DISEMBEDDING TEMPI E SPAZI DI MODERNITÀ RADICALE Direttori Sergio S Università degli Studi di Enna “Kore” Liana Maria D Università degli Studi di Catania Comitato scientifico Ali A A Université de Rennes Nino A Università degli Studi di Enna “Kore” Rita B Università Cattolica del Sacro Cuore Vincenzo C Université Paris Descartes Paolo D N Sapienza Università di Roma Antimo Luigi F Sapienza Università di Roma Maurizio G Università degli Studi di Milano–Bicocca Nicola M Università degli Studi di Enna “Kore” Sergio M Università di Parma Roberta M Università degli Studi di Enna “Kore” Mario M Sapienza Università di Roma Laura S Università degli Studi di Catania Rob S University of Western Sydney Benjamín T M Universidad del País Vasco UPV/EHU DISEMBEDDING TEMPI E SPAZI DI MODERNITÀ RADICALE XII IX III Disembedding Tempi e spazi di modernità radicale VI La collana intende raccogliere i contributi degli studiosi che, rispetto al percorso gnoseologico e epistemologico intrapreso, si collocano all’interno della riflessione sociologica tendente alla comprensione e alla spiegazione del fenomeno di disembedding, termine coniato dal sociologo inglese Antony Giddens, ma ormai diffusamente utilizzato e applicato da parte della sociologia contemporanea. Tale processo focalizza la “disaggregazione” come principale caratteristica delle relazioni interpersonali nelle società contemporanee e multiculturali. L’incertezza e la separazione spazio/temporale, la contingenza dell’assioma fondamentale delle interazioni tradizionali basate sullo hic et nunc, comporta inevitabilmente il declino delle interazioni face–to–face, la frammentazione delle identità personali e sociali, all’interno di un quadro di pluralità delle appartenenze che dovrebbero invece essere caratterizzate da concretezza e durevolezza. Il fenomeno del disembedding, insieme ai molteplici processi di differenziazione e riproduzione e all’interno di un sovraccarico delle fonti di identificazione, diventa sempre più difficile da gestire nella pratica quotidiana. E «l’enuclearsi dei rapporti sociali dai contesti locali di interazione e il loro ristrutturarsi attraverso archi di spazio– tempo indefiniti» non facilita di certo l’investigazione sociologica che tali processi non può esimersi dall’osservare e interpretare al fine di fornire un quadro di riduzione della complessità sociale. La collana adotta un sistema di valutazione dei testi basato sulla revisione paritaria e anonima (peer–review). Ogni proposta sarà pertanto valutata sulla base dei seguenti criteri: — la coerenza teorica e la pertinenza dei riferimenti rispetto agli ambiti di ricerca propri della collana; — l’originalità e la significatività del tema proposto; — l’assetto metodologico e il rigore scientifico degli strumenti utilizzati; — la chiarezza dell’esposizione e la compiutezza d’analisi. The series wants to collect the contributions of scholars who apply the sociological research to know and explain the disembedding phenomenon, a term coined by the English sociologist Anthony Giddens but extensively used by the whole contemporary sociology. Such a process focuses on the disembedding as one of the main features of the interpersonal relationships in the contemporary and multicultural societies. The uncertainty, the time/space separation and the hic–et–nunc interactions, inevitably involve the decline of the face–to–face interactions and the fragmentation of personal and social identities, in disagreement with an idea of plurality of membership which, on the contrary, should be characterized as concrete and long–lasting. In the day–to–day practice, it’s more and more difficult to cope with the disembedding phenomenon, together with the several differentiation and reproduction processes, and inside the excessive sources of identification. Even if “the development of social relationships from interactive local contexts and their reorganization through time/space indefinite frames” do not facilitate the sociological investigation of such processes, it’s important to interpret them so as to reduce the social complexity. The collection will be a peer–reviewed one. All the proposals will be valued according to the following criteria: — theoretical coherence and relevance to the fields of interests of the collection; — originality and significance of the topic proposed; — the methodology and the accuracy used; — clarity of expression and completeness of the analysis. Sergio Severino Intervista impossibile a Danilo Dolci Saggio sulle funzioni della radio per lo sviluppo dei fatti sociali Prefazione di Paolo De Nardis Copyright © MMXV Aracne editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Quarto Negroni, Ariccia (RM) () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: giugno A vent’anni ero poeta. A trentasei la mia sola poesia è quella di prendere una regione abbandonata e incolta, e farvi fiorire poco a poco la cultura, e far si che i bambini siano veri bambini e non abbiano l’aspetto di mendicanti o di idioti. D. D, Voci nella città di Dio. Poemetto, Società Editrice Siciliana, Mazara, . Indice Prefazione di Paolo De Nardis Nota metodologica Premessa Introduzione I luoghi L’intervista Considerazioni conclusive Bibliografia Sitografia Prefazione di P D N Dove sei Danilo Dolci? Dove sei Franco Alasia? Dove siete finiti Pino Lombardo, Peppino Impastato. . . e tutti voi, “poveri cristi” che avete solcato una traccia importante nella storia politica e sociale della seconda metà del XX secolo italiano? Ci sarebbe ancora tanto bisogno di voi. Oggi più di ieri è necessario agire la non violenza, proprio nel momento in cui il capitalismo, dentro e fuori i confini nazionali, esercita tutta la sua preponderanza per mantenere alto il saggio di profitto. Dal punto di vista della politica estera italiana siamo passati, nel giro di pochi anni, dalla cosiddetta “tendenza alla guerra” a una vera e propria guerra in atto, peraltro molteplice e caleidoscopica. Non è forse una guerra europea quella che si combatte alle porte orientali del continente, con l’Ucraina divisa in due e divenuta scenario decisivo per politiche imperialistiche ed energetiche? Non è forse una guerra quella combattuta, da un lustro a questa parte, sulla striscia settentrionale dell’Africa, in quel Maghreb che conobbe una impetuosa primavera, poi declinata in un melanconico autunno e attualmente confinata in un tragico inverno di speranze tradite, diritti ancora latenti e popolazioni ormai in fuga? Non sono state forse guerre “guerreggiate” quella combattute — e ancora in corso — in Libia e Siria, dove alcuni Paesi europei hanno sperimentato un nuovo protagonismo bellico, con esiti alla fine totalmente contrastanti rispetto Prefazione ai tanto sbandierati propositi di democratizzazione? Non è una guerra “esterna”, infine, la quotidiana ecatombe nel Mediterraneo, dove migliaia di profughi, di richiedenti asilo o semplicemente di poveri (“poveri cristi”, direbbe Danilo Dolci) sfidano le acque, le intemperie, gli scafisti e la razionalità per vincere una briciola di speranza, nulla di più? Proprio le stragi di migranti sono un ideale trait d’union tra il “fronte interno” e quello “esterno” della guerra che il nostro Paese quotidianamente combatte senza averla in precedenza dichiarata e senza che la società civile se ne sia mai accorta: la crisi sistemica che caratterizza l’ultimo decennio ha reso strutturale il progressivo impoverimento di larghi strati della nostra popolazione. Gli ultimi dati Istat, risalenti allo scorso ottobre, parlavano di milioni di italiani in seria difficoltà, sommando le famiglie “gravemente deprivate”, quelle “a rischio povertà” e quelle “a bassa intensità lavorativa”: siamo sicuri che sia così lontano nel tempo, nello spazio e persino nel ricordo il piccolo borgo marinaro di Trappeto dove, nell’ottobre , Dolci iniziò il primo di numerosi digiuni, sul letto di morte di un bambino che non riuscì a sopravvivere alla malnutrizione e all’inedia? All’epoca l’astensione volontaria dall’alimentazione ancora non era la disperata richiesta di un flash su qualche Ansa, come sarebbe diventata nel corso degli anni per l’involontaria parodia a cui la sottopose un noto politico tuttora sulla breccia: nell’Italia degli anni Cinquanta costituiva, invece, un gesto clamoroso e nobilissimo, particolarmente tattico nella capacità di congiungere l’istanza sovversiva dell’opposizione social–comunista ai passaggi più puri della dottrina cristiana. Nell’Italia della Democrazia Cristiana “di ferro” e dell’ordine pubblico “scelbizzato” il digiuno rappresentava una protesta fragorosa. Erano gli anni — per dire — in cui anche erogare un lavoro quando Prefazione non dovuto e non remunerato significava sfidare l’ordine costituito ed esporsi alla repressione. Danilo Dolci lo fece, fece anche questo: nel organizza uno “sciopero alla rovescia” con centinaia di disoccupati di Partinico che riattivano una strada comunale dissestata, a dimostrazione che il lavoro c’è e che serve non solo ai lavoratori, ma anche agli enti locali e alla cittadinanza. Quei lavoratori finiscono caricati dalle forze dell’ordine e tradotti addirittura all’Ucciardone, neanche fossero incalliti mafiosi. Inizia un processo che farà rumore e che smuoverà un circuito di intellettuali e di personalità della cultura e dello spettacolo intorno all’imputato Danilo Dolci. Sarà Piero Calamandrei a pronunciare l’arringa difensiva, “scomodando” il paragone illustre tra Creonte e Antigone, tra una legalità assoluta e cieca, da un lato, e una morale soggettiva, dall’altro. La storia darà ragione a Creonte, ma il teatro si riconoscerà in Antigone, capace di annoverare tra le file dei suoi ammiratori Goethe, Hegel, D’Annunzio. Perché? Perché la legge di Creonte è data dalla politica, mentre i principi etici di Antigone sono dettati dalla coscienza. A chi poteva mai rispondere Danilo Dolci? E a chi rispondiamo, invece, noi oggi, nei tempi beoti che fanno coincidere legalità e giustizia? Danilo Dolci riconosceva la supremazia dei fatti rispetto alle parole. La prassi davanti alla teoria. La teoria marxista– leninista, è noto, procede secondo il tripode prassi–teoria– prassi, al cui interno (non tutti lo ricordano) la “seconda prassi” è necessariamente diversa dalla prima, in quanto acquisisce l’insegnamento della teoria. Ecco, Danilo Dolci ha insegnato tanto anche a noi, che pure veniamo da un percorso diverso. Nella sua “geografia antropica”, come elegantemente Sergio Severino l’ha definita, i luoghi vissuti da Dolci sono gli stessi che anche noi abbiamo Prefazione quantomeno visitato. La sua “autoanalisi popolare” rifiutava la trasmissione unidirezionale di presunta sapienza e confidava convintamente nell’orizzontalità dell’apprendimento, come orizzontale è la comunicazione non mediata e come orizzontale può essere persino la comunicazione mediata, quando si scelga un medium dalla chiara impostazione “sociale”, come la radio. È quanto spiega nella sua “narrazione omodiegetica” Sergio Severino, che approfitta con originalità e umorismo di una prospettiva onirica e surreale per confezionare una dichiarazione di amore per la sua terra. Il suo impegno civile lo portava nella notte di Partinico, secchio–vernice–rullo, a scrivere caratteri cubitali di denuncia: “Chi tace è complice”. Il suo afflato verso coloro che hanno meno lo aveva portato, anni prima, alle scuole serali di Sesto San Giovanni, dove avrebbe formato il primo nucleo di suoi discepoli. Discepoli di una scuola che non esisteva, se non per litote: “mai con il potere”, “mai con la mafia”, “mai con la violenza”, “mai con la Democrazia Cristiana”. I passi di Danilo Dolci erano anche i nostri, mentre sfidava lo Stato e il suo monopolio non solo sulla violenza (monopolio che tale non era, peraltro, dato che lo condivideva con mafiosi e neofascisti), ma anche sulla comunicazione di massa: la sua Radio Sicilia Libera vive il tempo di una crisalide, ma vola come una farfalla. Era la prima radio auto–organizzata e clandestina, antesignana di quella stagione — le “radio libere” — in cui si abusava spesso del termine ’libertà’: che libertà è se non viene riempita di contenuti, al massimo di canzonette? Dolci, Alasia e Lombardo avevano improntato quel loro esperimento–provocazione con l’idea di una circolarità nella comunicazione di massa, rompendo tanto il meccani- Prefazione smo dell’informazione di regime, quanto il tentativo di una “informazione di contro–regime”, cioè dell’improbabile opzione di una informazione che avrebbe ripetuto i dispositivi di quella dominante, cambiandone solo i contenuti. Era necessario, invece, un radicale cambio di paradigma, inventando una “contro–informazione” che cogliesse di sorpresa la “normale” informazione rifiutando, ad esempio, il consueto rapporto unidirezionale tra la fonte e il lettore. Giornali che avessero contenuto opposto rispetto alla cultura dominante sono sempre esistiti ed esistevano già ai tempi di Danilo Dolci, ma non minavano alla base i rapporti di potere interni alla comunicazione di massa, rendendo assai improbabile, quindi, che potessero stravolgere i rapporti di potere interni alla società. Il Centro Studi e Iniziative per la Piena Occupazione rifiutava, invece, l’idea di reiterare — pur con le migliori intenzioni — la passività (“storica”) del ruolo di ricevente e impostava in maniera circolare le linee della comunicazione mediata. Allo stesso tempo, l’ideale alter–ego della trasmissione radio era costituito da una capillare presenza nelle piazze, nelle strade, nei luoghi di lavoro e nei bar, costruendo incessantemente “controinformazione dal basso” per fornire alle masse strumenti concreti di demistificazione dell’informazione dominante. Umberto Eco l’avrebbe definita (senza mai praticarla, peraltro) “guerriglia semiologica”. “Maieutica reciproca”, insegnamento socratico, impegno civile, “coscienza della e per la lotta”, mediattivismo... Danilo Dolci è una presenza ancora viva nei nostri dibattiti e nel nostro agire democratico. È una mappa ancora utile e rappresenta, in un certo senso, una condanna non ancora andata in prescrizione: individuare l’eterno discrimine tra la prassi non violenta e l’istanza di cambiamento radicale dello status quo. Il suo insegnamento si inserisce Prefazione a pieno titolo negli sviluppi più recenti della teoria democratica, cogliendo il nervo scoperto dell’attuale crisi della democrazia liberale: il concetto di sovranità. I fautori della disobbedienza civile, infatti, considerano “sovrana” la popolazione di un determinato territorio quando riesca a esercitare un diritto minimale, quello della (pacifica) vita insieme. D’altronde, già Henry David Thoreau invitava a sviluppare il noto motto «Il governo migliore è quello che governa meno» nel successivo — e conseguente — «Il migliore dei governi è quello che non governa del tutto». Su una base del genere ogni persona, famiglia, città, macro–regione, Stato–nazione o umanità intera possono costruire le proprie forme di esistenza, in conformità con le culture, i costumi, le tradizioni, le aspirazioni. Ogni forma in cui si realizzi la suddetta esistenza costituirà una variante decisa in piena autonomia dalle comunità e dai singoli direttamente interessati. Un meccanismo del genere è irrappresentabile oggi all’interno dello Stato–nazione, in virtù di quello che Antonio Negri definì, dieci anni fa, «secondo grado della crisi della rappresentanza», in quanto coinvolge — a un livello quasi ontologico il momento della delega. La rappresentanza ha svolto storicamente due funzioni, solo in apparenza contraddittorie tra loro: esprimere la volontà popolare e costruire una unità di indirizzo del governo. Al tempo di Danilo Dolci e ancora ai giorni nostri esiste uno scollamento — ormai irrecuperabile — tra queste due funzioni: chi è eletto può affermare solo nominalmente di rappresentare la volontà del popolo perché, nel momento in cui manifesta ogni sua decisione in un’aula parlamentare, diventa semplicemente parte dell’ingranaggio della decisione nazionale. Attraverso il deputato non è il Popolo a parlare, casomai la Nazione. Prefazione Come espresso due anni fa da Luca Alteri e da Stefano Pratesi in un numero monografico di «Partecipazione e Conflitto» interamente dedicato alla disobbedienza civile nelle democrazie liberali, una sovranità divenuta trascendente necessita di nuovi strumenti di controllo, meno palesi e rigidi, più discreti e quasi soavi: il potere oggi reagisce con la governance, caratterizzata dalla flessibilità continua delle relazioni istituzionali e da una supposta orizzontalità sociale. Severino intuisce tali problematiche, tanto che la sua Intervista diventa una vera e propria denuncia del vuoto politico e sociale che caratterizza la realtà, non solo siciliana, oggi. Sarebbe veramente interessante poter avere un contributo di Danilo Dolci su questo argomento: militante più che “mediattivista”, pedagogo prima ancora che docente, Dolci avrebbe suggerito ancora una volta un angolo di osservazione non consueto. Soprattutto, avrebbe immediatamente lottato per rendere quello spicchio di prospettiva consueto e popolatissimo, non imponendolo mai a nessuno, ma non negando ad alcuno la sua disponibilità al dibattito e allo confronto. Dove sei Danilo Dolci, dove siete finiti Franco Alasia, Pino Lombardo, Peppino Impastato? Paolo De Nardis Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale “Sapienza” Università di Roma Nota metodologica Le interviste impossibili, dal punto di vista euristico e diacronico nell’ambito delle dinamiche di produzione letteraria, hanno origini lontane; è possibile ritrovare alcune di esse in Luciano di Samosata, nei Dialoghi degli Dei (II sec. d.C.) e nei Dialoghi dei morti (II sec. d.C.), in Giacomo Leopardi con Ad Angelo Mai (), nelle Operette morali () e, più recentemente, in George Orwell — al secolo Eric Arthur Blair — in Troppo severo con l’umanità. Intervista immaginaria a Jonathan Swift (). Alcuni autori contemporanei hanno inaugurato una vera e propria nuova forma della cultura colta, fondata sul “dialogo a–storico e a–temporale” che assurgerà a genere letterario: autori del calibro di Giorgio Manganelli (A e B, Rizzoli, ), Umberto Eco (Beatrice, Muzio Scevola, Pitagora, Marco Attilio Regolo, Denis Diderot, Erostrato, Pietro Micca in A.V., Le interviste impossibili, Bompiani, Milano, ), Italo Calvino (L’uomo di Neanderthal, Montezuma in A.V.). Inoltre, il “colloquio fantastico postumo” ha anche caratterizzato profondamente il palinsesto radiofonico del ° e ° canale RAI dal al , con la trasmissione del format Le interviste impossibili, che spaziavano tra la storia, la letteratura, l’economia, le scienze, la fantascienza, la radiodrammaturgia e nelle quali illustri rappresentanti della cultura contemporanea hanno finto di intervistare ottantadue fantasmi di persone appartenenti a epoche trascorse e, pertanto, impossibili da incontrare realmente. Nota metodologica Il taglio del mio incontro impossibile con Danilo Dolci ha lo scopo di veicolare passi, paradigmi, teorie e citazioni “eminentemente” del pensiero sociologico, oltre al “Dolci pensiero”, che viene declinato nell’intervista unitamente alle sue opere e al suo impegno civile; un viaggio costellato da sensazioni, sogni, ricordi, sapere e insegnamenti. La composizione della mia intervista impossibile è orientata dall’opera di Charles Wright Mills , che ha segnato profondamente il pensiero sociologico e il mio: L’immaginazione sociologica (trad. it., ). In essa, Mills delinea le implicazioni pratiche per la vita, in termini di “consapevolezza delle differenze culturali”, “valutazione degli effetti delle politiche” e “autocomprensione”, generate dallo studio della ricerca sociologica. Inoltre, Mills suggerisce, al contempo, le competenze che deve avere il sociologo, ossia la meta–abilità di riflettere su se stesso, nell’atto in cui intende analizzare un sistema sociale, scevro da ogni condizionamento o influenza culturale — in altro termine in maniera avalutativa — i quali . Charles Wright Mills (–) è stato un sociologo statunitense conosciuto e spesso criticato per le sue profonde critiche al sistema socio– economico e politico degli USA del secondo dopo–guerra e che lo portarono a definirlo post–moderno, a tal punto da essere considerato un “uomo di sinistra” (C.W. M, The power elite, , trad. it. L’élite del potere, Feltrinelli, Milano, ). Mills era conosciuto e studiato, tra l’altro, da Fidel Castro e da Che Guevara nelle prime fasi della rivoluzione cubana, che all’epoca la considerava con simpatia e come possibile terza alternativa tra capitalismo e comunismo. . Avalutatività (Wertfreiheit) è un concetto introdotto da Karl Emil Maximilian (Max) Weber (–) con l’obiettivo di conferire scientificità alle discipline storico–sociali, in modo che gli studi, sulla base di codesto paradigma, potranno essere scevri da qualsiasi “giudizio di valore” (wertfrei); cfr. M. W, Il senso della “avalutatività” delle scienze sociologiche e economiche, , in M. W, Il metodo delle scienze storico–sociali, trad. it. di P. Rossi, Einaudi, Torino, ().