Università Cattolica del S. Cuore LABORATORIO DI ANALISI MONETARIA OSSERVATORIO MONETARIO n. 3/2010 Autori del presente rapporto sono: Fabio Malanchini, Giampietro Pizzo, Filippo Vettorato, Massimo Vita. Direzione e coordinamento: Marco Lossani. Segreteria: Nicoletta Vaccaro. Il rapporto è stato redatto sulla base delle informazioni disponibili al 9 novembre 2010. Laboratorio di Analisi Monetaria: Via Necchi, 5 - 20123 Milano - tel. 02-7234.2487; [email protected] ; www.assbb.it Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa: Sede: presso Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano, Largo A. Gemelli n. 1 Segreteria: presso Banca Popolare Commercio e Industria – Milano, Via Moscova, 33 – tel. 02-6275.5252 Comitato Scientifico del Laboratorio di Analisi Monetaria: Proff. M. LOSSANI (responsabile), A. BAGLIONI, A. BANFI, D. DELLI GATTI P. GIARDA, P. RANCI, G. VACIAGO, G. VERGA INDICE SINTESI pag. I INTRODUZIONE pag. 1 pag. 3 1 – MICROFINANZA E INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 1.1. Introduzione 3 1.2. Intermediazione finanziaria, microfinanza e problemi di asimmetria 3 informativa 5 1.3. Il sistema finanziario nei PVS: finanza informale e mercati formali 6 1.4. L’esclusione finanziaria 7 1.5. Storia della microfinanza 10 1.6. La microfinanza oggi 2 – STRUMENTI E MODELLI D’INTERVENTO 2.1. Il target 2.2. Gli attori della microfinanza 2.3. Le metodologie di credito 12 12 18 25 3 – LA SITUAZIONE ATTUALE 3.1. Commercializzazione e crescita 3.2. Da microcredito a microfinanza: il risparmio e i nuovi prodotti 3.3. Performance sociale e impatto 3.4. La rivoluzione tecnologica 32 32 37 39 42 4 – LA MICROFINANZA IN EUROPA 4.1. La situazione attuale 4.2. Buone pratiche. ADIE: l’importanza della rete territoriale 4.3. Buone pratiche. Il social lending 45 45 50 50 5 – IL CASO ITALIANO 5.1. Il contesto e le caratteristiche della domanda 5.2. Stima della domanda nel settore della microfinanza 5.3. Il ruolo del sistema finanziario formale 5.4. Il settore della microfinanza: evoluzione e caratteristiche 5.5. Il quadro legale 5.6. Una valutazione del settore e ruolo potenziale delle banche 5.7. Buone pratiche. PerMicro SpA: il microcredito commerciale alla prova 5.8. Buone pratiche. Fondo per il Microcredito della Regione Lazio: l’importanza della rete territoriale 52 52 63 66 70 82 83 88 89 I SINTESI Questo numero di Osservatorio monetario viene interamente dedicato all’analisi delle implicazioni derivanti dallo sviluppo della microfinanza. Il primo capitolo descrive le ragioni del successo e della progressiva diffusione della microfinanza nel mondo. La microfinanza nasce nei paesi in via di sviluppo come strumento di valorizzazione delle capacità economiche e finanziarie di vaste fasce di popolazione, tradizionalmente considerate incapaci di generare autonomamente un sostanziale miglioramento del loro tenore di vita. La microfinanza ha dimostrato come attraverso l’utilizzo di nuove metodologie di valutazione del merito creditizio, la gestione mirata del ciclo di credito e l’offerta di prodotti finanziari specifici sia possibile contenere le conseguenze negative generate dalle asimmetrie informative, causa prima dell’esclusione finanziaria. La micro finanza può essere oggi considerata un settore maturo, caratterizzato da una progressiva integrazione nei sistemi finanziari locali ed internazionali che ha saputo sviluppare un’offerta estremamente composita di servizi che vanno dal credito ai prodotti di risparmio e assicurativi, ai servizi di money transfer e di branchless banking. Il secondo capitolo è dedicato all’analisi degli strumenti e dei modelli d’intervento adottati dal settore della micro finanza per raggiungere i propri obiettivi. La diversificazione dei servizi offerti ha portato ad un progressivo ampliamento del target, non più coincidente con i soli poveri. La microfinanza oggi assume un ruolo essenziale in quanto strumento utile per realizzare l’inclusione finanziaria di soggetti considerati in passato “non bancabili” quali: le micro e piccole imprese, i migranti e le loro famiglie d’origine, i cittadini che per ragioni geografiche non hanno punti di accesso ai servizi bancari. Ognuna di queste categorie è oggi servita da una complessa varietà di attori, appartenenti sia alla cosiddetta “finanza informale” che alla più tradizionale “finanza formale”, già integrata nel sistema sia dal punto di vista giuridico che da quello regolatorio. Le metodologie di azione - nell’ambito dei servizi di credito - adottate dai diversi attori per raggiungere in maniera efficace il target group possono essere ricomprese in due grandi categorie a loro volta declinate in una serie di varianti dipendenti dal contesto d’intervento e dalla specificità di carattere socio economico della clientela servita. Si parla di credito individuale in riferimento a quelle metodologie che prevedono l’erogazione del credito a singoli soggetti. I crediti sono in questo caso garantiti attraverso garanzie reali o personali. Per contro i crediti di gruppo prevedono l’erogazione dei prestiti attraverso un gruppo (Peer Lending), in cui sono i membri del gruppo stesso a garantire la restituzione del prestito. In questa seconda categoria giocano un ruolo di rilievo la metodologia del solidarity group - sviluppata con diverse caratteristiche da Grameen Bank e da ACCION International - e le organizzazioni basate sulle comunità, quali ad esempio le banche villaggio e le CVECA. Il terzo capitolo analizza le principali linee di sviluppo del settore e i risultati raggiunti a livello mondiale. A fronte di una domanda di servizi di credito di almeno 250 miliardi di dollari, il settore ha oggi raggiunto un tasso di penetrazione pari a circa il 20% grazie alle 10.000 istituzioni di microfinanza (IMF) presenti nei diversi continenti. Queste II presentano diversi gradi di sviluppo e di integrazione con il mercato finanziario convenzionale. Oggi solo il 2-3% delle IMF sono mature ed economicamente sostenibili e circa il 7-8% stanno raggiungendo tale obiettivo. L’entrata di investitori privati e la progressiva commercializzazione delle attività del settore sono tra i cambiamenti più importanti nel panorama della microfinanza mondiale. La necessità di attrarre investitori privati e la conseguente ricerca della sostenibilità finanziaria ha contribuito a far sì che, in alcuni casi, la missione sociale venisse messa in secondo piano innescando in alcuni casi fenomeni molto marcati di mission drift. Il quarto capitolo esamina la situazione del settore in ambito europeo. In modo per certi versi paradossale la micro finanza in Europa presenta un grado di sviluppo inferiore rispetto a quanto riscontrato nei paesi in via di sviluppo. Le IMF che operano in Europa sono infatti relativamente giovani e gestiscono un portafoglio di crediti esiguo se paragonato alle omologhe asiatiche o latinoamericane. Questo elemento, unito ai tassi di interesse applicati sui crediti particolarmente contenuti e all’elevato costo di gestione del ciclo di credito - dovuto agli elevati costi di istruttoria, di accompagnamento e monitoraggio dei clienti impatta significativamente sul livello medio di sostenibilità economica del settore. Per tale ragione, le IMF europee sono spesso sostenute dalla erogazione di fondi pubblici per la copertura di parte dei costi operativi - come avviene ad esempio nel caso della francese ADIE, uno dei rari esempi europei di programma di microfinanza a dimensione nazionale. Il quinto e ultimo capitolo quinto è dedicato al caso italiano. Nel nostro paese, la domanda di servizi di microfinanza è espressa prevalentemente da individui o famiglie a basso reddito e micro e piccole imprese, categorie spesso colpite da una diffusa esclusione finanziaria. In talune circostanze sono presenti anche consistenti sacche di esclusione bancaria, come nel caso degli immigrati. Tra gli attori coinvolti nella fornitura di servizi a fasce di popolazione escluse finanziariamente troviamo le banche e le reti di confidi. Il ruolo di tali soggetti raramente si traduce in un’offerta mirata ed autonoma a favore del target dei “non bancabili”, nonostante gli spazi per un intervento più massiccio - soprattutto nell’ambito del migrant banking - siano amplissimi. Più spesso le banche partecipano in veste di partner finanziari in programmi di microfinanza che coinvolgono anche enti pubblici e soggetti privati non-profit che mettono a disposizione fondi di garanzia (che spesso annullano il rischio di credito per gli istituti bancari) e la rete territoriale per lo svolgimento delle attività di pre-istruttoria delle pratiche di credito e accompagnamento e tutoraggio dei clienti. Le Istituzioni di Microfinanza (IMF) oggi esistenti in Italia comprendono diverse tipologie di enti (cooperative, fondazioni, associazioni, istituzioni finanziarie non bancarie, ecc.), che svolgono come prima e principale attività il microcredito. Possono essere identificate tre sottocategorie. La prima è costituita da IMF completamente sviluppate, registrate sotto la legge bancaria come intermediari finanziari (ex TUB art. 106). Le IMF all’interno di questa categoria sono le sole istituzioni comparabili alle IMF attive nei Paesi in via di sviluppo. A Febbraio 2009, esistevano nel nostro paese solo due IMF di questo tipo: Microcredito di Solidarietà e PerMicro. Queste IMF, che puntano molto sull’innovazione e l’efficienza, III hanno un obiettivo di sostenibilità di mediolungo termine. La seconda categoria è composta dalle MAG (Mutua AutoGestione). Queste assumono diversa forma legale, ma condividono una storia comune e valori etici alla base della loro missione e visione. La terza categoria comprende la più ampia porzione di IMF italiane. Queste istituzioni assumono la forma di associazioni non profit o fondazioni, classificate come ONLUS (Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale). Le loro attività riguardano l’analisi preliminare del prestito e la sua gestione. I prestiti vengono quindi erogati dalle banche, con cui hanno un accordo. In generale il settore in Italia è molto giovane ed ha iniziato a svilupparsi solo dopo gli anni 2000. Come nel caso europeo, anche le IMF italiane sono caratterizzate da una dimensione del portafoglio crediti e tassi di interesse insufficienti ad assicurare la sostenibilità economica. Anche dal punto di vista organizzativo-gestionale e dei principali indicatori di performance si tratta di soggetti nella maggior parte dei casi ancora lontani dagli standard internazionali. 1 INTRODUZIONE Secondo le ultime previsioni del Fondo Monetario Internazionale la ripresa è destinata temporaneamente a indebolirsi, in conseguenza delle difficoltà in cui ancora oggi si dibattono molte delle economie avanzate. Solo un processo di duplice ribilanciamento – volto a ridare vigore alla domanda interna privata e a rilanciare la domanda estera (almeno all’interno delle economie gravate da deficit nelle partite correnti) – può consentire di rendere più robusta una fase congiunturale che nelle economie più ricche rimane fragile e rischia di condizionare negativamente anche la dinamica delle economie emergenti, ancora fortemente dipendenti dalla performance delle esportazioni realizzate verso le aree a più alto reddito. Il combinato disposto di incertezza e fragilità ha fatto si che per la prima volta dopo molti anni il processo di riduzione della povertà abbia conosciuto una battuta d’arresto. Secondo le più recenti stime della Banca Mondiale i poveri – intesi come persone che dispongono di meno di 1,25 Dollari al giorno per sopravvivere – sarebbero cresciuti di più di 60 milioni di unità nel corso del 2010. La comparsa di nuove sacche di povertà all’interno dell’economia mondiale non ha tuttavia arrestato la tendenza a contrastare il fenomeno dell’esclusione finanziaria, che caratterizza ancora oggi l’esistenza di oltre 2,7 miliardi di persone – in conseguenza dello scarso livello di reddito di cui dispongono, del basso grado di sviluppo economico dei sistemi in cui operano e della scarsa accessibilità a una ampia gamma di servizi finanziari. Le ultime statistiche (relative all’anno 2009) mostrano infatti come – nonostante la profonda recessione allora in atto, su scala pressoché mondiale – l’accesso a una lunga serie di servizi finanziari (non solo di natura informale) sia aumentato per un numero consistente di soggetti. Dietro questo risultato vi sono gli sforzi intrapresi sin dagli anni’70 in svariate realtà in via di sviluppo ed emergenti (come Bangladesh e Indonesia) - miranti a realizzare su più ampia scala una condizione di inclusione finanziaria che potesse favorire la crescita dei redditi individuali, attenuando al tempo stesso fenomeni di esclusione sociale. All’attività originariamente svolta nel settore del microcredito – sviluppata mediante la concessione di prestiti di entità minima, erogati utilizzando delle tecniche per quei tempi rivoluzionarie (come l’ormai famoso group lending di Grammen Bank) – si è andata nel tempo affiancando una serie di iniziative aventi la finalità di ampliare la gamma di servizi finanziari erogati a vantaggio di soggetti che ne sarebbero rimasti altrimenti esclusi. Si è così realizzato in tempi relativamente brevi un risultato per certi versi straordinario, soprattutto considerando le condizioni iniziali in cui – in alcuni contesti – si è avviato lo sviluppo delle attività di micro finanza. Delle 560 milioni di famiglie che – attualmente nel mondo – vivono ancora al di sotto della soglia di povertà, quasi il 20% si è ormai affrancato dalla condizione di esclusione finanziaria. Una situazione sensibilmente migliore rispetto a quella esistente ancora dieci anni orsono – favorita anche dalla diffusione di nuove tecnologie che hanno consentito di incrementare fortemente il numero di persone raggiungibili dall’offerta di servizi finanziari – e che segnala come la stretta coincidenza tra povertà ed esclusione finanziaria non sia più necessariamente vera. I Se nel mondo emergente e in via di sviluppo la microfinanza ha ormai acquisito le caratteristiche tipiche di un settore maturo, altrettanto non si può dire con riferimento alla condizione raggiunta dalle Istituzioni di Micro Finanza (IMF) all’interno delle economie più avanzate. L’azione di contrasto condotta nei confronti dell’esclusione finanziaria costituisce un fatto relativamente recente all’interno 2 dell’Europa Continentale, e in modo particolare in Italia – ove attualmente operano con uno status giuridico comparabile a quello delle IMF attive da tempo nei Paesi in via di sviluppo – solo due istituzioni. Un segnale evidente di quanto spazio vi sia ancora nel nostro paese per sviluppare le attività di microfinanza e contrastare l’esclusione finanziaria. 3 1. MICROFINANZA E DIAZIONE FINANZIARIA INTERME- 1.1 Introduzione Le esperienze di microcredito e microfinanza avviate ormai da qualche decennio in molti paesi del Sud del mondo – ma anche in contesti poveri di paesi del Nord – stanno contribuendo in modo spesso decisivo alla realizzazione di un processo di sviluppo sostenibile. La microfinanza, nella sua varietà di esperienze, consente, tra gli altri, di evidenziare due aspetti: la valorizzazione delle “risorse e capacità nascoste, disperse o male utilizzate” (in particolare imprenditoriali) nelle realtà povere e il passaggio dalla centralità del progetto alla centralità della costruzione di istituzioni locali sostenibili e durature (dal “project focus” all’ “institution building”)1. La microfinanza si è sviluppata da ormai una trentina d’anni a partire da esperienze pionieristiche in alcuni paesi del Sud del mondo (Bangladesh, Bolivia, Indonesia in primo luogo). Il microcredito, cioè il credito ai poveri, e la microfinanza, cioè un più ampio complesso di servizi finanziari a vantaggio della popolazione povera, sono stati praticati seguendo percorsi e modalità diverse, ma con una visione di fondo comune: favorire l’accesso al credito e ai servizi finanziari da parte di coloro che oggi ne sono esclusi, far emergere le attività economiche dei più poveri; formare i microimprenditori alla gestione del capitale di debito e battere strade nuove nella gestione del rischio di credito.2 Tra le maggiori scoperte che sono state raggiunte mediante lo svolgimento di attività di microcredito e di microfinanza, occorre sottolineare la presenza e la diffusione tra i poveri di veri e propri giacimenti di imprenditorialità e di impreviste capacità di risparmiare e investire, sia pur con modalità a volte inconsuete. Nelle microimprese dei poveri, e nelle piccole e medie imprese che in alcuni contesti ne costituiscono l’evoluzione, non mancano rilevanti capacità tecnologiche, acquisite essenzialmente con modalità di tipo learning by doing3. Tutti questi elementi diventano decisivi per promuovere processi di sviluppo dove il protagonismo dei soggetti locali e la sostenibilità nel tempo siano caratteristiche centrali e non accessorie. 1.2 Intermediazione finanziaria, microfinanza e problemi di asimmetria informativa Per certi versi, la necessità di microfinanza è in qualche modo sorprendente. Una delle prime lezioni impartite nell’ambito di un corso di introduzione all’economia, riguarda il principio di rendimenti marginali decrescenti, secondo cui quanto più un’impresa investe, tanto più output si aspetta di produrre, benché ogni unità addizionale di capitale porti guadagni incrementali marginali sempre minori. Le dimensioni del rendimento marginale del capitale determinano la capacità del prestatario di pagare. Pertanto, l’imprenditore più povero, vale a dire dotato di un minor stock di capitale, dovrebbe godere di rendimenti marginali del capitale maggiori e quindi disporre di una maggiore abilità di ripagare il prestatore. Su vasta scala, se questo fondamento di economia fosse corretto e sufficiente a interpretare la realtà, gli investitori a livello globale starebbero oggigiorno assumendo un comportamento errato. Anziché investire maggiormente sui mercati di Londra, New York 1 Hirschman, A.O., Come complicare l’economia, Il Mulino, 1988. 2 Hulme, D. e Mosley, P., Finance Against Poverty, Routledge, London and New York 1996 3 Arrow, K., The Economic Implications of Learning by Doing. Review of Economic Studies, 29, 155-173, 1962. 4 e Tokyo, gli investitori più esperti dovrebbero indirizzare i loro fondi in India, Kenya, Bolivia e altri paesi caratterizzati da scarsità di capitale e basso reddito. Il capitale dovrebbe quindi andare dal Nord al Sud del mondo, non in un’ottica assistenzialista o di cooperazione allo sviluppo, ma in un’ottica di mera ricerca del profitto. Robert Lucas ha stimato l'entità della differenza nei rendimenti attesi in vari paesi, rilevando che in India i prestatari dovrebbero essere disposti a pagare il capitale cinquantotto volte di più rispetto ai prestatari negli Stati Uniti. Proseguendo con questa logica, si potrebbe affermare che, non solo i fondi dovrebbero muoversi da paesi ricchi a paesi più poveri, ma anche che all’interno di uno stesso paese gli investimenti dovrebbero spostarsi da ricchi a poveri prestatari (ad esempio, da New Delhi ai villaggi rurali). Il principio dei rendimenti decrescenti del capitale implica che, un semplice calzolaio di strada o una venditrice di fiori con una piccola bancarella, dovrebbero offrire agli investitori maggiori rendimenti che la General Motors o l’IBM e che le banche e gli investitori dovrebbero comportarsi di conseguenza. Alla luce di ciò, com’è possibile che in pratica le banche e gli investitori finanzino più facilmente grandi imprese piuttosto che semplici venditori ambulanti e che i flussi di capitale si muovano da Sud a Nord? Il punto principale da prendere in considerazione riguarda il rischio. Investire in Kenya o in Bolivia implica un livello di rischio ben maggiore che investire ad esempio in Europa. Lo stesso vale per il calzolaio di strada paragonato alla grande società regolata. La domanda che viene spontanea è: perché il calzolaio di strada e la fioraia non possono offrire agli investitori dei rendimenti così elevati tali da compensare il loro rischio? Secondo alcuni, i poveri possono pagare elevati tassi di interesse per ottenere fondi a prestito, ma le restrizioni sui tassi di interesse imposte dai governi impediscono alle banche di applicare i tassi di interesse necessari per far confluire i capitali da Nord a Sud e dalle città ai villaggi. Se così fosse, la sfida della microfinanza avrebbe a che fare esclusivamente con il quadro regolatorio. Sarebbe necessario convincere i governi a rimuovere le leggi anti-usura e altre restrizioni sulle banche e lasciare che i capitali si dirigano verso regioni/soggetti poveri. Ovviamente tale spiegazione è molto semplicistica. La realtà è molto più interessante e complessa. La rimozione di leggi anti-usura e la libertà concessa alle banche di servire i poveri e coprire i costi, non è l’unica risposta. Tassi di interesse elevati possono infatti indebolire le istituzioni riducendo gli incentivi per i prestatari. La considerazione delle asimmetrie informative – insieme alla mancanza di garanzie – consente di completare il quadro dei motivi per cui i prestatori hanno “difficoltà” a prestare ai poveri, anche se con rendimenti presumibilmente elevati. Gli elementi fondamentali sono dunque: l’asimmetria informativa sofferta dalle banche nei confronti di poveri e la mancanza di questi ultimi nel disporre di garanzie adeguate da offrire alle banche. La microfinanza nasce dalla necessità di trovare alternative al credito tradizionale, proprio perché molti prestatari sono troppo poveri per possedere gli asset necessari per fornire adeguate garanzie e perché le banche difficilmente riescono a raccogliere (in modo efficiente) e a valutare le informazioni relative alla loro clientela. In questo senso, per generazioni, la povertà ha prodotto povertà. La microfinanza può rompere questo circolo vizioso, riducendo i costi di transazione e superando i problemi legati 5 all’informazione asimmetrica e alla mancanza di adeguate garanzie4. 1.3 Il sistema finanziario nei PVS: finanza informale e mercati formali In uno studio del 1990, Hoff e Stiglitz5 individuano le caratteristiche distintive dei sistemi finanziari dei Paesi in Via di Sviluppo. Il sistema finanziario dei PVS si caratterizza per un forte dualismo: accanto al settore formale, sottoposto al controllo dell’autorità statale, prospera un variegato settore informale costituito da moneylenders tradizionali, associazioni autonome di risparmio e credito (come le ROSCA6) e le associazioni di mutuo soccorso. I due sistemi coesistono nonostante i tassi di interesse del mercato informale siano molto più alti di quelli praticati sul mercato formale. Questa situazione si verifica poiché nel mercato formale si manifestano fenomeni di razionamento del credito attraverso l’imposizione di massimali ai tassi di interesse. In questo modo, il tasso di interesse non equilibra necessariamente la domanda e l’offerta di risorse finanziarie. Il mercato informale, non dovendo sottostare a tali restrizioni, tende invece ad aggiustare il gap esistente tra domanda e offerta. I mercati informali del credito sono altresì caratterizzati da un’elevata segmentazione. Ciò comporta che shock sistemici impattino pesantemente sulla disponibilità di credito. Inoltre, il settore informale è caratterizzato da rapporti multi-dimensionali tra gli operatori che 4 Beatriz Armendariz, Jonathan Morduch, “The Economics of Microfinance”, The MIT Press, 2007. 5 Hoff, Karla, Stiglitz, Joseph E, Imperfect Information and Rural Credit Markets-Puzzles and Policy Perspectives, World Bank Economic Review, Oxford University Press, 1990, vol. 4(3), pagg. 235250. 6 Rotating Savings and Credit Associations vi operano; avviene cioè che la negoziazione di un credito si realizzi tra individui con relazioni sociali e/o economiche pregresse (come rapporti lavorativi o parentali). In questo modo, il nuovo rapporto di credito viene a sovrapporsi ai legami preesistenti, che costituiscono quindi una sorta di garanzia di pagamento, sopperendo in tal modo all’asimmetria informativa che caratterizza questo genere di transazioni. Per interpretare le dimensioni e il ruolo assunto dal settore informale nei PVS, sono state inizialmente proposte teorie diverse. Tuttavia, né la teoria del monopolio (che vorrebbe il mercato del credito in mano ai moneylenders tradizionali) né quella della concorrenza perfetta (secondo cui i tassi di interesse del mercato informale servirebbero per coprire i rischi di insolvenza) sono sembrate in grado di spiegare la complessità del fenomeno. Le spiegazioni fornite per illustrare la struttura dei mercati finanziari dei PVS, come ad esempio gli elevati tassi di interesse applicati dai moneylenders, fanno riferimento alle varie fonti di incertezza proprie del mercato del credito in generale, riconducibili alle problematiche dell’informazione asimmetrica e dell’enforcement dei contratti. L’asimmetria informativa si manifesta in generale nella relazione inversa esistente tra il grado di conoscenza del rischio assunto e l’esposizione al rischio stesso. Il soggetto richiedente credito è consapevole della propria situazione futura rispetto al soggetto concedente il prestito. Questa asimmetria dà origine a due classi di problemi; ex ante si può verificare un fenomeno di selezione avversa. Le istituzioni non sono in grado di determinare con precisione la diversa rischiosità di clienti che non conoscono, che non tengono contabilità scritta e che spesso non hanno un business plan in grado di descrivere i contenuti e la fattibilità 6 dell’iniziativa economica da intraprendere. Così, i servizi di credito tenderanno anche ad attrarre potenziali cattivi clienti. Questo comporta un’esternalità negativa per i buoni clienti, vale a dire un aumento indiscriminato dei tassi di interesse che dovrebbe servire per coprire il rischio di inadempienza. Proprio in base alla selezione avversa, si potrebbero in parte spiegare gli alti tassi di interesse osservati sui mercati finanziari, specie informali, dei PVS. A questo problema si può ovviare attraverso un attento e difficile screening della clientela potenziale, che permetta di effettuare una selezione positiva. L’informazione asimmetrica ex post, invece, può originare fenomeni di moral hazard da parte di clienti già acquisiti. Questi possono, una volta ottenuto il credito, essere indotti a ridurre gli sforzi necessari alla buona riuscita del progetto, ad intraprendere investimenti più rischiosi di quanto convenuto, con effetti potenzialmente negativi sulla capacità di rimborso, arrivando persino a contemplare la possibilità di non restituire di proposito il denaro ricevuto in prestito (default strategico). La presenza di moral hazard richiede un monitoraggio costante e la messa in opera di un sistema di incentivi, al fine di assicurarsi che i clienti mettano in atto quanto è in loro potere per la riuscita dei progetti finanziati. In realtà, il sistema di controllo e valutazione dei progetti è di difficile implementazione a causa degli elevati costi operativi; ciò comporta la gestione di una moltitudine di crediti di piccole dimensioni e dispersi sul territorio. C’è inoltre da considerare l’impossibilità di affidarsi ai tradizionali strumenti informativi, quali i credit bureau, che consentono di valutare la rischiosità dei potenziali clienti. La maggior parte di questi ultimi, infatti, non compare nelle banche dati, per il fatto di non avere mai avuto relazioni con istituzioni di finanza formale. Inoltre i clienti raramente tengono una contabilità scritta e/o un business plan e il monitoraggio – o auditing – risulta particolarmente costoso, date le piccole dimensioni dei prestiti (e, proporzionalmente, la maggior incidenza dei costi fissi). In tali contesti, risulteranno pertanto più efficaci sistemi di screening e monitoraggio basati sulla reputazione, la pressione sociale, le relazioni di scambio multiplo, rispetto a sistemi tradizionali documentali e fondati su garanzie fisiche. Accanto ai problemi di selezione avversa, di azzardo morale e di auditing, vi è quello di enforcement, che riguarda i mezzi a disposizione del creditore che si trovi a pretendere il rimborso da un debitore inadempiente. Anche in questo caso, le deficienze dei sistemi giuridici e l’incapacità dei clienti di fornire garanzie reali ordinarie, pongono gli operatori formali in difficoltà nel trattare una grossa fetta del mercato finanziario potenziale. Garanzie alternative, terzi garanti, social enforcement possono dimostrarsi efficaci surrogati. Tali elementi spiegano pertanto i motivi per cui i moneylenders tradizionali, in virtù della loro vicinanza fisica e sociale con i clienti a basso reddito, godano di un vantaggio comparato netto nell’offrire servizi finanziari rivolti a queste fasce di popolazione. Questo vantaggio comparato spiega in buona parte il dualismo e il funzionamento dei mercati finanziari dei PVS7. 1.4 L’esclusione finanziaria La severità delle conseguenze dell’esclusione finanziaria dipende dal livello di “finanziarizzazione” della società in cui le persone vivono. È spesso più difficile essere incluso in un paese in cui i servizi bancari sono molto diffusi. Le conseguenze possono essere 7 Gamini Herath, M., Rural Credit Markets and Institutional Reform in Developing Countries: potential and problems, in Saving and Development, pag. 169-192, 1994. 7 paradossali: l’esclusione diventa più problematica nei paesi dove più dell’80% delle famiglie possiede un conto corrente. In effetti, nelle società bancarizzate, non aver un conto bancario può significare non poter ricevere i pagamenti regolari come lo stipendio, la pensione e i sussidi pubblici. L’esclusione finanziaria, come non avere un conto o un libretto d’assegni, potrebbe anche condurre alla stigmatizzazione e all’esclusione sociale8. basso; più reddito, più credito, più investimento, più reddito”. L’esclusione dai servizi finanziari formali (assicurativi, di credito o di risparmio) obbliga le persone a ricorrere al settore informale, che può offrire degli strumenti flessibili e accessibili, ma non sempre efficienti né molto affidabili9. Il credito potrebbe quindi trasformare un circolo vizioso in un circolo potenzialmente virtuoso: “reddito basso, credito basso, investimento 1.5 Storia della microfinanza Nel corso dell’ultimo decennio, la microfinanza si è rapidamente evoluta ed estesa dal campo relativamente ristretto del credito alla microimprenditoria a un più allargato ambito, che include un’ampia gamma di servizi finanziari per i poveri, tra cui depositi, trasferimento di denaro e assicurazione, con l’obiettivo ultimo di favorire la costituzione di sistemi finanziari inclusivi. Il fenomeno della microfinanza non costituisce una novità. Piccoli gruppi informali di credito e risparmio esistono da secoli in tutto il mondo. In Italia nel quindicesimo secolo vennero istituiti dalla Chiesa Cattolica - come alternativa agli usurai - i Monti di Pietà, che si diffusero rapidamente in diverse zone urbane europee. I Monti di Pietà non solo sono gli ispiratori della nascita del credito cooperativo e delle banche popolari, ma presentano diverse affinità con il microcredito moderno, tra cui quella di rivolgersi a un target di bisognosi e microattori, ai quali vengono concessi prestiti di piccola entità a fronte di un pegno che veniva venduto all’asta in caso di mancato rimborso del credito. Istituzioni formali di credito e risparmio rivolte ai poveri sono state presenti per molte generazioni, offrendo servizi finanziari a chi era tradizionalmente escluso dalle banche commerciali. L’Irish Loan Fund, fondato agli 8 9 In sostanza, essere escluso vuol dire avere meno strumenti affidabili a disposizione per poter gestire la vita quotidiana, affrontare i rischi e raccogliere somme più grandi. Per esempio: • • • Il credito, come il risparmio, è uno strumento importante per realizzare la stabilizzazione dei consumi (consumption smoothing), cioè per soddisfare i bisogni di ogni giorno anche quando le entrate non corrispondono alle uscite. Il credito, come il risparmio e l’assicurazione, permette di proteggersi contro un evento imprevedibile. Ad esempio, il reddito di un tassista dipende dal funzionamento della propria vettura. In caso di guasto e in assenza di un reddito sufficiente per ripararla il tassista rischia – se non ottiene credito – di perdere la propria occupazione e quindi il proprio reddito. Il credito, come il risparmio, permette di poter coprire delle spese più consistenti e prevedibili, come l’acquisto di una casa o il matrimonio di una figlia. Gloukoviezoff, G.,De la bancarisation de masse à l’exclusion bancaire puis sociale, http://www.sante.gouv.fr/drees/rfas/rfas200403/2004 03-art02.pdf, 2004. Grandinson, M., Paulus, N. e Terreri, F., Le risorse dei poveri. Risparmio, microimprese, microcredito: istruzioni per l’uso, Associazione Microfinanza e Sviluppo, 2009. 8 inizi del diciottesimo secolo, ne è un esempio importante. L’Ottocento si caratterizzò in Europa per la nascita e il moltiplicarsi di istituzioni di credito e di risparmio, sempre più formali, che indirizzarono le loro attività verso i ceti poveri, sia delle zone urbane sia di quelle rurali. Il modello della cooperativa di credito si sviluppò nella seconda metà dell’Ottocento in Germania con lo scopo di infrangere la dipendenza nei confronti dei prestatori locali da parte della popolazione rurale migliorando così la loro condizione di vita. Organizzazioni similari si diffusero in Francia, in Quebec e, nel secolo successivo, anche in Irlanda, Italia, Giappone, Stati Uniti, India e Bangladesh. Molte delle cooperative oggi presenti in Africa, America Latina e Asia hanno le proprie radici in queste esperienze europee. Un altro precoce esempio riguarda l’indonesiano People’s Credit Bank (BPRs) che iniziò a operare a fine Ottocento e che divenne il più grande sistema di microfinanza in Indonesia, con quasi 9.000 filiali. All’inizio del Novecento, numerose varianti di organizzazioni creditizie e di risparmio si andarono sviluppando in America Latina. Tali istituzioni di finanza rurale, avevano come scopo quello di modernizzare il settore agricolo grazie alla raccolta di risparmio, l’aumento dell’investimento attraverso il credito e la riduzione delle oppressive relazioni feudali imposte dall’indebitamento. Nella maggior parte dei casi, queste nuove “banche per i poveri” non erano controllate dai beneficiari stessi, come in Europa, bensì da agenzie governative o banche private. Con il passare degli anni questo genere di istituzioni divenne man mano sempre più inefficiente e, alle volte, addirittura corrotto10. Il successo della microfinanza moderna si deve in gran parte allo sforzo di non ripetere, ma di 10 Andreoni, A. e Pelligra, V., Microfinanza: Dare credito alle relazioni, il Mulino, 2009. far tesoro degli errori commessi nel recente passato. Durante il ventennio 1950-70 governi e donatori focalizzarono le energie per diffondere il credito agricolo a favore dei piccoli agricoltori indigenti, nella speranza di migliorare la loro attività di produzione e quindi, il loro reddito. Per espandere l’accesso al credito furono utilizzate istituzioni finanziarie di sviluppo governative o in alcuni casi cooperative di agricoltori, che venivano fortemente sussidiate, in modo da operare con tassi di interesse inferiori a quelli di mercato e compensarle, allo stesso tempo, per l’entrata in mercati considerati rischiosi ed onerosi. Questi schemi di sussidio, raramente ebbero esito positivo. Le banche di sviluppo rurale, applicando tassi di interesse sussidiati, non erano infatti in grado di coprire i costi. Nelle Filippine, ad esempio, si applicava un massimale di interesse pari al 16%, mentre l’inflazione si attestava intorno al 20% annuale. I tassi di rimborso dei crediti da parte dei clienti erano inoltre ridotti, dato che i crediti venivano considerati alla stregua di donazioni da parte del governo piuttosto che di prestiti da rimborsare. In conseguenza di ciò, il capitale di queste istituzioni andò via via erodendosi, e in alcuni casi arrivò a completo esaurimento. Cosa ancor più grave, questi finanziamenti non sempre servivano i poveri, ma finivano nelle tasche delle persone più influenti e degli agricoltori più abbienti. Nelle Filippine, a questo stato di cose si aggiunse il fatto che ai risparmiatori veniva riconosciuto il 6% all’anno sui depositi, con una perdita secca in termini di potere di acquisto del 14%. In questo esempio specifico, lo schema di credito adottato non solo non fu sostenibile, ma peggiorò le stesse condizioni di redistribuzione del reddito poiché solo una piccola porzione di coltivatori già benestanti, ricevevano un credito a condizioni vantaggiose. Negli anni, molte critiche furono rivolte a questi programmi; essi 9 usavano il credito come un input addizionale della produzione agricola, anziché come strumento fungibile di intermediazione finanziaria. Il principale argomento di critica alle banche statali sussidiate risiedeva nel fatto che i sussidi non avevano migliorato in alcun modo le condizioni di vita delle fasce di popolazione più povere. Al contrario, queste banche avevano contribuito a eliminare i prestatori informali, cioè coloro ai quali i ceti più poveri si rivolgevano solitamente per chiedere prestiti. A questo si aggiunga il fatto che il tasso di interesse di mercato operava come meccanismo di razionamento: i soggetti disposti a pagare per il credito erano prevalentemente coloro che avevano progetti di valore. Ma applicando tassi di interesse sussidiati il meccanismo di razionamento veniva meno e il credito non veniva più allocato sulla base della produttività dei progetti, bensì sulla base di meri interessi politici e di condizionamenti sociali. Fu dunque in questo contesto che negli anni ’70 si registrò la nascita, o meglio, la rivoluzione del microcredito. In questo periodo alcune istituzioni iniziarono a sperimentare nuove metodologie di prestito per i più poveri. Alcuni programmi in Bangladesh, Brasile e Bolivia iniziarono a prestare a donne povere, principalmente nel settore rurale ed informale. Le radici del microcredito sono dunque più diffuse di quanto normalmente si creda, ma l’esempio più noto è indubbiamente quello di Muhammad Yunus e della Grameen Bank. La metodologia di credito adottata fu quella di credito di gruppo, nel quale ogni membro garantisce per il rimborso del credito di tutti gli altri. Oltre a Grameen Bank, altre iniziative pionieristiche furono ACCION International in America Latina, diffusasi poi anche negli Stati Uniti e in Africa; il Self-Employed Women’s Association Bank in India, concepita come una banca appartenente a una cooperativa di donne. Si tratta di istituzioni che hanno ispirato in seguito moltissime altre esperienze nel mondo. Durante il decennio successivo, il microcredito migliorò sempre più le proprie metodologie organizzative e creditizie incrinando efficacemente quelli che erano stati sino ad allora i postulati e i pregiudizi negativi nei confronti delle tecniche finanziarie rivolte ai poveri. Innanzitutto la buona gestione di questi programmi dimostrò come i poveri, in particolar modo le donne, fossero in grado di rimborsare i prestiti anche con risultati migliori rispetto a persone più abbienti, con prestiti erogati da banche commerciali. Dimostrarono inoltre che i poveri erano disposti e in grado di pagare tassi di interesse che consentivano alle istituzioni di microfinanza (IMF) di coprire i propri costi. Le IMF che hanno raggiunto la piena sostenibilità economica sono considerate oggi un business redditizio attraendo depositi, prestiti commerciali e investimenti di capitale. Sono in grado di servire un elevato numero di clienti poveri, senza essere limitate dalla scarsità o dall’incertezza delle fonti finanziarie basate sui sussidi di governi o donatori. La Bank Rakayat Indonesia (BRI) rappresenta un importante esempio di istituzione di microfinanza che tende a massimizzare l’efficienza economica e la performance finanziaria. La BRI, oggi, serve più di 30 milioni di prestatari e risparmiatori a basso reddito. Gli anni ’90 furono caratterizzati da un’inedita attenzione nei confronti del microcredito, soprattutto tra le agenzie e i network di sviluppo internazionale, che iniziarono a considerare la microfinanza come uno strumento efficace nella lotta alla povertà. La microfinanza iniziò così ad espandersi in molti paesi. Tuttavia, i servizi offerti tendono ancor oggi a concentrarsi in zone urbane o rurali densamente popolate. 10 Agli inizi dello stesso decennio il termine microcredito lasciò posto al termine microfinanza, per meglio indicare l’inclusione di altri servizi finanziari offerti oltre ai prestiti, come depositi, assicurazioni e trasferimento di denaro. Al fine di aumentare il numero di clienti, le IMF e i loro network hanno iniziato a mettere in atto strategie di commercializzazione, arrivando di fatto a trasformarsi in enti profit in grado di attrarre maggiori capitali e diventare così attori permanenti e forti nello scenario finanziario11. 1.6 La microfinanza oggi La microfinanza ha raggiunto traguardi impressionanti negli ultimi trent’anni. Ha dimostrato che i poveri sono non solo potenziali clienti ma anche clienti reali. Il settore è stato in grado di sviluppare un elevato numero di istituzioni forti che offrono servizi finanziari a persone indigenti e ha iniziato ad attrarre l’interesse degli investitori privati. Nonostante ciò, la strada per estendere l’accesso a tutti coloro che necessitano di servizi finanziari è ancora lunga. In particolare sono tre i principali ostacoli che definiscono la frontiera dei servizi finanziari per i poveri: 1. 2. 3. aumentare l’offerta di servizi finanziari di qualità per servire un gran numero di persone (scala); raggiungere persone sempre più indigenti e in zone remote (profondità); diminuire i costi sia per i clienti che per i fornitori di servizi finanziari (costi). La soluzione per superare queste sfide non è semplice ma va in ogni modo ricercata attraverso l’inclusione dei servizi finanziari per i poveri nel sistema finanziario tradizionale di ogni paese. Il processo di integrazione della 11 Helms, B., Access for All, CGAP, 2006 microfinanza nel sistema finanziario sta tuttavia già avvenendo. I confini tra finanza tradizionale e sistema finanziario più ampio vanno scomparendo. Le IMF raggiungono con i loro servizi finanziari sempre più poveri, aumentando in tal modo l’outreach. Le banche commerciali stanno iniziando a orientare la propria offerta verso fasce di clienti sempre più povere e in passato non contemplate dal loro target. Nonostante l’estrema difficoltà nel raccogliere cifre che descrivano l’ampiezza del mercato della microfinanza, è stato stimato che circa metà delle famiglie nel mondo non abbiano un conto corrente12. Trattandosi di una media su scala mondiale, la variazione tra aree geografiche e paesi è notevole: si va da un livello inferiore all’1% di famiglie con conti correnti in Repubblica Democratica del Congo e in Afghanistan a quasi il 100% in Giappone. Se si prendono in considerazione solo i clienti che rientrano nel target della microfinanza - quindi i poveri e le persone a basso reddito - invece, si stimano circa 500 milioni di clienti attivi, rispetto a un mercato potenziale di circa 3 miliardi di persone a basso reddito. A questi dati numerici, occorre aggiungere l’analisi della qualità dei servizi offerti, che non può certo definirsi elevata. Si assiste inoltre a un’alta concentrazione di clienti sia sul piano geografico che istituzionale. Le banche statali, incluse le Postal Bank, gestiscono circa i ¾ di tutti i conti correnti. L’84% di tutti i conti si trovano in Asia; più della metà nelle sole India e Cina. In termini di istituzioni che offrono servizi di micro finanza, l’83% si trova in Asia, l’8% nei paesi dell’area medio-orientale e nord-africana (MENA), il 4% in Africa Sub-Sahariana, il 3% in Europa e Asia Centrale, e il 2% in America Latina. 12 Financial Access 2010, CGAP. 11 Singoli paesi all’interno delle varie regioni mostrano divergenti modelli di crescita. Paesi con economie emergenti come India, Brasile e Sudafrica, costituiranno, con ogni probabilità, un terreno fertile per testare nuove metodologie per raggiungere un elevato numero di poveri. Si tratta di economie caratterizzate da vaste infrastrutture (finanziarie e non) e con maggiori opportunità in termini tecnologici. Gli investitori privati premono per entrare nel mercato. Ad esempio, ICICI Bank sta aprendo in aree rurali più di 2,000 punti dotati di accesso ad internet che forniranno alcuni servizi finanziari via web sul territorio indiano; o Caixa Bank, che sta estendendo i servizi offerti attraverso 14,000 piccoli centri, supermercati, e fornitori locali in Brasile. Alcuni esperti pensano che questi paesi implementeranno direttamente un approccio commerciale su vasta scala raggiungendo milioni di poveri. Paesi come Bolivia, Uganda e Bangladesh, per contro, probabilmente saranno caratterizzati da un altro tipo di crescita del settore. La microfinanza in questi paesi si è già molto sviluppata e presenta persino elevati livelli di saturazione per alcuni tipi di istituzioni e per certi segmenti del mercato. Nonostante ciò, parti rilevanti della popolazione non hanno ancora accesso ai servizi finanziari, soprattutto nelle aree rurali. E’ probabile che i mercati della microfinanza di questi paesi non crescano al livello delle economie più grandi, ma la loro storia di innovazione potrebbe portare allo sviluppo di nuove tecniche in grado di raggiungere i più poveri e le aree più remote. Altri paesi invece si trovano all’inizio della curva di crescita e di conoscenza del settore. Questi paesi, in particolare quelli che si trovano in situazioni di post-conflitto - soprattutto in Africa e in Medio Oriente - potranno beneficiare degli sviluppi raggiunti in altri paesi ed evitare la ripetizione di errori già commessi. 12 2. STRUMENTI D’INTERVENTO E MODELLI 2.1 Il target La diffusione a livello planetario della microfinanza, la conseguente varietà di contesti in cui essa opera e la progressiva sofisticazione dell’offerta tendente ad una segmentazione sempre più raffinata del mercato di riferimento, costituiscono degli elementi che riducono la possibilità di fornire una definizione omnicomprensiva del cliente tipo dell’industria della microfinanza. In prima approssimazione si può affermare che oggi la microfinanza si rivolge a quelle fasce di popolazione che - seppur economicamente attive - non dispongono di un adeguato accesso a servizi finanziari in grado di migliorarne le condizioni di vita13. In base a tale definizione il mandato fondamentale affidato alla microfinanza è duplice. In primo luogo, essa non elegge più come target privilegiato la microimpresa. A differenza di quanto avveniva nei decenni precedenti, oggi si è compreso che non tutti i poveri hanno una vocazione imprenditoriale; cionondimeno esprimono bisogni complessi in ambito finanziario che non si esauriscono nel credito per l’avvio o lo sviluppo di un’attività economica. In secondo luogo, la microfinanza ha assunto un importante ruolo di sviluppo anche verso soggetti che non appartengono a fasce di popolazione particolarmente povere14 e che tuttavia sono esposte a esclusione da parte del mercato finanziario e per tale ragione non possono partecipare appieno alla vita economica e sociale all’interno della comunità di riferimento. Nell’ambito della finanza per lo sviluppo si è 13 Brigit Helms, Acccess for All. Building inclusive financial systems , CGAP, 2006, pg. 17 14 Hege Gulli, Microfinance and poverty, Microfinance Unit IADB, 1998, pg. 5 quindi elaborato un progressivo superamento della nozione di microcredito, che coincideva con il prestito ai poveri come strumento privilegiato di emancipazione economica e sociale, per passare al più complesso concetto di microfinanza, categoria all’interno della quale rientrano oltre che il prestito per l’impresa anche i crediti per finalità sociali, per la casa, il risparmio, i servizi assicurativi, i servizi di gestione delle transazioni finanziarie (money transfer internazionale e locale e branchless banking), il migrant banking e i programmi di inclusione bancaria. A ognuna delle citate categorie corrisponde un cliente tipo differente, con profilo socio-economico e bisogni diversi (TAB. 1). Sembra in ogni caso dimostrato dalla prassi che generalmente la microfinanza non si rivolga ai cosiddetti “più poveri tra i poveri” o a soggetti che versano in condizioni di povertà estrema quanto piuttosto a fasce di popolazione che economicamente possono essere collocate a cavallo della soglia di povertà, fissata dalla Banca Mondiale a 1,25 dollari statunitensi al giorno15. TAB. 1: Livello di povertà dei clienti di alcune IMF Indigenti Estremamente Poveri Moderatamente Poveri Vulnerabili non poveri CARD (Filippine) UWFT (uganda) BRAC (Bangladesh) Molti 4 programmi (Bolivia) Trascurabili Quasi nessuno Molti Trascurabili Alcuni Trascurabili Pochi Molti Alcuni Molti molti 25% Trascurabili 40% Fonte: Microfinance and risk management: A client perspective In altre parole la microfinanza oggi assume un ruolo essenziale all’interno del mercato 15 Focus – CGAP, n. 17 – 2000: Microfinance and risk management: a client perspective, pg. 2 35% 13 finanziario internazionale quale strumento di inclusione finanziaria verso fasce di popolazione considerate in passato “non bancabili” e che invece l’esperienza ha dimostrato essere dotate di particolare forza economica e capacità finanziaria a tal punto da essere in grado di non subire e anzi orientare l’offerta verso prodotti e servizi sempre più mirati ed efficaci. La microimpresa rappresenta ancor oggi il target classico della microfinanza e quello più diffusamente servito dai programmi di microfinanza (sia nei paesi poveri che in quelli economicamente sviluppati). La microimpresa presenta caratteristiche organizzative ed economiche che ne favoriscono lo sviluppo anche in condizioni di estrema incertezza di mercato. Microimprese sono infatti presenti nei paesi più poveri sia nel contesto urbano che rurale, nascono e si sviluppano velocemente in contesti post-bellici16 (o che hanno subito un disastro naturale) in situazioni di conflitto a bassa intensità, o in mercati chiusi quali i campi profughi. La grande adattabilità al contesto ha fatto in modo che questo tipo di unità economica si sia diffuso in tutto il mondo con grande vitalità. La microimpresa, in particolare nei paesi poveri, opera prevalentemente all’interno della cosiddetta economia informale che raggruppa quelle unità produttive “impiegate nella produzione di beni e servizi con lo scopo principale di generare lavoro e reddito per le persone impiegate. Queste unità operano tipicamente con un basso livello di organizzazione, con divisione tra capitale e lavoro scarsa o nulla e su scala molto ridotta. Le relazioni di lavoro ove esistano, sono basate essenzialmente sul lavoro occasionale, legami di parentela, personali o sociali, e molto di rado su 16 Tamsin Wilson, Microfinance during and after armed conflicts: lessons from Angola, Cambodia, Mozambique and Rwanda, DFID, 2002, pag. 40 accordi scritti con garanzie formali”17. Il settore dell’economia informale è particolarmente fiorente nei paesi in via di sviluppo tanto da assumere particolare rilevanza a livello macroeconomico: esso pesa per circa il 60% del PIL nell’area dell’Africa sub-sahariana, per il 24% in Asia e il 30% in America Latina18. In Africa l’economia informale impiega circa il 78% dei lavoratori non agricoli, in America Latina il 57% e in Asia una quota dal 45 all’85%19. Nell’ambito delle politiche di riduzione della povertà, l’espansione del settore della microimpresa, proprio per la sua capacità di generare sviluppo in presenza di una dotazione di capitale e know-how esigui, è fortemente incoraggiato in molti paesi a basso reddito. Ciò avviene sia attraverso politiche incentivanti intraprese dai governi locali sia grazie ai forti investimenti da parte dei donors internazionali nel quadro di programmi nazionali e locali di cooperazione allo sviluppo. La microfinanza rappresenta uno degli strumenti principali attraverso i quali tale strategia trova compimento, tanto da essere considerata dai policy maker il mezzo privilegiato per il raggiungimento del primo degli otto obiettivi di sviluppo del Millennio riguardante lo sradicamento della povertà estrema e della fame. Il caso forse più emblematico e sicuramente più noto di utilizzo massiccio della microfinanza come strumento di sviluppo della microimpresa 17 Definizione di unità produttiva nell’ambito dell’economia informale elaborata nel 1993dall’International Conference of Labour Statisticians (ICLS), in Kristina Flodman Becker, The informal economy, SIDA, 2004, pag. 12 18 Expert Group on Informal Sector Statistics (Delhi Group), Measurement of the contribution of informal sector/Informal employment to GDP in developing countries: some conceptual and methodological issues, Jacques Charmes Institute of Research for Development, 2000 19 Kristina Flodman Becker, op. cit., SIDA, 2004, pag. 19 14 è quello del Bangladesh. Nel paese operano attualmente più di 64020 programmi di microfinanza sia privati che governativi. Molti di essi hanno una copertura nazionale ed un elevato numero di prestatari. In base ai dati aggregati relativi al 2009, raccolti a livello nazionale dal Microfinance Market Exchange21, il settore serve circa 20,2 milioni di prestatari e 27,4 milioni di risparmiatori22 e gestisce un portafoglio crediti attivi pari a 2,3 miliardi di dollari statunitensi e depositi per 1,8 miliardi. Le tre più grandi istituzioni di microfinanza del paese (Grameen Bank, BRAC e ASA) hanno 12,6 milioni di prestatari attivi. La quota di portafoglio crediti erogata dalle microfinanziarie di grandi dimensioni a favore della microimpresa è cresciuto nel periodo 2000 – 2006 dallo 0,6% al 4,2%23. Tale percentuale sebbene sia ancora contenuta in termini assoluti è tuttavia significativa se si considera che le istituzioni di microfinanza nel paese hanno una forte tendenza a servire fasce molto povere di popolazione in particolare in contesto rurale e concedono conseguentemente crediti soprattutto per lo sviluppo di attività agricole e attività generatrici di reddito non strutturate24. Accanto a quello della microimpresa, un ambito d’intervento indubbiamente rilevante per la 20 Mahmoud, Chowdhury Shameem, Dynamics of market share in the microfinance industry in Bangladesh, MPRA, 2009, pag. 3 21 www.mixmarket.org 22 Su una popolazione di 156 milioni di persone. 23 Mahmoud, Chowdhury Shameem, op. cit., MPRA, 2009, pgg.13 – 14. 24 Le attività generatrici di reddito (income gene rating activities – IGA), a differenza dell’attività svolta nell’ambito della microimpresa, implicano attività part-time, spesso stagionali. Generalmente, molti membri della famiglia sono direttamente coinvolti nella vita dell’attività, cosi come il nucleo familiare diversifica le proprie attività economiche in modo da minimizzare il rischio di una riduzione o di una perdita del reddito familiare. microfinanza ed in pieno sviluppo è rappresentato dai servizi di gestione delle transazioni finanziarie. In questo caso il target di riferimento è estremamente ampio e coincide con le fasce di popolazione esposte ad esclusione bancaria, ossia prive di conto corrente o di deposito e mezzi elettronici di pagamento. A tale categoria, oltre alle persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, appartengono anche i soggetti incapaci o impossibilitati ad avere rapporti con le banche ad esempio per difficoltà relazionali, diffidenza o a causa della distanza geografica dai punti di erogazione dei servizi. Tra questi ricordiamo i migranti, i rifugiati, gli anziani, i giovani, i disoccupati, i lavoratori precari, le famiglie residenti in aree remote. Nell’opera di avvicinamento a questo ampio target, la microfinanza risulta facilitata dalle nuove tecnologie dell’informazione la cui diffusione ha ormai portata planetaria. L’uso di telefoni cellulari, così come l’accesso a internet attraverso la banda larga, non sono più appannaggio esclusivo dei paesi ricchi ma rappresentano tecnologie largamente disponibili anche nei paesi poveri. Più dell’80% della popolazione mondiale vive in aree coperte dalla rete GSM25. Nel 2009 la GSM Association ha registrato più di 4 miliardi di SIM (subscriber identity module) attive e l’80% dei nuovi contratti per l’utilizzo di telefonini è stato sottoscritto nei Paesi emergenti, in gran parte da persone a basso reddito. Nel mondo, il 25,6% della popolazione dispone di un accesso a internet con una crescita dal 2000 al 2009 del 380,3%26. Il veloce sviluppo delle tecnologie dell’informazione nei paesi poveri, rappresenta 25 Mark Pickens; David Porteous; Sarah Rotman, Scenarios for Branchless Banking in 2020. Focus Note 57. Washington, D.C.: CGAP. 26 http://www.internetworldstats.com/stats.htm 15 un’importante opportunità per la diffusione dei servizi finanziari anche presso popolazioni soggette ad esclusione per motivi geografici o economici. L’accesso ai servizi finanziari (risparmio e credito in primis) senza la presenza fisica di un’istituzione intermediaria (cosiddetto Branchless Banking) - reso possibile grazie all’utilizzo delle nuove IT - rappresenta uno degli ambiti più promettenti della microfinanza, in grado di fare progredire velocemente il processo di inclusione finanziaria, sia nel Nord che nel Sud del mondo. La portata della rivoluzione in corso è testimoniata ad esempio dalla diffusione dei servizi di trasferimento di denaro offerta in Kenya dalla società Safaricom attraverso il servizio M-PESA. Dal suo lancio commerciale, nel marzo 2007, più di 7 milioni di persone – circa un adulto su quattro nel Paese – hanno utilizzato questo servizio. Grazie soprattutto ad M-PESA, il tasso di inclusione finanziaria in Kenya è raddoppiato negli ultimi tre anni. Esempi simili si registrano in Sud Africa e Filippine. In Sud Africa, più di un terzo degli utenti di sistemi di pagamento via telefono cellulare è composto da persone tradizionalmente considerate “non bancabili”. Il 26% dei Filippini che utilizzano tale mezzo di pagamento vive con meno di 5 dollari al giorno. Nell’ambito europeo, entro la fine dell’anno sarà in vigore la normativa che renderà possibile non solo l’attivazione di servizi di trasferimento di denaro tra telefoni cellulari (peer to peer) nell’area euro27, ma anche l’accesso via telefonia mobile a forme di microcredito fino a 150 euro. L’applicazione del modello di social network, (fatto proprio dal web 2.0) al settore finanziario ha consentito la creazione di servizi innovativi di credito a livello nazionale e internazionale. In Italia (con molte difficoltà) come all’estero, stanno nascendo le cosiddette social lending communities, luoghi virtuali in cui si incontrano la domanda e l’offerta di credito. Siti come Zopa, Kasbia o Boober, offrono la possibilità ai privati di prestare denaro ad altri privati, senza l’intermediazione di una banca. In ambito internazionale, kiva.org consente a singoli microimprenditori in America Latina, Africa e Asia di ricevere piccoli prestiti da persone residenti a migliaia di chilometri di distanza. In particolare, l’applicazione di tali tecnologie ai servizi di trasferimento internazionale delle rimesse, oltre a consentire l’accesso a prodotti di risparmio e credito, rappresenterebbe un utile mezzo per espandere, a costi ridottissimi, le potenzialità della microfinanza, raggiungendo fasce di popolazione attualmente escluse. Un target di particolare interesse della microfinanza è quello riferibile alle comunità transnazionali costituite dai migranti e dalle loro famiglie nei paesi d’origine. Nonostante il calo del 6% rispetto al 2008 (a causa degli effetti della crisi economica internazionale), i flussi di rimesse in entrata registrate dalle banche centrali dei paesi in via di sviluppo ammontavano nel 2009 a circa 316 miliardi di dollari statunitensi28. I volumi delle rimesse rappresentano oramai un elemento in grado di incidere in maniera determinante sulle economie di molti paesi. In Tagikistan esse rappresentano il 50% del PIL, in Moldova il 31% e in Honduras il 20%. Le rimesse rappresentano per i paesi poveri un indiscutibile fattore di crescita e un'importante fonte di reddito per molte famiglie. Ma l'impatto delle rimesse sul livello di sviluppo dei paesi destinatari dipende dal loro utilizzo. Si distingue 27 28 In tale ambito la Commissione Europea sta supportando il progetto “Secure Mobile Payment Service” che consente di effettuare transazioni monetarie in tempo reale via telefonino e internet. Dilip Ratha; Sanket Mohapatra; Ani Silwal, Outlook for remittance flows 2010 – 2011, in Migration and Development Brief n. 12, 2010, World Bank 16 infatti tra rimesse impiegate per i consumi e per gli investimenti. Le rimesse sono indirizzate alla soddisfazione dei bisogni della famiglia in base ad un ordine di priorità dal quale è difficile prescindere. Fino a quando i paesi poveri non raggiungeranno un grado sufficiente di benessere, è ragionevole supporre che le famiglie continueranno ad impiegare gran parte delle rimesse (fino all'80%29) per soddisfare i bisogni primari, per la sanità e l'istruzione. Sebbene generalmente si considerino tali categorie d'impiego come improduttive dal punto di vista economico, non bisogna tuttavia sottovalutarne la portata. Innanzitutto, se anche usate per i consumi, le rimesse apportano benefici rilevanti alle comunità transnazionali nel loro insieme per almeno tre ordini di ragioni: 1) 2) 29 Il meccanismo delle rimesse rappresenta una forma di condivisione del rischio (risk sharing model) tra donatore e ricevente30. Le rimesse apportano benefici sia per il migrante che intenda in prospettiva rientrare nel proprio Paese, che per le famiglie d'origine. Grazie ad esse, entrambi gli attori sono in grado di attenuare le conseguenze di possibili shock esterni quali da un lato la perdita del lavoro – con conseguente repentino rientro in patria - per il migrante, dall'altro crisi, emergenze o carestie per la famiglia. In tale prospettiva, le rimesse fanno parte di una strategia precisa di gestione del rischio. Esiste una sorta di contratto di credito implicito (loan agreement model)31 tra la famiglia d'origine e il migrante. La famiglia Samuel Munzele Maimbo; Dilip Rata, Remittances. Development, impact and future prospects, World Bank Publications, 2005 in riferimento a dati forniti dalla FENACOAC – Guatemala, relativi al 2002 30 Samuel Munzele Maimbo; Dilip Rata, op. cit. 31 OECD, Migration, remittances and development, OECD Publishing, 2005 3) d'origine finanzia i costi iniziali del progetto migratorio. In questa fase, il migrante beneficia quindi dell'appoggio finanziario (credito) dei familiari. In una seconda fase, quando cioè il migrante ha un lavoro stabile ed un livello di reddito adeguato, il credito sarà rimborsato alla famiglia attraverso le rimesse. Ci può essere un'ulteriore fase. Le rimesse trasferite consentiranno ad altri familiari di emigrare. Una volta rientrato in patria, il migrante potrà quindi beneficiare delle rimesse dei migranti di seconda generazione che avranno utilizzato parte delle sue risorse per realizzare il loro progetto migratorio. Le rimesse consentono di adempiere agli obblighi morali nei confronti della famiglia d'origine. Il migrante è spesso un'estensione spaziale della famiglia d'origine che, proprio attraverso il processo migratorio di uno dei suoi componenti, sta riducendo il rischio di impoverimento diversificando le proprie attività. Il progetto migratorio del singolo è quindi deciso in ambito familiare e le rimesse non sono considerate una fonte di entrate esterna rispetto a quella delle famiglie. Le rimesse utilizzate per i consumi hanno inoltre un importante effetto moltiplicatore sulle economie locali. Le spese per i consumi stimolano infatti le vendite al dettaglio che, a loro volta, inducono un aumento della domanda interna di beni e servizi e quindi la produzione e l'offerta di lavoro. Si consideri inoltre che non sempre, come generalmente si pensa, solo le rimesse investite in attività economiche hanno un impatto di lungo periodo. Le rimesse utilizzate dalla famiglia per affrontare spese in ambito sanitario o nell'istruzione, inducono effetti di lungo 17 periodo sulla crescita economica di una comunità. Ciò premesso, è tuttavia corretto considerare le rimesse rivolte agli investimenti uno strumento efficace in grado di favorire nel lungo periodo lo sviluppo endogeno delle comunità locali, e contribuire ad affrancare i paesi poveri dalla dipendenza cronica nei confronti dei paesi economicamente sviluppati. Solo una piccola percentuale delle rimesse è rivolta ad investimenti produttivi quali l’acquisto di attività generatrici di reddito, terreni ad uso agricolo, le spese di avviamento d'impresa o l’acquisizione di attrezzature. In riferimento al contesto italiano, ad esempio, una ricerca condotta da ABI e CESPI sui comportamenti finanziari degli immigrati32, riporta alcune stime sull'utilizzo delle rimesse provenienti dall'Italia: solo l'8% dei fondi trasferiti è impiegato per scopi direttamente produttivi. L'avviamento d'impresa, pur essendo una delle prospettive più diffuse in tema di progetti di rientro, non rappresenta attualmente un ambito privilegiato nel paniere delle possibili scelte d'investimento attuate dai migranti. Tuttavia, i maggiori benefici di tipo economico, nel lungo periodo, potrebbero derivare proprio dall'investimento produttivo delle rimesse. Tale prospettiva, potrebbe essere rafforzata se il finanziamento d'impresa non fosse affidato direttamente ai migranti ma mediato da un sistema finanziario locale in grado di offrire concrete opportunità di accesso al credito alle micro e piccole imprese. Il risparmio dei migranti, versato presso le banche o microfinanziarie autorizzate nei paesi di destinazione delle rimesse, può in tal modo costituire una risorsa finanziaria determinante a disposizione del tessuto imprenditoriale locale e 32 José Luis Rhi-Sausi; Marco Zupi, Banche e nuovi italiani. I comportamenti finanziari degli immigrati, Bancaria Editrice, 2009 offrire la possibilità di attivare una miriade di servizi finanziari, collegati alle rimesse ma che in esse non si esauriscono. Un efficiente sistema finanziario “transnazionale” di tipo inclusivo è in grado di generare importanti ricadute in termini di sviluppo nei paesi di provenienza e migliorare le condizioni di vita dei migranti nei paesi d’accoglienza. Le banche mostrano un progressivo interesse per le comunità di migranti. Sempre più spesso si parla di migrant banking, riferendosi a servizi bancari ritagliati sulle esigenze dei migranti in Italia e caratterizzati da un marketing basato sul “linguaggio dell’accoglienza”33. Accanto ai servizi nel Paese di destinazione è tuttavia importante definire nuovi schemi operativi che rappresentino dei veri e propri ponti finanziari con i paesi d’origine. Questi nuovi modelli devono essere in grado di intercettare la domanda dei migranti e delle loro comunità di appartenenza sia in Italia che nei paesi d’origine. Lo studio dei nuovi bisogni espressi e latenti in ambito finanziario e il perfezionamento di schemi operativi attraverso i quali tali bisogni trovano soddisfazione, rappresentano quindi ambiti di ricerca fondamentali, anche in vista della realizzazione di nuovi programmi di cosviluppo tra i paesi di provenienza e destinazione dei migranti34. 2.2 Gli attori della microfinanza Come visto in precedenza, la microfinanza non è nata dall’esperienza dei grandi pionieri degli anni ’70, Grameen Bank e ACCION in primis. 33 Nicolò Borracchini, Banche e Immigrati: credito, finanza islamica e rimesse, Pacini Editore, 2007 34 Committee of Ministers, Council of Europe, Migrants and co-development - Recommendation Rec(2007)10 and explanatory memorandum (2008), Council of Europe, 2008 18 Essa è sorta spontaneamente a fronte del bisogno di ridistribuire all’interno delle comunità di base le risorse finanziarie disponibili tra i soggetti in surplus e quelli in deficit. La microfinanza, anche se non con questo nome, esiste da sempre, animata da una miriade di attori che operano sia in forza dei rapporti di reciprocità35 che si sviluppano tra gli appartenenti ad un gruppo, sia attraverso l’azione di intermediari professionali (GRAF. 1). GRAF. 1: Gli attori della microfinanza Gli scambi finanziari, in particolare nelle comunità di base dei paesi poveri, sono caratterizzati da un elevato livello di informalità. Nella microfinanza informale l’intermediario non opera quasi mai nel quadro della normativa vigente in materia di intermediazione finanziaria e basa il rapporto con il debitore sulla conoscenza diretta e sulla fiducia (spesso rafforzata da un vincolo sociale, di parentela, amicizia o lavorativo) più che sulla possibilità di coazione all’adempimento derivante dalla sottoscrizione da parte del debitore di un contratto di credito o di una garanzia36. La 35 Leonardo Becchetti, Oltre l’homo oeconomicus. Felicità, responsabilità, economia delle relazioni, Città Nuova Editrice, 2009, pagg. 18-19 36 Susan Johnson; Ben Rogaly, Microfinance and poverty reduction, Oxfam, 1997, pagg. 17 - 20 microfinanza informale, svolge un’importante funzione di volano delle economie locali e favorisce l’inclusione dei singoli all’interno della vita economica e sociale di comunità. 2.2.1 I money lenders Oltre ai prestiti diretti tra parenti o amici, i rapporti finanziari informali tra singoli individui possono passare attraverso la figura dell’usuraio o del cosiddetto banchiere ambulante. Nel primo caso, pur esercitata a condizioni vessatorie per il prestatario, l’attività dell’usuraio può essere considerata come la risposta sbagliata ad un bisogno reale e contiene in sé elementi virtuosi ripresi sapientemente dalla microfinanza formale. L’usura dimostra infatti come anche i poveri esprimano bisogni finanziari complessi per la soddisfazione di necessità sociali o per lo sviluppo di attività economiche; che i servizi di credito a favore dei poveri sono efficienti se l’erogazione del servizio avviene in tempi immediati e senza la necessità di affrontare laboriose procedure di ammissione al credito (come invece avviene presso le banche commerciali); che il tasso d’interesse (solitamente molto elevato nel mercato dell’usura) non rappresenta una variabile determinante per il prestatario; che le garanzie reali non costituiscono per l’usuraio il mezzo principale per affrontare nella relazione con il debitore il problema delle asimmetrie informative (solitamente l’usuraio conosce molto bene i propri affidati e se commercianti, opera spesso nel loro stesso mercato locale); che il rischio di credito può essere efficacemente affrontato attraverso un adeguato frazionamento e diversificazione degli impieghi. Non va dimenticato che accanto alla figura dell’usuraio, esempi virtuosi di prestatori individuali - che tuttavia fanno leva sulle medesime strategie per l’erogazione del credito 19 – sono costituiti da altre figure quali commercianti, datori di lavoro, proprietari terrieri, grossisti. Anche in questo caso i prestatori sono in grado, attraverso l’attività informale di credito, di allocare la liquidità in eccesso a fronte del pagamento di interessi in moneta o in natura (ad esempio parte del raccolto o lavoro). Il tasso riconosciuto per tale servizio è anche in questo caso molto elevato. Come nel caso dell’usura ciò è dovuto da un lato alla mancanza di alternative per il debitore, e dall’altro perché i costi di transazione del credito sono fissi indipendentemente dall’ammontare erogato e di conseguenza i margini su prestiti di piccolo importo sono ridotti37. 2.2.2 I “banchieri ambulanti” Altro operatore individuale della microfinanza informale, molto diffuso nell’Africa francofona, è il “banchiere ambulante”. In questo caso l’operatore si incarica individualmente con i suoi clienti di raccogliere con frequenza concordata (di solito quotidianamente) una somma fissa di denaro. Il ciclo di raccolta del risparmio dura solitamente un mese. Alla scadenza il banchiere ambulante restituisce l’intera somma al risparmiatore, trattenendo a titolo di commissione una quota solitamente pari a un giorno di risparmio. La funzione principale del banchiere ambulante consiste nel garantire la sicurezza dei risparmi depositati, anche se non sono infrequenti gli operatori che oltre a raccogliere risparmio svolgono anche l’attività creditizia38. 37 Marguerite S. Robinson, The micro finance revolution. Sustainable finance for poor, IBRD/World Bank, 2001, pagg. 13-16 38 Souleymane Soulama, Micro-finance, pauvreté et développement, CPI, 2005, pagg. 29-30 2.2.3 Le ROSCA Una forma più complessa di gestione del risparmio e del credito è data dalle cosiddette ROSCA (Rotating Saving and Credit Associations). Rispetto ai prestatori individuali, le ROSCA sono strutture collettive39 che raggruppano soggetti uniti da legami sociali, di amicizia, vicinato o lavoro. Sebbene vi siano numerose variabili nei diversi contesti, il modello di base è il medesimo. Un gruppo di individui si accorda per contribuire regolarmente al versamento di una quota fissa di risparmio. Il totale raccolto viene affidato a turno a tutti i membri del gruppo. L’ordine di attribuzione delle somme è deciso congiuntamente o stabilito per estrazione casuale. La raccolta continua fino a quando tutti hanno beneficiato delle somme raccolte40. Grazie a questo semplice meccanismo gli aderenti possono disporre di uno strumento finanziario di accumulo del risparmio e nel momento in cui divengono affidatari del denaro raccolto, possono disporre in un’unica soluzione di somme che autonomamente non sarebbero stati in grado di raccogliere ed effettuare quindi piccoli investimenti per l’abitazione o l’attività economica. Per i modelli meno evoluti di ROSCA, che non consentono di negoziare con gli altri membri del gruppo l’ordine di attribuzione delle somme raccolte, il principale svantaggio del sistema è dato dall’impossibilità per il singolo di ricevere sempre il denaro nel momento in cui egli ha effettivamente bisogno. 2.2.4 Le ASCA Una variante più complessa delle ROSCA è quella delle ASCA (Accumulating Savings and Credit Associations). A differenza delle 39 Le ROSCA sono diffuse in moltissimi paesi, in contesti e con nomi diversi: tontine in Camerun, hui a Taipei, tanda in Messico, ecc. 40 Beatriz Armendariz de Aghion; Jonathan Morduch, The economics of microfinance, MIT, 2005, pag. 59 20 ROSCA, nelle ASCA il risparmio raccolto viene accumulato fino ad una data definita e non viene quindi conferito a turno ai membri del gruppo. Alla scadenza i membri decidono se sciogliere l’ASCA o continuare nella raccolta. Nel primo caso ad ognuno viene restituito il risparmio versato più eventuali quote di utile generato dal fondo attraverso l’attività di credito. Quest’ultima può essere effettuata a favore dei membri o anche all’esterno41. 2.2.5 I Self Help Groups Simili alle ASCA sono i Self Help group (SHG)42. Come nel caso delle ASCA, si tratta di gruppi solitamente composti da donne unite da legami sociali molto stretti ed aventi un profilo socio-economico affine. I SHG hanno lo scopo di condividere e risolvere in comune i problemi individuali di carattere sociale ed economico. I gruppi incorporano quindi alcuni meccanismi propri della microfinanza di raccolta del risparmio e di concessione dei crediti. A differenza delle ASCA, i SHG hanno dimensioni più contenute (da 10 a 20 membri) e hanno un collegamento forte diretto o mediato da organizzazioni di livello intermedio con istituzioni finanziarie locali o nazionali presso le quali ottengono servizi di sia di risparmio che di credito. L’esperienza dei SHG è particolarmente sviluppata in India. Sotto l’ombrello della National Bank for Agriculture and Rural Development (NABARD), che fornisce servizi di supporto tecnico e credito alle istituzioni finanziarie locali che appoggiano attraverso il credito i SHG (Bank linkage Programme), nel paese i beneficiari raggiunti sono stati ben 48,6 milioni di cui quasi 39 milioni erano soggetti che versavano in situazione di estrema povertà43. 2.2.6 Le CVECA Il passaggio dalla microfinanza informale a quella formale si verifica in presenza di attori che operano attraverso modelli organizzativi più complessi che richiedono un riconoscimento legale e in molti casi autorizzazioni aper l’esercizio dell’attività di intermediazione finanziaria. E’ questo il caso delle Caisses Villageoises d’Épargne et de Crédit Autogérées (CVECA)44. Si tratta di un modello operativo sviluppato a metà degli anni ’80 dall’ONG francese CIDR e diffusosi in numerosi paesi dell’Africa Occidentale. Esso si struttura su tre livelli: le caisses villageoises, le associazioni regionali di CVECA e il Service Commun. Al primo livello, la caisse villageoise assume il compito di erogare servizi di risparmio e credito all’interno del villaggio. Si tratta si un’organizzazione di microfinanza che appartiene al villaggio, il quale ne gestisce direttamente le attività e ne assume il controllo e la governance. La dimensione di villaggio di tali strutture è confermata dal fatto che i profitti generati dall’attività di intermediazione finanziaria sono investiti per la realizzazione di progetti comunitari (costruzione di scuole, acquisto di pompe per l’approvvigionamento idrico ecc.). L’associazione regionale costituisce il secondo livello del sistema CVECA. Si tratta di una sorta di unione delle caisses villageoises che ha il compito di coordinare le attità svolte alla base e intercettare i crediti esterni necessari ad alimentare il sistema. Il Service Commun, 43 41 Kim Wilson; Malcolm Harper; Matthew Griffith, Financial promise for the poor. How groups build microsavings, Kumarian Press, 2010, pag. 2 42 U. Jerinabi, Micro credit management by women’s self help groups, DPH, 2006, pag. 20 www.nabard.org Korotoumou Ouattara; Claudio Gonzalez-Vega; Douglas H. Graham, Village Banks, Caisses Villageoises, and Credit Unions: Lessons from Client-Owned Microfinance Organizations in West Africa, USAID, 1999, pagg. 27-40 44 21 fornisce a pagamento ai primi due livelli servizi di supporto tecnico. La metodologia legata all’erogazione dei servizi segue solitamente l’approccio savings-first: durante il primo anno di attività, le casse non ricevono alcuna dotazione finanziaria per lo sviluppo dei servizi di credito ma possono fare affidamento solo sulla loro capacità di raccolta. Quest’ultima si sviluppa sia attraverso prodotti di risparmio a vista (non remunerati) che a termine (remunerati). La metodologia di credito è basata sul prestito individuale e solitamente prevede che il beneficiario disponga di garanzie reali (pegno). Quello delle CVECA risulta essere un modello finanziario particolarmente efficace in contesti rurali. La coesione sociale presente all’interno dei villaggi assicura da un lato una buona performance in termini di tassi di rimborso e dall’altro consente di contenere i costi operativi in quanto la gestione delle attività è affidata a titolo volontario ai membri stessi della comunità. 2.2.7 Le banche villaggio Contemporaneamente alla nascita del modello CVECA, FINCA ha lanciato lo schema del village banking45. Anche in questo caso si tratta di un’associazione auto-gestita da un gruppo di persone (in numero variabile da 30 a 50) che svolge l’attività di raccolta e di impiego a favore dei membri. Il modello prevede che, dopo una fase di formazione, la banca villaggio riceva a titolo di prestito il capitale iniziale (external account) per l’avvio dell’attività di credito da una sponsoring agency. Tutti i membri della banca villaggio rispondono in solido della restituzione del debito, il cui ammontare corrisponde alla somma dei crediti che la banca villaggio concederà ai singoli. Nel secondo ciclo, l’ammontare del credito a favore di ogni membro è proporzionale al volume dei risparmi accumulati nel periodo (ad ogni ciclo, il risparmio versato non può essere inferiore al 20% del credito). In questo modo la banca villaggio, oltre a disporre di risorse esterne (external account) può utilizzare per l’attività creditizia fondi resi disponibili dalla comunità sottoforma di risparmio (internal account). 2.2.8 Le Financial Services Associations La finalità propria delle CVECA e delle banche villaggio di fornire una struttura che mobilizzi le risorse finanziarie presenti a livello comunitario viene perseguita anche nel caso delle Financial Services Associations (FSA)46. Anche le FSA erogano servizi di risparmio e credito nell’ambito della comunità locale. A differenza dei modelli precedentemente presentati, tuttavia, le FSA basano la propria forza finanziaria soprattutto sul capitale sociale raccolto presso i membri. Il modello patrimoniale su cui si basano le FSA è simile a quello che regge le società per azioni. Per poter beneficiare dei servizi dell’associazione i singoli devono preventivamente acquistare delle azioni, rivendibili sul mercato locale in caso di recesso. Le azioni sottoscritte sono da considerarsi veri e propri investimenti remunerati. Ciò spinge molti ad acquistare azioni senza richiedere nel contempo l’accesso ai servizi di credito offerti dall’associazione. Il capitale raccolto grazie a tale metodologia ha volumi tali da consentire di alimentare l’attivo senza l’ausilio di ulteriori risorse (in Uganda i depositi rappresentano solo il 20% del portafoglio crediti) e, trattandosi di capitale di rischio, senza dover adottare particolari misure prudenziali a salvaguardia dei 45 Joanna Ledgerwood, Microfinance handbook. An institutional and financial perspective, The World Bank, 1999, pag. 85 46 Douglas Pearce; Brigit Helms, Financial Services Associations: the story so far, CGAP, 2001, pag. 5 22 risparmiatori come avviene nell’attività di raccolta del risparmio. 2.2.9 Le cooperative di risparmio e credito Un’evoluzione dei modelli basati su strutture finanziarie comunitarie è quella propria delle cooperative di risparmio e credito47. Si tratta di intermediari finanziari non-profit che forniscono servizi di risparmio e credito all’interno della cerchia dei soci. Il modello di governance è quello classico delle cooperative. Organo supremo è l’assemblea dei soci il cui meccanismo decisionale è retto dal principio “una testa - un voto” secondo il quale ogni socio ha pari potere decisionale indipendentemente dal numero di quote detenuto. Quello delle cooperative di risparmio e credito è un modello efficace per il finanziamento delle micro e piccole imprese e grazie al suo facile accesso e all’elevato livello di democrazia interno, interpreta compiutamente il ruolo di inclusione finanziaria, proprio della microfinanza, soprattutto nelle aree rurali. Proprio in tali contesti esse sono in grado di mobilizzare efficacemente, sottoforma di risparmio e capitale sociale, le risorse finanziarie interne alla comunità ed impiegarle a favore delle attività produttive locali attraverso crediti individuali. Il modello consente inoltre di razionalizzare e ridurre alcuni rischi e categorie di costi tradizionalmente legati all’intermediazione finanziaria. L’eleggibilità al credito, è spesso subordinata ad un propedeutico rapporto di risparmio con la cooperativa e vincolata all’esistenza di una proporzione definita tra deposito personale e ammontare del credito concesso. Ciò riduce notevolmente i costi di valutazione del merito creditizio del cliente e il carico delle garanzie richiesta. Inoltre il riconoscimento dell’individuo a livello del gruppo-cooperativa, costituisce un criterio importante di selezione della clientela e induce ad una riduzione del rischio d’inadempienza. Le fonti interne sono spesso integrate da risorse esterne appartenenti alla rete regionale (Unioni) o nazionale (Federazioni) delle cooperative di risparmio e credito che ha inoltre lo scopo di fornire alle istituzioni di primo livello assistenza tecnica e servizi di audit, contabilità e gestionali. A loro volta le organizzazioni di secondo livello sono riunite sotto il cappello del WOCCU (World Council of Credit Unions) che attualmente raggruppa a livello mondiale circa 49 mila cooperative per un totale di 184 milioni di membri48. Il WOCCU ha il compito di favorire lo scambio di esperienze e rappresentare il sistema cooperativo a livello internazionale attraverso azioni di pressione istituzionale. 2.2.10 Le organizzazioni Non Governative Passando alle organizzazioni di microfinanza la cui governance e proprietà non appartiene alla comunità locale, senza dubbio il modello più diffuso è rappresentato dalle organizzazioni non governative (ONG). Si tratta di istituzioni nonprofit che operano solitamente con una personalità giuridica di tipo associativo. Nel mondo ci sono attualmente circa 9 mila ONG operanti nel settore della microfinanza49. Sono istituzioni che operano spesso a favore di piccole comunità anche se in molti contesti, essendo il modello giuridico da esse offerto il più adatto e agile all’interno di specifici quadri normativi nazionali, le loro dimensioni possono essere ragguardevoli. In Bangladesh ad esempio, le ONG BRAC e Proshika hanno globalmente un portafoglio attivo di circa 5,6 milioni di clienti. 47 Bernd Banlkenhol, Credit unions and the poverty challenge: extending outreach, enhancing sustainability 48 49 www.woccu.org Financial Access 2010, CGAP. 23 Nonostante il modello consenta di operare con maggiore semplicità, in quanto slegato da vincoli imposti alle istituzioni regolamentate dalle leggi bancarie locali (quali banche o altri intermediari finanziari autorizzati), esso tuttavia fatica a svilupparsi se non attraverso un processo di trasformazione in istituzione di microfinanza regolamentata spesso oneroso e problematico. Da un lato il modello associativo implica infatti una struttura di governance non rappresentativa della comunità o degli azionisti. Ciò limita spesso la possibilità di aumentare la forza patrimoniale dell’istituzione attraverso l’intervento di investitori privati e per contro perpetua il rapporto di dipendenza finanziaria da fonti sussidiate (donors internazionali o governativi). Dall’altro lato, la mancanza di autorizzazioni specifiche da parte degli enti nazionali di controllo, impedisce quasi sempre a questo tipo di organizzazioni di raccogliere risparmio, limitando la capacità di approvvigionamento finanziario a livello locale. Il citato processo di trasformazione in istituzione regolamentata implica quindi l’acquisizione dello status di intermediario finanziario e l’apertura al mercato. Il processo di commercializzazione, spesso necessario per consentire all’ONG di gestire un volume d’attività sufficiente al raggiungimento del punto di pareggio, è teso ad attrarre presso i mercati locali ed internazionali investitori privati e fonti finanziarie non sussidiate. In questo percorso molte istituzioni sono costrette ad un aggiustamento della mission e a perseguire la sostenibilità economico-finanziaria a discapito della performance sociale. In altri casi, un’attenta pianificazione del processo di sviluppo consente di raggiungere entrambi gli obiettivi senza quindi tradire il mandato originario espresso nella mission. In base ai dati riportati dal Microbanking Bulletin del 2003, su 231 microfinanziarie valutate, ben 139 avevano raggiunto l’autosufficienza operativa. Di queste, le 41 che si rivolgevano alla fascia di popolazione più povera erano anche quelle che mediamente avevano raggiunto livelli di redditività superiori. Le stesse istituzioni avevano inoltre raggiunto un numero di clienti tre volte superiore di quello servito dalle 139 istituzioni nel loro insieme50. 2.2.11 Le istituzioni finanziarie non bancarie (NBFI) A questa categoria corrispondono le entità finanziarie regolamentate di tipo non bancario che operano con il target caratteristico della microfinanza per la fornitura di servizi diversi dal risparmio quali il credito, leasing, assicurativi e di trasferimento del denaro. Tra queste troviamo alcune microfinanziarie di grandi dimensioni quali ad esempio Shares in India. Registrata dal 2000 come istituzione finanziaria non bancaria, Shares nel 2009 gestiva un portafoglio crediti attivi pari a 490,9 milioni di dollari statunitensi e 2,4 milioni di prestatari attivi51. Come nel caso delle ONG, anche le istituzioni finanziarie non bancarie godono di una maggiore flessibilità operativa rispetto alle banche commerciali grazie al minore controllo da parte delle autorità centrali. Nei paesi che si sono dotati di una specifica normativa volta a regolamentare e a favorire lo sviluppo del settore della microfinanza, le istituzioni non bancarie hanno inoltre la possibilità di sviluppare propri modelli organizzativi, operativi e una struttura patrimoniale in linea con le caratteristiche più favorevoli al raggiungimento del mercato di riferimento. Per contro, in contesti nazionali nei quali il quadro giuridico di riferimento non 50 51 www.mixmarket.org www.mixmarket.org 24 contempli ancora disposizioni dedicate al settore, le microfinanziarie debbono adattarsi alla normativa vigente, spesso troppo restrittiva soprattutto in termini di consistenza patrimoniale minima necessaria, non compatibile con i volumi d’impiego gestiti dalle istituzioni con dimensionamento ridotto. In ogni caso le leggi bancarie nazionali solitamente non consentono alle istituzioni di microfinanza di tipo non bancario di erogare particolari servizi per i quali è richiesto un maggior grado di tutela nei confronti dei clienti, quali ad esempio il risparmio. 2.2.12 Il settore bancario Solo più di recente il settore bancario si è affacciato al mercato della microfinanza. Ciò è avvenuto in parte come effetto del processo di trasformazione di alcune istituzioni di microfinanza che nel loro percorso di sviluppo, hanno ritenuto che il modello bancario fosse quello più congeniale per la gestione di grandi volumi d’impiego, per meglio attrarre investitori e sul lato delle fonti per affiancare alle risorse del sistema finanziario locale e internazionale anche il risparmio e altri prodotti di raccolta. La prima istituzione ad avere battuto tale strada è stata la boliviana BancoSol. Nel 1992 l’ONG PRODEM, ACCION International, Calmeadow Foundation e altri investitori, tra i quali alcune banche locali, hanno dato vita a BancoSol, la prima banca commerciale dedicata alla microfinanza. Nel 1997 BancoSol è stata la prima banca del settore a distribuire dividendi agli azionisti. Oggi la banca gestisce un portafoglio di più di 350 milioni di dollari statunitensi, quasi 130 mila prestatari e risparmio per 343 milioni di dollari. In altri contesti la microfinanza è nata e si è sviluppata da subito utilizzando tra gli altri il canale bancario come nel caso di molti paesi dell’Europa Centrale dell’Est e dei Nuovi Stati Indipendenti. Nella regione ben il 36% dei microcrediti attivi e il 32% dei micro-depositi è gestito dal settore bancario, attraverso le banche di microfinanza e le banche commerciali52. In altri paesi le banche hanno iniziato ad operare nel settore solo successivamente, attratte dai crescenti livelli di redditività e maturità del comparto, dalla possibilità di intercettare fondi provenienti da investitori sociali, raggiungere nuove fasce di clienti non servite da altri competitors e attuare strategie di cross-selling che consentono di fornire alle micro e piccole imprese diversi servizi collegati al credito53. In contesti economici favoriti da un quadro giuridico favorevole, la strategia di downscaling operata dalle banche, ovvero di orientamento di alcuni servizi specifici al segmento caratteristico della microfinanza (attraverso l’adozione di modelli di gestione e metodologie di erogazione dei servizi appropriati) ha consentito di raggiungere risultati apprezzabili sia in termini di redditività che di espansione del volumi di credito e risparmio. E’ questo il caso del Banco del Pichincha in Ecuador. La banca in considerazione della bassa produttività di alcune agenzie e a seguito della profonda crisi economica del paese, nel 1999 decise di intraprendere una nuova strategia volta ad individuare e soddisfare i bisogni finanziari della microimpresa, segmento quest’ultimo precedentemente trascurato sia nell’offerta di servizi di credito che di risparmio. Nello stesso anno fondò Credi Fe Desarrollo Microempresarial S.A (CREDIFE). Nel 2003 52 Sarah Forster; Seth Greene; Justyna Pytkowska, The state of microfinance in Central and Eastern Europe and the New Independent States, CGAP, 2003, pag. 27 53 Development Alternatives, Inc., Banking the Underserved: New Opportunities for Commercial Banks, DFID, 2005, pag. 6 25 l’istituzione gestiva un portafoglio attivo pari a 3,5 milioni di dollari e circa 9 mila clienti. Nel 2008 il portafoglio era passato a oltre 250 milioni di dollari a favore di circa 100 mila clienti54. Le banche commerciali oltre ad intervenire direttamente a favore del target raggiunto tradizionalmente dalle microfinanziarie, hanno la possibilità di intervenire indirettamente verso tale clientela. Nel mondo le banche commerciali: acquistano quote azionarie di istituzioni di microfinanza (la Jammal Trust Bank e il Credit Libanais detengono quote di capitale della micro finanziaria Ameen); gestiscono programmi di microfinanza attraverso istituzioni di livello intermedio (l’indiana ICICI, gestisce operazioni di microcredito attraverso i self help group o le microfinanziazie locali); svolgono attività di credito a favore delle istituzioni di microfinanza in singoli paesi (è il caso della Raiffeisen Bank a favore di alcune istituzioni di microfinanza bosniache); forniscono servizi di front office e di gestione della tesoreria di programmi di microfinanza (la Garanti Bankasi gestisce questo tipo di servizio a favore di Maya Enterprise for Microfinance). 2.3 Le metodologie di credito La scelta di una metodologia appropriata e sostenibile è strettamente legata alle caratteristiche del target group di clienti (gruppo di clienti meta), del contesto locale (economico, sociale, politico e legale) e degli obiettivi specifici del programma di microcredito. Per questa ragione non esistono mai metodologie esattamente uguali di microcredito. 54 Marguerite Berger; Lara Goldmark;Tomás Miller Sanabria, An inside view of Latin American microfinance, IADB, 2006, pag, 84; www.credife.com Tuttavia, tutte le metodologie adottate dai programmi o Istituzioni di Microfinanza (IMFs) possono essere classificate in due grandi categorie: 1. 2. Credito individuale. Metodologie che prevedono l’erogazione del credito a individui: i crediti sono garantiti attraverso garanzie reali o da garanzie personali. Credito attraverso un gruppo. Metodologie che prevedono l’erogazione dei prestiti attraverso un gruppo (Peer Lending): sono gli stessi membri del gruppo a garantire la restituzione del prestito. La principale differenza metodologie riguarda i garanzia55. fra queste due meccanismi di 2.3.1 Credito individuale Questa forma di microcredito è quella più vicina alla metodologia di credito utilizzata dalle banche commerciali. Questa metodologia è efficace in programmi di microcredito calati nel contesto urbano e verso attività economiche production-oriented56 (TAB. 2). Il credito individuale si adatta meglio alle piccole imprese più che alle attività generatrici di reddito. Permette di creare prodotti finanziari adatti alle caratteristiche del cliente e dei bisogni del suo business57. 55 J. Ledgerwood, Microfinance Handbook, The World Bank, 1999. 56 Microfinance Distance Learning Course Heather Clar, Special Unit for Microfinance, UNCDF, Settembre 2002; Principles of Financially Viable Lending To Poor Entrepreneurs, USAID Microenterprise Development Brief Number 3, Febbraio 1995. 57 Evolution of Credit Methodologies Concept Paper, Microenterprise Best Practices, Concept Paper Number 12, Marzo 1997. 26 TAB. 2: Credito individuale: elementi di sintesi GRAF. 2: Metodologie di credito di gruppo Tipo di cliente. Individui che lavorano nel settore informale che hanno bisogno di capitale circolante (working capital) o di credito per immobilizzazioni di investimento (fixed assets). Microimprese urbane e/o piccole imprese agricole. Relazione del loan officer con il cliente. Molto stretta in ogni fase del rapporto creditizio. Approvazione del prestito. Basata sull’attenta analisi del “business” del cliente e della sua capacità complessiva di rimborso (si considerano il bilancio famigliare). Analisi finanziaria, delle proiezioni e del flusso di cassa. Caratteristiche principali. Sono flessibili per Fonte: Waterfield, Charles; Duval, Ann, CARE Savings and Credit Sourcebook, CARE, 1996, capitolo 6. rispondere ai particolari bisogni dei clienti. La durata, la frequenza dei pagamenti e gli importi possono variare a seconda delle esigenze del cliente e del suo business. Normalmente sono crediti più costosi di quelli di gruppo, ma meno costosi rispetto a quelli applicati dal settore formale. Garanzie. Garanzie reali (se possibile) e/o co-garanti. Risparmio. Non essenziale. Alcune IMFs richiedono un risparmio obbligatorio legato al rimborso completo del prestito (forma di “fondo di garanzia”). Assistenza Tecnica o Training. Assente o minima da parte del loan officer. 2.3.2 Credito attraverso un gruppo A differenza dei programmi di prestito individuale, che generalmente tendono a seguire lo stesso approccio, vi è un'ampia variabilità metodologica tra i programmi di prestito di gruppo (GRAF. 2). Una distinzione all’interno della metodologia dei prestiti di gruppo riguarda l’aspettativa di una futura indipendenza del gruppo dal programma di microcredito. 2.3.2.1 “Solidarity Group”: Il modello Grameen Bank Questo modello (sviluppato dalla Grameen Bank in Bangladesh e prevalente in Asia) prevede la formazione di gruppi solidali di 5 membri (non legati a livello famigliare), incorporati in “Village Centers” composti fino a 8 gruppi. I Village Centers sono a loro volta riuniti in “Regional Branch Offices”. I membri a tutti i livelli assumono la responsabilità di gran parte della gestione dei servizi finanziari. Caratteristica peculiare del modello Grameen (TAB. 3) è l’incorporazione di forti elementi sociali, quali ad esempio l’adesione ai principi promossi dall’organizzazione e la creazione di “fondi di emergenza” gestiti dai “Village Centers” per far fronte ai bisogni dei membri. Questo approccio funziona in aree rurali ad alta densità di popolazione, dove le comunità sono sufficientemente stanziali e la cultura locale permette la creazione di gruppi di persone. 27 TAB. 3: Modello Grameen Bank: elementi di sintesi Tipo di cliente. I clienti sono spesso donne che gestiscono attività simili alle attività generatrici di reddito commerciali e/o agricole. Relazione del loan officer con il cliente. Relativamente scarsa. Il loan officer fa visite periodiche ai clienti e verifica le informazioni fornite. Approvazione del prestito. La valutazione del credito è fatta dai gruppi o dai centri. Il loan officer verifica l’attendibilità del credito. Caratteristiche principali. I prestiti sono di breve periodo (6-12 mesi). I membri del gruppo possono richiedere somme più elevate via via che i cicli 2.3.2.2 “Solidarity Group”: Il modello latino americano Il modello latino americano di gruppi solidali (sviluppato da ACCION International e poi adattato da molte IMFs) utilizza il gruppo prevalentemente come meccanismo di garanzia per la puntuale restituzione del prestito (TAB. 4). Questa metodologia prevede l’utilizzo di piccoli gruppi composti da 4 a 7 membri. Ha un buon successo in ambiente urbano e semiurbano, in particolare in aree in cui è presente un mercato. Questa metodologia adotta di solito un approccio minimalista, anche se alcuni programmi prevedono un training di base sulla gestione d’impresa. finanziari si chiudono con successo. L'ammontare è basso rispetto al credito individuale e non supera i 1,000 dollari). Oltre ai tassi d’interesse il cliente paga ulteriori commissioni e il risparmio, accrescendo il costo reale del prestito. L’ordine di accesso al credito è stabilito dal gruppo a rotazione: generalmente due membri per il primo prestito, due per il successivo e uno per l’ultimo di solito destinato al leader del gruppo). I fondi raccolti attraverso le commissioni e il risparmio sono utilizzati per altri investimenti o per il consumo familiare. Garanzie. Nessuna. Garanzia Solidale di tutti i prestiti: nessun membro del gruppo può ottenere prestiti ulteriori se prima tutti i membri non hanno restituito la somma ricevuta. Risparmio. Obbligatorio. I membri devono risparmiare per un minimo di 8-10 settimane prima di poter accedere ai prestiti. Il fondo così creato serve ai membri per ottenere prestiti al consumo. Assistenza tecnica o Training. Minima. Orientazione base prima del credito da parte del loan 2.3.2.3 Le organizzazioni basate sulle comunità: I Community-Managed Loan Fund (CMLF) Village banking. È una metodologia sviluppata dalla Foundation for International Community Assistance (FINCA). Una Village Bank è costituita da 25-50 membri, spesso donne. La banca è finanziata attraverso la mobilizzazione di fondi all’interno del gruppo (internal account), così come da prestiti provenienti da istituzioni finanziarie esterne (external account) (TAB. 5). L’internal account è composto di risparmio dei membri, capitale accumulato per interessi, e diviene gradatamente più consistente, sganciandosi progressivamente dalla necessità di attingere all’external account. Questo approccio ha dimostrato una particolare efficacia in contesto rurale tra le attività generatrici di reddito (Income Generating Activities)58. officer. Caratteristiche del gruppo. Sono gruppi autoselezionati: i membri non devono essere parenti e devono avere lo stesso background socio-economico. Richiesta la presenza a riunioni settimanali. 58 D. Luppi, Le metodologie del microcredito, Seminario di studio Caritas Italiana, Consorzio Etimos, Marzo 2004. 28 TAB. 4: Modello Latino-Americano: elementi di sintesi TAB. 5: CMLF: elementi di sintesi Tipo di cliente. I clienti sono di solito donne reddito molto basso (ma con capacità di risparmiare) commercianti che ricevono prestiti molto piccoli per che gestiscono attività generatrici di reddito in zone capitale circolante (working capital). rurali. Relazione del loan officer con il cliente. Relativamente stretta. Contatto diretto con i clienti Relazione del loan officer con il cliente. Relazione sia prima dell’approvazione che durante il rimborso. account). Approvazione del prestito. Eseguita dal loan Approvazione del prestito. I prestiti di gruppo officer. Minima analisi del progetto. vengono Caratteristiche principali. I nuovi membri ricevono individuali sono analizzati dal gruppo attraverso un inizialmente piccole somme di ammontare uguale, apposito comitato eletto dal gruppo. ma c’è una certa flessibilità nei cicli successivi. I Caratteristiche principali. Il prestito di gruppo è membri del gruppo possono richiedere somme più costituito dalla somma dei prestiti individuali. I elevate via via che i cicli finanziari si chiudono con prestiti sono erogati in cicli successivi (10-12 mesi) successo (l’ammontare non supera di solito i 1,000 con pagamenti alla fine del ciclo. Il primo prestito è dollari). I tassi d’interesse sono alti e vengono molto basso e di solito non supera i 100 dollari. Il caricate anche delle commissioni. A volte si crea un tasso d’interesse sul credito esterno è alto. Le fondo di emergenza: parte degli interessi raccolti condizioni per i prestiti individuali interni sono viene utilizzata per la costituzione di fondi destinati legate alle condizioni ottenute nel prestito esterno (i alla salute o a garanzia parziale dei mancati termini sono più brevi e a interessi più elevati). pagamenti. Garanzie. Nessuna. Garanzia Solidale: pressioni Garanzie. Nessuna. Garanzia Solidale di tutti i esercitate dal gruppo. Se un membro non restituisce prestiti. Nessun membro del gruppo può ottenere quanto ricevuto, il debito ricade su tutti gli altri prestiti ulteriori se prima tutti gli altri non hanno membri (o sui risparmi accumulati). restituito la somma ricevuta. Risparmio. Obbligatorio. Parte essenziale della Risparmio. Spesso è richiesto ai clienti di versare metodologia. I membri devono iniziare molto tempo una quota di risparmio obbligatorio (di solito prima di entrare nel gruppo. In genere si richiede trattenuta alla fonte) che serve in genere come all’individuo di risparmiare il 20% di quanto ricevuto “fondo di garanzia” finale per ripagare il prestito. a prestito in ogni ciclo. Raramente Assistenza Tecnica o Training. Orientamento base e sono offerti prodotti di risparmio Tipo di cliente. I clienti sono spesso donne di limitata (soprattutto legata alla gestione dell’external valutati dal loan officer. I prestiti volontario. training nei primi cicli e successivamente solamente Assistenza Tecnica o Training. Minima. Training di al bisogno. Alcune istituzioni di microfinanza hanno base sulla gestione d’impresa aggregato Caratteristiche del gruppo. Gruppi auto- alcuni programmi educativi (salute, nutrizione, etc.) facendo pagare una commissione selezionati: i membri non devono essere parenti e addizionale al gruppo. devono avere lo stesso background socio-economico. Caratteristiche del gruppo. Controllo democratico e amministrazione autosufficiente. Indipendenza di solito raggiunta nell’arco di tre anni. Autonomia nella selezione dei membri. Riunioni regolari (settimanili o bi-settimanali o mensili). 29 I revolving loan funds. Le Community Managed Revolving Loan Funds (CMRLF) sono gruppi finanziari informali composti da 30-100 membri, spesso donne. Possono essere paragonate a piccole banche che mobilizzano i propri fondi e tendono a diventare nel tempo istituzioni indipendenti. Ai membri è richiesto di risparmiare, anche se la fonte finanziaria principale proviene dall’esterno (prestito o donazione). Gli individui entrano nel gruppo per iniziare una propria attività economica. Questo modello ha grande successo sui segmenti più poveri della popolazione (TAB. 6). Caisses Villageoises d’Épargne et de Crédit Autogérées (CVECA). È una metodologia sviluppata dalla ONG francese “Centre for International Development and Resarch”. Le associazioni di credito e risparmio sono molto simili alle CVECA (TAB. 7). TAB. 7: CVECA: elementi di sintesi Tipo di cliente. I clienti si trovano in aree rurali, sono sia uomini che donne, con basso o medio reddito e con capacità di risparmiare. Relazione del loan officer con il cliente. Molto limitata. Approvazione del prestito. Nessun prestito esterno TAB. 6: CMRLF: elementi di sintesi al Tipo di cliente. I clienti sono individui con reddito molto internazionale. I prestiti interni individuali sono basso (ma con capacità di risparmiare) che gestiscono analizzati dal gruppo attraverso un apposito comitato attività simili alle attività generatrici di reddito. eletto dal gruppo. Relazione del loan officer con il cliente. Relativamente Caratteristiche principali. Condizioni di prestito molto limitata. Soprattutto legata ai prestiti di gruppo. interne flessibili (di solito prestiti di breve durata e Approvazione del prestito. I prestiti di gruppo vengono per capitale circolante). Spesso l’ammontare prestato valutati dal loan officer. I prestiti individuali sono è proporzionale a quanto risparmiato dall’individuo. analizzati dal gruppo attraverso un apposito comitato eletto Il tasso d’interesse è spesso molto elevato. dal gruppo. Garanzie. Caratteristiche principali. Il prestito di gruppo è basato discrezione del gruppo. Il risparmio costituisce la sul capitale iniziale raccolto. Il prestito (più spesso forma privilegiata di garanzia. Pressioni esercitate donazione) al gruppo è un multiplo del capitale raccolto dal gruppo (conoscenza personale). internamente (2/1 3/1). Il prestito individuale è piccolo e Risparmio. Obbligatorio. Parte essenziale della non supera i 100 dollari. Condizioni di prestito flessibili. metodologia. Vengono offerti vari tipi di prodotti di Termine fino a 2 anni con un periodo di grazia (grace risparmio volontario. period). Assistenza Tecnica o Training. Ruolo principale Garanzie. Garanzia a livello individuale a discrezione del dell’organizzazione internazionale. Training e AT gruppo. Garanzia Solidale: pressioni esercitate dal gruppo. viene fornita al management della Associazione e Se un membro non restituisce quanto ricevuto, il debito spesso anche agli individui soprattutto per start-up ricade su tutti gli altri (o sui risparmi accumulati). businesses. Risparmio. Spesso richiesto. Caratteristiche del gruppo. Controllo democratico. Assistenza Tecnica o Training. Minima. Amministrazione autosufficiente. Caratteristiche del gruppo. Controllo democratico. Indipendenza. Amministrazione autosufficiente. Indipendenza di solito membri. raggiunta nell’arco di tre anni. Autonomia nella selezione federazioni di gruppi. dei membri. gruppo da Garanzia parte a Autonomia Riunioni dell’organizzazione livello nella regolari. individuale a selezione dei Formazione di 30 La differenza principale consiste nel peso che in questo caso assume il risparmio dei membri. L’associazione può essere da subito indipendente finanziariamente. In questo caso il ruolo dell’organizzazione internazionale è di sola assistenza tecnica. Le associazioni di credito e risparmio sono simili a delle cooperative di risparmio e credito nella loro fase iniziale. GRAF. 3: Produttività dei Loan Officer per metodologia 2.3.3 Il dibattito Un’Istituzione di Microfinanza (IMF) deve adeguare la metodologia di microcredito per adattarla al mercato, soppesandone vantaggi e svantaggi. Le questioni principali sono: • Quale metodologia di prestito offre un servizio più efficiente? • Quale metodologia risponde meglio alle esigenze del cliente? • Quale metodologia aiuta meglio l’IMF a gestire il rischio? I crediti di gruppo (group lending) sono in grado di offrire un modo efficace di raggiungere un gran numero di clienti poveri che non possiedono tradizionali forme di garanzia consentendo all’IMF di trasferire alcuni costi di gestione e una parte del rischio di credito agli stessi membri del gruppo. Molti aspetti delle metodologie di gruppo consentono di risparmiare tempo e denaro all’IMF includendo caratteristiche come la valutazione (screening) di gruppo, un’unica erogazione del credito e un unico rimborso da parte del gruppo: tutto questo abbassa i costi di transazione per l’IMF permettendogli di gestire un certo numero di prestiti attraverso un solo singolo contatto (GRAF. 3). Fonte: Microfinance Information Exchange (MIX), Dicembre 2008 (www.mixmarket.org). Tuttavia, in alcuni casi un’IMF potrebbe spendere più tempo e denaro cercando di organizzare e coordinare i gruppi piuttosto che erogare singoli prestiti agli stessi clienti. La responsabilità solidale del gruppo o di una village bank permette a un’IMF di ridurre anche il suo rischio di credito. Tuttavia, quando alcuni clienti cominciano a contrarre prestiti più grandi, i clienti con prestiti di minori dimensioni che fanno parte dello stesso gruppo sono meno disposti a sottoscrivere una responsabilità solidale e congiunta con gli altri membri. D’altra parte il prestito di gruppo potrebbe non soddisfare le esigenze di alcuni che preferirebbero un prestito individuale, contando più sulla loro capacità di rimborsare il debito, piuttosto che assumere il rischio di una garanzia solidale. Per queste ragioni molte IMFs hanno sviluppato e introdotto parallelamente prodotti di credito individuale, mentre altre istituzioni hanno sviluppato un prodotto di credito individuale per i buoni clienti che crescono e si “laureano” attraverso le metodologie di gruppo. Questo secondo approccio, sempre più 31 utilizzato, offre all’IMF una storia di credito su cui basare la propria decisione di erogazione del prestito individuale. I prodotti di credito individuale permettono una maggiore flessibilità per rispondere ai particolari bisogni della clientela. Come già menzionato precedentemente le condizioni e gli importi possono variare a seconda del tipo di finanziamento richiesto e possono essere più affini alle esigenze del cliente. Tuttavia, i crediti individuali normalmente sono più costosi di quelli di gruppo in quanto prevedono un’analisi più dettagliata da parte del personale dell’IMF che riguarda in particolare l'analisi del business del cliente, delle opportunità di investimento e più in generale della capacità di rimborso dello stesso cliente includendo un’analisi del bilancio famigliare. In generale, le IMFs tendono ad offrire prestiti individuali per importi maggiori, o erogare prestiti individuali utilizzando una riunione di gruppo come un luogo comodo per l'erogazione piuttosto che utilizzare il gruppo come un meccanismo di garanzia. Se i clienti rimborsano senza ritardi per i prestiti successivi si possono ridurre i tempi di erogazione migliorandone l’efficienza e la produttività. 32 3. LA SITUAZIONE ATTUALE 3.1 Commercializzazione e crescita Le stime della domanda potenziale di servizi di microfinanza si basano tipicamente sulle statistiche relative alla dimensione della povertà. La Banca Mondiale ha stimato che nel 2005 1,4 miliardi di persone vivessero con meno di 1,25 USD al giorno – che costituisce una misura della soglia di povertà - mentre 2,6 miliardi disponevano di meno di 2 USD al giorno. Lo scoppio della crisi finanziaria globale ha interrotto dopo molti anni il processo di riduzione dell’incidenza dei fenomeni di povertà (passata dal 52 al 25% della popolazione mondiale tra il 1980 e il 2005): nel corso del 2010 la stessa Banca Mondiale stima che il numero di persone con un reddito inferiore ai 1,25 USD al giorno sia cresciuto di 64 milioni di unità. Nel complesso, attualmente vi sarebbero 560 milioni di famiglie al di sotto della soglia di povertà 59. Di queste si stima che meno del 18% abbia accesso a servizi finanziari, con sostanziali differenze tra le varie regioni. L’Asia, con una copertura del 47,1% delle famiglie povere, ha il tasso di copertura più elevato, seguito dall’America Latina (14,9% delle famiglie povere) e in ultimo Africa e Medio Oriente con il 9,4% ed Europa e Asia Centrale con il 2,3%. Come già detto, nei paesi in via di sviluppo le microimprese rappresentano la principale fonte di impiego per persone indigenti. In termini di importanza economica, le microimprese rappresentano l’80% del totale delle imprese (di cui il 50% localizzate in aree urbane) che contribuiscono alla formazione del 20% del PIL dei paesi in via di sviluppo ed emergenti. 59 Chen, S e Ravallion, M. The developing world is poorer than we thought, but no less successful in the fight against poverty, Policy Research Working Paper Series 4703, The World Bank, 2008 Questi numeri fanno comprendere l’importanza della microfinanza non solo sotto il profilo della povertà, ma anche per quanto riguarda l’intera economia di un paese. Nel contesto mondiale odierno la domanda stimata per servizi di microfinanza di individui, questa si attesta tra 1 e 1,5 miliardo di persone, cui vanno aggiunti i potenziali clienti costituiti da persone che non vivono sotto la soglia di povertà. Nonostante l’industria della microfinanza sia stata caratterizzata nell’ultimo quindicennio da tassi di crescita molto elevati (ad eccezione degli anni più recenti associati alla crisi finanziaria internazionale), il tasso di penetrazione si attesta a circa il 20%60 della popolazione target. Questi numeri dimostrano l’elevato potenziale di crescita del settore e di conseguenza la potenziale domanda di finanziamenti. E’ stato stimato che tale bisogno corrisponderebbe ad un volume di almeno 250 mld. di USD. Inoltre, le condizioni demografiche ed economiche dei paesi in via di sviluppo, come gli elevati tassi di crescita della popolazione, l’elevata quota di giovani, la scarsità di capitale umano adeguatamente formato, la crescente migrazione verso zone urbane, e la conseguente incapacità di assorbire la crescente offerta di lavoro da parte del settore formale, suggeriscono che la potenziale domanda di clienti di microfinanza crescerà ulteriormente. Dal lato dell’offerta, si stima che esistano circa 10.000 IMF nel mondo che includono tipologie molte diverse di istituzioni: dalle ONG alle cooperative di credito e risparmio, dalle finanziarie alle banche commerciali61. Alla fine del 2007, le 3.552 IMF che riportavano i loro dati al Microcredit Summit, avevano raggiunto un totale di 155 milioni di clienti, di cui 106 60 Dieckmann, R., Microfinance: An emerging investment opportunity, Deutsche Bank, 2007. 61 Trends in Microfinance, 2010 – 2015, www.microned.nl, 2009. 33 sotto la soglia di povertà assoluta, per un ammontare totale di prestiti di 40 miliardi di USD62. Negli ultimi anni, prima dello scoppio della crisi finanziaria, i principali indicatori di attività del settore sono cresciuti in media del 20-30% all’anno. Tagikistan, Azerbaijan, Kenya, Pakistan, e Bosnia Erzegovina crescevano addirittura a tassi dall’80% al 50% ogni anno. In termini di distribuzione per aree geografiche, quasi il 50% delle IMF si trova in Asia e nel Pacifico. Segue l’Africa SubSahariana con il 28%, l’America Latina con il 17%, l’Europa Orientale e l’Asia Centrale con il 6% e infine il Medio Oriente e il Nord Africa con appena l’1%. In relazione invece alla grandezza delle IMF, troviamo le maggiori istituzioni in Asia e Pacifico, soprattutto Bangladesh, India e Indonesia ma anche in Messico e Perù. Tra le 10 istituzioni con il maggior numero di clienti infatti, 7 si trovano in Asia e Pacifico e 3 in America Latina. Oltre che per la diversa densità, la microfinanza si differenzia nelle varie regioni anche per altri aspetti. Generalmente le IMF in Asia e Pacifico si rivolgono a poveri residenti in zone rurali e a microimprenditori. In America Latina le IMF sono per lo più entità regolate e formali con una consolidata tendenza alla commercializzazione. Le IMF in Medio Oriente e Nord Africa invece dipendono ancora da finanziamenti sussidiati. In Africa Sub-Sahariana in alcuni paesi vi è una prevalenza di istituzioni formali, in alcuni di ONG e in altri ancora, come l’Africa Occidentale, di cooperative. Peraltro è possibile ravvisare profonde differenze anche tra paesi della stessa regione. In America Latina, ad esempio, la microfinanza è maggiormente sviluppata e competitiva in piccoli paesi come Perù e Bolivia mentre è molto meno presente in grandi paesi come Brasile e Messico63. Gli esperti del settore concordano sul fatto che, per diminuire il gap esistente tra domanda e offerta nel settore della microfinanza, le IMF abbiano bisogno di accedere a finanziamenti erogati dal settore privato, dal momento che risorse derivanti da donazioni e agenzie di sviluppo multilaterali, sono insufficienti a coprirlo. Una tendenza che si sta manifestando con crescente intensità. A seconda della fase evolutiva e della forma legale in cui si trovano, le IMF possono fare ricorso a differenti modalità di finanziamento: a titolo di debito, attraverso la raccolta di depositi dal pubblico, o attraverso il ricorso al finanziamento esterno (in varie forme); a titolo di capitale proprio, invece, attraverso donazioni, autofinanziamento con l’impiego di utili non distribuiti o mediante l’ingresso di nuovi investitori nel capitale. Per quanto riguarda il ricorso a fonti esterne di finanziamento, la raccolta di depositi conta per il 43%, così come il sistema finanziario locale (43%) mentre gli investimenti esteri per il 14%.64 Dal momento che le IMF inizialmente si concentravano sulla propria missione sociale, ovvero sul supporto ai poveri attraverso l’accesso al credito, esse erano finanziate principalmente attraverso donazioni, fondi sussidiati da parte di agenzie di sviluppo e donatori privati. Nel corso degli anni, alcune IMF hanno iniziato a trasformarsi in istituzioni finanziarie formali, fino a vere e proprie banche o istituzioni regolate. Questo trend si è sviluppato in seguito alla constatazione che la trasformazione di un’istituzione formale aiuta a raggiungere la sostenibilità operativa e 63 62 Sam Daley-Harris, State of the Microcredit Summit Campaign Report, 2009. Hsu Ming-Yee, The International Funding of Microfinance Institutions: An Overview, Ada, 2007 64 Dieckmann, R., op. cit., Deutsche Bank, 2007 34 finanziaria, dal momento che facilita l’accesso a finanziamenti commerciali e la raccolta di risparmio; un fattore che, a sua volta, aiuta a diminuire i costi legati al finanziamento. Il crescente focus sul raggiungimento della sostenibilità e della redditività da parte delle IMF, ha quindi contribuito all’ormai attuale tendenza verso la trasformazione delle IMF in entità regolate e in società di capitali. Negli anni ottanta, i principali attori operavano in forma di ONG specializzate o multi-obiettivo e fornivano con successo servizi di credito. Nel 1989, PRODEM in Bolivia fu la prima IMF a iniziare il processo di trasformazione da ONG a IMF regolata, diventando Bancosol nel 1992. Dagli anni novanta il settore della microfinanza fu caratterizzato da una sempre maggiore tendenza alla trasformazione delle IMF in entità regolate, strategia questa che consente di migliorare la sostenibilità economico-finanziaria, che, a sua volta, consente di espandere l’outreach e rendersi maggiormente indipendenti da donatori esterni. Grazie a tale processo di trasformazione, l’istituzione di microfinanza è in grado di migliorare la capacità di recupero dei costi operativi (ad esempio attraverso la raccolta di risparmio che consente di ridurre notevolmente i costi legati ai finanziamenti), per raggiungere successivamente la sostenibilità operativa e finanziaria, e accedere di conseguenza a fonti di finanziamento commerciali che la porteranno di fatto all’interno del sistema finanziario formale65. La grande varietà di IMF può essere ricondotta ad una classificazione in quattro categorie, 65 Langer, W., The role of private sector investment in international microfinance and the implications of domestic regulatory environments, http://www.dwmarkets.com/philosophy/resources.ht ml individuate in base al grado commercializzazione raggiunto (GRAF. 1). di GRAF. 1: Tipi di IMF in base al livello di commercializzazione Fonte: Meehan, Jennifer, Tapping the Financial Markets for Microfinance, Grameen Foundation USA Working Paper Series, 2004 Se le due categorie più in alto includono le IMF più sviluppate, la maggior parte delle IMF si trova in realtà nelle categorie 3 e 4, comprendendo circa il 90% di tutte le istituzioni del settore. Ciononostante, in termini di outreach, le istituzioni nel livello 1 hanno il maggior numero di clienti e possiedono la maggior parte degli assets. Le istituzioni nei due livelli più alti della classificazione, che si sono trasformate in strutture più formali, stanno sempre più attirando l’attenzione e l’interesse di banche commerciali e istituzionali e investitori privati. Solo il 2-3% delle IMF sono mature e sostenibili, mente un 7-8% hanno buone prospettive di diventarlo. Dato che questo tipo di IMF sono le più remunerative e sono generalmente gestite da un management esperto, gli investitori privati le considerano come le più appropriate ad assorbire fondi da canalizzare poi a clienti. Le istituzioni appartenenti alle prime due categorie, pertanto, stanno conoscendo una fase di continuo consolidamento mentre le 35 istituzioni che rientrano nelle due categorie inferiori incontrano, in particolare quelle del tier 3, difficoltà nell’accedere a finanziamenti. La categoria 4, per contro, è caratterizzata da startup, per lo più non redditizie.66 Il settore della microfinanza si sta dunque commercializzando sempre di più. Quando si parla di commercializzazione del settore della microfinanza, si intende quel processo per cui l’accesso alle riscorse finanziarie avviene sempre più a condizioni di mercato e non più a condizioni preferenziali. In pratica, la microfinanza sta gradualmente cessando di essere un’attività sussidiata, e dunque fortemente dipendente dalla disponibilità dei donatori, e si sta legando sempre più al sistema finanziario tradizionale. Gli elevati tassi di crescita che hanno caratterizzato il settore della microfinanza negli ultimi anni sono stati resi possibili soprattutto dal sempre maggiore accesso a fonti di finanziamento commerciale e alla raccolta di risparmio. Questo trend è anche riflesso dal forte aumento degli investimenti stranieri nel settore, che negli ultimi 7-8 anni stanno vivendo un boom senza precedenti. Dal momento che non è possibile definire una struttura ottimale di capitale per le IMF, le decisioni riguardanti i metodi di finanziamento dipendono da vari elementi. Da un lato i fattori interni, come la crescita del portafoglio e la possibilità di raccogliere capitale, e i fattori esterni, come la regolamentazione vigente, la disponibilità di donatori o investitori commerciali. Dall’altro, i costi e la durata delle differenti fonti di finanziamento, giocano un ruolo fondamentale nella configurazione ottimale del mix di finanziamenti. Se la raccolta di capitale proprio è una fonte di finanziamento di lungo periodo, i prestiti sono caratterizzati da 66 Dieckmann, R., op. cit., Deutsche Bank, 2007 una durata di medio periodo, mentre i depositi sono considerati di breve. Ad oggi, gli investimenti esteri privati rappresentano, nonostante la sostenuta crescita, una porzione relativamente piccola del totale degli investimenti in microfinanza. Il 76% dei finanziamenti deriva infatti da risorse interne, di cui il 60% è composto da depositi dei clienti delle IMF. Escludendo i depositi, gli investimenti stranieri arrivano a contare circa il 43% dell’investimento totale nella microfinanza. Tre categorie di investitori si dividono la maggior parte degli investimenti stranieri in microfinanza. Da un lato ci sono le Istituzioni di Sviluppo Finanziario (DFI) che sono le strutture di investimento nel settore privato di governi e organizzazioni multilaterali. Tra queste ci sono la EBRD (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo), il IADB (Banco Interamericano di Sviluppo), L’IFC (braccio della World Bank) e la KfW (Germania). Ci sono poi gli investitori individuali, categoria che include diverse forme di veicolazione di capitali provenienti da individui privati. Tra questi troviamo le Cooperative finanziarie, come Oikocredit, le Venture Philantropists istituzionali, i Fondi comuni specializzati, come Triodos, i High Net Worth Individuals, Peer-to-Peer online lending, come Kiva. Troviamo, infine, gli investitori istituzionali, categoria che include diverse tipologie di istituzioni finanziarie che si sono avvicinate al settore della microfinanza. A questo gruppo appartengono banche transnazionali, come Deutsche Bank e Citigroup, Fondi Pensione, Compagnie di Assicurazione e Fondi di Private Equity. Se gli investitori individuali generalmente effettuano investimenti diretti nelle IMF, gli investimenti privati da fonti commerciali sono effettuati tramite MIV (Microfinance Investment Vehicles), intermediari specializzati nella veicolazione di 36 risorse finanziarie verso il settore della microfinanza. Circa la metà degli investimenti in microfinanza avviene attraverso i MIV. I MIV comprendono diverse tipologie di organizzazioni. Circa il 75% degli investimenti effettuati tramite i MIV sono in forma di prestiti, il 25% in forma di capitale e il 2% in forma di garanzie per investitori locali. Mentre in precedenza i prestiti venivano effettuati in moneta forte (dollari o euro) i MIV in anni recenti hanno iniziato a prestare anche in moneta locale, consentendo pertanto di minimizzare il rischio di tasso di cambio per le IMF. Attualmente circa il 30% dei prestiti è concordato in moneta locale, mentre il restante 70% in moneta forte. Per quanto riguarda gli investimenti in capitale, il 75% sono diretti a istituzioni nuove o greenfield. Il mercato dei MIV è inoltre piuttosto concentrato; circa il 67% di tutti gli investimenti è condotto dai 10 più grandi MIV. A livello geografico gli investimenti si concentrano in Europa Occidentale (43%) e in America Latina (36%). Gli investimenti in Asia continuano però a crescere e sono arrivati a contare il 15% degli investimenti da parte dei MIV. Ciononostante il numero dei MIV negli ultimi anni è continuato a crescere. Dal 2004 al 2008 si è passati da 45 a 91 MIV, con un volume di investimenti che, partendo da 1,1 miliardi di USD ha raggiunto i 6,2 nel 2009. La crescita, che fino al 2007 aveva raggiunto livelli molto elevati (nel 2007 è stata pari al 86%), per effetto della crisi internazionale ha rallentato, avanzando al 34% nel 2008 e al 25% nel 200967. La crescita dell’attività di investimento da parte dei MIV, induce a pensare che presto gli investimenti privati supereranno quelli pubblici nella categoria degli investimenti stranieri. 67 Microfinance investors adjust strategy in tougher market conditions, Brief, CGAP, 2010 Insieme alla crescita generale degli investimenti stranieri nella microfinanza - dal numero di attori ai volumi investiti - sono emersi nuovi strumenti, già impiegati nella finanza mainstream, e introdotti anche nella microfinanza. Garanzie, investimenti in capitale di rischio, emissione di obbligazioni, cartolarizzazione, offerta pubblica iniziale (IPO), prestito sindacato, sono tra gli strumenti che stanno emergendo sempre di più. Tra gli esempi di IPO, il caso più noto è quello di Compartamos in Messico nel 2007; l’elevata domanda fece crescere, solo il primo giorno, il prezzo delle azioni del 22%. Compartamos viene fondata nel 1990 in forma di ONG, e nel 2000, grazie a elevati tassi di crescita e all’aiuto di vari istituzioni internazionali, come ACCION, si trasforma in finanziaria. Nel 2002 emette bond sul mercato finanziario messicano e nel 2006 si trasforma in banca “Banco Compartamos”. L’anno successivo si quota sul mercato azionario su cui vende il 30% delle azioni. La domanda di azioni supera di 13 volte l’offerta e il ricavo della vendita è di 450 milioni di USD (contro un investimento iniziale di circa 6 milioni di USD). L’aspetto particolare di Compartamos riguarda il ritorno per gli investitori che è di circa il 100% all’anno. Questi ritorni però sono associati a tassi di interesse sui clienti molto elevati, che da soli spiegano quasi il 90% dei progetti realizzati. Questo aspetto è stato ampiamente criticato da diversi esperti del settore dal momento che ritorni così alti agli investitori erano possibili solo a scapito di tassi elevatissimi applicati ai clienti. Il caso più recente invece riguarda quello di SKS in India, che nel luglio del 2010 ha effettuato un’IPO. Le maggiori preoccupazioni legate a questo tipo di operazioni finanziarie sono riconducibili al cambiamento di proprietà 37 dell’istituzione, e quindi della governance, che potrebbe comportare un allontanamento dalla missione originaria e, porre gli obiettivi sociali in secondo piano rispetto a quelli legati alla redditività e altri aspetti prettamente economici. Per ora è ancora presto riuscire a prevedere quali saranno gli effetti di questa IPO sulla strategia di SKS, anche se il dibattito e l’attenzione sono molto alti. La commercializzazione della microfinanza quindi può avere molti effetti positivi, ma può anche essere non priva di rischi, soprattutto quando, attribuendo una maggior rilevanza agli aspetti finanziari, mette in secondo piano la missione originaria, perdendo il focus sociale che dovrebbe caratterizzarne le attività68. 3.2 Da microcredito a microfinanza: il risparmio e i nuovi prodotti Il crescente focus sulla raccolta di risparmio, per ridurre il bisogno di accesso a prestiti da parte delle IMF, è in linea con il processo di crescita e di rafforzamento della sostenibilità finanziaria, ma risponde anche all’esigenza di rispondere all’enorme domanda di servizi affidabili di micro risparmio. In generale, il settore della microfinanza è entrato in una fase di consolidamento, ma rimane aperto a importanti evoluzioni e cambiamenti. A questo proposito si assiste ad una crescente diversificazione dei prodotti finanziari offerti, oltre a quelli di credito e risparmio, come ad esempio microassicurazione, microleasing, sistemi di pagamento, housing microfinance, ecc. L’ampliamento dell’offerta, consente di migliorare le performance, sia operative che 68 Rosenberg, R., CGAP Reflections in the Compartamos Initial Public Offering: a case study on microfinance interest rates and profits, Focus Note CGAP, 2007; Chen, G., Rasmussen, S., Reille, X. e Rozas, D., Indian microfinance goes public : the SKS Initial Public Offering, Focus Note CGAP, 2010. sociali, delle istituzioni, creando strumenti che possano soddisfare i bisogni dei clienti. L’ultimo decennio è stato anche caratterizzato da un’ulteriore evoluzione del settore della microfinanza; una maggiore comprensione ed attenzione alla domanda del cliente hanno spostato il focus dal microcredito alla microfinanza e, più recentemente, allo sviluppo di sistemi finanziari inclusivi. In passato la microfinanza era caratterizzata dal focus sul credito a microimprenditori e dall’essere un settore guidato più dall’offerta che dalla domanda. Oggi, invece, si ha la consapevolezza che non tutti i poveri sono microimprenditori ma che tutti hanno bisogno, e utilizzano, una vasta gamma di prodotti finanziari. Uno dei maggiori problemi per i poveri e le persone a basso reddito, riguarda non solo la mancanza di risorse disponibili, ma il fatto di avere un reddito irregolare e imprevedibile. I depositi possono, in questo senso, apportare un importante beneficio nell’affrontare questo tipo di irregolarità. Per diverso tempo all’attività di deposito non è stata attribuita la stessa rilevanza attribuita al credito. Tuttavia, negli ultimi anni è emerso che, un servizio come quello della raccolta del risparmio, può essere molto importante sia per le IMF che per le persone a basso reddito. Durante la prima fase di sviluppo della microfinanza, il risparmio è stato sottostimato per diverse ragioni. Innanzitutto molti ritenevano che i poveri fossero “troppo poveri per risparmiare”. In secondo luogo, le IMF consideravano il risparmio di piccole dimensioni troppo oneroso in termini gestionali e poco stabile. Diverse ricerche hanno però portato alla luce una realtà differente. Molte persone a basso reddito in paesi in via di sviluppo utilizzano sistemi di risparmio informali, come ad esempio le ROSCA, dimostrando quindi che la domanda di servizi di 38 risparmio è molto elevata anche tra persone povere69. L’evidenza empirica, inoltre, dimostra come - oggi nel mondo - vi siano, in microfinanza, più clienti di servizi di risparmio che di credito, avendo questi raggiunto una dimensione ben quatto volte maggiore in termini di numero di clienti. Altri studi si sono focalizzati sull’aspetto legato al costo della gestione di conti di risparmio evidenziando come, se da un lato risultino essere prodotti onerosi per le istituzioni, dall’altro possano dare origine ad elevati profitti, attraverso l’offerta di crediti e altri prodotti ai micro-risparmiatori. Negli ultimi anni, inoltre, l’attenzione sui depositi è aumentata poiché ci si è resi conto che i depositi possono essere impiegati come fonte di finanziamento, più economico di molte altre. Fattore questo che ha spinto molte istituzioni verso la trasformazione in soggetti regolati, in grado di svolgere attività di intermediazione finanziaria. Certo è che sono necessarie alcune condizioni affinché un’istituzione possa raccogliere risparmio. Innanzitutto, deve avere uno status giuridico che gli consenta di effettuare attività di raccolta di depositi. A tale proposito sono molto importanti la presenza di una specifica regolamentazione sulla microfinanza e degli efficaci enti di supervisione. Le trasformazioni in entità giuridiche aventi titolo legale per raccogliere risparmio, sono aumentate anche in virtù di una maggiore attenzione che negli ultimi anni si è rivolta alle regolamentazioni nazionali in materia. Diventare istituzioni deposit-taking richiede anche, soprattutto nelle fasi iniziali, una certa stabilità a livello macroeconomico del paese e una forte capacità manageriale ed istituzionale. La trasformazione in istituzioni regolate non è priva di difficoltà. La gestione dei costi legati ai micro-depositi, comporta infatti costi piuttosto elevati che devono essere saper gestiti adeguatamente. L’evidenza ci dimostra però come, se gestiti in modo corretto, i microdepositi siano anche remunerativi. Anche se svolgere attività di intermediazione finanziaria è molto più complesso che erogare solamente crediti e questo necessita capacità gestionali ben superiori70. Le persone con un reddito basso necessitano quindi di tutta una serie di servizi finanziari, non solo del credito, per far fronte a diverse situazioni in momenti diversi della loro vita; anche in relazione al credito, necessitano di diversi prodotti che rispondano a differenti necessità. Tre sono le categorie di eventi che possono richiedere l’utilizzo di una quantità di risorse finanziarie maggiore di quanto la famiglia, in un determinato momento, abbia a disposizione. Eventi legati al ciclo della vita, che includono matrimoni, nascite o eventi ricorrenti come tasse scolastiche e festività. Le emergenze - come malattie o infortuni, ma anche guerre o avversità climatiche - che sono fuori dal controllo della famiglia. Vi sono inoltre le opportunità, ovvero le necessità legate agli investimenti produttivi, rivolti alla famiglia oppure legati alla casa. Negli ultimi anni le IMF hanno iniziato ad ampliare l’offerta di servizi. Equity Bank in Kenya è un esempio di banca che ha avuto un notevole successo tra i poveri, attraverso l’offerta di prodotti diversificati. Oltre all’introduzione di servizi di risparmio, la microfinanza ha iniziato a sviluppare ed offrire servizi finanziari di vario genere, proprio per andare incontro alle diverse necessità delle fasce più povere della popolazione. Servizi di trasferimento di denaro legati alle rimesse degli 70 69 Armendariz, B. e Morduch J., op. cit., The MIT Press, 2007. Churchill, C. e Frakiewicz, C., Making microfinance work: managing for improved performance, ILO, 2006 39 emigrati, ad esempio, sono ora sempre più frequenti e rispondono ad una necessità sempre maggiore. Vari prodotti di microassicurazione sono ora offerti per aiutare i poveri a far fronte a shock di vario genere. Questi prodotti sono, rispetto ad altri, ancora ad uno stadio di sviluppo iniziale. La sfida nei confronti di questi prodotti, riguarda la necessità di trovare il giusto equilibrio tra l’offerta di adeguata protezione e il pagamento di un premio non eccessivo per famiglie a basso reddito. La forma di microassicurazione attualmente più diffusa, nonché la più semplice, è l’assicurazione credit life che copre il debitore in caso di morte, ed è quindi limitata al debito contratto. Questo tipo di assicurazione è ormai molto diffusa e viene per lo più offerta dalle IMF stesse. Ci sono poi assicurazioni che coprono dal rischio di malattia o incidente, altre che coprono dal rischio di morte di un parente e altre ancora legate alla proprietà. Le assicurazioni legate all’agricoltura sono tra le più difficili e sono caratterizzate da molteplici complicazioni. All’interno della categoria di credito sempre più istituzioni offrono prodotti innovativi e specializzati, che rispondono a bisogni specifici dei clienti. Tra questi troviamo crediti per il miglioramento della casa, per far fronte a particolari emergenze, e per bisogni di consumo. In Perù Mibanco, ad esempio, nel 2000 ha introdotto Micasa, un prodotto per il miglioramento della casa, anziché crediti per l’acquisto di nuove abitazioni, come invece avverrebbe in caso di erogazione di un mutuo. In soli quattro anni, Mibanco aveva 14.000 clienti titolari di questo prodotto, per un portafoglio di 17,5 di USD ed una performance molto buona (portafoglio a rischio – PAR – inferiore al 2%71). Anche Microleasing e sistemi innovativi di pagamento si stanno sempre più diffondendo e sviluppando. 3.3 Performance sociale e impatto La profittabilità che il settore ha dimostrato negli ultimi anni ha stimolato l’interesse da parte degli investitori, non solo sociali, per la microfinanza. La ricerca di una sostenibilità finanziaria ha contribuito a far sì che, in alcuni casi, la missione sociale venisse messa in secondo piano, per raggiungere obiettivi prettamente finanziari, con fenomeni molto marcati di mission drift. In alcuni contesti la crescita del settore è stata così elevata che si è arrivati ad avere mercati molto competitivi con un marcato incremento del sovra-indebitamento dei clienti. In risposta a questi trend, maggiore attenzione viene ora rivolta ai temi di consumer protection, trasparenza e sovraindebitamento. Per questo motivo negli ultimi anni la misurazione della performance sociale e la valutazione dell’impatto hanno acquistato maggiore importanza e sono state caratterizzate da un maggior rigore e standardizzazione. In altre parole le IMF devono rendere conto sempre più ai finanziatori per ciò che concerne gli obiettivi sociali che la microfinanza, tramite l’utilizzo delle loro risorse, si prefissa. Questo è uno dei motivi che hanno spinto, negli ultimi anni, a creare degli strumenti di accountability da parte delle IMF per i propri stakeholders72. D’altro canto non va confuso il requisito di sostenibilità finanziaria con l’obiettivo di buona performance sociale. E’ ampiamente condiviso il fatto che la sostenibilità finanziaria sia una condizione necessaria per il successo della microfinanza, dato che, un’istituzione che riesce a coprire i propri costi, sarà anche in grado di 72 71 Portafoglio a rischio: Saldo dei crediti con una rata in ritardo da più di 30 giorni. Campion, A., Linder, C. e Knotts, K. E., Putting social into performance management: a practice based guide for micro finance, Institute of Development Studies, 2008. 40 crescere e aumentare il numero di clienti; tale condizione non è però sufficiente a garantire una buona performance sociale. Alla necessità di dimostrare l’impatto positivo che la microfinanza ha sul tenore di vita dei poveri e sulla loro uscita dalla condizione di povertà, si è aggiunta la necessità di verificare se l’IMF responsabilmente si assicuri di non mettere in difficoltà persone già in situazioni di indigenza. Sempre nel corso dell’ultimo decennio, si sono infatti verificati diversi casi negativi ch vanno dalle pratiche eccessivamente aggressive da parte di alcune IMF nei confronti dei propri clienti, a situazioni - come quella della Bolivia a fine anni ’90 - in cui la crescente competizione del settore ha dato origine a numerosi casi di sovra-indebitamento, con conseguente crisi a livello nazionale. Da ultimo, valutare e gestire la performance sociale delle IMF è risultato anche economicamente efficiente, poiché può dare indicazioni sui motivi riguardanti l’uscita di alcuni clienti dai propri programmi, aiutando in tal modo a ridurre il tasso di drop-out, consentendo quindi di diminuire i costi. E’ questo il caso di Small Enterprise Foundation in Sudafrica in cui una politica di attenta valutazione delle performance ha contribuito ad aumentare i rendimenti e ad abbassare i costi. Recentemente si è anche constatato che la gestione della performance sociale da parte delle IMF, comporta diversi vantaggi. Fare trasparenza sulla performance sociale è essenziale per la credibilità e reputazione del settore e sullo stesso risultato finanziario; per creare nuovi mercati; perché genera clienti soddisfatti che ripagano più volentieri e restano fedeli; perché lo staff meglio trattato è fidelizzato ed è più produttivo; perché implica una diminuzione dei costi operativi e un aumento della produttività. BOX 3.1: Performance e valutazione d’impatto La performance sociale viene definita come l’effettiva capacità di conseguire la missione istituzionale e di raggiungere obiettivi sociali globalmente riconosciuti e accettati. In particolare la performance sociale viene raggiunta non solo attraverso la realizzazione di risultati - quali il soddisfacimento dei bisogni, la riduzione del numero di indigenti ecc. – ma anche mediante l’implementazione di particolari processi. Con la valutazione dell’impatto si intende invece stabilire una relazione causale quantitativamente precisa delle conseguenze delle attività di microfinanza sul miglioramento delle condizioni di vita dei clienti, al netto di altri fattori. Gli studi di impatto scientifici sono molto costosi, le relazioni di causalità difficilmente dimostrabili e poco utilizzabili dalle istituzioni in quanto non immediatamente traducibili in strumenti di gestione per apportare miglioramenti nelle operazioni73. Viste queste difficoltà, si è assistito ad un cambio nell’approccio, “dal dimostrare l’impatto a migliorare l’impatto”, con una conseguente maggiore importanza attribuita alla gestione della performance sociale. Gli studi di valutazione, che tradizionalmente si focalizzano su risultati e cambiamenti, in realtà costituiscono un solo elemento della performance sociale, poiché quest’ultima comprende l’intero processo da cui l’impatto è creato. La performance sociale è costituita quindi dall’analisi di varie dimensioni che vanno dall’intenzione dell’istituzione - ovvero missione e obiettivi - ai processi e input - ovvero sistemi interni e attività - agli output fino all’impatto. La performance sociale analizza dunque l’intero processo che porta poi al vero e proprio impatto74. 73 Banerjee, Abhijit, Duflo, Esther, Glennerster Rachel e Kinnan Cynthia, The miracle of microfinance? Evidence from a randomized evaluation, Financial access iniziative, 2009. 74 Hashemi, S., Beyond good intentions: measuring the social performance of micro finance institutions, Focus Note, CGAP, 2007 41 Per promuovere un approccio di “double bottom line”, ovvero un approccio che sostenesse il settore a render conto sia dei risultati finanziari che sociali, negli ultimi anni sono stati intrapresi diversi tentativi per integrare l’analisi della performance sociale all’interno del sistema gestionale delle IMF. Una delle iniziative che ha avuto maggior successo, riguarda la creazione nel 2005 della Sociale Perfomance Task Force (SPTF), su iniziativa del CGAP, della Ford Foundation e della Argidius Foundation che hanno raccolto più di 30 leader di varie iniziative legate alla performance sociale per condividere le proprie esperienze. GRAF. 2: La realizzazione della mission “Mettere in pratica la missione” Outreach Gestione della Performance Sociale Missione e Obiettivi Intenzione Sistemi Processi ed Input I M P A T T O Output Output Servizi Responsabilità sociale – verso i clienti, la comunità, l’ambiente, il personale Rating Sociale Studio d’Impatto Col tempo, la SPTF è diventata un punto di riferimento per l’intero settore, grazie allo sviluppo di linee guida, di strumenti e di norme sulla performance sociale. Diversi strumenti per la valutazione della performance sociale sono stati sviluppati da diversi attori, sempre sulla base dei criteri e linee guida concordati in sede di SPTF (GRAF. 2). I diversi strumenti variano soprattutto in base all’aspetto che ognuno di questi intende indagare; ad esempio alcuni focalizzano maggiormente l’analisi a livello di cliente, mentre altri analizzano tutti i livelli del processo, dalla missione e i sistemi interni per metterla in pratica, alle informazioni sui clienti e output. Tra gli strumenti più utilizzati ed accurati troviamo il Progress out of Poverty Index (PPI) - sviluppato da Grameen Foundation con il supporto tecnico di Mark Schreiner - che ha elaborato un metodo per creare delle “poverty scorecard” su base nazionale, utilizzando una tecnica simile a quella impiegata nel credit scoring. Questo strumento viene calcolato con tecniche statistiche, utilizzando dati nazionali per ricavare un algoritmo che sia in grado di stimare il tasso di povertà tra i clienti di un’istituzione. Così costruito, questo strumento rende possibile stimare la prevalenza di poveri tra i clienti, senza attribuire però alcuna relazione di causalità ed è comparabile anche tra paesi diversi. Alcune agenzie di rating hanno introdotto uno strumento di rating sociale come prodotto complementare al rating finanziario. Il rating sociale fornisce un’opinione sulla capacità dell’IMF di mettere in pratica la sua missione sociale e di raggiungere obiettivi sociali, e si fonda su una profonda analisi del sistema di gestione delle performance e su una valutazione dei suoi risultati (output). L’introduzione del rating sociale contribuisce in vari aspetti a mantenere elevata l’attenzione circa la performance sociale. In particolare l’utilizzo del rating sociale aumenta la trasparenza nel campo della microfinanza, grazie ad uno strumento standard ed indipendente, riconosciuto da donatori ed investitori e consente di confrontare le performance sociali delle diverse IMF. Per le IMF l’utilizzo del rating sociale è uno strumento utile poiché fornisce un chiaro quadro diagnostico dei punti di forza e debolezza delle performance sociali allo staff, al management e alla governance. Nel complesso quindi esso rappresenta un importante passo in avanti per la creazione di un efficace sistema di monitoraggio e misurazione delle performance sociali. Inoltre facilita l’accesso al capitale finanziario. Per i portatori di interesse esterni, soprattutto per potenziali 42 donatori e investitori, il rating sociale rappresenta inoltre un appropriato strumento che fornisce informazioni utili per prendere decisioni sull’allocazione di risorse. Il nuovo trend quindi cerca di focalizzare le proprie energie per comprendere come la componente finanziaria e quella sociale possano di fatto coniugarsi in modo da migliorare entrambe75. Uno degli aspetti su cui si è maggiormente concentrata l‘attenzione negli ultimi anni, riguarda la protezione dei consumatori. Argomenti controversi come gli elevati tassi di interesse e il sovra-indebitamento dei clienti, hanno destato preoccupazione, soprattutto nei confronti di consumatori poveri in paesi come la Bolivia e il Bangladesh. Se infatti da un lato la crescente competizione, ha avuto e ha come conseguenza quella di aumentare il numero di poveri con accesso al credito e ai servizi finanziari, dall’altro ha anche mostrato comportamenti non propriamente responsabili da un punto di vista sociale. Ciò ha fatto aumentare la preoccupazione sia da parte di esperti del settore che da parte di politici e regolatori dei vari paesi. A tale proposito è stata promossa la SMART Campaign che si propone proprio di guidare il mondo della microfinanza al rispetto dei diritti dei clienti. Sono stati elaborati sei principi per garantire la protezione dei consumatori. 1. Impedire sovra-indebitamento: i clienti devono garantire un’adeguata capacità di ripagamento e senza un rischio significativo di sovra-indebitamento. Offerta di servizi diversi dal credito; 2. Pricing trasparente: pricing, termini e condizioni devono essere trasparenti, adeguatamente espressi, comprensibili; 75 Rosenberg, R., Does microcredit really help poor people?, Focus Note, CGAP, 2010 3. Appropriate pratiche di raccolta: la pratica della raccolta dei crediti non deve essere ingiuriosa o coercitiva. 4. Comportamento etico dello staff: il personale deve possedere elevati standard etici ed deve essere presente un sistema anticorruzione. 5. Raccolta delle lamentele: i clienti devono aver accesso a puntuali e recettivi meccanismi di raccolta delle lamentele; 6. Sicurezza e privacy dei dati dei clienti: la privacy delle informazioni dei clienti deve essere rispetta76. 3.4 La rivoluzione tecnologica Le innovazioni di processo e di prodotto, legate all’adozione di nuove tecnologie e in particolare di mobile banking e branchless banking, stanno aprendo nuove opportunità e, soprattutto in alcuni contesti come quello africano, stanno supportando una vera rivoluzione nell’intermediazione finanziaria. Consentendo una riduzione dei costi, queste innovazioni permettono di aumentare il numero di clienti e di raggiungere anche gli strati di popolazione più svantaggiati, sia in termini geografici (specie nel settore rurale) che in termini socio-economici, ampliando allo stesso tempo la scelta di servizi finanziari disponibili. Le IMF hanno un enorme potenziale, che inizia solo adesso ad essere sfruttato, come rete di distribuzione e finanziamento per le innovazioni alla base della piramide, innovazioni disegnate in base alle esigenze dei più poveri che possono dare un contributo significativo al miglioramento della loro vita, spesso con un impatto positivo sull’ambiente. In quest’ambito rientrano ad esempio tecnologie per la 76 Brix, L. e McKee, K., Consumer protection regulation in low-access environments: opportunities to promote responsible finance, Focus Note, CGAP, 2010. 43 produzione di energie pulite, come i pannelli solari e i digestori di biogas, o innovazioni per la purificazione dell’acqua a basso costo. Il branchless banking è un moderno sistema finanziario adottato per l'esecuzione di funzioni di carattere finanziario, caratterizzato dall’assenza di normali filiali di banche, o in combinazione con sportelli bancari, in modo da creare così molteplici opportunità per i clienti. Il branchless banking, include una serie di servizi e strumenti, che vanno dal più noto mobile banking, all’internet banking, agli ATM (Automated teller machines) e Bancomat, ai dispositivi POS (Point-of-sale), alle carte di pagamento emesse dalle banche, alla biometrica e utilizzo di palmari. I servizi offerti dal branchless banking, sono stati quindi visti come potenzialmente applicabili anche al mondo della microfinanza, proprio per la loro capacità di ridurre i costi e di ampliare la base di clienti. E’ comunque importante sottolineare le differenti specificità che caratterizzano microfinanza e branchless banking; la prima infatti si concentra principalmente sull’offerta di prodotti di microcredito e, in alcuni casi, risparmio, mentre il secondo riguarda modalità di pagamento e di trasferimento di denaro. Alcuni paesi stanno applicando il branchless banking alla microfinanza con notevole successo. Tra questi troviamo Kenya, Brasile, Filippine, Sudafrica e Tanzania. Dall’esperienza di questi primi pionieri, si è cercato di indagare se, effettivamente, i benefici teorizzati ed immaginati derivanti dall’implementazione del branchless banking alla microfinanza, si siano effettivamente realizzati. Uno dei principali effetti positivi dall’impiego di strutture branchless banking, riguarda il raggiungimento di un elevato numero di clienti a basso reddito ed esclusi dai servizi finanziari. In uno studio su otto fornitori di servizi di branchless banking effettuato dal CGAP nel 2010, risulta che solo il 37% dei clienti non avevano precedentemente non avevano accesso a servizi finanziari. A parte i casi speciali di Kenya e Brasile, dove il numero di clienti di questo tipo di servizi supera di molto il numero di persone con un conto corrente, per il resto appare evidente che, in molti altri paesi, questo tipo di servizi non ha un effetto così importante sull’accesso a servizi finanziari da parte di coloro che ne sono esclusi. In un altro studio del 2008, il CGAP ha stimato che in totale solo il 10% di clienti di servizi di branchless banking è povero. Solo il Brasile e il Kenya, a tale proposito, possono essere considerati un’eccezione. Un secondo beneficio associato al branchless banking riguarda i costi. Grazie all’impiego delle infrastrutture e dei servizi sopradescritti, i costi dovrebbero essere molto più bassi rispetto a quelli sostenuti dai sistemi tradizionali. Ricerche empiriche hanno dimostrato che i costi sono più bassi, ma probabilmente non tanto quanto ci si sarebbe aspettato. E’ stato infatti stimato che, in media, il branchless banking è più economico del 19% rispetto ai prodotti offerti tramite canali tradizionali. Dipende poi anche dal tipo di servizio offerto. In effetti, se utilizzato per servizi di risparmio e di pagamenti, questi servizi possono arrivare ad essere anche il 50% più economici dei servizi tradizionali. In ultimo, ci si aspetta, grazie all’impiego di queste tecnologie, un aumento del numero di servizi offerti. E’ infatti ormai noto che, persone a basso reddito, hanno bisogno e richiedono servizi finanziari che non siano solo legati ai pagamenti e ai trasferimenti di denaro. In mercati maturi dal punto di vista del branchless banking - come quello del Kenya e del Brasile, dove il branchless banking ha raggiunto milioni di clienti - i fornitori di questi servizi stanno 44 rispondendo alla domanda di altri servizi creando partnership con IMF e banche, in modo da fornire nuovi prodotti, come prestiti e assicurazioni, attraverso strumenti tecnologici, come le carte prepagate. In Kenya M-PESA, un fornitore di servizi di trasferimento di denaro tramite servizio di telefonia cellulare, ha creato accordi con diverse istituzioni per collegare servizi finanziari a quello di trasferimento, da loro offerto. Nel 2009 Faulu, la prima istituzione trasformata in deposit taking in Kenya, ha stretto un accordo con M-PESA per veicolare i risparmi dei clienti di Faulu attraverso l’utilizzo della loro tecnologia. In precedenza, molte persone utilizzavano già M-PESA, adoperando un servizio di risparmio che però non comprendeva nessun tasso di interesse. In questo modo, invece, i clienti ricevono un tasso di interesse e hanno un vero e proprio conto di risparmio. Uno dei sistemi più utilizzati è quello del mobile banking che fornisce servizi bancari attraverso i telefoni cellulari che utilizzano l'impianto di SMS o di una applicazione scaricabile per la gestione del denaro. Se in paesi come Kenya, Brasile, India, Filippine e Tanzania questo sistema ha riscontrato un enorme successo, in altri paesi sono sorti problemi legati alla mancanza di operatori di telefonia mobile disposti ad implementare sistemi di questo genere. Diverse esperienze hanno tuttavia dimostrato come l’utilizzo del mobile banking applicato alla microfinanza per rimborsare le quote del credito ed effettuare depositi presso i propri conti - possa diminuire i costi per le IMF e rendere anche più sicure le transazioni. I potenziali benefici derivanti dall’impiego del mobile banking in microfinanza riguardano quindi un aumento dell’accesso di clienti e la maggior facilità nell’utilizzare uno strumento che consente un trasferimento immediato delle risorse. Negli ultimi anni, l’entusiasmo attorno ai servizi bancari sta aumentando e si sta rapidamente trasformando in azione da parte del settore privato. Delle 79 piattaforme di distribuzione tramite telefonia cellulare monitorate dall’Associazione GSM (GSMA), i due terzi sono state lanciate nel 2009 e 2010. Nokia e Paypal stanno investendo in piattaforme di pagamento tramite cellulare da mettere a disposizione di qualsiasi cliente, indipendentemente della sua rete di telefonia cellulare o banca; uno sviluppo, questo, che potrebbe scuotere i mercati. E i leader nel branchless banking stanno esplorando nuove opportunità. Le banche brasiliane sono sempre più desiderose di avvalersi di agenti dotati di point-of-sale (POS) come dispositivi per erogare prestiti. In Kenya, Safaricom ha collaborato con Equity Bank, la maggiore banca del paese, per offrire M-Kesho, un servizio che utilizza la piattaforma di telefonia cellulare per pagamenti di M-PESA al fine di offrire una gamma completa di prodotti77. 77 McKay, C., e Pickens, M., Branchless banking 2010: who’s served? At what price? What’s next?, Focus Note, CGAP, 2010. 45 4. LA MICROFINANZA IN EUROPA 4.1 La situazione attuale La microfinanza in Europa si sta progressivamente dimostrando uno strumento essenziale delle politiche sociali; un importante mezzo di promozione dell’auto-impiego, di supporto nello sviluppo della microimpresa e di contrasto all’esclusione finanziaria. Il ruolo della microfinanza nel nostro continente è stato riconosciuto anche a livello delle istituzioni europee: la Commissione Europea, attraverso il lancio di iniziative quali il programma JASMINE e la Progress Microfinance Facility ha assunto un ruolo primario nello sviluppo del settore in Europa. BOX 4.2: Il programma Progress Microfinance Facility Il programma punta ad agevolare l'accesso al credito da parte delle microimprese attraverso l’erogazione di microcrediti alle piccole imprese e a chi ha perso il lavoro e vuole avviare una piccola impresa. Con una dotazione iniziale di 100 milioni di euro, verranno mobilitati finanziamenti per un importo di 500 milioni di euro in cooperazione con istituzioni finanziarie internazionali quali il gruppo BEI (Banca Europea per gli investimenti). Ciò potrebbe tradursi in circa 45 mila prestiti in un periodo massimo di 8 anni. Enti di erogazione locali sono banche, piccoli istituti di credito senza fini di lucro, istituti di garanzia e altri erogatori di micro-finanziamenti per le microimprese. Il Fondo Europeo per gli investimenti fornirà a questi BOX 4.1: L’iniziativa JASMINE JASMINE è un acronimo il cui significato è "Azione soggetti le risorse necessarie per raggiungere i comune a sostegno degli istituti di microfinanza in La Europa". Si tratta di una delle quattro nuove iniziative PROGRESS tende inoltre ad assistere i (potenziali) di ingegneria finanziaria introdotte dalla politica di microimprenditori e rafforzare le capacità dei micro coesione dell'UE per il periodo 2007-13. Con un finanziatori. Lo Strumento si integrerà quindi con gli bilancio complessivo di 50 milioni di euro, altri dispositivi esistenti, in particolare il Fondo JASMINE sociale Europeo (FSE). è un'iniziativa pilota sviluppata destinatari. componente Microfinance del programma congiuntamente dalla Commissione Europea, dalla Banca Europea per gli investimenti (BEI) e dal Fondo Europeo per gli investimenti (FEI). JASMINE è stata pensata per le microimprese e le persone soggette a emarginazione sociale (comprese le minoranze etniche) che desiderano avviare una propria attività, ma non possono accedere ai servizi bancari tradizionali: l'iniziativa cioè è diretta al segmento del mercato meno appetibile per le banche, e si propone di rendere più facilmente accessibili i piccoli prestiti (microcrediti) in Europa, per soddisfare la domanda inevasa. Nell'UE, per "microcredito" si intende un prestito L’ultima indagine sul settore della microfinanza in Europea condotta nel 2009 dalla Rete Europea della Microfinanza, censisce 432 programmi1. Quelli censiti in Italia sono 94, una concentrazione nettamente superiore rispetto agli altri paesi europei, anche se – come vedremo in seguito – a tale proliferazione del settore non ha fatto seguito una crescita proporzionale del numero di beneficiari serviti. Il numero di programmi di microfinanza censiti comprende le maggiori esperienze del settore a livello europeo ma non esaurisce il più vasto inferiore ai 25.000 euro, ma in genere la media è di 10.000 per i 15 vecchi Stati membri e di 3.800 per 12 nuovi. 1 Barbara Jayo; Anabel Gonzalez; Casey Conzett, Overview of the microcredit sector in the European Union, EMN, 2010 46 scenario di esperienze locali o informali che, pur non avendo un grande rilievo in termini di numero di beneficiari raggiunti, hanno tuttavia una certa importanza nei processi locali d’inclusione sociale e finanziaria. Nello studio, il campione, rappresentato da 170 Istituzioni di Microfinanza (IMF), ha erogato nel 2009 un totale di 84.523 prestiti (di cui 1.909 in Italia, erogati dalle 33 IMF del campione per una media di 58 crediti per istituzione) per un valore di 828 milioni di euro (di cui in Italia quasi 11 milioni). Le IMF dell’Est Europa hanno concesso il 26% dei crediti per un valore pari al 40% del totale. Nell’Europa Occidentale, tale rapporto è invertito: 74% dei crediti per un valore totale pari al 60%. Ciò significa che nei paesi appartenenti a quest’ultima area, tra cui l’Italia, l’ammontare medio per credito erogato è più bassa in rapporto all’area orientale. I dati sul numero dei crediti erogati nel 2009 per paese (GRAF.1), così come il numero di clienti attivi nello stesso anno (GRAF.2), forniscono un’immagine chiara dello sviluppo del settore nei diversi contesti considerati. Rispetto al primo indicatore, risulta evidente la posizione prevalente della Francia con ben 28.863 crediti. Qui, il mercato è dominato da due istituzioni: France Initiative (48,7% dei crediti erogati nel 2009 a livello nazionale) e l’Association pour le droit à l’Initiative Economique - ADIE (48,5%). Un numero così elevato di beneficiari e una tale concentrazione di mercato sono elementi caratteristici di un settore ormai maturo (ADIE opera nel paese da vent’anni), caratterizzato da istituzioni che operano a livello nazionale con forte radicamento locale, con metodologie e prodotti adatti al mercato di riferimento anche se in alcuni casi a condizioni ancora sussidiate. E’ questo il caso di France Initiative che nel 2009 ha erogato 133 milioni di euro a tasso zero grazie alla stretta collaborazione con il settore pubblico, banche e privati. TAB. 1: Numero di crediti erogati nel 2009 Fonte EMN (2009) Una conferma del livello di sviluppo del settore risulta dall’analisi comparata tra i diversi paesi europei del numero di clienti attivi. Anche in questo caso, quello francese risulta essere il mercato più esteso con 70.252 clienti attivi, seguito da Finlandia (19.600) e Romania (15.163). Molto inferiore il portafoglio attivo dei programmi di microfinanza in Italia, pari a 2.146 clienti, nonostante, come osservato in precedenza, l’elevato numero di programmi esistenti sul territorio italiano. 47 I limiti sulla sostenibilità del settore in termini economici sono dimostrati dal numero di crediti erogati nel 2009 per organizzazione. Il 57% delle istituzioni ha concesso meno di 50 crediti e solo il 13%, in Francia, Germania e Spagna, più di 400. Questi dati indicano come molte istituzioni europee siano ancora giovani o si siano appena affacciate sul mercato, non raggiungendo un volume di attività sufficiente a consentirne la sostenibilità. TAB. 2: Numero di clienti attivi nel 2009 giorni dalla richiesta formale; il 21% da 11 a 20 giorni e il 19% oltre i 30 giorni; solo il 26% è in grado di erogare il credito entro 10 giorni dalla richiesta. Il margine economico è ancor più ridotto se si considera che il tasso d’interesse medio applicato dal campione considerato dallo studio di EMN (TAB. 3) è relativamente basso (9% a livello europeo e 3,7% in Italia) e l’ammontare medio (TAB. 4) molto ridotto (9.600 euro a livello europeo e poco più di 6 mila euro in Italia). TAB. 3: Importo medio Fonte: EMN 2009 A ciò va aggiunto che la percentuale media di persone non-bancabili raggiunte dalle istituzioni europee è molto elevata (70%). Tale percentuale è ancora più elevata in Belgio, Regno Unito e Italia, dove i soggetti non-bancabili raggiungono rispettivamente il 94%, l’83% e l’81% della popolazione servita. Si tratta di un target particolarmente difficile da servire, che richiede tempi di lavorazione (pre-istruttoria, istruttoria, servizi di accompagnamento) molto lunghi e una struttura operativa pesante e capillarmente presente sul territorio. Il 31% delle istituzioni riesce ad erogare il credito solo dopo 20-30 Fonte: EMN (2009) L’impatto di tali limiti sulla sostenibilità economica del settore sono evidenti: solo il 60% delle microfinanziarie europee ha raggiunto l’autosufficienza operativa. In particolare in Italia tale indice è molto basso ed è pari ad appena il 21%. Sotto il profilo della personalità giuridica il panorama a livello europeo è molto diversificato. Gli attori della microfinanza sono infatti prevalentemente fondazioni o ONG (26%) e per il 23% istituzioni di varia origine 48 quali associazioni di microfinanza ed enti religiosi (in particolare in Italia). Più in generale circa il 60% delle istituzioni sono organizzazioni non-profit. TAB. 4: Tasso di interesse medio Rispetto al target raggiunto, abbiamo già evidenziato come nella gran parte dei casi si tratti di soggetti non bancabili (70%). Rispetto all’attività svolta (TAB. 5), si tratta spesso di imprese in fase di avviamento (78%), attività quasi mai finanziata dal settore bancario tradizionale. In altri casi si tratta di microimprese già avviate o in fase di preavviamento. In quest’ultimo caso l’IMF fornisce le risorse finanziarie necessarie per realizzare il business plan. Un’ampia fascia di beneficiari (24%) appartiene al settore informale, nonostante le difficoltà nel contesto europeo ad operare nei confronti di tale tipologia di soggetti. TAB. 5: Tipi di attività finanziate Fonte: EMN (2009) Le banche commerciali sono sempre più presenti nel settore della microfinanza e coprono una fascia di mercato più alta rispetto a quella caratteristica delle ONG: l’ammontare medio erogato è spesso vicino alla soglia dei 25 mila euro e il target è per il 60% rappresentato da soggetti rientranti nella categoria dei “bancabili”. I crediti attivi erogati dal settore bancario rappresentano il 40% del portafoglio totale a livello europeo e il numero di beneficiari attivi servito dalle banche è circa il 7% del totale. I paesi nei quali il settore bancario sta giocando un ruolo sempre più rilevante sono l’Ungheria (9.500 crediti erogati nel 2009), la Spagna (4.190 crediti erogati nel 2009) e la Romania (1.047). In Italia i crediti erogati direttamente dal settore bancario (le due banche italiane che hanno partecipato allo studio di EMN sono Banca Popolare Etica ed Emilbanca) sono 165. Fonte: EMN (2009) Le categorie servite corrispondono alle fasce di popolazione più esposte ad esclusione sociale ed economica. Il 47% delle IMF ha come target persone non bancabili o soggette ad esclusione bancaria ossia prive di conto corrente o comunque che non hanno accesso a uno o più servizi finanziari considerati essenziali in Europa per la partecipazione alla vita economica. Un’attenzione particolare è riservata al genere. Il 44% dei programmi di microfinanza europei indica come target privilegiato le donne. In particolare, in Francia nel 2009, sono stati 49 erogati 10 mila crediti a favore di tale fascia di popolazione (2 mila in Spagna, 1.400 in Finlandia e 761 in Italia). Le IMF europee si dimostrano inoltre sensibili ai bisogni dei migranti e delle minoranze etniche (41%). In Francia nel 2009 sono stati erogati più di 5.500 crediti in questa fascia; 2.300 in Spagna e 564 in Italia. Tuttavia va segnalato che in paesi quali la Germania, l’Olanda o il Regno Unito, con un’elevata presenza di immigrati, il numero di crediti a questo target è particolarmente basso (rispettivamente: 106, 105 e 50). Rispetto alle condizioni e alle caratteristiche dei servizi e prodotti offerti, accanto al dato già riportato sul tasso d’interesse, si registra una certa variabilità in termini di durata media del credito, pari a 3 anni nel 35% dei casi, 5 anni nel 21%, 4 anni nel 16%, 2 nel 15% e 1 nel 6% dei casi. Solo l’8% dei crediti ha una durata media uguale o superiore ai 6 anni. Il rischio di credito viene spesso mitigato attraverso la richiesta ai beneficiari di garanzie di diversa natura. Questo aspetto è particolarmente curato dalle IMF dell’Europa Orientale, più attente all’autosufficienza economica rispetto alle omologhe dell’Europa Occidentale. Tuttavia va considerato che spesso la disponibilità di garanzie è l’elemento discriminante tra soggetti bancabili e non. Per tale ragione, ben il 59% delle IMF europee non richiede alcun tipo di garanzia, sia essa reale o di firma. In altri casi la garanzia, non resa disponibile da parte del beneficiario, viene invece concessa attraverso fondi di garanzia esterni, solitamente creati grazie all’intervento pubblico, sia a livello nazionale (fondi regionali o nazionali) che europeo (Programma di garanzia dell’UE). In altri casi la garanzia può essere messa a disposizione da soggetti privati quali fondazioni o associazioni. La garanzia di gruppo, molto diffusa in altri contesti, non è invece diffusa in Europa (25%) a causa delle difficoltà di introdurre nei paesi considerati la metodologia del credito di gruppo, utilizzata solo dal 16% delle istituzioni. La metodologia più diffusa risulta essere quella del prestito individuale (88%). Il 42% delle istituzioni oltre al credito offre altri servizi di tipo finanziario e non. Per il 53% delle istituzioni i prestiti “sociali”, ossia non rivolti allo sviluppo d’impresa ma al superamento di situazioni momentanee di difficoltà economica o finanziaria, rappresentano il 50% del portafoglio attivo. Alcune istituzioni completano la gamma di prodotti offerti grazie a servizi di money transfer, assicurazioni, prodotti di risparmio e garanzie. La gran parte delle istituzioni in Bulgaria, Ungheria e Italia offre servizi di educazione finanziaria e, spesso attraverso organizzazioni convenzionate, servizi di accompagnamento tecnico per l’avvio o lo sviluppo d’impresa. I business development services (BDS) rappresentano più in generale una componente considerata importante da buona parte delle microfinanziarie europee. Le metodologie utilizzate e i servizi offerti si traducono in un ancora basso livello di qualità del portafoglio sia in termini di tasso di rimborso che di portafoglio a rischio. Il settore della microfinanza risulta essere ancora fortemente dipendente da fonti finanziarie esterne, sia per quanto riguarda la copertura dei costi operativi e finanziari, che per l’approvvigionamento finanziario. Il settore pubblico e privato contribuiscono alla copertura dei costi con una percentuale rispettivamente del 34% e 42%, mentre solo il 60% è garantito dai ricavi operativi. 50 4.2 Buone pratiche. ADIE: l’importanza della rete territoriale. L’Association pour le droit à l’Initiative Economique – ADIE è assieme a France Initiative, il più grande programma di microfinanza europeo. Nata nel 1989 per volontà dell’economista Maria Novak, l’ADIE è un programma di microfinanza a copertura nazionale con ben 26.500 clienti attivi, un portafoglio al 31/12/2009 di 61,5 milioni di euro, un tasso di crescita del portafoglio nel 2009 del 14%. L’ADIE, rappresenta un esempio unico a livello europeo di programma di microfinanza a dimensione nazionale. Grazie alla sua rete di 16 direzioni regionali e 130 antenne, il programma riesce a svolgere un’azione capillare su tutto il territorio francese. La rete territoriale può contare su un’equipe di 481 addetti e ben 1.530 volontari, vera anima dell’organizzazione. Questi ultimi dedicano a questa attività di volontariato 3,8 giorni al mese, pari a ben 1/3 della forza lavoro dell’ADIE. Si consideri che il valore economico attribuito ad una giornata di lavoro di un volontario dell’ADIE è di circa 315 euro e il valore complessivo del lavoro svolto a titolo volontario nel 2009 è stato pari a 15,75 milioni di euro. La maggior parte dei volontari si dedica all’accompagnamento sul territorio dei beneficiari, anche se molti di loro partecipano anche ai comitati di credito o si occupano di mansioni amministrative. Tutti i membri del consiglio d’amministrazione sono volontari. I volontari sono costantemente formati e nel 2009 l’organizzazione ha dedicato a tale attività 1400 giorni a favore di 630 persone. Grazie alla presenza dei servizi di prossimità offerti dalla rete territoriale, l’azione dell’istituzione risulta particolarmente efficace, soprattutto se paragonata ad altri programmi anche di grandi dimensioni a livello europeo. Il tasso di non rimborso era a fine 2009 l’8,3%, i prestiti cancellati erano il 2,2%; il PAR>30 era al 6,58 nel 2008 e 8,36% nel 2009. La forte collaborazione tra IMF e società civile nel successo del modello proposto dall’ADIE è dimostrata anche dalla partecipazione al programma da parte degli enti pubblici sia centrali che locali. I finanziamenti pubblici rappresentano il 60% del budget dell’organizzazione. Di questi, il 20% provengono dalle Regioni, il 19% da enti pubblici nazionali di varia natura, il 18% dallo Stato, il 16% dai Dipartimenti e il 5% dai Comuni. Il restante 22% deriva da fondi europei. La convenienza per il settore pubblico allo sviluppo del programma è dimostrato dai risultati ottenuti in termini di ricadute sociali per la collettività. L’ADIE ha infatti da sempre sostenuto l’importanza di una misurazione delle esternalità sociali (in particolare sull’occupazione) del programma ed è quindi oggi in grado di determinare il risparmio per il sistema nazionale e locale di welfare derivante da una sua azione sul territorio: in seno al programma ADIE, il costo dell’accompagnamento alla creazione di un’impresa è in media di 1.660 euro; i costi diretti di un disoccupato per la collettività sono pari a 13.800 euro all’anno, che salgono a 34.000 euro, se si considerano i costi indiretti. 4.3 Buone pratiche. Il social lending. Il social lending, spesso definito anche come peer-to-peer lending, consiste in uno scambio finanziario che avviene direttamente tra persone fisiche, senza alcuna intermediazione da parte di istituzioni finanziarie di tipo tradizionale ma attraverso l’utilizzo di una piattaforma tecnologica accessibile attraverso internet. Il social lending sfrutta l’opportunità data da 51 Internet di superare i confini delle comunità chiuse e localizzate per formare comunità virtuali a livello nazionale o internazionale unite dalla comunione e/o funzionalità reciproca di interessi. Nella maggior parte dei casi non sono richieste garanzie per l’ottenimento del credito. Questo elemento, assieme all’ammontare ridotto del credito e alla velocità di erogazione, è il principale fattore che accomuna il modello del social lending ai principi di base della microfinanza. Attraverso la piattaforma su internet i prestatari (coloro che richiedono un prestito) e i gli investitori (coloro che prestano il proprio denaro ad altri) possono interagire direttamente tra loro, senza ricorrere ad intermediari, ottenendo così condizioni migliori per entrambi: tassi più bassi per chi ottiene il prestito e interessi più alti per chi presta denaro. Nel modello operativo sviluppato ad esempio da Zopa, il merito di credito viene classificato (A+, A, B o C) dal personale di Zopa sulla base delle informazioni immesse nel sistema dai richiedenti stessi attraverso la piattaforma in internet. Dal lato dell’offerta gli investitori fanno contemporaneamente sul sito le loro offerte relativamente all’importo che intendono prestare e al rendimento atteso. Il richiedente valuta quindi i tassi offerti che saranno tanto più alti quanto più elevato sarà il suo profilo di rischio. Allo scopo di frazionare il rischio di credito in capo ad ogni beneficiario, gli investitori di Zopa prestano solo piccole porzioni ad un singolo richiedente. Zopa partecipa a tutti i prestiti con una quota di 10 euro. In caso di accettazione, il richiedente firma il contratto di prestito riconoscendosi debitore dei prestatori e di Zopa che applicherà una commissione sia al debitore che al creditore. Nonostante in Italia il social lending abbia subito una significativa battuta d’arresto nel 2009 a causa della sospensione da parte di Banca d’Italia del maggiore operatore (Zopa Italia), in Europa questo modello ha avuto una significativa espansione negli ultimi tre anni. La crescita del peer- to- peer lending è da attribuirsi oltre che ad una maggiore conoscenza del modello presso il pubblico anche alla contrazione dell’attività creditizia da parte delle banche dovuta alla crisi internazionale. In molti paesi questo servizio ha consentito ad ampie fasce di popolazione di accedere al credito altrimenti non disponibile. A gennaio 2009 i maggiori operatori europei avevano erogato crediti per circa 119 milioni di USD2. La sola Kokos (Polonia) a un anno di avvio delle attività, aveva erogato circa 57,9 milioni di USD. Il volume erogato da Zopa era pari a 45,6 milioni di USD. Anche il rendimento per gli investitori e la performance del modello sono incoraggianti. La tedesca SMAVA, lanciata nel 2007 e che a marzo 2009 aveva erogato 1.350 crediti per un totale di 7,9 milioni di euro, già nel 2008, in piena crisi internazionale, poteva offrire al 99% dei suoi 2.500 investitori un guadagno netto di 210 euro, mentre per l’1% di essi che ha subito una perdita essa è stata di appena 60 euro. Il ROI nel 2008 era compreso tra il 5% e il 10%. 2 A. Ashta and D. Assadi, An Analysis of European Online microlending Websites, CEB Working Paper N° 09/059, 2009 52 5. IL CASO ITALIANO 5.1 Il contesto e le caratteristiche della domanda Con riferimento al contesto italiano, la domanda per servizi di micro finanza espressa da due principali categorie di attori: - Individui o famiglie a basso e bassissimo reddito; Imprese di piccole e piccolissime dimensioni. risulta essere molto vasta ma ancora scarsamente soddisfatta. Mentre nei paesi economicamente poveri, il settore della microfinanza ha affinato strumenti in grado di raggiungere e spesso soddisfarei target, in contesti più complessi, quale quello italiano, il mercato non è stato sinora in grado di elaborare un’offerta altrettanto inclusiva. Le ragioni della distanza tra domanda e offerta nel settore della microfinanza nel nostro Paese, sono da ricercarsi principalmente nei seguenti fattori chiave: - - 3 Complessità e rigorosità della normativa italiana in materia di regolamentazione dell’attività creditizia, raccolta del risparmio ed erogazione di servizi assicurativi; Mancanza di metodologie adattate al contesto socio-economico italiano di valutazione del rischio di credito e di attenuazione, a costi sostenibili, delle asimmetrie informative3 tra ente erogatore dei servizi e beneficiario; Il razionamento del credito nei confronti delle famiglie e delle piccole e micro-imprese è imputabile in buona parte alle difficoltà per gli enti erogatori di acquisire di informazioni sufficienti e a buon mercato sui richiedenti il credito. La finanza tradizionale non è in grado attualmente di disporre di strumenti in grado di superare tale problema. Conseguentemente, - - Difficoltà da parte dei potenziali beneficiari ad attivare una rete sociale forte in grado di sostenere la richiesta di credito attraverso fideiussioni e garanzie morali4; Importo limitato del credito che non consente agli istituti erogatori di generare ricavi sufficienti a coprire i costi sostenuti per valutare la pratica di credito e per monitorare il cliente prestatario. Nei paragrafi che seguono analizzeremo i bisogni in ambito finanziario che emergono dalle due categorie individuate, stabilendo sia per individui e famiglie che per le imprese, le dimensioni del mercato e le caratteristiche del target sulle quali l’offerta dovrebbe fare leva per migliorare il livello d’accesso ai servizi. L’esclusione finanziaria è un tema che sta acquistando sempre più rilevanza nell’opinione pubblica, nella comunità scientifica, ma soprattutto nelle politiche dei principali attori istituzionali nazionali e sovranazionali. L’analisi delle relazioni tra credito e povertà e tra emarginazione sociale ed esclusione finanziaria porta a considerare la microfinanza in Italia – così come in Europa – fra gli strumenti di welfare più efficaci e utili. L’Italia si caratterizza (TAB. 1) per una presenza accentuata di livelli di povertà (assoluta e relativa), di disuguaglianza economica e di esclusione finanziaria. Tutti e tre questi indicatori sono rivelatori di un forte disagio sociale. Strumenti adeguati che favoriscano l’inclusione finanziaria potrebbero contribuire sensibilmente a migliorare il livello per coprire un rischio di credito difficilmente quantificabile, gli istituti di credito richiedono ai beneficiari di presentare garanzie reali che spesso non hanno. 4 La metodologia del group lending utilizzata in microfinanza in molti contesti extraeuropei – e analizzata nelle pagine precedenti - risulta inadatta alla clientela nel nostro Paese. 53 di inclusione sociale e di lotta alla povertà e alle sperequazioni. TAB. 1: Esclusione sociale e finanziaria in Italia Italia Famiglie rischio povertà Esclusione finanziaria Disuguagl. distributiva a di Indicatori e Fonti Entro il 20% superiore alla Linea standard (dati 7,9% ISTAT, La povertà in Italia 2009) I bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2008 11% (Banca d’Italia 2009, Supplemento del bollettino statistico) Coefficiente di Gini: min 0 – max 100 (ISTAT, 31% Distribuzione del reddito delle famiglie italiane, 2009) Nel rapporto sulla fornitura dei servizi finanziari e la prevenzione dell’esclusione finanziaria, pubblicato nel 2008, la Commissione Europea sottolinea la profonda interazione tra l’esclusione sociale e quella finanziaria: “Se la prima quasi automaticamente conduce alla seconda, l’esclusione finanziaria fa parte di un processo che rinforza il rischio di far fronte all’esclusione sociale. Essere oggettivamente esclusi o sentirsi tali può avere origine o essere rinforzato dalla difficoltà di accesso o di utilizzo dei servizi finanziari”. Quattro sono le aree fondamentali di accesso finanziario identificate nel rapporto. La prima e più elementare forma di esclusione è la mancanza di accesso al sistema bancario nel suo complesso, in particolare per quanto riguarda le transazioni bancarie. Il mancato accesso a tale tipologia di prodotti è fortemente stigmatizzante. Inoltre, l’accesso al sistema finanziario formale di base costituisce la chiave d’ingresso ad altri servizi finanziari (es. credito) e riduce fortemente i rischi legati alla gestione del denaro contante (es. furto). La mancanza di accesso a un conto ove riporre i propri depositi costituisce la seconda forma di esclusione finanziaria. Le cause principali dell’esclusione da tale servizio sono la mancanza di documenti d’identificazione (es. nel caso di persone immigrate), il costo del servizio, la complessità delle procedure d’accesso, la mancanza di risparmio o di abitudine a risparmiare e la diffidenza nei confronti delle banche per ragioni culturali e sociali. La terza forma di esclusione, la più diffusa, è quella creditizia. Il rapporto della Commissione Europea prende in esame il credito fornito alle famiglie per l’accesso a beni e servizi essenziali (credito d’emergenza e al consumo). Il credito viene considerato “un importante strumento finanziario che permette l’accesso a beni o spese che eccedono il budget mensile (es. veicoli di vario tipo, casa, arredamento, ecc.)”. L’accesso al credito favorisce la mobilità, la formazione professionale e il miglioramento delle condizioni abitative, che contribuiscono positivamente alla salute e all’auto-stima. Tutto ciò eventualmente conduce all’innalzamento del reddito personale e a un più ampio accesso ai servizi pubblici. La mancanza di accesso al credito, sia in forma di prestiti, sia tramite il possesso di carte di credito o di autorizzazione allo scoperto bancario, è causa, oltre a una maggiore avversità al rischio, anche di ricorso a sistemi di credito alternativi (es. finanziarie) che possono portare al sovraindebitamento o a sistemi di credito informali (es. usura), che offrono condizioni fortemente svantaggiose, aggravando la posizione di chi già vive nella precarietà. La quarta e ultima area di esclusione finanziaria identificata nel rapporto è relativa al campo assicurativo. Mentre alcuni tipi di assicurazione sono obbligatori nei paesi UE (es. RCA auto), altri, come quella sanitaria o integrativa della 54 pensione, stanno assumendo una crescente importanza a causa dell’indebolimento del sistema di welfare europeo. La povertà relativa, definita come una carenza di risorse rispetto ad una situazione media o normale della popolazione di riferimento, viene misurata in Italia dall’ISTAT attraverso un’indagine campionaria sui consumi delle famiglie. L’Istituto centrale di statistica approssima lo standard di vita attraverso i consumi in quanto ritenuti un indicatore migliore del reddito, perché tengono conto, ad esempio, del possibile utilizzo di risparmi accumulati o dell’accesso al credito per acquisire beni in un anno di reddito più basso. Sono considerate povere quelle famiglie i cui consumi pro capite sono equivalenti a meno della metà del consumo medio pro capite nazionale. Nel 2009, la soglia di povertà per una famiglia di due componenti risultava pari a 983,01 euro mensili (-1,7% rispetto al valore della soglia del 2008), cioè 11.796,12 euro annui. Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa media mensile pari o inferiore a tale valore vengono quindi classificate come relativamente povere. Per famiglie di ampiezza diversa, il valore della linea si ottiene applicando una opportuna scala di equivalenza che tiene conto delle economie di scala realizzabili all’aumentare del numero di componenti. In Italia, le famiglie che nel 2009 si trovavano in condizioni di povertà relativa erano 2 milioni 657 mila e rappresentano l’10,8% delle famiglie residenti. Nel complesso erano 7 milioni 810 mila gli individui poveri, il 13,1% dell’intera popolazione. Particolarmente critica risulta essere la situazione di soggetti che non sono inseriti in una rete sociale e parentale forte: i cosiddetti single, siano essi giovani o anziani, sono ancor più esposti al rischio di povertà relativa. Per quanto riguarda l’esclusione finanziaria, oltre alle rilevazioni europee, un quadro di dettaglio può essere tratto dall’indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia. L’indicatore di riferimento è il possesso o meno del più basilare tra i servizi finanziari, il conto corrente bancario o postale. Nel 2008, ultimo anno disponibile, l’89% delle famiglie italiane, che in tutto sono 22,8 milioni circa, possedeva un deposito bancario o postale. Di conseguenza ne era privo il 10% del totale, cioè circa 2 milioni 462 mila famiglie. Il dato risulta in calo rispetto alle rilevazioni precedenti: nel 2002 la percentuale di esclusi era del 14,1%, nel 2004 del 13,7%. L’indicatore mostra quindi un incremento del grado di bancarizzazione della popolazione, mentre la quota di esclusione finanziaria tende ad allinearsi al dato della povertà relativa, intorno all’11%. Questa tendenza porterebbe a concludere che la migliorata bancarizzazione non coincide con una riduzione dell’esclusione finanziaria e conseguentemente con una minore povertà relativa. Tenendo conto che, nell’indagine della Banca d’Italia, le caratteristiche individuali sono riferite al “capofamiglia”, cioè al maggior percettore di reddito all’interno del nucleo famigliare, la fotografia del grado di fiducia delle famiglie italiane rispetto all’utilizzo delle diverse forme di risparmio, è delineata in base a reddito, condizione professionale e area di residenza: • Fino al secondo quintile, nelle classi di reddito inferiori, i buoni fruttiferi postali sono lo strumento più diffuso dopo i depositi; oltre il terzo quintile, quindi per le famiglie a reddito medio – alto, titoli di 55 • • stato, obbligazioni e fondi comuni hanno un ruolo più significativo; Nelle famiglie il cui capofamiglia è operaio, analogamente i buoni fruttiferi postali sono lo strumento più usato dopo i depositi; le famiglie con capofamiglia pensionato si rivolgono principalmente (circa il 12%) ai titoli di stato, mentre i nuclei con capofamiglia impiegato (17%), dirigente (32%) o lavoratore autonomo (18%) optano prevalentemente per obbligazioni e fondi comuni. Le famiglie con capofamiglia imprenditore (11%) o dirigente (21%) investono più frequentemente in azioni; Tra le famiglie del Sud e delle Isole si registra una più contenuta diffusione dei depositi rispetto alla media nazionale (75% contro l’89 %), a fronte di una maggior detenzione di buoni fruttiferi postali. Anche il possesso di titoli di Stato, obbligazioni e fondi comuni è inferiore alla media nazionale. In particolare, azioni e altre partecipazioni sono quasi assenti. 5.1.1 Il caso degli immigrati In Italia, secondo il rapporto Caritas-Migrantes 2009, sono presenti circa 4,5 milioni di immigrati regolari, tra comunitari ed extracomunitari, il 7% della popolazione. La collettività più numerosa è diventata quella rumena, con oltre 796 mila presenze regolari, seguita dagli albanesi (441 mila) e dai marocchini (403 mila). Il flusso è in crescita: tra il 2005 e il 2007 ci sono state 1 milione e mezzo di domande di assunzione di lavoratori stranieri da parte di aziende e famiglie italiane. Tra i dati da ricordare, l’aumento degli imprenditori immigrati: si contano 187.4665 titolari d’impresa 5 Nota metodologica su dati CARITAS/MIGRANTES: la principale fonte di dati è l‘archivio Infocamere dell’Unione di Camere di Commercio, che però presenta una fondamentale (il 90% concentrata nell’Italia centro settentrionale). Come tra la popolazione italiana in generale, anche tra gli immigrati in questi anni è cresciuta la bancarizzazione. Secondo il più recente rapporto ABI-CESPI6, i migranti dei paesi non OCSE con conto corrente sono passati da 1.058.000 nel 2005 a 1.410.000 nel 2007, con un tasso di crescita su base annua del 15%, superiore a quello della popolazione migrante nel suo insieme che è stato del 10%. Di conseguenza il 67% degli immigrati extra OCSE adulti ha un conto in banca contro il 60% di due anni prima. Secondo una recente ricerca realizzata dall’ONG COSPE e finanziata dalla Regione Toscana, che ha coinvolto un campione di 674 migranti in tre regioni (Toscana, Emilia Romagna e Puglia)7, un’alta percentuale di intervistati (40% con punta del 47% in Puglia) ha dichiarato di non avere un conto corrente perché non dispone di denaro sufficiente e il 18% perché sostiene di non avere bisogno della banca. Generalmente gli intervistati non bancarizzati tengono i propri risparmi a casa (29%) oppure li inviano al Paese d’origine (25%). La ricerca tuttavia rileva una domanda potenziale di servizi finanziari. Quasi il 30% dei migranti non bancarizzati trova svantaggiosa la propria situazione e ritiene che difficoltà di interpretazione dovuta al fatto che i dati raccolti sono basati sui soggetti nati all’estero individuati in base al codice fiscale. CARITAS/MIGRANTES esclude i nati all’estero di cittadinanza italiana, sia gli immigrati che sono diventati cittadini italiani; per questo si tratta di un’informazione che perfeziona, non sostituisce quella fornita da Infocamere (250 mila circa titolari di impresa registrati al 2009. 6 Rhi-Sausi, José Luis; Zupi, Marco, Banche e nuovi italiani. I comportamenti finanziari degli immigrati, Bancaria Editrice, 2009 7 Elena Volpi (A cura di), Buone pratiche di banche e istituti di credito per l’integrazione di migranti e rifugiati, COSPE, 2009 56 la mancanza di un conto comporti, ad esempio, problemi di sicurezza e difficoltà nella riscossione degli assegni. Il cliente immigrato utilizza prevalentemente i servizi finanziari di base, mentre ha, in genere, scarsa conoscenza dei prodotti di gestione del risparmio in particolare di quelli più evoluti. Più della metà ha attivato un finanziamento presso una banca: in primo luogo carte di credito, prestiti personali e mutui. A proposito dei mutui per l’abitazione, tra gli immigrati solo il 10% è proprietario della casa in cui abita, ma gli acquisti, dopo una rapida crescita nel 2007 (secondo la Caritas ne sono stati effettuati 120 mila), nel 2008 hanno conosciuto un’inversione di tendenza con un calo del 23,7% rispetto all’anno precedente. Nell’attuale congiuntura, la disponibilità economica delle famiglie immigrate si è sensibilmente ridotta, e l’aumento del costo del denaro ha reso più difficoltoso l’accesso ai mutui. Appare ancora relativamente bassa, ma in crescita, l’incidenza del credito al consumo mentre sono sotto-utilizzati i prodotti assicurativi: il 42% è titolare di un prodotto assicurativo, ma di questi ben il 60% è costituito da RC auto. Secondo la citata ricerca del COSPE8, il 26% degli intervistati ha richiesto un credito e di questi l’89% l’ha ottenuto. Rispetto al credito d’impresa, nella stessa ricerca, su 56 imprenditori intervistati, 23 non hanno chiesto prestiti alle banche ma hanno utilizzato propri risparmi o sono ricorsi all’appoggio finanziario da parte di amici o parenti. In molti casi i migranti imprenditori ritengono che sia molto difficile ottenere un credito da una banca, in particolare nel caso di imprese non consolidate o in assenza di garanzie immobiliari. In alcuni casi i migranti, consci del fatto che le banche non finanziano l’avviamento d’impresa, chiedono prestiti personali che poi vengono utilizzati per la creazione di attività imprenditoriali e ciò nonostante le condizioni siano più gravose, il termine più breve e l’importo ridotto. Questo rivela indirettamente un problema di razionamento del credito che distorce la domanda e genera problemi successivi nella capacità di rimborso e nel profilo di rischio della popolazione migrante. Secondo ABI-CESPI, gli immigrati presentano un’elevata propensione al risparmio. Il 70% dei migranti occupati riesce a risparmiare in previsione di spese future. Il 38% risparmia più di 200 euro mensili. La banca è il principale depositario del risparmio accumulato. Non è però il principale canale attraverso cui parte del risparmio, le rimesse, viene inviato nel paese d’origine. Le rimesse hanno superato nel 2009 i 6,7 miliardi di euro (pari allo 0,44% del reddito), a cui vanno aggiunti almeno altri 2 miliardi, secondo le stime più accreditate, inviati attraverso canali informali. I dati del 2009 dimostrano che nonostante uno straordinario aumento registrato nel corso dell’ultimo decennio (+1.047,5% tra il 2000 e il 2009), le rimesse sono rimaste piuttosto stabili nell’ultimo anno, con un incremento solo del 5,8%. Probabilmente un maggior riscontro della crisi si evidenzierà nei dati 2010. Nel complesso, il 52% degli invii avviene attraverso le agenzie di money transfer, il 23% attraverso il sistema bancario e il restante 25% con sistemi informali (23,3% in Toscana secondo le stime del COSPE9). Per quanto riguarda l’utilizzo a destinazione, il 26% va a spese di consumo, il 17% a spese sanitarie, il 14% a spese per l’educazione. Ai progetti imprenditoriali è destinato l’8% delle rimesse. Il flusso di risparmio proveniente dai migranti è una delle 8 9 Elena Volpi (A cura di), op. cit., 2009 Elena Volpi (A cura di), op. cit., 2009 57 principali entrate della bilancia dei pagamenti di molti paesi poveri e contribuisce all’attenuazione degli squilibri economici del paese di provenienza. Tuttora, questo flusso non è adeguatamente valorizzato come risorsa per moltiplicare gli impieghi e gli investimenti nel paese di provenienza. Attualmente una larga parte delle risorse finanziarie trasferite nei Paesi d’origine è impiegata per i consumi delle famiglie e solo una porzione residuale delle rimesse viene indirizzata al risparmio e all'investimento in ambito imprenditoriale o comunitario. La prevalenza delle rimesse per i consumi deriva principalmente da una scarsa propensione delle famiglie destinatarie a rivolgersi a istituzioni finanziarie formali (banche o istituzioni di microfinanza) e ad utilizzare strumenti di risparmio per la pianificazione dell'economia famigliare. Una diversa valorizzazione delle rimesse può essere realizzata attraverso l’utilizzo di parte dei fondi inviati periodicamente dai migranti residenti in Italia, come risorsa da accumulare sotto forma di risparmio, depositato presso istituzioni finanziarie di tipo inclusivo (Istituzioni di Microfinanza o Cooperative di Risparmio e Credito) e come fonte di investimento per la realizzazione di iniziative imprenditoriali. Questo scopo può essere raggiunto attraverso la creazione di apposite piattaforme finanziarie transnazionali che forniscano ai migranti la possibilità di accedere a servizi di trasferimento del denaro collegati a servizi di risparmio e credito nel Paese d’origine grazie all’implementazione di un modello cash to account. Secondo questo schema i migranti avranno la possibilità di attivare nel Paese d’origine diversi servizi di gestione della liquidità e del risparmio. Le rimesse inviate potranno essere infatti depositate in un conto di deposito a vista o a termine (remunerato). La possibilità di disporre di servizi di risparmio nel paese di destinazione delle rimesse produce indubbi vantaggi rispetto agli strumenti di trasferimento tradizionali, sia per il migrante che per le famiglie d'origine. Il risparmio accumulato potrà essere utilizzato: • • • • • per la realizzazione di progetti d'impresa del migrante o dei beneficiari nel Paese di provenienza; come fonte di auto-finanziamento di spese relative alla casa e altre voci di costo straordinarie della famiglia; come risorsa di riserva per affrontare spese improvvise: malattie, medicinali, funerali, ecc.; come garanzia per l'accesso al credito da parte del migrante in fase di rientro o dei beneficiari; come storico dei flussi finanziari del migrante, utilizzabile dall’istituzione finanziaria locale per verificare la capacità potenziale di rimborso in caso di erogazione di un credito a favore di un beneficiario designato dal migrante stesso. Il risparmio a termine, derivante dai flussi di rimesse dall'Italia, rappresenta inoltre per l’istituzione finanziaria nel Paese d’origine una importante fonte finanziaria di lungo periodo attraverso la quale poter aumentare la porzione di crediti verso la clientela a medio/lungo periodo, utili per finanziare investimenti in capitale fisso delle micro e PMI locali. Il livello crescente di bancarizzazione degli immigrati non si traduce però necessariamente in accesso al credito. Accede a prestiti, metà mutui e metà prestiti personali, solamente il 23% dei migranti bancarizzati. Tra gli immigrati imprenditori, gli investimenti, in media di dimensioni tra i 10 e i 20 mila euro, sono finanziati in oltre il 70% dei casi da risorse proprie, a cui, nel 16% dei casi, si affianca il 58 supporto da parte di amici e parenti e solo nel 15% dei casi il credito bancario. Il 40% degli immigrati imprenditori ha chiesto un prestito in banca: in questo caso la dimensione media supera i 30 mila euro. Due terzi di essi hanno ottenuto un finanziamento, un terzo no. Per confronto, un’indagine riferita allo start-up di impresa (in generale, a prescindere dalla nazionalità del titolare) indica che le percentuali di domande di credito respinte dalle banche si collocano in media tra il 14 e il 21% delle richieste10. 5.1.2 Inclusione e nuovo indebitamento Il maggior accesso ai servizi finanziari in Italia si è accompagnato ad una crescita dell’indebitamento delle famiglie e delle imprese, sia pur non agli stessi ritmi degli Stati Uniti. L’indice sintetico di inclusione finanziaria si attesta al 0,60, mentre l’indice di accessibilità al credito allo 0,4111. L’accelerazione dell’erogazione del credito12 da parte del sistema bancario è stata particolarmente accentuata attorno alla metà degli anni 2000. Nei primi anni del decennio, la crescita si attestava sul 5-6% annuo. Nel 2005 balza all’8% e nel 2006 all’11%, per poi collocarsi vicino al 10% nel 2007. Questo a fronte di un Prodotto Interno 10 Francesco Chelli, Alberto Zazzaro, I finanziamenti bancari allo start-up d’impresa: l’esperienza e il ruolo dei direttori di filiale, in Alberto Zazzaro (a cura di), I vincoli finanziari alla crescita delle imprese, Carocci, 2008 11 Chiara Provasoli; Angela Tanno; Gianna Zappi (a cura di), Banche e inclusione finanziaria. Accesso al credito, micro finanza e strategie operative, ed. Banca Editrice 2009. L’indice di accessibilità al credito è dato dal numero di sportelli per abitante. L’indice sintetico d’inclusione finanziaria è invece stato costruito considerando tre indici dimensionali: l’indice di accesso, di utilizzo e rischiosità del credito. 12 Indice di utilizzo del credito bancario 0,50, ABI 2009. Lordo che non cresceva più del 2%. Nel 2008 la crescita degli impieghi bancari si è dimezzata al 4,5%. Per quanto riguarda le famiglie (TAB. 2), tra il 2002 e il 2008 i mutui per la casa sono cresciuti del 132%, passando da quasi 100 a 232 miliardi di euro. La dinamica è stata a due cifre fino al 2006, ma con un ritmo decrescente: dal +26% del 2003 al +13% del 2006. Nel 2007 l’aumento si è attestato poco sotto il 9%, mentre nel 2008 è sceso al 2,4%. Il credito al consumo è aumentato, sempre dal 2002 al 2008, del 121%, balzando da 46 a quasi 102 miliardi di euro. Anche in questo caso la crescita è stata elevata verso metà decennio, con un picco del +21,6% nel 2004, ma è rimasta a due cifre (+14,3%) anche nel 2007, rallentando vistosamente al 4,1% nel 2008. TAB. 2: Le principali componenti del debito delle famiglie (valori in mld.Euro e tassi di variaz.percentuali) 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Credito al Mutui per consumo, Variazio abitazione Variazio comprese in mld. di ne annua ne annua carte di euro credito 100,0 + 18,4% 46,1 126,4 + 26,4% 50,1 + 8,6% 154,6 + 22,3% 60,9 + 21,6% 183,8 + 18,9% 72,7 + 19,2% 208,3 + 13,3% 85,6 + 17,8% 226,4 + 8,7% 97,8 + 14,3% 231,9 + 2,4% 101,8 + 4,1% Fonte: Banca d’Italia (vari anni) ed elaborazioni Microfinanza Srl È indebitato il 26,1% delle famiglie italiane, per un valore medio del debito pari a 10.486 euro, il 33% del reddito.. Il 12,8% risulta indebitato per l’acquisto di beni di consumo, l’11,6% per l’acquisto di immobili e il 3,8% per attività di 59 lavoro indipendente. La quota più elevata, pari al 39,1%, si trova nella fascia di età da 41 a 50 anni, con un debito per famiglia superiore ai 17 mila euro. Ma la quota maggiore di debito sul reddito si raggiunge nella fascia di età 31-40 anni con il 51,3% (le famiglie indebitate sono il 36,2%). Gli indebitati sono nettamente di più tra i lavoratori autonomi, 44,4% del totale con 35.747 euro di valore medio pari al 73,4% del reddito, che tra i dipendenti, 33,6% del totale con 11.041 euro di debito medio pari al 32,6% del reddito. Il debito è più diffuso tra le famiglie numerose: il 39,2% delle famiglie con 4 componenti e il 38,2% di quelle con 5 o più componenti, con un indebitamento che sfiora il 50% del reddito (49,5% per 4 componenti, 46,2% per 5 o più). Sono relativamente più indebitate le famiglie delle fasce di ricchezza superiori e quelle che vivono nelle grandi città. Restano meno indebitate – il 22,3% del totale con il 22,2% di quota del debito sul reddito – le famiglie del Mezzogiorno d’Italia. Il boom del credito al consumo è stata la principale novità degli ultimi anni in Italia. Nel 2002 il 60% delle erogazioni facevano capo alle banche e il 40% alle società finanziarie. Nel 2008 il rapporto è arrivato quasi alla parità: 51% banche, 49% finanziarie. Va ricordato, tuttavia, che delle 79 associate ad Assofin, l’associazione del credito al consumo e immobiliare, 25 sono banche, specializzate o generaliste, e altre 25 società finanziarie che fanno capo agli istituti di credito. Il credito al consumo è appannaggio del sistema bancario per quasi due terzi. Sul versante delle aziende, abbiamo preso in considerazione le “famiglie produttrici”, cioè le imprese individuali e familiari fino a 5 addetti. I dati sulle famiglie produttrici costituiscono un indicatore dell’atteggiamento delle banche verso le microimprese. I crediti a questa categoria sono passati dai 65,6 miliardi di euro del 2002 agli 90,9 miliardi del 2009, una crescita del 38,5% in sette anni. Aumenti più accentuati si segnalano nel 2003 (+8,7%) e nel 2006 (+7,6%). Nel 2007 la crescita scende al 4,7%, nel 2008 si registra una diminuzione della consistenza dei finanziamenti di oltre mezzo miliardo di euro, pari allo 0,6% in meno e nel 2009 l’aumento è del 2,02%. 5.1.3 Le conseguenze della crisi La crisi esplosa nell’estate 2007 con lo scoppio della bolla dei mutui USA subprime ha colpito anche in Italia famiglie e imprese sia sul versante dei costi che sul versante dell’accesso al credito. Sul versante dei costi hanno pesato la stretta sulla liquidità e la rapida crescita dei tassi di interesse sul mercato interbancario (Euribor), che si sono riflessi in particolare sui finanziamenti delle banche alla clientela stipulati a tasso variabile. Questo effetto, anche a seguito dell’immissione di liquidità sui mercati da parte di governi e banche centrali, si sta oggi esaurendo ma ha assestato un duro colpo ai bilanci 2008 e 2009 di famiglie e imprese. L’altra conseguenza della crisi, la stretta sull’erogazione del credito, permane tuttora. Il tasso medio effettivo sui mutui per acquisto abitazione delle famiglie è salito in Italia di oltre due punti percentuali tra il 2006 e il 200813. Al 31 dicembre 2005, per mutui fino a 125 mila euro, era pari al 3,60%. Dodici mesi dopo era cresciuto al 4,65%, al dicembre 2007 al 5,76% e al dicembre 2008 si è attestato al 5,73%, dopo aver toccato il 6% a settembre. In termini di interessi, commissioni e spese, le famiglie italiane hanno pagato nel 2006 circa 5 miliardi e mezzo di euro. Nel 2008 la cifra sfiora gli 8 miliardi, con un aumento in due anni del 46%. Considerando però l’incremento del volume dei 13 Banca d’Italia (vari anni), cit. 60 mutui nello stesso periodo, pari all’11%, l’effettivo aumento dovuto alla crescita dei tassi è stato del 35%, pari a 1,9 miliardi in due anni. Le famiglie con un mutuo a tasso variabile sono circa 3,2 milioni. L’incremento nel costo di acquisto della casa è connesso all’aumento nel 2008 dei pignoramenti immobiliari. Le associazioni dei consumatori hanno stimato una crescita annua del 22%14. Per quanto riguarda le imprese, i tassi di interesse sulle operazioni a scadenza (mutui, leasing) sono passati, tra la fine del 2005 e la fine del 2008, dal 3,70% al 6,12%, quelli sulle operazioni auto-liquidanti (sconto portafoglio) dal 4,76% al 6,48%, quelli sulle operazioni a revoca (fidi in conto corrente) dall’8,12% all8,99%. Complessivamente per le imprese l’aggravio sui conti dipendente dal solo aumento dei tassi, dedotto l’incremento dei crediti, è stato tra il 2006 e il 2008 di 11 miliardi e mezzo di euro circa, pari al 40%. Ma l’effetto più duraturo della crisi è la riduzione dei finanziamenti, soprattutto alle piccole e micro imprese (TAB. 3). Nel 2008 i crediti alle famiglie produttrici sono calati dello 0,6%, passando da 89,6 a 89,1 miliardi. Un indicatore del razionamento del credito è il rapporto tra credito utilizzato e credito accordato (TAB. 4). Tra fine 2005 e fine 2008 il rapporto cresce di due punti, dall’83,9% all’85,9%. La tensione sui fidi è segnalata anche dagli sconfinamenti, aumentati nello stesso periodo al 2,3% del credito accordato. Il rapporto tra utilizzato e accordato per le microimprese si attestava nei primi anni Duemila attorno all’80%. 14 Elio Lannutti (Adusbef), Rosario Trefiletti (Federconsumatori) (2008), Banche: si consolida boom pignoramenti immobiliari, comunicato stampa, 25 ottobre. TAB. 3: Il credito alle microimprese /valori in mld.Euro e tassi di variaz. percentuali) 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Consistenze crediti Variazione in Mld. di euro annua 65,6 + 6,7% 71,3 + 8,7% 76,1 + 6,7% 79,6 + 4,6% 85,6 + 7,6% 89,6 + 4,7% 89,1 - 0,6% 90,8 + 1,9% Fonte: Banca d’Italia (vari anni), ed elaborazioni Microfinanza Srl TAB. 4: Rapporto tra credito utilizzato e accordato per le famiglie produttrici 31/12/2009 85,23% 31/12/2008 85,89% 31/12/2007 85,12% 31/12/2006 84,49% 31/12/2005 83,86% 5.1.4 Bisogni finanziari e di servizi di supporto, delle imprese escluse in Italia In media, per le imprese, un terzo dei crediti sono affidamenti in conto corrente. Nel caso delle famiglie produttrici, il dato a fine 2008, unico disponibile, indica una quota di fidi in conto corrente pari al 25%. I mutui sono il 71% del totale, con una buona fetta (il 35%) di mutui per la casa, in imprese dove il patrimonio familiare e quello aziendale si confondono. I prestiti personali sono l’1,5% del totale, quota nettamente superiore alla media delle imprese (0,3%). Nel mondo delle microimprese e dell'autoimpiego, particolarmente ampio in Italia rispetto agli altri paesi Ocse, gli imprenditori donne 61 rappresentano il 25% del totale dei titolari. Come abbiamo visto, l'accesso ai fidi bancari è un'importante fonte di credito per le necessità di cassa di queste imprese. Ma sui fidi le microimprese con titolare donna pagano un tasso di interesse più alto rispetto a quelle con titolare uomo: in media lo 0,3% in più. Secondo uno studio condotto da Alberto Alesina e da due ricercatori della Banca d’Italia (basato sull’esame degli accessi al fido di 150 mila microimprese tra il 2004 e il 2006), il differenziale non è giustificato da un maggior rischio di fallimento e non è spiegato da differenze territoriali o da specificità settoriali. Inoltre la differenza nei tassi scende se c'è un garante uomo e sale se il garante è donna. L’ipotesi è che potrebbe trattarsi di una vera e propria forma di discriminazione basata sul convincimento, radicato ma errato, della maggiore inaffidabilità delle donne. 5.1.5 Il razionamento del credito A mettere in difficoltà le microimprese sono le condizioni per ottenere il prestito, decisamente peggiorate come emerge dalla rilevazione di febbraio 2009 dell’Osservatorio sull’imprenditoria giovanile di Confartigianato: nei tre mesi precedenti il 38,7% dei giovani imprenditori ha riscontrato maggiori difficoltà nei rapporti con le banche. Tra esse, richieste ingiustificate di rientro anticipato degli affidamenti, aumento dello spread sui tassi di interesse, richieste di maggiori garanzie, allungamento dei tempi delle procedure burocratiche15. Il rallentamento della crescita e la vera e propria diminuzione dei prestiti ai piccoli operatori economici deprime la propensione a investire 15 Giorgio Guerrini (Confartigianato) (2009), La crisi del credito costa alle imprese 12,5 miliardi l’anno, comunicato stampa, 9 febbraio. delle microimprese. Nel 2009 la quota di piccoli operatori che ha effettuato investimenti è scesa al 26,6%, rispetto al 28,7% del 2008 e al 35,4% del 2007.16 Trova così conferma la tesi sostenuta nell’ultimo rapporto “Global Economic Prospects 2009” della Banca Mondiale, secondo cui il principale meccanismo del rallentamento dell’economia sia nei Paesi ad alto reddito che in quelli in via di sviluppo passa per la caduta del tasso di investimento17. Gli investimenti “reali” sono stati spiazzati da quelli finanziari. 5.1.6 Il mercato dell’usura In Italia il numero dei commercianti coinvolti in rapporti usurari è sensibilmente aumentato: nel 2008 sono stimati in circa 180.000 rispetto ai 150.000 del 200718. Poiché ciascuno s’indebita con più usurai, le posizioni debitorie sono valutate in oltre 500.000, per un giro d’affari complessivo di 35 miliardi di euro. Di essi, 12,6 miliardi sono denaro movimentato dalle mafie, per almeno 50.000 posizioni debitorie. Gli interessi sono stabilizzati oltre il 10% mensile. Il costo complessivo per le vittime è di 15 miliardi di euro. Un terzo dei commercianti coinvolti si concentra in Campania, Lazio e Sicilia. È la Calabria, però, a presentare il più alto rapporto attivi/coinvolti. La Campania detiene il record degli importi protestati (736 milioni di euro) seguita dalla Lombardia e dal Lazio. Il Lazio è invece in testa 16 Crif Decision Solutions-Nomisma (2008), Osservatorio sulla finanza per i piccoli operatori economici, quattordicesima edizione, Roma, 26 novembre. 17 World Bank (2009), Global Economic Prospects. Commodities at the Crossroads, Washington, DC: The International Bank for Reconstruction and Development / The World Bank. 18 Sos Impresa-Confesercenti (2008), Le mani della criminalità sulle imprese, undicesimo rapporto, Roma. 62 alla classifica per numero dei protesti. Lo stesso Lazio (5,34%), la Campania (4,46%) e la Calabria (3,53%) sono le regioni con il più alto numero di protesti in rapporto alla popolazione residente. Alle aziende commerciali coinvolte vanno aggiunti altri piccoli imprenditori, artigiani in primo luogo, ma anche dipendenti pubblici, operai, pensionati, portando a oltre 600.000 le posizioni debitorie basate su patti usurari. Sono invece 15.000 le persone immigrate che si stima siano vittime o comunque coinvolte in attività tra il parabancario e l’usura vera e propria. 5.1.7 Educazione finanziaria Nella definizione che ne fa l’OCSE “l’educazione finanziaria è il processo attraverso il quale i consumatori/investitori finanziari migliorano la propria comprensione di prodotti e nozioni finanziarie e, attraverso l’informazione, l’istruzione e un supporto oggettivo, sviluppano la capacità e la fiducia necessarie per diventare maggiormente consapevoli dei rischi e delle opportunità finanziarie, per effettuare scelte informate, comprendere a chi chiedere supporto e mettere in atto altre azioni efficaci per migliorare il loro benessere finanziario”19. Si evincono quindi tre elementi caratterizzanti dell’educazione finanziaria: - Informazione per accrescere consapevolezza, Istruzione per acquisire capacità, Supporto attivo e consulenza di carattere generale, che se uniti portano alla formazione di una cultura finanziaria, necessaria data la complessità dell’attuale mercato finanziario. La sofisticazione delle attese e dei bisogni della 19 OECD, Improving financial literacy: analysis of issues and policies, 2005. clientela ha portato ad una diversificazione anche dei prodotti e servizi sempre più complessi e variegati, la cui corretta gestione può risultare ostica anche a chi possiede già un’educazione finanziaria di base. Promuovere un nuovo livello di educazione finanziaria non ha come fine soltanto la tutela dei consumatori, come si evince dalla definizione OCSE, ma soprattutto offre la possibilità di crescita del mercato e del Paese di riferimento: una maggiore partecipazione ai mercati finanziari porterebbe ad un incremento del volume delle attività finanziarie investite, che secondo una ricerca di Ambrosetti se fosse solo dell’ordine dell’1% equivarrebbe a 32,7 miliardi di euro sul Pil nazionale italiano. Una sfumatura importante della cultura finanziaria è la “responsabilizzazione” economico–finanziaria nei confronti dei risparmiatori, cioè una maturazione di un sentimento di fiducia nella propria capacità di affrontare tematiche finanziarie. Permettere agli attuali “non bancarizzati” di entrare nei circuiti finanziari accrescendo la loro consapevolezza e le loro stesse competenze in materia, può far sì che emergano dal contesto di esclusione sociale tutte quelle fasce di popolazione che fronteggiano l’inadeguatezza di fronte alle nuove tecnologie, rendendoli così in grado di agire in modo attivo e consapevole nel contesto economico e culturale (esempio: accrediti tramite domiciliazione bancaria). L’educazione finanziaria risulta quindi essere una strategia win-win sia per i consumatori che per gli operatori finanziari. 5.1.8 Servizi di accompagnamento tecnico e tutoraggio L’esperienza europea nel settore della microfinanza indica come consolidata l’opinione secondo la quale in contesti economici strutturati 63 e avanzati quali quello a cui l’Italia appartiene, i servizi di credito a favore della microimpresa debbano essere necessariamente affiancati a forme più o meno intense di accompagnamento tecnico, i cosiddetti Business Development Services (BDS). Il credito non risulta essere infatti uno strumento sufficiente ad assicurare lo sviluppo della microimpresa. Parimenti importante, per affrontare un mercato altamente competitivo e complesso, sono i servizi di assistenza tecnica, in particolare a favore di soggetti che per la prima volta intendono intraprendere un’iniziativa economica autonoma. Di conseguenza, la gran parte delle istituzioni che offrono servizi di credito in tale settore, tendono a fornire direttamente o indirettamente servizi di: - - - Consulenza sulla normativa vigente in materia tributaria o sulle procedure la registrazione dell’attività; Formazione e accompagnamento tecnico in fase di elaborazione del business plan e piano finanziario; Formazione in materia contabile, analisi di bilancio e controllo di gestione; Formazione sulla gestione finanziaria d’impresa; Marketing. A livello europeo, l’84% dei beneficiari ha accesso ai BDS20. Il 57% delle microfinanziarie europee offre direttamente servizi di credito ai propri clienti unitamente ai BDS; il 27% offre BDS attraverso strutture convenzionate e solo il 19% non offre alcun tipo di servizio. Per il 20% delle istituzioni, i BDS sono considerati sempre obbligatori per l’accesso al credito. L’offerta di servizi accessori al credito, rappresenta una 20 Bárbara Jayo; Anabel Gonzalez; Casey Conzett, Overwiev of the microcredit sector in the European Union, EMN, 2010 scelta strategica particolarmente importante, e potremmo dire imprescindibile, per il buon esito dei programmi di microfinanza in contesti complessi quali quello europeo. Il livello di specializzazione necessario per l’avvio e lo sviluppo di un’impresa con le caratteristiche e le dimensioni tipiche del mercato europeo è infatti molto elevato e richiede competenze specifiche di tipo gestionale, economico e finanziario. Nel caso italiano (GRAF.1), i programmi di accompagnamento tecnico sono considerati obbligatori per l’accesso al credito dal 24% dei fornitori di servizi di microcredito21, sono forniti attraverso strutture esterne nel 19% dei casi e nel 24% dei casi non è propedeutico all’accesso al credito. GRAF.1: Accesso ai BDS nel mercato del microcredito in Italia Richiesto solo in alcuni casi 14,3% Fornito attraverso strutture esterne 19,0% Offerto solo su richiesta dei clienti 19,0% Non richiesto per l'accesso al credito 23,8% Obbligatorio per tutti i prestatari 23,8% 0,0% 5,0% 10,0% 15,0% 20,0% 25,0% Fonte: CEB, 2010 5.2 Stima della domanda nel settore della microfinanza Sulla base della situazione esistente e dei dati disponibili (TAB. 5), presentiamo una stima dell’ordine di grandezza del mercato potenziale della microfinanza in Italia entro i prossimi cinque anni (TAB. 6). La stima tiene conto, ovviamente, della crisi e dei suoi effetti. In primo luogo riepiloghiamo l’offerta attuale di credito alle famiglie e alle microimprese. 21 Fabrizio Botti; Marcella Corsi, A social performance analysis of italian microfinance, Centre Emile Bernheim, 2010 64 TAB. 5: L’offerta di credito a famiglie e microimprese in Italia (valori in mld. Euro al 31/03/2010) Banche Finanziarie Famiglie: mutui casa Famiglie: credito al consumo di cui: immigrati: mutui casa immigrati: credito al consumo Usura/In Totale formale 252 252 54 56 110 25 25 8 8 … 16 Famiglie escluse 0 0 … … Microimprese: fidi, mutui e altre forme di credito 91 16 40 147 TOTALE 397 72 40 509 Fonte: Banca d’Italia, Base informativa pubblica on line I settori della clientela considerati sono le “famiglie consumatrici” e, come approssimazione alle microimprese, le “famiglie produttrici”, cioè le imprese individuali e familiari fino a 5 addetti. TAB. 6: La domanda di microfinanza in Italia nei prossimi cinque anni: previsioni (mld.Euro) Banche Microfinanza Totale Famiglie 16 2 18 di cui: immigrati 11 1 12 Microimprese 24 3 27 TOTALE 40 5 45 Per quanto riguarda gli immigrati, l’ABI stima che il 10% dei 3,5 milioni di mutui per abitazione in essere a livello nazionale faccia capo a migranti. Tuttavia, secondo Scenari Immobiliari, la crisi ha portato nel 2009 ad una contrazione del 24% degli acquisti di case da parte di lavoratori immigrati. Sul versante del credito al consumo, una rilevazione di Experian, società di informazione commerciale, riferita ai primi otto mesi del 2008 stima che le domande di credito al consumo, credito personale e carte revolving provenienti da immigrati siano salite al 15,4% del totale, contro il 12,1% rilevato nello stesso periodo del 2007 (Experian (2008), Credito agli stranieri: Experian rileva un aumento delle richieste, www.experian.it, 20 novembre)22. La stima sulla distribuzione, sostanzialmente equilibrata, della domanda tra banche e finanziarie (società, peraltro, che spesso fanno capo alle banche stesse) si basa su un dato riportato dal Censis che indica che, tra i canali di finanziamento, gli immigrati ricorrono alle banche per prestiti personali nel 38% dei casi e alle finanziarie per prestiti personali e credito al consumo nel 30%. La stima di Sos Impresa-Confesercenti23 sull’estensione dei prestiti usurai, che nel 2008 era pari a 35 miliardi di euro, nel 2010, soprattutto a causa degli effetti della crisi è salita a 40 miliardi di euro. La stima si riferisce al settore del commercio (200 mila commercianti colpiti), mentre non ci sono stime attendibili di quanto la finanza informale e l’usura coinvolgano le famiglie, di italiani o di immigrati. 22 Lo schema di decreto legislativo, approvato il 30 luglio 2010 dal Consiglio dei Ministri, e che recepisce la direttiva 2008/48/Ce sul credito al consumo cambia sostanzialmente le condizioni di utilizzo di questi strumenti creditizi rendendoli molto ristrette. Ciò significa che è da attendersi un sostanziale cambiamento tra domanda e offerta di credito nell’ambito del credito al consumo. 23 Sos Impresa-Confesercenti, Le mani della criminalità sulle imprese, dodicesimo rapporto, Roma 2010 65 La stima dell’ordine di grandezza di una sorta di «manovra» creditizia anti-esclusione e anti-crisi si basa sui seguenti elementi: - - - - tendenza verso il dimezzamento, nell’arco di cinque anni, del numero di famiglie escluse dal credito, soprattutto dai mutui casa. Secondo l’ultima rilevazione della Banca d’Italia (Banca d’Italia (2010), “I bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2008”, Supplementi al Bollettino Statistico, a. XX, n, 8, 10 febbraio), le famiglie che non possiedono alcuna attività finanziaria, neanche un conto corrente bancario o postale, sono pari all’11% del totale. Prendiamo questo come indicatore di esclusione finanziaria. Si è stimato quindi che l’obiettivo sia l’accesso al credito del 5% delle famiglie, pari quindi al 5% del totale attuale mutui e crediti al consumo alle famiglie, cioè circa 18 miliardi di euro; parziale riconversione dei finanziamenti al consumo insostenibili delle famiglie. Una parte della cifra precedente dovrebbe essere dedicata al riassetto dei debiti delle famiglie; incremento del 30% dell’accesso al credito per le famiglie immigrate. Si tratta di circa 12 miliardi di euro di nuovi crediti e mutui; riapertura del credito alle microimprese, prestiti per la liquidità e riassetto dei finanziamenti dal breve al medio-lungo termine in modo da allentare il razionamento del credito di questi ultimi anni. L’indicatore della tensione creditizia è il rapporto credito utilizzato/credito accordato. Sempre da dati Banca d’Italia, il rapporto per le “famiglie produttrici” è salito, nel caso dei crediti da banche, dall’83% del 2005 all’86% del marzo 2010. Nel caso dei prestiti da finanziarie, il balzo è ancora più accentuato, passando dall’80% - - del 2005 al 95% del marzo 2010. Per riportare il rapporto attorno all’80-82%, i livelli di prima della crisi, servono complessivamente 7 miliardi di euro, di cui 3 da “spostare” dalle finanziarie, troppo onerose, alle banche; tendenza verso il dimezzamento, nell’arco di cinque anni, del numero di microimprese vittime dell’usura. Ciò significa garantire crediti «sani» per circa 20 miliardi di euro; il totale di nuovi crediti alle microimprese sarebbe quindi pari a 27 miliardi di euro. L’ipotesi è che circa il 90% di questa manovra sia assunta dalle banche, mentre l’obiettivo strategico della microfinanza dovrebbe essere coprirne il 10%. La manovra sarebbe condotta in collaborazione con consorzi di garanzia fidi, enti locali e reti sociali. La manovra per combattere l’esclusione sociale e finanziaria in Italia e sostenere famiglie e microimprese nell’uscita dalla crisi è stimata, dunque, attorno ai 45 miliardi di euro, di cui 18 miliardi per le famiglie e 27 miliardi per le microimprese. Si tratta del 3% del totale degli impieghi bancari, che ammontano a circa 1.500 miliardi di euro. Questa stima non dà che un ordine di grandezza e costituisce un punto di partenza nell’individuazione della domanda potenziale reale, ossia effettivamente servibile dal settore della microfinanza in Italia, in considerazione della sua struttura e dei limiti economici, organizzativi e giuridici con i quali deve confrontarsi. Si tratta inoltre di una stima molto probabilmente sovradimensionata. La microfinanza ha infatti dimostrato in molti casi di non essere in grado di raggiungere un’ampia fascia di microimprese a causa dei limiti strutturali del contesto economico e normativo italiano e per un’ancora insufficiente innovazione nei prodotti finanziari offerti. Nello 66 studio citato del Centre Emile Bernheim sulla performance sociale delle IMF in Italia, fatta eccezione per il programma della Caritas Diocesana Vicentina e per il progetto SMOAT, nessuna delle IMF che hanno partecipato all’indagine ha superato i 38 crediti erogati nell’arco di 12 mesi24. Le cause di un risultato così esiguo vanno ricercate da un lato nell’ancora scarsa maturità e ridotta scala del settore25, dall’altro nei seguenti fattori comuni a molte micro realtà imprenditoriali italiane: 1) 2) 3) 4) 24 Scarsa trasparenza gestionale. I microimprenditori spesso non dispongono di bilanci in grado di restituire la reale situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell’attività. Spesso parte dei ricavi non viene contabilizzata per ragioni fiscali; La gestione d’impresa è strettamente legata all’economia familiare ed è quindi difficile isolare la situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell’impresa da quella personale o familiare del richiedente; Scarsa capacità di pianificazione dello sviluppo d’impresa. In particolare per le imprese in fase di avviamento, mancano le conoscenze idonee a trasferire e sintetizzare in maniera razionale e chiara l’idea d’impresa in un business plan; L’imprenditore non dispone di garanzie reali sufficienti e contemporaneamente non è inserito in una rete sociale o economica che lo possa sostenere in fase di richiesta del credito. Si pensi in particolare all’ampia fascia di popolazione “non-bancabile” rappresentata dai migranti. Fabrizio Botti; Marcella Corsi, op. cit, 2010 In Italia non esistono esperienze consolidate a livello nazionale come nel caso francese lo è l’ADIE (www.adie.org). 25 Oggi la microfinanza in Italia è di fronte a una duplice sfida: la dimensione e l’innovazione. Per quanto riguarda la dimensione, abbiamo visto che il mercato potenziale della microfinanza non bancaria in Italia potrebbe aggirarsi, nei prossimi cinque anni, intorno ai 5 miliardi di euro. Attualmente i programmi e le istituzioni di microcredito coprono, nella valutazione più ottimistica, poco più del 5% di questa cifra, più realisticamente meno dell’1%. La crescita in termini di clienti e portafoglio è la strada che porta alla sostenibilità. D’altra parte questa crescita ha bisogno di innovazione, attraverso la sostituzione e il rinnovamento dei prodotti finanziari esistenti e nuove sperimentazioni (es. la gestione delle rimesse e la fornitura di servizi di microfinanza agli immigrati sia nel paese d’origine sia in quello di destinazione), la riduzione dei costi di welfare con nuovi e più efficienti rapporti con gli enti pubblici e il mutamento della natura dell’indebitamento delle famiglie, anche attraverso iniziative di educazione finanziaria. L’obiettivo è portare l’indebitamento a diventare, da onere, opportunità responsabile. 5.3 Il ruolo del sistema finanziario formale Il settore della microfinanza in Italia è costituito da un significativo numero di attori, molto diversi tra loro per natura, dimensione, obiettivi e approccio operativo. Una categorizzazione dell’offerta italiana può essere effettuata definendo alcune macro-categorie identificate in base ai diversi status giuridici: le banche, le reti di Confidi, le istituzioni finanziarie nonbancarie, le istituzioni pubbliche, le istituzioni di microfinanza e gli altri enti. 67 5.3.1 Le banche Gli istituti bancari sono attivi nel settore del microcredito sia direttamente che indirettamente. Rispetto al primo caso è utile stabilire alcuni distinguo. Attenendosi alla definizione di microcredito data dalla Commissione Europea, ogni prestito sotto i 25 mila euro, concesso dalla banca in occasione della sua attività corrente, potrebbe essere classificato come microcredito. Tuttavia, per le caratteristiche proprie di tali prodotti è difficile parlare di microcredito, quanto piuttosto di “piccolo credito”, in quanto non sempre rivolto ad un target caratteristico della microfinanza identificabile con i “nonbancabili”. In secondo luogo, le banche sono spesso direttamente attive nella concessione di microcrediti attraverso specifici programmi, gestiti in proprio o in collaborazione con enti esterni. Sono tuttavia pochi i programmi che rientrano nel primo caso, solitamente prestiti d’onore, ossia crediti a condizioni favorevoli concessi a categorie limitate di persone, ad esempio studenti. E’ il caso di “Intesa Bridge”, programma lanciato da Intesa San Paolo, grazie al quale gli studenti di 30 università italiane possono avere accesso ad un credito fino a 5 mila euro per anno accademico (per un massimo di tre anni). I crediti in questo caso non devono essere accompagnati da alcuna garanzia, hanno un tasso d’interesse agevolato e possono contemplare un periodo di grazia. Il secondo tipo di programma vede la partecipazione di enti pubblici, religiosi o istituzioni private. In questo caso, le banche partecipano gestendo il fondo di garanzia, l’erogazione del credito e offrendo servizi di front office. Accanto alle banche commerciali, spesso sono coinvolte in questo tipo di programma anche le Banche di Credito Cooperativo (BCC). Secondo le informazioni a disposizione di Federcasse (BCC), nel 2009 in Italia c’erano circa 25 programmi di questo tipo26. Le BCC sono spesso incluse come partner finanziario all’interno di programmi si microcredito sociale. Ad esempio, la BCC di Gorizia ha creato un fondo di garanzia con la Caritas locale, che consente di erogare crediti fino a 1.500 euro a tassi agevolati. Ai beneficiari del credito, la BCC concede la possibilità di accedere ad un conto corrente senza spese per un anno. Le BCC della provincia di Pistoia hanno avviato, in collaborazione con la Fondazione Un Raggio di Luce, le Caritas locali, la Misericordia di Pistoia, la Cassa di risparmio di Pistoia e Pescia e la sua Fondazione, il programma “Sistema Provinciale Pistoiese di microcredito”, che consente l’accesso a crediti sociali (da 1.000 a 7.000 euro) e prestiti rivolti a organizzazioni impegnate in ambito sociale e imprese a conduzione femminile(da 5.000 a 15.000 euro). Alcune BCC collaborano direttamente con microfinanziarie come nel caso di Emilbanca con Micro.Bo e la BCC di Roma con Sviluppo Lazio. In altri casi, le banche intervengono indirettamente nel settore del microcredito. Ciò avviene attraverso la capitalizzazione di microfinanziarie già attive sul mercato (ad esempio UBI Banca nei confronti di Permicro), o grazie alla partecipazione nel capitale sociale per l’avvio di muove IMF (è il caso di Monte dei Paschi di Siena verso il programma Microcredito di Solidarietà). Tuttavia, nel contesto italiano, fatta eccezione per i due citati casi, è difficile stabilire se vi siano altre microfinanziarie in grado di ricevere investimenti in capitale di rischio da parte del settore bancario. Da un lato infatti PerMicro e Microcredito di Solidarietà sono le uniche IMF in Italia, fatta eccezione per le MAG, 26 Intervista a Chiara Piva della Comunicazione di Federcasse (BCC). Divisione 68 regolamentate come intermediari finanziari (ex TUB 106) e che quindi possono ricevere investimenti in capitale da parte degli istituti bancari. Dall’altro, ci sono ancora poche realtà che contemplino tra gli obiettivi prioritari di medio/lungo periodo la sostenibilità e la crescita. Le banche potrebbero inoltre intervenire nel settore del microcredito concedendo prestiti alle IMF, tuttavia in base alle informazioni a nostra disposizione ciò non è ancora avvenuto. Il modello di microcrediti adottato dalla larga maggioranza di istituzioni bancarie attive nel settore, si sviluppa in tre fasi. In un primo momento la banca firma un accordo con l’IMF (associazione, fondazione o diocesi) che promuove il servizio, seleziona i clienti e solitamente elabora il dossier di credito. In una seconda fase, una terza parte (ad esempio una fondazione o un’istituzione pubblica) fornisce il fondo di garanzia necessario a coprire il rischio sui crediti erogati nell’ambito del programma. La garanzia solitamente copre il 100% dell’ammontare erogato. La terza fase consiste nella valutazione da parte della banca dei clienti proposti (in considerazione della presenza del fondo di garanzia, solitamente la procedura d’istruttoria è molto snella e in alcuni casi automatica) e successivamente nell’erogazione dei crediti attraverso l’utilizzo di risorse finanziarie proprie. Più di recente le banche hanno dimostrato un maggiore interesse nei confronti della microfinanza, soprattutto grazie all’intensa attività di sensibilizzazione operata dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI). Tuttavia, fino ad ora in tale ambito non è stata elaborata alcuna strategia globale da parte del settore bancario. Inoltre, la spinta ad aderire o promuove programmi di microfinanza da parte delle banche deriva da ragioni di Corporate Social Responsibility più che dalla volontà di penetrazione in un nuovo mercato. E’ vero comunque che in molte banche italiane, i programmi di microfinanza non sono più gestiti dalla Divisione che si occupa di CSR, ma sempre più spesso da altri organi (retail, o marketing)27. 5.3.2 Le reti di Confidi I Confidi sono enti non profit che offrono servizi di garanzia ai loro membri per la concessione di crediti presso gli istituti bancari. In Italia sono presenti più di mille Confidi (TAB. 7), di cui 830 attivi registrati presso la Banca d’Italia sotto l’articolo 106 del TUB28. Si tratta quasi sempre di società cooperative o consorzi. A causa della frammentazione del settore, è difficile acquisire dati precisi rispetto ai volumi garantiti attraverso la rete. Una stima delle garanzie erogate dalla rete di Confidi nel 2003 è di circa 6,2 milioni di euro29. All’interno di tale stima non è possibile isolare il dato riferibile ai microcrediti concessi. TAB. 7: Confidi per Regione Confidi Regione Nord Centro Sud e Isole Totale n. 365 208 466 1.048 % 34,9 20 45,1 100 Fonte: Sabetta (2008) I membri azionisti dei Confidi sono quasi esclusivamente PMI. I Confidi operano a livello 27 Chiara Provasoli; Angela Tanno; Gianna Zappi (a cura di), op. cit., ed. Banca Editrice 2009. Nel 2005 circa 1/3 delle banche gestivano i programmi di microfinanza attraverso la Divisione CSR, mentre nel 2008 ciò accadeva solo nel 3,6% dei casi. 28 Giovanni Busetta; Andrea Presbitero, Mutual Loan-Guarantee Societies, Small Firms and Banks: An Empirical Investigation, Munich Personal RePEc Archive, MPRA Paper No. 7832, Marzo 2008 29 Commissione Europea (2006) Guarantees and Mutual Guarantees, p. 17. 69 locale e in settori economici specifici (industria, commercio, artigianato ecc.). La loro attività si sviluppa principalmente in tre aree30: 1. 2. 3. Erogazione di garanzie totali o parziali ai membri; Negoziazione con le banche delle condizioni di credito (tasso d’interesse, durata, ecc.) verso i membri; Attività di screening e accompagnamento a favore dei membri, allo scopo di facilitare le fasi preliminari all’accesso al credito e mantenere il più possibile basso il tasso di insolvenza attraverso il monitoraggio. Lo scopo del sistema dei Confidi è di ridurre le asimmetrie informative tra PMI e banche. Il punto di forza di tale modello è di non essere basato sulle risorse messe a disposizione dal settore pubblico, ma nascono direttamente dall’iniziativa del tessuto imprenditoriale locale31. i Confidi si rivolgano Nonostante prevalentemente a PMI, non mancano gli esempi di servizi offerti alle microimprese. E’ il caso di Confidi Roma Gafiart, istituito da Confartigianato. Gafiart concede credito alla microimpresa a livello regionale attraverso un fondo pubblico dedicato. Inoltre, in alcune regioni italiane, le attività dei Confidi collaborano con le istituzioni di microfinanza per l’erogazione di servizi di credito a favore della microimpresa. 5.3.3 Credito al consumo Le istituzioni finanziarie non bancarie, specializzate in prodotti di credito al consumo e leasing, stanno costantemente aumentando la propria quota di mercato. Gli intermediari 30 Arianna Sabetta, Le Prospettive dei Confidi Meridionali, manoscritto, 2008, p.58. 31 Commissione Europea, Guarantees and Mutual Guarantees, Best Reports, No 3 – 2006. finanziari in Italia detengono in veste di erogatori la maggior parte dei crediti con taglio inferiore ai 25 mila euro. Tuttavia come nel caso delle banche, questi crediti non possono essere assimilati in senso stretto al microcredito. Essi differiscono dal microcredito perché non sono accompagnati da servizi di tutoraggio ed educazione finanziaria al cliente, sono rivolti essenzialmente a soggetti titolari di un contratto di lavoro subordinato e sono quasi sempre finalizzati all’acquisto di beni di consumo. Tuttavia accade spesso che i microimprenditori, direttamente o tramite parenti, beneficino di questi crediti per lo sviluppo della loro attività economica. Nonostante quella dell’intermediario finanziario sia una categoria legittimamente considerata responsabile del sovra-indebitamento di ampie fasce di popolazione, va tuttavia ricordato che la loro forma legale (ex art. 106 del TUB), è quella più adatta alle IMF nel contesto legislativo italiano. Si consideri infatti che tale modello oltre a rendere l’istituzione auto-sufficiente per quanto riguarda l’operatività (tali istituzioni non dipendono dalle banche per l’erogazione del credito), è particolarmente flessibile grazie ad una gestione più leggera dell’attività creditizia rispetto a quanto richiesto alle banche: ciò implica che le procedure di richiesta del credito così come i tempi di erogazione siano particolarmente contenuti. 5.3.4 Gli altri attori Il modello di prestito online può essere considerato uno strumento alternativo al micro prestito, come l’esperienza di Zopa ha recentemente dimostrato, nonostante attualmente il progetto sia sospeso. Dal 10 luglio 2009 la Banca d'Italia, ha cancellato Zopa dall'elenco degli intermediari finanziari ex art. 106. La Banca d’Italia ha contestato a Zopa di aver fatto 70 raccolta di risparmio (e non semplice intermediazione di pagamenti) a causa della giacenza sul Conto Prestatori Zopa del denaro in attesa di uscire in prestito. Nonostante questa battuta d’arresto, il modello del social lending è di particolare interesse per i possibili sviluppi nell’ambito della microfinanza. Zopa Italia, un franchise di Zopa UK che opera sotto il TUB art.106, è un sistema di prestito peer to peer in internet che fornisce una piattaforma di intermediazione finanziaria per piccoli prestiti. I creditori possono investire fino a 50.000 euro, mentre i prestiti sono tra i 1.500 e i 15.000 euro con una durata tra i 12 e i 48 mesi. Le pratiche di credito sono analizzate e approvate da Zopa e divise in classi di rischio. Il tasso di interesse medio è del 9,7%. I creditori possono scegliere la loro propensione al rischio e distribuire i loro investimenti nelle diverse classi di rischio (i loro investimenti sono comunque suddivisi tra l’ampio numero di debitori). In media il ritorno lordo per gli investitori è il 7.8%. Dall’inizio delle operazioni nel Gennaio 2008, Zopa ha erogato 960 prestiti per un ammontare totale di 5,2 milioni di euro con un tasso di non rimborso di circa il 2%. I prestiti sono usati principalmente per il consolidamento di un debito (27%), per il restauro della casa (31%) e per l’acquisto di un veicolo (15%). Il 60% dei clienti ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato, il 20% - 25% ha un contratto a tempo determinato e il rimanente sono in una situazione di impiego precario. Anche se le caratteristiche del target sono simili a quelle del fornitore di credito al consumo, Zopa fornisce prestiti con un interesse più basso e promuove un approccio differente al prestito basato su un modello comunitario. Inoltre rappresenta un innovativo canale di prestito che potrebbe potenzialmente essere usato per mettere in contatto diverse tipologie di creditori e debitori, che vorrebbero essere più simili ai tradizionali attori di microcredito. Da quando il creditore può selezionare la propria combinazione di rischio – restituzione, questo può essere usato per un target di popolazione più a rischio. Per esempio, Zopa UK ha definito una nuova categoria di debitori (“Young” giovani tra i 20 e i 25 anni), su cui creditori possono decidere di investire. 5.4 Il settore della microfinanza: evoluzione e caratteristiche Mentre le banche e gli operatori del credito al consumo operano nel settore della microfinanza in via accessoria o residuale, gli attori che più direttamente hanno individuato nel microcredito il loro core business sono le istituzioni di microfinanza in senso stretto e i programmi di microfinanza a partecipazione pubblica. La categoria delle Istituzioni di Microfinanza (IMF) comprende diverse tipologie di enti (cooperative, fondazioni, associazioni, istituzioni finanziarie non bancarie, ecc.), che svolgono come prima e principale attività il microcredito. Possono essere identificate tre sottocategorie, che si differenziano sensibilmente tra loro. I principali elementi di differenziazione sono la fondazione e la missione dell’istituzione, e come e da quale ente l’erogazione e l’amministrazione del prestito sono gestiti. La prima categoria coincide con le IMF completamente sviluppate, registrate sotto la legge bancaria come intermediari finanziari (ex TUB art. 106). Le IMF all’interno di questa categoria sono le sole istituzioni comparabili alle IMF attive nei Paesi in via di sviluppo. A Febbraio 2009, c’erano solo due IMF in questa categoria: Microcredito di Solidarietà e PerMicro. Queste IMF che puntano molto sull’innovazione e l’efficienza, hanno un 71 obiettivo di sostenibilità di medio – lungo termine. Il principale limite ad assumere tale forma legale per queste istituzioni deriva dal fatto che ad esse non è consentita la raccolta di depositi da parte del pubblico, permessa soltanto alle banche. La seconda categoria è composta dalle MAG (Mutua AutoGestione). Assumono diversa forma legale, ma condividono una storia comune e valori etici alla base della loro missione e visione. Ci sono solo sei MAG in Italia, principalmente situate nelle regioni a Nord del Paese: Milano, Reggio Emilia, Roma, Torino, Venezia e Verona. Nonostante la loro comune missione e visione, che punta nella direzione della finanza etica, hanno modelli operativi differenti. Mag4 Piemonte, Mag2 Milano e Mag Venezia sono intermediari finanziari registrati sotto l’art.106 TUB. Mag4 Piemonte può anche raccogliere depositi dalle cooperative locali affiliate. Mag Roma è regolata dalla legge bancaria italiana (TUB art.113), ma lavora tramite Mag Reggio Emilia. Mag Verona non eroga direttamente prestiti, ma lavora attraverso le banche locali. La terza categoria comprende la più ampia porzione di IMF italiane. Queste istituzioni assumono la forma di associazioni non profit o fondazioni, classificate come ONLUS (Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale). Le loro attività riguardano l’analisi preliminare del prestito e la sua gestione. I prestiti vengono quindi erogati dalle banche, con cui hanno un accordo. Secondo la legge bancaria italiana soltanto alle banche e agli intermediari finanziari, ad eccezione delle cooperative MAG, è permesso erogare prestiti. Perciò queste istituzione dipendono da una banca per condurre attività di microcredito. In quasi tutti i casi i prestiti erogati dalla banca partner sono coperti da un fondo di garanzia messo a disposizione da un attore terzo (un’istituzione pubblica, una fondazione, ecc.). In alcuni casi la relazione tra la banca e l’istituzione è difficile, in particolare perché la rigidità formale delle procedure causa ritardi nell’esborso del prestito, nel processo di rimborso e nella relazione con i clienti32. Una caratteristica importante delle istituzioni di microfinanza è il loro modello d’impresa. È possibile individuarne due modalità. In un caso, l’istituzione gestisce l’intero processo, dal primo contatto all’erogazione e alla gestione del prestito. Questo modello è quasi del tutto inesistente in Italia finora. Nell’altro l’istituzione di microfinanza si concentra sulle attività di primo contatto, analisi della domanda e approvazione del credito. La banca serve come agenzia/sportello per l’esborso del credito e il rimborso. Il terzo soggetto, infine, può garantire servizi di supporto non finanziari (i cosiddetti business development services o BDS) e/o fornire una garanzia alla banca. Un’ulteriore distinzione concerne il modello di gestione del rischio. Molte istituzioni operano tramite un fondo di garanzia, che fornisce parziale o totale copertura sul prestito. Questo modello, basato sulla divisione del rischio tra i diversi soggetti pubblici e privati, è sicuramente il più comune e non sono molte le istituzioni che operano senza un fondo di garanzia. Si deve notare che il modello di microcredito che conta su un fondo di garanzia messo a 32 E’ il caso ad esempio della Fondazione Toscana per la prevenzione dell’usura ONLUS. Nel rapporto di attività 2009 la Fondazione lamenta che: “la politica di contenimento nella concessione del credito attuata dalle banche sin dal 2008 ha portato ad un sensibile aumento delle pratiche declinate (15,7% nel 2007 - 23,4% nel 2008 - 22,4 % nel 2009) e ad un preoccupante allungamento dei tempi di erogazione, tanto che al 31/12/2009 si trovavano all’esame delle banche convenzionate n. 90 richieste di finanziamento per € 7.589.700,00”. 72 disposizione da una parte terza, non costituisce un’innovazione capace di dare una risposta efficace ai problemi causati dall’asimmetria di informazioni perché il fornitore della garanzia solitamente non è coinvolto nella valutazione del cliente. Inoltre, questo modello non è in grado di minimizzare il rischio per l’operatore di microcredito. Il fondo di garanzia è piuttosto utile, ma non ottimale, strumento per permettere alle istituzioni di microfinanza di condividere il rischio con una terza parte. Il prestito individuale è la principale metodologia attualmente utilizzata in Italia. I pochi progetti pilota di gruppo di prestito non danno risultati soddisfacenti. Questo è dovuto principalmente per lo scarso capitale sociale dei beneficiari. Comunque, la mancanza di forme dirette o indirette di garanzia rende ancora più necessaria un’analisi preliminare del progetto di impresa che deve essere finanziato. Ciononostante, un diverso mix di metodi di prestito sta emergendo. Sempre più spesso il prestito è erogato al singolo, ma lui o lei deve dimostrare una rete di referenze e supporto. Non è una nota vincolante, ma è un elemento aggiuntivo che aiuta a costruire un sistema informativo sulla storia personale e professionale del beneficiario . 5.4.1 I prodotti di credito offerti. I prodotti di credito offerti dal mercato della microfinanza in Italia possono essere ricondotti a due categorie principali: il credito all’impresa e il credito sociale. Rispetto alla prima tipologia, si tratta di prestiti finalizzati alla creazione o allo sviluppo d’impresa. Sono rivolti a imprese che non hanno accesso ad altre fonti di finanziamento o che non sono in grado di sottoporre un progetto d’impresa a finanziatori pubblici o privati. Questa tipologia di credito rientra nella definizione di microcredito data dalla Commissione Europea che in tale categoria fa rientrare i crediti con importo inferiore a 25 mila euro rivolte a imprese in fase di avviamento o sviluppo. Tuttavia tale definizione va necessariamente adattata al contesto italiano, sia per quanto riguarda il target che in riferimento all’ammontare del credito. Innanzitutto la Commissione Europea (Raccomandazione 2003/361/EC, 6 Maggio 2003) definisce la microimpresa come un’attività con meno di 10 dipendenti e un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro. E’ evidente come tale definizione sia troppo ampia se applicata al contesto italiano. Il Ministero del Lavoro definisce la microimpresa come “entità organizzativa minima costituita da un singolo addetto” (Circolare n. 30 del Min. del Lavoro, 12 novembre 2008). Infatti, nel 2008 in Italia il 57,7% delle imprese erano imprese individuali33. Inoltre il concetto di microimpresa riguarda anche il settore informale e le difficoltà di formalizzare le attività economiche svolte in tale ambito. L’esperienza in Italia sembra confermare quanto affermato. Tra i clienti del programma SMOAT, uno dei più importanti nell’ambito della microfinanza pubblica, che fornisce servizi di credito esclusivamente alla microimpresa, circa il 60% è composto da imprese uni personali. Alcuni prestiti personali possono inoltre rientrare in questa categoria nel caso in cui il credito sia stato concesso per favorire l’auto-impiego. Una diretta conseguenza di quanto affermato è che l’ammontare medio risulta essere in Italia significativamente più basso rispetto alla media europea (rispettivamente pari a 5.875 Euro e 9.641 Euro). Tuttavia va osservato che le istituzioni che si rivolgono esclusivamente 33 Istat (2009) Archivio Statistico delle Imprese Attive. 73 all’impresa concedono crediti di ammontare superiore. Per esempio nel programma SMOAT l’ammontare medio del credito è di 13.119 Euro. PerMicro, che offre sia crediti sociali che d’impresa ha un crediti medio per il microcredito d’impresa di 7.644 euro. In entrambi i casi l’importo massimo è di 15 mila euro. Il microcredito sociale si focalizza su prestiti a individui che si trovano in condizione di esclusione sociale e finanziaria (famiglie povere o a rischio povertà). Le applicazioni del microcredito sociale sono molteplici. Esso può essere utilizzato per la riconversione di un credito precedente e una sua riprogrammazione a condizioni più sostenibili per il beneficiario. Il credito sociale può essere impiegato come credito d’emergenza per far fronte a spese inattese (malattia, spese domestiche, etc.). In terzo luogo, esso può essere utilizzato per l’acquisto di beni o servizi che oltrepassano la capacità di spesa mensile (tasse universitarie, computer, etc.). Il microcredito sociale è una tipologia molto comune nel mercato italiano. Per esempio, in quattro delle cinque istituzioni selezionate come casi studio nella ricerca di mercato realizzata da Microfinanza Srl nel 2009 per conto del Fondo Europeo per gli Investimenti34, sette delle dieci istituzioni appartenenti al network italiano della microfinanza (al 31/12/2009) fornivano microcredito sociale, sia come unico prodotto di credito, sia in accoppiata con il credito d’impresa. Le due tipologie differiscono sensibilmente tra loro in termini di clienti, ammontare dei prestiti e tassi di interessi. Il microcredito sociale è specificamente indirizzato verso i bisogni dei poveri e delle persone considerate a rischio povertà. Conseguentemente i bisogni di questi soggetti in termini di credito sono generalmente inferiori a quelli di coloro che vogliono dar vita ad una microimpresa. Ad esempio, la media delle dimensioni dei crediti della Caritas Vicentina (1.881 euro), del Microcredito di Solidarietà (3.208 euro) e il prodotto sociale di Micro.Bo (1.850 euro) sono chiaramente di natura diversa dal prestito all’impresa. Inoltre i tassi di interesse sono generalmente più bassi. Per esempio, Caritas Vicentina aggiunge il 3,5% e Microcredito di Solidarietà carica 4,5%. Micro.Bo, che fornisce sia credito all’impresa che credito sociale, carica differenti tassi di interesse: l’8% nel primo caso, il 3,25% nel secondo. Sebbene il microcredito sociale non rientri nell’originale definizione della Commissione Europea, questo fenomeno non può essere ignorato visto che può essere da supporto per un percorso di reintegrazione sociale e professionale. Inoltre secondo il rapporto della Commissione Europea, “i piccoli prestiti concessi alle persone a rischio di esclusione sociale possono essere considerati come microcredito, dato che tali prestiti permettono loro di intraprendere un’attività economica”35. 34 35 Luigi Galimberti Faussone; Fabio Malanchini; Giampietro Pizzo, EIF Market Study on microlending. Cross country studies on Western and eastern Europe: Country Report Italy, RITMI/Microfinanza SRL, 2009 5.4.2 Distribuzione geografica In occasione della citata ricerca condotta nel 2009 da Microfinanza Srl sul mercato della microfinanza in Italia36, si è osservato come nel nostro Paese vi sia un’equa distribuzione territoriale di programmi di microfinanza, coerente con la densità di popolazione nelle Commissione Europea (2007) The Regulation of Microcredit in Europe, p. 7. 36 Luigi Galimberti Faussone; Fabio Malanchini; Giampietro Pizzo, Op. Cit., RITMI/Microfinanza SRL 74 diverse aree. Dei 33 programmi rientranti nel campione osservato 17 sono al Nord, 9 al Centro e 7 al Sud. Va tuttavia osservato che 6 delle 7 iniziative al Sud sono fondazioni antiusura, operanti nell’ambito delle diocesi locali. Al Centro sono presenti i due più importanti programmi pubblici (Sviluppo Lazio e Progetto SMOAT). La maggior concentrazione di programmi riguarda il Piemonte e la Toscana, rispettivamente con cinque e quattro programmi. 5.4.3 Data di entrata nel mercato del microcredito Anche se i primi attori della micro finanza (le Mag) sono nati alla fine degli anni ’70, essi hanno dato inizio a programmi di microcredito solo nei primi anni 2000 (GRAF.3). Il primo programma di microcredito tra gli istituti considerati nella ricerca è la fondazione antiusura Giuseppe Moscati, che iniziò le proprie attività a Napoli nel 1992. Il programma vide la luce grazie all’iniziativa del Padre Gesuita Massimo Rastrelli, che è ora presidente della Consulta Nazionale Antiusura, network nazionale delle fondazioni antiusura. I programmi di microcredito in Italia sono generalmente piuttosto giovani dato che l’età media al Gennaio 2009 è di 5,2 anni. Solo il 15% dei programmi sono nati prima del 2002, mentre più della metà ha iniziato l’attività tra il 2003 e il 2005. Dopo un periodo di considerevole vitalità, il settore del microcredito in Italia sembra aver subito un rallentamento, in particolare per quanto concerne le iniziative più piccole, come quelle prese in considerazione. Tuttavia, le poche istituzioni avviate nel periodo 2006 -2008, sono oggi le più grandi e strutturate (Microcredito di Solidarietà 2006, Sviluppo Lazio nel 2007, PerMicro (2008) e Zopa avviata nel 2008 e sviluppatasi considerevolmente fino alla sospensione delle attività nel 2009). GRAF.2: Entrate sul mercato della micro finanza (ante 2002- 2008) 5.4.4 Modello d’impresa – Metodologia di prestito Solo due istituti nello studio hanno adottato la metodologia del prestito di gruppo, mentre le altre hanno esclusivamente adottato il metodo del credito individuale. In generale, le esperienze di prestito di gruppo in Italia non hanno avuto molto successo, in particolare in termini di qualità del portafoglio. In un caso, l’IMF ha sospeso l’erogazione del prestito di gruppo a causa dell’alto livello di insolvenza. Anche se la maggior parte dei prestiti sono concessi a individui, al debitore è spesso richiesto di dimostrare di essere inserito in una rete di supporto o in un nucleo familiare di riferimento. Non è questa una nota vincolante (la firma condivisa), ma è un elemento aggiuntivo che aiuta a costruire il sistema informativo sulla storia personale e professionale del beneficiario. 5.4.5 Prodotti e servizi: l’ammontare dei prestiti. La dimensione media di un prestito nel 2009 è di 5.875 euro (GRAF.3) . Una survey condotta nel dicembre 2008 tra gli istituti che sono membri del network italiano di microfinanza RITMI ha mostrato che la dimensione media di un prestito era di 6.760 euro. I due istituti con la dimensione media più bassa dei prestiti sono due associazioni che lavorano con la ONG Cattolica Caritas: Caritas Diocesana Bergamasca con 1.714 euro e Caritas Diocesana Vicentina con 75 1.963 euro. Nel 2007 gli istituti che mostrano la dimensione media più alta dei prestiti sono Fondazione Risorsa Donna (17.367 euro), Progetto SMOAT (14.958 euro) e la Fondazione Venezia (10.250 euro). GRAF. 3: Ammontare medio dei prestiti 5.4.7 Prodotti e servizi: tassi di interesse Il tasso di interesse annuale applicato dagli istituti oggetto dello studio di Microfinanza è del 5,8% (non pesato il per numero o ammontare dei prestiti) (GRAF.5). Dallo studio di EMN del 2009 risulta per il campione italiano un tasso medio del 3,7%. Nel campione considerato da Microfinanza Srl, un istituto concede prestiti privi di interesse (Fondo Essere), mentre un altro applica l’1,8% di interesse su tutti i prestiti. Gli interessi più alti sono applicati dai due intermediari finanziari, Zopa (9%) e PerMicro (12%, il più alto del campione). GRAF. 5: Tasso d'interesse medio 5.4.6 Prodotti e servizi: durata dei prestiti La durata media dei prestiti è circa di tre anni e dieci mesi (3.88 anni) (GRAF.4). Quasi metà degli istituti (11 su 24) hanno una scadenza media dei prestiti di tre anni. Solo due di questi hanno scadenze più corte, mentre 11 hanno scadenze a lungo termine. Inoltre 14 su 25 istituti concedono un periodo di preammortamento ai loro clienti (GRAF.6). La media del periodo di dilazione è di 5,4 mesi. GRAF. 4: Durata media dei prestiti GRAF. 6: Periodo di preammortamento 76 della debolezza della maggior parte dei programmi e degli istituti di microcredito in Italia. Tuttavia, specialmente negli ultimi anni, alcuni programmi hanno mostrato una sempre maggiore attenzione verso sistemi gestionali più evoluti. Per questa ragione i dati riportati saranno integrati con i dati raccolti nel Dicembre 2008 tramite una survey condotta tra i membri di RITMI37. Questo ultimo gruppo di dati permette di comparare i dati di due anni (2007 e 2008) relativi al portfolio degli istituti campione. 5.4.8 Prodotti e servizi: commissioni sui prestiti Poco meno del 70% degli istituti (20 su 29) non applica commissioni sui prestiti, applicate invece da circa un terzo del campione (9 su 29) (GRAF. 7). Quattro istituti applicano commissioni fisse all’esborso del prestito, un istituto applica un costo varibile per coprire il rischio del prestito (0,25% del totale) e un altro applica una penale sui rimborsi in ritardo. GRAF. 7: Commissioni sui prestiti 5.4.9 Performance Il settore italiano di microcredito è caratterizzato da un ampio numero di istituti e programmi di dimensioni ridotte. Il sistema informativo di gestione di questi programmi è speso piuttosto scadente. Per questo motivo, è spesso difficile raccogliere dati sufficienti per definire indicatori quantitativi. La scarsa qualità dei dati è sintomo 5.4.9.1 Performance: dimensione del portafoglio. La performance del settore negli ultimi due anni è stata particolarmente sostenuta. Secondo lo studio realizzato da EMN38 il volume dei crediti erogati in Italia nello stesso periodo è pari a circa 11 milioni di euro con un incremento rispetto al 2007 del 205,6%. I crediti erogati nel 2009 da parte delle IMF coinvolte nella ricerca erano 1.909 quando nel 2007 erano 392. Se consideriamo i dati riportati dal citato studio realizzato da Microfinanza Srl e riferiti al 2007, tra i 33 istituti che hanno preso parte alla survey, solo 24 hanno fornito dati sulle dimensioni del loro portafoglio. Nel 2007 l’ammontare totale dei prestiti erogati ha raggiunto i 6,6 milioni di euro (6.638.781 euro) per 923 prestiti, con una dimensione media del prestito di 7.192 euro. Il 67% degli istituti (15 su 25) ha erogato meno di 20 prestiti in un anno. Questa cifra chiaramente dimostra la frammentazione del settore italiano del microcredito (GRAF.8). Il 21% delle istituzioni (5 su 24) esborsa tra i 20 e i 100 prestiti all’anno, mentre solo 4 vanno al di sopra 37 Microfinanza srl, Opportunità di impresa ed esclusione dal credito: Il caso italiano. Ricerca condotta con il supporto della Fondazione Giordano D’Amore, 2009 38 Bárbara Jayo; Anabel Gonzalez; Casey Conzett, op.cit, EMN, 2010 77 del centinaio di prestiti annui. Queste cifre si riferiscono al 2007, quando gli istituti che ora stanno crescendo a un ritmo più sostenuto non avevano ancora completamente iniziato le loro operazioni. GRAF. 9: Prestiti erogati nel 2007 e nel 2008 dai membri di RITMI GRAF. 8: Numero di prestiti erogati Gli istituti appartenenti a RITMI che hanno fornito dati sia del 2007 che del 200839 hanno mostrato una crescita sensibile sia in termini di numero di prestiti sia in termini di portafoglio (GRAF.9). Mentre il numero dei prestiti erogati cresce solo del 5,5.% da 222 prestiti a 235, l’ammontare di microcredito erogato da questi istituti è cresciuto da circa 1 milione di euro a 1,4 milioni di euro. 39 Gli istituti sono: Fondazione Antiusura Santa Maria del Soccorso - Genova, Fondazione Culturale Banca Etica, Fondazione Don Mario Operti, Fondo Essere, Mag2 Finance Milano, Mag Roma, Mag Verona e Micro.Bo. PerMicro ha iniziato le sue attività nel 2008, mentre MicroProgress nel 2009. Perciò, i dati disponibili per quest’ultimo istituto non sono presi in considerazione per questa analisi. 5.4.9.2 Performance: indicatori finanziari I dati disponibili dall’analisi delle performance finanziarie degli IMF italiani sono molto limitati. Solo un esiguo numero di istituti ha risposto a questa parte del questionario predisposto da Microfinanza Srl, e pensiamo che l’affidabilità delle informazioni fornite sia in molti casi piuttosto limitata. Questo è dovuto a differenti fattori: - La maggior parte degli istituti non ha familiarità con i proncipali indicatori normalmente usati in microfinanza e non ha dimestichezza con il loro calcolo. Inoltre la 78 - - - - cultura del report e della trasparenza in termini di risultati sembra ancora parzialmente assente. Ciò perché gli enti donatori spesso non richiedono report completi sulla gestione e sulla performance. In molti casi il sistema di reporting e tracking del portafoglio non è adatto alla generazione automatica dei dati necessari per il calcolo degli indicatori. Il modello operativo della maggior parte degli IMF in Italia che affidano a partner bancari l’erogazione e il recupero dei crediti (servizi di sportello), rende più difficile una raccolta puntuale dei dati sul portafoglio. Il modello operativo adottato che prevede spesso sostanziose donazioni solitamente da fondazioni o dal settore pubblico e l’utilizzo di volontari soprattutto in fase di pre-istruttoria e monitoraggio. Ciò impica che se questo tipo di supporto esterno non è correttamente calcolato e stimato, la precisione degli indicatori di efficienza e sostenibilità risulta essere fortemente dubbia. Inoltre, alcuni indicatori standard usati in microfinanza non si adattano perfettamente alle caratteristiche operative italiane e, più in generale, delle IMF europee, specialmente dell’Europa Occidentale. Conseguentemente gli indicatori andrebbero adattati al contesto. In fine il “benchmarking” e le “peer groups analysis” sono ancora limitati nella microfinanza dell’Europa Occidentale e il forte impatto dei sussidi e del lavoro volontario implica che gli indicatori hanno un grado limitato di comparabilità il quale riduce la significatività dei dati disponibili. 5.4.9.3 Performance: qualità del Portafoglio Per le ragioni sopra menzionate i dati sulla qualità del portafoglio sono disponibili solo per 7 IMF con un’ampia dispersione dei risultati (GRAF.10). Il PAR3040 varia tra l’0,8% al 72% con valore medio del 25% e una mediana del 12%. La differenza significativa dei programmi che riportano questa informazione, la varietà del targetì e i prodotti implicano che la rappresentatività di questo indicatore possa variare considerevolmente. Per avere una visione più chiara della qualità del portafoglio, abbiamo riportato anche i dati sulla cancellazione dei crediti inesigibili e sul portafoglio ristrutturato. Il portafoglio cancellato oscilla tra lo 0% e il 28% con una media di 5.9% ma una mediana di 1,3%. 9 IMF hanno riportato quanto a lungo hanno atteso prima di considerare un prestito come non esigibile: il valore medio è di 15 mesi e oscilla tra i 3 mesi e i 3 anni. Ciononostante l’esperienza suggerisce che molti istituti non cancellino mai, in parte in considerazione del recente avvio delle attività. GRAF.10: Qualità del portafoglio Le risposte sulla ristrutturazione del portafoglio non sono molto significative. Quattro istituti non hanno riportato nessun prestito rinegoziato, mentre altri due hanno fornito una risposta che 40 Portafoglio a rischio: saldo dei crediti con una rata in ritardo da più di 30 giorni. 79 riporta una quota tra il 3% e il 7%. La registrazione di queste informazioni è assente in molte IMF. L’analisi congiunta di questi indicatori suggerisce che la qualità media del portafoglio delle istituzioni parte delle survey è ancora scarsa con elevati livelli di rischio. Nonostante ciò, date le dimensioni ridotte del campione, la validità dell’analisi è debole. 5.4.9.4 Performance: altri indicatori. I dati disponibili per altri indicatori non sono sufficienti per condurre un’analisi con un risultato rappresentativo. Per l’autosufficienza operativa abbiamo ricevuto 3 risposte con dati che variano tra il 180% e il 14%, con una media del 98%. Altre domande hanno ricevuto ancora meno risposte. 5.4.10 Il target La maggior parte degli istituti ha uno specifico target. Solo 6 istituti su 33 dicono di non avere un target preciso, mentre 4 non hanno risposto alla domanda (GRAF.11). GRAF. 11: Popolazione target 5.4.10.1 Target: equilibrio di genere Sebbene non ci siano dati specifici sulla porzione di donne tra i clienti attivi dei programmi di microcredito, più della metà degli istituti che hanno un target di popolazione definito (14 su 23) identifica specificamente come target le donne. Inoltre uno dei programmi ha come target esclusivamente questa popolazione (Fondazione Risorsa Donna). Alcuni dati sull’equilibrio di genere tra i clienti attivi sono disponibili solo per gli istituti che fanno parte di RITMI e per i casi studio. Per esempio, la fondazione antiusura Santa Maria del Soccorso di Genova sin dalla sua creazione ha erogato 93 prestiti, di cui 46 a uomini e 47 a donne. Circa lo stesso rapporto si applica ad altri istituti: Micro.Bo (rapporto 1:1 nel 2007 e nel 2008). Fondazione Don Mario Operti (rapporto 1:1 ancora nel 2008) e PerMicro (il 48% dei prestiti a donne nel 2008). Ciò che emerge dai dati mostrati sopra è un’immagine equilibrata che indica che gli istituti di micro finanza promuovono attivamente l’uguaglianza di genere. 5.4.10.2 etniche Target: immigrati e minoranze Anche per le minoranze etniche non c’è un’attenzione specifica o una classificazione specifica, eccetto che per una distinzione tra italiani e non italiani. Perciò, mentre solo tre istituti dichiarano come target specifico le minoranze etniche, 14 su 23 hanno gli immigrati come uno dei target privilegiati. La distribuzione geografica degli istituti esplicitamente con target gli immigrati non è omogenea in tutto il Paese, dato che il 64% di queste (9 su 14) sono situate nelle regioni a nord, 4 su 14 nel centro e soltanto una nel sud e nelle Isole. 80 Per esempio, sin dalla fondazione nel 2001 della fondazione antiusura Santa Maria del Soccorso di Genova ha erogato il 55% dei prestiti a imprenditori immigrati. Tra i clienti di Micro.Bo, il 60% nel 2007 e il 19% nel 2008 sono migranti. Ciononostante ci sono istituti che si focalizzano particolarmente su attività imprenditoriali di migranti. Uno di questi è PerMicro, che ha erogato l’84,2% dei suoi prestiti a migranti nel 2009. L’altro, che è il secondo programma più grande nel Paese, ha esborsato il 67,6% dei prestiti a imprenditori migranti. I dati chiaramente mostrano un focus specifico del target degli IMF verso la popolazione migrante, che è spesso esclusa dai tradizionali istituti finanziari, principalmente perché mancano di una storia del credito. 5.4.10.3 Giovani e popolazione disabile I giovani (tra i 18 e i 25 anni) sono un target specifico solo per un terzo dei programmi (7 su 23), mentre le persone affette da disabilità sono un target privilegiato dolo per due programmi (Mag Verona e Micro.Bo). Per esempio, Zopa, benché fosse un’istituzione atipica, tra i suoi 734 clienti attivi nel Novembre 2008 aveva solo 35 persone di età tra i 18 e i 25 anni (il 4,8% del totale). 5.4.10.4 Target: le imprese Lo studio di Microfinanza Srl fa emergere chiaramente la tipologia di impresa verso cui i servizi di microcredito sono diretti (GRAF.12). Sebbene la definizione di microimpresa della Commissione Europea comprenda tutte le imprese con meno di 10 dipendenti, il target privilegiato dalle istituzioni italiane è rappresentato da imprese di dimensioni più ridotte. Da un lato, solo 2 su 25 istituti eroga prestiti a imprese con più di cinque dipendenti. Dall’altro il 56% dei programmi fornisce prestiti ad imprese con meno di cinque dipendenti. Inoltre, il 44% di questi serve il settore dell’economia informale, sicuramente non trascurabile in Italia41. Inoltre, mentre 18 su 25 istituti concedono prestiti a imprese esistenti (da più di 10 anni), 21 prendono in considerazione progetti di start – up, mentre 9 in fase di studio di fattibilità. GRAF. 12: le attività finanziate 5.4.11 Investimento: fonti e strumenti La scelta delle fonti di investimento rivela la “filosofia” che ispira l’istituzione e ne influenza le attività42. Se ad esempio l’IMF ha come obiettivo la sostenibilità, si sforzerà di diventare sempre più indipendente dai sussidi pubblici. Allo stesso tempo, inizierà a cercare capitale di rischio presso banche o attori privati, o prestiti commerciali da istituti bancari. Nel febbraio 2009, in Italia soltanto due sono le istituzioni che hanno ricevuto investimenti in capitale di rischio (Microcredito di Solidarietà e PerMicro). In altri casi l’investimento è erogato da attori pubblici o fondazioni private solitamente in 41 Istat (22 settembre 2005) “La misura dell’economia sommersa secondo le statistiche ufficiali”. 42 Viganò, L. (ed. 2004) Microfinanza in Europa, Milano: Giuffrè Editore, p.92 81 forma di sussidi (GRAF. 13). Data la forma legale della maggior parte degli IMF (non profit), l’investimento è solitamente erogato in forma di fondo di garanzia che copre completamente – solitamente in rapporto 1:1 – i prestiti esborsati dalla banca partner. In molti casi l’investimento è anche erogato da attori pubblici e fondazioni per coprire le spese operative degli istituti. GRAF. 13: Fonti di Investimento 5.4.12 Marketing Per pubblicizzare i loro programmi e raggiungere più efficacemente il loro target, le IMF adottano differenti strategie. La strategia più comune è di contare su uno o più partner locali che servono da tramite tra i clienti e l’istituzione. Questi partner possono essere le parrocchie o gli uffici comunali. Allo stesso modo, un’ampia maggioranza di IMF (20 su 28, il 71%) conta su reti comunitarie. Cionondimeno, la strategia di marketing dei programmi italiani di microcredito, utilizza anche gli strumenti classici del marketing, come i mass media (11 su 28, il 39%). Inoltre due istituzioni dichiarano di farsi pubblicità anche sul web (digital marketing). 5.4.13 Formazione e assistenza tecnica I business development service (BDS), sono considerati un’ importante supporto alle attività del microcredito. Tra le IMF soggetto della survey, solo 7 su 29 (il 24%) non fornisce formazione o assistenza tecnica alla propria clientela direttamente o indirettamente. Al contrario, il 62% degli istituti (18 su 29) fornisce questo tipo di servizi, entrambi obbligatori per tutti i debitori nel 17% dei casi, per alcuni di loro (17%), o su richiesta (28%). Il consolidamento e l’estesione BDS sono essenziali per lo sviluppo dei prodotti di microcredito e per migliorare la qualità del portafoglio degli istituti di microcredito. L’erogazione di servizi integrati (finanziari e non finanziari) deve essere realizzata in relazione alla rete di attori locali e alle dimensioni del programma di microfinanza. Invece di una fornitura diretta da parte delle IMF, i BDS potrebbero essere sviluppati nei centri locali di auto impiego, presso le associazioni professionali, negli incubatori di impresa promossi dalla Commissione Europea, ecc. 5.4.14 Altri servizi finanziari. Solo poche IMF nel campione forniscono altri servizi finanziari alla clientela. Secondo lo studio, solo un’istituzione fornisce servizi assicurativi e un’altra servizi di money transfer. Cinque IMF forniscono consulenza sulla gestione del passivo alle imprese beneficiarie o servizi di educazione finanziaria alla clientela. Comunque, il fornire altri servizi può costituire una strategia importante di cross–selling, per migliorare il livello dei ricavi e quindi la sostenibilità dell’istituzione. Nel caso dei migranti, che costituiscono una larga fascia della clientela del settore, nei paesi sviluppati, come in Italia, c’è l’opportunità di sviluppare specifici 82 prodotti finanziari che coprano l’intera catena della migrazione. Per esempio, prodotti finanziari potrebbero essere integrati con la gestione e le rimesse. I migranti possono beneficiare del microcredito in Italia, mentre le loro famiglie potrebbero avere acceso al microcredito nel paese d’origine facendo leva finanziaria sull’ammontare delle rimesse attraverso lo stesso canale. Ci sono ora alcuni progetti pilota in Italia, ma non sono ancora del tutto sviluppati 43. Il quadro legale 5.5 È stato introdotto in data 13 agosto 2010 il decreto legislativo n.14144 che modifica alcune parti rilevanti del TUB del 1993. In particolare, oltre a recepire la direttiva comunitaria 2008/48/CE relativa al credito al consumo e alle disposizioni in materia di trasparenza, introduce elementi importanti di revisione della disciplina dei soggetti che operano nel settore finanziario (intermediari finanziari, mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria). Prendiamo in considerazione unicamente le modifiche relative alla disciplina degli intermediari finanziari non bancari. Innanzitutto l’art. 106, nella sua nuova versione, fa riferimento alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. Viene pertanto meno la precedente distinzione tra assunzione di partecipazioni, concessioni di finanziamenti e 43 Vedi anche Anderloni, L, Il mercato delle rimesse e la microfinanza - Analisi della rete italiana, Fondazione Giordano Dell’Amore e Fondazione Guido Venosta, 2007. 44 Gazzetta Ufficiale N. 207 del 4 Settembre 2010 “Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi. (10G0170). intermediazione in cambi. In aggiunta, gli intermediari potranno svolgere servizi di pagamento e prestare servizi di investimento – in entrambi i casi se specificamente autorizzati – e svolgere le funzioni strumentali e connesse. Per ottenere l’autorizzazione, il “nuovo” intermediario finanziario dovrà: - - - - avere la forma di società di capitali; avere sede legale e direzione generale nel territorio italiano; avere un capitale sociale versato non inferiore a quello stabilito dalla Banca d’Italia anche in relazione al tipo di operatività; presentare un programma in merito all’attività iniziale e alla struttura organizzativa; possedere i requisiti di onorabilità e professionalità; verificare l’assenza di potenziali conflitti di interesse che ostacolino l’esercizio delle funzioni di vigilanza; essere oggetto sociale esclusivo. La novità più importante, anche ai fini del presente studio, è rappresentata dal nuovo art. 111 che prevede, in deroga a quanto stabilito dal nuovo art. 106, una specifica tipologia di intermediari finanziari - iscritti in apposito elenco e con proprio organo di controllo - in grado di erogare finanziamenti descritti come “servizi di microcredito”. L’articolo 111 stabilisce la possibilità di concedere finanziamenti a persone fisiche, società di persone o società cooperative, per l’avvio o l’esercizio di attività di lavoro autonomo o di microimpresa, a condizione che i finanziamenti concessi abbiano le seguenti caratteristiche: - ammontare non superiore a 25.000 euro; mancanza di garanzie reali; 83 - - finalità legata all’avvio o allo sviluppo di iniziative imprenditoriali o all’inserimento nel mercato del lavoro; microcredito accompagnato dalla prestazione di servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio dei soggetti finanziati. I finanziamenti potranno essere erogati – in via non prevalente per l’intermediario – anche a favore di soggetti in condizioni di particolare vulnerabilità economica o sociale, purché tali finanziamenti siano per un importo massimo di 10.000 euro, non siano assistiti da garanzie reali, siano accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di bilancio familiare e abbiano lo scopo di consentire l’inclusione sociale e finanziaria del beneficiario. Questi soggetti dovranno avere: - forma di società di capitali; capitale sociale versato non inferiore a quello stabilito dalla Banca d’Italia; requisiti di onorabilità e professionalità come sopra richiamato; oggetto sociale esclusivo; un programma di attività dedicato. Di estremo interesse il ruolo che potrebbe essere attribuito dalla nuova legislazione alle associazioni non lucrative. Esse infatti potranno concedere finanziamenti ai propri associati a condizione che non siano assistiti da garanzie reali, siano finalizzati a consentire l’inclusione sociale e finanziaria del beneficiario e siano prestati a condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato. La nuova normativa prevede anche una disciplina specifica per i cosiddetti Confidi. presentate richiamano i dati elaborati dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI). Questi dati, che sono i soli disponibili al momento, presentano molti indicatori qualitativi (GRAF.14) (missione, tipologia di microcredito, target, ecc.) di programmi di microcredito gestiti da 12 istituti bancari45. GRAF. 14: la Missione delle Banche GRAF.15: tipologia di prestiti delle Banche Su 12 banche che hanno preso parte allo studio, 7 conducono un programma specifico per il microcredito all’impresa, e lo stesso numero conducono uno specifico programma di microcredito sociale (tre istituti hanno entrambi i programmi). Inoltre, quattro banche forniscono 45 5.6 Una valutazione del settore e ruolo potenziale delle banche In riferimento ai programmi di microfinanza gestiti dagli istituti bancari, le informazioni Le banche che hanno preso parte alla survey sono: Banca Carige, Banca del Piemonte, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare Pugliese, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi di Siena, Unicredito, Banca della Campania, Gruppo Banco Popolare, CR Parma e Piacenza, CR Volterra 84 prestiti d’onore, principalmente a studenti e a laureati. Infine, una banca fornisce microcredito anti usura, che si trova tra le due summenzionate tipologie (GRAF.15). La sola banca che fornisce questo tipo di microcredito (Banca della Campania) è situata nel sud Italia, dove l’usura è un fenomeno diffuso e dove si trovano la maggior parte delle altre IMF antiusura . Nel caso delle banche, come per le IMF, il target privilegiato è rappresentato da migranti, famiglie povere o lavoratori atipici (GRAF.16). La maggioranza degli istituti vede in generale come target preferenziale studenti e giovani, entrambi per prestiti d’onore e microcredito sociale e d’impresa. stessa banca di svolgere un’azione di marketing mirata e convincente. GRAF. 17: Aspetti considerati critici GRAF. 16: Clientela Target L’analisi dei principali problemi incontrati dagli istituti bancari, nella realizzazione del programma di microcredito, rivela alcuni elementi chiave (GRAF.17). Un terzo del campione (4 su 12) ha indicato come difficoltà il marketing dei propri programmi di microcredito. È ben evidente la distanza tra istituti bancari e i tipici clienti del microcredito (coloro che sono esclusi dai tradizionali servizi finanziari). Le ragioni di questo non sono solo finanziarie ma anche culturali. Dato che la clientela tipica del microcredito è costituita da migranti e persone socialmente ai margini, per gli istituti bancari è più difficile pubblicizzare i propri programmi di microcredito verso questi segmenti della società per diffidenza da parte di questi ultimi nei confronti della banca o per incapacità della Gli istituti bancari lamentano anche difficoltà nella relazione con la complessa rete di attori coinvolti nel microcredito (diocesi locali, uffici pubblici di assistenza sociale) e con la gestione dell’informazione all’interno della banca. Un istituto ha dichiarato inoltre la mancanza di educazione finanziaria da parte dei clienti, elemento che influenza negativamente la capacità di gestione del prestito del debitore. Due istituti bancari considerano la mancanza di garanzie reali da parte del debitore come principale ostacolo per il microcredito, un fattore che è a dir poco soprendente dal momento che la mancanza di garanzie di questo tipo è una caratteristica distintiva del cliente del microcredito. Come evidenziato nell’analisi, in prospettiva, quella del marketing è probabilmente la chiave che consentirà al mondo bancario di giocare un ruolo primario nel mercato della microfinanza. Lo studio delle caratteristiche specifiche socioculturali ed economiche del target e l’offerta prodotti mirati, potranno consentire di 85 avvicinare al settore bancario fasce di popolazione a rischio di esclusione finanziaria e bancaria. Un bacino molto ampio di clientela attualmente non completamente servito è quello rappresentato dai migranti. La struttura della popolazione straniera in Italia risulta complessa e in piena evoluzione. Ciò suggerisce agli attori bancari, chiamati a svolgere un ruolo di inclusione in ambito economico e sociale, di adottare una strategia basata sul riconoscimento delle diversità culturali. A tale approccio deve corrispondere un’offerta di prodotti e servizi che considerino le specificità culturali di ogni etnia. Il mercato deve quindi essere in grado di interpretare i bisogni espressi e latenti caratteristici delle diverse comunità, utilizzando strumenti di comunicazione adatti. Si parla sempre più diffusamente di ethnic marketing46 intendendo con esso l’analisi del mercato attraverso l’adozione di criteri di segmentazione del bacino potenziale d'utenza su base etnica. Secondo questo tipo di analisi, il mercato interno ad un Paese non è omogeneo, proprio perché una parte sempre più ampia della popolazione è costituita da comunità con elementi distintivi propri. Le caratteristiche nelle quali un gruppo si identifica o che il resto della popolazione attribuisce ad esso può riguardare almeno uno dei seguenti elementi47: - 46 una lunga storia condivisa, la cui memoria è mantenuta viva; una tradizione culturale sociale e familiare a volte basata su valori religiosi; un’origine geografica comune; una lingua comune (non necessariamente limitata a quel gruppo); Guilherme D. Pires; John Stanton, Ethnic Marketing : accepting the challenge of cultural diversity, Cengage Learning EMEA, 2005 47 House of Lords Report, Patterns of Prejudice, 1983 in Guilherme D. Pires; John Stanton, op. cit. - una letteratura comune orale o scritta; una religione comune; l’essere una minoranza (spesso oppressa); una comunità numericamente cospicua. Il marketing etnico si pone come obiettivo la definizione di un’offerta di prodotti o servizi che gli utenti, identificati su base etnica, considerano migliori di quelli offerti alla maggior parte della popolazione o ad altre comunità etniche. Esso deve quindi porsi le seguenti domande: - - - I bisogni espressi da un gruppo etnico sono diversi da quelli manifestati da altri gruppi o dalla maggior parte della popolazione? Le fonti d’informazione e i canali di comunicazione di cui si avvale un gruppo etnico, differiscono da quelli utilizzati da altri gruppi o dalla maggior parte della popolazione? Se sì, è possibile, considerando queste differenze, creare o migliorare dei prodotti o servizi? L'introduzione diffusa di tali criteri di segmentazione del mercato, di individuazione dei bisogni e di definizione di nuovi prodotti e servizi mirati, consente di stabilire con i residenti stranieri una relazione di tipo inclusivo. Il nuovo modello di inclusione sociale ed economica prospettato, non si basa più sul modello del melting pot, volto a favorire l'omogeneizzazione culturale dei residenti, ma tende piuttosto a costruire una società che si accosti all'idea del salad bowl nel quale ogni ingrediente mantenga il suo sapore e contribuisca con la sua unicità alla composizione della pietanza48. La segmentazione del mercato su base etnica consente di fare emergere aspetti interessanti e ancora scarsamente analizzati relativi alle 48 Nicolò Borracchini, Banche e Immigrati: credito, finanza islamica e rimesse, Pacini Editore, 2007 86 comunità di migranti. Tra i comportamenti meno evidenti ma di portata più rilevante, vanno senza dubbio considerati quelli relativi all'utilizzo dei servizi finanziari. Il comportamento in ambito finanziario delle comunità di migranti in Italia risulta essere del tutto particolare rispetto a quello della popolazione italiana. Esso si rivela in tutta la sua complessità in considerazione della variegata composizione etnica della presenza straniera nel nostro Paese. Esiste un chiaro legame tra ciclo di vita nel processo migratorio individuale e utilizzo dei servizi finanziari49. Il graduale radicamento nel territorio sta portando ad una progressiva modificazione nei comportamenti correlati all’utilizzo di strumenti di credito, risparmio, assicurativi e ai canali di invio delle rimesse. Una volta giunto nel Paese di destinazione, in una prima fase, il migrante utilizza buona parte del reddito per assicurare a se stesso e alla propria famiglia, rimasta nel paese d’origine, una condizione stabile. Il migrante è concentrato sulla risoluzione dei problemi legati all’insediamento nel nuovo Paese: regolarizzazione, ricerca di una casa e di un lavoro. I rapporti con le banche sono molto limitati. L’invio delle rimesse avviene attraverso canali che consentano di minimizzare i costi, a scapito della sicurezza e del controllo sulle somme inviate. Dopo questa prima fase, in concomitanza con la creazione e il consolidamento di nuova condizione lavorativa, abitativa e familiare, il cittadino straniero dimostra un progressivo interesse verso strumenti finanziari via via più raffinati quali: l’utilizzo di canali “formali” per l’invio delle rimesse, l’apertura di un conto corrente, l'accensione di un mutuo ipotecario per l’acquisto dell’abitazione o di un prestito al consumo, la sottoscrizione di prodotti di risparmio e assicurativi. L'evoluzione dei bisogni finanziari, in base agli anni di presenza in Italia, ha portato quindi molti migranti ad accostarsi con maggior fiducia al sistema bancario. Il processo di progressiva bancarizzazione dei migranti, ossia di inclusione dei migranti nel bacino d'utenza attiva del sistema finanziario, è un fenomeno in pieno sviluppo. Grazie soprattutto alla possibilità di accesso ad un lavoro stabile e al ruolo attivo di inclusione finanziaria giocato dal settore bancario italiano, il 67% dei migranti residenti adulti possiede un conto corrente bancario50. Il 54% dei migranti “bancarizzati” ha attivato un credito presso una banca, il 50% sotto forma di mutuo. Il grado di fiducia nei confronti di prodotti di gestione del risparmio evoluti è invece ancora basso, così come quello nei confronti dei prodotti assicurativi. Il 42% ha sottoscritto un prodotto assicurativo ma il 60% di questi è costituito da RC auto. Ma l'ambito entro il quale le dinamiche in campo finanziario assumono le caratteristiche di un vero e proprio fenomeno di massa, è rappresentato dal settore delle rimesse. Le dimensioni dei flussi finanziari tra Italia e Paesi d'origine sono imponenti. Secondo i dati contenuti nel XIX Rapporto “ Immigrazione: Dossier Statistico 2009” curato da Caritas e Fondazione Migrantes51, nel 2008 le rimesse trasferite dall'Italia ammontano a 6.381 milioni di EURO, pari a 1.640 EURO per immigrato regolarmente registrato nel nostro Paese. Esse assorbono lo 0,41% del prodotto interno lordo. 49 50 José Luis Rhi-Sausi; Marco Zupi, Banche e nuovi italiani. I comportamenti finanziari degli immigrati, Bancaria Editrice, 2009 José Luis Rhi-Sausi; Marco Zupi, op. cit. Caritas Italiana; Fondazione Migrantes; Caritas Diocesana di Roma, op. cit. 51 87 Se si tiene conto dei trasferimenti di denaro avvenuti tramite altri circuiti, diversi da quelli bancari (amici, familiari, corrieri), non facilmente quantificabili, si stima una consistenza almeno doppia. Il volume dei flussi è tendenzialmente crescente nel tempo. Si calcola, infatti, che nel periodo 2000-2008 le rimesse siano aumentate di oltre dieci volte52 e quelle pro-capite di poco più di quattro volte53. Il corridoio verso l'Asia assorbe il 46,9% del volume totale, seguito da Europa (26%), Africa (14,5%) e America Latina (12,5%)54. 52 Si consideri che la fonte dei dati è rappresentata dalle segnalazioni di flusso che le banche residenti inviano all'Ufficio Italiano Cambi. Tuttavia, una quota sempre più consistente dei flussi viene gestita dai cosiddetti Money Transfer Operators (MTO) tra i quali in primis Western Union e MoneyGram. Il servizio fornito consente di inviare e ricevere in tempo reale e in modo sicuro piccole somme di denaro in ogni parte del mondo utilizzando una fitta rete di sportelli. Tutte le transazioni degli MTO con l'estero avvengono tramite il canale bancario. I principali operatori del settore accentrano i bonifici, per il tramite di banche residenti, su piazze finanziarie estere, di norma non coincidenti con lo stato di residenza dei beneficiari delle rimesse. Ciò ha comportato una scarsa qualità nella disaggregazione territoriale estera delle informazioni statistiche del sistema bancario, non sempre in grado di identificare lo stato di residenza del destinatario finale della transazione. L'Ufficio Italiano Cambi, al fine di rappresentare il fenomeno "rimesse" in modo più aderente alla realtà, solo a partire dai dati dell'anno 2004, integra le informazioni bancarie con i dati raccolti presso gli MTO. L'adozione della nuova metodologia giustifica il salto di serie riscontrabile nell'andamento storico dei dati. Sull'argomento vedi anche: G. Giuseppe Ortolani, Remittance Statistics in Italy. A short note on current practice, UIC, 2006 53 Centro Studi Sintesi, Le rimesse in Italia, analisi e mappatura dei flussi monetari in uscita dall'Italia, 2008 54 Caritas Italiana; Fondazione Migrantes; Caritas Diocesana di Roma, op. cit. Il paese di destinazione più importante è la Cina, verso la quale nel 2008 sono partiti dall'Italia 1,541 miliardi di EURO. Le Filippine hanno ricevuto dai concittadini residenti in Italia 922,56 milioni di EURO, seguita da Romania (768,48 milioni di EURO), Marocco (333,02 milioni di EURO) e Senegal (262,78 milioni di EURO). I dati evidenziano come anche in Italia i migranti rappresentino un target potenziale estremamente interessante. Le banche mostrano un progressivo interesse per le comunità di migranti. Sempre più spesso si parla di migrant banking, riferendosi a servizi bancari ritagliati sulle esigenze dei migranti in Italia e caratterizzati da un marketing basato sul “linguaggio dell’accoglienza”55. Accanto ai servizi nel Paese di destinazione è tuttavia importante definire nuovi schemi operativi che rappresentino dei veri e propri ponti finanziari con i paesi d’origine. Questi nuovi modelli devono essere in grado di intercettare la domanda dei migranti e delle loro comunità di appartenenza sia in Italia che nei paesi d’origine. Un secondo e promettente ambito d’intervento delle banche nel settore della microfinanza è costituito dai servizi volti alla riduzione del fenomeno dell’esclusione bancaria, il cosiddetto social banking. Con esso si intende l’offerta di servizi bancari indirizzati a segmenti di clientela a rischio di esclusione bancaria che trovano difficoltà ad accedere anche ai servizi bancari più elementari56. Il social banking rivolge i propri servizi a persone prive di relazioni bancarie, ossia che per non convenienza, non sopportabilità economica, per incapacità di comprendere le condizioni contrattuali o per difficoltà relazionali con l’istituto bancario, non dispongono di un conto corrente, strumento 55 Nicolò Borracchini, op. cit. Luisa Anderloni in, Guida critica alla responsabilità sociale e al governo d’impresa, a cura di Lorenzo Sacconi, Bancaria Editrice, 2005, p. 719 56 88 indispensabile in molti ambiti della vita economica e sociale. Tra questi soggetti citiamo oltre ai migranti (in particolare i musulmani), i rifugiati, gli anziani, i giovani, i disoccupati, i lavoratori precari, le famiglie a basso reddito, le famiglie monoparentali. L’ABI è impegnata in iniziative rivolte all’inclusione finanziaria. Il Consorzio Patti Chiari, che ha avviato le attività nel 2003, ha lo scopo si promuovere presso il pubblico l’informazione e l’educazione in ambito finanziario. Inoltre, contribuisce allo sviluppo del “servizio bancario di base” volto alla riduzione del fenomeno dell’esclusione bancaria, attraverso l’accesso ad un conto corrente semplificato e a bassi costi di gestione. 5.7 Buone pratiche. PerMicro SpA: il microcredito commerciale alla prova PerMicro SpA è la prima società italiana a dimensione nazionale specializzata in microcredito (iscritta all’Albo degli intermediari finanziari ex. Art. 106 TUB). Nata nel 2007 a Torino, PerMicro si propone di fornire servizi di credito a imprese e a famiglie considerate non bancabili. Soci azionisti sono la società italiana di venture capital sociale Oltre Venture, la Fondazione Paideia, Ubi Banca e la Fondazione Sviluppo e Crescita CRT. La dimensione operativa adottata da PerMicro riprende standard organizzativi e di processo consolidati a livello internazionale, calandoli nella complessa realtà italiana. Si tratta di un’esperienza assolutamente innovativa per il settore della microfinanza in Italia, nato e sviluppatosi in una dimensione prevalentemente solidaristica e assistenziale che pur efficace dal punto di vista sociale non ha ancora consentito uno sviluppo esteso della microfinanza nel nostro Paese. Il modello proposto da PerMicro, per contro, si propone di fare leva su alcuni elementi in grado di condurre l’istituzione a un progressivo equilibrio tra efficienza (sostenibilità economica e finanziaria) ed efficacia (performance sociale). I principi fondanti su cui si basa PerMicro sono: - - - - - Impiego di un team di professionisti: l’utilizzo di personale retribuito e formato consente di raggiungere standard qualitativi superiori e una continuità nella relazione con i clienti; Approccio più vicino al mercato: la forma giuridica di Società per azioni implica che gli investitori, pur socialmente orientati (per quanto riguarda sia le aspettative di redditività che di rischio e di risultato sociale) intendano almeno mantenere costante il valore dell’investimento; Sviluppo di metodi di credit scoring e procedure standardizzate. Ciò consente di ridurre i costi di lavorazione delle pratiche di credito e, più in generale, di gestione del portafoglio; Assunzione diretta del rischio del credito. Come visto in precedenza i programmi di microfinanza tendono invece ad utilizzare Fondi di Garanzia esterni. Nel caso di PerMicro, accanto ad una garanzia di firma da parte di un garante considerato solvibile, il beneficiario deve portare una garanzia di tipo morale da parte della rete sociale nella quale è inserito (associazione, parrocchia, ecc.); Raggiungimento di volumi considerevoli di portafoglio. La sostenibilità economica dell’istituzione è legata al raggiungimento del punto di pareggio, realizzabile solo in presenza di un volume significativo di ricavi derivanti dall’attività di impiego. Ciò consente di servire un numero elevato di persone e mantenere in equilibrio economico l’istituzione; 89 - - Diffusione sul territorio nazionale. Il programma di PerMicro non avrà una dimensione locale ma, anche per ragioni di sostenibilità, intende estendersi all’intero territorio nazionale Raggiungimento nel medio periodo all’auto-sostenibilità economica e indipendenza dalle donazioni. Pur essendo difficile fare un bilancio sull’esperienza PerMicro a distanza di solo tre anni dalla sua creazione, è tuttavia possibile osservare quali siano al momento i primi riscontri dell’applicazione di tale modello nel contesto italiano. PerMicro è oggi presente in dieci Regioni italiane grazie ad una rete di 11 agenzie distribuite per il momento nel Nord e Centro Italia. Nel 2009 l’IMF ha erogato 290 crediti (+67% rispetto al 2008), su un totale di 2.568 contatti effettuati (11%). Al 30/06/2010 PerMicro aveva erogato complessivamente 703 crediti su 4.526 contatti effettuati (15%). Il totale dei crediti erogati è stato pari a 3,733 milioni di euro. Di questi 1,34 milioni di euro sono stati concessi alle microimprese e 2,39 milioni alle famiglie. L’ammontare medio erogato per i crediti alle imprese è di circa 7.600 euro; per le famiglie 4.500 euro. Il 79% dei clienti sono migranti, soprattutto impiegati nel piccolo commercio (41% dei crediti erogati all’impresa) e per la casa (41% dei crediti alle famiglie). Il 39% dei crediti rivolti all’impresa sono stati utilizzati per l’avvio dell’attività. In generale si osserva che i tempi di lavorazione delle pratiche di credito sono migliorabili e l’attività di monitoraggio richiesta impiega ingenti risorse. La sfida ancora aperta che PerMicro intende affrontare resta quindi quella di offrire un servizio competitivo e professionale, orientato alla sostenibilità economica dell’istituzione pur nel quadro di una stretta collaborazione con il settore pubblico e la società civile. 5.8 Buone pratiche. Fondo Microcredito della Regione l’importanza della rete territoriale per il Lazio: Con la legge regionale n. 10 del 18 Settembre 2006 la Regione Lazio (Assessorato al bilancio, programmazione economica e finanziaria) ha istituito il Fondo per il Microcredito e ne ha assegnato la gestione operativa a Sviluppo Lazio Spa, che a sua volta ha stipulato una convenzione bancaria con la Banca di Credito Cooperativo di Roma, Società Cooperativa. Un comitato tecnico supervisiona l’intero processo riguardante la gestione del fondo, mentre il Centro Servizi (composto da Microfinanza Srl e PerMicro SpA) effettua la valutazione creditizia, conduce il monitoraggio e il tutoraggio dei prestiti e si occupa della formazione degli operatori territoriali. Selezionati tramite bando pubblico, gli operatori territoriali sono enti pubblici o privati del settore no profit, che già realizzano progetti di intervento sociale ed economico. Coinvolgere questo tipo di attori è in linea con una visione democratica del microcredito, per un accesso al credito anche a persone escluse dai tradizionali circuiti finanziari e in condizioni di difficoltà: la presenza sul territorio di “sensori territoriali”, recettori e interpreti delle esigenze della popolazione, permette lo sviluppo di prodotti e programmi sostenibili e di impatto positivo. Gli operatori territoriali (attualmente sono 27), debitamente formati, conducono diversi colloqui con i soggetti interessati fino a farne una selezione in base ad una valutazione di affidabilità (le domande sono poi trasmesse per una valutazione di merito creditizio al Centro Servizi), ma soprattutto curano i rapporti con i 90 beneficiari accompagnandoli dalla richiesta di finanziamento sino alla restituzione del prestito. Una diramazione così capillare e vicina ai beneficiari permette la creazione di un sistema di informazioni tale da migliorare concretamente la qualità dei servizi e diminuire il rischio di fallimento dei progetti finanziati. L’organizzazione dei prestiti (legge regionale n.27 28 dicembre 2007) si suddivide in tre assi di intervento: - - - ASSE A: Microimprese, nella forma giuridica di cooperative, società di persone o ditte individuali, costituite e operanti, o in avvio d’impresa, con il fine di contrastare l’economia sommersa e di promuovere l’occupazione, soprattutto tramite l’autoimpiego; ASSE B: Credito d’emergenza, finalizzato a bisogni primari ed essenziali dell’individuo (salute, casa, ecc.); ASSE C: Sostegno a persone sottoposte ad esecuzione penale (intra o extra muraria, ex detenuti da non più di 24 mesi), nonché famigliari e non di detenuti. (Per questo tipo di soggetti è previsto un operatore territoriale di diritto, l’Ufficio per il Garante per i diritti dei detenuti del Lazio). Gli interventi a favore di persone giuridiche prevedono crediti di importo minimo di 5.000 e massimo di 20.000 euro, mentre i prestiti verso persone fisiche vanno dai 1.000 ai 10.000 euro. Entrambe le tipologie di prestito sono concesse ad un tasso di interesse dell’1%, e in entrambi i casi non sono previsti costi addizionali per i beneficiari. A fronte di questo, nei primi 6 mesi del 2010, il maggior numero di richieste si inquadra all’interno dell’Asse B (165 su 305 domande totali selezionate), ma la maggior parte delle “agevolazioni” concesse rientra nell’Asse A (80 su un totale di 156 domande ammesse, il 60%, per un ammontare di circa 1.225.958 euro), mentre nell’Asse B si registra un pressoché uguale numero di richieste ammesse (72, il 44%, che corrisponde a 357.624 euro erogati) e respinte (74, il 45%). Nell’Asse C, risultano solo 7 richieste, di cui 4 ammesse (il 57%, per un totale di 36 mila euro). In generale, dal suo avvio e sino ad agosto 2010, il progetto ha concesso 156 crediti per un totale di 1.619.583 euro.