Edizioni Simone - Vol. 45/1 Compendio di Diritto Internazionale privato e processuale
Parte secondaCenni di parte speciale
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Capitolo 4 Filiazione
ed adozione
Sommario Z 1. La filiazione. - 2. L’adozione. - 3. Le obbligazioni alimentari nella famiglia.
1.La filiazione
In materia di rapporti tra genitori e figli l’abrogato art. 20 delle preleggi, nella sua formulazione originale, individuava la legge applicabile in quella nazionale del padre.
Tale disciplina, peraltro, era già stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Consulta che,
a pochi mesi di distanza dalla decisione (v. supra, Cap. III) sull’art. 18, ha dichiarato l’illegittimità
dell’art. 20 delle preleggi nella parte in cui si fa riferimento all’ipotesi della prevalenza della legge
nazionale del padre (Corte Cost. 10-12-1987, n. 477).
Anche in questo caso la parziale declaratoria di incostituzionalità aveva posto un complesso problema di individuazione della normativa applicabile.
Il legislatore del 1995 ha operato una radicale inversione di prospettiva fissando nella
legge nazionale del figlio la principale normativa di riferimento (artt. 33-36).
La legge nazionale del figlio regola, infatti:
— lo stato di figlio;
— i presupposti e gli effetti dell’accertamento e della constatazione dello stato di figlio;
— la legittimazione per conseguente matrimonio;
— il riconoscimento del figlio naturale;
— i rapporti personali e patrimoniali tra genitori e figli.
A tale criterio di collegamento fondamentale si deroga nei casi in cui dall’applicazione di una legge diversa possa derivare, comunque, un vantaggio al figlio.
Così, in particolare, le condizioni per il riconoscimento del figlio naturale possono essere regolate anche dalla legge nazionale del padre se ciò determina condizioni più
vantaggiose al figlio, ovvero assicura la praticabilità di un riconoscimento per il quale, secondo la legge nazionale del figlio, mancherebbero le condizioni (favor filiationis). A proposito del riconoscimento del figlio naturale si ritiene che il consenso del figlio rappresenti una condizione del riconoscimento quando è richiesto dalla legge nazionale del figlio.
Analogamente si considera legittimo il figlio considerato tale dalla legge dello Stato
di cui uno dei genitori è cittadino al momento della nascita.
Anche i rapporti, personali e patrimoniali, tra genitori e figli compresa la potestà dei genitori sono regolati dalla legge nazionale del figlio. La disciplina degli effetti della filia-
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zione tende ad essere più vicina al figlio, essendo legata non solo alla sua legge nazionale ma potendo mutare in relazione ad eventuali cambiamenti di cittadinanza da parte sua.
Nel caso in cui, peraltro, alla semplice potestà debba subentrare, per le particolari condizioni del figlio, la vera e propria tutela, il criterio di collegamento diventa quello fissato dall’art. 42 per gli istituti di protezione degli incapaci.
Ha rilievo anche internazionalprivatistico la legge 219 del 10 dicembre 2012 con la
quale il Governo è stato delegato ad adottare, entro un anno dall’entrata in vigore della legge stessa, uno o più decreti legislativi con i quali assicurare l’eliminazione di
ogni residua discriminazione tra i figli siano essi legittimi, naturali o adottivi. Rispetto al tema di specifico interesse, in questa sede, si segnala, tra i principi e criteri
direttivi impartiti al legislatore delegato, quello di garantire l’adeguamento al principio di non discriminazione anche dei criteri di cui agli artt. 33 e ss. della legge 218 del
1995 sia in termini di criteri di collegamento che di eventuale previsione di norme di
applicazione necessaria intese ad escludere gli effetti di norme straniere potenzialmente richiamate e di contenuto discriminatorio.
⎢Giurisprudenza
La Suprema Corte (Cass. I, Sez. civ. 26 febbraio 2002, n. 2791) ha stabilito che tra i presupposti dell’accertamento (o disconoscimento) biologico della paternità, soggetti, ai sensi dell’art. 33 della L. 218/1995,
alla legge nazionale del figlio al momento della nascita, debba inserirsi anche la verifica dei requisiti di
ammissibilità dell’azione giudiziaria di riconoscimento (o disconoscimento). In precedenza tale profilo,
in quanto eminentemente di natura processuale, era stato ritenuto soggetto alla disciplina della lex fori.
È stata ad esempio ritenuta ammissibile, alla stregua della legge camerunese, l’azione esperita da una
cittadina del Camerun nell’interesse della figlia, della stessa cittadinanza della madre, per ottenere il
riconoscimento della paternità naturale da un cittadino italiano ancorché promossa a distanza di oltre
due anni dalla nascita. La Cassazione ha, inoltre, chiarito che poiché il diritto all’acquisizione dello
status di figlio naturale costituisce principio di ordine pubblico internazionale non può trovare applicazione la legge straniera che, attribuendo all’uomo la paternità unicamente nell’ipotesi in cui il figlio sia stato generato in un rapporto lecito, preclude al padre di riconoscere il figlio nato da una relazione extramatrimoniale (Cass. 28-12-2006, n. 27572).
2.L’adozione
A) L’adozione nel diritto italiano
L’intera materia dell’adozione è stata, nel nostro ordinamento giuridico, profondamente trasformata con la L. 4 maggio 1983, n. 184 (più volte poi modificata, da ultimo dalla L. 28 marzo 2001, n. 149).
Prima dell’entrata in vigore di tale legge il sistema giuridico italiano regolava due diverse forme di
adozione:
— l’adozione cd. ordinaria, che poteva riferirsi tanto a soggetti minori che a maggiorenni e si caratterizzava per la permanenza del rapporto di filiazione precedente, legittimo o naturale, accanto al nuovo vincolo derivante dall’adozione;
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— l’adozione cd. speciale concernente soltanto i minori di otto anni in stato di abbandono morale e materiale. In quest’ultimo caso si prevedeva una totale interruzione dei rapporti con la famiglia d’origine interamente sostituita da quella dell’adottante.
Accanto alla vera e propria adozione era, inoltre, previsto l’istituto dell’affiliazione con effetti più
attenuati.
La legge 184/1983 ha interamente riformato l’istituto dell’adozione sopprimendo, in
primo luogo, la distinzione tra adozione ordinaria ed adozione speciale; in secondo
luogo, è stata eliminata dal testo del codice civile la disciplina relativa all’adozione dei
minori, che è ora prevista solo nella legge speciale; infine, è stato soppresso l’istituto
dell’affiliazione e sono state regolate nuove forme di adozione:
— l’adozione dei minori: si applica a tutti i minori che si trovano in condizioni di abbandono morale e materiale, da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, non dovute a situazioni di forza maggiore di carattere transitorio;
Questo tipo di adozione, divenuta la forma ordinaria di adozione per i minori, interrompe ogni rapporto tra adottato e famiglia giuridica, con la sola eccezione dei
divieti matrimoniali.
Il procedimento di adozione, che si svolge dinanzi al Tribunale per i minorenni, si articola in
tre fasi:
1) dichiarazione di adottabilità in cui si accerta la sussistenza della condizione di abbandono, cioè di mancanza di assistenza morale e materiale, non dovuta a causa di forza maggiore;
2) affidamento preadottivo in cui viene verificata l’idoneità dell’inserimento dell’adottando nella famiglia degli adottanti;
3) dichiarazione di adozione ovvero il decreto con cui il Tribunale per i minorenni, decorso
un anno dalla data di inizio dell’affidamento preadottivo, dichiara, se ne sussistono le condizioni, l’adozione.
Tale provvedimento produce l’effetto risolutivo del rapporto di filiazione preesistente e quello costitutivo dello stato di figlio legittimo degli adottanti;
— l’adozione dei maggiori d’età: tale forma di adozione resta disciplinata dalle norme del codice civile che regolavano la vecchia adozione ordinaria;
— l’adozione in casi particolari: si applica ai minori che non si trovano in condizioni di abbandono e rispetto ai quali, dunque, non ricorrono i presupposti dell’adozione vera e propria. Gli effetti di tale adozione sono paragonabili a quelli dell’adozione dei maggiorenni nel senso che non si estingue il rapporto con la famiglia
d’origine e gli effetti dell’adozione non si estendono alla parentela dell’adottante
come accade, invece, nell’adozione dei minori normale ovvero fondata sulla condizione di abbandono;
— l’affidamento dei minori: non si tratta, in realtà, di una forma di adozione ma, piuttosto, di uno strumento attraverso il quale ci si propone di risolvere situazioni di
disagio familiare temporanee senza fare ricorso all’ingresso, certamente meno idoneo dell’accoglienza in un ambito familiare, in istituti di assistenza.
L’unico effetto dell’affidamento, che viene disposto con provvedimento amministrativo del servizio di assistenza sociale reso esecutivo dal giudice tutelare, è il
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sorgere di obblighi di assistenza ed educazione nella famiglia o comunità di affidamento senza che venga in alcun modo modificato il rapporto di filiazione con la
famiglia d’origine;
— l’adozione cd. internazionale: regola sia l’adozione di minori stranieri in Italia che
l’adozione all’estero di minori italiani. Per i suoi notevoli riflessi internazionalprivatistici di essa ci si occupa più specificamente nel paragrafo che segue.
B) L’adozione internazionale
Prima dell’entrata in vigore della legge n. 218 del 1995, la materia dell’adozione era disciplinata,
dal punto di vista internazionalprivatistico, dagli artt. 17 e 20, comma 2, delle preleggi sulla falsariga della materia della filiazione.
In altri termini, come già detto a proposito dei rapporti di filiazione, mentre i rapporti tra adottante
ed adottato venivano disciplinati dalla legge nazionale dell’adottante al tempo dell’adozione, tutte le questioni attinenti alla costituzione del rapporto di adozione rimanevano soggette alla disciplina della norma generale relativa ai rapporti di famiglia ovvero dell’art. 17 disp. prel., con conseguente applicazione della legge nazionale delle parti.
In caso di diversa cittadinanza di adottante ed adottato trovavano applicazione, come già visto a
proposito della filiazione (v. supra) entrambe le leggi previo opportuno adattamento cumulativo.
In sostanza ciascuna parte, adottante od adottato, doveva presentare i requisiti richiesti dalla propria
legge nazionale, mentre il rispetto contemporaneo delle leggi di appartenenza veniva richiesto soltanto per le condizioni che riguardavano entrambe le parti (ad es. differenza minima d’età). Inoltre il
riconoscimento, nel nostro paese, di adozioni pronunciate all’estero veniva effettuato attraverso la
semplice procedura di delibazione prevista per tutti gli atti di volontaria giurisdizione dall’art. 801 c.p.c.
Tale stato di cose era già profondamente mutato con la legge del 1983 che, nel regolare la cd. adozione internazionale, ha dettato una grande quantità di norme di applicazione necessaria che, dunque, limitano notevolmente la reale operatività dei criteri di collegamento cui si è appena fatto cenno.
Nel senso dell’esplicito riconoscimento di tale connotazione alle disposizioni di questa legge si era
pronunciata la stessa Corte Costituzionale con la sentenza 536/1989 in cui si è affermato che il legislatore italiano ha assegnato alle disposizioni di tale delicata materia, il carattere di norme di applicazione necessaria. Cfr. nello stesso senso anche Cass. Sez. Un. del 19 gennaio 1988, n. 392.
Il richiamo della legge nazionale delle parti avviene, quindi, soltanto in vista della disciplina di quegli aspetti dell’adozione che non risultino già regolati da norme italiane di applicazione necessaria.
Quanto ai principi che regolano, nel sistema della legge del 1983, così come modificata, l’adozione cd. internazionale essi possono così riassumersi.
Le persone residenti in Italia che intendono adottare un minore straniero residente
all’estero devono presentare dichiarazione di disponibilità al Tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza e chiedere che lo stesso dichiari la loro idoneità all’adozione. Il Tribunale, se non ritiene di dover pronunciare immediatamente
decreto di inidoneità per manifesta carenza dei requisiti di cui all’art. 6 della L. 184/1983,
trasmette copia della dichiarazione di disponibilità ai servizi socio-assistenziali degli
enti locali; questi ultimi eseguono una serie di accertamenti sulla cui base il Tribunale pronuncia un decreto che attesta l’idoneità o la inidoneità alla adozione.
A questo punto gli aspiranti all’adozione che hanno ottenuto il decreto di idoneità devono conferire incarico a curare la procedura di adozione ad un ente autorizzato il quale svolgerà le pratiche di adozione presso le competenti autorità del paese estero.
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L’adozione può essere disposta dalla competente autorità del paese estero. In questo
caso la Commissione per le adozioni internazionali, valutate le conclusioni dell’ente
incaricato, dichiara che l’adozione risponde al superiore interesse del minore e ne autorizza l’ingresso e la residenza permanente in Italia. Il minore adottato acquista la cittadinanza italiana per effetto della trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile.
Se l’adozione deve perfezionarsi in Italia, il Tribunale per i minorenni riconosce il
provvedimento dell’autorità straniera come affidamento preadottivo; decorso il periodo di affidamento, il Tribunale, sussistendone i presupposti, pronuncia l’adozione e ne
dispone la trascrizione nei registri dello stato civile.
In ogni caso, in tema di provvedimenti stranieri di adozione di minori, la Suprema Corte ha escluso, in ossequio alla particolare delicatezza degli interessi coinvolti, la configurabilità di un riconoscimento automatico secondo la regola generale di diritto processuale civile internazionale stabilita dall’art. 64 della legge 218/95. (Cfr. Cass, Sez.
I, 18 marzo 2006, n. 6079). Ciò anche alla luce dell’esplicita clausola di prevalenza
della normativa speciale sulle adozioni prevista dal comma 2 dell’art. 41 della stessa
legge 218 del 1995. Ha pertanto eslcuso il riconoscimento in Italia del provvedimento di affidamento in «Kafalah» di un minore in stato di abbandono (Cass., Sez. 1, 23
settembre 2011, n. 19450).
Un tema particolarmente controverso, a tal proposito, è quello del riconoscimento di provvedimenti stranieri recanti adozione di minorenne a favore di persona non coniugata (la
cd. adozione dei single).La procedura di adozione internazionale regolata dalla legge
184/1983 è, infatti, per espressa statuizione dell’art. 29bis della predetta legge riservata
alle persone residenti in Italia o ai cittadini italiani residenti in un paese straniero da non
più due anni mentre i cittadini italiani residenti all’estero da almeno due anni hanno la
facoltà di ottenere l’adozione in base alla legge nazionale del paese in cui vivono.
Tuttavia il provvedimento straniero di adozione, per essere riconosciuto in Italia e
qui produrre effetti, deve essere sottoposto ad una delibazione del Tribunale per i Minorenni. Si tratta, in sostanza, di una forma speciale di delibazione in deroga al principio generale del riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione.
I parametri alla stregua dei quali il Tribunale per i Minorenni valuterà se concedere
o meno il riconoscimento sono, a loro volta, speciali e, così come descritti dall’art. 35
della legge 184/1983, si individuano:
— nella conformità del provvedimento straniero ai principi della convenzione de l’Aja
del 29 maggio 1993 sulla tutela dei minori e la cooperai zone in materia di adozione internazionale;
— nel rispetto dei principi fondamentali italiani del diritto di famiglia e dei minori (si
tratta di una specificazione del limite dell’ordine pubblico).
Alla luce di queste premesse la Suprema Corte ammette la possibilità del riconoscimento
di provvedimenti stranieri di adozione a favore di persone non coniugate ma nella forma
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più limitata dell’adozione senza efficacia legittimante essendo tale possibilità prevista
dalla stessa legge italiana (art. 44 legge 184/1983, sia pure a determinate condizioni) e non
potendo, dunque, la stessa essere considerata contraria ai principi fondamentali del diritto di famiglia e dei minori italiano (cfr. Cass., Sez. 1, sent. 3572 del 14 febbraio 2011).
Per effetto della L. 91/1992 il minore straniero adottato da cittadino italiano acquista
la cittadinanza.
In tal modo è stato definitivamente risolto il problema del coordinamento tra la legge
sull’adozione internazionale (L. 184/1983), che prevedeva che l’acquisto della cittadinanza avvenisse soltanto in caso di adozione del minore da entrambi i genitori adottivi cittadini, e altra legge (L. 123/1983) che, pur essendo quasi contemporanea all’altra, già prevedeva il riconoscimento di tale diritto anche al minore adottato da un solo
genitore cittadino italiano.
Essendo la legge sull’adozione internazionale successiva (L. 184/1983) si era, infatti,
posto il problema di una eventuale abrogazione tacita della norma più favorevole contenuta nella L. 123/1983.
C) La disciplina prevista dalla L. 218/1995
La legge 218/1995 (art. 38) ha stabilito che la materia dell’adozione (per presupposti,
costituzione e revoca) è regolata dalla legge nazionale dell’adottante o degli adottanti, se comune.
In caso contrario si farà riferimento:
— al diritto dello Stato nel quale risiedono entrambi gli adottanti;
— al diritto dello Stato nel quale, al momento dell’adozione, si localizza prevalentemente la vita familiare degli adottanti.
Si applica, comunque, il diritto italiano quando è richiesta al giudice italiano l’adozione di un minore idonea ad attribuirgli lo stato di figlio legittimo.
Ai sensi del secondo comma dell’art. 41, restano ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione dei minori, di modo che, in sostanza, la norma di conflitto è destinata ad operare soltanto in via sussidiaria allorquando non risulti applicabile
alla fattispecie concreta la normativa italiana sulle adozioni internazionali.
Viene, dunque, espressamente confermata la già riconosciuta natura di norme di applicazione necessaria delle disposizioni sull’adozione di minori. È necessario sottolineare che, dal punto di vista internazional-privatistico, l’adozione si differenzia, quindi, nettamente dalla filiazione per il maggior peso che si riconosce alla legge nazionale degli adottanti rispetto a quella dei genitori.
È in ogni caso salva l’applicazione della legge nazionale dell’adottando maggiorenne
per la disciplina dei consensi eventualmente richiesti.
La stessa disciplina si applica per i rapporti personali e patrimoniali tra adottante e adottato.
Occorre, però, tener conto della specifica disciplina prevista in materia di obblighi alimentari (art. 45) e di successioni (art. 46).
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3.Le obbligazioni alimentari nella famiglia
Per obbligazioni alimentari nella famiglia si intendono tutte quelle prestazioni di carattere patrimoniale che trovano la loro causa in un rapporto di famiglia e quindi non
coincidono con la nozione di alimenti in diritto italiano.
Ai sensi dell’art. 45, L. 218/95 sono regolate dalla Convenzione de l’Aja del 1973:
la legge individuata in base alla Convenzione regola sia l’esistenza del diritto agli alimenti che il suo ammontare.
Sono escluse, invece, secondo quanto dispone l’art. 2 della Convenzione le questioni
relative all’esistenza del rapporto che dà origine alle pretese.
In materia è intervenuto il Reg. 4/2009 che si applica alle obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o affinità. Il Regolamento
disciplina anche il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni emesse in uno Stato
membro negli altri Stati membri.
Il Regolamento è è in vigore dal 18 giugno 2011.
Questionario
1.Quale disciplina si applica alla filiazione?
La principale normativa di riferimento è rappresentata dalla legge nazionale del figlio.
A tale criterio, tuttavia, si può derogare nei casi in cui dall’applicazione di una legge diversa
possa derivare, comunque, un vantaggio al figlio.
2.Che cosa si intende per favor filiationis?
Per favor filiationis si intende un criterio di collegamento e di interpretazione in virtù del quale è possibile fare riferimento alla legge nazionale, anche non comune, di uno dei due genitori quando essa preveda condizioni più favorevoli al riconoscimento positivo del rapporto di
filiazione, legittima o naturale, di quella nazionale del figlio.
3. Qual è la legge applicabile al riconoscimento dei figli naturali?
In applicazione del favor filiationis (v. supra) l’art. 35 della legge 218/95 individua quella applicabile nella legge più favorevole tra la legge nazionale del figlio naturale al momento della nascita e quella nazionale del soggetto che opera il riconoscimento.
4.Com’è disciplinata l’adozione internazionale nel nostro ordinamento?
L’espressione adozione internazionale si riferisce alla procedura in virtù della quale minori
stranieri, residenti all’estero, vengono condotti in Italia sulla base di un provvedimento straniero di adozione o affidamento.
Tale procedura è interamente regolata dalla legge 184/1993 e successive modifiche che si
pone, rispetto alle norme ordinarie di d.i.p. come norma di applicazione necessaria in virtù
della riserva espressamente prevista dall’art. 38 della 218/95.
Essa culmina nel provvedimento con il quale il Tribunale per i minorenni italiano riconosce il
provvedimento adottivo o preadottivo dell’Autorità estera.
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5.Cosa prevede la legge 218/95 in tema di adozione?
L’art. 38 della legge 218/1995, per i casi che non ricadono nella sfera d’applicazione necessaria della legge 184 del 1983, ovvero per i casi di adozione di maggiorenni o di minori non
legittimanti, individua la norma applicabile in quella nazionale degli adottanti se comune ovvero, in caso di nazionalità diversa, in quella di residenza o di prevalente localizzazione della vita matrimoniale.
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