TRIMESTRALE DELL’UNIONE
APOSTOLICA DEL CLERO
ANNO XXXII
2/2014
2
3
4-6
7-8
SIGNORE, MOSTRACI IL PADRE E CI BASTA
LETTERA DEL PRESIDENTE
DALL’EVANGELII GAUDIUM
CHE COSA SIGNIFICA “MISERICORDIA”
PER UN PRETE
UNIONE APOSTOLICA DEL CLERO
FEDERAZIONE ITALIANA
9-10
11-14
15-21
22-23
L’APOSTOLO E IL “MINISTERO
DELLO SPIRITO”
VITA SPIRITUALE E TEMPO STORICO
VITA ASSOCIATIVA
BUON CAMMINO
EDITORIALE
“Signore, mostraci il Padre e ci basta!”
TRIMESTRALE
DELL’UNIONE APOSTOLICA DEL CLERO
ANNO XXXII - N. 2 - APRILE-GIUGNO 2014
TRIMESTRALE DELL’UNIONE
APOSTOLICA DEL CLERO
ANNO XXXII
2/2014
2
3
4-6
7-8
SIGNORE, MOSTRACI IL PADRE E CI BASTA
LETTERA DEL PRESIDENTE
DALL’EVANGELII GAUDIUM
CHE COSA SIGNIFICA “MISERICORDIA”
PER UN PRETE
UNIONE APOSTOLICA DEL CLERO
FEDERAZIONE ITALIANA
9-10
11-14
15-21
22-23
L’APOSTOLO E IL “MINISTERO
DELLO SPIRITO”
VITA SPIRITUALE E TEMPO STORICO
VITA ASSOCIATIVA
BUON CAMMINO
In copertina: Frances A. Miller,
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Poste di Roma
Aut. Trib. di Padova n. 828
del 20/05/1984
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Finito di stampare nel mese di luglio 2014
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Provo ad immaginare quello che c’era dietro quella richiesta: «Mostraci il Padre e ci basta». È come se Filippo volesse dire a Gesù: Ecco,
noi ti stiamo seguendo da tanto tempo ormai, abbiamo visto tanti
segni grandi e davvero interessanti che tu hai compiuto, abbiamo anche
ascoltato tanti tuoi insegnamenti anch’essi interessanti e profondi. Ora
ti resta da fare una cosa sola per dare completezza a tutto: Mostraci il
Padre, mostraci il Padre e ci basta.
La risposta un po’ piccata di Gesù fa riflettere:« Da tanto tempo sono
con voi, Filippo, e non l’hai ancora capito? Chi vede me ha visto il Padre.
Come puoi tu dire…?».
Erano stati così a lungo con Lui, ma non avevano ancora capito il
cuore del problema, che riguardava prima ancora che il messaggio proclamato da Gesù, la sua persona, la sua ”identità”. Lui, Filippo, come
del resto tutti gli altri, lo avevano seguito, e per seguirlo avevano anche
lasciato tutto: casa, famiglie, lavoro. Erano stati testimoni di tanti eventi
prodigiosi e grandiosi, e forse (e senza forse…) stavano a lungo sognando il momento in cui avrebbero avuto un ruolo importante nel
Regno che il maestro dava sempre come imminente. Infatti, la domanda con la quale Giacomo e Giovanni chiedevano i primi posti
alla destra e alla sinistra di Gesù la dice lunga su quali fossero le reali
motivazioni che tenevano questa squadra di persone al suo seguito. E
in questa direzione va anche quella domanda che, come ci racconta il
libro degli Atti, gli undici fecero a Gesù perfino dopo la risurrezione:
«Maestro è questo il tempo in cui tu ricostituirai il Regno di Israele?».
Ora siamo alla fine dell’avventura terrena di questo maestro, che
loro hanno seguito ma non hanno per niente capito. Quella cena che
avevano appena finito di consumare assieme, e alla cui mensa, stando
ai racconti di Giovanni, si stavano attardando, era l’ultima, non ce ne
sarebbero state altre, perché di lì a poco Gesù avrebbe donato la vita
sulla croce. E Lui lo aveva detto in tanti modi, ma loro, totalmente
presi dall’intento di coltivare i loro sogni e le loro attese di sistemazioni
terrene, non avevano mai preso sul serio le parole di Gesù. Per questo,
anche ora che siamo alla fine, si mostrano ancora una volta terribilmente inadeguati. La richiesta di Filippo perciò ci fa vedere questi uomini che mentre gli sono commensali, gli sono in verità profondamente lontani. Immagino che Gesù avrebbe voluto dirgli: Aspetta qualche ora ancora, Filippo, e certo che te lo mostro il Padre. Ma anche questa cosa Gesù l’aveva detta appena qualche giorno prima: “Quando
avrete innalzato il figlio dell’uomo allora saprete che IO SONO e non faccio
nulla da me stesso”. Ma il Padre che Gesù sta per mostrare attraverso il
sacrificio della croce non è quel Dio potente al quale loro, figli prediletti del Dio delle schiere e degli eserciti, erano abituati a pensare, bensì
un Dio disarmato, sconfitto, inchiodato alla croce.
Allora domandiamoci: Siamo proprio sicuri che mentre, attraverso
l’esercizio del Ministero, stiamo spendendo la vita a parlare di Cristo
alla gente, lo stiamo pure ascoltando innanzitutto noi, lo stiamo prendendo sul serio, lasciandoci continuamente interrogare e mettere in discussione dalla Sua Parola? Siamo proprio sicuri di poter dire che, mentre viviamo ogni giorno l’intimità della mensa eucaristica con Lui e con
i nostri fratelli di cammino, stiamo poi conducendo una vita davvero
eucaristica, non solo nel perimetro delle nostre chiese, ma anche nei
luoghi della ferialità e della ordinarietà quotidiana, facendoci prossimi
sempre più prossimi alla vita della nostra gente?
Mons. Luigi Mansi
Presidente nazionale
LETTERA DEL PRESIDENTE
AI DIRETTORI DIOCESANI inviti, richieste, vicinanza
Carissimi Confratelli dell’UAC,
anche questa volta le pagine di
UAC Notizie incominciano, oltre
che con l’Editoriale, con la “Lettera
del Presidente”. È importante per
me dialogare fraternamente con
voi per raccontarvi della vita della
nostra Associazione.
A metà giugno abbiamo tenuto,
come da programma, il Consiglio
Nazionale allargato, questa volta,
ai Delegati Regionali. Era necessario sentirci anche con loro per monitorare lo stato della nostra Associazione nelle varie zone d’Italia. Ne è venuto
fuori un quadro davvero interessante che chiede
qualche riflessione. Si conferma quello che già appariva chiaro nell’Assemblea dello scorso novembre e nelle riunioni del Consiglio e della Presidenza dei mesi scorsi. L’Unione Apostolica manifesta un notevole innalzamento dell’età media dei
suoi iscritti e una conseguente riduzione del loro
numero. L’età, gli acciacchi e qualche volta l’arrivo
di sorella morte provoca il venir meno di tanti. Mi
è giunta qualche lettera davvero commovente in
cui mi si dice, con rammarico, di non poter più
fare l’iscrizione per il sopraggiungere di serie difficoltà di salute.
Ma devo anche dire anche c’è qualche timido
segno di novità molto confortante: in alcuni circoli sono comparse iscrizioni di giovani sacerdoti
che si sono accostati all’UAC perché invitati e accolti con grande affetto dai fratelli maggiori. Un
bell’esempio da seguire! Alla data del Consiglio
di Giugno, poi, non risultano ancora completate
le operazioni per l’iscrizione, sollecito fraternamente tutti, perciò, a completare l’invio delle iscrizioni con le relative quote.
Andiamo avanti con fiducia ed impegno, sempre!
Nella prima riunione del Centro Studi, che si
è tenuta il 1° aprile scorso, abbiamo definito la
traccia-programma per questo
triennio: È scandito così:
1. Ministri ordinati per una
Chiesa nel mondo,
2. Col mondo
3. Per il mondo.
Credo che ora si sia delineato
in maniera completa il cammino che faremo insieme in
questo triennio. Per quel che riguarda la prima tappa, il prossimo Convegno annuale sarà il
momento più significativo nel
quale l’UAC si interrogherà su
come noi ministri ordinati possiamo e dobbiamo
essere davvero attenti al momento particolare che
sta vivendo la Chiesa e perciò operare perché essa
sia avvertita dalle famiglie come inserita nel
mondo dei loro problemi, attenta a decifrarne difficoltà e speranze, tanto da “portare addosso”
l’odore della vita delle famiglie. Il titolo del Convegno, infatti è stato così definito: “MINISTERO
ORDINATO E FAMIGLIA: DUE VOCAZIONI PER
FAR CRESCERE LA COMUNIONE”.
Mentre eravamo al Consiglio Nazionale ci è
giunta una bellissima notizia: La sera dell’arrivo,
cioè lunedì 17 novembre, avremo alle 18.00 la
S.Messa presieduta da S.Em. il CARDINALE BENIAMINO STELLA, Prefetto della Congregazione
per il Clero. È un segno di attenzione che ci onora
e ci stimola perché ci fa capire quanto la realtà
del Clero stia a cuore ai nostri Pastori. Un motivo
in più per non mancare!
Vi aspetto e vi do appuntamento, perciò, in
tanti!
Roma, 27 giugno 2014.
Vostro
Mons. Luigi Mansi
Presidente nazionale
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“Perle”pastorali dall’Evangelii
gaudium di papa Francesco1
Cap. II: nella crisi dell’impegno comunitario
I - Alcune sfide del mondo attuale
Non possiamo tuttavia dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro
tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste. (…) Bisogna lottare per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità (52).
“Questa economia uccide. Non è possibile che
non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un
anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia
il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può tollerare il fatto che si getti il
cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità (53).
Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice (56).
Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che
possediamo non sono nostri, ma loro (57).
Il denaro deve servire e non governare! (..) Vi
esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica
in favore dell’essere umano (58).
Fino a quando non si eliminano l’esclusione e
l’inequità nella società e tra i popoli sarà impossibile sradicare la violenza (59).
I meccanismi dell’economia attuale promuovono un’esasperazione del consumo, ma risulta
che il consumismo sfrenata, unito all’inequità,
danneggia doppiamente il tessuto sociale. In tal
modo la disparità sociale genera prima o poi una
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violenza che la corsa agli armamenti non risolverà mai (60).
Nella cultura dominante, il primo posto è occupato da ciò che è esteriore, immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio. Il reale
cede il posto all’apparenza (62).
È necessario che riconosciamo che, se parte della
nostra gente battezzata non sperimenta la propria
appartenenza alla Chiesa, ciò si deve anche ad alcune strutture e ad un clima poco Accogliente
in alcune delle nostre parrocchie e comunità,
o a un atteggiamento burocratico. (…) In molte
parti c’è un predominio dell’aspetto amministrativo su quello pastorale, come pure una sacramentalizzazione senza altre forme di evangelizzazione (63).
La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali.
Nel caso della famigli, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della
cellula fondamentale della società, del luogo
dove si impara a convivere nella differenza e
ad appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli. Il matrimonio tende ad
essere visto come mera forma di gratificazione
affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e
modificarsi secondo la sensibilità d ognuno (66).
L’individualismo postmoderno e globalizzato
favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e
che snatura i vincoli familiari (67).
È imperioso il bisogno di evangelizzare le culture per inculturare il Vangelo. (…). Ogni cul-
Scelte di Vittorio Peri, da un’idea di p. Gambattista Rapisarda, liturgista e parroco di Fiumefreddo (CT).
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tura e ogni gruppo sociale necessita di purificazione e maturazione. Nel caso di culture popolari
di popolazioni cattoliche, possiamo riconoscere
alcune debolezze che devono ancora essere sanate dal Vangelo. (…) Ma è proprio la pietà popolare il miglior punto di partenza (69).
Non possiamo ignorare che, negli ultimi decenni, si è prodotto una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico. È innegabile che molti si sentono
delusi e cessano di identificarsi con la tradizione
cattolica (70).
Nuove culture vengono a generarsi in queste
enormi geografie umane dove il cristiano non
suole più essere promotore o generatore di
senso, ma che riceve da esse altri linguaggi, simboli, messaggi e paradigmi che offrono nuovi
orientamenti di vita spesso in contrasto con il
Vangelo di Gesù (…) Oggi le trasformazioni di
queste grandi aree e la cultura che esprimono
sono un luogo privilegiato della nuova evangelizzazione. Ciò richiede di immaginare spazi di
preghiera e di comunione con caratteristiche
innovative, più attraenti e significative ( 73).
Si rende necessaria un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio,
con gli altri e con l’ambiente, e che susciti i valori fondamentali (74).
Nelle città (…) le case e i quartieri si costruiscono
più per isolare e proteggere che per collegare e
integrare. (…) Il senso unitario e completo della
vita umana che il Vangelo propone è il miglior
rimedio ai mali della città (75).
II - Tentazioni degli operatori pastorali
Sento una gratitudine immensa per l’impegno
di tutti coloro che lavorano nella Chiesa (…)
L’apporto della Chiesa nel mondo attuale è
enorme. Il nostro dolore e la nostra vergogna per
i peccati di alcuni membri della Chiesa, e per i
propri, non devono far dimenticare quanti cristiani danno la vita per amore: aiutano gente a curarsi o a morire in precari ospedali, o accompagnano le persone rese schiave da diverse dipen-
denze nei luoghi più poveri della Terra, o si prodigano nell’educazione dei bambini e giovani, o
si prendono cura di anziani abbandonati da tutti,
o si dedicano in molti modi, che mostrano l’immenso amore per l’umanità ispiratoci dal Dio
fatto uomo (76).
Abbiamo bisogno di creare spazi adatti a motivare e risanare gli operatori pastorali, luoghi
in cui rigenerare la propria fede in Gesù crocifisso e risorto (77).
Oggi si può riscontrare in molti operatori pastorali (…) un’accentuazione dell’individualismo,
una crisi d’identità e un calo di fervore. Sono tre
mali che si alimentano l’uno con l’altro.” (n.78).
Si sviluppa negli operatori pastorali (…) uno stile
di vita che porta ad attaccarsi a sicurezze economiche, o a spazi di potere e di gloria umana
che ci si procura in qualsiasi modo, invece di dare
la vita per gli altri nella missione (80).
Oggi, per esempio è diventato molto difficile
trovare catechisti preparati per le parrocchie
e che perseverino nel loro compito per diversi
anni. Ma qualcosa di simile accade con i sacerdoti, che si preoccupano con ossessione del loro
tempo personale ( …), di preservare i loro spazi
di autonomia (81).
Il problema non sempre è l’eccesso di attività,
ma soprattutto sono le attività vissute male,
senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile (82).
Si sviluppa la psicologia della tomba, che poco
a poco trasforma i cristiani in mummie da museo
(83).
I mali del nostro mondo – e quelli della Chiesa
– non dovrebbero essere scuse per ridurre il
nostro impegno e il nostro fervore. Consideriamolo stimoli per crescere (84).
Una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia è il senso di sconfitta, che ci
trasforma in pessimisti scontenti e disincantati
dalla faccia scura (85).
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È evidente che in alcuni luoghi si è prodotta
una ‘desertificazione spirituale, frutto del progetto di società che vogliono costruirsi senza Dio
o che distruggono le loro radici cristiane. (…)
In ogni caso siamo chiamati ad essere personeanfore per dare da bere agli altri (86).
Oggi (…) sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di
appoggiarci, di partecipare (87).
Il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio
dell’incontro con il volto dell’altro. (…) L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la
carne degli altri. Il Figlio di Dio nella sua incarnazione ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza (88).
Più dell’ateismo, oggi abbiamo di fronte la sfida di
rispondere adeguatamente alla sete di Dio di
molta gente, perché non cerchino di spegnerla con
proposte alienanti. (…) Se non trovano nella Chiesa
una spiritualità che li sani, li liberi, li ricolmi di vita
e di pace (…) finiranno ingannati da proposte che
non umanizzano né danno gloria a Dio (89).
In settori delle nostre società cresce la stima per
diverse forme di ‘spiritualità del benesserÈ senza
comunità, per una ‘teologia della prosperità’
senza impegni fraterni, o esperienze soggettive
senza volto, che si riducono a una ricerca interiore immanentista (90).
La vera guarigione (…) è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che scoprire Dio in
ogni essere umano (…) I discepoli del Signore
sono chiamati a vivere come comunità che sia
sale della terra e luce del mondo (cfr Mt 5,13-16).
Sono chiamati a dare testimonianza di un’ appartenenza evangelizzatrice in maniera nuova (92).
È cresciuta la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa (…)La formazione
dei laici e l’evangelizzazione delle categorie
professionali e intellettuali rappresentano
un’importante sfida pastorale (102).
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La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto
della donna nella società, con una sensibilità,
un intuizione e certe capacità peculiari proprie
delle donne. (…) Vedo con piacere come molte
donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per
l’accompagnamento di persone, di famiglie o di
gruppi ed offrono nuovi apporti alla riflessione
teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare
gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa (103).
Non bisogna dimenticare che quando parliamo
di potestà sacerdotale ‘ci troviamo nell’ambito
della funzione, non della dignità e della santità’
(Giovanni Paolo II, Christifideles laici 51). Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù
utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande
dignità viene dal battesimo, che è accessibile a
tutti. La configurazione del sacerdote con Cristo
Capo – vale a dire, come fonte della grazia – non
implica che lo collochi in cima a tutto il resto.
Nella Chiesa le funzioni non danno luogo alla
superiorità degli uni sugli altri. Di fatto una
donna, Maria, è più importante dei vescovi
(104).
I giovani, nelle strutture abituali, spesso non
trovano risposte alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite. (… ) La proliferazione e la crescita di associazioni e movimenti
prevalentemente giovanili si possono interpretare
come un’azione dello Spirito che apre nuove
strade in sintonia con le loro aspettative e con la
ricerca di spiritualità profonda e di un senso di
appartenenza più concreto. È necessario, tuttavia,
rendere più stabile la partecipazione di queste
aggregazioni all’interno della pastorale d’insieme della Chiesa (n. 105).
Nonostante la scarsità di vocazioni, oggi abbiamo
una chiara coscienza della necessità di una migliore selezione dei candidati al sacerdozio. Non
si possono riempire i seminari sulla base di
qualunque tipo di motivazioni, tanto meno se
queste sono legate ad insicurezza affettiva, a ricerca di forme di potere, gloria umana o benessere economico (107).
Che cosa significa “Misericordia” per un prete?
Certamente è cosa utile, anzi preziosa, per noi ministri ordinati rileggerci con attenzione
alcuni passaggi del discorso che il Vescovo di Roma, il Santo Padre Francesco, ha tenuto
ai preti di Roma il 6 marzo scorso. C’è davvero tanto da meditare.
Il brano del Vangelo di Matteo che abbiamo
ascoltato ci fa rivolgere lo sguardo a Gesù che cammina per le città e i villaggi. E questo è curioso.
Qual è il posto dove Gesù era più spesso, dove lo
si poteva trovare con più facilità? Sulle strade. Poteva sembrare che fosse un senzatetto, perché era
sempre sulla strada. La vita di Gesù era nella strada.
Soprattutto ci invita a cogliere la profondità del suo
cuore, ciò che Lui prova per le folle, per la gente
che incontra: quell’atteggiamento interiore di
“compassione”, vedendo le folle, ne sentì compassione. Perché vede le persone “stanche e sfinite,
come pecore senza pastore”. Abbiamo sentito tante
volte queste parole che forse non entrano con
forza. Ma sono forti! Un po’ come tante persone
che voi incontrate oggi per le strade dei vostri quartieri… Poi l’orizzonte si allarga, e vediamo che queste città e questi villaggi sono non solo Roma e
l’Italia, ma sono il mondo… e quelle folle sfinite
sono popolazioni di tanti Paesi che stanno soffrendo situazioni ancora più difficili…
Allora comprendiamo che noi non siamo qui
per (…cercare di comprendere insieme che) noi stiamo
vivendo in tempo di misericordia, da trent’anni o
più, fino adesso.
1. Nella Chiesa tutta è il tempo della misericordia.
Questa è stata un’intuizione del beato Giovanni
Paolo II. Lui ha avuto il “fiuto” che questo era il
tempo della misericordia. Pensiamo alla beatificazione e canonizzazione di Suor Faustina Kowalska;
poi ha introdotto la festa della Divina Misericordia.
Piano piano è avanzato, è andato avanti su questo.
Nell’Omelia per la Canonizzazione, che avvenne
nel 2000, Giovanni Paolo II sottolineò che il messaggio di Gesù Cristo a Suor Faustina si colloca
temporalmente tra le due guerre mondiali ed è
molto legato alla storia del ventesimo secolo. E
guardando al futuro disse: «Che cosa ci porteranno
gli anni che sono davanti a noi? Come sarà l’avvenire dell’uomo sulla terra? A noi non è dato di saperlo. È certo tuttavia che accanto a nuovi progressi
non mancheranno, purtroppo, esperienze dolorose. Ma la luce della divina misericordia, che il Signore ha voluto quasi riconsegnare al mondo attraverso il carisma di suor Faustina, illuminerà il cammino degli uomini del terzo millennio». È chiaro.
Qui è esplicito, nel 2000, ma è una cosa che nel
suo cuore maturava da tempo. Nella sua preghiera
ha avuto questa intuizione.
Oggi dimentichiamo tutto troppo in fretta,
anche il Magistero della Chiesa! In parte è inevitabile, ma i grandi contenuti, le grandi intuizioni e
le consegne lasciate al Popolo di Dio non possiamo
dimenticarle. E quella della divina misericordia è
una di queste. È una consegna che lui ci ha dato,
ma che viene dall’alto. Sta a noi, come ministri
della Chiesa, tenere vivo questo messaggio soprattutto nella predicazione e nei gesti, nei segni, nelle
scelte pastorali, ad esempio la scelta di restituire
priorità al sacramento della Riconciliazione, e al
tempo stesso alle opere di misericordia.
2. Che cosa significa misericordia per i preti?
Domandiamoci che cosa significa misericordia
per un prete, permettetemi di dire per noi preti. Per
noi, per tutti noi! I preti si commuovono davanti
alle pecore, come Gesù, quando vedeva la gente
stanca e sfinita come pecore senza pastore. Gesù ha
le “viscere” di Dio, Isaia ne parla tanto: è pieno di
tenerezza verso la gente, specialmente verso le persone escluse, cioè verso i peccatori, verso i malati
di cui nessuno si prende cura… Così a immagine
del Buon Pastore, il prete è uomo di misericordia e
di compassione, vicino alla sua gente e servitore di
tutti. Questo è un criterio pastorale che vorrei sottolineare tanto: la vicinanza. La prossimità e il servizio. Chiunque si trovi ferito nella propria vita, in
qualsiasi modo, può trovare in lui attenzione e
ascolto… In particolare il prete dimostra viscere di
misericordia nell’amministrare il sacramento della
Riconciliazione; lo dimostra in tutto il suo atteggiamento, nel modo di accogliere, di ascoltare, di
consigliare, di assolvere… Ma questo deriva da
come lui stesso vive il sacramento in prima persona, da come si lascia abbracciare da Dio Padre
nella Confessione, e rimane dentro questo abbraccio… Se uno vive questo su di sé, nel proprio
cuore, può anche donarlo agli altri nel ministero.
E vi lascio la domanda: Come mi confesso? Mi lascio abbracciare? Mi viene alla mente un grande sacerdote di Buenos Aires, ha meno anni di me, ne
avrà 72… Una volta è venuto da me. È un grande
confessore: c’è sempre la coda lì da lui… I preti, la
maggioranza, vanno da lui a confessarsi… È un
grande confessore. E una volta è venuto da me:
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“Ma Padre…”, “Dimmi”, “Io ho un po’ di scrupolo,
perché io so che perdono troppo!”; “Prega… se tu
perdoni troppo…”. E abbiamo parlato della misericordia. A un certo punto mi ha detto: “Sai,
quando io sento che è forte questo scrupolo, vado
in cappella, davanti al Tabernacolo, e Gli dico: Scusami, Tu hai la colpa, perché mi hai dato il cattivo
esempio! E me ne vado tranquillo…”. È una bella
preghiera di misericordia! Se uno nella Confessione
vive questo su di sé, nel proprio cuore, può anche
donarlo agli altri.
Il prete è chiamato a imparare questo, ad avere
un cuore che si commuove. I preti - mi permetto
la parola - “asettici” quelli “di laboratorio”, tutto
pulito, tutto bello, non aiutano la Chiesa. La
Chiesa oggi possiamo pensarla come un “ospedale
da campo”. Questo scusatemi lo ripeto, perché lo
vedo così, lo sento così: un “ospedale da campo”.
C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante
ferite! C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali,
dagli scandali, anche nella Chiesa... Gente ferita
dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo
essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite. Quando uno è
ferito, ha bisogno subito di questo, non delle analisi, come i valori del colesterolo, della glicemia…
Ma c’è la ferita, cura la ferita, e poi vediamo le analisi. Poi si faranno le cure specialistiche, ma prima
si devono curare le ferite aperte. Per me questo, in
questo momento, è più importante. E ci sono
anche ferite nascoste, perché c’è gente che si allontana per non far vedere le ferite… Mi viene in
mente l’abitudine, per la legge mosaica, dei lebbrosi al tempo di Gesù, che sempre erano allontanati, per non contagiare… E si allontanano forse
un po’ con la faccia storta, contro la Chiesa, ma
nel fondo, dentro c’è la ferita… Vogliono una carezza! E voi, cari confratelli - vi domando - conoscete le ferite dei vostri parrocchiani? Le intuite?
Siete vicini a loro? È la sola domanda…
3. Misericordia significa né manica larga né rigidità.
Ritorniamo al sacramento della Riconciliazione.
Capita spesso, a noi preti, di sentire l’esperienza dei
nostri fedeli che ci raccontano di aver incontrato
nella Confessione un sacerdote molto “stretto”, oppure molto “largo”, rigorista o lassista. E questo non
va bene. Che tra i confessori ci siano differenze di
stile è normale, ma queste differenze non possono
riguardare la sostanza, cioè la sana dottrina morale
e la misericordia. Né il lassista né il rigorista rende
testimonianza a Gesù Cristo, perché né l’uno né
l’altro si fa carico della persona che incontra. Il rigorista si lava le mani: infatti la inchioda alla legge
intesa in modo freddo e rigido; il lassista anche si
lava le mani: solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema
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di quella coscienza, minimizzando il peccato. La
vera misericordia si fa carico della persona, la ascolta
attentamente, si accosta con rispetto e con verità
alla sua situazione, e la accompagna nel cammino
della riconciliazione. E questo è faticoso, sì, certamente. Il sacerdote veramente misericordioso si
comporta come il Buon Samaritano… ma perché
lo fa? Perché il suo cuore è capace di compassione,
è il cuore di Cristo!
Per spiegarmi faccio anche a voi alcune domande che mi aiutano quando un sacerdote viene
da me. Mi aiutano anche quando sono solo davanti
al Signore! Dimmi: Tu piangi? O abbiamo perso le
lacrime? Ricordo che nei Messali antichi, quelli di
un altro tempo, c’è una preghiera bellissima per
chiedere il dono delle lacrime. Incominciava così,
la preghiera: “Signore, Tu che hai dato a Mosè il
mandato di colpire la pietra perché venisse l’acqua,
colpisci la pietra del mio cuore perché le lacrime…
”: era così, più o meno, la preghiera. Era bellissima.
Ma, quanti di noi piangiamo davanti alla sofferenza di un bambino, davanti alla distruzione di
una famiglia, davanti a tanta gente che non trova il
cammino?… Il pianto del prete… Tu piangi? O in
questo presbiterio abbiamo perso le lacrime? Piangi
per il tuo popolo? Dimmi, tu fai la preghiera di intercessione davanti al Tabernacolo?
Tu lotti con il Signore per il tuo popolo, come
Abramo ha lottato: “E se fossero meno? E se fossero 25? E se fossero 20?...” (cfr Gen 18,22-33).
Quella preghiera coraggiosa di intercessione… Noi
parliamo di parresia, di coraggio apostolico, e pensiamo ai piani pastorali, questo va bene, ma la
stessa parresia è necessaria anche nella preghiera.
Lotti con il Signore? Discuti con il Signore come
ha fatto Mosè? Quando il Signore era stufo, stanco
del suo popolo e gli disse: “Tu stai tranquillo… distruggerò tutti, e ti farò capo di un altro popolo”.
“No, no! Se tu distruggi il popolo, distruggi anche
a me!”. Ma questi avevano i pantaloni! E io faccio
la domanda: Noi abbiamo i pantaloni per lottare
con Dio per il nostro popolo?
Un’altra domanda che faccio: la sera, come concludi la tua giornata? Con il Signore o con la televisione? Quanto bene fa l’esempio di un prete misericordioso, di un prete che si avvicina alle ferite…
Se pensate, voi sicuramente ne avete conosciuti
tanti, tanti, perché i preti dell’Italia sono bravi!
Sono bravi. Io credo che se l’Italia ancora è tanto
forte, non è tanto per noi Vescovi, ma per i parroci,
per i preti! È vero, questo è vero! Non è un po’
d’incenso per confortarvi, lo sento così.
La misericordia. Pensate a tanti preti che sono
in cielo e chiedete questa grazia! Che vi diano
quella misericordia che hanno avuto con i loro fedeli. E questo fa bene.
L’apostolo e il “ministero
dello spirito”
II parte
La più bella lettera di raccomandazione
In tutti i tempi e in tutte le culture si è fatto
e si farà uso di lettere di raccomandazione!
Non c’è concorso pubblico che non sia affrontato con almeno una raccomandazione.
Soltanto l’apostolo non ha bisogno di raccomandazione, di una spinta esterna che lo aiuti
nella riuscita delle prove da affrontare. Egli
non ha bisogno di raccomandazioni: la comunità a cui ha portato il tesoro del Vangelo
è la sua paradossale lettera di raccomandazione!
Stupenda è la metafora che Paolo utilizza
in 2 Cor 3,1-3 per descrivere la sua originale
lettera di raccomandazione: non è scritta da
altri che non sia Colui che lo ha mandato; è
composta non su tavole di pietra, diremmo
oggi su fogli di carta, ma sul cuore stesso
dell’apostolo; è incisa non con l’inchiostro
ma con lo Spirito del Dio vivente. Non c’è lettera più originale e indistruttibile perché sul
cuore dell’apostolo vengono scritti i nomi di
tutti coloro che accogliendo il suo Vangelo,
accolgono lui stesso.
Per questo, il cuore dell’apostolo si dilata
a dismisura, come per miocardia, così da offrire lo spazio necessario perché nessuno dei
destinatari si consideri estraneo: “… Il nostro
cuore si dilatato per voi. In noi certo non siete
allo stretto; è nei vostri cuori che siete allo
stretto” (2Cor 6,11-12). L’apostolo non è uno
che ama di meno rispetto a chi orienta il proprio amore soltanto verso una persona o un
solo nucleo familiare, ma uno che ama a tal
di Antonio Pitta1
punto la comunità che si va costruendo intorno al suo Vangelo da continuare ad amarla
con tutto se stesso, anche nei frangenti di tradimento o di abbandono.
La forma d’amore che più di altre esprime
il legame tra l’apostolo e la sua comunità è
quella di un padre o di una madre: “… Siamo
stati amorevoli in mezzo a voi, come una
madre che ha cura delle proprie creature.
Così, affezionati a voi, avremmo desiderato
trasmettervi non solo il Vangelo di Dio, ma la
nostra stessa vita, perché ci siete diventati
cari” (1Ts 2,7-8).
Un amore disinteressato e non inficiato da
relazioni a contratto né a tempo o periodico,
bensì di totale dedizione, come quello di una
madre, e capace di educare, come quello di un
padre: “Potreste infatti avere anche diecimila
pedagoghi in Cristo, ma non certo molti
padri, perché sono io che vi ho generato in
Cristo Gesù, mediante il vangelo” (1Cor
4,15). L’apostolo non è un semplicemente un
amico, con tutta la profondità di un valore
importante come l’amicizia, ma un genitore
che conosce i tempi e le modalità con cui deve
rapportarsi ai propri figli.
Di fronte a quanti, nella sua comunità, gli
stanno voltando le spalle non si vergogna di
dichiarare il proprio amore geloso; e si tratta
di una gelosia quasi morbosa che non accetta
altre figure paterne o materne: “Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina: vi ho
dati in matrimonio ad un unico sposo, per
presentarvi a Cristo come vergine casta. Temo
però che, come il serpente con la sua malizia
sedusse Eva, così i vostri pensieri siano traviati
1
Professore ordinario di Nuovo Testamento alla Pontificia Università Lateranense, membro del Centro Studi
dell’UAC. (Brani tratti da Trasformati dallo Spirito, Paoline, Milano 2005, III ed.)
9
2/2014
dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di
Cristo” (2 Cor 11,2-3).
L’apostolo non è soltanto l’amico dello
Sposo che, sull’esempio di Giovanni Battista,
si limita a preparare le nozze tra lo Sposo e la
Sposa e, in quest’importante ruolo esprime la
pienezza della sua gioia (cf. Gv 3,29: “Lo
sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma
l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta,
esulta di gioia alla voce dello sposo”). Tanto
meno l’apostolo è lo Sposo a cui è destinata
la Sposa. Egli è il padre della Sposa che nutre
per lei una gelosia d’amore e che si affievolirà
soltanto quando la Sposa sarà tutta dello
Sposo che è Cristo.
Nel periodo dell’attesa, l’apostolo sa di
dover tutelare la verginità della Sposa e di tenere sempre desta la vigilanza per lo Sposo
che viene. A volte all’apostolo si attribuisce il
ruolo dello Sposo; ma l’unico Sposo è e resta
Colui che ha dato il suo sangue per la Sposa!
E se l’apostolo è descritto come tale, è soltanto
per rimandare ed indirizzare a quell’unico
Sposo a cui è destinata la Sposa.
A quale equilibrio affettivo deve giungere
l’apostolo: dedicarsi totalmente per una comunità, “spendere e spendersi” (cf. 2Cor 12,15),
sino a consumarsi per lei ma non dimenticare
mai che né lui appartiene esclusivamente ad
una comunità né questa è sua proprietà: sia lui
sia la comunità sono di un Altro.
In qualsiasi legame stabilisca con la comunità, l’apostolo non dovrà mai dimenticare
l’origine del proprio mandato e Colui che lo
ha inviato; né gli sarà mai concesso d’impossessarsi di una comunità: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo
invece collaboratori della vostra gioia, perché
nella fede voi siete saldi” (2Cor 1,24).
A volte è troppo esigente la richiesta di
Colui che manda: come si può amare una comunità, fatta di persone concrete, senza oltrepassare la soglia del possesso? Come una sana
gelosia, in quanto espressione di un amore
che lega le persone, può non sconfinare in
forme di esclusivismo? E come si potrà amare
una comunità anche quando dall’altra parte
2
Giovanni Crisostomo, Sul Sacerdozio 3,211.
10
2/2014
la risposta non è pari all’offerta: “Se vi amo
più intensamente, dovrei essere riamato di
meno?” (2Cor 12,15).
Non si può non condividere ciò che scrive
Giovanni Crisostomo: “Le tempeste che agitano l’anima del sacerdote sono maggiori dei
venti che sconvolgono il mare”2.
Tutto, nella vita dell’apostolo, si decide
nella dinamica tra l’appartenenza a Colui che
lo ha chiamato al ministero, con la forza dello
Spirito, e il suo consumarsi per la e le comunità nelle quali è mandato.
Quando uno solo di questi due orizzonti
che s’incontrano nel Vangelo, posto nelle sue
mani, vengono a mancare o a diventare secondari, si verificano tutti gli squilibri affettivi
e relazionali immaginabili.
Quando egli dimentica la motivazione del
suo buttarsi nella mischia, attribuendo soltanto ad una comunità le ragioni del proprio
mandato, di fronte alle prime delusioni che
la stessa comunità gli procura cade in depressione e pone in seria discussione la consistenza della propria missione. Non sarà stata
tutta un’illusione giovanile?
L’eccessivo legame verso una comunità gli
crea continui squilibri: rischia di portarlo, con
il tempo, a preferire soltanto quelli che gli
sono più simpatici o che condividono il suo
modo di pensare; gli manca la forza di riconoscere il grado di maturità della comunità e
non è disposto a lasciarla per raggiungere altri
destinatari del Vangelo.
Il suo viaggio si concluderebbe dove trova
maggiori consensi e adesioni, mentre anche
altri hanno il diritto di ascoltare dalla sua
bocca e di vedere nella sua esistenza la Parola
che genera la fede: “Ora come invocheranno
colui nel quale non hanno creduto? Come
crederanno in colui che del quale non hanno
sentito parlare? Come ne sentiranno parlare
senza qualcuno che lo annunzi? E come lo
annunzieranno, se non sono stati inviati?
Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di
coloro che recano un lieto annunzio di
bene?” (Rm 10,14-15).
0
IN
N. SER
3 TO
VITA SPIRITUALE E TEMPO STORICO
“L’attesa di una terra nuova
non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel
lavoro relativo alla terra presente” scrive al n. 39 Gaudium et
spes, la costituzione conciliare
che, parlando della Chiesa nel
mondo contemporaneo, offre preziose indicazioni sul modo di vivere da cristiani nel tempo presente.
La primaria indicazione è che,
nella vita cristiana, ci sono due
aspetti strettamente connessi e all’apparenza alternativi: l’impegno nel tempo presente e l’attesa della felicità oltre il tempo. Un dittico ben
diverso da quello formato dalle contrapposte
sponde del carpe diem (è troppo attraente il
mondo, per non goderne i piaceri) e della fuga
mundi (è troppo fugace, per dargli incondizionata fiducia).
A questa riflessione sul tempo presente seguirà, nell’ultimo capitolo, quella circa l’attesa
del mondo futuro.
Il mistero del tempo
“Immagina – disse un tale ad un amico -, di
trovare ogni mattina sul tuo conto bancario un
accredito di 86.400 euro. Una bella fortuna,
dirai, ma tieni conto che ci sono due clausole da
rispettare. La prima, è che quel denaro devi
spenderlo tutto, entro la giornata, senza mettere
da parte nemmeno un centesimo. La seconda, è
che la banca può interrzompere l’accredito quotidiano in qualsiasi momento, anche senza preavviso. Che cosa faresti di una tale fortuna?”.
Preso così, alla sprovvista, l’amico rispose:
“ma che mi racconti! Una banca del genere non
esiste. Dove vuoi arrivare?”. “E invece esiste,
eccome! – replicò il primo -, e tutti ne siamo
clienti. È la banca del tempo che, ogni giorno,
regala a tutti ben 86.400 secondi. Il bello è che
di Vittorio Peri
la magìa ricomincia ogni
giorno. Il meno bello è che il
flusso dei secondi può cessare
in qualsiasi momento, come
d’incanto”.
La storiella insegna che il
tempo, coincidendo con la vita,
è la cosa più preziosa che abbiamo. Ne parliamo sempre
ma, come una realtà impalpabile non sappiamo definirlo.
“Se nessuno mi chiede cosa
sia, io lo so - scriveva sant’Agostino nelle Confessioni. Se però qualcuno
me lo chiede, non so rispondere”.
Tutti sperimentiamo che il tempo è troppo
lento per chi aspetta, troppo lungo per chi soffre,
troppo breve per chi è felice. E soprattutto sappiamo che logora e sciupa ogni cosa (“edax
rerum”, divoratore delle cose, per il poeta romano Ovidio), a cominciare dalla vita stessa. Gli
anziani, in particolare, sperimentano che “la giovinezza e i capelli neri sono un soffio”, come
scrive Qoèlet (11,10). “Cursus in fine velocior”
: al termine, la corsa si fa più veloce, dicevano
gli antichi latini.
Non so, ha detto qualcuno con fine umorismo, se il tempo sia il miglior medico; certo, è
il peggiore estetista. Non a caso, nella mitologia
greca il tempo era una mostruosa divinità (kronos) che divorava i propri figli per paura nel timore che qualcuno potesse spodestarlo.
Nulla è più prezioso
Il tempo è prezioso perché non concede alcun
bis. A nessuno. L’istante appena passato non
torna più. Unico e irripetibile, è come il vento:
quando ci s’accorge che c’è, è già lontano. Impossibile fermarlo. È possibile accumulare tutto:
soldi, oggetti, ricordi e perfino l’aria. Ma il
tempo no, non si può metterlo da parte per
quando se ne avrà bisogno. Si consuma con lo
Vita spirituale e tempo storico
stesso ritmo con cui arriva. Da qui il ricorrente
invito di Caterina da Siena: “Non è più tempo
di dormire, però che ‘l tempo non dorme, ma
sempre passa come ‘l vento”. (Lettera 138)
È prezioso perché è intrecciato con la vita,
che dura quanto il tempo e finisce quand’esso
scompare. È dunque una pazzia sprecarlo. La
pazzia di chi spegne la fiammella della vita, propria o altrui.
È importante viverlo bene il tempo, utilizzandone con sapienza ogni istante. E non fare come
quelli che perdono il tempo “aspettando che il
tempo passi”, come scriveva l’umorista Giovanni Guareschi; e nemmeno come quelli di cui
parla una deliziosa favola ebraica secondo la
quale, un giorno, Dio mandò un angelo sulla
terra per offrire almeno a una persona il dono
della felicità. Ritornato in paradiso, l’angelo
aveva ancora quel regalo tra le mani. E a Dio
che gli chiedeva spiegazioni disse: “Nessuno ha
avuto tempo per ascoltarmi, perché tutti avevano
un piede nel passato e l’altro nel futuro. Nessuno
badava al presente”.
“Così fanno – afferma ancora la santa senese
– i perditori del tempo dicendo sempre “domani
farò”. E così giungono così al punto della morte
senza avvedersene: allora vorrebbero avere il
tempo, ma non possono, avendolo già speso
tutto miseramente”. (Lettera 85)
“Non avere paura che la vita possa finire –
scriveva il beato card. John Henry Newman.
Abbi invece paura che non incominci mai”.
Tempo quantitativo e tempo qualitativo
Ci sono due modi di concepire il tempo. Il
primo, è quello scandito dalle stagioni, misurato
dagli orologi e dai calendari. Potremmo chiamarlo tempo quantitativo o cronologico (dal
greco cronos, tempo). Contenitore delle cose
che ci mettiamo dentro, è uguale per tutti, anche
se non tutti ne riceviamo nella stessa misura. È
uguale per chi edifica e per chi demolisce, per
chi ama e per chi odia, per chi fa la pace e per
chi fa la guerra. I pochi minuti che servono per
leggere questo opuscoletto sono gli stessi di chi
sta camminando o di chi prega.
Il tempo-cronos è casa e strada, patria ed esilio È la cornice entro cui ciascuno dipinge la
propria tela. La cornice è il dono che Dio fa a
ciascuno; la tela dipinta è il dono che facciamo
a lui. La cornice è la stessa, e non dipende da
noi; la tela è come noi la vogliamo. Può raffigurare scene di vita o di morte, di pace o di guerra;
può essere dipinta con colori luminosi, oppure
cupi.
Dipende da ciascuno tramutare il cronos in
kairos.
È questa la parola biblica che definisce il
modo cristiano di considerare il tempo: quello
qualitativo. Il kairos non è il contenitore, ma il
contenuto del tempo: ciò che in esso avviene,
ciò che noi facciamo. Un’ora di sballo in discoteca è cronologicamente uguale a un’ora passata
a curare un malato, ma i contenuti sono divergenti. Il cronos è lo stesso, il kairos del tutto diverso. Il tempo storico si apre al tempo eterno
ogni volta che un qualsiasi frammento di vita si
arricchisce di amore.
Nella Scrittura, indica il tempo della conversione - “È ormai tempo di svegliarvi dal sonno”,
scrive s. Paolo nella lettera ai Romani (13,11) , da non rimandare al dopo perché inesorabilmente sfugge dalle nostre mani. E può sfuggire
come sabbia riarsa, o come semente per un
nuovo germoglio. Siamo noi a decidere l’una o
l’altra cosa.
L’ultima dimensione - l’aion, il tempo giunto
a compimento nel cuore della Trinità - parleremo nel prossimo capitolo.
Tempo chiuso e tempo aperto
Si può evidenziare la sostanziale diversità di
questi due tempi anche attraverso due contrapposte immagini geometriche: il cerchio e la
linea.
Il cerchio rimanda visivamente a una realtà
chiusa, ripetitiva come l’orbita di una giostra in
cui l’uomo è costretto a girare e rigirare senza
tregua, come un asino attorno alla mola. Obbligato a ripetere il passato, senza possibilità di
pianificare un cammino diverso, l’uomo ha davanti non un futuro da programmare con fantasia
e libertà, ma un semplice avvenire già prefissato: qualcosa che accade alla velocità di sessanta minuti all’ora, qualsiasi cosa si faccia e
chiunque la faccia.
Di questo tempo ripetitivo abbiamo nel Qoèlet una poetica descrizione :
Vita spirituale e tempo storico
“Una generazione va e una generazione
viene, ma la terra resta sempre la stessa.
Il sole sorge e il sole tramonta, si affretta
verso il luogo dove risorgerà.
Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana,
gira e rigira, e sopra i suoi giri il vento ritorna.
Tutti i fiumi vanno al mare, eppure il mare
non è mai pieno:
raggiunta la loro mèta i fiumi riprendono la
loro marcia.
(…) Ciò che è stato sarà, e ciò che si è fatto
si rifarà.
Non c’è niente di nuovo sotto il sole.
C’è forse qualcosa di cui si possa dire:
‘Guarda, questa è un novità?” (1, 4-8; 9-10).
La visione ciclica, e dunque pessimistica del
tempo e della vita, è rappresentata in modo emblematico dalla vicenda del mitico Ulisse, descritta dal celeberrimo poema omerico dell’Odissea.
Lasciata la sua di Itaca di cui era re, Ulisse
partecipa alla decennale guerra contro Troia e,
con una navigazione fitta di tempestose avventure, torna e alla fine ritorna all’isola da cui era
partito. Da Itaca ad Itaca: un perfetto itinerario
circolare, ripetitivo come l’eterno sali-scendi del
disperato Sisifo lungo la costa della montagna
per riportare in cima il masso che ripetutamente
precipita a valle. Un eterno ritorno dell’identico. Una cupa visione che il caustico Ambrose
Bierce pennella con la folgorante battuta:
“L’anno solare: una serie di 365 delusioni”.
La visione lineare del tempo può invece essere raffigurata dal patriarca del popolo ebraico,
Abramo descritta dal libro della Genesi. Lasciata, su invito del Signore, la terra ove stava
per piantare tende per sé e per i suoi, inizia un
cammino senza sapere dove sarebbe arrivato.
Unica carta di navigazione: la promessa di Dio:
“Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla
casa di tuo padre verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò”. (12, 1-2)
Giunge così in Egitto e approda poi nella
“terra promessa”, ove concluderà i suoi giorni.
1
Il suo lungo cammino, ascendente e aperto al futuro, è la metafora di un’esistenza guidata, presa
per mano dall’Alto e proiettata sull’infinito orizzonte ove l’uomo diventa più grande di se
stesso; ove, come scrive Biagio Pascal “l’uomo
supera infinitamente l’uomo”. L’orizzonte di
Dio.
Ulisse e Abramo: emblemi di due contrapposte concezioni del tempo e della vita: quella pagana o comunque agnostica, per la quale ogni
istante della vita è un passo verso la morte, e
quella biblica. L’una quasi ingabbiata nel contingente, e l’altra aperta al futuro e trasfigurata
come scrive l’Apocalisse: “Vidi poi un nuovo
cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra
di prima erano scomparsi e il mare non c’era
più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme. (…) Non ci sarà più né lutto, né lamento
né affanno, perché le cose di prima sono passate.
(…) Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. (21, 12;4-5)
Per la fede cristiana, in particolare, l’orbita
del tempo è stata come spezzata dalla incarnazione e dalla risurrezione di Cristo, il cui insegnamento annuncia che ciascuno può avere un
futuro totalmente diverso dal passato (la conversione!). Con Cristo il tempo è divenuto ascensionale, aperto alla speranza. Non più perduto,
ma redento; non più circolare, ma lineare; non
più prigione, ma casa, e l’uomo non è più costretto a rappresentare il solito dramma, a girare
su se stesso come una trottola. “Non ricordate
più le cose passate, non pensate alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova…”, scrive
il profeta Isaia. (43, 18)
“Solo dopo Cristo – si legge in un grande affresco letterario - i secoli e le generazioni hanno
respirato liberamente. Solo dopo lui è cominciata la vita nella posterità e l’uomo non muore
più per istrada sotto un muro di cinta, ma in casa
sua, nella storia, nel culmine di un’attività rivolta al superamento della morte”. 1
Il tempo siamo noi
Tutto questo rivela che il tempo non è qualcosa di diverso da noi, ma che è quello che ne
Boris L. Pasternàk, Il dottor Zivago, Feltrinelli Editore, Milano 1958, p. 17.
Vita spirituale e tempo storico
facciamo. Sant’Agostino, con il solito acume,
diceva che non si dovrebbe parlare di passato,
di presente e di futuro. I tre tempi sono nella nostra mente più che nella realtà, ove esiste solo
l’attimo fuggente. È solo nel presente che possiamo parlare di passato e di futuro. Un presente, tuttavia, che in un lampo diventa passato.
Ce ne è abbastanza per renderci conto che il
“qui e adesso”è una moneta da spendere con
saggezza, in vista della vita che ci attende. Che
poi – giova ripeterlo -, non sarà un’altra vita,
ma una vita altra da questa. Una sua continuazione.
Il tempo è dunque ciò che ne facciamo. Gesù
stesso l’ha detto annunciando la sua missione:
“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino.
Convertitevi e credete al Vangelo”: un duplice
annuncio e un duplice invito per dirci che il fugace tempo in cui viviamo è il momento favorevole (kairos) per accogliere la sua Parola e
dare significato alla vita. Da qui il ricorrente invito di Caterina da Siena ai destinatari delle sue
infuocate lettere: “Non aspettate il tempo, ché il
tempo non aspetta voi”. (Lettere 29 e 206)
Al termine della vita ricorderemo con gioia il
tempo vissuto in armonia con il Vangelo, mentre
rimpiangeremo quello sprecato spendendo denaro
“per ciò che non è pane” (Is 55,2) o “seguendo
ciò che è vano” (Gr 2,5) “ché tale infatti diventa
la creatura quale è quella cosa che egli ama”, scriveva ancora la santa senese . (Lettera 29)
Più che la quantità dei giorni che viviamo,
conta la qualità di ciò stiamo facendo. E più che
aggiungere giorni alla vita è decisivo aggiungere vita ai giorni che ci sono dati, illuminandoli con la parola di Colui che assicurò a Marta
di essere “la risurrezione e la vita”. (Gv 11,25)
“NON HO TEMPO”
Sono uscito per strada.
Tutti andavano, venivano, correvano.
Correvano le biciclette, le moto, le auto. Tutti.
Per non perdere tempo. Per guadagnare tempo.
“Ciao, scusami, adesso non ho tempo”.
“Non posso aspettare, ripasserò più tardi”.
“Ti telefonerò domani, ora ho da fare”.
“Vorrei pregare di più, ma ho tanto da fare”.
Il ragazzo deve andare a scuola, in piscina,
all’allenamento.
Non ha tempo per il catechismo.
La ragazza ha la danza, lo sport, le amiche.
Non ha tempo per andare a messa.
Gli adulti hanno i figli, il lavoro, la politica.
Neanch’essi hanno tempo.
Solo gli anziani ne hanno,
ma non sanno più cosa farne.
Forse tu, o Signore, hai fatto i giorni troppo
corti,
le ore troppo veloci, la vita troppo breve.
Tu, che sei fuori dal tempo,
sorriderai nel vederci sempre di corsa,
affannati anche per le cose superflue,
informati sul prezzo di tutto e sul valore di
niente.
Ti chiedo allora la grazia di fare con calma, nel
tempo che mi resta,
quello che è giusto che io faccia.
Vita associativa
1. Lettera del segretario
ai direttori diocesani
UAC
Carissimi,
accogliete il saluto e il ringraziamento per
quanto avete fatto e fate per l’animazione dell’UAC e per l’impegnativo compito di raccogliere le adesioni annuali.
Vi comunico la situazione delle adesioni, che
pervengono lentamente, fino a questo mese di
giugno:
Anno 2014 (giugno): adesioni pervenute 926.
Anno 2013: adesioni totali 1.311.
In confronto al 2013 mancano quindi ancora
385 adesioni.
Le adesioni di ogni anno dovrebbero pervenire
possibilmente entro il mese di marzo, ma, purtroppo, questa data non è solitamente osservata.
Sono fiducioso che le adesioni per il 2014 continuino a pervenire in modo che possiamo raggiungere il numero dello scorso anno e possibilmente superarlo. È necessario un impegno da
parte di tutti gli aderenti e in particolare di voi
Direttori diocesani.
Gli abbonamenti a Presbyteri tramite l’UAC
sono stati finora 272. Mi pare un buon numero.
Rinnoviamo tuttavia l’esortazione a proporre
agli aderenti di fare anche l’abbonamento a Presbyteri, la cui quota di abbonamento va inviata
unitamente alla quota di adesione all’UAC e
non a Presbyteri. Sarà l’UAC a girare a Presbyteri
gli abbonamenti alla rivista.
Le adesioni per il 2015 verranno accolte a iniziare dal mese di novembre 2014.
Accogliete il saluto fraterno di tutta la Direzione
nazionale UAC e mio personale. Buone ferie
estive. Un po’ di riposo è doveroso per tutti.
Roma 08.06.2014
Pentecoste
Don Albino Sanna
Segretario nazionale
p.s: Visitate e fate visitare il nostro sito:
www.uac-italia.it troverete tutto quanto riguarda l’associazione e tutti gli indirizzi aggiornati. È ben accetta ogni collaborazione.
2. Note di Calendario
PRESIDENZA NAZIONALE:
17 novembre 2014 mattino (Istituto Madonna
del Carmine – Sassone)
CONSIGLIO NAZIONALE
29 – 30 settembre 2014 (Buddusò nella parrocchia di d. Nino Carta)
CONVEGNO NAZIONALE
17 – 19 novembre 2014 (Istituto Madonna del
Carmine – Sassone)
3. Verbale della riunione
del Centro Studi
1 aprile 2014
Presenti: d. Luigi Mansi, presidente; d. Fernando Bellelli; d. Vito Mignozzi;d. Enzo Petrolino;d. Luca Bonari; d. Nunzio Capizzi; d.
Albino Sanna.
La riunione inizia alle ore 10.00 con una breve
preghiera. Il Presidente invita a prendere visione degli Statuti, in particolare l’art. 15 del
direttorio, e della Mozione dell’Assemblea Generale UAC di novembre 2013, riguardanti i
compiti e l’organizzazione del Centro Studi,
mettendo in evidenza la novità apportata dalla
Mozione che prevede la nomina di un Direttore del Centro Studi, individuandolo dopo
aver sentito il Consiglio. Il Presidente informa
i presenti che intende sentire il Consiglio nella
riunione in programma per il 17/18 giugno e
quindi procedere alla nomina. Alcuni presenti
invitano il presidente a tener conto, nella
15
2/2014
scelta, della effettiva disponibilità a dedicare
tempo e attenzione a questo compito.
Si suggerisce al Presidente che quando nomina un nuovo membro del Centro Studi è
bene che senta anche il Direttore.
Viene quindi presentata la programmazione
triennale UAC alla quale, durante l’ultima Assemblea, è stata portata qualche variazione rispetto alla prima bozza esaminata anche dal
Centro Studi. Questa la tematica scelta: “Ministri ordinati per una Chiesa nel mondo, con
il mondo e per il mondo”, mettendo più l’accento quindi su una visione di ecclesiologia
del ministero, in chiave missionaria, come insegna anche il magistero di Papa Francesco. Vi
è stata poi la scelta di raccordare questa tematica con il tema della famiglia, tenendo conto
che su questo tema la Chiesa è molto impegnata in questo momento storico. In particolare in questo primo anno il convegno avrà
infatti questo tema: “Ministri ordinati e famiglia: due vocazioni per vivere e far crescere la
comunione”.
Viene quindi accolto il programma del prossimo convegno, che si terrà a Sassone-Ciampino il 17-19 novembre 2014, nel quale vi saranno due relazioni e una tavola rotonda. Il
programma lo si ritiene molto buono soprattutto per l’aspetto del raccordo della pastorale
tra ministero ordinato e famiglia, in spirito di
comunione. Questa scelta troverà una visibilità in particolare con la seconda relazione del
prossimo convegno (“Ministri ordinati per
una Chiesa che diventi famiglia e una famiglia
che diventi Chiesa domestica”) e nella tavola
rotonda (“racconti di vita e racconti di comunione”).
Il presidente presenta quindi la situazione del
Notiziario dell’associazione “UAC Notizie”
che per il momento è seguito da don Vittorio
Peri. In prospettiva dovrebbe occuparsene il
nuovo Presidente che chiede anche il contributo del Centro Studi sia nella costituzione di
una piccola redazione sia con articoli programmati. Si fa notare che nel Notiziario è
molto utile riprendere il servizio per i Cenacoli dei gruppi diocesani UAC, preparando
delle schede.
16
2/2014
Il segretario chiede valutazioni e suggerimenti
sul Sito dell’UAC. I presenti apprezzano molto
questo servizio che è seguito con interesse
dagli aderenti.
Il presidente presenta poi la situazione della
rivista “Presbyteri”, i suoi componenti e la sua
organizzazione. La rivista riserva alcune pagine all’UAC nelle quali vi sono articoli vari
che provengono prevalentemente dalla disponibilità dei componenti del Centro Studi. Si
sollecita l’invio di articoli per questa rivista. Si
discute su come organizzare le pagine dell’UAC e si ritiene utile conservare questa opportunità seguendo la tematica triennale dell’associazione. Il Centro Studi con la presenza
del nuovo Direttore può avviare un modo
nuovo di servizio anche per le pagine UAC.
Infine si sollecita la scrittura di un nuovo Statuto del Centro Studi, in seguito alle ultime
novità, che verrà poi approvato dal Consiglio
nazionale UAC, in modo da dare al Centro
Studi una collocazione più precisa, aggiornata
e codificata.
Questa riunione, che è stata molto utile, termina alle ore 12,00.
Roma 1 aprile 2014
Don Albino Sanna
Segretario nazionale
4. UAC Campania:
Cenacolo regionale
Il 25 febbraio scorso, a Pompei, si è svolto il
Cenacolo regionale dei direttori diocesani della
Campania. Il nuovo delegato regionale, don
Clemente Petrillo, ha promosso l’incontro, al
quale hanno partecipato il nuovo presidente
nazionale, don Luigi Mansi e il consigliere per
l’Area sud, don Alberto D’Urso. Dopo l’accoglienza con saluti, la preghiera di Terza dell’Ora
Media ci ha introdotti al Cenacolo. Il delegato,
nominato lo scorso maggio, ha presentato al
Presidente l’ UAC della Campania, evidenziando però l’assenza di diversi direttori delle
e nelle diocesi, nonostante egli si sia premurato, attraverso telefonate e visite, di avere un
riferimento per ogni diocesi campana.
Il Presidente ascolta e, nell’analisi di don Clemente, sottolinea di non disperare, ma di avere
fiducia. La UAC, afferma, deve creare credibilità, senza appesantire… Essa è come la Chiesa:
è uno strumento! Lavoriamo con fiducia, e le
occasioni per invitare amici e sacerdoti, non
mancheranno. Don Luigi continua con un invito ad accogliere nei circoli UAC i giovani
preti. Accoglierli con amore e fraternità, con
pazienza ed esempio. Forse i giovani ordinati
non entrano nella UAC perché…non hanno
visto nei preti un esempio di apostolato, di
preghiera, di fraternità sacerdotale, il prete “trascinatore”.
Dopo il Presidente, i presenti intervengono portando testimonianze ed esperienze della propria
UAC diocesana. Le risonanze, calde ed appassionate, hanno un filo comune: i cenacoli UAC
vanno vissuti secondo le necessità dei preti perché crescano nella comunione e fraternità,
punto chiave per unirci. Nel cenacolo, oltre la
preghiera, il confratello viene accolto ed ascoltato, dandogli spazio su bisogni ed esigenze.
Solo in questo reciproco atteggiamento di
ascolto, ogni confratello cresce nella comunione
e grazia sacramentale. Il pranzo, consumato unitamente all’arcivescovo mons. Tommaso Caputo
e al clero della città pompeiana, ha concluso il
Cenacolo regionale della Campania.
Mons. Clemente Petrillo,
delegato regionale
5. Area Nord-Centro:
Incontro Animatori del presbiterio
Il 1 e 2 giugno 2014 si è realizzato il quarto
degli appuntamenti del “per-corso” dell’incontro per Animatori del presbiterio nel Convitto della Calza di Firenze , con un duplice
scopo: da una parte, delineare e formare (o,
meglio, delinear-facendo) questa figura e,
dall’altra, creare un legame tra coloro che ne
sentono l’urgenza, a cominciare dagli Associati
(ma non solo).
L’ incontro ha avuto come caratteristica quella
di confrontarsi con un “testimone” significativo. Si è svolto all’ interno della proposta di
un “Cenacolo ri-creativo”, che comprenda la
preghiera comunitaria, la revisione di vita, il
dialogo fraterno.
Di particolare significato è stato l’Incontro con
il card. Silvano Piovanelli sul tema “Avere cura
della fede dei presbiteri”.
6. UAC Piemonte:
8° giornata di amicizia e spiritualità a
Vicoforte
Un’esperienza di fraternità e di amicizia sacerdotale; è quella che si rinnova anno dopo
anno con la proposta dell’UAC (Unione Apostolica del Clero) regionale che martedì 27
maggio ha realizzato con l’8° Giornata di amicizia e spiritualità – convegno regionale che si
è tenuta al Santuario della Natività di Maria a
Vicoforte.
Amabilmente accolti dal Vescovo mons. Luciano Pacomio e del Vicario generale mons.
Meo Bessone, ha visto una rappresentanza
qualificata di ministri ordinati provenienti da
sette diocesi della Regione (è la prima volta!)
Erano rappresentate le diocesi di Aosta (don
Renato Roux, don Angelo Pellissier), Casale
Monferrato (don Gian Paolo Cassano, don Angelo Francia, Mons. Carlo Grattarola), Fossano
(don Celestino Tallone, don Giuseppe Mandrile), Torino (don Piero Guade), Vercelli
(mons. Roberto Baruffaldi), Asti (don Luigi Binello, don Roberto Zappino) e naturalmente
Mondovì (mons. Meo Bessone, don Beppe
Cnavese, don Corrado Restagno, don Candido
Borsarelli, Leonardo Modica). La scelta è caduta sul celebre santuario piemontese caratterizzato dalla grandiosa cupola ellittica che
sorge attorno ad un pilone della Vergine, a partire dal XVI secolo.
Presso la casa di spiritualità “Regina Montis Regalis” Mons. Pacomio ha tenuto una meditazione assai profonda, richiamando l’indicazione del Papa che coglieva nel ministero presbiterale la necessità di uscire incontro al
gregge, facendo sentire l’odore delle pecore,
cioè il profumo di Cristo. Si è chiesto chi sia il
sacerdote e cosa debba fare, in relazione alle
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quattro forme fondamentali di evangelizzazione (parola, preghiera, amore, azione ministeriale). Occorre imparare da Gesù facendo
un’offerta di sé gradita a Dio, adorando il Signore nei nostri cuori. È seguita poi in Basilica
la celebrazione dell’Eucaristia presieduta dal
Vescovo che ha colto il ruolo di Maria nel Cenacolo, con l’invito ad aprirsi ad un rapporto
vitale con il Signore. Dopo il pranzo, c’è stata
ancora la possibilità della visita guidata ad alcune delle bellezze dei Mondovì, dalla Cattedrale (attualmente in restauro), alla Chiesa
della Missione dove trionfa l’arte barocca, dalle
sale del Vescovado con il ciclo di affreschi dei
diversi personaggi e vescovi monregalesi al Belvedere che domina sulla valle…...
Amicizia, fraternità, apostolicità, nella dimensione del presbiterio diocesano. È questo il
senso dell’Unione Apostolica del Clero; un
gruppo di ministri ordinati (Vescovo, Sacerdoti
e diaconi) che vivono la spiritualità del presbiterio diocesano ponendosi al servizio degli
altri confratelli.
Gian Paolo Cassano
6. UAC Sardegna/1
Buddusò 10.05.2014
Carissimi tutti,
con nel cuore le bellissime sensazioni della visita fatta al seminario di Cuglieri (per la quale
ringrazio di cuore le autorità comunali del
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paese, iniziando dal Sindaco Andrea Loche e
dalla vice-sindaco Ivana.Pala, che sono stati
gentilissimi facendoci visitare i locali per quasi
due ore) vi scrivo carissimi fratelli presbiteri
responsabili diocesani della nostra UAC, per
potervi annunciare adesso quasi ufficialmente
che il nostro prossimo incontro regionale del
giovedì 23 ottobre prossimo, lo possiamo proprio organizzare negli spazi del vecchio seminario regionale, nella parte ristrutturata
(molto bene direi!), che ricrea (sopratutto per
noi di una certa età ) le esperienze di formazione con le immancabili gioie e dolori, ma
anche con la voglia di ri-iniziare con lo stesso
entusiasmo che personalmente mi animava a
soli 23 anni lasciando il seminario per l’ordinazione sacerdotale e così mettermi a servizio
come presbitero della chiesa di Ozieri, della
Sardegna e...del mondo...
Si, l’esperienza fatta insieme a Mons. Giov. Antonio Niola (del quale ringrazio anche l’agape
fraterna del pranzo a Sindia!), direttore diocesano di Alghero-Bosa, è stata fortissima.
L’accoglienza dei cuglieritani veramente sontuosa, gentile e aperta alla collaborazione, per
cui ci è sembrato, che possiamo proprio ritornare dopo quasi 45 anni a respirare alle fonti
ispiratrici delle pendici del Montiferru, dove
ognuno di noi potrà trovare, ne sono certo,
nuovi stimoli per camminare insieme ai fratelli sacerdoti e al sevizio della nostra chiesa.
Quando ho telefonato a don Giuseppe Sanna
di Oristano di questa possibilità ormai concreta, lui ha subito esclamato: “Ma allora,
anche il cenacolo dei direttori diocesani del
prossimo 3 giugno, potremmo già realizzarlo
a Cuglieri, così tutti insieme potremo organizzare la giornata già avvolti dalla misticità del
seminario!”.
Con Mons. Niola ne siamo rimasti entusiasti.
Allora, ci ritroveremo tutti insieme proprio
martedì 3 giugno prossimo alle 9.30 in seminario a Cuglieri per il nostro cenacolo di preghiera e organizzazione. Chiedo con insistenza di fare di tutto perché nessuno manchi;
anzi chi vuole porti qualche confratello per
gustare come è bello stare insieme da fratelli
in Cenacolo.
Termineremo con il pranzo che, consumeremo in qualche piccolo ristorante o agriturismo del paese.
Ci credo profondamente.
Ci vediamo presto con affetto
UACamente
Don Nino Carta
Nulla è piccolo se fatto per amore ***
8. UAC Sicilia:
Nuovo direttore per Patti
L’assemblea elettiva dell’UnIone apostolica di
Patti, svoltasi il 5 dicembre 2013, ha eletto
come nuovo direttore d. Antonio Sambataro.
Rallegrandoci con d. Antonio e augurandogli
un buon lavoro di animazione associativa,
esprimiamo il grande grazie al predecessore, d.
Guido Passalacqua, per aver servito l’UAC di
Patti fin dal 2002 con generosità, competenza
e fedeltà.
7. UAC Sardegna/2
Alghero-Bosa:
Un servizio a sacerdoti e diaconi
D. Giovanni Niola, direttore UAC della Diocesi
di Alghero-Bosa, una diocesi della Sardegna, ha recentemente scritto la seguente nota al clero per
esortarli ad aderire all’UAC che riteniamo utile fa
conoscere a tutti gli associati.
“Il servizio offerto dall’UAC, rispetto ad altre
associazioni, non consiste tanto in un “erogare” prestazioni quanto, piuttosto, nel richiamare l’essenza della missione presbiterale e
diaconale che trova il suo cuore nella comunione presbiterale.
L’ecclesiologia di comunione espressa nel documento del Concilio Vaticano II ha ancora
molta strada da fare per affermarsi compiutamente. Credo che la stessa espressione “comunione presbiterale” sia talora più nominale che
effettiva, e che la parola “presbiterio” sia associata più facilmente alla zona attorno all’altare,
nelle chiese, piuttosto che all’unione dei sacerdoti e dei diaconi con il loro vescovo.
Pertanto il ruolo dell’UAC è quanto mai prezioso perché aiuta a crescere in questa consapevolezza indispensabile per rendere efficace
l’annuncio del vangelo. Non si può infatti essere autentici ministri del popolo di Dio senza
coltivare una spiritualità diocesana, cioè una
spiritualità che affondi le proprie radici nella
fede e nelle tradizioni della Chiesa locale”.
9. UAC Sicilia:
Palermo: cenacolo quaresimale
col Presidente
In occasione del ritiro quaresimale del 26
marzo 2014 per la prima volta , da neoeletto
Presidente Nazionale dell’Unione Apostolica
del Clero, Mons. Luigi Mansi ha fatto visita alla
comunità del Seminario Arcivescovile Maggiore “San Mamiliano” di Palermo, presiedendo la Celebrazione dei Vespri con i seminaristi e i componenti del Circolo U.A.C. 712
della Diocesi di Palermo.
Il Direttore del Seminario Don Silvio Sgrò e il
Direttore Diocesano U.A.C. Don Giuseppe
Di Giovanni hanno accolto Mons. Mansi rivolgendogli, a nome dell’intera comunità, il saluto di benvenuto, gli auguri per il nuovo incarico di Presidente Nazionale e l’auspicio di
un rapporto di familiarità ed amicizia con tutta
la nostra Diocesi di Palermo.
Dopo la celebrazione dei Vespri, Mons. Mansi
ha voluto salutare ciascun membro della comunità soffermandosi per un momento di convivialità in seminario, rinnovando personalmente l’invito ad aderire all’U.A.C., chiamando
tutti a vivere la Quaresima e riscoprire la dimensione della Misericordia di Dio, per costruire relazioni interpersonali fondate sull’amore, libere da giudizi rigoristi che non
danno spazio alla conversione e al perdono fra-
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terno. Mons. Mansi ha voluto anche presentare
e testimoniare la spiritualità e le peculiarità dell’Unione Apostolica del Clero che invita i suoi
membri a vivere il Sacramento dell’Ordine attraverso i doni e carismi nella Chiesa particolare in cui sono incardinati, con la convinzione
che nell’appartenenza e dedicazione alla propria Comunità diocesana, essi trovino una
fonte di comprensione della loro vita e del loro
ministero., citando lo statuto UAC (Statuto, 5).
A cura di Don Settimo Albanese(*)
(*) Webmaster U.A.C. Diocesi di Palermo - Circolo 712 - www.uac-palermo.it
10. UAC Veneto:
Il 17 aprile 2014, giovedì santo, è
deceduto Mons. Giovanni Leonardi,
“presbitero” della chiesa di Dio che
è in Padova
Il giorno 17 aprile, giovedì santo, giorno in cui
i presbiteri si radunano attorno al vescovo per
celebrare la messa crismale, don Giovanni Leonardi ci ha lasciati, in silenzio, al mattino. Era
nato il 28 ottobre 1927 da una famiglia alla
quale fu sempre molto legato. Ma anche tante
generazioni di preti e laici hanno avuto modo
di apprezzare il profondo amore per la Parola
di Dio a cui era fedele, studiandola non per
sfoggio di cultura ma per trarvi indicazioni di
vita cristiana.
La sua è stata sempre una “teologia impegnata”. Non a caso uno dei suoi temi preferiti
riguardava i “ministeri” e i “carismi”, in una
chiesa tutta ministeriale. Partendo dal Concilio, egli ripeteva continuamente di guardare a
una chiesa popolo di Dio, pellegrina e in cammino, dove convergono i tanti ministeri. A
questo proposito, egli preferiva decisamente,
secondo il linguaggio biblico, il termine “presbitero” a quello di “sacerdote”, che è di ogni
battezzato. In un articolo su “Cristo il servo”,
scritto nell’occasione dei suoi 70 anni, delinea
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una chiesa per, con, in, una chiesa ecumenica
con una struttura ministeriale duttile e aperta
ai ruoli della donne, ponendosi in forma di
domanda: In ogni diocesi un “seminario per i
ministeri?”. Il Servo di Isaia per lui deve essere
identificato anche con ogni uomo di buona
volontà che si impegna in maniera forte per gli
stessi ideali a vantaggio del suo popolo e dell’intera umanità. Con questo spirito fu impegnato anche come segretario del Consiglio Presbiterale diocesano.
È a partire da queste premesse che sono derivati i sui impegni. Tutti conosciamo il suo handicap, la sordità che insorse mentre a Roma
studiava all’Istituto Biblico, tanto da suggerire,
per timore di non essere all’altezza del suo
compito, di mandare a studiare anche un altro,
Giuseppe Segalla. Tuttavia, questo fatto non gli
impedì di fare una scelta di interessi che coltivò con impegno e tenacia straordinari, con
“parresia” e forza evangelica. Il Vangelo sia la
fonte di ogni discernimento!
In primo piano furono le Scuole di Formazione
Teologica in vista dell’esercizio dei vari ministeri
e per una formazione dei laici più elevata. Per
questo fu co-fondatore e primo Direttore della
Scuola di Bassano, situata presso la Casa S.
Giuseppe dei Padri Gesuiti, scelta come luogo
di confluenza di tre Diocesi, Padova, Vicenza,
Treviso. Coinvolse diversi docenti e consumò
più auto per questo impegno. L’auto, la mitica
“piuma”, aveva ormai imparato da sola la
strada, tanto che una sera, uscito con dei colleghi per una conferenza, automaticamente si
era diretto verso Bassano, accorgendosi solo in
un secondo momento, che lo scopo era un
altro. Fu anche il primo segretario e presidente
della Federazione Triveneta delle Scuole di Formazione Teologica promovendo sei convegni.
Il medesimo servizio di insegnamento prestò
poi anche nelle Scuole di Padova ed Este, che
nel frattempo erano nate e che tuttora continuano nel servizio, anche se altri centri teologici di carattere accademico, come l’Istituto Superiore di Scienze Religiose, erano stati fondati
per rispondere alla pastorale e all’insegnamento della religione cattolica.
Molto del suo tempo don Giovanni lo dedicò
alla divulgazione. Sin dal 1958 curò sul “Il
Santo dei miracoli” una rubrica con circa 400
articoli, illustrati con fotografie ambientali e
archeologiche originali. Raccolse così migliaia
di slides, che illustrava ai vari uditori con proiezioni adeguate. La sua voglia di documentare
lo portò in Iraq, dove rischiò, per alcune riprese di ambienti strategici, di finire in prigione. Per la stessa passione, già avanti con gli
anni, volle partire per la Grecia, invitandomi
ad accompagnarlo. Io purtroppo non potevo
avendo preso precedenti impegni. Partì da solo
con la sua Panda e girò in pieno luglio per
buona parte di quella terra, per documentare i
luoghi degli Atti degli Apostoli che stava trattando. Con lo stesso intento si impegnò, instancabile, in una quantità innumerevole di
viaggi nelle Terre Bibliche, a partire dalla Terra
Santa, narrando la Parola con una vitalità ed
energia invidiabili.
Ma non mancò lo studio impegnato e deciso.
Curò anzitutto gli incontri di studio con i biblisti del Triveneto, prima che fossero sostituiti
da altre forme di Convegni nazionali. Fu cofondatore della rivista Credereoggi, che tuttora
continua le sue pubblicazioni. Soprattutto
resta a suo merito la pazienza e la accuratezza
con cui si dedicò, dal 1967 al 1988, alla Rivista
Studia Patavina, in collaborazione tra la Facoltà
Teologica e l’Università di Padova, che divenne
“Rivista di Scienze Religiose” e si caratterizzò
per i suoi “simposi” ed è oggi apprezzata e diffusa in tante università e biblioteche del
mondo.
Uno dei segni tuttora molto importanti è infine la Settimana Biblica diocesana che quest’anno arriva alla XXI edizione. Un evento da
lui molto voluto, in accordo con il vescovo.
Con l’aiuto di P. Gianni Cappelletto ofmc, e
del sottoscritto, si iniziò l’avventura, cercando
un piano di lavoro efficace, che trovò un poco
alla volta il suo equilibrio.
Don Giovanni resta una figura particolarmente
simpatica, per la sua sincerità e bonarietà,
anche per la sua tenacia. Ci auguriamo che i
semi da lui gettati possano continuare a dare
frutti, soprattutto a mettere in moto quell’amore per la Parola che ha segnato profonda-
mente ogni gesto e ogni iniziativa di lui “presbitero” della chiesa di Dio che è in Padova, fedele servitore di Cristo Buon Pastore e Servo.
Che egli possa invocare la nascita di tanti ministeri, sia presbiterali che laicali. Oltre i suoi
scritti, infatti, restano come segno per molti
credenti, laici e presbiteri, di Padova la sua passione e la sua testimonianza di amore fedele al
Vangelo.
Marcello Milani
11. Esercizi spirituali
promossi dall’UAC
1. Dal 28 luglio al 1 agosto 2014, per ministri
ordinati ma aperto a tutti, sarà guidato da d.
VITTORIO PERI.
2. Dal 10 al 14 novembre 2014, per ministri ordinati ma aperto a tutti, sarà guidato dal cardinale SEVERINO POLETTO.
Per informazioni:
Domus Laetiziae, viale Giovanni XXIII, 06081
ASSISI (PG)
Tel. +39 075 812792 Fax + 39 075 815184
www.domuslaetitiaeassisi.it;
mail: ti.isissaeaititealsumod@ofni
Responsabile organizzativo Corsi di Esercizi
Spirituali: Luca Lucchini Cell. +39 389 6799095
mail: [email protected].
Tutti i corsi si terranno nella Domus Laetitiae
di Assisi.
3. Dal primo pomeriggio del 10 al pranzo del
14 novembre 2014.
“Amati da Dio, chiamati da Cristo Signore, inviati
dallo Spirito Santo”
Guidato da P. FRANCESCO NERI, ofm, Docente di Antropologia presso la Facoltà Teologica Pugliese.
Sede: Oasi Santa Maria, Cassano Murge (BA)
Per informazioni e prenotazioni:
- don Alberto Durso, Parrocchia Santa Croce Bari tel: 335209131 oppure 334 26205816
- Oasi Santa Maria, tel. 080. 764045 oppure
080 764046 - mail: [email protected]
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“Buon Cammino”
Reportage da Santiago
È l’espressione con
cui ci si saluta lungo i
sentieri del “Cammino
di Santiago”. Ci saluta
tutti, indistintamente,
camminatori appartenenti ad ogni età, ad
ogni lingua, ad ogni comitiva. Non è necessario
conoscersi, anzi dal
modo con cui ci si saluta, sembra proprio che
ci si conosca tutti…
Ho avuto la fortuna, in linguaggio di fede si
dice: la grazia - di poter
compiere il “Cammino”
con due amici. Sono appena rientrato e subito
ho maturato l’idea di
scrivere per UAC Notizie
alcune riflessioni “a
caldo”, riflessioni che
peraltro mi sono state compagne nei lunghi
tratti di cammino silenzioso. Mi chiedevo: Ma
perché tante persone fanno questo cammino,
raggiungono questo luogo giungendo da ogni
parte del mondo, sottoponendosi a fatica,
sforzo non indifferenti, accettando di buon
grado disagi che nemmeno lontanamente sono
pronti a sopportare nella vita di tutti giorni?
La risposta non è così scontata come sembra.
Ho costatato che le motivazioni che spingono
tanti pellegrini non sono sempre quelle strettamente spirituali e nemmeno genericamente religiose. C’è un qualcosa di misterioso in questo
pezzo di mondo. Io stesso me lo son chiesto più
volte: Perché sto facendo questa cosa? La risposta che mi son dato lungo il cammino non è
stata sempre la stessa.
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Provo allora a riassumere: Era un mio desiderio, diciamo pure un
“sogno” che coltivavo da
anni, soprattutto da
quando, circa 12 anni
fa’, insieme con un
gruppo della comunità
di S. Rocco in Stornara
(fg)di cui ero parroco,
andammo a Santiago
nel corso di un pellegrinaggio
parrocchiale.
Raggiungemmo nello
stesso viaggio anche Fatima e Lourdes. Giungemmo dunque alla
meta in autobus, come
si fa nei pellegrinaggi
parrocchiali, con tante
preghiere e assistenza
spirituale, tutto come
Dio comanda. Ma ricordo che arrivando comodamente in autobus
notavamo lungo i sentieri che costeggiavano la
strada, delle file di pellegrini che camminavano
a piedi verso la meta, con gli zaini sulle spalle.
Così mi sopravvenne una sorta di vergogna,
quando sulla piazza della Cattedrale vidi arrivare gruppi, spesso di giovani, che giungevano
dopo aver fatto a piedi il cammino, e manifestavano in mille modi la gioia di essere arrivati,
come una gioia di aver superato una prova e di
avercela fatta. Così mi dicevo: Ma qui bisogna
venire a piedi, Chissà se un giorno riuscirò a
farlo!
A distanza di un po’ di anni, (…nel frattempo però la mia età è andata avanti e so di
non essere più giovanissimo!) il Signore mi ha
fatto questo dono, ho trovato la compagnia giu-
sta, due amici che condividevano anch’essi lo
stesso sogno e che sono stati per me come due
angeli custodi.
Ho subito compreso che c’è alla base, prima
ancora che un discorso di carattere spirituale e
religioso, un dato antropologico fondamentale:
Il “Cammino” è una cifra, una chiave per interpretare la vita. Per noi credenti poi e, ancor di
più, per noi Ministri Ordinati, è segno, un
modo per significare il cammino di fede, il cammino della conversione continua della vita al
vangelo. E ancor di più per noi aggiungo: il
cammino di fedeltà al ministero ricevuto.
Nel mio ministero di Padre spirituale dei giovani che vanno verso il presbiterato, durante gli
anni che ho trascorso nel Seminario di Molfetta,
ho detto spesso ai giovani che nella vita di fede
e nel discernimento spirituale e vocazionale si
ha sempre a che fare col travaglio, con lo sforzo,
con la fatica. La vita, insomma non regala mai
niente a nessuno! C’è dunque il travaglio di arrivare alle scelte definitive, e questo riempie gli
anni dell’adolescenza e della prima giovinezza.
Poi c’è il travaglio della fedeltà alle scelte fatte.
E qui il Cammino di Santiago ha davvero tanto
da ricordare e insegnare a tutti, anche a noi
preti. Conservare sempre l’entusiasmo della partenza non è facile, conservare la freschezza del
camminare quando passano gli anni, i decenni,
non è cosa da poco. I fattori che appesantiscono
il cammino sono tanti: l’età che avanza, la salute che non è più florida, la stanchezza, le difficoltà, le delusioni, i dispiaceri e …di tutto di
più!
Come affrontare questo cammino, questo
travaglio? …Come ho fatto ad arrivare a Santiago? Ricordo la prima sera, pensavo tra me:
Non penso di farcela, sono troppo stanco, mi
sembra di essere …l’uomo dei dolori! Non c’era
posto nel mio corpo che non mi dolesse. Ma
non dissi niente ai miei compagni di cammino,
non volevo che si scoraggiassero anch’essi. Domani, chissà? Il tempo di celebrare l’Eucaristia
e di cenare e poi subito a letto ad un’ora, tra l’altro, nella quale di solito sono sempre ancora in
piena attività.
Ma poi, quasi magicamente, al risveglio mattutino mi ritrovo, con una energia nuova che mi
sorprende, a dare io la sveglia ai miei compagni.
Preghiera mattutina, colazione, e subito par-
tenza, di buona lena e con spirito gioioso ed entusiastico. Insomma, la stanchezza del giorno
prima è più che ben recuperata. E così è stato
ogni giorno, il miracolo invariabilmente si è ripetuto, compreso il terzo che è stato il più
lungo e faticoso, oltre 30 chilometri, mentre
negli altri la media era comunque tra i 20 e i 24.
Non è facile per chi non è abituato a camminare
tanto. Noi, malati di scrivania… La voglia di arrivare, la consapevolezza che stavo vivendo
un’ora di grazia che non poteva in alcun modo
essere sprecata, la certezza granitica che il Signore mi aspettasse a Santiago, l’impegno preso
con gli altri camminatori che si erano avventurati confidando sulla mia disponibilità ad accompagnarli…questi, in sintesi, i motivi che mi
hanno fatto arrivare a Santiago.
Ma, dicevo sopra, tutto questo è segno per
me di come il Signore sia sempre presente
lungo il cammino della vita ministeriale, anche
e soprattutto nei momenti di stanchezza, di scoraggiamento, di prova. L’ora della prova è ora di
grazia è una vera risorsa, un’opportunità, diciamolo pure: una grazia! Perché ci costringe a
metter fuori le migliori energie del nostro spirito, ci spinge a ritornare sempre da capo alle
motivazioni più belle e autentiche che in gioventù ci hanno fatto partire, la gioia, insomma,
di essere quelli che siamo: preti, uomini tra gli
altri uomini, con una vocazione altissima,
quella di accompagnare i fratelli sulle strade
della vita e della fede, strade che portano verso
l’unica meta: l’incontro con l’Amore che ci attende per la festa senza fine.
Superfluo aggiungere che lungo il cammino
ho sempre portato l’UAC nel cuore, nei pensieri
e nelle preghiere. Ho sempre raccomandato al
Signore i miei confratelli preti, soprattutto
quelli che in qualunque modo vivono momenti
di difficoltà e stanchezza, in particolar modo gli
ammalati.
Quando ho abbracciato l’immagine dell’apostolo Giacomo, - come si fa secondo tradizione
– e quando sono sceso a pregare sulla sua
tomba, l’ho fatto pensando a tutti i miei confratelli e a tutta la grande famiglia dell’UAC.
Don Luigi Mansi
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