulle competenze, di recente acquisizione
giuridica, delle istituzioni dell’Ue in materia di asilo e
migrazione, come stabilito nel trattato di Amsterdam
adottato nel 1998 [quello che ha istituito la Comunità
europea]. L’obiettivo è quello di sviluppare un approccio globale all’immigrazione, comprese le questioni dello sviluppo, nei paesi e nelle regioni di origine e di transito, aumentando la coerenza tra politiche interne ed
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Milano,
20 settembre
2008
la manifestazione per
l'uccisione
Abba davanti
al Duomo.
Foto Almasio
Cavicchioni
Buenavista
esterne dell’azione dell’Unione. La comunità delle Ong,
in generale, accoglie favorevolmente la conclusioni del
Consiglio europeo, ma esprime la preoccupazione che
l’Unione europea possa subordinare l’assistenza economica ai paesi di origine o di transito alla loro volontà di
adottare misure di controllo dei flussi migratori. In effetti, la formulazione del testo potrebbe condurre a una
interpretazione dell’aiuto allo sviluppo come «condizionato»: i paesi di origine devono essere conformi con i requisiti Ue in materia di gestione dei flussi migratori.
2001. L’11 settembre e le conclusioni del
Consiglio di Laeken
Nel dicembre 2001 la Corte europea dedica le sue conclusioni all’«azione dell’Unione europea a seguito degli
attentati negli Stati uniti l’11 settembre». Il drammatico cambiamento del clima, anche nell’Unione europea,
è evidente: non si parla più di cooperazione allo sviluppo con i paesi terzi. «Gli accordi di riammissione devono essere conclusi con i paesi interessati sulla base di un
nuovo elenco di priorità e di un piano d’azione chiaro».
La dimensione esterna della giustizia e degli affari interni si trasforma in un dibattito sulla sicurezza. Il Consiglio europeo invita la Commissione a presentare nuove proposte di direttive in materia di procedure per l’asilo e sul ricongiungimento familiare. La gestione delle frontiere esterne dell’Ue diventa lo strumento principale nella lotta contro il terrorismo e le reti di immigrazione illegale, che vengono menzionati nella stessa
frase, suggerendo una relazione diretta tra i due.
DOPO L’ATTACCO ALLE TORRI GEMELLE IL MUTAMENTO
DEL CLIMA, ANCHE ALL’INTERNO DELL’EUROPA,
È EVIDENTE: IL DIBATTITO SULLE MIGRAZIONI
SI TRASFORMA COSÌ IN DIBATTITO SULLA SICUREZZA
2002. Il Consiglio di Siviglia. La gestione delle migrazioni e gli accordi di cooperazione
Il Consiglio europeo di Siviglia insiste affinché in qualsiasi futuro accordo di cooperazione che l’Ue o la Comunità europea concluderà con qualsiasi paese, sia inserita una clausola sulla gestione dei flussi migratori e sulla riammissione obbligatoria in caso di immigrazione
clandestina. Nel dicembre 2002 la Commissione adotta una comunicazione su «Integrare le questioni connesse all’emigrazione nelle relazioni dell’Unione europea
con i paesi terzi». La Commissione elenca i fattori «tira e molla» [push and pull] per la migrazione. Essendo
molto orientata al controllo dell’immigrazione, la
Commissione propone di megoziare accordi di riammissione con Albania, Algeria, Cina e Turchia, nonché con
i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico. Inoltre si
prevede che nuovi accordi di riammissione con questi
paesi «coprano» i cittadini di paesi terzi: qualsiasi paese firmi un accordo di riammissione con l’Ue accetta di
riammettere i cittadini di altri paesi che abbiano transitato nel paese mentre erano in cammino verso l’Ue. Le
Ong criticano il fatto che tali disposizioni non includano misure di salvaguardia dei diritti umani.
2005. Il programma dell’Aia e il rapporto
tra migrazione e sviluppo
Il programma dell’Aia subentra al programma di Tampere del 1999. Nel nuovo programma pluriennale gli
strumenti finanziari sono orientati verso l’aumento della capacità dei paesi terzi di controllare i propri confini e nuovi strumenti sono stabiliti per finanziare operazioni di rimpatrio forzato. L’obiettivo di affrontare le
cause delle migrazioni forzate è «fuori dal radar».
2005. Le politiche per lo sviluppo
Nel 2005 le istituzioni europee adottano una dichiarazione comune per le politiche di sviluppo, conosciuta co-
ACCORDI D’ALBANIA
La migrazione è un fenomeno importante in Albania e secondo dati ufficiali, il numero di persone che cerca di
attraversare il confine illegalmente rimane alto. Nel 2008, la polizia di frontiera ha fermato 16032 persone.
Tra le cause principali dell’emigrazione, ci sono la disoccupazione e la povertà. Circa il 27,5 per cento della popolazione del paese vive all’estero. I migranti senza documenti tornano nel paese di origine attraverso i rimpatri volontari – pochissimi – e i rimpatri forzati. Una pratica permessa dagli accordi di riammissione siglato tra l’Albania e molti paesi europei e tra
l’Albania e l’Unione europea. L’Albania ha anche firmato degli accordi con paesi come la Grecia, l’Italia e la Germania per l’impiego dei suoi cittadini come lavoratori stagionali. La riammissione dei cittadini che sono emigrati illegalmente avviene in condizioni
difficili: accade non che le persone – bambini, donne, vittime della tratta, uomini di tutte le età – siano costrette a rimanere giorni
in posti di frontiera non attrezzati in attesa della loro identificazione [dal report Ersida Sefa, dell’Albanian Helsinki Committee].
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me «Il consenso europeo», in cui si impegnano ad aumentare la coerenza delle loro politiche: «La Commissione intende includere la migrazione e le questioni dei
rifugiati in strategie nazionali e regionali e nei partenariati con i paesi interessati e [intende] promuovere le sinergie tra migrazione e sviluppo, affinché la migrazione sia una forza positiva per lo sviluppo. [La commissione] Sosterrà i paesi in via di sviluppo nelle loro politiche di gestione dei flussi migratori». Anche se è indicato che la migrazione può contribuire allo sviluppo,
prevale l’interesse dell’Ue di controllare le frontiere.
2008. Il patto sull’immigrazione e l’asilo
Il «Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo» è iniziativa della presidenza francese. Afferma che la cooperazione con i paesi d’origine sarà sviluppata per scoraggiare e contrastare l’immigrazione clandestina. Il Patto non è altro che un impegno politico, ma gli stati membri sono d’accordo nel farne la base per il prossimo programma pluriennale per la giustizia e gli affari interni
[2010-2014].
2009. Il programma di Stoccolma. Focus
su «solidarietà interna»
Il Consiglio avvia i negoziati sul prossimo programma
COME SCUSA PER BLOCCARE I MOVIMENTI MIGRATORI
SI DICE CHE LO SPOSTAMENTO DI LAVORATORI QUALIFICATI,
DANNEGGI GLI INVESTIMENTI DELL’UNIONE EUROPEA
NEI COSIDDETTI «PAESI INVIA DI SVILUPPO»
Il patto su asilo e immigrazione
Il 15 e 16 ottobre 2008, i leader europei al Consiglio d’Europa hanno
siglato il Patto europeo su asilo e immigrazione, che era stato prima
approvato dal Consiglio di giustizia e affari interni.
Con l’adozione del Patto, il Consiglio ha preso cinque impegni fondamentali. Eccoli:
- organizzare l’immigrazione legale prendendo in considerazione le
priorità, i bisogni e le capacità di accoglienza determinati da ogni stato membro, e di incoraggiare l’integrazione;
- controllare l’immigrazione clandestina assicurando il ritorno di immigrati clandestini ai loro paesi d’origine o a paesi di transito;
rendere più efficaci i controlli di frontiera;
- creare una procedura di asilo europea unica entro il 2012;
- creare un partenariato complessivo con i paesi d’origine e di transito in modo da incoraggiare la sinergia tra migrazione e sviluppo.
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pluriennale, il «Programma di Stoccolma». Il capitolo in
materia di asilo e immigrazione si concentra sulla solidarietà interna, anche se contiene una parte relativa alle collaborazioni con i paesi terzi: «La solidarietà deve
rimanere al centro della politica comune e l’Ue dovrebbe fornire maggiore sostegno agli Stati membri più esposti alle pressioni migratorie». Sotto il titolo «Migrazione e sviluppo» la Commissione propone principalmente misure supplementari per agevolare il trasferimento delle rimesse e fermare la «fuga dei cervelli».
Le Ong sperano che questa sezione del programma
sia rafforzata nel corso dei negoziati.
Sfide future. La politica di migrazione e gli
«Obiettivi del Millennio»
Il dibattito sulla migrazione e lo sviluppo nell’Ue è dunque prevalentemente orientato verso la prevenzione
delle migrazioni. Questa tendenza si basa su una serie
di presupposti che dovrebbero essere rivisti.Il primo
prevede che la maggior parte dei paesi in via di sviluppo sono i paesi di origine dei migranti verso l’Ue.
Le politiche dell’Unione europea hanno come target
i paesi più rappresentati nelle statistiche europee sull’immigrazione. I paesi meno «sviluppati» sono sottorappresentati in queste statistiche, e di conseguenza
corrono il rischio di non essere presi in considerazione.
Il criterio di priorità per l’allocazione delle risorse ai paesi poveri dovrebbe essere il loro livello di «performance» nella realizzazione degli Obiettivi del millennio, invece del numero di cittadini presenti nell’Ue o che tentativo di entrarvi. Un pregiudizio comune è che le persone qualificate che lasciano un paese in «via di sviluppo» mettano a rischio gli investimenti della Ue. Questo
argomento è usato come giustificazione per negare alle persone il diritto di lasciare il loro paese e venire a lavorare in Europa. Il legame tra emigrazione e fuga di
cervelli non può essere generalizzato. Inoltre, un fenomeno meno discusso ma altrettanto critico è quello dello «spreco di cervelli», cioè il problema dei lavoratori immigrati altamente qualificati che qui sono occupati molto al di sotto delle loro qualifiche. La risposta al problema della fuga dei cervelli è, di nuovo, ispirata più dallo scopo di controllare i fenomeni migratori, che da una
volontà di conseguire gli Obiettivi del Millennio. Un modo più efficace per combattere la fuga dei cervelli sarebbe quello di investire nell’Obiettivo 2, ovvero il raggiungimento dell’istruzione primaria universale, aumentando allo stesso tempo l’accesso all’istruzione superiore.
In concomitanza, l’Obiettivo 8 - accrescere un partenariato globale per lo sviluppo - deve essere promosso, in
particolare, attraverso la possibilità di offrire un lavoro dignitoso e produttivo ai giovani.
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AL CONTRARIO DI QUELLO CHE SIAMO PORTATI A CREDERE
PER EMIGRARE OCCORRONO RISORSE:
I PIÙ POVERI NON MIGRANO. PER QUESTO, NON È VERO
CHE LO SVILUPPO RIDUCE L’EMIGRAZIONE
Il terzo preuspposto è che la migrazione può essere
ridotta affrontandone le cause profonde. La riduzione
della povertà, in quanto tale, non riduce necessariamente la migrazione: per emigrare occorrono risorse. I più
poveri non migrano. L’affermazione che più sviluppo
comporterà meno emigrazione è un mito. Le violazioni dei diritti umani e politici e l’instabilità sociale sono
tra le cause principali del movimento di profughi.?
Il quarto presupposto riguarda «migrazione circolare», cioè i movimenti ripetuti dei lavoratori attraverso
le frontiere, è auspicata dall’Unione europea per i suoi
cittadini, tra gli Stati membri, ed considerata la soluzione «taglia unica» [one-size-fits-all].? Nel dibattito in corso viene presentata come la risposta ideale a tutte le incoerenze tra migrazione e politiche di sviluppo. Al fine
di raggiungere la «triplice vittoria», l’adeguata interpretazione e organizzazione della migrazione circolare può
aumentare gli effetti positivi della migrazione per i paesi poveri, e allo stesso tempo può aiutare gli Stati della
Ue ad affrontare la domanda di lavoro e ridurre l’immigrazione irregolare. Ma la migrazione circolare deve essere agevolata da un quadro giuridico che promuova la
mobilità e tuteli i diritti dei lavoratori.
Osservazioni conclusive
L’impegno dell’Ue e i suoi sforzi per garantire la coerenza politica degli stati membri sull’immigrazione sono
positivi, e meritano il sostegno critico delle organizzazioni della società civile: sostegno, perché garantire la
coerenza della politica è un dovere, e critico, perché le
decisioni politiche in materia devono essere ispirate al
conseguimento degli Obiettivi del Millennio [Osm].
C’è e continuerà ad esserci una tensione permanente tra gli obiettivi di lungo termine e quelli di breve termine, ma gli Osm non possono essere compromessi dal
controllo delle migrazioni. Il pieno potenziale dell’immigrazione come strumento di redistribuzione della ricchezza e del benessere può essere realizzato solo se tale obiettivo è chiaro, e se tutti i responsabili politici e decisionali vi aderiscono pienamente.
A parte una [più forte] volontà politica e la stretta di
monitoraggio del processo da parte delle organizzazioni della società civile, il raggiungimento degli Osm richiederà alcuni cambiamenti istituzionali e delle competenze all’interno delle direzioni generali, dal livello
di governo nazionale a quello europeo.
L’evoluzione della politica
d’immigrazione europea
D
OPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE, la domanda di lavoratori stranieri per la ricostruzione e modernizzazione
dell’Europa occidentale ha portato paesi come il Regno
unito, la Francia e l’Olanda ad adottare politiche d’immigrazione liberali. Gli alti flussi d’immigrazione in quel periodo erano guidati da motivazione economiche.
Negli anni settanta, i paesi europei settentrionali, colpiti dalla recessione economica e dalla crescente disoccupazione, cominciarono a bloccare i nuovi migranti; era diventato chiaro infatti che la permanenza della prima ondata non era temporanea, ma stabile.
Fino alla metà degli anni ottanta, gli stati dell’Europa
occidentale erano riluttanti a cooperare sulle questioni
d’immigrazione ed asilo. Il diritto alla libertà di movimento era riconosciuta nei trattati fondamentali delle comunità europee, a partire dal Trattato di Parigi [1951] che stabiliva la Comunità del carbone e dell’acciaio [Ceca] e il Trattato di Roma [1957] che stabiliva la Comunità economica
europea [Cee]. Tuttavia, tale diritto era limitato agli europei, concepiti più come lavoratori che come cittadini. Gli
Stati nazionali mantennero gran parte della propria autorità legislativa in fatto d’immigrazione dai paesi terzi.
Dai primi anni novanta, i paesi dell’Europa occidentale
si ritrovarono con un incremento di flussi immigratori e domande d’asilo. La reazione dei legislatori fu di rafforzare
le restrizioni nazionali e incrementare la cooperazione sul
controllo delle frontiere. Inoltre, con l’accordo di Schengen siglato nel 1985 [ma divenuto operativo dieci anni dopo], si ebbe un ulteriore incentivo a cooperare sulle questioni d’asilo e d’immigrazione. Con lo smantellamento
dei confini interni, i paesi firmatari cercarono di riaffermare il proprio controllo sui confini esterni attraverso un’azione collaborativa. Adottarono un sistema di visti comuni e
crearono un Sistema Informativo Schengen comune per
facilitare la cooperazione giudiziaria inter-statale.
L’esigenza di una politica d’immigrazione e d’asilo comune fu riconosciuta ufficialmente nel 1992 con il Trattato di Maastricht. La cooperazione dell’Unione europea fu
sviluppata soprattutto nel Trattato di Amsterdam, firmato nel 1997, che diede un maggior potere alle istituzioni
europee in materia. Nel 2004, la presidenza olandese del
Consiglio d’Europa promosse una nuova agenda sulle
questioni d’immigrazione e asilo, conosciuta come il Programma dell’Aia, per il periodo 2005-2010. Nell’ottobre
2008, il Consiglio d’Europa ha adottato il Patto europeo
su immigrazione e asilo, proposto dalla presidenza francese dell’Unione.
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I movimenti migratori,
una questione di genere
LA LETTURA TRADIZIONALE DELLE MIGRAZIONI LE CONSIDERA COME UN FENOMENO MASCHILE:
LE DONNE SONO DI SOLITO RELAGATE AL RUOLO DI ASSISTENTI DEGLI UOMINI.
ALCUNI APPUNTI PER GUARDARE LE COSE DA UN’ALTRA PROSPETTIVA E SUPERARE I LUOGHI COMUNI
DI AMADINE BACH [EUROPEAN WOMEN’S LOBBY]
P
ER LUNGO TEMPO la connessione tra migrazioni e
questioni di genere è rimasta invisibile nelle politiche, specialmente a livello europeo. Ma dagli
anni ottanta sono stati lanciati molti progetti di ricerca, sia a livello locale che nazionale, europeo e internazionale. Questi progetti hanno messo in discussione sia
la ricerca mainstream che le politiche sull’immigrazione, che per molto tempo si sono concentrate sui migranti maschi, rafforzando così l’immagine delle donne migranti come «assistenti» dei loro mariti e dei loro figli e
non come attrici in sé.
Questa rappresentazione delle donne migranti non
riflette la realtà della migrazione delle donne, eppure è
stata al cuore delle diverse politiche sulle migrazioni,
che sono molto orientate per genere.
La prima sfida verso la riscrittura delle politiche migratorie è affrontare la percezione dominante delle migranti come lavoratrici «non qualificate»: molto raramente le donne migranti vengono considerate in possesso dei requisiti necessari a contribuire attivamente all’economia della conoscenza, che sarebbe ristretta a occupazioni dominate dagli uomini, in aree come la finanza, la scienza e la tecnologia. Questa percezione è ancora più dominante in relazione alle donne che si spostano per la migrazione familiare.
Tuttavia, la percentuale di donne in possesso di un titolo di studio terziari, nei paesi dell’Ocse, è appena 3
punti sotto la percentuale di uomini con un titolo di studio equivalente e in alcuni paesi c’è una proporzione
uguale o in alcuni casi perfino più alta, di donne migranti nate fuori dall’Ocse rispetto alle donne native. Le leggi sull’immigrazione hanno un impatto sulla capacità
delle donne altamente qualificate a migrare. La selezione basata sui settori produttivi e sulle capacità di guadagno in vigore in molti paesi europei implicitamente
favorisce gli uomini, mentre per esempio il sistema del
Canada – dove l’immigrazione è basata sull’educazio-
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ne e sulle capacità linguistiche – ha prodotto un aumento della migrazione di donne con alti titoli di studio.
La seconda sfida è legare il dibattito sull’immigrazione al progressivo invecchiamento delle società occidentali, la questione del lavoro di cura e del lavoro femminile di cure, e alla difficoltà di riconoscere e regolare il
settore informale e flessibile dell’economia.
Questo legame è essenziale per affrontare la crescente immigrazione di lavoratrici domestiche, che forniscono servizi di cura indispensabili a un numero crescente di cittadini dell’Ue che hanno bisogno di aiuto: famiglie con bambini, disabili, anziani e altri ancora. Il loro lavoro è «funzionale a liberarci dalla responsabilità
del lavoro riproduttivo e a prepararci a uno schema di
lavoro indifferente al genere», queste «riconciliatrici»
sono di solito escluse dalle leggi nazionali sul lavoro e
non hanno accesso ai visti, o affrontano barriere specifiche che impediscono il riconoscimento del loro lavoro. Tutto ciò risulta nella difficoltà di ottenere documenti e accesso ai diritti sociali.
La terza sfida è connessa alle crescenti restrizioni imposte dalle politiche sull’immigrazione familiare e la loro natura di genere. Molti ricercatori hanno rilevato che
i criteri [in particolare il reddito] usati per le riunificazioni familiari rendono più difficile l’accesso alle donne. Per rispettare i criteri di reddito, le donne devono lavorare a tempo pieno, il che è difficile per quelle che
hanno la responsabilità della prole e nessun accesso a
sussidi per l’assitenza all’infanzia, che spesso sono legati al possesso di una residenza di lungo termine. Il fatto che le donne dell’Europa meridionale siano concentrate nel lavoro informale è una ulteriore barriera alla
riunificazione delle famiglie.
Raccomandazioni
1] Elaborare politiche che tengano conto del genere.
Come sottolineato dall’Ocse nel 2009, c’è un bisogno urgente di elaborare politiche sull’immigrazione sensibili alle questioni di genere e che: sviluppino un ambiente capacitante che fornisca uguali opportunità e acces-
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BiscottI
Milano,
20 settembre
2008: gli amici di Abba,
davanti
al bar dove
è stato ucciso mostrano
un pacchetto di biscotti.
I proprietari
del bar l'avevano picchiato
a morte
a causa
del presunto
furto di alcuni pacchetti
di biscotti.
Foto Almasio
Cavicchioni
Buenavista
so ai servizi alle donne e agli uomini migranti; seguano un approccio «a due vie», che comprenda protezioni specifiche per i migranti e quelle dirette in particolare alle donne, per fornirgli possibilità di scelta, accesso alle risorse e ai diritti; introducano misure speciali
temporanee che compensino per le discriminazioni che
possono aver effetto sulle donne migranti.
2] Valutare i bisogni. I paesi dell’Ue devono assicurarsi che le valutazioni sui bisogni del mercato del lavoro
tengano conto della domanda di lavoro di cura privato
e domestico.
3] Valutare l’impatto di genere degli accordi bilaterali di lavoro e migrazione. Una valutazione di genere
complessiva degli accordi bilaterali di lavoro e delle politiche sull’immigrazione deve essere condotta per assicurarsi che queste politiche non discriminino, direttamente o indirettamente, le donne migranti.
Riscrivere le politiche di asilo da una
prospettiva di genere
L’esperienza delle donne in fatto di attività politiche e
persecuzione può essere differente da quella degli uo-
IL BELGIO CHIUDE I CONFINI
Dal 1974, i confini del Belgio sono ufficialmente chiusi all’immigrazione per motivi di lavoro. Solo i lavoratori
altamente qualificati possono entrare legalmente in Belgio. Per gli altri, rimangono canali diversi come l’asilo
o il matrimonio, che però stanno diventando sempre più difficili di accesso. Chi impiega lavoratori senza residenza o permesso di lavoro rischia pesanti sanzioni. Neanche l’ingresso nell’Ue di alcuni paesi come la Romania, la Bulgaria o
la Polonia, ha permesso ai lavoratori provenienti da quei paesi di uscire dalla loro precaria situazione. Per fermare gli ingressi
illegali, il Belgio rinchiude i migranti dalla fine degli anni novanta. Nel 2007, 7506 stranieri erano rinchiusi in 5 centri. La durata
massima di detenzione è di 5 mesi. Dal 2006, anche i richiedenti asilo possono essere rinchiusi. Nel 2007 e 2008, circa 1600 richiedenti asilo sono finiti nei Cie. Tra settembre 2007 e novembre 2008, 4 persone sono morte nei Cie belgi, due di loro si sono suicidate [fonti: Sabine Craenen, Organisation for undocumented workers, e Christophe Renders, Jesuit refugee service].
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mini. Sia la politica che le persecuzioni sono state storicamente interpretate dagli Stati membri dell’Ue attraverso lo schema dell’esperienza maschile, quindi escludendo spesso l’opinione politica delle donne sui ruoli di
genere e anche su atti di violenza di genere e/o discriminazione di genere da parte di attori statali e non statali. La Convenzione Onu sui rifugiati, del 1951, non fa
specifico riferimento al genere come causa di persecuzioni, ma ogni elemento di persecuzione deve essere
analizzato da una prospettiva di genere, perché le politiche di asilo non sono neutrali.
La European women’s lobby e altre organizzazioni
come Refugee women resource project, chiedono da
tempo agli stati dell’Unione europea di applicare le Linee guida elaborate dall’Alto commissariato Onu per i
rifiugiati [Unhcr] sulla Protezione internazionale con riferimento alla persecuzione basata sul genere.
Senza questi punti di riferimento, è molto difficile assicurarsi che la natura «sessuata» della persecuzione, di
cui le donne sono le prime vittime, possa essere pienamente compresa e dunque che alle richieste di asilo delle donne venga data una piena e accurata valutazione.
Le donne eterosessuali, bisessuali e lesbiche in alcuni casi subiscono varie forme di discriminazione e violenza basate sul genere da parte di attori statali e non
statali, comprese quelle situazioni in cui esse sono in pericolo di vita o soggette a violenza fisica e mentale da
parte dei loro mariti/partner, delle famiglie o dello stato. Esse sono perseguitate per la loro opposizione a politiche e leggi discriminatorie, ai casi di stupri in guerra, alle pratiche che sono attuate in nome della «cultura», come le mutilazioni genitali e i matrimoni forzati.
Senza questi punti di riferimento, c’è anche il rischio che
donne che richiedono asilo per la loro lotta per i diritti
propri e di altri, siano «depoliticizzate» e viste solo come vittime passive di abusi, anziché essere riconosciute come attrici nella difesa dei diritti delle donne.
Similmente, è cruciale che le politiche di asilo siano
sensibili alle questioni di genere, per assicurarsi che le
donne possano beneficiare di procedure non discriminanti – per esempio, la scelta dell’intervistatore che segue il caso – e che le informazioni sulla situazione delle donne nei paesi di provenienza venga tenuta in considerazione.
Raccomandazioni.
1] Stabilire una Unità di genere nell’European asylum
support office. Una unità di questo tipo sarebbe vitale
nel fornire una cornice istituzionale per coordinare le
specifiche questioni di genere all’interno del sistema di
appoggio per i rifugiati.
2] Gli stati membri dovrebbero adottare, e la Commissione europea dovrebbe promuovere, linee guida per
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A CAUSA DELLE DISCRIMINAZIONI DI GENERE
INSITE IN MOLTE POLITICHE SUL LAVORO DEI MIGRANTI,
MOLTE DONNE NON HANNO I DOCUMENTI
E NON HANNO ACCESSO AI DIRITTI FONDAMENTALI
il diritto di asilo sensibili alle questioni di genere.
3] Sviluppare dati e studi disaggregati per genere:
Questo è un tema particolarmente importante nel contesto del sistema di Dublino per affrontare le disparità
esistenti tra i paesi membri quanto alla protezione delle vittime di discriminazioni di genere e le forme di questa protezione.
4] Le informazioni sulla situazione, legale e di fatto,
delle donne nei paesi d’origine devono essere tenute in
considerazione.
Rimuovere i principali ostacoli all’integrazione delle donne migranti
Durante seminario organizzato dalla European women’s lobby nel 2007 con il titolo «Uguali diritti. Uguali voci. Donne migranti nell’Unione europea», le organizzazioni delle donne migranti [che ora lavorano assieme nel Network europeo delle donne migranti] hanno
identificato cinque aree principali di intervento cruciali per l’integrazione delle donne migranti.
Queste aree sono:
1] Status legale. Un aspetto importante delle politiche familiari sull’immigrazione è la dipendenza della
donne sposate e del loro diritto di soggiorno dal proprio
sponsor. Questa dipendenza viene rafforzata in quei pesi dove esistono barriere all’ingresso delle donne sposate sul mercato del lavoro. Si tratta di un ostacolo ulteriore per quelle donne che hanno denunciato violenze domestiche e che potrebbero causare uno «spreco di
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cervelli», con lavoratrici altamente qualificate che rimangono disoccupate o in occupazioni molto al di sotto delle loro professionalità. Infine, a causa della discriminazione di genere insita in molte politiche sul lavoro migrante, molte donne migranti non hanno documenti, in Europa, e non hanno accesso a diritti fondamentali o devono affrontare ostacoli aggiuntivi a causa della natura informale del loro lavoro.
2] Impiego ed educazione. La natura «di genere» delle politiche del lavoro comporta che molte donne entrano nell’Ue grazie alle leggi sulle riunificazioni familiari, o in settori informali o sottoqualificati. Pertanto, il processo di riconoscimento delle qualifiche professionali di cittadini non provenienti dall’Unione europea, è un ostacolo enorme all’integrazione sul lavoro, così come la mancanza di strutture di supporto [come corsi di lingua e di formazione accessibili e a basso costo, servizi per l’infanzia]. Bisogna affrontare anche le molteplici discriminazioni che posso avvenire
sul posto di lavoro.
3] Salute, diritti riproduttivi, educazione sessuale. Le
donne migranti affrontano una limitata consapevolezza e la mancanza di accesso all’educazione sulla salute sessuale, mentre chi fornisce questi servizi spesso
non comprende i bisogni sanitari e culturali specifici
delle donne migranti.
4] Violenza contro le donne migranti. Le donne migranti non sono affatto al sicuro dalla violenza, e molto spesso le loro esperienze sono ulteriormente aggravate dalla mancanza di capacità linguistiche, di una famiglia estesa e della conoscenza dei servizi di appoggio esistenti. Inoltre, esse possono dover affrontare
specifiche forme di violenza come le mutilazioni genitali o gli abusi basati sull’onore. È essenziale sviluppare un approccio specifico che non cada nella trappola
della vittimizzazione e rimuovere gli ostacoli come
l’accesso ai servizi di protezione sulla base dello status giuridico.
5] Partecipazione alla vita politica e pubblica. Il diritto di voto e l’accesso alla cittadinanza europea sono
essenziali per garantire la piena partecipazione dei migranti alla vita politica e pubblica. I migranti affrontano ostacoli ulteriori al pieno godimento di questi diritti, come per esempio la mancanza di informazioni in altre lingue sul sistema politico del paese ospitante, e anche la mancanza di programmi di capacitazione per le
donne migranti, che sono particolarmente sottorappresentate nella vita politica e pubblica.
Nonostante le norme del Trattato della Comunità europea prescrivano che l’Ue debba «eliminare le ineguaglianze e promuovere l’eguaglianza tra uomo e donna
in tutte le sue attività», in pratica molti stati membri e
la stessa Unione europea non sono riusciti a integrare
una prospettiva di genere nelle loro politiche sull’immigrazione, l’integrazione e l’asilo. C’è stata, comunque,
una crescente consapevolezza del bisogno di adottare
una prospettiva di genere, ma come ciò possa essere fatto è ancora una delle sfide principali.
La distorsione di genere delle attuali politiche deve
essere urgentemente corretta e si può imparare da approcci come quello canadese, nel quale un’analisi di genere dell’immigrazione, dell’integrazione e dello stabilirsi nel paese è stata istituzionalizzata. È anche importante che la società civile giochi un ruolo chiave nell’applicazione di questi impegni. Le consultazioni e la dispo-
PER RISCRIVERE LE POLITICHE SULL’IMMIGRAZIONE,
L’ASILO E L’ACCOGLIENZA A PARTIRE DA UNA PROSPETTIVA
DI GENERE SI POTREBBE PRENDERE SPUNTO
DAL MODELLO SPERIMENTATO IN CANADA
nibilità di fondi sono essenziali a questo scopo. Le organizzazioni delle donne migranti devono essere incluse
in organismi consultivi e nel disegno dei sistemi di ricerca e valutazione dell’impatto delle politiche, a livello locale, nazionale, internazionale ed europeo. Non è
possibile farlo senza finanziare le organizzazioni delle
donne migranti e quelle che le appoggiano, così come i
programmi di politiche sociali, per l’eguaglianza di genere e contro la discriminazione. Tutto ciò è ancora più
importante in tempi di crisi economica, quando il progresso dei diritti delle donne rischia di essere messo in
discussione. Infine, è essenziale notare che riscrivere le
politiche sull’immigrazione, sull’asilo e sull’accoglienza da una prospettiva di genere è un passo essenziale per
assicurare politiche di genere più eque, ma deve essere accompagnato da una riscrittura complessiva delle
politiche da una prospettiva basata sui diritti delle donne, per assicurare una cornice politica coerente.
Come è stato sottolineato da Jean-Michel Baer, della Commissione europea, «le iniziative politiche sulle
migrazioni, sul lavoro o sull’educazione avranno solo un
successo limitato nella rimozione delle barriere all’inclusione sociale e alla crescita economica se non sono
coordinate con politiche che eliminino le discriminazioni economiche e sociali più ampie».
Questo implica guardare all’impatto sulle politiche
di genere e sui diritti fondamentali non solo delle politiche sociali ed economiche all’interno dell’Ue, ma anche delle relazioni esterne e delle politiche di sviluppo
e commercio.
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Chi rimette i peccati
della globalizzazione?
I SOLDI CHE I LAVORATORI MIGRANTI MANDANO AI PAESI DI PROVENIENZA OGNI ANNO
SONO ALMENO IL TRIPLO DEI FONDI STANZIATI PER GLI AIUTI ALLO SVILUPPO.
LE RIMESSE SONO UN ESEMPIO DI ECONOMIA FAI-DA-TE. CHE PERÒ HA MOLTE CONTRADDIZIONI
DI LUISA VOGIAZIDES [EUROSTEP]
L
«NUOVO
mantra dello sviluppo». Numerosi vertici internazionali hanno evidenziato il legame tra migrazione e sviluppo, in particolare nel Dialogo ad alto livello
dell’Onu sulle migrazioni internazionali e sviluppo, nel
Forum globale su migrazione e sviluppo e nella riunione ministeriale euro-africana sulle migrazioni e lo sviluppo. Il rapporto della Banca mondiale «Global Economic Prospects 2006» è dedicato alle implicazioni economiche delle rimesse. Ma una strategia di sviluppo nazionale fortemente dipendente dalle rimesse non è sostenibile. Inoltre, i discorsi sugli effetti positivi delle rimesse spesso trascurano un aspetto importante: i costi
sostenuti dagli immigrati nel generarle.
I flussi delle rimesse includono il denaro inviato dai
migranti ai familiari nei loro paesi d’origine, gli investimenti finanziari nel settore immobiliare o di lavoro, e
i risparmi in banche nel loro paese di origine. L’entusiasmo attorno alle rimesse si basa su alcune affermazioni. In primo luogo, le rimesse rappresentano la seconda fonte più grande, dopo gli investimenti diretti esteri, di finanziamento esterno per i Paesi in via di sviluppo. Nel 2008, le rimesse ufficialmente registrate sono
state stimate attorno ai 305 miliardi di dollari, cioè quasi tre volte la somma degli Aiuti allo sviluppo [119,8 miliardi di dollari nel 2008] e quasi due terzi degli investimenti esteri diretti [517,7 miliardi di dollari ai paesi in
via di sviluppo]. Si deve notare che tale importo rappresenta solo una frazione delle somme effettivamente trasferite, in quanto molti fondi vengono trasferiti attraverso canali informali. In secondo luogo, le rimesse hanno registrato la crescita più rapida di finanziamento
esterno, con gli importi raddoppiati tra il 2002 e il 2007.
In terzo luogo, fino a tempi recenti i flussi delle rimesse sono stati considerati meno volatili rispetto ai
flussi di capitali privati, in quanto spesso hanno un andamento anti-ciclico. In altre parole, sono rimasti staE RIMESSE DEI MIGRANTI SONO DIVENTATE IL
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bili o addirittura cresciuti durante le recessioni economiche. Questa affermazione è però contraddetta dalla
attuale crisi, che ha provocato un calo delle rimesse. La
Banca mondiale prevede una diminuzione del 7-10 per
cento nel 2009 come conseguenza della crisi. Un quarto argomento a favore delle rimesse è che spesso coprono una parte importante del deficit commerciale del
paese ricevente.
Si calcola che le rimesse abbiano finanziato più del
70 per cento del deficit commerciale albanese dal 1995
e il 75 per cento del disavanzo commerciale della Moldova nel 2005. Inoltre, varie esperienze suggeriscono
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Gli amici
Gli amici di Abba posano davanti al murale realizzato nel
2008 in ricordo della sua morte a Cernusco, vicino alla sua
abitazione. Foto Almasio Cavicchioni / Buenavista
ca, conflitti politici e disastri ambientali. L’Asian Development Bank stima che, nel 2006, le rimesse abbiano
tenuto 4,3 milioni di persone fuori dalla povertà nelle
Filippine. In Kosovo, le rimesse avrebbero svolto un ruolo significativo nella ricostruzione postbellica. Oltre all’effetto diretto sulla riduzione della povertà, le rimesse possono anche avere un effetto indiretto sull’economia nazionale: possono contribuire alla creazione di occupazione e stimolare l’economia locale, a beneficio anche di famiglie che non ricevono le rimesse.
Le rimesse in tempi di crisi globale
L’affidamento alle rimesse rende i paesi vulnerabili alle fluttuazioni economiche e alle varie politiche sull’immigrazione e del lavoro dei paesi da cui provengono le
rimesse. Queste preoccupazioni sono particolarmente
forti nei paesi in cui le rimesse rappresentano una quota importante del Pil. I rischi sono tristemente illustrati dalla crisi finanziaria internazionale: dal 2008 si è assistito alla prima flessione sostenuta delle rimesse da
L’AFFIDAMENTO ALLE RIMESSE RENDE I PAESI
VULNERABILI ALLE FLUTTUAZIONI ECONOMICHE
E ALLE VARIE POLITICHE SULL’IMMIGRAZIONE
E DEL LAVORO DEI PAESI DA CUI VENGONO LE RIMESSE
che le rimesse migliorino la solvibilità di un paese per
i prestiti esterni, permettendogli di finanziarsi a tassi
di interesse più bassi. Ad esempio, nel caso dell’Albania
e della Bosnia-Erzegovina, l’indebitamento scende di
circa il 50 per cento quando sono prese in considerazione anche le rimesse. Meno indebitati, questi paesi acquisiscono un migliore accesso al credito.
Sesto, le rimesse apporterebbero un contributo significativo alla riduzione della povertà, sia direttamente
sia indirettamente. Le rimesse possono agire come assicurazione del reddito per le famiglie, soprattutto nei
periodi di crisi, come durante una recessione economi-
quando si sono registrati i flussi. Le stime della Banca
mondiale indicano che le rimesse scenderanno del 7-10
per cento nel 2009. Le rimesse verso l’Africa sub-sahariana e l’Europa e l’Asia centrale dovrebbero diminuire del 4,4 per cento e del 10,1 per cento rispettivamente. Inoltre, la Banca interamericana di sviluppo stima
che il calo delle rimesse «avrà un effetto diretto su più
di 1 milioni di famiglie in America Latina e Caraibi, la
metà delle quali in Messico».
Il calo delle rimesse è in gran parte dovuto al fatto
che i lavoratori migranti sono stati colpiti più duramente dalla recessione rispetto ai nativi. Un rapporto
del Centro di studi sull’immigrazione evidenzia come
la disoccupazione tra gli immigrati [legali e illegali] negli Stati uniti è stata maggiore nel primo trimestre del
2009 che in qualunque momento a partire dal 1994,
quando i dati sugli immigrati sono stati raccolti separatamente per la prima volta. L’aumento della disoccupazione nel mercato del lavoro spagnolo ha particolarmente colpito la popolazione migrante. Mentre il
tasso di disoccupazione complessivo era intorno al 17
per cento nel primo trimestre del 2009, il tasso di disoccupazione tra i lavoratori stranieri ha raggiunto il
28 per cento.
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La situazione attuale offre pochi motivi per essere ottimisti sul futuro. Gli economisti della Banca mondiale e il Ratha Dilip e Mohapatra Sanket temono che «se
la crisi sarà più profonda e se durerà ancora a lungo, il
calo nei flussi delle rimesse può diventare ancora più
consistente». Essi sostengono anche che l’indebolimento dei mercati del lavoro nei paesi di accoglienza dei migranti rischiano di portare ad una maggiore intensificazione dei controlli sull’immigrazione, e, di conseguenza, influenzare negativamente i flussi di rimesse.
Il rafforzamento dei controlli sull’immigrazione non
è un fenomeno nuovo, ma può essere aggravato, nel contesto della crisi economica globale. Nel 2006, il Regno
Unito ha introdotto un sistema a punti per i potenziali
immigranti in base al loro «attributi» rispetto al mercato del lavoro, come il titolo di studio, i guadagni precedenti e l’età.
Tale sistema favorisce i migranti altamente qualificati rispetto a quelli poco o non qualificati. L’Home office ha stimato che il numero di immigrati extra-Ue altamente qualificati che entrerà in Gran Bretagna dopo
l’aprile 2009 diminuirà di quasi la metà a causa dei requisiti di accesso più severi.
Nell’ottobre 2008, la Spagna ha introdotto un «programma di rimpatrio volontario» per dare incentivi finanziari ai migranti disposti a tornare nel loro paese
d’origine. Se il lavoratore migrante accetta di non tornare in Spagna per tre anni, gli vengono rimborsati i
contributi sulla disoccupazione: 40 per cento in anticipo e il saldo al ritorno nel loro paese d’origine. Più recentemente, nel maggio 2009, la Camera dei deputati
italiana ha approvato una legge che ha reso l’entrare o
soggiornare in Italia senza permesso un reato punibile con una multa di 5 mila euro a 10 mila euro. Ha creato delle «ronde» cittadine anti-crimine e definito pene
fino a tre anni di reclusione per proprietari che affittano case a immigrati irregolari.
IL RAFFORZAMENTO DEI CONTROLLI SULL’IMMIGRAZIONE
È UN FENOMENO RELATIVAMENTE NUOVO
CHE LA CRISI ECONOMICA GLOBALE STA INTENSIFICANDO.
IN INGHILTERRA C’È IL PERMESSO DI SOGGIORNO A PUNTI
La dipendenza dalle rimesse
Il calo delle rimesse inciderà pesantemente sulle economie dei paesi in via di sviluppo. Eppure, anche se disponibili, le rimesse non devono essere considerate come
una strategia di sviluppo sostenibile. Le rimesse sono
prevalentemente spese per i consumi, piuttosto che per
il risparmio o per gli investimenti. Uno studio della Banca mondiale sulle abitudini di spesa delle rimesse in sei
paesi est-europei rivela che solo circa il cinque per cento delle rimesse viene investito in attività imprenditoriali. L’utilizzo delle rimesse allevia la povertà delle famiglie, ma non crea nuovi posti di lavoro attraverso investimenti, che accrescerebbero le entrate e possibilmente preverrebbero nuovi flussi migratori.
Inoltre, nuovi modelli di consumo, resi possibile dalla disponibilità di valuta estera, si traducono in un au-
MIGRAZIONI E COOPERAZIONE
Il Laboratorio Migrazioni e Sviluppo è uno spazio di incontro e progettazione culturale e politica, promosso da Cespi
insieme a Acli, Arci, Etimos, Ipsia, Ucodep e Wwwf, dedicato a migrazioni e cooperazione internazionale. In collaborazione con la Provincia di Roma il Laboratorio [on line è leggibile il Manifesto del Laboratorio con le proposte ad
associazioni, istituzioni, enti locali, imprese, università, www.cespi.it] ha organizzato iniziative di formazione
coinvolgendo associazioni di migranti e incontri con gli enti locali a proposito di cooperazione decentrata. Attraverso il Laboratorio, inotre, è nato www.mandasoldiacasa.it, il primo sito italiano per la comparazione dei costi delle rimesse: «Attraverso le diverse attività – si legge on line –, si è cercato di rinforzare il circolo virtuoso tra cooperazione verso i paesi di origine e integrazione dei migranti in Italia». Insomma, uno spazio di relazioni che racconta il «protagonismo responsabile dei nuovi cittadini
transnazionali».
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mento delle importazioni, che aumenta il deficit della
bilancia dei pagamenti. Ciò stimola la domanda nazionale di trasferimenti aggiuntivi delle rimesse. In questo senso, le rimesse contribuiscono all’instabilità
macro-economica. Il reddito fornito dalle rimesse può
anche avere l’effetto di assolvere i governi dei paesi riceventi dalla responsabilità di sviluppare politiche economiche e sociali a lungo termine per affrontare la povertà e la disuguaglianza, che sono le principali cause
di emigrazione. In sintesi, una forte dipendenza dalle rimesse induce il governo alla passività e ostacola gli investimenti privati, che a loro volta influiscono sul mercato del lavoro e spingono maggiormente alla migrazione e, quindi, a generare ulteriori rimesse.
In una strategia di sviluppo basata sulle rimesse, i
migranti sono tenuti a sostenere i rischi e i costi connessi alla migrazione, per soddisfare i propri bisogni di base e quelli delle loro famiglie.
I migranti sono inoltre tenuti a competere nel mercato globale per garantire un minimo welfare sociale ed economico, dato che non sono più garantiti dal
governo. Eppure, gran parte della popolazione mondiale è lasciata fuori dal quadro: coloro che non migrano e non hanno un migrante nella loro famiglia. I più
I MIGRANTI SONO IL 3 PER CENTO DELLA POPOLAZIONE
MONDIALE, MENTRE CIRCA IL 39 PER CENTO
DEGLI ABITANTI DEL PIANETA SOPRAVVIVE
CON MENO DI DUE DOLLARI AL GIORNO
poveri dei poveri non migrano a causa dei costi necessari [viaggio, documenti e le spese di soggiorno nel
paese ospitante]. I migranti internazionali costituiscono solo il 3 per cento della popolazione mondiale, mentre circa il 39 per cento, cioè 2,6 miliardi di persone,
viveva con meno di 2 dollari al giorno nel 2005. La
maggior parte delle persone sono così rimaste senza
opzioni: non possono migrare né affidarsi a una protezione di base dello Stato. Anche per coloro che possono permettersi di migrare, la generazione di rimesse non è senza costi.
Il costo dei trasferimenti
Le rimesse sono spesso descritte come una fonte di reddito a costo zero per i Paesi in via di sviluppo poiché, al
contrario di prestiti, non hanno bisogno di essere rimborsati. Tale quadro, tuttavia, è lungi dal riflettere la
realtà. Per la grande maggioranza di migranti, le rimes-
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se richiedono l’assunzione di rischi, duro lavoro e sacrifici. I rischi comprendono i disagi provati viaggiando
verso un ricco paese industriale. Durante la sola prima
metà del 2009, 339 persone che tentavano di attraversare il Mediterraneo dal Nord Africa verso l’Italia e Malta sono stati segnalati come morti o dispersi. Altri 87 sono risultati dispersi o deceduti durante i tragitti in barca dall’Africa occidentale verso la Spagna e 8 nel Mar
Egeo tra Turchia e Grecia [Fortress Europe, 2009].
Inoltre, le rimesse sono, nella maggior parte dei casi, frutto di duro lavoro in mercati non accoglienti ed in
condizioni precarie. Nei paesi industriali avanzati, la
stragrande maggioranza degli immigrati sono relegati
a lavori poco qualificati e sottopagati. Questo segmento di popolazione è spesso utilizzato come forza lavoro
a basso costo e flessibile. Un numero significativo di immigrati inoltre gode meno dei diritti sociali, economici e politici rispetto ai nativi.
Il fatto che nessun paese europeo abbia ratificato la
Convenzione Onu del 1990 sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie è un indicazione della loro
mancanza di impegno verso il miglioramento del benessere dei migranti. Il sacrificio dei migranti può anche
consistere in una sofferenza emotiva. È la sofferenza
che può essere correlata alla separazione dalla propria
famiglia, lavorando al di sotto delle loro qualifiche, o di
essere oggetto di razzismo e discriminazione.
L’azione di inviare rimesse in sé non è esente da costi e difficoltà. Le rimesse di solito comportano costi finanziari. Un numero crescente di banche e istituti finanziari vede le possibilità di profitto che le rimesse rappresentano. Sebbene molti analisti e politici, anche nell’Unione europea, si battono per la riduzione dei costi
delle rimesse, i governi dei paesi fonti di rimesse fanno
poco per eliminare gli ostacoli ai trasferimenti e migliorare l’accesso ai servizi di rimessa per i più poveri.?Inoltre, molti migranti si impongono forti limiti di spesa, per
poter inviare soldi a casa.
Trasferire le rimesse può richiedere sacrifici grandi
considerando i bassi salari e l’alto costo della vita nei
paesi avanzati industriali. Ciò può impedire ai migranti di risparmiare e quindi di investire in una propria attività o di avere accesso ad una migliore sistemazione
o all’istruzione.Tutti questi problemi sono in contraddizione con i discorsi che presentano le rimesse come
semplice fonte di reddito a costo zero per i paesi in via
di sviluppo.
Spezzare il ciclo della dipendenza
Mentre le rimesse contribuiscono alla riduzione della
povertà, non dovrebbe essere considerate come una panacea per lo sviluppo. I governi dei paesi che ricevono
rimesse dovrebbero cercare di spezzare il ciclo della dipendenza, garantendo una buona protezione sociale e
un clima d’investimento sicuro. Questo permetterebbe
di investire maggiormente le rimesse nell’economia locale, che a sua volta, genererebbe più posti di lavoro e
diminuirebbero la spinta a migrare.
La promozione delle rimesse dovrebbe essere solo
una parte della strategia di sviluppo di un paese, accompagnata da politiche statali mirate a garantire la realizzazione di servizi pubblici, come sanità e istruzione, il
miglioramento della sicurezza sociale, e rendendo il
paese sicuro per gli investimenti.
Le debolezze insite nelle strategie di sviluppo basate sulle rimesse sono venute alla luce a seguito dell’attuale recessione economica. I paesi che ricevono rimesse dovrebbero anche presentare i vantaggi della migrazione e delle rimesse nelle arene internazionali, come
NON SOLO MIGRARE NON È UN CRIMINE,
MA TUTTI I PAESI CHE RICEVONO IMMIGRATI
DOVREBBERO RICONOSCERE IL SIGNIFICATIVO CONTRIBUTO
DEL LAVORO DEI MIGRANTI ALLE LORO ECONOMIE
nelle riunioni dell’Organizzazione mondiale del commercio e delle Nazioni unite.
Infine, essi dovrebbero cooperare strettamente con
i paesi fonte di rimesse per garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti.
I paesi fonte delle rimesse, se sono veramente impegnati ad accrescere il potenziale di sviluppo delle rimesse, dovrebbe incorporare la migrazione e le rimesse nelle politiche di aiuto allo sviluppo.
Tale integrazione dovrebbe andare oltre il mero riconoscimento, attraverso la promozione di politiche
d’immigrazione più aperte verso i cittadini dei paesi
impoveriti, così come di sforzi concreti per facilitare
il trasferimento delle rimesse. La liberalizzazione dell’immigrazione non implica una rimozione completa
di restrizioni, ma un aumento realistico delle quote
per gli immigrati legali. Forse ciò che è più urgente nel
contesto attuale è arrestare la criminalizzazione dei
migranti.
Non solo migrare non è un crimine, ma i paesi che
ricevono immigrati dovrebbero riconoscere il significativo contributo dei migranti alle loro economie nazionali. Infine, i paesi di accoglienza devono dimostrare il loro impegno per la tutela dei diritti dei migranti attraverso la ratifica della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie.
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Il nuovo razzismo
ha tante facce diverse
IN TUTT’EUROPA, LE AGGRESSIONI A SFONDO RAZZIALE SONO IN CONTINUO AUMENTO.
L’ODIO E IL PREGIUDIZIO COLPISCONO IN VARI MODI, DALLO SFRUTTAMENTO NEI LUOGHI DI LAVORO
ALLA NEGAZIONE DEL DIRITTO A UNA CASA E ALLE CURE SANITARIE. IN NOME DELLA SICUREZZA...
2010
Milano, 14
settembre
2010
A due anni
dalla morte
di Abba.
Foto di Paolo
Poce
Emblema
DI LUCIANO SCAGLIOTTI [EUROPEAN NETWORK AGAINST RACISM]
S
ECONDO LA COMMISSIONE europea contro il razzismo
e l’intolleranza, in Europa «la situazione continua
a essere preoccupante». Gli incidenti e i reati a
sfondo razziale, tra cui le aggressioni violente, contro
le minoranze visibili, cioè le persone di origine africana e asiatica, sono in continuo aumento. Le persone rom
si trovano inoltre ad affrontare diffusi atteggiamenti e
pregiudizi negativi così come la discriminazione e l’esclusione in ogni ambito della loro vita. La discriminazione religiosa è un’esperienza quotidiana per le minoranze e i gruppi religiosi, in particolar modo per i musulmani e le comunità ebraiche.
3 6 • C A R TA N . 3 1 A L M A N A C C O
Gli immigrati sono vulnerabili contemporaneamente a diverse forme di razzismo, tra cui la schiavitù e numerose forme di discriminazione istituzionalizzata o legalizzata. Vi sono inoltre prove di manifestazioni di razzismo nei confronti di cittadini europei, in particolare
contro i cittadini della Bulgaria e della Romania.
Sebbene la situazione cambi da paese a paese, ricerche condotte nel 2008 dimostrano la persistenza di razzismo e discriminazione razziale in molti ambiti: nel diritto all’alloggio, nell’impiego, nell’istruzione, nella salute, nelle operazioni di polizia e di schedatura razziale, nei reati e nella violenza, nell’accesso a beni e servizi e nella narrazione dei mezzi di comunicazione e della politica [per una descrizione dettagliata e un’analisi
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della situazione dei 27 dell’Ue, è disponibile il Rapporto Enar Shadows reports su www.enar-eu.org].
È molto probabile che le minoranze etniche e religiose non abbiano un tetto o vivano in un’abitazione di bassa qualità. La discriminazione razziale nel settore dell’impiego rimane la più grande barriera all’inclusione
economica e sociale delle minoranze, e i migranti e i rifugiati sono particolarmente vulnerabili agli effetti dell’attuale crisi economica globale. Livelli di accesso diseguali, conseguimenti e risultati differenti segnano la partecipazione delle minoranze nel campo dell’istruzione,
a causa di barriere dirette e indirette, di condizioni di segregazione e della bassa qualità dell’istruzione fornita.
L’accesso alle cure per la salute è limitato dallo status legale così come da fattori quali la segregazione abitativa, l’impiego, i meccanismi di indennità sociale e la
povertà. Le forze di polizia non sembrano rispondere
sempre in modo appropriato ai reati di razzismo e sono anche responsabili di pratiche razziste e di abusi contro le minoranze etniche e religiose; la profilatura etnica e razziale è sempre più utilizzata come metodo accettato nella lotta contro la criminalità e il terrorismo, nonostante sia inefficace e anche controproducente. Il reato a sfondo razziale e il maltrattamento delle minoranze etniche e religiose sta guadagnando sempre più consenso pubblico. Un aumento della violenza e dei reati
per motivi razziali si nota in Bulgaria e a Cipro, mentre
si assiste a un decremento solo in Belgio, Francia, Germania e Slovenia.
Le persone che appartengono a minoranze etniche, tra cui gli immigrati, hanno difficoltà ad accedere a meccanismi di difesa
fondamentali. Il ricorso a rimedi legali è spesso impedito dalla mancanza di informazioni e di strumenti
di base [obbligatori per legge] come interpreti legali e documenti tradotti. I servizi finanziari, tra cui l’assicura-
LA DISCRMINAZIONE RAZZIALE NEL SETTORE DELL’IMPIEGO
È LA BARRIERA PIÙ GRANDE ALL’INCLUSIONE SOCIALE.
C’È POI L’ACCESSO ALLE CURE E ALL’ASSISTENZA SANITARIA,
CHE È VINCOLATO ALLO STATUS DI «REGOLARE»
zione, sono in genere più costosi per i non cittadini; inoltre, esistono davvero pochi servizi specifici e tra quelli esistenti pochi forniscono informazioni in lingue diverse. Si nota poi un aumento significativo del razzismo
nei mezzi di comunicazione, così come pure un aumento del sostegno a partiti politici di matrice razzista e xenofoba. Gli atteggiamenti xenofobi sono diventati normali nelle posizioni prese dai principali partiti.
Quasi tutti i paesi europei hanno adottato provvedimenti legali contro la discriminazione razziale. Ancora grandi lacune devono essere colmate. Le più importanti sono la distanza e l’inconsistenza tra la legislazione e la sua attuazione. Inoltre, alcuni paesi stanno indebolendo la legislazione con provvedimenti non specifici contenuti in altre leggi [come le leggi sull’immigrazione] e con le misure di sicurezza e antiterrorismo [l’esempio più eclatante è la legge adottata recentemente
in Italia, detta «pacchetto sicurezza» che rischia di avere, e già ha avuto, un’influenza negativa sia sui diritti
fondamentali dei migranti e dei richiedenti asilo, sia sulla percezione pubblica delle minoranze etniche e religiose, compresa la popolazione rom]. I rimedi legali sono spesso appena accessibili a coloro che fanno parte di
gruppi vulnerabili; gli organismi specializzati hanno poteri e portata limitati e poche risorse; e le forze di polizia non hanno una formazione specifica né sono controllate rispetto a possibili comportamenti discriminatori. A livello europeo, uno sviluppo positivo è l’adozione da parte del Consiglio europeo [sette anni dopo la proposta iniziale della Commissione] della Decisione qua-
CRISI E XENOFOBIA IN REPUBBLICA CECA
La crisi economia ha peggiorato la situazione dei lavoratori stranieri e dei rom nella Repubblica Ceca. Circa
250 mila rom vivono in condizioni di grande marginalità. Nel 2008, l’Agenzia per l’integrazione sociale negli
insediamenti rom, ha cominciato a lavorare per migliorare le condizioni di vita dei rom. Le Ong auspicavano
che fosse il segno di un cambiamento dell’atteggiamento dello Stato. A distanza di due anni, le speranze riposte sono state
deluse. Nel 2009, il ministro dell’interno Langer dichiarava che «non è normale non lavorare e non mandare i bambini a scuola, un tale atteggiamento fornirà una spinta per attacchi a sfondo razziale». Nel 2008, c’erano ufficialmente 438301 stranieri
nel paese e 3829 persone erano segnalate perché risiedevano illegalmente in Repubblica Ceca. Già nel 2008, i lavoratori stranieri subiscono la crisi economica. Nel 2009, il ministero del lavoro ha soppresso decine di migliaia di permessi di lavoro e il
ministero dell’interno ha stabilito un programma di ritorno volontario. [Sasa Uhlova, Adeptts, e Pavel Porizek, Soze]
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dro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia [2008].
Sebbene attenuato durante i lavori inter-governativi,
rimane pur sempre uno strumento importante anche se
necessita di essere coerentemente attuato dagli stati
membri, che spesso non ne riconoscono la priorità.
Sulla legislazione antidiscriminazione, l’Ue afferma
che la così detta «direttiva sull’eguaglianza razziale»
[2000] sia la più avanzata legislazione al mondo. Sfortunatamente presenta gravi limitazioni: l’articolo 2
esclude «i trattamenti causati dallo status legale dei cittadini di paesi terzi», quindi permette agli stati membri di adottare leggi sull’immigrazione discriminatorie
e crea de facto un limite all’accesso alle riparazioni legali contro le discriminazioni razziali. In più, l’attuazione nelle legislazioni degli stati membri è lontana dall’essere realizzata, fatto che ha costretto la Commissione
europea a intraprendere procedure di infrazione nei
confronti di molti stati. Lo stesso divario persiste nella mancata attuazione di altre politiche, in particolare
su immigrazione, integrazione e inserimento sociale.
Razzismo e discriminazione razziale possono essere confusi con trattamenti diseguali nei confronti di cittadini di paesi terzi. Oltretutto, le politiche di immigrazione restrittive possono minare il principio di non-discriminazione così come gli impegni dell’Ue nel combattere il razzismo. Tracciare un confine tra discri-
minazione razziale e discriminazione in base alla nazionalità è difficile: i cittadini di
paesi terzi sono in larga parte membri di minoranze sia etniche che religiose. Di conse-
guenza, queste minoranze sono sproporzionatamente
soggette a discriminazione anche «strutturale e legittima» sulla base della nazionalità. Il reato a sfondo razzista anche violento è spesso causato o aggravato dalle percezioni e dalle rappresentazioni dei migranti e richiedenti asilo.
Le politiche dell’Ue e dei suoi stati membri sono basate solo su un approccio utilitaristico, mirato al ruolo
economico dei migranti piuttosto che sul rispetto dei loro diritti fondamentali. Dichiara l’Unesco: «Non c’è garanzia che la logica delle economie e quelle dei diritti
umani porteranno esattamente alle stesse protezioni ed
esattamente allo stesso livello; anzi, quando uno di questi è subordinato all’altro, una convergenza simile è improbabile. Forse e in maniera più importante, tuttavia,
la logica economica usata per giustificare un insieme di
diritti nel contesto della migrazione legale, spinge maggiormente nella direzione opposta se confrontata con il
tema su come gestire i migranti irregolari. Né i ‘diritti
come incentivo’, né come ‘ciliegina sulla torta’ lasciano spazio concettuale per un sistema forte di protezione nei confronti di questo gruppo vulnerabile di perso3 8 • C A R TA N . 3 1 A L M A N A C C O
IL COLLEGAMENTO TRA SICUREZZA E MIGRANTI
PROPAGANDATO DA POLITICI E MASS MEDIA
HA RAFFORZATO GLI ATTEGGIAMENTI RAZZISTI E XENOFOBI,
TENDENZA CONFERMATA DAL SUCCESSO DELLE DESTRE
ne, come dimostra la legislazione Ue in questo campo».
Il collegamento tra sicurezza [compreso il terrorismo]
e migranti o appartenenti a minoranze etniche e religiose, ha rafforzato gli atteggiamenti razzisti e xenofobi; una
tendenza confermata dal successo alle ultime elezioni del
parlamento europeo dei partiti dell’estrema destra che
appoggiano apertamente posizioni xenofobe e razziste.
La percezione e la rappresentazione negativa degli immigrati non colpisce solo cittadini di paesi terzi, ma anche cittadini dell’Ue, in particolare i cittadini dei «nuovi» stati membri o appartenenti a minoranze etniche, religiose e linguistiche, in particolare rom e musulmani.
I Principi fondamentali comuni per l’integrazione dei
migranti adottati il 19 novembre 2004 dal Consiglio per
la giustizia e gli affari interni, stabiliscono una base per
politiche di integrazione. Purtroppo, a distanza di cinque anni, i sondaggi mostrano come siano pochi gli stati che hanno dato attuazione a questi principi e comunque in maniera limitata. Piuttosto che dare massimo risalto ai Principi, i governi dell’Ue hanno spesso sovrapposto argomenti di sicurezza e controllo all’integrazione. Provvedimenti quali i test sulla lingua e sull’integrazione sono stati spesso mal interpretati o usati erroneamente per limitare i diritti fondamentali dei migranti.
Antidiscriminazione e integrazione sociale sono legate da una relazione diretta e reciproca. Un trattamento
imparziale e la non discriminazione diventano un prerequisito per l’integrazione nella società d’accoglienza;
l’integrazione sociale ed economica è un passo inevitabile verso l’uguaglianza. Purtroppo sia a livello europeo
che nazionale questo legame è spesso ignorato. I piani
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d’azione per l’integrazione sociale raramente includono
misure specifiche sugli svantaggi che devono affrontare le minoranze etniche e religiose. L’antidiscriminazione è spesso limitata alla protezione legale degli individui,
invece che alla promozione dell’uguaglianza attraverso
provvedimenti sociali ed educativi. Ci sono pochi esempi di integrazione positiva e di politiche di integrazione
sociale. La situazione dei rom ne è un chiaro esempio.
Nel circolo vizioso della discriminazione
razziale e dell’esclusione sociale, i rom vivono una sistematica e istituzionalizzata esclusione sociale che ricade sull’istruzione dei
bambini, sulla salute, il lavoro e l’alloggio e che rafforza la discriminazione nei loro confronti così come la percezione pubblica negativa.
Sradicare la discriminazione razziale richiede un approccio integrato, basato sul rispetto dei diritti umani
fondamentali. Per quello che concerne migranti e richiedenti asilo, il Network europeo contro il razzismo
ha proposto 15 principi come base per un approccio
non-discriminatorio:
1. Promuovere valori, idee e principi positivi: le percezioni comuni spesso diventano pregiudizi politici che
si basano sulla premessa che ai migranti non è consentito il pieno godimento dei diritti umani.
2. Usare una terminologia positiva nei dibattiti pubblici: la terminologia non deve perpetuare un’immagine negativa dei migranti.
3. Mantenere un approccio basato sui diritti umani:
l’attuazione della legge comunitaria deve essere conforme agli standard internazionali sui diritti umani.
4. Conformarsi agli strumenti per i diritti umani: l’Ue
dovrebbe assicurare che ogni sua azione, decisione, regolamento e direttiva sia in linea con gli standard internazionali sui diritti umani.
5. Usare dati demografici per sfidare i pregiudizi: le
statistiche demografiche e di altro tipo possono essere
pubblicizzate per mostrare quanto i migranti contribuiscono culturalmente, socialmente ed economicamente.
6. Assicurare un trattamento non discriminante a tutti, indipendentemente dallo status o dalla nazionalità.
7. Rispettare il legame tra antidiscriminazione, migrazione, integrazione e inserimento sociale: l’integrazione non deve essere usata come mezzo per limitare l’esercizio dei diritti umani dei migranti e non deve escludere o discriminare a nessun livello.
8. Attuare le leggi esistenti sul lavoro: rafforzare l’attuazione e l’applicazione delle leggi nazionali e comunitarie esistenti sul lavoro, comprese quelle delle Convenzioni Ilo deve essere una priorità.
9. Proteggere i diritti dei lavoratori: i diritti umani
fondamentali devono riguardare ogni lavoratore, indi-
pendentemente dal suo status o qualifica - e occorre
evitare la criminalizzazione diretta o indiretta di coloro che subiscono lo sfruttamento, ad esempio, attraverso l’applicazione delle politiche di detenzione e
espulsione.
10. Assicurare una politica coerente: la coerenza politica con le politiche sociali e sull’impiego dell’Ue, con
la Strategia di Lisbona e con i diritti fondamentali, è requisito fondamentale per avere una politica efficace.
11. Promuovere politiche sensibili alle tematiche di genere e relative all’età: i bisogni particolari delle donne migranti devono essere considerati, così come quelli dei minori non accompagnati, dei giovani e degli anziani.
L’ANTIDISCRIMINAZIONE È TROPPO SPESSO LIMITATA
ALLA PROTEZIONE LEGALE DEGLI INDIVIDUI
INVECE CHE ALLA PROMOZIONE DELL’UGUAGLIANZA
ATTRAVERSO AZIONI POSITIVE E PROVVEDIMENTI SOCIALI
12. Partecipazione: i migranti devono essere ascoltata nei processi decisionali sulle politiche d’immigrazione.
13. Assicurare un’istruzione equa: è importante perseguire politiche che possano promuovere l’istruzione
per minori immigrati, insieme ai bisogni educativi dei
migranti in generale, compresa le seconde generazioni.
14. Riconoscere il contesto globale: affrontare la povertà e l’esclusione sociale, con particolare riguardo al
contesto di crisi economica globale.
15. Essere proattivi e non reattivi: un approccio positivo verso l’immigrazione richiede alla società civile e
ai legislatori di essere proattivi nell’ottenere un approccio sull’immigrazione basato sui diritti.
Gli stessi principi dovrebbero applicarsi alle politiche relative alle minoranze etniche e religiose. L’Ue e i
suoi stati membri dovrebbero combattere attivamente i collegamenti negativi che stigmatizzano gruppi specifici, come i rom o i musulmani, facendo particolare attenzione al linguaggio usato dai mezzi di comunicazione o da attori politici. I diritti umani come la libertà di
religione, libertà di movimento e il diritto alla famiglia,
non dovrebbero essere minacciati, in nessuna circostanza. Gli appartenenti alle minoranze etniche e religiose
dovrebbero essere protette dalla discriminazione per ciò
che riguarda l’impiego, l’alloggio, l’istruzione e la salute; questo dovrebbe includere provvedimenti che affrontano le situazioni di svantaggio e che tengono conto delle diversità culturali. Le minoranze dovrebbero
inoltre avere voce in capitolo durante i processi decisionali e di formulazione delle politiche.
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L’Onu raccomanda,
l’Europa ignora
I DIRITTI UMANI CHE VENGONO SANCITI DALLE CONVENZIONI DELLE NAZIONI UNITE
SOLO RARAMENTE VENGONO RICONOSCIUTI DALLA LEGISLAZIONE E DAI REGOLAMENTI EUROPEI.
IL QUADRO NORMATIVO IN MATERIA DI MIGRAZIONE, TRA SUSSIDIARIETÀ E VUOTO GIURIDICO
DI RENÉ PLAETEVOET E NICOLA FLAMIGNI
D
ALL’APPROVAZIONE DEL TRATTATO di Amsterdam nel
1999 le difficoltà incontrate dalle politiche comunitarie relative all’ingresso e alla permanenza di
migranti economici sono molte. Nel 2001, la proposta
della Commissione europea di una direttiva generale sulla permanenza di lavoratori migranti non ha trovato
d’accordo il Consiglio europeo. Da allora la tendenza è
stata quella della sussidiarietà della competenza in questa area di politica. Nell’ottica però di sostenere i precedenti impegni politici per una comune area di libertà, sicurezza e giustizia, la Commissione ha rilanciato il dibattito sul «valore aggiunto» di politiche comuni sul lavoro.
Il libro verde su un possibile approccio dell’Ue nella gestione delle migrazioni economiche è stato presentato nel 2004. Nonostante la maggior parte
della società civile che ha preso parte al processo di consultazione fosse d’accordo su un
approccio orizzontale basato sui diritti
umani, la maggior parte degli Stati membri
ha espresso il proprio sostegno per una politica che favorisse misure per attrarre lavoratori qualificati a discapito degli altri. Il pro-
gramma di Hageu [2005-2010] riafferma la riluttanza di
alcuni Stati membri per il raggiungimento di una posizione armonica sulle migrazioni economiche; seguendo queste discussioni, nel 2005 la Commissione ha presentato un piano sulle migrazioni legali introducendo
una lista di azioni e iniziative legislative da adottare entro il 2009.
Il piano non ha raggiunto i suoi scopi. Gli Stati membri rimangono liberi di porre le condizioni di entrata e
di permanenza, e gli accordi bilaterali fra Stati membri
e paesi terzi continuano a caratterizzare la gestione delle migrazioni economiche nell’Ue. Il piano sulle migrazioni descrive la situazione del mercato lavorativo comunitario come uno scenario di «bisogno» nel quale alcuni Stati membri hanno già sperimentato una sostan4 0 • C A R TA N . 3 1 A L M A N A C C O
ziosa perdita di forza-lavoro in certi settori dell’economia che non può essere colmata all’interno dei propri
mercati del lavoro. Anche il deficit demografico europeo con un tasso di nascite sempre più basso e un invecchiamento costante della popolazione, costituisce una
spinta per l’approvazione di politiche migratorie comunitarie. Su queste basi, l’aspettativa era quella di un piano politico che abbracciasse tutti i livelli di qualifiche.
Se il libro verde fallisce nel fornire l’idea di un approccio orizzontale per garantire condizioni di ammissione per tutti i migranti economici, il piano propone
quattro strumenti specifici e un quadro direttivo generale pensato per garantire un comune quadro di riferimento sui diritti dei migranti negli Stati membri che ancora non godono di «residenza a lungo termine». Le
quattro specifiche direttive riguardano queste categorie: lavoratori altamente qualificati, lavoratori stagionali, trasferimenti aziendali interni e tirocini retribuiti. L’approccio della Commissione indica la volontà di attrarre lavoratori qualificati in ambito comunitario.
La società civile, il mondo universitario, i sindacati e
alcune istituzioni consultive come il Comitato europeo
economico sociale temono che l’implementazione del
piano politico metta in discussione linee guida come il
trattamento equo, i diritti fondamentali e il principio di
non discriminazione. La critica principale riguarda la discrepanza fra i bisogni dei migranti e le linee proposte,
soprattutto sul lavoro non qualificato. Il piano menziona solo i lavoratori stagionali. Il piano fallisce nell’offrire un’adeguata e realistica strada per incontrare i bisogni del futuro mercato lavorativo europeo. Il rischio è che
la richiesta di lavoro migrante non qualificato continui
ad essere soddisfatta da migrazioni irregolari.
Numerosi Stati hanno approfittato della dilagante
ostilità nei confronti dei migranti per introdurre misure restrittive. In Italia, per esempio, il pacchetto sicurezza criminalizza l’immigrazione irregolare e chi la favorisce. E la Spagna ha tentato di elargire degli incentivi per
i migranti disoccupati intenzionati a tornare nei paesi
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Debutto
Uno dei partecipanti alle
manifestazioni per Abba, a due anni dalla sua
morte. In
quest’occasione si sono
mobilitati i
giovani migranti e le
seconde generazioni.
Foto di Paolo
Poce / Emblema
d’origine. Considerata la lentezza e la debolezza della legislazione europea nel campo delle migrazioni economiche, risulta alquanto improbabile che gli stati membri
ritengano necessario intervenire a livello europeo. È necessario che in quest’ambito i decisori non siano più decentrati, ma che le politiche siano coordinate a livello comunitario, senza con ciò togliere agli stati degli ambiti
decisionali così come specificato nel Trattato all’articolo 79, in cui si dice che sono gli stati ad esempio a determinare il volume degli ingressi. Il provvedimento era
stato ricordato nel patto sull’immigrazione e asilo politico della Presidenza europea francese nel 2008. Il Patto non costituisce vincolo legale ma rappresenta una forte affermazione di sussidiarietà e nazionalismo.
Nella seduta del 10 e dell’11 dicembre 2009, il Consiglio europeo ha adottato il Programma pluriennale
sulla giustizia e gli affari interni, il cosiddetto Programma di Stoccolma, per il periodo 2010-2014. Il programma cercherà di consolidare e di mettere in pratica una
politica sull’immigrazione e sull’asilo che garantisca solidarietà fra gli Stati membri e partenariati con gli stati non membri. Nel 2007 la Commissione europea pubblicò le due bozze di direttive per la cosidetta «Carta
Blu» per i migranti altamente qualificati. I criteri per ot-
BISOGNA CONSIDERARE LA LENTEZZA
E LA DEBOLEZZA DELL’UNIONE EUROPEA
NEL CAMPO DELLE LEGISLAZIONI CHE DISCIPLINANO
LO STATUS DEI MIGRANTI ECONOMICI
tenere tale carta includono un contratto di lavoro, una
qualifica professionale e un livello minimo di salario. Attrarre un certo tipo di migranti costituisce una strategia prioritaria per lo sviluppo economico dell’Unione europea. Il 25 maggio 2009 il Consiglio ha adottato senza
discussione la direttiva della «Carta Blu».
Gli stati membri avranno due anni per incorporare
le nuove direttive nella legislazione nazionale. In una
seconda direttiva la Commissione propone di garantire una serie di diritti a tutti i migranti provenienti da
paesi terzi legalmente residenti negli stati membri ma
non ancora in possesso di permessi a lungo termine, e
di introdurre una procedura unica per la richiesta di
soggiorno. La proposta illustra la volontà della Commissione di ovviare al gap dei diritti fra cittadini europei e
migranti garantendo parità in ambito non solo lavorativo, ma anche sanitario e educativo. Regolare i diritti
sociali ed economici dei lavoratori migranti significa ri24 - 30 SETTE M B R E 2010 • 41
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durre la competizione sleale fra gli stati membri e assicurare condizioni lavorative decenti. Negoziazioni
lunghe portano di solito a un affossamento della proposta iniziale, non c’è da stupirsi dunque se la direttiva finale offre meno protezioni di quella inizialmente prevista. Come affermato dal Comitato economico e sociale europeo, il punto di partenza per il dibattito deve essere il principio di non discriminazione. Lavoratori migranti al di là del periodo di permanenza autorizzato per
risiedere e lavorare, devono avere gli stessi diritti economici, lavorativi e sociali come gli altri lavoratori. In
questo senso i lavoratori stagionali non dovrebbero essere esclusi, anche se la Commissione sta preparando
una direttiva specifica per questa categoria.
su diritti umani, schiavitù, lavoro forzato, libertà personale e sicurezza, protezione contro violenze, confisca
di documenti di identità, espulsioni, cure mediche, educazione dei figli, ricongiungimenti familiari, trasferimento rimesse, diritto alla protezione e all’assistenza
del paese di origine.
L’Ilo propone degli standard lavorativi fondamentali per tutti i lavoratori, inclusi quelli migranti. I più importanti sono fissati dalla convenzione 97 e 143, la prima basata sul principio di trattamento equo, la seconda ha invece la finalità di eliminare le migrazioni clandestine e l’impiego irregolare e dispone di raccomandazioni per il rispetto dei diritti dei migranti irregolari. Se
guardassimo all’iter di ratifica di queste convenzioni ve-
Nella presentazione del piano politico la
Commissione sottolineò che il presente
piano rappresentava un equo approccio basato sul rispetto dei diritti di tutti gli immigrati. Questa retorica è stata ribadita alla proposta del
LEGGI E REGOLAMENTI DEI PAESI DELL’UNIONE EUROPEA
Programma di Stoccolma. Questo non si basa comunque su un impegno ad un rispetto internazionale. Le
migrazioni economiche internazionali, per la loro natura, coinvolgono più di un paese e quindi richiedono
meccanismi per assicurare che ogni paese coinvolto sia
rispettoso delle leggi, delle politiche e delle pratiche che
hanno un impatto sulle vite dei lavoratori migranti e le
loro famiglie. È il caso dei paesi di origine, transito e destinazione. Perché questa responsabilità sia effettiva è
importante che tutti gli attori interessati siano coinvolti in questo processo, non solo i governi, ma anche la società civile e le agenzie internazionali. Leggi e regolamenti Ue dovrebbero essere guidati da standard sui diritti umani così come approvato e adottato dalla comunità internazionale.
La Convenzione sui migranti lavoratori delle Nazioni unite copre l’intero processo di migrazione. Oltre alle questioni legate all’impiego, include provvedimenti
DOVREBBERO ESSERE GUIDATI DA STANDARD
SUI DIRITTI UMANI COSÌ COME APPROVATO
NEGLI ANNI DALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
dremmo come gli stati europei sono ancora molto indietro. Nessuno degli Stati europei ha ratificato la prima,
10 hanno ratificato la Convenzione Ilo 97 e solo 5 la convenzione Ilo 143. Significa che al fine di assicurare il rispetto internazionale bisognerebbe ottenere che tutti gli
stati membri ratifichino queste convenzioni come hanno già fatto per la Crc o per la Cedaw.
C’è bisogno di un quadro di riferimento comune, basato sui principi e standard dei diritti umani internazionali e sulla reciproca fiducia. L’approccio settoriale proposto dalla Commissione europea, il Consiglio europeo
e gli stati membri complica la gestione delle politiche
migratorie escludendo i lavoratori non qualificati e non
prendendo in considerazione il rispetto per i diritti umani dei migranti economici e delle loro famiglie.
LA NUOVA CORTINA DELL’UNGHERIA
L’Ungheria si è aperta all’immigrazione nel 1989, con la caduta della cortina di ferro. Nel 2007, c’erano 166.693 cittadini stranieri, che rappresentavano l’1,6 per cento della popolazione. I due terzi dei migranti che risiedono legalmente in
Ungheria provengono dai paesi vicini e sono per lo più di origine ungherese, il 12 per cento proviene dai paesi asiatici
[soprattutto Cina e Vietnam] e il 12 per cento è di cittadinanza europea. Nel 2007, i richiedenti asilo erano 3419 provenienti soprattutto
dal Vietnam, dalla Serbia, dalla Cina, dal Montenegro e dall’Iraq. Quanto ai migranti cosiddetti «irregolari», stimati tra 30 e 50 mila nel
2007, sono per lo più cittadini in transito e lavoratori stagionali, oltre a quelli che risiedono nel paese. Si tratta di cittadini cinesi, vietnamiti, ucraini, serbi, africani o di altri paesi asiatici, entrati in Ungheria con un permesso regolare poi scaduto. La lotta contro l’immigrazione irregolare è uno dei cavalli di battaglia dell’Ungheria, dove xenofobia e nazionalismo sono in crescita e dove l’estrema destra raccoglie numerosi consensi. [dalla relazione Matyas Benyik, di Attac Ungheria]
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I migranti giovani
non hanno confini
SENZA LE MIGRAZIONI LA SOCIETÀ EUROPEA AVREBBE GIÀ INIZIATO IL SUO CALO DEMOGRAFICO.
PER DI PIÙ, LA POPOLAZIONE CHE VARCA I CONFINI È ESSENZIALMENTE GIOVANE.
E QUANDO SI PARLA DI GIOVANI SI PARLA SEMPRE PIÙ SPESSO DI CITTADINI DEL MONDO
DI MARCO PEROLINI [EUROPEAN YOUTH FORUM]
L
’EUROPA STA AFFRONTANDO importanti cambiamenti demografici. La percentuale di giovani all’interno delle società europee sta diminuendo in modo
significativo, e ciò avrà importanti conseguenze per il
modello sociale europeo, soprattutto relativamente al
welfare, all’istruzione e all’occupazione.
I tassi di nascita attuali non sono sufficienti ad assicurare alla società la capacità di rinnovare sé stessa. Tra
il 2005 e il 2030, si prevede che la popolazione in età da
lavoro [15-64 anni] diminuisca di 20,8 milioni. L’indice
demografico di dipendenza, definito dal rapporto tra la
popolazione dipendente [0-14 e oltre i 65 anni] e quella non dipendente [15-64 anni], salirà dal 49,5 al 66,3 nel
2030. D’altra parte le persone giovani rappre-
sentano un’importante parte delle comunità migranti, il cui più alto tasso di fertilità
ha già portato dei benefici all’equilibrio demografico europeo. Come rileva l’United nations
population fund [Unfpa], i giovani rappresentano storicamente una grande parte della popolazione migrante: i «giovani» di età fino a 29 anni rappresentano circa la metà dei flussi migratori globali. La popolazione
europea continuerà a crescere leggermente fino al 2050
grazie al saldo dei flussi migratori.
Senza le migrazioni, la società europea avrebbe già
iniziato il suo declino demografico. A dispetto delle statistiche, il punto di vista dei giovani è raramente considerato nel dibattito nazionale e internazionale sulle
migrazioni. La relazione tra migranti e gioventù nel
contesto europeo può essere analizzata a partire da vari punti di vista. Le correnti politiche europee collocano le migrazioni nel contesto della strategia europea di
Lisbona sulla crescita e il lavoro concentrando l’attenzione sulla necessità di contenere i cambiamenti demografici al fine di garantire la crescita.
Molti provvedimenti sono stati adottati in settori
chiave quali l’occupazione e l’istruzione al fine di mas4 4 • C A R TA N . 3 1 A L M A N A C C O
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Incontri
Ci si incontra
in piazza a
Milano.
Sullo sfondo,
un ritratto
di Abba. Foto
di Paolo
Poce
Emblema
simizzare di rafforzare la capacità dell’Europa di divenire un’economia fondata sulla conoscenza. Questi
provvedimenti hanno un impatto cruciale sulla vita dei
giovani migranti.
L’Europa ha definito condizioni speciali di ingresso e
residenza per i cittadini provenienti da paesi terzi; si
tratta di requisiti che sono funzionali allo sviluppo di
un’occupazione altamente qualificata. Tra queste rientra il sistema delle Blue Card, simile al sistema statunitense delle Green Card ma valido solo per due anni, sebbene rinnovabile. I richiedenti devono essere titolari di
un contratto di lavoro di almeno un anno e recepire un
salario pari ad almeno tre volte il salario minimo. I titolari di Blue Card sono trattati come i lavoratori nazionali ma sono previste delle limitazioni al loro accesso alle
agevolazioni previste per il diritto allo studio, all’abitazione e all’assistenza sociale. Il sistema delle Blue Card
mira ad attrarre lavoratori altamente qualificati grazie
a procedure di ingresso più veloci, e, eventualmente, a
incrementare la loro mobilità all’interno dell’Ue.
È stata adottata una direttiva sulle condizioni di ingresso dei cittadini provenienti da paesi terzi per motivi di educazione, per la partecipazione a scambi tra
studenti, per la formazione non remunerata o per partecipare al servizio volontario europeo. Nel 2001 è stato lanciato il primo Erasmus Mondo, programma europeo di cooperazione e mobilità nell’ambito dell’istruzione superiore. La seconda fase del programma [2009-13]
è attualmente in corso.
Queste iniziative sono importanti ma esclusivamen-
NEL 2001 È STATO LANCIATO IL PRIMO
ERASMUSMONDO: SITRATTA DI UN PROGRAMMA EUROPEO
DI COOPERAZIONE SOCIALE E MOBILITÀ CHE OPERA
NELL’AMBITO DELLL’ISTITUZIONE SCOLASTICA SUPERIORE
te rivolte alle élites migranti e contribuiscono a definire differenti categorie di cittadini dei paesi terzi tra le
quali solo alcune sono da considerarsi «utili» in termini di crescita economica. Al contrario, i bisogni di altre
categorie di migranti non sono presi in considerazione.
Nel frattempo, l’Ue ha introdotto la direttiva sul ricongiungimento familiare dei cittadini provenienti da
paesi terzi che irrigidisce i requisiti per il ricongiungimento e lascia una significativa parte di sovranità agli
stati membri. Alcuni di questi hanno iniziato a temere
abusi delle procedure di ricongiungimento familiare e
hanno approvato leggi che sono altamente controverse e forse anche discriminatorie e in contrasto con la
Convenzione di Ginevra del 1949. Ciò ha determinato
l’aumento del numero di bambini e giovani migranti soli. Ciò è tanto più rilevante considerando che il ricongiungimento familiare rappresenta ancora il primo motivo di migrazione in molti paesi europei.
Infine occorre ricordare che la direttiva sugli standard e le procedure comuni negli stati membri per il ritorno nei paesi di origine dei cittadini di paesi terzi illegalmente presenti non tiene in conto della situazione
specifica di alcuni gruppi vulnerabili, inclusi i minori,
i minori non accompagnati e i genitori soli con figli minori. Essa assicura alcuni diritti fondamentali quali il
diritto alle cure sanitarie di emergenza e l’accesso all’istruzione di base, ma nello stesso tempo prevede alcune eccezioni in relazione alle condizioni di detenzione
dei cittadini di paesi terzi nel periodo che viene dato loro per ritornare nel paese di origine. In particolare, la
direttiva consente la detenzione di minori e famiglie
sebbene come misura di ultima istanza. La detenzione
di minori migranti per motivi legati alla loro condizione di residenza rappresenta una violazione degli standard internazionali dei diritti umani.
I bisogni dei giovani migranti non sono presi in considerazione da questi provvedimenti. Una specifica at-
LA COLONIA PENALE GRECA
Al crocevia con l’Europa orientale, l’Asia e l’Africa, la Grecia ha fatto del controllo delle frontiere e della lotta all’immigrazione irregolare le assi portanti della sua politica migratoria. Nel 2007, i migranti sans papiers in Grecia erano secondo le stime 205 mila. Per il 34 per cento si trattava di cittadini albanesi. Nonostante gli sforzi
economici messi in atto dalla Ue – la Grecia riceverà 148 milioni di euro per il periodo 2007-2013 – nel 2008 sono sbarcati sull’isola di Lesbos 10 mila migranti, un numero radoppiato rispetto al 2007. I migranti irregolari che vengono fermati sono rinchiusi nei
Cie o nelle celle dei posti di polizia dove rimangono per 3 mesi, allo scadere dei quali vengono molto spesso rilasciati, fino al prossimo arresto: l’espulsione è resa impossibile dalle difficoltà ad identificarli. Il 45 per cento dei detenuti è straniero, non si sa quanti lo sono per il solo fatto di essere straniero. L’ultima regolarizzazione è avvenuta nel 2006. [Dalla relazione di Angeliki Kotzamanis dell’Ecole des hautes études en sciences sociales]
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mamente diversificato, l’aspetto culturale rappresenta solo uno degli aspetti della loro «diversità». I giovani esprimono una diversità di opinioni politiche, amano una pluralità di interessi culturali, appartengono a
gruppi che esprimono tendenze molteplici, credono in
Dio o sono atei, hanno molteplici orientamenti sessuali, diverse origini etniche, tra le altre cose. I giovani europei provengono già loro stessi da diverse tradizioni
culturali che possono giocare un ruolo importante nel
plasmare il loro modo di essere oppure possono risultare irrilevanti. In questo senso, l’importanza attribuita
alle diversità culturali deve essere ridimensionata.
LE DIFFICOLTÀ INCONTRATE DAI MINORI
DESIDEROSI DI RAGGIUNGERE I PROPRI FAMILIARI
E LE CONDIZIONI DI DETENZIONE MINANO FORTEMENTE
LA CREDIBILITÀ DELL’UE NEL CAMPO DEI DIRITTI UMANI
tenzione dovrebbe esser rivolta ai bambini e ai giovani in relazione alle motivazioni che li spingono a migrare, al loro livello di istruzione e allo status economico,
giuridico e sociale. Le politiche europee sulle migrazioni, inclusa la politica comune, discendono da paradigmi relativi alla crescita economica, ammantata di sicurezza, e stabiliscono una gerarchia di gruppi migranti.
Le difficoltà incontrate dai minori migranti desiderosi di raggiungere i propri familiari, le condizioni di detenzione imposte ai minori non accompagnati, il livello di degrado e di umiliazione delle condizioni di detenzione, le discriminazioni subite nell’ambito del lavoro,
dell’istruzione, dell’accesso ai servizi sanitari e sociali contravvengono gli standard del diritto internazionale e, tristemente, minano la credibilità dell’Ue.
Il rapporto tra giovani e diversità culturale è uno degli argomenti maggiormente ricorrenti nel dibattito
pubblico. Coloro che tendono ad evidenziare
il contributo positivo delle migrazioni in termini di diversità culturale, come fanno alcune organizzazioni della società civile, e coloro che tendono a identificare nei cittadini
non europei una minaccia [è questo il messaggio principale della propaganda politica populista], restano in realtà interni allo
stesso modello culturale. Sebbene apparentemente opposti, entrambi gli approcci partono dalla premessa che l’Europa non è una società caratterizzata da
diversità culturali e dalla dicotomia «noi» e «loro» che,
sebbene applicata su scala europea, è tipica dei discorsi sviluppati nell’ambito degli stati nazionali.
Per quanto i giovani rappresentino un gruppo estre4 6 • C A R TA N . 3 1 A L M A N A C C O
I giovani migranti portano un valore aggiunto alla diversità culturale europea. Detto questo, il rischio di identificarli come un
gruppo omogeneo dovrebbe essere evitato perché ciò non è coerente con il concetto stesso di diversità culturale. Da questo punto di vista, sebbene i
giovani migranti vivano sicuramente esperienze simili dovute al loro status di migranti, sono e dovrebbero
essere considerati un gruppo diversificato piuttosto che
un’entità omogenea della quale lo status di migrante sarebbe l’elemento dominante.
I giovani migranti sono una risorsa per le società europee, sebbene ciascuno, inclusi i migranti, deve sopportare enormi responsabilità per far sì che le loro potenzialità possano svilupparsi. Il ruolo dei giovani migranti nella società dovrebbe essere declinato a partire dai
modelli esistenti di partecipazione giovanile alla società.
I giovani sono la maggiore risorsa di cambiamento sociale, sono coloro che promuovono lo sviluppo degli
ideali e hanno l’energia e la motivazione per combattere le ingiustizie. Anche i giovani migranti potrebbero
provocare cambiamenti positivi nella società contemporanea, ma spesso incontrano maggiori difficoltà rispetto ai coetanei europei. Sebbene anche questi ultimi
siano esposti al disagio economico e sociale, i giovani
migranti subiscono maggiormente le conseguenze delle ineguaglianze esistenti a livello globale per le quali
l’Europa è particolarmente responsabile. Si aggiunga
che essi non sono protetti dalle discriminazioni in ragione della nazionalità o del loro status di migranti.
Assicurare la partecipazione e l’inclusione sociale dei
giovani migranti nelle società europee ha a che vedere
con la garanzia della partecipazione e dell’inclusione
giovanile in generale sebbene nel primo caso sussistano ostacoli supplementari. Il successo dell’inclusione dei
giovani migranti è spesso ostacolato dalle restrizioni esistenti nell’ambito dell’educazione e dell’occupazione,
anche per coloro che possiedono titoli di soggiorno di
lungo periodo; dalle difficoltà a partecipare alla vita politica, dalle lunghe e burocratiche procedure necessa-
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C I T TA D I N I
rie per ottenere la cittadinanza; dalla mancanza di protezione legale contro le discriminazioni ecc. Le prassi
esistenti in queste aree chiave differiscono da paese a
paese, ma il quadro di insieme non è molto incoraggiante. Solo pochi paesi hanno adottato e sviluppato politiche attive di inclusione dei giovani migranti.
L’inclusione dei giovani migranti potrebbe contribuire ad abbattere le barriere culturali e a mutare i termini del dibattito attuale che considera le diversità culturali come le diversità più difficili da affrontare. In questo contesto dobbiamo riflettere sulle attuali politiche
europee e sulla responsabilità che sia i governi nazio-
L‘INCLUSIONE DEI GIOVANI MIGRANTI
CONTRIBUISCE A SCAVALCARE IL DIBATITTO ASFITTICO
CHE CONSIDERA LE DIFFERENZE CULTURALI
COME INVALICABILI E TROPPO DIFFICILI DA SUPERARE
nali sia le istituzioni europee hanno nell’assicurare la
piena inclusione sociale dei giovani migranti. Ciò implica l’esistenza di leggi e politiche che garantiscano le pari opportunità per i giovani di origine straniera così come interventi mirati a sviluppare la loro capacità di
prendere delle decisioni autonomamente, rafforzando
il loro senso critico e assicurando loro quei diritti che
consentono effettivamente di partecipare alla vita civile e politica. Allo stesso tempo, sarebbe auspicabile una
riflessione con e all’interno delle comunità straniere al
fine di promuovere il dialogo e il confronto, di evitare
usi strumentali delle «diversità culturali» e di mettere
in discussione legami e appartenenze fondati su stereotipi e su forme di nazionalismo.
Il processo che conduce dall’inclusione al transculturalismo, che implica, come spiegato prima, un ridimensionamento della componente culturale, è difficile da compiere. Ciononostante tale processo potrebbe
rappresentare un’alternativa ai modelli interculturale
e multiculturale attualmente esistenti, modelli che non
pongono un effettivo argine all’opposizione tra «culture» e che mettono l’accento sulle diversità collettive
piuttosto che su quelle individuali.
In direzione di questo obiettivo il passaggio dall’«integrazione» al transculturalismo non potrà avvenire
senza il coinvolgimento dei migranti. L’educazione gioca un ruolo decisivo nel promuovere nuovi orizzonti e
nuovi modelli di inclusione che siano elaborati direttamente da loro. Da questo punto di vista, sia l’educazione formale che quella informale possono offrire occasioni ai giovani migranti per riflettere sul loro futuro e
sul loro ruolo nelle società europee. Questa riflessione
dovrebbe essere svolta insieme ai coetanei non migranti e dovrebbe consentire ai giovani nel loro insieme di
immaginare l’Europa come attraversata da processi globali come quello delle migrazioni.
Questo passaggio necessita che gli attori di educazione formale e informale migliorino la loro capacità di relazionarsi con i giovani migranti e di offrire loro spazio
necessario a sviluppare la loro autonomia. La società civile così come i media hanno una enorme responsabilità
in questo ambito soprattutto nel prospettare modalità
alternative di partecipazione e di crescita individuale.
Gli standard europei sulla partecipazione politica dovrebbero essere effettivamente garantiti insieme a nuove forme di partecipazione quali quelle promosse dalla società civile, dal volontariato e dall’offerta di educazione informale.
Le organizzazioni giovanili europee possono svolgere un importante ruolo nel favorire processi di inclusione dei giovani migranti e nella costruzione di una società
transculturale. La struttura delle organizzazioni
giovanili consente di sperimentare dal basso forme di
democrazia partecipativa e di cittadinanza attiva. L’inserimento di organizzazioni di migranti nei network esistenti, lo scambio di idee, di esperienze e di risorse può
contribuire sia al rafforzamento delle organizzazioni di
migranti sia alla crescita individuale. La prospettiva dei
bisogni giovanili deve essere meglio considerata quando si disegnano e si implementano le politiche sulle migrazioni. Le statistiche dimostrano che il legame tra età
e migrazione è cruciale e non può essere ignorato. I giovani, migranti e non, affrontano sfide simili e molte barriere nell’attesa di divenire autonomi e di partecipare
alla vita sociale e civile.
Gli attori istituzionali hanno il compito di disegnare politiche migratorie rispettose dei diritti umani. Infine l’inclusione richiede uno sforzo considerevole in
termini di consapevolezza, un cambiamento dei modelli culturali di riferimento e la promozione di un modello sociale in cui gli individui non abbiano più la necessità di invocare la loro appartenenza a comunità fondate su basi «etniche» per rivendicare i loro diritti.
In un contesto in cui le identità multiple sono riconosciute, l’importanza della componente culturale sarà
ridimensionata e il discorso sull’inclusione non sarà
confinato negli ambiti dei conflitti culturali. Nell’era
della «post-integrazione» i giovani migranti e i migranti in generale saranno considerati semplicemente come individui, indipendentemente dalla loro origine nazionale, dalla loro esperienza migratoria o dall’appartenenza a entità politiche fondate su base etnica o nazionale.
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PA E S I
L’arcipelago Cie
in Europa e nel Mediterraneo
Q
UELLA CHE VEDETE qui di fianco è la mappa dei centri di detenzio-
ne per migranti dell’Europa e dei paesi del Mediterraneo che,
mediante l’istituto degli accordi riammissione, hanno aperto strutture simili. Migreurop ha censito nel 2008 235 Centri di identificazione ed espulsione. Il paese che ne conta di più è la Germania [che
ne ha 41], seguito dalla Francia [37] e dalla Spagna [22]. In Italia sono 13, ma il governo ha annunciato che vorrebbe costruirne altri
quattro. E negli anni scorsi era stato minacciato che sarebbe stato
aperto un Cie per ogni provincia.
Le caratteristiche e le modalità di gestione dei Centri differiscono da paese a paese. In Europa, la direttiva del 2008 sui rimpatri ha
stabilito le regole per il ritorno nel proprio paese dei migranti senza permesso di soggiorno. La direttiva riconosce ai migranti la possibilità di lasciare volontariamente il paese in cui vengono considerati «clandestini». La partenza dovrebbe avvenire entro un periodo
che va da sette a trenta giorni. Se quest’ordine non viene rispettato, come spesso accade per ragioni comprensibili, gli stati nazionali hanno facoltà di rinchiudere in un centro i migranti per un periodo che secondo la direttiva può arrivare fino a diciotto mesi.
Chi ricade in questa fattispecie, viene bandito dal territorio europeo per cinque anni. La direttiva non stabilisce un periodo minimo di detenzione e quindi ogni paese è libero di stabilire per legge le proprie regole dentro questi limiti. Come è facile comprendere il suo effetto più incisivo è stata la legittimazione della detenzione per un illecito amministrativo nello spazio dell’Unione europea. L’Italia, che già ha dichiarato l’immigrazione clandestina reato, si è distinta anche per aver stabilito questo periodo di detenzione nel Centro di detenzione da un minimo di sessanta giorni a un
massimo di 180. Le organizzazioni che difendono i diritti umani e
i movimenti antirazzisti hanno definito la misura dell’Unione europea, che è stata approvata dal parlamento europeo nel giugno
del 2008, come «la direttiva della vergogna». Come nota il giurista
Fulvio Vassallo Paleologo nella relazione che accompagna il dossier di Social Watch, la detenzione amministrativa è in palese contraddizione con quanto stabilisce la Convenzione europea sui diritti umani che detta i principi che dovrebbero disciplinare l’arresto delle persone e afferma che nessuno dovrebbe essere arrestato per questo genere di irregolarità e soprattuto senza che la limitazione della sua libertà personale sia approvata dalla decisione di
un giudice.
Fonte: Migreurop, disponibile su:
www.migreurop.org/img/pdf/L_Europe_des_camps_2009.pdf
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MIGRANTI
REPORTAGE DI ROBERTA CONFALONE
IL VOLTO DELLA SOCIETÀ CHE CAMBIAX
CON I PROCESSI MIGRATORI. MA ANCHEX
LE NUOVE IDEE DI CITTADINANZAX
E INTERCULTURA CHE NASCONOX
NELLE RETI SOCIALI. IN QUESTE PAGINE,X
IL PUNTO DI VISTA DI ASSOCIAZIONIX
E CITTADINI SU ANTIRAZZISMO, WELFARE,X
MEDIA, CARCERE, ROM E RIFUGIATI X
MI
GRA
NTI
Borgo
Hermada
Si svegliano prima dell’alba, salgono
sulle bici improvvisate messe insieme
per necessità. Alcune hanno il freno
che è un filo da tenere in mano e da
tirare quando serve. Pedalano nel buio
sulla Pontina, nel sud del Lazio, e le sue
altrettanto assassine ramificazioni. A
fargli un’inquietante compagnia solo i
camion che, neanche fosse una beffa,
trasportano il loro lavoro.
Le foto di queste pagine di Roberta
Confalone [flickr: centosettantanove, [email protected]]
raccontano qualcosa della vita dei
migranti di origine indiana che vivono
nella campagna del sud del Lazio. Ogni
giorno, spiega Roberta, i migranti
arrivano nelle serre e sotto una temperatura che supera i 60 gradi raccolgono
la frutta e la verdura che arriverà sulle
nostre tavole per rinfrescare i pasti estivi. Lavorano, per una media di 2,5 euro
all’ora, dalle 4,30 alle 10, poi si
arrendono all’ombra dei pochi alberi
cresciuti sulla spianata dell’Agro Pontino e alle 16 ricominciano fino alle 20.
D’inverno lavorano dalle 8 alle 16.
Con il caporale non parlano, solo in
pochi conoscono l’italiano. Ne basta
uno per ogni serra, il più «anziano», che
traduce e passa gli ordini, che chiede e
si fa portavoce. Dieci ore a raccogliere
pomodori, cocomeri, zucchine, sudore.
Ma poi arrivano a casa, perché la casa
c’è. Colori, visi, odori. Tutto è India a
«Borgo Hermada».
Giocano a cricket per strada. Hanno i
balconi pieni di panni stesi e di parabole. I bambini sfrecciano sulle bici e sui
monopattini.
Le donne cucinano con le porte aperte
che fa un gran caldo. La domenica
vanno al tempio, indossano il vestito
buono e mangiano insieme. Sui tavoli
della cucina ci sono bollette e libri dei
compiti per le vacanze.
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MIGRANTI
Un nuovo welfare
in cerca di cittadinanza
RICORDATE IL SINDACO DI MONTECCHIO MAGGIORE, VICENZA, CHE HA NEGATO LA MENSA SCOLASTICA
A I BAMBINI FIGLI DI MIGRANTI? È IN BUONA COMPAGNIA. L’ACCESSO NEGATO DA ENTI LOCALI E GOVERNO
AL WELFARE NON FA NOTIZIA. L’ALTERNATIVA: L’ESTENSIONE FORMALE E SOSTANZIALE DELLA
DI GRAZIA NALETTO [LUNARIA]
N
ON C’È LIMITE alla proliferazione delle frontiere:
dai confini del nord-est e dei mari del sud, nuove barriere si innalzano all’interno dei territori,
attraversano i servizi per l’infanzia e il sistema scolastico, si incuneano nel nostro fragile sistema di welfare e
nelle politiche di edilizia residenziale pubblica. Dal progressivo irrigidimento delle politiche migratorie alla
erosione dei diritti di cittadinanza di chi è già qui: è probabile che sia proprio quello dell’accesso all’welfare
l’ambito in cui si esprimerà maggiormente, nei prossimi mesi, la «creatività» xenofoba e razzista. Si tratta di
un terreno in realtà già esplorato da tempo, che diventa
però oggi sempre più cruciale per chi fa della difesa dell’identità e delle tradizioni italiane [e padane] una vera e propria strategia di acquisizione del consenso popolare. Se ne parla troppo poco ed è un male, perché è
proprio qui che si gioca il processo di ridefinizione del
nostro modello di cittadinanza sociale.
Le iniziative del governo sono le più note: dalla circolare Gelmini che ha imposto un tetto del 30 per cento alla presenza degli alunni stranieri nelle classi, all’introduzione del cosiddetto accordo di integrazione, al
tentativo, per fortuna fermato grazie alla mobilitazione straordinaria di medici e associazioni, di escludere
i cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno dall’accesso ai servizi sanitari essenziali.
Hanno invece ricevuto minore attenzione
i numerosi provvedimenti discriminatori
con i quali alcune istituzioni regionali e locali hanno tentato di limitare l’accesso dei
cittadini stranieri a diritti e servizi fondamentali, in qualche caso anticipando il legislatore nazionale. La newsletter di informazione
giuridica dedicata ai ricorsi e alle sentenze relative alle discriminazioni, curata dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione [www.asgi.it], ci aiuta a ricordarne alcuni.
Già nel 2001 il Comune di Palazzato [Bergamo] isti5 2 • C A R TA N . 3 1 A L M A N A C C O
tuì un contributo economico a
favore dei neonati e dei minori adottati purché figli di almeno un genitore italiano. Nel
2006 la Regione Friuli Venezia
Giulia approvò una legge che
condizionava l’erogazione di
un assegno di natalità ai figli
dei cittadini residenti da alme-
no dieci anni in Italia e da almeno cinque anni nel territorio regionale.
Nel 2009 la Provincia di
Bolzano approvò una legge
che istituiva graduatorie separate tra cittadini comunitari e
non comunitari per l’accesso
all’edilizia pubblica e ai contri-
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MIGRANTI
Le inchieste sociali di Lunaria
Lunaria è un’associazione di promozione sociale,
senza fini di lucro, laica, indipendente e autonoma dai partiti,
nata nel 1992. Svolge attività di ricerca, formazione
e comunicazione su economia solidale e del terzo settore,
migrazioni e globalizzazione, democrazia e partecipazione
e promuove iniziative di volontariato internazionale.
Lunaria considera la ricerca e l’inchiesta sociale come uno
degli strumenti essenziali per supportare le campagne
e le iniziative per la garanzia dei diritti dei migranti
e contro le discriminazioni.
www.lunaria.org
buti abitativi. Nello stesso anno il Comune di Villa D’Ogna
[Bergamo] ha offerto la possibilità di ricevere un sussidio
straordinario di disoccupazione solo ai cittadini italiani residenti nel comune da almeno
cinque anni.
Quest’anno il Comune di
Milano ha condizionato la possibilità per le persone straniere in difficoltà di ricevere un
sussidio economico alla titolarità della carta di soggiorno. Il
Comune di Adro [Brescia] ha
riservato i contributi di sostegno della locazione per i nuclei
familiari a basso reddito ai titolari di contratto di affitto comunitari.
A Montecchio Maggiore [Vicenza], prima che ad Adro, il
mancato pagamento del servizio di mensa scolastico da parte di alcuni genitori, in gran
parte di origine straniera, come noto, ha spinto il sindaco a
negare persino il pranzo ai
bambini di una scuola pubblica. Mentre a Tradate [Varese] il
sindaco ha deciso di «premiare» ogni nascita con cinquecento euro, ma solo per le famiglie italiane.
Quando associazioni, sindacati e giuristi democratici sono
presenti e attivano ricorsi,
quasi sempre vincono. Spesso, però, analoghi provvedimenti vengono adottati comunque anche da altre amministrazioni.
La tutela giuridica, fondamentale e da estendere con
la predisposizione di un sistema nazionale e decentrato contro le discriminazioni, può fermare, da sola, politiche discriminatorie che rischiano di acquisire un consenso crescente soprattutto nel tempo della crisi? La risposta è no: non è sufficiente, se rinunciamo a immaginare un nuovo modello sociale che scelga come obiettivo il benessere delle persone a prescindere dalla loro
origine nazionale.
Un’informazione accurata sul contributo che ad oggi i cittadini stranieri apportano alla sostenibilità del
nostro sistema di welfare è sicuramente necessaria, per
decostruire la vulgata non solo leghista né solo di destra, secondo la quale la protezione sociale dei cittadini stranieri «ricade sulle spalle degli italiani» ed «è già
stata raggiunta la soglia oltre la quale non è possibile
andare».
Ma la scelta di adottare, anche solo strumentalmente, la prospettiva economicista è destinata a rivelarsi,
nel lungo periodo, inadeguata. La crescita del numero
di minori stranieri che nascono in Italia [sono già oggi
più di 200 mila] e degli alunni e studenti di cittadinanza non italiana presenti nelle scuole [575 mila nell’anno scolastico 2008/2009] nonché, allargando l’orizzonte, delle persone anziane straniere che decideranno di
non tornare nel paese di origine una volta fuoriuscite
dal mercato del lavoro, renderanno sempre più debole
un approccio che tenti di fermare le politiche xenofobe
e razziste a partire dalla misurazione dei costi/benefici che i lavoratori stranieri apportano al nostro sistema
sociale. La domanda di servizi per l’infanzia, di istruzione, di prestazioni sanitarie e sociali e, alla lunga, anche pensionistiche da parte dei cittadini stranieri è destinata ad aumentare. Sindaci e amministratori locali
in primo luogo saranno chiamati a farvi fronte, che lo
vogliano o no.
Scelte escludenti e discriminatorie che innalzano muri normativi e amministrativi tra i nazionali e i non nazionali sono destinate ad accrescere [e non a ridurre] i
conflitti tra cittadini italiani e stranieri, e a rendere sempre più difficile il governo delle politiche locali. L’unica strada possibile è l’allargamento della cittadinanza
formale e sostanziale e il rafforzamento delle politiche
sociali per tutti. Se ci sono problemi di risorse, si tagli
altrove. Qualche idea per iniziare ce la offre Sbilanciamoci! [www.sbilanciamoci.org]: ad esempio rinunciare agli F35 [ci costano 16 miliardi di euro] e ai Centri di
identificazione e espulsione [quasi un miliardo di euro
già stanziato dal 1999 ad oggi].
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MIGRANTI
Lo sciopero dei kalifoo round
IN CAMPANIA SE LAVORI DEVI RINUNCIARE AI DIRITTI. EPPURE I TANTI MIGRANTI SENZA DOCUMENTI CREANO RICCHEZZA.X
ECCO PERCHÉ HANNO DECISO TUTTI INSIEME DI SCIOPERARE E CHIEDERE ALMENO 50 EURO PER LAVORAREX
DI
MIMMA D’AMICO [CENTRO SOCIALE EX CANAPIFICIO]
N
EL CASERTANO e nel napoletano, in particolare a Ca-
stelvolturno, per molti lavoratori la giornata inizia sugli incroci stradali o le rotonde, quelle che
gli immigrati chiamano «kalifoo». Tuttavia, alle 5 del
mattino dell’8 ottobre prossimo, ad aspettare che un caporale o un datore di lavoro si fermi a proporre qualche incarico saltuario, per lo più giornaliero, nei «kalifoo
round» tra Napoli e Caserta ci saranno lavoratori che indossano un cartello con la scritta «Oggi non lavorerò a
meno di 50 euro». Anche i migranti che hanno la fortuna di lavorare in fabbrica, presso una pompa di benzina
o nei depositi di stoccaggio, saranno insieme a chi invece ogni mattina aspetta ancora di essere «caricato».
Lo sciopero delle rotonde è organizzato dal centro sociale Ex Canapificio, dal movimento dei migranti e dei
rifugiati, dal Coordinamento antirazzista [missionari
comboniani di Castelvolturno, padri sacramentini di Caserta, Associazione Jerry Masslo, Caritas Caserta, collettivi studenteschi] e dai centri sociali di Napoli per rispondere a una domanda semplice: come reagire alla disgregazione sociale provocata dalla crisi?
Nell’ultimo anno al centro sociale abbiamo osservato, nelle assemblee del mercoledì, così come allo «sportello» che facciamo con gli immigrati e i rifugiati, che con
la crisi i lavoratori migranti erano tenuti sotto ricatto ancora più di prima, e che la contrattazione del salario è
sempre più sbilanciata a favore del datore di lavoro.
Chi non ha un permesso di soggiorno, o
chi lo ha ma non riesce ad ottenere un contratto regolare, spesso a fine giornata non
viene pagato. Chi viene prelevato al kalifoo
brancola nel buio, non sa quanto lavorerà e
quanto verrà pagato. Per non parlare degli incidenti sul lavoro: un ragazzo preso alla rotonda di Pianura ha
lavorato per alcuni mesi in un panificio, poi ha perso un
braccio; in ospedale gli hanno chiesto il permesso di soggiorno e suggerito di non specificare che si trattava di un
incidente sul lavoro, per evitare i controlli della polizia.
In questi casi i lavoratori senza tutele sono isolati.
Nell’ultimo anno si sono moltiplicati i racconti di chi
non lavorava per giorni, e non poteva rifiutare 20 euro
di paga. Un lavoratore ci ha detto lo scorso giugno: «Ci
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aspettiamo che a fine giornata
ci paghino con un panino». Il
binomio «diritti o lavoro» è
sempre più netto. Eppure i lavoratori migranti, specialmente in una zona di così forte degrado come il casertano, sono
un motore di ricchezza per le
piccole imprese e per la transumanza agricola. Sono gli
stessi braccianti che si spostano a Rosarno per raccogliere le
arance, nel potentino e nel
foggiano per i pomodori, o che
lavorano nell’edilizia.
Per potere alzare la testa
serve il permesso di soggiorno.
Ma questa volta il movimento
vuole fare un passo avanti, e la
prossima mobilitazione camminerà su tre gambe: il permesso di soggiorno, lo sciopero e il salario, la richiesta di
corsi di formazione retribuiti.
Dopo tante discussioni nelle
comunità, si è optato per uno
sciopero nei luoghi simbolo del
mercato delle braccia, perché
bisogna resistere alle divisioni
e unire i lavoratori che vivono
condizioni diverse di lavoro.
Lo sciopero delle rotonde
sarà un messaggio chiaro al governo nazionale e locale, promotori del famoso «modello
Caserta», e che hanno investito tanti milioni in una «task
force speciale» per la città. Le
forze dell’ordine e gli ispettori
del lavoro mettono in fuga i lavoratori, ma non puniscono
mai né caporali né datori di la-
voro. L’articolo 18, che dovrebbe essere concesso a chi
denuncia e subisce lo sfruttamento, non viene usato, perché
se non ti trovano in catene non
sei degno di essere protetto.
Basta guardare quello che è
successo ai lavoratori di Rosarno, tornati nelle proprie abitazioni di Castelvolturno, Afragola, Pianura…Dopo essere
stati detenuti per sei mesi, in
alcuni casi, nel Cie di Bari sono stati abbandonati e sono
tornati nelle campagne. Alcuni sono stati arrestati di nuovo. A Caserta si continuano a
scambiare le vittime per i criminali.
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MIGRANTI
Cosa resta di Rosarno
CASTEL VOLTURNO, PONTICELLI, LE CAMPAGNE DEL FOGGIANO, LA PIANA DI GIOIA TAURO SONO NON-LUOGHI.
COME ROSARNO, DOVE A INIZIO ANNO È SCOPPIATA LA RIVOLTA DEI MIGRANTI. CHE ATTENDE ANCORA RISPOSTE
DI
ANTONIO RUSSO [RESPONSABILE IMMIGRAZIONE PRESIDENZA NAZIONALE ACLI]
S
OLO NOVE MESI FA a Rosar-
no scoppiava la rivolta
degli immigrati che, ribellandosi alla violenza di moderni schiavisti, riuscirono per
qualche giorno a spostare l’interesse del governo e dell’opinione pubblica sul fenomeno
largamente diffuso del lavoro
nero e dello sfruttamento.
Emergeva in quegli scontri
solo la punta di un iceberg fatto di quotidiani soprusi che alimentano il germe assai diffuso di una cinica cultura di violenza e di illegalità.
Ma la storia dello sfruttamento degli stranieri in Italia
aveva già conosciuto altre tap-
pe e mostrato il suo volto disumano.
Prima di Rosarno si era fermata a Castelvolturno, a Ponticelli, nella campagne del foggiano e della Puglia, nella Piana di Gioia Tauro e, con buona
probabilità, in molti altri luoghi meno in vista. C’è da chiedersi, a quasi un anno dai fatti successi nella Locride, se
quel moto di contestazione è
servito a qualcosa, se quella rivolta di poche ore ha svegliato
le coscienze della gente e quel
richiamo a una ribellione contro la malavita, le mafie e le
mafiosità di comportamento
ha scalfito il pregiudizio e l’assuefazione a regole che avvelenano per prime le persone che
le praticano o le subiscono.
C’è da domandarsi se nella
coscienza pubblica di un pese,
che ogni giorno registra episodi xenofobi e razzisti, non
debba proprio il lavoro divenire uno dei luoghi privilegiati
della cittadinanza sociale e
della legalità. Il luogo attorno
al quale ritrovare le radici e le
ragioni del diritto e del rispetto della dignità umana.
Nell’esperienza di tutela e
promozione dei diritti degli
immigrati che le Acli si trovano a compiere, soprattutto nel
quotidiano impegno sui territori, la sfida interculturale assume, come condizione di partenza, la condivisione e il rispetto della legalità quale im-
prescindibile valore la cui non accettazione rende
«estranei» e, in questa accezione, «stranieri». Attorno
al tema immigrazione, si apre così una discussione più
ampia che, se sostenuta dal ruolo della società civile e
della politica, può aiutare l’Italia a rinnovare il suo patto democratico e a guardare al futuro, superando i confini di ogni pregiudizio etnico, culturale o religioso.
Ripartire dalla legalità deve divenire un impegno
comune per liberare il paese da una pericolosa deriva culturale e civile nella quale i migranti strumentalmente divengono la prima emergenza. Come purtroppo ripetiamo da mol-
to tempo, dove regna l’illegalità, l’assenza dello stato è
più marcata e la società arretra, le mafie si impossessano dei territori. Se avevamo ancora bisogno di conferme, la vicenda di Rosarno è divenuta l’ultimo paradigma della sconfitta dello stato e, con esso, della stessa dignità democratica e civile del paese.
Prima dell’estate, girando con un amico giornalista
nelle campagne pugliesi e campane, dove lo sfruttamento lavorativo si è fatto tristemente prassi, mi sono
chiesto più volte quante Rosarno ancora dovranno
scoppiare affinché il paese si doti di strumenti e politiche adeguate alla situazione. Quando si realizzerà quel
programma di «tolleranza zero in agricoltura» sul quale aveva scommesso il ministro Sacconi all’indomani
dell’emergenza calabrese. Quando saranno potenziati
gli organi di controllo territoriali preposti a vigilare sui
luoghi dove italiani e immigrati quotidianamente subiscono condizioni indecenti di lavoro. Quando nella legislazione italiana il reato di sfruttamento del lavoro
nero e del traffico di esseri umani sarà più largamente
punito, assumerà pene più severe e sarà riconosciuto
agli stranieri il diritto di entrare con un permesso di
soggiorno per ricerca di lavoro, evitando l’irregolarità
cui sono costretti oggi.
Questi interrogativi, che anche la rivolta di Rosarno contribuisce a tenere aperti, presupporrebbero risposte immediate e invece scoprono i nervi di una politica che, nell’incapacità di guardare oltre il suo naso,
con molta probabilità, cova la nuova vera emergenza
del paese.
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MIGRANTI
I giornali si scrivono
nelle questure
LE RESPONSABILITÀ DEI MEDIA NEL COSTRUIRE UN CLIMA DI XENOFOBIA SONO ENORMI. X
UN GRUPPO DI GIORNALISTI DA UN PAIO DI ANNI HA COMINCIATO A METTERE IN DISCUSSIONE LINGUAGGI E STEREOTIPI X
AD ESEMPIO METTENDO AL BANDO CINQUE PAROLE SPORCHE. LA PRIMA? CLANDESTINO X
DI LORENZO GUADAGNUCCI [GIORNALISTI CONTRO IL RAZZISMO]
N
AVI PILLAY, magistrata sudafricana, oggi Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, durante la
sua visita in Italia nel marzo scorso, rimase scioccata quando le dissero di una ricerca sul tema «media
e migranti», secondo la quale nell’arco di sei mesi, ai telegiornali nazionali, in appena 26 servizi su 276 riguardanti l’immigrazione non vi erano legami con fatti di cronaca o la questione sicurezza. Per gli italiani è invece
un’ovvietà. E lo è soprattutto per i giornalisti ita-
liani, che considerano le migrazioni, il confronto fra culture, la nascita di una società
multiculturale, materia per la sezione di cronaca nera. Le fonti principali da cui attingere notizie sono dunque questure e commissariati e il tema di fondo è la connessione fra immigra-
zione e criminalità, il tutto nel contesto di una macro
questione, ossia l’emergenza sicurezza.
L’Italia, come altri paesi europei, è in grande trasformazione. Ha una storia di paese d’emigrazione, ma da
almeno due decenni vive la condizione opposta: come
tutto il mondo ricco, è terra d’approdo. È per tutti i cittadini un’esperienza quotidiana, visto che oltre il 7 per
cento dei residenti in Italia sono di origine straniera.
Sarebbero evidenti anche le priorità politiche e sociali legate alla trasformazione in corso. Ci sarebbe da favorire un’interazione positiva fra autoctoni e nuovi arrivati, con provvedimenti tipici di amministrazioni
pubbliche responsabili: dai corsi di lingua alla revisione di regole sulla cittadinanza oggi anacronistiche, da
interventi mirati nelle scuole a una legislazione specifica sull’ingresso e la ricerca di lavoro. Altri paesi hanno compiuto scelte del genere, l’Italia no. L’Italia si ostina a negare la sua nuova natura demografica, la sua
complessità culturale e religiosa. Su questi temi servirebbe un lavoro culturale profondo, che nemmeno si
intravede. E che il sistema dell’informazione è al momento incapace di avviare.
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In varie parti d’Europa, e
non solo in Italia, stanno facendo fortuna forze politiche
xenofobe se non razziste, ma
da noi sta accadendo qualcosa
di speciale e cioè la formidabile collaborazione – il termine
esatto forse sarebbe «collaborazionismo» – del sistema
informativo con il «partito
della xenofobia», un’entità trasversale alle forze politiche e
oggi culturalmente dominante. Le maggiori testate nazionali radiotelevisive e a stampa
– è facile constatarlo di persona e numerose ricerche lo confermano – usano lo stesso linguaggio e le stesse chiavi di lettura introdotte nel discorso
pubblico dagli «imprenditori
politici» che hanno puntato
forte sull’avversione per gli
stranieri. Gli uni e gli altri parlano dell’immigrazione come
di un problema di ordine pubblico, da accostare alla criminalità; gli uni e gli altri sostengono che vi sia nel paese da
qualche anno, in coincidenza
quindi con l’incremento dei residenti stranieri, una «emergenza criminalità»; gli uni e gli
altri usano e abusano di parole e concetti discriminatori
verso i migranti e la minoranza rom, assurta nuovamente
in Italia e in mezza Europa al
ruolo di capro espiatorio per
malesseri sociali diffusi.
Ci sono ragioni precise che
spiegano questa coincidenza
di vedute e di linguaggi. In primo luogo c’è il tradizionale
servilismo del giornalismo
mainstream rispetto al potere
politico [ed economico]: in Italia l’agenda del discorso pubblico è dettata da una ristretta
cerchia di uomini e forze politiche. In secondo luogo, si è sedimentato nella professione
giornalistica un insieme di
«saperi» e prassi che oggi guidano l’operato quotidiano dei
giornalisti, con automatismi
consolidati. Perciò tutte le testate a maggiore diffusione
parlano di «clandestini», «nomadi», «extracomunitari» senza cogliere quanto simile linguaggio sia improprio, discriminatorio e veicolo di percezioni sbagliate. Tutti danno
per scontato che la pretesa
«emergenza criminalità» esista
davvero, a dispetto di analisi e
statistiche che mostrano il
contrario. Nelle redazioni pare ovvio che le migrazioni siano un «problema di ordine
pubblico» e qualunque cronista è tenuto a rispettare questo
dogma. E così via.
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MIGRANTI
Parolesporche
«Giornalisti contro il
razzismo» hanno
dato vita a un
appello per abolire
dai mezzi
di comunicazione
la parola
«clandestino»
e per chiedere
ai media
di rispettare
il popolo rom .
Sul loro sito si può
aderire agli appelli
e trovare il
«glossario –
vademecum»
con le parole
da mettere al bando
[e le alternative
possibili]: oltre a
«clandestino»
[alternative: «sans
papier», ma anche
«persone»,
«migranti»,
«lavoratori»]
nell’elenco ci sono
le parole
«extracomunitario»,
«vu’ cumpra’»,
«nomadi», «campi
nomadi», «zingari».
Ecco le ragioni profonde della morsa xenofoba e razzista che sta soffocando il paese e il suo sistema di comunicazione. Non è facile sfuggire, nel lavoro quotidiano, a questa stretta. Eppure nelle redazioni molti giornalisti avvertono un disagio crescente e qualcosa sta
cambiando. Nel maggio 2008, quando lanciammo la
campagna Giornalisti contro il razzismo, con un appello che si intitolava «I media rispettino il popolo rom», ricevemmo con una certa sorpresa centinaia di adesioni.
La campagna successiva, tuttora aperta, chiede l’impegno individuale a mettere al bando
cinque «parole sporche» come
clandestino, nomade, zingaro,
extracomunitario, vu cumprà,
e ha ricevuto a sua volta centinaia di sottoscrizioni, oltre che
l’adesione delle agenzie Redattore sociale e Dire, dell’Ordine dei giornalisti dell’EmiliaRomagna, della Regione Toscana. L’Ordine e il sindacato dei
giornalisti, incalzati dall’Alto
commissariato dell’Onu per i
rifugiati nella persona di Laura Boldrini, hanno approvato
un codice etico [la Carta di Roma] che invita a usare un linguaggio appropriato e a distinguere fra rifugiati, richiedenti asilo, vittime di tratta,
beneficiari di trattamento
umanitario. In sostanza i giornalisti, per tradizione corporativi e poco disposti a mettersi in
discussione, hanno dovuto riconoscere di avere gravi responsabilità per il clima di xenofobia che si è diffuso.
L’esigenza di cambiare registro è ormai in agenda e le
pressioni esterne sono sempre
più forti. Perciò sarà prezioso
l’esempio che arriva da quella
miriade di testate indipendenti, blogger, siti d’informazione
e media interculturali [animati da «nuovi italiani»] che
usano altri linguaggi e altre
chiavi d’interpretazione, lontano dal perimetro ideologico
segnato dal «partito della xenofobia». Quest’insieme di fattori sta creando un’informale
alleanza fra media indipendenti, giornalisti-attivisti, attivisti tout court: un nuovo modo di concepire il giornalismo,
più adeguato ai tempi che viviamo, sta quindi nascendo. Il
futuro è suo.
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MIGRANTI
Alcuni buoni motivi
per studiare le migrazioni
NEGLI ULTIMI DIECI ANNI IL FENOMENO MIGRATORIO HA CAMBIATO IN PROFONDITÀ UN PAESE COME L’ITALIA.X
I DATI SULL’IMMIGRAZIONE DICONO MOLTE COSE, MA OCCORRE SAPERLI LEGGERE.
LA CARITAS LO FA DA OLTRE DIECI ANNI. PER RACCONTARE, CAPIRE E COSTRUIRE UNA SOCIETÀ PIÙ ACCOGLIENTE X
DI FRANCO PITTAU [COORDINATORE DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE CARITAS/MIGRANTES]
L
A TESTIMONIANZA del Dossier Statistico Immigrazio-
ne, che presento in questo contesto, è quella di
operatori che hanno voluto fare gli studiosi, collocandosi a un livello iniziale come quello della raccolta di dati: operatori che non hanno mai voluto perdere il contatto con le organizzazioni sociali, non solo con
Caritas e Migrantes, con le quali sono organicamente
legati, ma anche con quelle del mondo laico. Studia-
re, così come noi lo abbiamo inteso, significa recepire gli stimoli della base e interpretarli senza pregiudizi. I nostri punti privilegiati sono, per l’appunto, il continuo collegamento con la realtà e il superamento delle ideologie. Le nostre tesi interpretative vengono
fatte derivare intrinsecamente dagli stessi dati statistici, avendo la pazienza di accedere a tutte le fonti e di
confrontarle tra di loro, senza ordini di scuderia o altri fattori discorsivi.
Questa impostazione ci ha aiutato a cogliere il significato della immigrazione e a renderci conto, con amarezza, che il nostro paese rischia di sbandare. Noi siamo anche studiosi dell’emigrazione italiana all’estero,
uno studio che farebbe bene anche a tanti politici e uomini di cultura, perché aiuta a capire che la situazione dei migranti oggi in Italia è per molti versi simile a
quella che hanno vissuto i nostri emigrati, quando disperati si dirigevano verso tutti i Paesi del mondo, dove a volte venivano accolti bene e altre volte no. Nella lontana Argentina, paese sterminato che aveva bisogno di far coltivare i suoi campi e di dare nerbo alle
sue città, gli italiani vennero accolti bene, perché si era
affermata una ideologia positiva dell’immigrazione,
tanto che ben dieci presidenti della repubblica sono
stati di origine italiana.
In Europa le cose inizialmente sono andate tutt’altro che bene e anche nella vicina Francia, dove siamo
diventati i cugini più stretti, una volta le cose non sta5 8 • C A R TA N . 3 1 A L M A N A C C O
vano così e, ad esempio, poco
più di un secolo fa ad Aigues
les mort si scatenò una vera e
propria caccia di un intero
paese agli italiani. Peraltro, la
Francia ha dato frutto dell’immigrazione e, pur con le incongruenze dell’ideologia assimilazionista che da tempo
mostra i suoi limiti, ha valorizzato l’inserimento dell’immigrazione nello sviluppo del
paese, che non a caso dal
punto di vista demografico è
molto meno disastrato di altri,
e segnatamente dell’Italia.
Questo riferimento ci aiuta
a ragionare su cosa sta avvenendo da noi. L’immigrazione
è il supporto che la storia ci ha
messo a disposizione e della
quale siamo chiamati a disporre con sapienza: diciamo,
come una delle due ruote di
una bicicletta.
Questo non significa che
dobbiamo essere arrendevoli
e non prevedere regole: tutti i
fenomeni esterni hanno bisogno di una certa regolamentazione. A non andare bene è
l’accanimento che si vuole
giustificare nei confronti di
altre persone, soltanto perché
vengono da altri paesi, sono
portatori di altre «culture» e
magari hanno un diverso co-
lore della pelle, possono professare un’altra religiose e così via.
Vengono da altri paesi perché l’Italia da sola non ce la fa
ad andare avanti. I dati a
questo riguardo sono impressionanti. Siamo arrivati ora a
cinque milioni di presenze
regolari. Tre milioni di queste
presenze si collocano negli
ultimi dieci anni e un milione
negli ultimi tre anni. Una progressione che ha del sorprendente e che ci fa pensare ai
tempi dell’immediato dopoguerra, quando noi italiani in
massa [tre-quattrocento mila
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22ottobre
In occasione del
Salone
dell’Editoria
sociale la
redazione del
Dossier
Statistico
Immigrazione
promuove un
incontro su
«Tre continenti a
confronto:
migrazioni da
Africa, Europa e
America» [ore
11, largo
Ascianghi 5,
Trastevere] con i
mediatori del
Forum per
l’Intercultura.
l’anno] prendevamo le vie dell’esodo, verso l’Europa,
l’America o l’Australia. Forse i flussi non saranno nel
futuro così intensi, ma non verranno meno ed eviteranno che l’Italia diventi un paese di anziani a fronte
di pochi ancora al lavoro, per cui non si potranno pagare le pensioni. Tanto per capire di che cosa si tratta,
basti pensare che annualmente gli immigrati pagano
sette miliardi di contributi previdenziali e pochissimi
sono pensionati e così l’Inps può chiudere il bilancio
con un vistoso attivo. Nel 2050, secondo una previsione tutt’altro che inverosimile dell’Istat, gli immigrati
supereranno i dodici milioni e l’incidenza del 16 per
cento sulla popolazione.
Se questa è la storia che ci aspetta, chiediamoci come ci stiamo comportando. Male, viene da rispondere. Non perché ci difendiamo dai delinquenti immigrati, così come lo facciamo da quelli italiani, ma perché
abbiamo avallato l’equiparazione tra migrante e delin-
quente che non trova fondamento nella realtà, così come
abbiamo cercato di mostrare
con un pignolo ricorso ai dati
statistici.
Perché accogliere significa
anche investire delle risorse e
noi siamo poco disposti a
«sprecare» soldi per gli stranieri, senza pensare che loro
producono di più di quanto
chiedono alle casse pubbliche:
anche questa è una ricerca
molto convincente che il Dossier sta conducendo. Perché
dal punto di vista culturale, e
questo è l’aspetto più drammatico, siamo propensi a considerare lo «straniero» come
una realtà di cui sospettare,
da controllare, da tenere a distanza: diversi sviluppi legislativi fanno pensare a questa
impostazione.
La convivenza con gli immigrati, però, porta anche ad
auspicare che la burocrazia
potrebbe essere meno vessatoria, così come diversi balzelli,
e che la differenza, non solo
culturale ma anche religiosa,
può essere vissuta come uno
stimolo alla riflessione, al confronto e alla crescita vicendevole, naturalmente all’interno
di regole da rispettare.
E gli irregolari come si possono collegare con quanto finora detto? La maggior parte
di queste cinque milioni di
presenze hanno dovuto fare
l’anticamera come irregolari
per poi essere recuperati con
le regolarizzazioni o i decreti
flussi. Il sogno che una persona di buon senso coltiva è
quello che si possa essere immigrati senza dove fare questa anticamera penalizzante e
anche pericolosa perché indirettamente il gioco dei trafficanti di manodopera.
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Quel razzismo istituzionale
che aggredisce rom e sinti
LA «QUESTIONE ROM», I PATTI PER LA SICUREZZA, L’«EMERGENZA NOMADI»: L’ESCALATION X
DI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI CONTRO LE COMUNITÀ ROM PRESENTI IN ITALIA HA POCHI UGUALI X
IN EUROPA. L’ULTIMO RAPPORTO DI AMNESTY SI SCAGLIA CONTRO IL SINDACO DI ROMA X
DI
GIUSY D’ALCONZO [AMNESTY INTERNATIONAL, SEZIONE ITALIANA]
L
A DISCRIMINAZIONe verso rom e sinti in Italia ha ra-
dici antiche e negli anni scorsi non è sfuggita all’occhio degli organismi internazionali di controllo sui diritti umani, i quali hanno segnalato più volte la
segregazione abitativa e la stigmatizzazione che colpisce questo piccolo gruppo di persone composto da cittadini italiani, comunitari e stranieri.
Lo spazio per la dignità e per i diritti umani di rom e sinti sembra andarsi riducendo
sempre più, stretto tra povertà, politiche di
sgombero, demolizione degli accampamenti, allontanamento progressivo e forzato
dai centri abitati. La situazione si aggrava quando
alle iniziative governative e locali, costruite anche dal
punto di vista giuridico sul concetto di emergenza, si accosta un linguaggio politico che rassicura i cittadini
non-rom circa l’impegno «per la sicurezza». Impegno da
onorare collocando i gruppi familiari di rom a forte distanza dai centri urbani, così confermando e rinforzando i pregiudizi diffusi presso la popolazione circa l’inclinazione naturale al crimine delle persone rom, e riducendo le chance di costruzione della convivenza.
Negli ultimi anni, le scelte dell’Italia a riguardo si sono fondate per lo più su politiche abitative in cui risultano centrali i trasferimenti forzati. Un complessivo
approccio di controllo delle persone rom e sinte, generalmente considerate «osservati speciali», è stato rilanciato nel 2007, anno a partire dal quale le autorità italiane hanno adottato misure discriminatorie che hanno contribuito alla stigmatizzazione dei rom residenti nel paese, tra cui i «Patti per la sicurezza» siglati tra
il governo centrale e le autorità municipali.
La «questione rom» ha rivestito un ruolo via via più
centrale nelle politiche cosiddette «di sicurezza»,
concepite dal governo Prodi e portate a compimento
durante l’attuale legislatura. Nel maggio del 2008, durante il primo consiglio dei ministri del governo Ber6 0 • C A R TA N . 3 1 A L M A N A C C O
lusconi, è stato annunciato
l’insieme delle misure legislative adottate in nome della sicurezza. Di esse faceva parte
un decreto del presidente del
consiglio dei ministri che ha
dichiarato la cosiddetta
«emergenza nomadi», utilizzando una legge del 1992 sui
poteri di emergenza in caso di
catastrofi naturali. Questo decreto del maggio 2008 ha conferito per un anno poteri speciali ai prefetti di Campania,
Lazio e Lombardia con la possibilità di derogare a diverse
leggi ordinarie. Il 28 maggio
2009 lo stato d’emergenza è
stato esteso a Piemonte e Veneto ed è tuttora in vigore. I
poteri del prefetto possono essere esercitati nei confronti di
persone di qualsiasi nazionalità ritenute «nomadi» e colpiscono soprattutto i rom.
Sulla base di tali poteri sono state adottate pratiche di
identificazione e misure di
sgombero, queste ultime spesso realizzate – come in diversi episodi a Milano e altrove in
Lombardia – in aperto contrasto con il diritto di uomini,
donne e bambini a non ritrovarsi a dormire per strada dopo aver visto la propria casa
demolita senza preavviso.
La storia di Enaiatollah
«Nel mare ci sono i coccordrilli»
[di Fabio Geda, Baldini Castoldi
Dalai editore] racconta il duro
viaggio tra miseria e solidarietà
di Enaiatollah dall’Afghanistan
all’Italia, passando per Iran, Turchia
e Grecia. Un’odissea che non riesce
a far perdere al giovane
protagonista del viaggio,
nonostante tutto, l’ironia.
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Senza alternative di alloggio, né possibilità di contestare innanzi un tribunale le decisione adottate. Senza
partecipazione alle scelte che li riguardano.
Le citate scelte nazionali di emergenza sono anche
alla base del «Piano nomadi» adottato dal Comune e dal
prefetto di Roma, il primo programma sistematico sviluppato attraverso i poteri speciali previsti dai decreti governativi. Avviato il 31 luglio 2009, il piano ha previsto il trasferimento della maggior parte dei rom che
vivono a Roma - ma non di tutti - in campi ampliati
o di nuova costruzione nella periferia della città. In
particolare, prevede che su oltre 7.000 rom presenti secondo le cifre ufficiali [peraltro considerate da molti co-
Le risposte sbagliate di Alemanno
Il programma del Comune di Roma [«Piano nomadi»], avviato nel
luglio 2009, «viola i diritti umani di migliaia di rom». Hanno le idee
piuttosto chiare quelli di Amnesty, come spiegano in un rapporto
intitolato «La risposta sbagliata» che non è per niente piaciuto al
sindaco Gianni Alemanno. Secondo Amnesty «le famiglie rom della
capitale rischiano di perdere beni personali, contatti, accesso al
lavoro e servizi pubblici». L’associazione per i diritti umani ricorda
come «Uno sgombero effettuato senza consultazione preventiva e
senza l'offerta di un alloggio alternativo adeguato a tutte le persone
colpite è una violazione dei diritti umani».
me sottostimate, e ormai datate] 6.000 persone saranno
trasferite in tredici cosiddetti «villaggi attrezzati». L’attuazione del Piano si fonda
sullo spostamento forzato di
centinaia di famiglie, spostamento che è già avvenuto per
molti. Nulla di chiaro è previsto per coloro che restano
fuori dal Piano : circa 1.000
persone, ma il numero potrebbe essere più alto.
Per coloro che verranno
trasferiti la prospettiva sembra fondarsi su due principi:
l’allontanamento progressivo dal centro di Roma e la
struttura del «campo» concepita dalle istituzioni come la
soluzione abitativa naturale
per la minoranza rom e sinta.
Amnesty ha lanciato a marzo 2010 il rapporto «La risposta sbagliata: il Piano Nomadi
viola il diritto all’alloggio dei
rom a Roma», segnalando che
dalle molte voci raccolte presso le famiglie rom nei campi è
emerso il timore che gli spostamenti forzati interrompano i
percorsi scolastici dei bambini
e compromettano ulteriormente le prospettive di impiego degli adulti.
Da allora, la campagna internazionale di Amnesty che
chiede la revisione e la sospensione dell’attuazione del
Piano al prefetto e al sindaco
di Roma ha raccolto migliaia e
migliaia di firme in diversi
paesi d’Europa, molte delle
quali in Italia. Si tratta di migliaia di persone che non sono
d’accordo con la discriminazione e la segregazione abitativa che colpisce i rom a Roma, prassi che rende lo spazio
per la dignità dei rom e per le
loro prospettive di emancipazione dalla povertà sempre
più angusto e minacciato dai
pregiudizi, quando non da
una aperta ostilità e dalla
violenza.
Il 22 luglio 2010 la sezione
italiana di Amnesty international ha consegnato una prima
tranche di firme al sindaco di
Roma Gianni Alemanno e all’assessore alle politiche sociali, Sveva Belviso. Assieme
alle firme vi erano le cartoline
e i disegni che le bambine e i
bambini di scuole elementari e
medie hanno voluto indirizzare al sindaco e al prefetto per ricordare l’importanza di un alloggio adeguato per i loro coetanei rom. In tale occasione sono stati riconosciuti e apprezzati i passi mossi dall’amministrazione comunale verso una
maggiore consultazione delle
persone coinvolte nelle scelte
che le riguardano. Progressi
importanti, ma che a oggi lasciano sostanzialmente immutate le richieste di Amnesty di
un sostanziale ripensamento
del Piano Nomadi, purtroppo
ancora caratterizzato da quella filosofia di segregazione abitativa che preoccupa chi crede
che la separazione tra gruppi e
la stigmatizzazione non aiutino i diritti umani di nessuno.
Eppure, puntare sui piccoli ma importanti passi positivi mossi per il miglioramento
delle condizioni dei rom a Roma [e in Italia, e in Europa] resta a oggi l’unica scelta possibile. Come ovunque nel mondo, la strada per sconfiggere la
povertà e l’emarginazione sociale passa necessariamente
attraverso i diritti umani e
nessun vero risultato potrà essere realizzato se non difendendo la dignità, il rispetto,
l’immagine e le potenzialità di
sviluppo di rom e sinti.
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MIGRANTI
Perché i migranti
si fermano in carcere
I DATI DI ANTIGONE SULLE PRESENZE NEGLI ISTITUTI DI PENA DIMOSTRANO PERCHÉ I MIGRANTI X
SONO L’ULTIMO ANELLO DI UNA SELEZIONE RAZZISTA COSTRUITA DA MOLTE ISTITUZIONI. MA DIMOSTRANO X
ANCHE COME SEMPRE PIÙ SPESSO IL CARCERE È UTILIZZATO COME LUOGO DI FERMO E DI IDENTIFICAZIONE X
DI
DANIELA RONCO [TRATTO DA «L’ESECUZIONE PENALE IN ITALIA NEGLI ULTIMI VENTI ANNI», ANTIGONE]
I
L 22 OTTOBRE verrà presentato a Roma il settimo Rap-
porto nazionale di Antigone sulle condizioni di detenzione nelle carceri italiane. Come afferma Christian
De Vito [«Camosci e girachiavi. Storia del carcere in Italia», Bari, Laterza 2009, p. 134], il carcere costituisce «l’ultimo anello di un processo di selezione ben più esteso» sul
quale incide «il discorso politico sulla criminalità, la possibilità di accedere al diritto alla difesa, la struttura del
codice penale e la prassi giudiziaria, la mentalità degli
operatori di polizia, di quelli sociali, giudiziari e penitenziari». Partendo dall’analisi della variabile nazionalità,
osserviamo che la presenza di persone straniere nei penitenziari italiani è più che raddoppiata negli ultimi
vent’anni. Se nel 1991 avevamo il 15,13 per cento di stranieri nelle patrie galere, a fine 2009 essi costituiscono il
37,15 per cento.
Il raffronto tra le presenze degli italiani e degli stranieri nell’intervallo considerato evidenzia un andamento abbastanza costante delle presenze di italiani in carcere tra il 1993 e il 2006, a fronte di una costante crescita della presenza di stranieri. A seguito dell’approvazione del provvedimento di indulto, invece, osserviamo una
rapida crescita delle presenze di entrambe le categorie.
Un altro dato su cui soffermare l’attenzione è la distribuzione regionale delle persone straniere detenute. Rileviamo infatti significative differenze nelle presenze degli stranieri nelle varie regioni italiane, con i valori massimi rappresentati da Valle d’Aosta [70,2 per cento], Friuli Venezia Giulia [59,4 per cento] e Veneto [57,3 per cento], a fronte di percentuali minime di presenza nelle regioni Campania [12,1], Basilicata [14,9] e Molise [18 per
cento]. In sintesi, riscontriamo una presenza
molto alta [intorno al 50 per cento] di stranieri nelle regioni del nord Italia, lievemente minore [43.4 per cento] nelle regioni del
centro e significativamente più bassa nelle
regioni del sud [21,3 per cento].
I due istituti con maggior presenze di stranieri al 30
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giugno 2010 risultano tuttavia
due carceri sarde: Mamone
[84,35 per cento] e Isili [74,70
per cento]. Resta il fatto che,
mediamente, gli istituti del
centro-nord Italia sono quelli
in cui sono ristrette le percentuali più alte di stranieri.
Oltre alle tristemente sovraffollate carceri emiliane
[a Parma gli stranieri sono il
69,81 per cento, a Modena il
67,47 per cento, a Bologna il
62,42, a Ravenna il 63,01, a
Reggio Emilia il 64,83 per
cento], occorre segnalare l’elevata presenza di stranieri nelle carceri tri-venete [Bolzano
66,01 per cento, Treno 66,45
per cento, Verona 64,15, Vicenza 62,57; Rovigo 60,55 per
cento], piemontesi [Alessandria Don Soria 67,66 per cento, Fossano 61,90], lombarde
[Milano San Vittore 62,97 per
cento, Busto Arsizio 64,47] e
toscane [Arezzo 65,15 per cento, Firenze Sollicciano 65,63,
Pisa 61,17, Lucca 61,68].
Quindi, nonostante sporadiche eccezioni [le due carceri
sarde o il carcere siciliano di
Piazza Armerina, in cui gli
stranieri costituiscono il 61,06
per cento dei presenti], tendenzialmente rileviamo una
forte presenza di stranieri negli istituti del centro e nord
Italia, dove spesso essi costituiscono ben più della metà
della popolazione detenuta.
Al 31 agosto 2010, le nazioni più rappresentate nelle carceri italiane sono il Marocco
[21,2 per cento sul totale dei detenuti stranieri], la Romania
[13,5 per cento], la Tunisia
[12,7 per cento], l’Albania
[11,6]. Sono circa 12 mila le
persone che ogni anno fanno
ingresso in carcere per il solo
fatto di non aver ottemperato
all’obbligo di allontanamento
dal territorio nazionale disposto dal questore: ciò spiega
l’esplosione della presenza di
stranieri nei nostri istituti penitenziari.
Per il resto, la situazione
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MIGRANTI
PERCENTUALE DEI MIGRANTI DETENUTI
PRESENTI NELLE REGIONI ITALIANE
50,3% nord
43,4% centro
21,3% sud
Volontari
Il volontariato del
carcere
promuove un sit
in a Roma,
davanti al
Parlamento, il 24
settembre alle 9
e annuncia
iniziative, fuori e
dentro le carceri,
per sollecitare
provvedimenti
che
ristabiliscano la
legalità nel
sistema
penitenziario.
non è poi molto diversa da
quella che avevamo già registrato un anno fa nel precedente nostro Rapporto, quando la legge cosiddetta ex Cirielli sulla recidiva del 2005
produceva ormai a pieno regime i propri effetti sui tassi di
carcerazione. La maggior parte dei detenuti stranieri tendono alla commissione di piccoli e ripetuti reati. Questi sono essenzialmente commessi
contro il patrimonio o in violazione della normativa sulle
sostanze stupefacenti. Ancora
riguardo i reati compiuti, si
segnala che agli stranieri è
ascrivibile meno dello 0,2 per
cento dei crimini di associazione a delinquere di stampo
mafioso.
I già elevati tassi di custodia
cautelare crescono, arrivando
a sfiorare il 60 per cento, quando si passa a considerare i soli
reclusi stranieri. La debolezza
sociale che caratterizza l’immigrato affievolisce tutele e garanzie di difesa nei suoi confronti, rendendo più probabile
l’uso del carcere durante la fase del processo anche quando
non si configura la necessità di
un tale uso secondo i dettami
procedurali. Da notare come il
numero annuo degli ingressi in
carcere da parte di stranieri sia,
sul totale degli ingressi, percentualmente più alta del numero
di stranieri presenti in un giorno specifico secondo una fotografia statica. Ciò è dovuto al
fatto che le forze di polizia tendono ad arrestare l’immigrato
con maggiore facilità rispetto
all’italiano, dando vita a numerosi arresti di poche ore o pochi
giorni. Il carcere viene usato
sempre più frequentemente
come luogo di fermo per le
identificazioni.
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MIGRANTI
Ecco perché rifiuto
la società multiculturale
LA FORMAZIONE INTERCULTURALE È UN PROCESSO CONTINUO. NELLA SCUOLA SI PUÒ FAVORIREX
CON PROGETTI CHE RICHIEDONO TEMPO E CAPACITÀ. L’OBIETTIVO NON È, COME SI DICE BANALMENTE,X
LA CONVIVENZA TRA «CULTURE», PERCHÉ OGNI CULTURA È UN PROCESSO COMPLESSO E APERTOX
DI
KARIM METREF
L
’IMMIGRAZIONE in Italia, nel ritmo e nelle dimensioni che conosciamo oggi, è un fenomeno nuovo. All’inizio degli anni ottanta cominciano ad arrivare
braccianti per l’agricoltura, lavoratori nei settori del turismo e della ristorazione, venditori ambulanti, assistenti a domicilio per bambini e anziani... poi poco a poco il fenomeno investe anche l’industria e l’edilizia. In
pochi anni si passa da poche migliaia a centinaia di migliaia poi a milioni.
Il fenomeno all’inizio non ha nessun effetto sulla
scuola. I primi migranti sono per lo più maschi o donne [nel caso del lavoro domestico] ma quasi sempre soli. O giovani e non sposati o con le famiglie rimaste nel
paese. Ci sono voluti quasi dieci anni prima che la questione dei bambini stranieri, venuti a raggiungere il padre o la madre oppure nati in Italia, cominci a porsi.
Il primo testo che sancisce il diritto-obbligo di iscrizione dei bambini stranieri a scuola e ne regola le modalità è datato 1989. Fin
da subito il testo ministeriale sottolinea la necessità di percorsi didattici ed extracurricolari «non classici». «La scuola obbligatoria non può
non avere come obiettivo educativo una sempre più
acuta sensibilità ai significati di una società multiculturale – si legge nel testo - Ciò suggerisce attività didattiche orientate alla valorizzazione delle peculiarità delle diverse etnie». La parola è lanciata: società multiculturale.
I padroni dell’economia italiana avevano capito che
per mantenersi competitivi era necessaria l’importazione di numeri sempre più grandi di lavoratori meno esigenti in materia di diritti e di stipendi. La politica come
d’abitudine ha assecondato questo bisogno e ha dichiarato ormai inesauribile il flusso di arrivo di cittadini provenienti dai sud del mondo. In effetti è dello stesso anno il decreto legge Martelli che per la prima volta tenta
di regolare tutti gli aspetti che riguardano l’ingresso e la
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permanenza di cittadini stranieri sul suolo italiano.
Nell’anno successivo la seconda parola chiave entra in
gioco: intercultura [circolare
ministeriale 205/90, «La scuola dell’obbligo e gli alunni
stranieri. L’educazione interculturale»].
Ma fin dalla loro apparizione nella scuola italiana i concetti di intercultura e multicultura sono poco chiari e
certe volte usati come se fossero sinonimi, legati esclusivamente alla presenza di
alunni provenienti da altri
stati [o addirittura « extracomunitari», con tutto ciò che
questa parola racchiude come
immagini di povertà, arretratezza e problematicità]. Queste incomprensioni di base
continuano a essere molto
diffuse.
Oggi quindi, si può parlare
di vent’anni di educazione interculturale nella scuola italiana. Quale bilancio si può tirare?
Tutto sommato, si può dire
che al livello della presa di coscienza, la scuola italiana è
stata più veloce delle altre nazioni che hanno conosciuto
flussi migratori simili o anche
più grandi. Ha anche usufrui-
to in qualche modo dell’esperienza di paesi a più vecchia
tradizione di immigrazione.
Ma, al livello dei risultati,
un bilancio è difficile da stabilire. Da una parte si osservano
una infinità di iniziative, progetti ed esperimenti che coinvolgono molti insegnanti e dirigenti coraggiosi, studenti
entusiasti, volontari, associazioni, famiglie, esperti, formatori, animatori volenterosi.
Dall’altra parte però la confusione è totale. Ancora troppe scuole confondono intercultura con multicultura [o
addirittura con folclore multiculturale] e si mettono l’animo
in pace organizzando una «cena multietnica» o «una festa
multiculturale» dove si mescolano cuscus con la samba e
la torta di castagne con i tamburi africani.
Prima di proseguire bisogna
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chiarire i concetti. Multiculturale non è un sinonimo di interculturale. La multiculturalità è
prendere atto della molteplicità
delle «culture». Tutte le società sono multiculturali. In esse convivono varie culture:
lingue, religioni, popoli, costumi, tradizioni, classi sociali, generi, generazioni... Un dato di
fatto che è messo in evidenza,
forse ampliato, dall’arrivo di
migranti da paesi lontani ma
che non nasce con loro.
L’intercultura è invece una
scelta di gestione della convivenza multiculturale. È una
novità. Non si tratta di accumulare conoscenze: dell’apprendimento di nuove lingue,
la scoperta di nuovi cibi, suoni, tradizioni. Ma è un imparare a stare con chi è diverso
da me [per genere, età, classe
sociale, provenienza geografica, lingua, colore della pelle,
idee politiche, religiose...], a
capire le sue ragioni, a mettermi nei suoi panni, a guardare
con i suoi occhi qualche volta,
un decostruire le proprie certezze e accettare che la verità
non è sempre, dappertutto e
per tutti, la stessa. L’educazione interculturale non è un
semplice prendere atto della
realtà ma una gestione continua di questa realtà. Contrariamente alla multicultura
che è un dato di fatto, «l’interculturalità = processo + progetto» [Antonio Nanni, «L’educazione interculturale oggi in
Italia», Emi, 1998].
Se si guarda la situazione
globale della scuola italiana,
oggi, ci rendiamo conto che
siamo molto lontani dagli
obiettivi dell’educazione interculturale. Lavorando spesso con ragazzi delle scuole superiori ho notato come in que-
sti ultimi quindici anni atteggiamenti fino a pochi anni fa considerati marginali e scorretti sono diventati
molto diffusi e rivendicati con orgoglio [razzismo, sessismo, omofobia...].
Certo che in una scuola in cui non c’è progettualità
seria e ancora meno continuità, dove ogni nuovo ministro, ogni nuovo responsabile cancella i percorsi precedenti, un lavoro come l’intercultura che richiede continuità e progettualità resta una missione quasi impossibile. Se si mettono in atto realtà isolate [e di esperienze di eccellenza ce ne sono in giro moltissime] è soltanto grazie alla volontà di singoli o gruppi di insegnanti
e, nei migliori casi, con il sostegno di dirigenti scolastici e di autorità locali.
Ma nell’insieme continua a essere diffusa una totale confusione. Nelle scuole dove vado continuo a incontrare insegnanti convinti che l’intercultura sia una cosa legata al «problema dei ragazzi extracomunitari». Si
continua a far alzare i bambini «stranieri» per chiedergli di parlare nella loro lingua o a raccontare la loro differenza, quando loro vorrebbero solo essere «come tutti». Si continua a far venire centinaia di animatori per
fare la danza africana o l’origami o a raccontare fiabe
dei vari paesi con la convinzione che quella è la via per
migliorare la convivenza e facilitare «l’integrazione».
L’esempio della permanenza di questa incomprensione di base che racconto spesso è quella di una scuola di Bressanone dove sono stato chiamato a condurre
una formazione sull’educazione interculturale. «Perché
cominciamo ad avere molti bambini extracomunitari»,
mi dissero. Cominciai il lavoro con una ventina di insegnanti entusiasti e pronti ad aiutare i loro nuovi alunni marocchini e cinesi a convivere con i piccoli altoatesini. A un certo momento si sentì una suoneria poi il
rumore di bambini in pausa nel cortile della scuola. Poco dopo un’altra suoneria e il rumore sparì. La pausa
era finita. Ma cinque minuti dopo di nuovo suoneria e
di nuovo bambini nel cortile. A questo punto guardai
gli insegnanti per vedere se qualcuno avesse notato l’anomalia. Ma niente. Sembrava tutto normale per loro.
Allora chiesi: «Ma è normale che i bambini escano due
volte in pausa nello spazio di cinque minuti?».
Gli insegnanti mi spiegarono invece che la scuola era
divisa in due: una parte per i bambini germanofoni e
l’altra per bambini italofoni. Questi bambini non si incontrano mai tra di loro, nemmeno durante la pausa nel
cortile. Due mondi separati, come sono separati il sud
e il nord dell’Italia, come sono separati i centri e le periferie delle città, i quartieri bassi dai quartieri alti, il
mondo cittadino dal mondo contadino. Mondi per i
quali nessuno ha pensato possa essere necessaria una
educazione interculturale.
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Accogliere rifugiati
con reti territoriali
L’ASSOCIAZIONE YA BASTA! DI BOLOGNA HA PROMOSSO UNA RICERCA INSIEME A UN GRUPPO DI RIFUGIATI X
DIMOSTRA CHE LA CURA DEI RICHIEDENTI ASILO NON È UN PROBLEMA SOLTANTO DEGLI ENTI LOCALI.X
E CHE È POSSIBILE SUPERARE L’ASSISTENZIALISMO E IL WELFARE PENSATO UNICAMENTE INTORNO AL LAVORO X
DI
NEVA COCCHI [ASSOCIAZIONE YA BASTA! BOLOGNA ]
I
PRIMI TEMPI dopo l’arrivo in Italia dei richiedenti asi-
lo sono al centro di studi e reportages anche ufficiali.
L’immagine prevalente dei rifugiati resta confusa con
quella del generico migrante o del «clandestino», tuttavia la loro presenza in Italia è un dato di fatto ormai rilevante e la loro «invisibilità» si è ridotta. Il lavoro di media indipendenti e associazioni consegna informazioni
sui loro viaggi verso l’Europa, sui costi umani di queste
rotte; conosciamo l’incertezza dei destini delle popolazioni in fuga e sappiamo anche che dopo l'arrivo l'esperienza del respingimento continua. Ma la presenza
dei rifugiati è e sarà un fatto stabile e strutturale, anche per l’Italia: nonostante le politiche di respingimento tentino illusoriamente di interrompere questi flussi di popolazione, la necessità di fuga manterrà una
forza inarrestabile finché non ne verranno
rimosse le cause di fondo.
Il lavoro di inchiesta che abbiamo condotto in Emilia Romagna ha cercato di dirigersi oltre la fase dell'arrivo e dell'accoglienza per parlare di come si sviluppano nel lungo periodo le vite dei rifugiati che restano in Italia. Alla fine del nostro viaggio guidato dalla voce di ventiquattro titolari di protezione internazionale di diverse provenienze e oggi residenti a Bologna, Modena, Parma e Ravenna, risulta difficile tracciare una sintesi di
esperienze differenti legate a una condizione giuridica
unica, seppur rappresentata nelle due forme della protezione sussidiaria e dell'asilo politico. Tuttavia sono evidenti alcuni tratti comuni su cui insieme ad altri strumenti preziosi [mobilitazioni, campagne...], abbiamo voluto con la nostra ricerca aprire una discussione.
L’inchiesta parla di chi è già qui, ma certo non dimentica che sono moltissimi coloro che non riescono ad arrivare in Europa e in Italia perché restano imbrigliati e
bloccati nel loro percorso dai meccanismi formali e informali della guerra globale all'immigrazione irregolare. Chi
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vede accolta la domanda di asilo in Italia rappresenta solo una
piccola parte di quei 40 milioni
che nel mondo sono costretti ad
allontanarsi dalla propria casa,
tuttavia l'arrivo di richiedenti
asilo nel nostro paese è stati
sempre considerato come «eccesso» che procura allarme sociale e a cui si fa fronte con
provvedimenti straordinari e
repressivi; mai sono stati affrontati come dato strutturale
cui riconoscere le tutele previste dalle convenzioni internazionali, dalla Costituzione, dalle direttive comunitarie e dai
decreti.
Ascoltando il punto di vista
dei rifugiati abbiamo ricomposto alcune parti del quadro nazionale, frammentato e discontinuo, delle politiche di accoglienza per i richiedenti asilo. È
però sul percorso di accoglienza di un territorio specifico che
la voce degli intervistati è stata preziosa, non per fare la fotografia di un disagio, ma per cercare insieme a loro di conoscere la realtà e pensare percorsi
e soluzioni comuni, collocando
il tema del diritto di asilo e dei
diritti di cittadinanza al centro
dei nostri interessi, rivendicando la competenza di ognuno a
parlare di inclusione e diritti. Il
Inchiesta
«Vite da
rifugiati» è
un’inchiesta
di Ya basta sui
rifugiati che
vivono nelle
città di
Bologna, Modena, Parma e
Ravenna [www.meltingpot.org
[email protected]].
lavoro svolto nasce infatti all'interno di un percorso politico [quello del centro sociale Tpo
e dell'associazione Ya Basta! di
Bologna] indipendente, che ha
le sue radici nell'esperienza attiva di quei movimenti che
hanno scelto di auto-rappresentarsi e auto-determinarsi
per affermare la volontà e il diritto di decisione sui contesti in
cui ogni giorno vivono.
Siamo convinti che il diritto di asilo non debba restare
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materia di competenza delle
amministrazioni, dei tecnici e
degli operatori, oppure degli
esperti sugli studi del settore,
ma sia invece un tema che riguarda in pieno l'identità che le
nostre città assumono rispetto ai movimenti mondiali di popolazione e alla connessione
sempre più diretta tra piccolo
territorio, dimensione nazionale e globale.
La presenza dei rifugiati pone le istituzioni, in Emilia Romagna come altrove, di fronte
a una parte di società «internazionalmente protetta» ma paradossalmente ignorata e senza diritti reali: pone la questione di come vengono contrastate, subite, o assecondate le
spinte xenofobe, i sentimenti di
auto-difesa e chiusura identitaria, che rischiano di diventare le uniche reazioni visibili alle sempre più gravi difficoltà
vissute nella crisi economica, a
sua volta sintomo di una crisi
strutturale del modello capitalista e globalizzato, responsabile di produrre spostamenti
forzati di persone.
Interrogare i rifugiati su come vivano in tempi di crisi significa non rassegnarsi di fronte al fatto che le prime vittime
di questa crisi siano le fasce più
deboli, tra cui i rifugiati, la cui
fragilità sociale fa sì che vengano travolti dai processi di reazione e riorganizzazione delle
istituzioni, dei sistemi di produzione e degli assetti sociali.
Ci sembra ad esempio un tema
da problematizzare il fatto che,
dopo tanti anni nel nostro territorio, molti intervistati continuino a vivere una condizione di incertezza che ne cristallizza i percorsi di vita e vanifica tutte le energie investite da
loro stessi e dai servizi nel processo di re-inserimento.
Seguire l'evoluzione dei vis-
suti dei rifugiati nel corso del tempo significa ribadire l'urgenza di una politica di gestione della crisi che possa, di
fronte al dilagare della disperazione individuale che non
risparmia i rifugiati, formulare proposte di tutela economica e sociale per tutti, italiani e stranieri, lavoratori precari e subordinati, rifugiati e migranti, giovani e anziani,
donne e uomini. Le testimonianze raccolte evidenziano
la necessità di nuove forme di welfare scollegate dal lavoro, che possano fungere da ammortizzatori sociali.
L'inchiesta non si è sottratta però dal riconoscere il valore dei progetti sviluppati nell'ambito del Sistema di protezione per richiedenti asilo, troppo limitati nelle risorse economiche assegnate, ma certo per una parte di richiedenti asilo prima forma di tutela nel periodo successivo all'arrivo, che spesso li ha sottratti alla violazione dei
diritti, a immotivati dinieghi di status, a lavori in condizione di semi-schiavitù. Si tratta di rafforzare questo
sistema, rendendolo capillare su tutto il territorio nazionale, vincolante per tutti gli enti locali, potenziandone gli
interventi volti all'autonomia dei beneficiari, pensando
alla necessità di inserimento sociale successivo all'accoglienza. In tutte le narrazioni raccolte è lampante il rifiuto di interventi di mero assistenzialismo. «Io non chiedo pesce ma insegnatemi come si fa a pescare»: sembra
questo il nodo su cui sviluppare nuovi interventi, ma non
solo gli strumenti degli enti locali sono carenti, alle volte è proprio la volontà dei decisori politici a mancare.
Nell'inchiesta emerge la funzione importante che associazioni, movimenti e gruppi svolgono ai fini dell'inclusione dei titolari di protezione nei territori. Come conferma
anche l'esperienza di Sportello Migranti della nostra associazione, insieme a tante altre esperienze anche fuori
dalla regione, essi offrono risposte a bisogni materiali attraverso assistenza legale, alfabetizzazione, orientamento e, al contempo, rappresentano un bacino importante
di nuove relazioni, favorendo il processo di inserimento in un territorio nuovo e l'emancipazione dall'assistenza. Valorizzare e rafforzare queste realtà sostenendone
le progettualità e ascoltandone la voce è una strategia necessaria. I rifugiati ci mettono in contatto con il mondo,
portano nelle nostre città le contraddizioni delle guerre
e delle crisi ambientali di cui sono responsabili gli Stati
occidentali, ci parlano in prima persona delle «missioni
di pace» in cui è impegnato questo paese investendo i fondi nelle spese militari, anziché nella spesa sociale e nella cooperazione internazionale. Forse qualcuno si illude che gli effetti di questo modello di sviluppo si ripercuotano solo sugli abitanti delle zone in cui i conflitti vengono scatenati, ma le storie dei rifugiati ci ricordano che
se ne subiscono le conseguenze anche a milioni di chilometri di distanza.
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Una nuova idea
di cittadinanza
LA COSTITUZIONE ITALIANA DISEGNA UNA CITTADINANZA INCLUSIVA, A COMINCIARE
DALL’ARTICOLO 3. EPPURE SI È DIFFUSA UN’IDEA DIVERSA CHE DEFINISCE CHI STA DENTRO LA SOCIETÀ
E CHI NO. PER QUESTO ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI PROPONGONO UNA LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE
DI FILIPPO MIRAGLIA [RESPONSABILE IMMIGRAZIONE E ANTIRAZZISMO ARCI NAZIONALE]
C
ITTADINANZA. Nationality. Nationalité. Così compare sui passaporti italiani, con le traduzioni in inglese e francese, l’elemento dell’appartenenza all’Italia da parte di una persona. Cittadinanza quindi, non nazionalità, come riportato nelle altre due lingue europee.
«Appartenenza del singolo a una società organizzata
a Stato», recita lo Zingarelli alla parola cittadinanza. La
scelta della pubblica amministrazione italiana indica come un elemento di adesione alla società, alla comunità
nella quale si vive, la cittadinanza appunto, sia stato utilizzato per definire l’appartenenza alla nazione italiana.
Forse perché nella nostra storia l’appartenenza nazionale è troppo recente e ancora fragile, lo si è voluto tradurre in qualcosa di più vicino alle persone. L’idea di convivenza, di partecipazione a una comunità, regolata dalla Costituzione, che consente a ciascuno di sentirsi parte di una società, cittadino, ossia titolare di diritti e soggetto ai doveri stabiliti dalla legge.
Quella di nazione è invece una idea più difficile da condividere. L’Italia, che fino a pochi decenni fa non aveva
lingua e istituzioni comuni, si riconosce nell’idea di nazione solo in occasione dei mondiali di calcio. Così la pa-
rola cittadinanza viene utilizzata al posto
dell’idea astratta di nazionalità. Ma dopo la
seconda guerra mondiale, la Resistenza, la
Costituzione e la voglia di riscattare il ventennio fascista, spingono a costruire in Italia una ipotesi di cittadinanza inclusiva,
che poco a poco dia a tutti la possibilità di
sentirsi parte dello stesso paese. Questa idea di
società inclusiva è scritta nella Costituzione. Quello che
esprime meglio l’idea di cittadinanza inclusiva è l’articolo 3 che, stabilendo il principio dell’uguaglianza tra le
persone, impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che ne
impediscano il pieno raggiungimento. La Corte costituzionale più volte ha spiegato che si tratta di un principio
che riguarda non solo i «cittadini», ma più in generale le
persone.
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Oggi però l’idea di cittadinanza sembra essersi trasformata in qualcosa di opposto a
quello che afferma l’articolo 3.
Anziché adoperarsi per rimuovere gli ostacoli che impediscono il raggiungimento dell’uguaglianza, lo Stato sembra impegnato a creare sempre maggiori ostacoli. Parlare di uguaglianza è diventato impopolare. Sembra quasi che non ce lo
possiamo permettere. La crisi,
la disoccupazione, la stabilità
economica e finanziaria e il rispetto dei parametri dettati
dall’Ue. Tutto serve a dimostrare che non ci sono più le
condizioni. Troppi insegnanti.
Troppi impiegati pubblici.
Troppi servizi pubblici. E prima di ogni altra retorica quella che riguarda i migranti:
troppi immigrati.
Siamo stati indotti a pensare che l’Italia non potesse permettersi la presenza di lavoratori stranieri oltre un certo limite e che anche a coloro che
sono già presenti non fosse
possibile assicurare gli stessi
diritti. Così le tasse bisogna pagarle. Ma i servizi non sono disponibili per tutti. Bisogna prima dimostrare di essere «integrati». E comunque non possiamo essere tutti uguali. Gli stranieri pagano i contributi Irpef,
nonché l’addizionale comunale e regionale, ma non possono,
ad esempio, accedere ai concorsi pubblici, destinati ai soli
italiani. Non solo. Sempre più
diffusa tra le amministrazioni
locali è la scelta di inserire una
condizione per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica o ai
sevizi per l’infanzia, legati all’anzianità di residenza.
Si è sedimentata nella nostra società l’idea che la cittadinanza sia un concetto attraverso il quale definire chi sta dentro e chi no. La proposta di
riforma della legge n.91 del ‘92,
votata dalla maggioranza di
centro-destra alla camera, prevede un «percorso di cittadinanza» che consiste nella dimostrazione di alcuni requisiti, molti dei quali sono normali obblighi per qualsiasi cittadino [ad esempio il diritto dove-
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Diciamo addio
allo ius sanguinis
DI STEFANO GALIENI
M
re all’istruzione]. L’obbligo dello Stato a «rimuovere gli ostacoli», si trasforma in un obbligo dello straniero che vuol diventare italiano a dimostrare
di essere in grado di assolvere
autonomamente quel compito
che la Costituzione attribuisce
alla Repubblica.
Per questo abbiamo bisogno
di una iniziativa che punti a ricostruire consenso intorno al
principio dell’uguaglianza. Una
campagna sulla cittadinanza
che restituisca dignità alle persone di origine straniera consentendo loro di prendere parola, di contare. Da qui l’idea di
promuovere una legge di iniziativa popolare per il diritto di
voto ai migranti alle amministrative. Una legge ordinaria,
che consenta di andare al rinnovo di comuni, province e regioni con suffragio universale,
giacché in alcune città e in alcune aree del paese la popolazione straniera residente supera il 10 per cento e non può partecipare alle elezioni.
Così come serve una legge di
iniziativa popolare che riformi
l’accesso alla cittadinanza, evitando che in questo paese si
crei una spaccatura insanabile
tra italiani e non. Una società
che obbliga le persone a essere
stranieri per tutta una vita, indicandoli periodicamente come
capri espiatori, rischia alla fine
di disgregarsi. Si pensi che nel
2008 in Italia hanno ottenuto la
cittadinanza 53 mila persone
circa, corrispondenti a una
percentuale di 14 su 1.000
stranieri residenti, rispetto ai
37 su 1.000 della Francia [corrispondenti a 137 mila persone]
o ai 31 su 1.000 della Gran Bretagna [129 mila persone].
ESSAGGI DISTORTI. «In Italia siamo invasi dagli immigrati». In pochi anni la presenza
migrante ha raggiunto, come ricorda Piero Soldini, responsabile immigrazione della Cgil, il
7 per cento della popolazione, una media superiore a quella di altri paesi. Ma è un dato falso: «Se pensiamo alla Francia – dice Soldini - la percentuale di
cittadini stranieri è dell’8 per cento, se si somma a
quelli che hanno ottenuto la cittadinanza si arriva
al 23, quasi un quarto della popolazione francese».
In Italia il cammino per accedere alla cittadinanza è lungo e tortuoso, pieno di imprevisti. Occorrono dieci anni di permanenza continuata e regolare, la residenza, un reddito minimo. Un altro messaggio distorto è connesso alla convinzione diffusa che chi nasce in Italia sia di per sé cittadino italiano. Grazie alle leggi vigenti questo non è vero, vige ancora l’arcaica legge dello ius sanguinis, almeno uno dei due genitori deve essere italiano, altrimenti, al compimento del diciottesimo anno di età
si rischia di essere rispediti in un paese che neanche si conosce. Il terzo messaggio distorto riguarda il diritto di voto: per alcuni giuristi è necessaria
una modifica costituzionale [articolo 48] per poter
garantire il diritto di elettorato attivo e passivo ai
cittadini non comunitari, per altri, si può al massimo ragionare di elettorato attivo. Ma diritto di voto e accesso alla cittadinanza stanno tornando nell’agenda politica. Forze politiche e sociali, movimenti, associazionismo, provano a riprendere le fila di questo ragionamento. «L’intenzione maturata al meeting antirazzista di Cecina, organizzato
dall’Arci in luglio – racconta ancora Soldini - è di fare un salto di qualità raccogliendo firme per una
proposta di legge di iniziativa popolare dai contenuti semplici».
La proposta presentata in parlamento nella scorsa legislatura, primo firmatario Bressa, per passare allo ius soli sembra un utile punto di partenza.
Il percorso prevede un appello a partire dall’applicazione dell’articolo 3 della Costituzione scritto da
persone che rappresentano uno schieramento culturale ampio e a cui aderiranno forze sociali, partiti, sindacati, enti locali, associazioni laiche e religiose. Il 12 ottobre ci si vede a Reggio Emilia.
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IL 24 SETTEMBRE È ARRIVATOX
ECCO COSA SI ORGANIZZA,X
DOVE E PERCHÉ. APPUNTAMENTI,
CENE, CORTEI, ASSEMBLEE,X
VIDEOPROIEZIONI, INCONTRI,X
E GIOCHI SENZA FRONTIEREX
Facciamo l’appello
Nel settembre 2009, in 60 città 500 organizzazioni diedero vita
al Clandestino Day proposto da Carta. I motivi e le modalità che
spinsero al successo di quella giornata sono ogni giorno più validi e ci spingono a proporre l’appuntamento anche per il 2010.
Le leggi razziste del governo hanno prodotto un imbarbarimento delle relazioni sociali e delle condizioni di vita dei migranti
che vivono in Italia o che provano ad arrivarci. Reato di clandestinità, prolungamento della detenzione nei Cie, respingimenti
in mare, violazione del diritto d’asilo, sanatoria-truffa, permesso di soggiorno a punti, tetto scolastico, sono tutti tasselli di
questo nuovo razzismo, istituzionale e popolare, a cui vogliamo opporci.
Come risposta a questo clima insopportabile cresce, spesso invisibile agli occhi dell’informazione ufficiale, una società aperta, accogliente, solidale e sempre più meticcia, fatta di scuole di
italiano, sostegno legale, occupazioni di case, assistenza sanitaria, scambio culturale.
La rivolta di Rosarno e le ribellioni sempre più frequenti nei Centri di detenzione per migranti ci parlano di un’emergenza sempre più pressante per cambiare le leggi italiane. I movimenti italiani contro il razzismo sono in profonda trasformazione, hanno
saputo parlarsi e trovare momenti comuni molto importanti,
come la grande manifestazione del 17 ottobre 2009 e come la
giornata del primo marzo 2010. Nella differenza, queste due
giornate ci segnalano un nuovo protagonismo dei migranti e la
capacità di reinventare il lessico dell’antirazzismo. Il Clandestino Day vuole essere una giornata a disposizione di tutti, per intrecciare e allargare reti, per dare visibilità a tutti e a ognuno
con le proprie forme e i propri linguaggi.
Quest’anno abbiamo pensato di suggerire un tema e un luogo
sui quali concentrare l’immaginazione del Clandestino Day: la
formazione e la scuola. Migliaia di insegnanti, dalle materne alle
superiori, fanno ogni giorno un lavoro prezioso per far crescere
e vivere insieme la prima generazione italiana compiutamente
meticcia. Questo lavoro è sempre più minacciato dalle campagne mediatiche e dalle riforme che propone il ministro Mariastella Gelmini, dai tagli alla scuola di ogni ordine e grado all’istituzione del tetto per i figli dell’immigrazione.
Per questo pensiamo che oggi sia fondamentale difendere la
scuola come luogo decisivo, dove costruire un altro modo di vivere insieme.
Per il 24 settembre 2010 proponiamo quindi di organizzare una
giornata in cui promuovere le più diverse e creative forme di
protesta e di stare insieme. Un giorno nel quale ognuno di noi si
dichiara clandestino. Cene, proiezioni, concerti, partite di pallone, lezioni all’aperto, manifestazioni, presidi, presentazioni di libri, azioni, mostre fotografiche, assemblee, feste, spettacoli
teatrali...
Il tema è libero, chi vuole porterà il Clandestino Day a scuola.
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Un mare di adesioni
Ecco le adesionialla giornata dell’orgoglio migrante:
in decine di città centinaia di organizzazioni
manifesteranno in molti modi contro il nuovo razzismo
Hanno aderito [al 20 settembre]
Action [Roma], Altragricoltura [Padova], Amani
[Bologna], Ambasciata dei Diritti [Falconara Marittima] Amici dei Popoli [Bologna], Amici di Sardegna, Amici Sardegna Palestina, Amici di Viviana [Cagliari], Amnesty international [Reggio
Emilia], Amnesty international [Grottaglie], Amref Palermo, Anpi [Falconara Marittima], Arc
[Cagliari], Arci Ancona, Arci nazionale, Arci
[Grottaglie], Arci Immigrazione [Follonica], Arci
Palermo Arciragazzi Vicenza, Arci soliderietà
onlus [Roma], Arci Thomas Sankara [Messina],
Arci Tina Merlin [Montereale Valcellina], Arci
Todo Cambia [Milano], Arci Ubik [Pessano con
Bornago], Arpj Tetto [Roma], Asantesana associazione onlus [Palermo], Asecon [Cagliari],
Asgi [Palermo] Associazione Acads delle donne
subsahariane [Falconara Marittima], Associazione Ambasciata dei Diritti [Macerata], Associazione Arcobaleno [Grottaglie], Associazione
Babele [Grottaglie], Associazione Bangladesh
Marche, Associazione Bassa Manovalanza
[Amandola] Associazione Cittadini del villaggio
globale [Palermo], Associazione culturale di volontariato Cotroneinforma [Cotronei], Associazione culturale Hombre [Palermo], Associazione culturale Malaussène [Palermo], Associazione di solidarietà con il popolo saharawi Jueta,
Associazione di volontariato «Icaro» [Udine], Associazione Fratelli della Stazione [Foggia], Associazione Immigrati Marocchini nelle Marche,
Associazione Immigrati Pordenone, Associazione Italia-Cuba Circolo «Gino Donè», Associazione LabLib [Grottaglie], Associazione Le Mafalde
[Prato], Associazione Le Tribù [Torre del Greco],
Associazione Librando [Follonica], Associazione Mestizaje [Cecina], Associazione Mondo
[Cento], Associazione Murales [Fondi], Associazione Naturalmente a Sud [Grottaglie], Associazione No Border [Zagarolo], Associazione omosessuale Articolo Tre [Palermo], Associazione
Ondaverde [Falconara Marittima], Associazione
7 2 • C A R TA N . 3 1 A L M A N A C C O
Percorsi di pace onlus [Croce di Casalecchio di
Reno], Associazione per la Sinistra di Bologna,
Associazione «Scalo Culturale» [Latina], Associazione senegalese Jappo [Follonica], Associazione Simbiosi Moderne [Grottaglie], Associazione Sopra i ponti [Bologna], Associazione
Ya Basta! [Bologna], Associazioni a difesa della
comunità rom [Cosenza], Associazioni del movimento antirazzista [Firenze], Avvocati di Strada
[Falconara Marittima], Band’Armanda, gruppo
musicale [Bologna], Blu pubblica assistenza onlus [Falconara Marittima], Bottega Equomondo
[Potenza], Campagna ClandestinoDoc – Associazione Liblab, Cefa [Bologna], Centro di solidarietà internazionalista Alta Maremma, Cestas
[Bologna], Cgil [Falconara Marittima], Cgil Immigrazione Palermo, Cgil nazionale, Cgil [Vicenza],
Chiesa Valdese [Grottaglie], Città dell’altra economia [Roma], Circolo Africa [Falconara Marittima], Circolo Arci ‘NZocchè [Palermo], Circolo
Culturale «Menocchio», Città migrante [Reggio
Emilia], Coalizione Italiana contro la Pena di
Morte Onlus, Cobas [Catania],Cobas AntirazzistiMigranti [Palermo], Cobas Scuola Palermo, Cobas [Pordenone], Collettivo studentesco maremmano Woodstock, Collettivo 20 Luglio [Palermo],
Comitato Immigrati in Italia [Massa Carrara], Comitato Immigrati in Italia [Milano], Comitato lotta per la casa 12 Luglio [Palermo], Comitato Nopacchettosicurezza [Reggio Emilia], Comunidad
Mexicana de Roma, Consiglio italiano per i rifugiati [Falconara Marittima], Consorzio Iniziative
Solidali [Emilia Romagna], Consulta per la Pace
[Jesi], Convergenza delle Culture-Sportello Foppette [Milano], Cooperativa La Ragnatela [Venezia], Cooperativa Owen [Grottaglie], Cooperativa sociale Mondo solidale onlus [Chiaravalle],
Cooperativa sociale Samarcanda [Belluno],
Cooperativa Sociale Rom Bosnia Erzegovina
[Roma], Coordinamento antifascista e antirazzista Alta Maremma e Alta Valdicecina, Coordinamento Migranti [Bologna], Coordinamento mi-
granti [Varese], Coordinamento Nessuno è Illegale [Padova], Coordinamento No Cie [Rovigo],
Co.sa.s. [Cagliari], Cospe [Bologna], Cpo Experia
[Catania], Csa Sisma [Macerata], Csoa Ex Canapificio [Caserta], Csoa Intifada [Empoli], Csoa
Kontatto [Falconara], Csoa La Strada [Roma],
Csoa Mercato Occupato [Bari], Centro sociale Il
Cantiere [Milano], Centro sociale Spartaco [Roma], Centro sociale Spartaco [Ravenna], Ecologisti Spa [Bologna], Emergency [Reggio Emilia],
Esc [Roma], Equalway, Società Cooperativa di
Lavoro, Fabbrica di Nichi [Ancona], Fabbrica di
Nichi [Fermo], Fabbrica di Nichi [Vicenza], Falconara Cricket Club, Famiglie insieme [Bologna], Federazione dei Comunisti Italiani [Reggio
Emilia], Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie, Filcams Cgil nazionale Focus
Casa dei Diritti Sociali [Roma], Forum antirazzista [Napoli], Forum antirazzista [Palermo], Free
Woman [Falconara Marittima], Galleria d’arte
Garage [Palermo], GBE – Ginevra Bentivoglio
EditoriA [Roma], Giovani Comunisti Palermo,
«Gli Anelli Mancanti », centro interculturale regionale [Firenze], Gridas [Napoli], Gruppo intercultura della Comunità di base di San Paolo [Roma], Gruppo Yoda [Bologna], G.U.S. Jesi, Gvc
[Bologna], Harambe [Bologna], Horus project
[Roma], Insutv [Napoli], Laboratorio Zeta [Palermo], Laici Comboniani Palermo, L’Albero della
Vita [Palermo], Left - Casa della Sinistra [Palermo], Legambiente Circolo «Prealpi Carniche»,
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L’Hard Coro De Marchi [Bologna], Lhasa [Falconara Marittima], Libera Jesi, Link-Coordinamento Universitario, Lista civica Idea Comune [Nuoro], Luna d’Oriente [Cagliari], Mani Tese, Medicina Democratica [Falconara Marittima], MigrAzioni [Parma], Migranti Ancona [diritti ora],
Mixa, Magazine online e free press [Milano],
Movimento primo marzo, Movimento ToscanaNoCIE, Movimento verde, Navarra Editore, Nova [Bologna], Open Mind Glbt [Catania], Osservatorio sulla repressione [Basilicata], Partito comunista dei lavoratori [Follonica], Partito della
Rifondazione Comunista, Partito della Rifondazione Comunista della Basilicata, Partito della
Rifondazione Comunista [Follonica], Partito della Rifondazione Comunista del Meratese, Partito della Rifondazione Comunista Palermo, Partito della Rifondazione Comunista Pordenone,
Popolo viola [Roma nordest], Presidio No Dal
Molin [Vicenza], Progetto Meltingpot Europa,
Progetto Sprar Chiaravalle, Radio Planet/TV africa, Radio popolare Salento, Redazione Biancoenero [Rovigo], Reorient onlus, Rete Antirazzista
catanese, Rete antirazzista di Bari, Rete Antirazzista Fiorentina, Rete Diritti Fvg, Rete Immigrazione dell’agro-nocerino [Nocera inferiore], Rete per l’autorganizzazione popolare [Campobasso], Rete Radie’ Resch Rete tuttidirittiumanipertutti [Venezia], Rete umbra «Siamo tutti clandestini» RSU Ateneo fiorentino, Save the children
Sardegna, Scuola popolare di Musica Ivan Illich
[Bologna], Senza Confini Ancona, Siderlandia
Redazione, Sinistra democratica [Falconara Marittima], Sinistra ecologia e libertà [Bologna], Sinistra ecologia e libertà [Falconara Marittima],
Sinistra Ecologia e Libertà Palermo, Sogno
clown [Cagliari], Sokos [Bologna], Spazio Migrante Latina Onlus, Spazio pubblico autogestito Strike [Roma], Statunitensi contro la guerra
[Firenze], Tavolo organizzativo Clandestino day
[Cerignola], Terre des hommes [Bologna], Ufficio
migranti Fiom-Cgil nazionale, Unione degli studenti, Unione immigrati [Vicenza], Università migrante [Milano], Viva la terra onlus [Roma], Yo
migro-Orgoglio meticcio, Zona Libera dal Razzismo [Zagarolo].
Fausto Ameli [Responsabile Centro Interculturale], M. Zonarelli [Bologna], Luca Assi [Bergamo],
Marco Brazzoduro [docente di Politica sociale
presso l’università La Sapienza, Roma], Alessio
Burini [Varanasi], Patrizia Carletti [Falconara
Marittima], Michele Citoni [Roma], padre Carlo
D’antoni [parrocchia di Bosco Minniti, Siracusa], Peppe De Luca [gruppo musicale Invece],
Alessandro Di Meo [Roma], Italo Di Sabato [segretario regionale Prc Basilicata], Donatella Donato [presidente Coopi Lazio e insegnante scuola dell’infanzia], Giancarlo Garoia [Forlì], John
Gilbert [Presidente Direttivo Toscano Flc-Cgil],
Margherita Gombi Minerbio [Bologna], Agostino Letardi, Teresa Marzocchi [assessore alle politiche sociali e di integrazione per l’immigrazione della Regione Emilia Romagna], Elena Paba [
Redazione esteri GRR Radio1], Giampiero Monaca [Asti], François Pesce, Giulietta Poli [insegnante, Padova], Angelo Proto [assistente tecnico Liceo Classico Statale, Anzio], Massimo Rossi [Falconara Marittima], Marco Rovelli [scrittore e cantante], Raffaele K. Salinari [Terre des
hommes], Andrea Segre [regista], Piero Soldini,
[responsabile immigrazione della Cgil], Gloria
Sordoni [Falconara Marittima], Paolo Trezzi [esserevento.it, Lecco], Edvino Ugolino [rete degli
artisti], Don Giovanni Varagona [Falconara Marittima], Ouattara Yacouba [www.watti-giocattoli.it]
Un diniego perentorio e fragile
Mentre il ministro Maroni risolleva la questione del Cie per ogni regione, incassando un diniego tanto perentorio nelle parole quanto fragile nei fatti da parte del governatore Spacca,
mentre la maggioranza cittadina di destra si dichiara in consiglio comunale «ideologicamen-
day
te favorevole ai Cie» anche nelle Marche, nonché sostenitrice delle politiche governative in
materia di immigrazione ma scettica nell’ospitarlo in una città come Falconara, già satura di
criticità ambientali e non solo, mentre i libici
usano le nostre armi e i nostri mezzi per terrorizzare anche gli italiani, oltre ai migranti in fuga, ci si prepara al secondo Clandestino Day
cittadino. Il Csoa Kontatto e l’Ambasciata dei
Diritti partecipano insieme ad un folto gruppo
di associazioni e cittadini alla costruzione dell’evento, che si terrà venerdì 24 settembre dalle 17 in piazza Mazzini e al Centro Pergoli.
Csoa Kontatto e
Ambasciata dei diritti, Falconara
Dignità e uguaglianza
La Filcams Cgil nazionale aderisce al Clandestino Day 2010, a favore di una nuova politica di
accoglienza verso i migranti, contro l’istituzione dei Centri di identificazione ed espulsione, e
con l’obiettivo del superamento della legge
Bossi-Fini lesiva del principio di dignità e di
uguaglianza. Dignità e uguaglianza che siano
diritto di tutte le donne e di tutti gli uomini, di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori, diritto che
intendiamo difendere e presidiare come valore fondante della nostra società.
Franco Martini, segretario generale
Filcams Cgil nazionale
Democrazia inclusiva
Il Partito della Rifondazione comunista aderisce in pieno alla giornata Clandestino Day promossa anche quest’anno da Carta.
Stiamo inviando alle nostre federazioni provinciali l’invito a partecipare alle iniziative previste nei territori e a collaborare alla loro organizzazione. Riteniamo questo momento come fondamentale per una idea inclusiva e partecipativa della democrazia che non riguarda solo gli
uomini e le donne migranti costretti in condizioni di irregolarità amministrativa da leggi xenofobe e fondate sullo sfruttamento, ma la reale tenuta dello Stato di diritto nel paese. Riguarda tutte e tutti noi insomma che, anche se garantiti da documenti di identità e diritti di sangue, vediamo ogni giorno lesi gli spazi di eguaglianza sociale.
Stefano Galieni, responsabile
immigrazione Prc
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Contro la fortezza Europa
L’iniziativa parte dal giornale settimanale Carta, voce dei movimenti italiani, che nel 2009 ha
iniziato questa campagna di denuncia verso l’istituzione dei Centri di identificazione ed espulsione, voluti dall’Unione europea per affermare la propria idea di fortezza verso i migranti
che arrivano dalle zone più povere del mondo.
Ma anche verso le politiche di sicurezza dei governi di centrodestra, soprattutto contro la legge Bossi-Fini, che hanno scatenato l’imbarbarimento delle relazioni sociali e delle condizioni di vita degli stranieri in Italia.
Come risposta a questo clima, grazie anche all’esperienza diretta con i quattro ragazzi africani [tre del Mali ed uno della Guinea Conakry]
il nostro circolo intende festeggiare quest’avventura, che sta portando tutti e quattro all’ottenimento dello status di immigrato regolare,
organizzando una cena di sostegno alla Rete
di Solidarietà, che da ormai molti mesi si sta
operando nel supporto delle persone in difficoltà.
Il tema che Carta ha suggerito quest’anno è la
formazione e in tal senso vorremmo impostare
il lavoro d’integrazione, sostenendo la necessità e il diritto allo studio degli stranieri. Grazie
ad una forte rete solidale, in questi anni siamo
riusciti ad organizzare dei corsi di scolarizzazione, utili per imparare la nostra lingua ma anche per l’integrazione nel territorio.
Circolo Arci Tina Merlin, Montereale
La paura dello straniero
In linea con il peggiore populismo di destra anche l’Italia è vittima di una vergognosa deriva
xenofoba. La paura dello straniero è quotidianamente sobillata dai mas media servi del governo che la strumentalizzano per aumentare i
loro adepti e ottenerne il consenso. Speculare
sulla paura e fomentarla è un comportamento
irresponsabile e criminoso poiché induce i cittadini italiani ad un atteggiamento discriminante e violento nei confronti degli stranieri. Come
se ciò non bastasse la Bossi-Fini, che impone
la necessità di un contratto di lavoro, induce gli
immigrati ad accettare qualsiasi condizione lavorativa, anche se sottopagata, anche se manca il rispetto per le norme di sicurezza, anche
se non viene garantito loro una rappresentanza sindacale, anche se si finisce nelle mani di
caporali al soldo delle mafie.
La mancanza di rispetto per la dignità dei clan-
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destini è mancanza di rispetto per il più elementare diritto umano, vivere. Sinistra Ecologia e
Libertà aderisce al Clandestino Day poiché «la
libertà è indivisibile e quando un solo uomo è
reso schiavo nessuno può dirsi libero».
Sinistra Ecologia Libertà Bologna
Una società divisa in caste
«Voi che li considerate/ solo carne da sfruttare/ e che a ciò li preparate/ nelle case e nelle
scuole» [Gualtiero Bertelli]
L’ondata di xenofobia che ha investito il nostro
paese negli ultimi anni, manovrata dai tanti poteri politici, economici e mediatici che hanno irresponsabilmente speculato sulla paura del diverso e sulla guerra tra poveri, ha profondamente trasformato la cultura civile degli italiani, catalizzando tensioni e conflitti potenzialmente dirompenti. Le istituzioni pubbliche, nello stesso tempo, hanno avallato una lettura securitaria e repressiva del dibattito sull’immigrazione, facendo a gara nell’imporre norme ed atti sempre più discriminatori nei confronti dei
migranti. I luoghi della formazione, fisiologicamente lo spazio più adatto alla costruzione di
rapporti di condivisione e di appartenenza comune al di là delle differenze etniche, in cui tutti i giorni si sperimentano dal basso nuove forme di dialogo e scambio, non sono immuni da
questa deriva: dalle classi-ghetto proposte dalla Gelmini ai limiti razziali per le borse di studio
universitarie sancite da alcune Regioni, è chiaro come si voglia fare della scuola e dell’università i luoghi di formazione di una società divisa
in caste, in cui l’attacco al migrante è strumentale al livellamento verso il basso dei diritti di
tutti e al disciplinamento e alla subordinazione
di tutti i soggetti sociali.
Per questo l’Unione degli Studenti e Link-Coordinamento universitario, impegnate nella costruzione della Rete della Conoscenza, aderiscono al Clandestino Day programmato da Carta per il 24 settembre e si impegnano a organizzare iniziative antirazziste nelle scuole, nelle
università e nelle città, rivolte alle studentesse
e agli studenti, alle loro famiglie e a tutta la cittadinanza.Ognuno è clandestino, nessuno è
clandestino.
Unione degli Studenti,
Link-Coordinamento universitario
Città dell’altra economia
Come Consorzio Città dell’Altreconomia di Ro-
ma aderiamo con convinzione al Clandestino
Day, perché il movimento dell’economia solidale non può accettare che in una società come quella in cui viviamo ci siano persone che
non siano riconosciute come tali, ma siano
soggette ogni giorno a dover rinunciare alla loro dignità e al loro umanità.
Una economia di giustizia mette al centro le
persone prima di tutto, per questo chi sperimenta pratiche di economia «alternativa» di
fronte a questa situazione non può che dichiararsi clandestino. Di certo, mentre il progetto
romano della Città dell’altreconomia viene
messa sotto attacco dall’attuale amministrazione - che vuole chiuderlo entro la fine di settembre - pensiamo sia importante una reazione collettiva dell’economia solidale clandestina.
Resta fondamentale continuare insieme a praticare nella nostra città nuovi stili di vita, per un
economia di giustizia orientata davvero al «bene comune», nella quale sia messa la bando la
parola «clandestino». Noi lo faremo in particolare a cominciare dal 24 settembre, e nelle iniziative in difesa della Città dell’altra economia
in programma il 26 e 29 settembre.
Riccardo Troisi, consorzio Città
dell’Altreconomia di Roma
Un cambiamento profondo
L’Italia della solidarietà si mobilita per cancellare il reato di clandestinità, che sfregia la civiltà del diritto, giacchè la condizione del clandestino non rappresenta un reato penale, bensì un’infrazione amministrativa, come guidare
senza patente. La stessa condanna, senza se e
senza ma, esprimiamo per i Centri di identificazione ed espulsione [Cie], come già per i Centri
di permanenza temporanea [Cpt].
I frutti avvelenati di questa incultura razzista si
sono visti anche a Follonica. Proponiamo che
si cominci subito a lavorare perché l’estate
2011 segni un cambiamento profondo.
Associazione senegalese Jappo,
Centro di solidarietà internazionalista Alta Maremma, Arci Immigrazione,
Associazione Librando,
Collettivo studentesco Woodstock,
Coordinamento antifascista
e antirazzista Alta Maremma
e Alta Valdicecina,
Partito comunista dei lavoratori,
Rifondazione comunista
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Da Rovigo a Catania
VENETO
Rovigo
-L’Associazione «Il Fiume» di Stienta ospita don
Andrea Gallo nella sala consiliare del Municipio
per parlare del suo ultimo libro «Così in terra come in cielo», il 25 settembre alle 21. Con l’occasione si parlerà anche di Cie e immigrazione, per
riprendere il filo del Clandestino Day del giorno
prima. www.associazioneilfiume.it
- Il 25 la rivista Biancoenero organizza un presidio in piazza Vittorio Emanuele II.
[email protected]
day
Mappadelle iniziative organizzate in giro per il paese
in occasione del Clandestino Day.
Uno straordinario, sorprendente successo annunciato
Belluno
La Cooperativa sociale Samarcanda s.c.s Onlus,
che gestisce in provincia di Belluno tre botteghe
del commercio equo e solidale, allestisce dal 23
al 25 settembre le vetrine con materiali [magliette, immagini, testi, ecc.] legati al tema della clandestinità.
[email protected]
Vicenza
Gazebo clandestini con volantinaggio dell’appello di Rovigo contro il Cie nel centro storico venerdì
24, a cura de La Fabbrica di Nichi e Unione immigrati [[email protected]].
Il Presidio Permanente No Dal Molin, La Fabbrica di Nichi, l’Unione immigrati, Arciragazzi Vicenza e la Cgil organizzano la proiezione del documentario «Non rubateci il futuro» [data e luogo in via di definizione] con la partecipazione del
Comitato scuola pubblica di Vicenza, Gruppo genitori di Montecchio [Vi] e avvocati che racconteranno storie passate, presenti e future dal
mondo della scuola.
Per info: [email protected]
Roma, Clandestino day 2009. La comunità rom del Casilino 23 comunica con il quartiere
discuterà dell’insegnamento dell’italiano e del
permesso a punti. In preparazione un documento da consegnare al prefetto, al sindaco e all’ufficio scolastico provinciale per segnalare i problemi di accesso all’istruzione per le famiglie immigrate. Da Padova ci sarà anche una parteci-
pazione alla manifestazione di Rovigo contro il
Cie. Serata alla Mela di Newton.
[email protected]
- La Cgil di Padova partecipa con un fitto programma di assemblee nei luoghi di lavoro. Le assemblee, che si susseguiranno nel corso della
ROVIGO Il Coordinamento no Cie, al quale aderiscono diciotto organizzazioni tra cui
Padova
- La mattina assemblea alla scuola Scarcerle,
promossa dal Coordinamento nessuno è illegale.
Una delegazione della Cgil-Flc si recherà all’ufficio provinciale scolastico per chiedere chiarimenti sulla situazione degli studenti immigrati.
Nel primo pomeriggio azioni teatrali e volantinaggi a cura del Coordinamento nessuno è illegale e Reality shock.
Dalle 17 davanti alla prefettura, microfono aperto per le storie di clandestinità e rappresentazioni teatrali. Razzismo stop incontrerà il prefetto, si
l’African Diaspora Nigerian Women, l’Arci solidarietà, i Beati costruttori di pace, Noi siamo chiesa, La fionda di Davide, Emergency, il Centro di documentazione palesano, il Comitato primo marzo, Tuttidirittiumanipertutti, Razzismo stop… sta organizzando una
manifestazione contro i Cie in Italia e il nuovo Cie di Zelo. Il programma non è definitivo.
Il 24 partirà una raccolta firme che verrà poi consegnata al prefetto Romilda Tafuri. Nel
pomeriggio ci sarà una manifestazione regionale. Alle 21, i No Cie saranno a Ceneselli dove si svolgerà una serata informativa nella sala consiliare del comune. Il sindaco finiano
Marco Trombini si è da poco – da quando rischia di dover gestire sul proprio territorio un
Cie – scoperto contrario ai centri. Parteciperanno don Albino Bizzotto [Beati costruttori
di pace], Andrea Bellavite [direttore della comunità arcobaleno di Gorizia] e Livio Ferrari,
garante comunale dei detenuti. http://clandestinodayrovigo.wordpress.com
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giornata, riguarderanno un’azienda agricola della provincia, una grande realtà metalmeccanica,
mentre si sta verificando la possibilità di coinvolgere alcuni cantieri edili. Un’altra assemblea è in
preparazione con le associazioni antirazziste
dell’alta padovana la sera del 24.
FRIULI
Montereale Valcellina
Il circolo Arci Tina Merlin organizza, insieme a
una decina di organizzazioni, un dibattito [via
Ciotti 11]. Partecipano rappresentanti di varie associazioni che condividono i temi del Clandestino Day. Cena sociale. L’appuntamento è alle 19 al
circolo. [email protected]
www.arcitinamerlin.it
gambiente, Cooperativa Lotta contro l’emarginazione, Emergency, Libera, Amnesty international
e molte altre], comunità straniere di Varese e
provincia, sindacati e singoli cittadini, da 2 anni
promuove una staffetta contro il razzismo che
coinvolgerà le scuole superiori dove ci saranno
iniziative la mattina e il pomeriggio. Dalle 16 alle
19, in piazza Podestà c’è un minitorneo del «Gioco del Clandestino» fatto con pedine umane e
aperto a tutte le persone di tutte le età.
[Alessandra 349 456 8018 o via mail
[email protected]].
Monza
Dieci comuni promuovono «L’Altro Festival», organizzato da 52 associazioni e gruppi della zona.
www.altrofestival.com
Sabato 25 settembre il Gap Le Perle ai Porci, il
Foa Boccaccio, i Mediatori di quartiere e lo Sportello immigrazione dell’Arci Blob organizzano
una mostra fotografica dal titolo «Face to Face»,
che verrà portata in giro nelle vie dello shopping
nel pomeriggio e poi esposte al Circolo Libertà,
viale Libertà 33, dove ci sarà una cena sociale.
[email protected]
Lecco
Pessano con Bornago
Il programma è in via di definizione: collegatevi al
sito www.esserevento.it.
Circolo Arci Ubik, programma in costruzione.
[email protected]
Merate
EMILIA ROMAGNA
Parma
LOMBARDIA
Alto Mantovano e Basso Garda
destini» per una nuova cittadinanza. Teatro di
strada a cura di migranti e italiani sul tema «i migranti sono una risorsa».
[email protected]
Reggio Emilia
- L’associazione Città migrante e i gruppi locali di
Emergency e Amnesty international promuovono, nell’ambito della «Notte dei ricercatori», un
dibattito sull’accordo di integrazione previsto dal
Pacchetto sicurezza, con la relazione del professor Gabriele Pillotti [Università di Modena e Reggio Emilia], alle 21nel giardino Spazio Gerra- Piazza xxv aprile 2.
http://cittamigrante.noblogs.org/
- Il comitato nopacchettosicurezza organizza un
presidio dalle 17 in Piazza Prampolini angolo Battistero contro il reato di clandestinità ed in solidarietà con i 207 immigrati denunciati a Reggio Emilia dopo la sanatoria «colf e badanti» 2009.
[email protected]
Ravenna
Il circolo di Rifondazione comunista del Meratese organizza la proiezione del film «Non rubateci il futuro» il 6 ottobre.
[email protected]
MigrAzioni organizza nel quartiere Oltretorrente
le «Lavagne in piazza», lezioni di italiano all’aperto con cibi etnici preparati dagli studenti. Ci sarà
poi una cena pakistana fra «tutti migranti e clan-
Il centro sociale Spartaco organizza un presidio
in piazza del Popolo davanti alla prefettura dalle
18 alle 20, [email protected]
Bologna
- Una trentina di organizzazioni promuovono
«Noi non respingiamo». Alle 19 verrà proietato
il film documentario «In Between, Nove sguardi sulla scena europea» [nella Sala Benjamin,
via Del Pratello 53]. A seguire, dibattito aperto
Milano
- Il 24 e 25 il comitato Abba e il centro sociale Cantiere organizzano due giorni per ricordare Abba
[vedi box] abbavive.blogspot.com
- Le associazioni antirazziste e le associazioni di
immigrati stanno preparando diverse attività il 24
settembre. In via Odazio [zona Giambellino] e nei
giardini di via dei Transiti [zona viale Monza]. Programma in costruzione.
comitatoimmigratiitalia.milano@gmail.
com
Arcore
Il Gruppo d’acquisto popolare [Gap] Le Perle ai
Porci distribuisce la sua spesa clandestina di
settembre.
[email protected]
Varese
Il Coordinamento migranti [Uisp, Arci, Acli, Le-
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A MILANO PER RICORDARE ABBA
Il Comitato Abba organizza in piazza Selinunte, nel
cuore del quartiere San Siro, «Non dimenticare Abba,
ferma il razzismo» il 24 e il 25 settembre. Il 24 dalle 16
montaggio degli stand, allestimento della piazza. Dalle 18 presentazione del video «Non rubateci il futuro»,
con la partecipazione di Retescuole, dei precari della
scuola e delle maestre della scuola di via Paravia.
Dalle 20, cena preparata dal Comitato degli Abitanti
di San Siro. Il 25 inizia alle 10 la Abba Cup, con telecronaca multilingue fino alla sera. Ci saranno anche delle attività interculturali per i bambini, fino alle 15 quando inizierà un gioco di ruolo. Dalle 16: Jam Session Hip Hop, musica e writing a cura del progetto No Mama. Partecipa Kiave, Kento, Odk, Mi Sud Familia,
Beppe Rebel, No Mama Posse, BG’s Team, Zatarra il Pirata e molti altri. Dalle 20.30 il
concerto continua con musica dal mondo, Sunugal e Sadia, e molti altri.
http://abbavive.blogspot.com, www.cantiere.org
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con gli esponenti delle associazioni coinvolte
ed esibizione gruppi musicali.
[email protected]
- L’Hard coro De’Marchi, la Scuola popolare di
musica Ivan Illich [Spmii] in collaborazione con
l’associazione Primo Moroni e il Circolo anarchico Camillo Berneri organizzano, nell’ambito della terza edizione di «Cor-A-zone», festival internazionale di cori e canto sociale, una serata intitolata «Diritti e rovesci».
Dal 17 alla Spmii [via Giuriolo, 7]. Proiezione di
«Rosarno. Il tempo delle arance» di InsuTv. Videointerviste agli operai della Fiat di Pomigliano.
Dibattito con Costantin Costantin e Marian Sibian [associazione Aven Amenza Savale], Luca
Rossomando [giornalista, redattore della rivista
Napoli monitor], Annamaria Rivera [antropologa
università di Bari], Valerio Bonsi [segretario Fiom
Reggio Emilia]. A seguire, musica con la Banda
Roncati. Dalle 21 al Parco della Ca’ Bura [via dell’Arcoveggio 138], «Cosa fa paura ai padroni»,
reading a cura del collettivo Wu Ming, accompagnato dai musicisti della Spmii. E Zézi, gruppo
operaio, in concerto.
Rimini
I Riminesi globali contro il razzismo, la Casa della
Pace e l’Associazione Rumori sinistri organizzano la presentazione del documentario «Non rubateci il futuro», alle 21 alla Casa della pace [ via
Tonini, 5]. La presentazione sarà anche l’occasione per alcuni aggiornamenti sulla vicenda della
«Sanatoria truffa», in vista delle prossime mobilitazioni nazionali del movimento antirazzista.
riminesiglobalicontroilrazzismo.blogspot.com
battitto di Marco Rovelli dal titolo: «La presenza
del clandestino nella società e nell’economia italiana». L’incontro fa parte della manifestazione
«Tutta un’altra città in festa», Parco della Rinchiostra. [email protected]
Prato
L’associazione Le Mafalde presenta il corso sul
sessismo e sul razzismo. Proiezioni di video sul
tema, in via V. da Filicaia 34/37. [email protected], www.lemafalde.org
Follonica
Volantinaggio alla stazione e al mercato dalle 9.
Alle 17, in piazza Sivieri [in caso di pioggia, Birreriea Quartiere Latino, via Dante] presentazione
di «Besotes». Partecipano l’autore, Ermias
Tewolde [rifugiato politico eritreo], Roberta Lepri
e Giuseppe Faso [cittadini italiani].
A seguire, migrazione alla stazione ferroviaria
per lasciare un segno contro le retate.
[email protected]
Cecina
L’associazione Mestizaje, insieme all’Arci e molte altre associazioni del territorio organizza
«ClandestinaMente». Sabato 25, la mattina
proiezione per le scuole di «Welcome», presso il
Cinema Tirreno. Ore 17 proiezione del video «Non
rubateci il futuro»; a seguire dibattito con rappresentanti dell’associazionismo e della scuola. Ore
20, buffet creativo e dalle 21 Performance audio
«Scatola Negra_Dillo con parole tue» a cura di
Andrea Minuti.
www.artimbanco.org
Grosseto
TOSCANA
Firenze
-Il centro interculturale regionale «Gli Anelli
Mancanti» di via palazzuolo 8 partecipa al Clandestino day. www.anellimancanti.it
- Il 25 settembre dalle 15 alle 24 si svolgerà in
piazza Santo Spirito un’iniziativa contro i Cie. Partecipano il movimento ToscanaNoCie, associazioni del movimento antirazzista e la Rete antirazzista fiorentina. Partirà la raccolta di firme in tutta la regione contro qualunque ipotesi di Cie in
Toscana e per la chiusura di tutti i Cie.
[email protected]
Massa Carrara
Domenica 26 settembre ore 16, conferenza-di-
L’Arci e altre associazioni organizzano un’iniziativa. Programma in costruzione.
UMBRIA
Perugia
La rete umbra «Siamo tutti clandestini» organizza un evento dal titolo «Storie per bambini lette e
raccontate in tante lingue».
Giovedì 23, alle ore 16 alla biblioteca Villa Urbani
[via Pennacchi] e venerdì 24, alle ore 17 alla biblioteca Sandro Penna [San Sisto].
Montecastelli
Il circolo Arci Varanasi organizza dalle 18 dei tornei antirazzisti di calcio a 2 e biliardino. Dalle 20,
cena multietnica a cura della bottega equo-soli-
day
dale «il Colibrì». Alle 21,30, proiezione del film-documentario «U stisso sangu – Storie più a sud di
Tunisi» di Francesco di Martino. Seguirà il saluto
in videoconferenza del regista e gli interventi di
un esponente della «Rete G2-Seconde Generazioni» e de «Il Colibrì»
MARCHE
Fermo
La Fabbrica di Nichi organizza un convegno sull’urbanistica della città di Fermo. Ci sarà un banchetto per sensibilizzare i partecipanti al tema
dell’immigrazione.
[email protected]
Amandola
L’Associazione Bassa Manovalanza organizza
un incontro con alcuni ragazzi di ritorno da Tanzania ed Etiopia. Partecipano anche alcuni insegnanti che parleranno dell’integrazione all’interno delle classi. Ci sarà per tutta la giornata una
mostra fotografica e verrà organizzato un torneo
sportivo antirazzista.
bassamanovalanza.blogspot.com
Falconara Marittima
Un cartello di associazioni e partiti organizza la
giornata. Alle 17 ci sarà al Centro Pergoli la proiezione del documentario «C.a.r.a Italia», preceduto da una presentazione dei protagonisti, Hassan
e Abubaker. Alle 18, in piazza Mazzini, ci saranno
interventi, musica, degustazioni etniche, banchetti delle varie associazioni. Alle 21, al Centro
Pergoli, ci sarà la proiezione del documentario
«Non rubateci il futuro», di Margine operativo.
Saranno in vendita le magliette Clandestino, il cui
ricavato contribuirà a coprire le spese dell’iniziativa.
[email protected]
Macerata
Il Centro sociale autogestito Sisma e l’Associazione Ambasciata dei Diritti organizzano in occasione del Clandestino Day e all’interno della
Campagna Welcome contro tutti i Cie «C.A.R.A.
Italia». Alle 20, aperitivo e musica scelta da gocanny e alle 21,30 proiezione del documentario
«C.A.R.A Italia». Interverrà l’interprete Abubaker
Jokof. cara-italia.blogspot.com
www.csasisma.org
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day
MOLISE
Campobasso
R@P – rete per l’autorganizzazione popolare.
Programma in costruzione.
[email protected]
ABRUZZO
Pescara
L’Abruzzo social forum, insieme alla Brigata di
Solidarietà Attiva, presenta la campagna «Ingaggiami contro il lavoro nero».
Ore 21, via Manzoni, Sanbuceto [CH].
www.abruzzosocialforum.org
LAZIO
Roma
- Ginevra Bentivoglio EditoriA organizza la proiezione del documentario «Il viaggio di Adamo», il
24 settembre presso la libreria bistrot Le Storie,
via Giulio Rocco 37/39. Verrà presentata anche la
rassegna fotografica di Daria Addabbo «Emigrare a sud».
www.gbeditoria.it, tel. 06.6868110
- «Viva La Terra onlus» organizza al Parco della Cellulosa [via del Parco della Cellulosa 132]
un incontro. Alle 19 aperitivo di benvenuto e
presentazione dell’iniziativa. Alle 19,30 proiezione del film «U Stisso Sangu – Storie più a Sud
di Tunisi». Alle 20,30 videoconferenza e riflessioni con l’autore Francesco Di Martino e Salvatore Zuccarello, già responsabile dell’Ufficio
stampa del progetto. Alle 21,15 intermezzo teatrale con Simona Zilli in «Prezzemolo» monologo estratto dalla piece teatrale Clan/Destino.
Alle 21,30 reading da «Fogli di Via, Storie di un
Vicequestore di Treviso» di G. Trevisi alla presenza dell’autore. Alle 22 dibattito e riflessioni
conclusive. www.vivalaterra.it
- Il centro sociale Spartaco presenta in largo Appio Claudio [metro Subaugusta] lo spettacolo
teatrale «Madama Cie incontra Roma Meticcia»
alle 19. Musiche: Assalti Frontali , testo: Alessandra Magrini. Alle 21, proiezione «Non rubateci il
futuro», di Margine operativo.
www.spartaco.it
-Il Gruppo intercultura della Comunità di base
San Paolo Roma organizza un incontro alle 18 in
via Ostiense 152b su «Vite clandestine. Rom e
sinti a Roma». Interviene Marco Brazzoduro,
docente di politica sociale e sociologia econo-
7 8 • C A R TA N . 3 1 A L M A N A C C O
CARTA ALL’ IQBAL MASIH
Carta torna a scuola per il Clandestino day e partecipa alla presentazione del documentario di Margine operativo «Non rubateci il futuro», alla scuola Iqbal Masih [via
F. Ferraironi 38]. L’appuntamento
è alle 17.30. Intervengono: Simonetta Salacone, Gianluca Peciola
[consigliere della Provincia di Roma], Giammarco Palmieri [presidente Municipio VI], Gianluca Staderini [Popica Onlus], Margine operativo, la redazione di Carta, scuole di italiano autogestite, genitori,
insegnanti e studenti. Intrattenimento per i bambini a cura dell’associazione Amici di
Iqbal Masih. www. carta.org
mica alla Sapienza di Roma. Ci saranno le testimonianze di Daniela Dobre [mediatrice culturale romena – Casa dei Diritti Sociali], Emil Costache [mediatore culturale rom – Casa dei Diritti
Sociali], Marco Birrozzi [operatore sociale – Arci Solidarietà], Nedzad Hamidovic detto Meo
[presidente coop. Soc Rom B E], Ulderico Daniele [operatore sociale – Arpj]. Con le poesie di
Antun Blazevic, scrittore ed attore rom.
[email protected]
-Lo spazio occupato Strike [via U. Partini 21, Casalbertone] proietta alle 21,30 delle anticipazioni
da «Le tigri di Guca», un documentario di Valerio
Arcioni e Lidia Ravviso sul festival di fiati della
città serba e sulla cultura rom.
www.strike-spa.net
Olevano Romano
Proiezione di «Non rubateci il futuro».
Zagarolo
L’associazione No Border e il progetto Zona Libera dal Razzismo organizzano proiezioni diffuse
nella zona dei Castelli Romani e dei Colli Prenestini, in collaborazione con le associazioni locali. Il programma delle iniziative in aggiornamento su www.noborderonlus.org
BASILICATA
Potenza
La bottega Equomondo [via Anglilla Vecchia,
76] il 24 settembre diventa clandestina e si addobba con felpe, megliette e bandiere clandestino. Proiezioni di video, letture, dibattito.
[email protected]
CAMPANIA
Napoli
- Il Gruppo risveglio dal sonno [Gridas] organizza la proiezione il 24 settembre alle 18.30 del
documentario «Non rubateci il futuro – storia
di una scuola» alla Casa delle Culture «Nuvola
Rossa», via Monte Rosa 90/b, Ina Casa, Scampia. www.felicepignataro.org/gridas
-Il Forum antirazzista e Insutv.it, nell’ambito di
«Assalto al cielo. Festa per una tv libera», promuovono la proiezione di «Sangue Verde» di
Andrea Segre, alle 20 [Ex-Cinodromo, viale
Kennedy - Fuorigrotta - adiacente Edenlandia].
Partecipano il Forum antirazzista e alcuni migranti protagonisti del film.
Dalle 22, Kalifoo Ground Music System [reggae
migrante da Castelvolturno], Fankam + Claude
[da Torino - arriva il black rap italiano].
99 Posse in concerto. A seguire dj set.
www.insutv.it
Latina
Associazione Scalo culturale. Programma in
costruzione.
[email protected]
Fondi
Associazione «Murales». Programma in costruzione. www.muralesfondi.it
Torre del Greco
Nell’ambito di Saggi Assaggi, una rassegna itinerante promossa dall’associazione di commercio equo-solidale «Le tribù», l’incontro del
23 sarà dedicato ai migranti senza permesso di
soggiorno.
www.letribu.it/bottega_03a.asp
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C L A N D E S T I N O D AY
Caserta
L’ex Canapificio di Caserta organizza un torneo di
calcio antirazzista [da metà settembre all’inizio
di ottobre] al quale parteciperanno dieci squadre
delle diverse nazionalità presenti a Castelvolturno. Il 24 verrà proiettato il documentario «Sangue
verde» di Andrea Segre.
[email protected]
Nocera Inferiore
La Rete Immigrazione dell’agro-nocerino [Salerno] organizza una serata di riflessione sul tema
dell’immigrazione. Numerose associazioni ed
esponenti di parrocchie, impegnate a dare risposte ai bisogni degli immigrati, si incontreranno presso il «Centro di ascolto dell’associazione
La Tenda» [via Isaia Rossi] per confrontarsi sulle
diverse esperienze di accoglienza e di sostegno
ai migranti. Sono previste proiezioni di filmati e
testimonianze di esponenti delle comunità di immigrati presenti sul territorio.
[email protected]
PUGLIA
Foggia
Associazione Fratelli della Stazione, redazione di
Foglio di Via, Missionari Scalabriniani, Centro interculturale Baobab, Kollettivo di Lettere, Programma in costruzione.
[email protected]
Bari
Il centro sociale Mercato occupato organizza la
rassegna cinematografica «L’odore delle stive»,
ogni giovedì alle 21. 16 settembre: Saimir, un film
di Francesco Munzi. 23 settembre: Welcome, di
Philippe Lioret. 30 settembre: Cover Boy, di Carmine Amoroso. 7 ottobre: In questo mondo libero di Ken Loach. 14 ottobre: Il matrimonio di Lorna, di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne. 21
ottobre: Nuovomondo, di Emanuele Crialese.
[email protected]
Grottaglie [Taranto]
L’associazione Babele insieme a diverse altre
promuovono l’1 e il 2 ottobre dibattiti, musica,
proiezioni, cibi e mercatino etnico, laboratori teatrali per bambini al giardino del Castello Episcopio dalle 16 in poi. [email protected]
CALABRIA
Cosenza
muovono una festa nel campo rom di Cosenza
[Vaglio Lise], sulla riva sinistra del fiume Crati, per
la riapertura della «Scuola del vento». A partire
dalle 18, proiezioni di video, fuoco, teatro dei burattini tradizionali della Compagnia Aiello.
SARDEGNA
Nuoro
La Lista civica «Idea comune» organizza una
giornata di sensibilizzazione sui diritti dei migranti. [email protected]
Cagliari
Un cartello di organizzazioni invita al corteo a Cagliari per affermare, come recita l’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani, che
tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in
dignità e diritti e che ognuno è clandestino, nessuno è clandestino. Appuntamento alle 18 in
piazza Garibaldi. Gli organizzatori invitano i partecipanti a portare dei fiori per lanciarli in mare,
al termine della manifestazione, in ricordo delle
oltre 15 mila persone che vi hanno trovato la morte, quando cercavano la vita. Info: 335 6993969
[email protected]
SICILIA
Palermo
L’associazione culturale Malaussène, il Forum
antirazzista di Palermo, l’Associazione Cittadini del villaggio globale e Arci Palermo organizzano un’assemblea pubblica su scuola e università, in piazzetta di Resuttano, 4 [dando le
spalle all’Antica Focacceria San Francesco, bisogna percorrere 50 metri a destra rispetto alla Basilica di San Francesco d’Assisi, lungo via
Maletto].
Dalle 17 alle 24, sculture in piazza contro il razzismo [opere di Giuseppe Agnello, Mariano
Brusca, Nicolò Di Bella, Martin Emschermann,
Daniele Franzella, Salvatore Rizzuti]. Alle 17,
«Voci rumene. Sicilia-Romania andata e ritorno», videoreportage di Enrico Montalbano, Angela Giardina e Ilaria Sposito. «L’amico Isaias»,
videoinchiesta di Fabrizio Gatti. Alle 18, «Leggi
razziali dell’Italia di oggi». Con Fabrizio Gatti
[giornalista dell’Espresso], Giusto Catania [direzione nazionale Prc], Giovanna Granata [dirigente scolastico scuola De Gasperi di Palermo]. Coordina Amalia Chiovaro [Arci Palermo].
Dalle 20, cena sociale italo-tamil e spettacolo
multietenico a cura dell’associazione Cittadini
del villaggio globale, con Paola Capizzi, Sevy
Ngamy Farhel, Rino Martinez, Francesca Vaccaro. Con musiche e danze dell’associazione
Hombre e bambini Tamil di Palermo. Video-cronaca a cura di Cristina Scuderi - Associazione
WeltFilm.
[email protected]
Catania
Il 24 mattina volantinaggio alla Fiera e nelle moschee. Alle 17 presidio informativo ed animazione in piazza Stesicoro e alle 20 incontro interetnico in via Capuana 14 [Chiesa Battista]con
video, interventi, cibi e musica. Organizzano:
Rete Antirazzista Catanese, Open Mind, Cobas,
Arci, Chiesa Battista di Catania. Hanno aderito:
Rifondazione comunista, Pdci, Giovani comunisti/e.
Messina
Il programma del circolo Arci Thomas Sankara
è in costruzione.
A CERIGNOLA [FG]. IN PUGLIA NESSUNO È CLANDESTINO»
Il tavolo organizzativo del Clandestino Day organizza alle17 un quadrangolare di calcetto in piazza con squadre composte da giovani immigrati e associazioni.
Ore 19 incontro dibattito: «Nessuno è clandestino. Ognuno è clandestino». Modera: Stefano Campese, intervengono: Nicola Fratoianni [assessore alle politiche giovanili con
delega all’immigrazione della Regione Puglia] Domenico Lamarca [presidente Cooperativa Arcobaleno di Foggia e responsabile del centro Inerculturale Baobab] e Albergo
diffuso, padre Arcangelo Maira, [scalabriniano, responsabile della «Fondazione Migrantes» Manfredonia], Pietro Fragasso [rappresentante «Libera-Cerignola»], testimonianza di un giovane immigrato.
Ore 21proiezione del documentario «Il sangue verde» di Andrea Segre.
Saluto del Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola.
Le associazioni a difesa della comunità rom pro24 - 30 SETTE M B R E 2010 • 79
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non rubateci
il futuro
storia di una scuola
STORIA DI UNA SCUOLA
IN OCCASIONE
DEL CLANDESTINO DAY
CARTA DISTRIBUISCE UN FILM
CHE RACCONTA LA «PRIMAVERA»
DELL’IQBAL MASIH,
DOVE AI BAMBINI SI INSEGNA
A DIFENDERELA SCUOLA
Il film NON RUBATECI IL FUTURO
realizzato da Margine Operativo
racconta, attraverso una «piccola»
storia di una scuola romana,
il mondo della scuola pubblica
in Italia nel 2010 alle prese
con il taglio dei posti lavoro
e l’ulteriore precarizzazione
del corpo insegnante
e l’attacco al tempo pieno.
Un video di approfondimento
per conoscere ma anche
un manuale per agire in difesa
del bene comune scuola pubblica
e del futuro dei bambini.
«Non rubateci il futuro» è acquistabile
a 10 euro su http://bottega.carta.org
o telefonando allo 06/45495659
Non rubateci il futuro.
Storia di una scuola. Il documentario
ideato da Pako Graziani e Alessandra
Ferraro, realizzato da Margine operativo. Durata 47 minuti
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Tra Rosarno e Pomigliano
DI SVEVA
L
HAERTTER UFFICIO MIGRANTI FIOM
A MANIFESTAZIONE che la Fiom sta
organizzando il 16 ottobre vuole essere uno spazio di confronto e di mobilitazione comune per contrastare chi vuole sottomettere il lavoro alle sole regole del mercato, azzerando i vincoli sociali dati dalla contrattazione collettiva. Le parole d’ordine hanno un significato universale,
ma sono in grado di rivolgersi anche
direttamente ai diversi soggetti che
compongono il mondo del lavoro e la
società, in particolare i migranti.
Diritti. L’attuale legislazione sull’immigrazione determina per le lavoratrici ed i lavoratori migranti una condizione di negazione di diritti, sia come cittadini che nel posto di lavoro, fino alla
conseguenza più grave e pesante: chi
perde il posto di lavoro perde anche il
diritto al permesso di soggiorno e può
essere espulso, rischiando la detenzione amministrativa nei Cie.
Democrazia. La discriminazione
ed il razzismo sono la negazione della
democrazia. L’antirazzismo è quindi
parte integrante della lotta della Fiom
per la sua difesa. Uno dei diritti fondamentali negati ai migranti è lo strumento principe della democrazia e
della partecipazione attiva nella società: il diritto di voto. Un diritto che
viene ora negato ai metalmeccanici,
italiani e migranti, che rivendicano il
diritto di poter dire la loro sulla propria condizione lavorativa.
Legalità. Non si tratta solo di dire
no alle condizioni di sfruttamento del
lavoro nero di cui sono molto spesso
vittima le lavoratrici ed i lavoratori
migranti. Significa ancora una volta
rifiutare un impianto legislativo creato per generare clandestinità [per
questo il Clandestino Day è in piena
sintonia con il percorso verso il 16 ot-
La Fiomprepara la grande manifestazione del 16 ottobre.
Le parole di un mondo del lavoroche afferma
i diritti di tutti. A partire dai migranti
tobre]. Legalità è anche sinonimo di
regolarizzazione e di opposizione alla
«sanatoria truffa». Chi ha presentato
domanda si è di fatto autodenunciato
senza avere alcuna garanzia di ottenere effettivamente un permesso di soggiorno. Queste persone, spesso truffate da chi gli ha estorto dei soldi con la
falsa promessa di un contratto di lavoro [e sono molte], sono state truffate
prima di tutto dallo Stato. Un fatto
grave, cui può essere posto rimedio solo rilasciando un permesso di soggiorno a tutte e tutti coloro che hanno presentato domanda di regolarizzazione.
Lavoro. Avere un contratto di lavoro regolare non costituisce solo uno
strumento di emancipazione e di so-
stentamento. Per i e le migranti diventa determinante per soggiornare regolarmente in questo paese. Ma non si
tratta solo di questo. Le rimesse delle
lavoratrici e dei lavoratori migranti
verso i propri paesi di origine, sono
spesso una componente essenziale
dell’economia di quei paesi, ben più
costante e rilevante degli aiuti internazionali che o non arrivano, o determinano una condizione di subalternità di quelle economie nei confronti
dei paesi «industrializzati» e delle
imprese multinazionali, con ricadute
negative sul modello di sviluppo, sulla società e sull’ambiente.
Contratto. Non si tratta solo di difendere il contratto nazionale in quanto tale. Quello che la Fiom vuole difendere è il diritto alla contrattazione collettiva sulla propria condizione di lavoro. Il contratto nazionale dei metalmeccanici del 2008 attraverso nuove
norme, ha voluto sviluppare strumenti attraverso i quali i migranti possono rappresentare bisogni specifici ed
utilizzare la contrattazione collettiva
come strumento di parità di diritti e di
opportunità, di dialogo interculturale
e di integrazione.
Rimettere al centro il lavoro come
bene comune, i diritti e la dignità delle persone che lavorano, a Rosarno come a Pomigliano, a Melfi come a Tichy
o a Kragujevac, è l’unico modo per
contrastare chi sta utilizzando la crisi per annullare le conquiste sociali e
negare diritti anche a coloro che già
oggi ne hanno di meno.
24 - 30 SETTE M B R E 2010 • 81
coveraALMANACCO31quat
20-09-2010
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