TRIMESTRALE DELL’UNIONE APOSTOLICA DEL CLERO ANNO XXXII 2/2014 2 3 4-6 7-8 SIGNORE, MOSTRACI IL PADRE E CI BASTA LETTERA DEL PRESIDENTE DALL’EVANGELII GAUDIUM CHE COSA SIGNIFICA “MISERICORDIA” PER UN PRETE UNIONE APOSTOLICA DEL CLERO FEDERAZIONE ITALIANA 9-10 11-14 15-21 22-23 L’APOSTOLO E IL “MINISTERO DELLO SPIRITO” VITA SPIRITUALE E TEMPO STORICO VITA ASSOCIATIVA BUON CAMMINO EDITORIALE “Signore, mostraci il Padre e ci basta!” TRIMESTRALE DELL’UNIONE APOSTOLICA DEL CLERO ANNO XXXII - N. 2 - APRILE-GIUGNO 2014 TRIMESTRALE DELL’UNIONE APOSTOLICA DEL CLERO ANNO XXXII 2/2014 2 3 4-6 7-8 SIGNORE, MOSTRACI IL PADRE E CI BASTA LETTERA DEL PRESIDENTE DALL’EVANGELII GAUDIUM CHE COSA SIGNIFICA “MISERICORDIA” PER UN PRETE UNIONE APOSTOLICA DEL CLERO FEDERAZIONE ITALIANA 9-10 11-14 15-21 22-23 L’APOSTOLO E IL “MINISTERO DELLO SPIRITO” VITA SPIRITUALE E TEMPO STORICO VITA ASSOCIATIVA BUON CAMMINO In copertina: Frances A. Miller, Shutterstock. com Sped. in abbonamento postale Art. 2 comma 20/C L. 662/96 Poste di Roma Aut. Trib. di Padova n. 828 del 20/05/1984 Direttore: Luigi Mansi Direttore responsabile: Gino Brunello Redazione: Luigi Mansi Albino Sanna Giuseppe Costantino Zito Progetto grafico e impaginazione: Tau Editrice Srl - www.taueditrice.com UNIONE APOSTOLICA DEL CLERO FEDERAZIONE ITALIANA Via Teodoro Valfrè, 11 - 00165 Roma Tel/Fax 06/632299 E-mail: [email protected] Web: http://www.uac-italia.it/ C.C.P. 47453006 Quote annuali: - ordinario: e25,00 con la rivista Presbyteri e60,00 - sostenitore: e35,00 con la rivista Presbyteri e70,00 - benemerito: e50,00 con la rivista Presbyteri e85,00 Finito di stampare nel mese di luglio 2014 da Editrice Tau srl - Via Umbria 148/06059 Todi (PG) Provo ad immaginare quello che c’era dietro quella richiesta: «Mostraci il Padre e ci basta». È come se Filippo volesse dire a Gesù: Ecco, noi ti stiamo seguendo da tanto tempo ormai, abbiamo visto tanti segni grandi e davvero interessanti che tu hai compiuto, abbiamo anche ascoltato tanti tuoi insegnamenti anch’essi interessanti e profondi. Ora ti resta da fare una cosa sola per dare completezza a tutto: Mostraci il Padre, mostraci il Padre e ci basta. La risposta un po’ piccata di Gesù fa riflettere:« Da tanto tempo sono con voi, Filippo, e non l’hai ancora capito? Chi vede me ha visto il Padre. Come puoi tu dire…?». Erano stati così a lungo con Lui, ma non avevano ancora capito il cuore del problema, che riguardava prima ancora che il messaggio proclamato da Gesù, la sua persona, la sua ”identità”. Lui, Filippo, come del resto tutti gli altri, lo avevano seguito, e per seguirlo avevano anche lasciato tutto: casa, famiglie, lavoro. Erano stati testimoni di tanti eventi prodigiosi e grandiosi, e forse (e senza forse…) stavano a lungo sognando il momento in cui avrebbero avuto un ruolo importante nel Regno che il maestro dava sempre come imminente. Infatti, la domanda con la quale Giacomo e Giovanni chiedevano i primi posti alla destra e alla sinistra di Gesù la dice lunga su quali fossero le reali motivazioni che tenevano questa squadra di persone al suo seguito. E in questa direzione va anche quella domanda che, come ci racconta il libro degli Atti, gli undici fecero a Gesù perfino dopo la risurrezione: «Maestro è questo il tempo in cui tu ricostituirai il Regno di Israele?». Ora siamo alla fine dell’avventura terrena di questo maestro, che loro hanno seguito ma non hanno per niente capito. Quella cena che avevano appena finito di consumare assieme, e alla cui mensa, stando ai racconti di Giovanni, si stavano attardando, era l’ultima, non ce ne sarebbero state altre, perché di lì a poco Gesù avrebbe donato la vita sulla croce. E Lui lo aveva detto in tanti modi, ma loro, totalmente presi dall’intento di coltivare i loro sogni e le loro attese di sistemazioni terrene, non avevano mai preso sul serio le parole di Gesù. Per questo, anche ora che siamo alla fine, si mostrano ancora una volta terribilmente inadeguati. La richiesta di Filippo perciò ci fa vedere questi uomini che mentre gli sono commensali, gli sono in verità profondamente lontani. Immagino che Gesù avrebbe voluto dirgli: Aspetta qualche ora ancora, Filippo, e certo che te lo mostro il Padre. Ma anche questa cosa Gesù l’aveva detta appena qualche giorno prima: “Quando avrete innalzato il figlio dell’uomo allora saprete che IO SONO e non faccio nulla da me stesso”. Ma il Padre che Gesù sta per mostrare attraverso il sacrificio della croce non è quel Dio potente al quale loro, figli prediletti del Dio delle schiere e degli eserciti, erano abituati a pensare, bensì un Dio disarmato, sconfitto, inchiodato alla croce. Allora domandiamoci: Siamo proprio sicuri che mentre, attraverso l’esercizio del Ministero, stiamo spendendo la vita a parlare di Cristo alla gente, lo stiamo pure ascoltando innanzitutto noi, lo stiamo prendendo sul serio, lasciandoci continuamente interrogare e mettere in discussione dalla Sua Parola? Siamo proprio sicuri di poter dire che, mentre viviamo ogni giorno l’intimità della mensa eucaristica con Lui e con i nostri fratelli di cammino, stiamo poi conducendo una vita davvero eucaristica, non solo nel perimetro delle nostre chiese, ma anche nei luoghi della ferialità e della ordinarietà quotidiana, facendoci prossimi sempre più prossimi alla vita della nostra gente? Mons. Luigi Mansi Presidente nazionale LETTERA DEL PRESIDENTE AI DIRETTORI DIOCESANI inviti, richieste, vicinanza Carissimi Confratelli dell’UAC, anche questa volta le pagine di UAC Notizie incominciano, oltre che con l’Editoriale, con la “Lettera del Presidente”. È importante per me dialogare fraternamente con voi per raccontarvi della vita della nostra Associazione. A metà giugno abbiamo tenuto, come da programma, il Consiglio Nazionale allargato, questa volta, ai Delegati Regionali. Era necessario sentirci anche con loro per monitorare lo stato della nostra Associazione nelle varie zone d’Italia. Ne è venuto fuori un quadro davvero interessante che chiede qualche riflessione. Si conferma quello che già appariva chiaro nell’Assemblea dello scorso novembre e nelle riunioni del Consiglio e della Presidenza dei mesi scorsi. L’Unione Apostolica manifesta un notevole innalzamento dell’età media dei suoi iscritti e una conseguente riduzione del loro numero. L’età, gli acciacchi e qualche volta l’arrivo di sorella morte provoca il venir meno di tanti. Mi è giunta qualche lettera davvero commovente in cui mi si dice, con rammarico, di non poter più fare l’iscrizione per il sopraggiungere di serie difficoltà di salute. Ma devo anche dire anche c’è qualche timido segno di novità molto confortante: in alcuni circoli sono comparse iscrizioni di giovani sacerdoti che si sono accostati all’UAC perché invitati e accolti con grande affetto dai fratelli maggiori. Un bell’esempio da seguire! Alla data del Consiglio di Giugno, poi, non risultano ancora completate le operazioni per l’iscrizione, sollecito fraternamente tutti, perciò, a completare l’invio delle iscrizioni con le relative quote. Andiamo avanti con fiducia ed impegno, sempre! Nella prima riunione del Centro Studi, che si è tenuta il 1° aprile scorso, abbiamo definito la traccia-programma per questo triennio: È scandito così: 1. Ministri ordinati per una Chiesa nel mondo, 2. Col mondo 3. Per il mondo. Credo che ora si sia delineato in maniera completa il cammino che faremo insieme in questo triennio. Per quel che riguarda la prima tappa, il prossimo Convegno annuale sarà il momento più significativo nel quale l’UAC si interrogherà su come noi ministri ordinati possiamo e dobbiamo essere davvero attenti al momento particolare che sta vivendo la Chiesa e perciò operare perché essa sia avvertita dalle famiglie come inserita nel mondo dei loro problemi, attenta a decifrarne difficoltà e speranze, tanto da “portare addosso” l’odore della vita delle famiglie. Il titolo del Convegno, infatti è stato così definito: “MINISTERO ORDINATO E FAMIGLIA: DUE VOCAZIONI PER FAR CRESCERE LA COMUNIONE”. Mentre eravamo al Consiglio Nazionale ci è giunta una bellissima notizia: La sera dell’arrivo, cioè lunedì 17 novembre, avremo alle 18.00 la S.Messa presieduta da S.Em. il CARDINALE BENIAMINO STELLA, Prefetto della Congregazione per il Clero. È un segno di attenzione che ci onora e ci stimola perché ci fa capire quanto la realtà del Clero stia a cuore ai nostri Pastori. Un motivo in più per non mancare! Vi aspetto e vi do appuntamento, perciò, in tanti! Roma, 27 giugno 2014. Vostro Mons. Luigi Mansi Presidente nazionale 3 2/2014 “Perle”pastorali dall’Evangelii gaudium di papa Francesco1 Cap. II: nella crisi dell’impegno comunitario I - Alcune sfide del mondo attuale Non possiamo tuttavia dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste. (…) Bisogna lottare per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità (52). “Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità (53). Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice (56). Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro (57). Il denaro deve servire e non governare! (..) Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano (58). Fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i popoli sarà impossibile sradicare la violenza (59). I meccanismi dell’economia attuale promuovono un’esasperazione del consumo, ma risulta che il consumismo sfrenata, unito all’inequità, danneggia doppiamente il tessuto sociale. In tal modo la disparità sociale genera prima o poi una 1 violenza che la corsa agli armamenti non risolverà mai (60). Nella cultura dominante, il primo posto è occupato da ciò che è esteriore, immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio. Il reale cede il posto all’apparenza (62). È necessario che riconosciamo che, se parte della nostra gente battezzata non sperimenta la propria appartenenza alla Chiesa, ciò si deve anche ad alcune strutture e ad un clima poco Accogliente in alcune delle nostre parrocchie e comunità, o a un atteggiamento burocratico. (…) In molte parti c’è un predominio dell’aspetto amministrativo su quello pastorale, come pure una sacramentalizzazione senza altre forme di evangelizzazione (63). La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso della famigli, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli. Il matrimonio tende ad essere visto come mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità d ognuno (66). L’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari (67). È imperioso il bisogno di evangelizzare le culture per inculturare il Vangelo. (…). Ogni cul- Scelte di Vittorio Peri, da un’idea di p. Gambattista Rapisarda, liturgista e parroco di Fiumefreddo (CT). 4 2/2014 tura e ogni gruppo sociale necessita di purificazione e maturazione. Nel caso di culture popolari di popolazioni cattoliche, possiamo riconoscere alcune debolezze che devono ancora essere sanate dal Vangelo. (…) Ma è proprio la pietà popolare il miglior punto di partenza (69). Non possiamo ignorare che, negli ultimi decenni, si è prodotto una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico. È innegabile che molti si sentono delusi e cessano di identificarsi con la tradizione cattolica (70). Nuove culture vengono a generarsi in queste enormi geografie umane dove il cristiano non suole più essere promotore o generatore di senso, ma che riceve da esse altri linguaggi, simboli, messaggi e paradigmi che offrono nuovi orientamenti di vita spesso in contrasto con il Vangelo di Gesù (…) Oggi le trasformazioni di queste grandi aree e la cultura che esprimono sono un luogo privilegiato della nuova evangelizzazione. Ciò richiede di immaginare spazi di preghiera e di comunione con caratteristiche innovative, più attraenti e significative ( 73). Si rende necessaria un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e con l’ambiente, e che susciti i valori fondamentali (74). Nelle città (…) le case e i quartieri si costruiscono più per isolare e proteggere che per collegare e integrare. (…) Il senso unitario e completo della vita umana che il Vangelo propone è il miglior rimedio ai mali della città (75). II - Tentazioni degli operatori pastorali Sento una gratitudine immensa per l’impegno di tutti coloro che lavorano nella Chiesa (…) L’apporto della Chiesa nel mondo attuale è enorme. Il nostro dolore e la nostra vergogna per i peccati di alcuni membri della Chiesa, e per i propri, non devono far dimenticare quanti cristiani danno la vita per amore: aiutano gente a curarsi o a morire in precari ospedali, o accompagnano le persone rese schiave da diverse dipen- denze nei luoghi più poveri della Terra, o si prodigano nell’educazione dei bambini e giovani, o si prendono cura di anziani abbandonati da tutti, o si dedicano in molti modi, che mostrano l’immenso amore per l’umanità ispiratoci dal Dio fatto uomo (76). Abbiamo bisogno di creare spazi adatti a motivare e risanare gli operatori pastorali, luoghi in cui rigenerare la propria fede in Gesù crocifisso e risorto (77). Oggi si può riscontrare in molti operatori pastorali (…) un’accentuazione dell’individualismo, una crisi d’identità e un calo di fervore. Sono tre mali che si alimentano l’uno con l’altro.” (n.78). Si sviluppa negli operatori pastorali (…) uno stile di vita che porta ad attaccarsi a sicurezze economiche, o a spazi di potere e di gloria umana che ci si procura in qualsiasi modo, invece di dare la vita per gli altri nella missione (80). Oggi, per esempio è diventato molto difficile trovare catechisti preparati per le parrocchie e che perseverino nel loro compito per diversi anni. Ma qualcosa di simile accade con i sacerdoti, che si preoccupano con ossessione del loro tempo personale ( …), di preservare i loro spazi di autonomia (81). Il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma soprattutto sono le attività vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile (82). Si sviluppa la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo (83). I mali del nostro mondo – e quelli della Chiesa – non dovrebbero essere scuse per ridurre il nostro impegno e il nostro fervore. Consideriamolo stimoli per crescere (84). Una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura (85). 5 2/2014 È evidente che in alcuni luoghi si è prodotta una ‘desertificazione spirituale, frutto del progetto di società che vogliono costruirsi senza Dio o che distruggono le loro radici cristiane. (…) In ogni caso siamo chiamati ad essere personeanfore per dare da bere agli altri (86). Oggi (…) sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare (87). Il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro. (…) L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio nella sua incarnazione ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza (88). Più dell’ateismo, oggi abbiamo di fronte la sfida di rispondere adeguatamente alla sete di Dio di molta gente, perché non cerchino di spegnerla con proposte alienanti. (…) Se non trovano nella Chiesa una spiritualità che li sani, li liberi, li ricolmi di vita e di pace (…) finiranno ingannati da proposte che non umanizzano né danno gloria a Dio (89). In settori delle nostre società cresce la stima per diverse forme di ‘spiritualità del benesserÈ senza comunità, per una ‘teologia della prosperità’ senza impegni fraterni, o esperienze soggettive senza volto, che si riducono a una ricerca interiore immanentista (90). La vera guarigione (…) è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che scoprire Dio in ogni essere umano (…) I discepoli del Signore sono chiamati a vivere come comunità che sia sale della terra e luce del mondo (cfr Mt 5,13-16). Sono chiamati a dare testimonianza di un’ appartenenza evangelizzatrice in maniera nuova (92). È cresciuta la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa (…)La formazione dei laici e l’evangelizzazione delle categorie professionali e intellettuali rappresentano un’importante sfida pastorale (102). 6 2/2014 La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un intuizione e certe capacità peculiari proprie delle donne. (…) Vedo con piacere come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi ed offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa (103). Non bisogna dimenticare che quando parliamo di potestà sacerdotale ‘ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità’ (Giovanni Paolo II, Christifideles laici 51). Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal battesimo, che è accessibile a tutti. La configurazione del sacerdote con Cristo Capo – vale a dire, come fonte della grazia – non implica che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri. Di fatto una donna, Maria, è più importante dei vescovi (104). I giovani, nelle strutture abituali, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite. (… ) La proliferazione e la crescita di associazioni e movimenti prevalentemente giovanili si possono interpretare come un’azione dello Spirito che apre nuove strade in sintonia con le loro aspettative e con la ricerca di spiritualità profonda e di un senso di appartenenza più concreto. È necessario, tuttavia, rendere più stabile la partecipazione di queste aggregazioni all’interno della pastorale d’insieme della Chiesa (n. 105). Nonostante la scarsità di vocazioni, oggi abbiamo una chiara coscienza della necessità di una migliore selezione dei candidati al sacerdozio. Non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazioni, tanto meno se queste sono legate ad insicurezza affettiva, a ricerca di forme di potere, gloria umana o benessere economico (107). Che cosa significa “Misericordia” per un prete? Certamente è cosa utile, anzi preziosa, per noi ministri ordinati rileggerci con attenzione alcuni passaggi del discorso che il Vescovo di Roma, il Santo Padre Francesco, ha tenuto ai preti di Roma il 6 marzo scorso. C’è davvero tanto da meditare. Il brano del Vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato ci fa rivolgere lo sguardo a Gesù che cammina per le città e i villaggi. E questo è curioso. Qual è il posto dove Gesù era più spesso, dove lo si poteva trovare con più facilità? Sulle strade. Poteva sembrare che fosse un senzatetto, perché era sempre sulla strada. La vita di Gesù era nella strada. Soprattutto ci invita a cogliere la profondità del suo cuore, ciò che Lui prova per le folle, per la gente che incontra: quell’atteggiamento interiore di “compassione”, vedendo le folle, ne sentì compassione. Perché vede le persone “stanche e sfinite, come pecore senza pastore”. Abbiamo sentito tante volte queste parole che forse non entrano con forza. Ma sono forti! Un po’ come tante persone che voi incontrate oggi per le strade dei vostri quartieri… Poi l’orizzonte si allarga, e vediamo che queste città e questi villaggi sono non solo Roma e l’Italia, ma sono il mondo… e quelle folle sfinite sono popolazioni di tanti Paesi che stanno soffrendo situazioni ancora più difficili… Allora comprendiamo che noi non siamo qui per (…cercare di comprendere insieme che) noi stiamo vivendo in tempo di misericordia, da trent’anni o più, fino adesso. 1. Nella Chiesa tutta è il tempo della misericordia. Questa è stata un’intuizione del beato Giovanni Paolo II. Lui ha avuto il “fiuto” che questo era il tempo della misericordia. Pensiamo alla beatificazione e canonizzazione di Suor Faustina Kowalska; poi ha introdotto la festa della Divina Misericordia. Piano piano è avanzato, è andato avanti su questo. Nell’Omelia per la Canonizzazione, che avvenne nel 2000, Giovanni Paolo II sottolineò che il messaggio di Gesù Cristo a Suor Faustina si colloca temporalmente tra le due guerre mondiali ed è molto legato alla storia del ventesimo secolo. E guardando al futuro disse: «Che cosa ci porteranno gli anni che sono davanti a noi? Come sarà l’avvenire dell’uomo sulla terra? A noi non è dato di saperlo. È certo tuttavia che accanto a nuovi progressi non mancheranno, purtroppo, esperienze dolorose. Ma la luce della divina misericordia, che il Signore ha voluto quasi riconsegnare al mondo attraverso il carisma di suor Faustina, illuminerà il cammino degli uomini del terzo millennio». È chiaro. Qui è esplicito, nel 2000, ma è una cosa che nel suo cuore maturava da tempo. Nella sua preghiera ha avuto questa intuizione. Oggi dimentichiamo tutto troppo in fretta, anche il Magistero della Chiesa! In parte è inevitabile, ma i grandi contenuti, le grandi intuizioni e le consegne lasciate al Popolo di Dio non possiamo dimenticarle. E quella della divina misericordia è una di queste. È una consegna che lui ci ha dato, ma che viene dall’alto. Sta a noi, come ministri della Chiesa, tenere vivo questo messaggio soprattutto nella predicazione e nei gesti, nei segni, nelle scelte pastorali, ad esempio la scelta di restituire priorità al sacramento della Riconciliazione, e al tempo stesso alle opere di misericordia. 2. Che cosa significa misericordia per i preti? Domandiamoci che cosa significa misericordia per un prete, permettetemi di dire per noi preti. Per noi, per tutti noi! I preti si commuovono davanti alle pecore, come Gesù, quando vedeva la gente stanca e sfinita come pecore senza pastore. Gesù ha le “viscere” di Dio, Isaia ne parla tanto: è pieno di tenerezza verso la gente, specialmente verso le persone escluse, cioè verso i peccatori, verso i malati di cui nessuno si prende cura… Così a immagine del Buon Pastore, il prete è uomo di misericordia e di compassione, vicino alla sua gente e servitore di tutti. Questo è un criterio pastorale che vorrei sottolineare tanto: la vicinanza. La prossimità e il servizio. Chiunque si trovi ferito nella propria vita, in qualsiasi modo, può trovare in lui attenzione e ascolto… In particolare il prete dimostra viscere di misericordia nell’amministrare il sacramento della Riconciliazione; lo dimostra in tutto il suo atteggiamento, nel modo di accogliere, di ascoltare, di consigliare, di assolvere… Ma questo deriva da come lui stesso vive il sacramento in prima persona, da come si lascia abbracciare da Dio Padre nella Confessione, e rimane dentro questo abbraccio… Se uno vive questo su di sé, nel proprio cuore, può anche donarlo agli altri nel ministero. E vi lascio la domanda: Come mi confesso? Mi lascio abbracciare? Mi viene alla mente un grande sacerdote di Buenos Aires, ha meno anni di me, ne avrà 72… Una volta è venuto da me. È un grande confessore: c’è sempre la coda lì da lui… I preti, la maggioranza, vanno da lui a confessarsi… È un grande confessore. E una volta è venuto da me: 7 2/2014 “Ma Padre…”, “Dimmi”, “Io ho un po’ di scrupolo, perché io so che perdono troppo!”; “Prega… se tu perdoni troppo…”. E abbiamo parlato della misericordia. A un certo punto mi ha detto: “Sai, quando io sento che è forte questo scrupolo, vado in cappella, davanti al Tabernacolo, e Gli dico: Scusami, Tu hai la colpa, perché mi hai dato il cattivo esempio! E me ne vado tranquillo…”. È una bella preghiera di misericordia! Se uno nella Confessione vive questo su di sé, nel proprio cuore, può anche donarlo agli altri. Il prete è chiamato a imparare questo, ad avere un cuore che si commuove. I preti - mi permetto la parola - “asettici” quelli “di laboratorio”, tutto pulito, tutto bello, non aiutano la Chiesa. La Chiesa oggi possiamo pensarla come un “ospedale da campo”. Questo scusatemi lo ripeto, perché lo vedo così, lo sento così: un “ospedale da campo”. C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite! C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa... Gente ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite. Quando uno è ferito, ha bisogno subito di questo, non delle analisi, come i valori del colesterolo, della glicemia… Ma c’è la ferita, cura la ferita, e poi vediamo le analisi. Poi si faranno le cure specialistiche, ma prima si devono curare le ferite aperte. Per me questo, in questo momento, è più importante. E ci sono anche ferite nascoste, perché c’è gente che si allontana per non far vedere le ferite… Mi viene in mente l’abitudine, per la legge mosaica, dei lebbrosi al tempo di Gesù, che sempre erano allontanati, per non contagiare… E si allontanano forse un po’ con la faccia storta, contro la Chiesa, ma nel fondo, dentro c’è la ferita… Vogliono una carezza! E voi, cari confratelli - vi domando - conoscete le ferite dei vostri parrocchiani? Le intuite? Siete vicini a loro? È la sola domanda… 3. Misericordia significa né manica larga né rigidità. Ritorniamo al sacramento della Riconciliazione. Capita spesso, a noi preti, di sentire l’esperienza dei nostri fedeli che ci raccontano di aver incontrato nella Confessione un sacerdote molto “stretto”, oppure molto “largo”, rigorista o lassista. E questo non va bene. Che tra i confessori ci siano differenze di stile è normale, ma queste differenze non possono riguardare la sostanza, cioè la sana dottrina morale e la misericordia. Né il lassista né il rigorista rende testimonianza a Gesù Cristo, perché né l’uno né l’altro si fa carico della persona che incontra. Il rigorista si lava le mani: infatti la inchioda alla legge intesa in modo freddo e rigido; il lassista anche si lava le mani: solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema 8 2/2014 di quella coscienza, minimizzando il peccato. La vera misericordia si fa carico della persona, la ascolta attentamente, si accosta con rispetto e con verità alla sua situazione, e la accompagna nel cammino della riconciliazione. E questo è faticoso, sì, certamente. Il sacerdote veramente misericordioso si comporta come il Buon Samaritano… ma perché lo fa? Perché il suo cuore è capace di compassione, è il cuore di Cristo! Per spiegarmi faccio anche a voi alcune domande che mi aiutano quando un sacerdote viene da me. Mi aiutano anche quando sono solo davanti al Signore! Dimmi: Tu piangi? O abbiamo perso le lacrime? Ricordo che nei Messali antichi, quelli di un altro tempo, c’è una preghiera bellissima per chiedere il dono delle lacrime. Incominciava così, la preghiera: “Signore, Tu che hai dato a Mosè il mandato di colpire la pietra perché venisse l’acqua, colpisci la pietra del mio cuore perché le lacrime… ”: era così, più o meno, la preghiera. Era bellissima. Ma, quanti di noi piangiamo davanti alla sofferenza di un bambino, davanti alla distruzione di una famiglia, davanti a tanta gente che non trova il cammino?… Il pianto del prete… Tu piangi? O in questo presbiterio abbiamo perso le lacrime? Piangi per il tuo popolo? Dimmi, tu fai la preghiera di intercessione davanti al Tabernacolo? Tu lotti con il Signore per il tuo popolo, come Abramo ha lottato: “E se fossero meno? E se fossero 25? E se fossero 20?...” (cfr Gen 18,22-33). Quella preghiera coraggiosa di intercessione… Noi parliamo di parresia, di coraggio apostolico, e pensiamo ai piani pastorali, questo va bene, ma la stessa parresia è necessaria anche nella preghiera. Lotti con il Signore? Discuti con il Signore come ha fatto Mosè? Quando il Signore era stufo, stanco del suo popolo e gli disse: “Tu stai tranquillo… distruggerò tutti, e ti farò capo di un altro popolo”. “No, no! Se tu distruggi il popolo, distruggi anche a me!”. Ma questi avevano i pantaloni! E io faccio la domanda: Noi abbiamo i pantaloni per lottare con Dio per il nostro popolo? Un’altra domanda che faccio: la sera, come concludi la tua giornata? Con il Signore o con la televisione? Quanto bene fa l’esempio di un prete misericordioso, di un prete che si avvicina alle ferite… Se pensate, voi sicuramente ne avete conosciuti tanti, tanti, perché i preti dell’Italia sono bravi! Sono bravi. Io credo che se l’Italia ancora è tanto forte, non è tanto per noi Vescovi, ma per i parroci, per i preti! È vero, questo è vero! Non è un po’ d’incenso per confortarvi, lo sento così. La misericordia. Pensate a tanti preti che sono in cielo e chiedete questa grazia! Che vi diano quella misericordia che hanno avuto con i loro fedeli. E questo fa bene. L’apostolo e il “ministero dello spirito” II parte La più bella lettera di raccomandazione In tutti i tempi e in tutte le culture si è fatto e si farà uso di lettere di raccomandazione! Non c’è concorso pubblico che non sia affrontato con almeno una raccomandazione. Soltanto l’apostolo non ha bisogno di raccomandazione, di una spinta esterna che lo aiuti nella riuscita delle prove da affrontare. Egli non ha bisogno di raccomandazioni: la comunità a cui ha portato il tesoro del Vangelo è la sua paradossale lettera di raccomandazione! Stupenda è la metafora che Paolo utilizza in 2 Cor 3,1-3 per descrivere la sua originale lettera di raccomandazione: non è scritta da altri che non sia Colui che lo ha mandato; è composta non su tavole di pietra, diremmo oggi su fogli di carta, ma sul cuore stesso dell’apostolo; è incisa non con l’inchiostro ma con lo Spirito del Dio vivente. Non c’è lettera più originale e indistruttibile perché sul cuore dell’apostolo vengono scritti i nomi di tutti coloro che accogliendo il suo Vangelo, accolgono lui stesso. Per questo, il cuore dell’apostolo si dilata a dismisura, come per miocardia, così da offrire lo spazio necessario perché nessuno dei destinatari si consideri estraneo: “… Il nostro cuore si dilatato per voi. In noi certo non siete allo stretto; è nei vostri cuori che siete allo stretto” (2Cor 6,11-12). L’apostolo non è uno che ama di meno rispetto a chi orienta il proprio amore soltanto verso una persona o un solo nucleo familiare, ma uno che ama a tal di Antonio Pitta1 punto la comunità che si va costruendo intorno al suo Vangelo da continuare ad amarla con tutto se stesso, anche nei frangenti di tradimento o di abbandono. La forma d’amore che più di altre esprime il legame tra l’apostolo e la sua comunità è quella di un padre o di una madre: “… Siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura delle proprie creature. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari” (1Ts 2,7-8). Un amore disinteressato e non inficiato da relazioni a contratto né a tempo o periodico, bensì di totale dedizione, come quello di una madre, e capace di educare, come quello di un padre: “Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo” (1Cor 4,15). L’apostolo non è un semplicemente un amico, con tutta la profondità di un valore importante come l’amicizia, ma un genitore che conosce i tempi e le modalità con cui deve rapportarsi ai propri figli. Di fronte a quanti, nella sua comunità, gli stanno voltando le spalle non si vergogna di dichiarare il proprio amore geloso; e si tratta di una gelosia quasi morbosa che non accetta altre figure paterne o materne: “Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina: vi ho dati in matrimonio ad un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta. Temo però che, come il serpente con la sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri siano traviati 1 Professore ordinario di Nuovo Testamento alla Pontificia Università Lateranense, membro del Centro Studi dell’UAC. (Brani tratti da Trasformati dallo Spirito, Paoline, Milano 2005, III ed.) 9 2/2014 dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo” (2 Cor 11,2-3). L’apostolo non è soltanto l’amico dello Sposo che, sull’esempio di Giovanni Battista, si limita a preparare le nozze tra lo Sposo e la Sposa e, in quest’importante ruolo esprime la pienezza della sua gioia (cf. Gv 3,29: “Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo”). Tanto meno l’apostolo è lo Sposo a cui è destinata la Sposa. Egli è il padre della Sposa che nutre per lei una gelosia d’amore e che si affievolirà soltanto quando la Sposa sarà tutta dello Sposo che è Cristo. Nel periodo dell’attesa, l’apostolo sa di dover tutelare la verginità della Sposa e di tenere sempre desta la vigilanza per lo Sposo che viene. A volte all’apostolo si attribuisce il ruolo dello Sposo; ma l’unico Sposo è e resta Colui che ha dato il suo sangue per la Sposa! E se l’apostolo è descritto come tale, è soltanto per rimandare ed indirizzare a quell’unico Sposo a cui è destinata la Sposa. A quale equilibrio affettivo deve giungere l’apostolo: dedicarsi totalmente per una comunità, “spendere e spendersi” (cf. 2Cor 12,15), sino a consumarsi per lei ma non dimenticare mai che né lui appartiene esclusivamente ad una comunità né questa è sua proprietà: sia lui sia la comunità sono di un Altro. In qualsiasi legame stabilisca con la comunità, l’apostolo non dovrà mai dimenticare l’origine del proprio mandato e Colui che lo ha inviato; né gli sarà mai concesso d’impossessarsi di una comunità: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete saldi” (2Cor 1,24). A volte è troppo esigente la richiesta di Colui che manda: come si può amare una comunità, fatta di persone concrete, senza oltrepassare la soglia del possesso? Come una sana gelosia, in quanto espressione di un amore che lega le persone, può non sconfinare in forme di esclusivismo? E come si potrà amare una comunità anche quando dall’altra parte 2 Giovanni Crisostomo, Sul Sacerdozio 3,211. 10 2/2014 la risposta non è pari all’offerta: “Se vi amo più intensamente, dovrei essere riamato di meno?” (2Cor 12,15). Non si può non condividere ciò che scrive Giovanni Crisostomo: “Le tempeste che agitano l’anima del sacerdote sono maggiori dei venti che sconvolgono il mare”2. Tutto, nella vita dell’apostolo, si decide nella dinamica tra l’appartenenza a Colui che lo ha chiamato al ministero, con la forza dello Spirito, e il suo consumarsi per la e le comunità nelle quali è mandato. Quando uno solo di questi due orizzonti che s’incontrano nel Vangelo, posto nelle sue mani, vengono a mancare o a diventare secondari, si verificano tutti gli squilibri affettivi e relazionali immaginabili. Quando egli dimentica la motivazione del suo buttarsi nella mischia, attribuendo soltanto ad una comunità le ragioni del proprio mandato, di fronte alle prime delusioni che la stessa comunità gli procura cade in depressione e pone in seria discussione la consistenza della propria missione. Non sarà stata tutta un’illusione giovanile? L’eccessivo legame verso una comunità gli crea continui squilibri: rischia di portarlo, con il tempo, a preferire soltanto quelli che gli sono più simpatici o che condividono il suo modo di pensare; gli manca la forza di riconoscere il grado di maturità della comunità e non è disposto a lasciarla per raggiungere altri destinatari del Vangelo. Il suo viaggio si concluderebbe dove trova maggiori consensi e adesioni, mentre anche altri hanno il diritto di ascoltare dalla sua bocca e di vedere nella sua esistenza la Parola che genera la fede: “Ora come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui che del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene?” (Rm 10,14-15). 0 IN N. SER 3 TO VITA SPIRITUALE E TEMPO STORICO “L’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente” scrive al n. 39 Gaudium et spes, la costituzione conciliare che, parlando della Chiesa nel mondo contemporaneo, offre preziose indicazioni sul modo di vivere da cristiani nel tempo presente. La primaria indicazione è che, nella vita cristiana, ci sono due aspetti strettamente connessi e all’apparenza alternativi: l’impegno nel tempo presente e l’attesa della felicità oltre il tempo. Un dittico ben diverso da quello formato dalle contrapposte sponde del carpe diem (è troppo attraente il mondo, per non goderne i piaceri) e della fuga mundi (è troppo fugace, per dargli incondizionata fiducia). A questa riflessione sul tempo presente seguirà, nell’ultimo capitolo, quella circa l’attesa del mondo futuro. Il mistero del tempo “Immagina – disse un tale ad un amico -, di trovare ogni mattina sul tuo conto bancario un accredito di 86.400 euro. Una bella fortuna, dirai, ma tieni conto che ci sono due clausole da rispettare. La prima, è che quel denaro devi spenderlo tutto, entro la giornata, senza mettere da parte nemmeno un centesimo. La seconda, è che la banca può interrzompere l’accredito quotidiano in qualsiasi momento, anche senza preavviso. Che cosa faresti di una tale fortuna?”. Preso così, alla sprovvista, l’amico rispose: “ma che mi racconti! Una banca del genere non esiste. Dove vuoi arrivare?”. “E invece esiste, eccome! – replicò il primo -, e tutti ne siamo clienti. È la banca del tempo che, ogni giorno, regala a tutti ben 86.400 secondi. Il bello è che di Vittorio Peri la magìa ricomincia ogni giorno. Il meno bello è che il flusso dei secondi può cessare in qualsiasi momento, come d’incanto”. La storiella insegna che il tempo, coincidendo con la vita, è la cosa più preziosa che abbiamo. Ne parliamo sempre ma, come una realtà impalpabile non sappiamo definirlo. “Se nessuno mi chiede cosa sia, io lo so - scriveva sant’Agostino nelle Confessioni. Se però qualcuno me lo chiede, non so rispondere”. Tutti sperimentiamo che il tempo è troppo lento per chi aspetta, troppo lungo per chi soffre, troppo breve per chi è felice. E soprattutto sappiamo che logora e sciupa ogni cosa (“edax rerum”, divoratore delle cose, per il poeta romano Ovidio), a cominciare dalla vita stessa. Gli anziani, in particolare, sperimentano che “la giovinezza e i capelli neri sono un soffio”, come scrive Qoèlet (11,10). “Cursus in fine velocior” : al termine, la corsa si fa più veloce, dicevano gli antichi latini. Non so, ha detto qualcuno con fine umorismo, se il tempo sia il miglior medico; certo, è il peggiore estetista. Non a caso, nella mitologia greca il tempo era una mostruosa divinità (kronos) che divorava i propri figli per paura nel timore che qualcuno potesse spodestarlo. Nulla è più prezioso Il tempo è prezioso perché non concede alcun bis. A nessuno. L’istante appena passato non torna più. Unico e irripetibile, è come il vento: quando ci s’accorge che c’è, è già lontano. Impossibile fermarlo. È possibile accumulare tutto: soldi, oggetti, ricordi e perfino l’aria. Ma il tempo no, non si può metterlo da parte per quando se ne avrà bisogno. Si consuma con lo Vita spirituale e tempo storico stesso ritmo con cui arriva. Da qui il ricorrente invito di Caterina da Siena: “Non è più tempo di dormire, però che ‘l tempo non dorme, ma sempre passa come ‘l vento”. (Lettera 138) È prezioso perché è intrecciato con la vita, che dura quanto il tempo e finisce quand’esso scompare. È dunque una pazzia sprecarlo. La pazzia di chi spegne la fiammella della vita, propria o altrui. È importante viverlo bene il tempo, utilizzandone con sapienza ogni istante. E non fare come quelli che perdono il tempo “aspettando che il tempo passi”, come scriveva l’umorista Giovanni Guareschi; e nemmeno come quelli di cui parla una deliziosa favola ebraica secondo la quale, un giorno, Dio mandò un angelo sulla terra per offrire almeno a una persona il dono della felicità. Ritornato in paradiso, l’angelo aveva ancora quel regalo tra le mani. E a Dio che gli chiedeva spiegazioni disse: “Nessuno ha avuto tempo per ascoltarmi, perché tutti avevano un piede nel passato e l’altro nel futuro. Nessuno badava al presente”. “Così fanno – afferma ancora la santa senese – i perditori del tempo dicendo sempre “domani farò”. E così giungono così al punto della morte senza avvedersene: allora vorrebbero avere il tempo, ma non possono, avendolo già speso tutto miseramente”. (Lettera 85) “Non avere paura che la vita possa finire – scriveva il beato card. John Henry Newman. Abbi invece paura che non incominci mai”. Tempo quantitativo e tempo qualitativo Ci sono due modi di concepire il tempo. Il primo, è quello scandito dalle stagioni, misurato dagli orologi e dai calendari. Potremmo chiamarlo tempo quantitativo o cronologico (dal greco cronos, tempo). Contenitore delle cose che ci mettiamo dentro, è uguale per tutti, anche se non tutti ne riceviamo nella stessa misura. È uguale per chi edifica e per chi demolisce, per chi ama e per chi odia, per chi fa la pace e per chi fa la guerra. I pochi minuti che servono per leggere questo opuscoletto sono gli stessi di chi sta camminando o di chi prega. Il tempo-cronos è casa e strada, patria ed esilio È la cornice entro cui ciascuno dipinge la propria tela. La cornice è il dono che Dio fa a ciascuno; la tela dipinta è il dono che facciamo a lui. La cornice è la stessa, e non dipende da noi; la tela è come noi la vogliamo. Può raffigurare scene di vita o di morte, di pace o di guerra; può essere dipinta con colori luminosi, oppure cupi. Dipende da ciascuno tramutare il cronos in kairos. È questa la parola biblica che definisce il modo cristiano di considerare il tempo: quello qualitativo. Il kairos non è il contenitore, ma il contenuto del tempo: ciò che in esso avviene, ciò che noi facciamo. Un’ora di sballo in discoteca è cronologicamente uguale a un’ora passata a curare un malato, ma i contenuti sono divergenti. Il cronos è lo stesso, il kairos del tutto diverso. Il tempo storico si apre al tempo eterno ogni volta che un qualsiasi frammento di vita si arricchisce di amore. Nella Scrittura, indica il tempo della conversione - “È ormai tempo di svegliarvi dal sonno”, scrive s. Paolo nella lettera ai Romani (13,11) , da non rimandare al dopo perché inesorabilmente sfugge dalle nostre mani. E può sfuggire come sabbia riarsa, o come semente per un nuovo germoglio. Siamo noi a decidere l’una o l’altra cosa. L’ultima dimensione - l’aion, il tempo giunto a compimento nel cuore della Trinità - parleremo nel prossimo capitolo. Tempo chiuso e tempo aperto Si può evidenziare la sostanziale diversità di questi due tempi anche attraverso due contrapposte immagini geometriche: il cerchio e la linea. Il cerchio rimanda visivamente a una realtà chiusa, ripetitiva come l’orbita di una giostra in cui l’uomo è costretto a girare e rigirare senza tregua, come un asino attorno alla mola. Obbligato a ripetere il passato, senza possibilità di pianificare un cammino diverso, l’uomo ha davanti non un futuro da programmare con fantasia e libertà, ma un semplice avvenire già prefissato: qualcosa che accade alla velocità di sessanta minuti all’ora, qualsiasi cosa si faccia e chiunque la faccia. Di questo tempo ripetitivo abbiamo nel Qoèlet una poetica descrizione : Vita spirituale e tempo storico “Una generazione va e una generazione viene, ma la terra resta sempre la stessa. Il sole sorge e il sole tramonta, si affretta verso il luogo dove risorgerà. Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana, gira e rigira, e sopra i suoi giri il vento ritorna. Tutti i fiumi vanno al mare, eppure il mare non è mai pieno: raggiunta la loro mèta i fiumi riprendono la loro marcia. (…) Ciò che è stato sarà, e ciò che si è fatto si rifarà. Non c’è niente di nuovo sotto il sole. C’è forse qualcosa di cui si possa dire: ‘Guarda, questa è un novità?” (1, 4-8; 9-10). La visione ciclica, e dunque pessimistica del tempo e della vita, è rappresentata in modo emblematico dalla vicenda del mitico Ulisse, descritta dal celeberrimo poema omerico dell’Odissea. Lasciata la sua di Itaca di cui era re, Ulisse partecipa alla decennale guerra contro Troia e, con una navigazione fitta di tempestose avventure, torna e alla fine ritorna all’isola da cui era partito. Da Itaca ad Itaca: un perfetto itinerario circolare, ripetitivo come l’eterno sali-scendi del disperato Sisifo lungo la costa della montagna per riportare in cima il masso che ripetutamente precipita a valle. Un eterno ritorno dell’identico. Una cupa visione che il caustico Ambrose Bierce pennella con la folgorante battuta: “L’anno solare: una serie di 365 delusioni”. La visione lineare del tempo può invece essere raffigurata dal patriarca del popolo ebraico, Abramo descritta dal libro della Genesi. Lasciata, su invito del Signore, la terra ove stava per piantare tende per sé e per i suoi, inizia un cammino senza sapere dove sarebbe arrivato. Unica carta di navigazione: la promessa di Dio: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò”. (12, 1-2) Giunge così in Egitto e approda poi nella “terra promessa”, ove concluderà i suoi giorni. 1 Il suo lungo cammino, ascendente e aperto al futuro, è la metafora di un’esistenza guidata, presa per mano dall’Alto e proiettata sull’infinito orizzonte ove l’uomo diventa più grande di se stesso; ove, come scrive Biagio Pascal “l’uomo supera infinitamente l’uomo”. L’orizzonte di Dio. Ulisse e Abramo: emblemi di due contrapposte concezioni del tempo e della vita: quella pagana o comunque agnostica, per la quale ogni istante della vita è un passo verso la morte, e quella biblica. L’una quasi ingabbiata nel contingente, e l’altra aperta al futuro e trasfigurata come scrive l’Apocalisse: “Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme. (…) Non ci sarà più né lutto, né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate. (…) Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. (21, 12;4-5) Per la fede cristiana, in particolare, l’orbita del tempo è stata come spezzata dalla incarnazione e dalla risurrezione di Cristo, il cui insegnamento annuncia che ciascuno può avere un futuro totalmente diverso dal passato (la conversione!). Con Cristo il tempo è divenuto ascensionale, aperto alla speranza. Non più perduto, ma redento; non più circolare, ma lineare; non più prigione, ma casa, e l’uomo non è più costretto a rappresentare il solito dramma, a girare su se stesso come una trottola. “Non ricordate più le cose passate, non pensate alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova…”, scrive il profeta Isaia. (43, 18) “Solo dopo Cristo – si legge in un grande affresco letterario - i secoli e le generazioni hanno respirato liberamente. Solo dopo lui è cominciata la vita nella posterità e l’uomo non muore più per istrada sotto un muro di cinta, ma in casa sua, nella storia, nel culmine di un’attività rivolta al superamento della morte”. 1 Il tempo siamo noi Tutto questo rivela che il tempo non è qualcosa di diverso da noi, ma che è quello che ne Boris L. Pasternàk, Il dottor Zivago, Feltrinelli Editore, Milano 1958, p. 17. Vita spirituale e tempo storico facciamo. Sant’Agostino, con il solito acume, diceva che non si dovrebbe parlare di passato, di presente e di futuro. I tre tempi sono nella nostra mente più che nella realtà, ove esiste solo l’attimo fuggente. È solo nel presente che possiamo parlare di passato e di futuro. Un presente, tuttavia, che in un lampo diventa passato. Ce ne è abbastanza per renderci conto che il “qui e adesso”è una moneta da spendere con saggezza, in vista della vita che ci attende. Che poi – giova ripeterlo -, non sarà un’altra vita, ma una vita altra da questa. Una sua continuazione. Il tempo è dunque ciò che ne facciamo. Gesù stesso l’ha detto annunciando la sua missione: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo”: un duplice annuncio e un duplice invito per dirci che il fugace tempo in cui viviamo è il momento favorevole (kairos) per accogliere la sua Parola e dare significato alla vita. Da qui il ricorrente invito di Caterina da Siena ai destinatari delle sue infuocate lettere: “Non aspettate il tempo, ché il tempo non aspetta voi”. (Lettere 29 e 206) Al termine della vita ricorderemo con gioia il tempo vissuto in armonia con il Vangelo, mentre rimpiangeremo quello sprecato spendendo denaro “per ciò che non è pane” (Is 55,2) o “seguendo ciò che è vano” (Gr 2,5) “ché tale infatti diventa la creatura quale è quella cosa che egli ama”, scriveva ancora la santa senese . (Lettera 29) Più che la quantità dei giorni che viviamo, conta la qualità di ciò stiamo facendo. E più che aggiungere giorni alla vita è decisivo aggiungere vita ai giorni che ci sono dati, illuminandoli con la parola di Colui che assicurò a Marta di essere “la risurrezione e la vita”. (Gv 11,25) “NON HO TEMPO” Sono uscito per strada. Tutti andavano, venivano, correvano. Correvano le biciclette, le moto, le auto. Tutti. Per non perdere tempo. Per guadagnare tempo. “Ciao, scusami, adesso non ho tempo”. “Non posso aspettare, ripasserò più tardi”. “Ti telefonerò domani, ora ho da fare”. “Vorrei pregare di più, ma ho tanto da fare”. Il ragazzo deve andare a scuola, in piscina, all’allenamento. Non ha tempo per il catechismo. La ragazza ha la danza, lo sport, le amiche. Non ha tempo per andare a messa. Gli adulti hanno i figli, il lavoro, la politica. Neanch’essi hanno tempo. Solo gli anziani ne hanno, ma non sanno più cosa farne. Forse tu, o Signore, hai fatto i giorni troppo corti, le ore troppo veloci, la vita troppo breve. Tu, che sei fuori dal tempo, sorriderai nel vederci sempre di corsa, affannati anche per le cose superflue, informati sul prezzo di tutto e sul valore di niente. Ti chiedo allora la grazia di fare con calma, nel tempo che mi resta, quello che è giusto che io faccia. Vita associativa 1. Lettera del segretario ai direttori diocesani UAC Carissimi, accogliete il saluto e il ringraziamento per quanto avete fatto e fate per l’animazione dell’UAC e per l’impegnativo compito di raccogliere le adesioni annuali. Vi comunico la situazione delle adesioni, che pervengono lentamente, fino a questo mese di giugno: Anno 2014 (giugno): adesioni pervenute 926. Anno 2013: adesioni totali 1.311. In confronto al 2013 mancano quindi ancora 385 adesioni. Le adesioni di ogni anno dovrebbero pervenire possibilmente entro il mese di marzo, ma, purtroppo, questa data non è solitamente osservata. Sono fiducioso che le adesioni per il 2014 continuino a pervenire in modo che possiamo raggiungere il numero dello scorso anno e possibilmente superarlo. È necessario un impegno da parte di tutti gli aderenti e in particolare di voi Direttori diocesani. Gli abbonamenti a Presbyteri tramite l’UAC sono stati finora 272. Mi pare un buon numero. Rinnoviamo tuttavia l’esortazione a proporre agli aderenti di fare anche l’abbonamento a Presbyteri, la cui quota di abbonamento va inviata unitamente alla quota di adesione all’UAC e non a Presbyteri. Sarà l’UAC a girare a Presbyteri gli abbonamenti alla rivista. Le adesioni per il 2015 verranno accolte a iniziare dal mese di novembre 2014. Accogliete il saluto fraterno di tutta la Direzione nazionale UAC e mio personale. Buone ferie estive. Un po’ di riposo è doveroso per tutti. Roma 08.06.2014 Pentecoste Don Albino Sanna Segretario nazionale p.s: Visitate e fate visitare il nostro sito: www.uac-italia.it troverete tutto quanto riguarda l’associazione e tutti gli indirizzi aggiornati. È ben accetta ogni collaborazione. 2. Note di Calendario PRESIDENZA NAZIONALE: 17 novembre 2014 mattino (Istituto Madonna del Carmine – Sassone) CONSIGLIO NAZIONALE 29 – 30 settembre 2014 (Buddusò nella parrocchia di d. Nino Carta) CONVEGNO NAZIONALE 17 – 19 novembre 2014 (Istituto Madonna del Carmine – Sassone) 3. Verbale della riunione del Centro Studi 1 aprile 2014 Presenti: d. Luigi Mansi, presidente; d. Fernando Bellelli; d. Vito Mignozzi;d. Enzo Petrolino;d. Luca Bonari; d. Nunzio Capizzi; d. Albino Sanna. La riunione inizia alle ore 10.00 con una breve preghiera. Il Presidente invita a prendere visione degli Statuti, in particolare l’art. 15 del direttorio, e della Mozione dell’Assemblea Generale UAC di novembre 2013, riguardanti i compiti e l’organizzazione del Centro Studi, mettendo in evidenza la novità apportata dalla Mozione che prevede la nomina di un Direttore del Centro Studi, individuandolo dopo aver sentito il Consiglio. Il Presidente informa i presenti che intende sentire il Consiglio nella riunione in programma per il 17/18 giugno e quindi procedere alla nomina. Alcuni presenti invitano il presidente a tener conto, nella 15 2/2014 scelta, della effettiva disponibilità a dedicare tempo e attenzione a questo compito. Si suggerisce al Presidente che quando nomina un nuovo membro del Centro Studi è bene che senta anche il Direttore. Viene quindi presentata la programmazione triennale UAC alla quale, durante l’ultima Assemblea, è stata portata qualche variazione rispetto alla prima bozza esaminata anche dal Centro Studi. Questa la tematica scelta: “Ministri ordinati per una Chiesa nel mondo, con il mondo e per il mondo”, mettendo più l’accento quindi su una visione di ecclesiologia del ministero, in chiave missionaria, come insegna anche il magistero di Papa Francesco. Vi è stata poi la scelta di raccordare questa tematica con il tema della famiglia, tenendo conto che su questo tema la Chiesa è molto impegnata in questo momento storico. In particolare in questo primo anno il convegno avrà infatti questo tema: “Ministri ordinati e famiglia: due vocazioni per vivere e far crescere la comunione”. Viene quindi accolto il programma del prossimo convegno, che si terrà a Sassone-Ciampino il 17-19 novembre 2014, nel quale vi saranno due relazioni e una tavola rotonda. Il programma lo si ritiene molto buono soprattutto per l’aspetto del raccordo della pastorale tra ministero ordinato e famiglia, in spirito di comunione. Questa scelta troverà una visibilità in particolare con la seconda relazione del prossimo convegno (“Ministri ordinati per una Chiesa che diventi famiglia e una famiglia che diventi Chiesa domestica”) e nella tavola rotonda (“racconti di vita e racconti di comunione”). Il presidente presenta quindi la situazione del Notiziario dell’associazione “UAC Notizie” che per il momento è seguito da don Vittorio Peri. In prospettiva dovrebbe occuparsene il nuovo Presidente che chiede anche il contributo del Centro Studi sia nella costituzione di una piccola redazione sia con articoli programmati. Si fa notare che nel Notiziario è molto utile riprendere il servizio per i Cenacoli dei gruppi diocesani UAC, preparando delle schede. 16 2/2014 Il segretario chiede valutazioni e suggerimenti sul Sito dell’UAC. I presenti apprezzano molto questo servizio che è seguito con interesse dagli aderenti. Il presidente presenta poi la situazione della rivista “Presbyteri”, i suoi componenti e la sua organizzazione. La rivista riserva alcune pagine all’UAC nelle quali vi sono articoli vari che provengono prevalentemente dalla disponibilità dei componenti del Centro Studi. Si sollecita l’invio di articoli per questa rivista. Si discute su come organizzare le pagine dell’UAC e si ritiene utile conservare questa opportunità seguendo la tematica triennale dell’associazione. Il Centro Studi con la presenza del nuovo Direttore può avviare un modo nuovo di servizio anche per le pagine UAC. Infine si sollecita la scrittura di un nuovo Statuto del Centro Studi, in seguito alle ultime novità, che verrà poi approvato dal Consiglio nazionale UAC, in modo da dare al Centro Studi una collocazione più precisa, aggiornata e codificata. Questa riunione, che è stata molto utile, termina alle ore 12,00. Roma 1 aprile 2014 Don Albino Sanna Segretario nazionale 4. UAC Campania: Cenacolo regionale Il 25 febbraio scorso, a Pompei, si è svolto il Cenacolo regionale dei direttori diocesani della Campania. Il nuovo delegato regionale, don Clemente Petrillo, ha promosso l’incontro, al quale hanno partecipato il nuovo presidente nazionale, don Luigi Mansi e il consigliere per l’Area sud, don Alberto D’Urso. Dopo l’accoglienza con saluti, la preghiera di Terza dell’Ora Media ci ha introdotti al Cenacolo. Il delegato, nominato lo scorso maggio, ha presentato al Presidente l’ UAC della Campania, evidenziando però l’assenza di diversi direttori delle e nelle diocesi, nonostante egli si sia premurato, attraverso telefonate e visite, di avere un riferimento per ogni diocesi campana. Il Presidente ascolta e, nell’analisi di don Clemente, sottolinea di non disperare, ma di avere fiducia. La UAC, afferma, deve creare credibilità, senza appesantire… Essa è come la Chiesa: è uno strumento! Lavoriamo con fiducia, e le occasioni per invitare amici e sacerdoti, non mancheranno. Don Luigi continua con un invito ad accogliere nei circoli UAC i giovani preti. Accoglierli con amore e fraternità, con pazienza ed esempio. Forse i giovani ordinati non entrano nella UAC perché…non hanno visto nei preti un esempio di apostolato, di preghiera, di fraternità sacerdotale, il prete “trascinatore”. Dopo il Presidente, i presenti intervengono portando testimonianze ed esperienze della propria UAC diocesana. Le risonanze, calde ed appassionate, hanno un filo comune: i cenacoli UAC vanno vissuti secondo le necessità dei preti perché crescano nella comunione e fraternità, punto chiave per unirci. Nel cenacolo, oltre la preghiera, il confratello viene accolto ed ascoltato, dandogli spazio su bisogni ed esigenze. Solo in questo reciproco atteggiamento di ascolto, ogni confratello cresce nella comunione e grazia sacramentale. Il pranzo, consumato unitamente all’arcivescovo mons. Tommaso Caputo e al clero della città pompeiana, ha concluso il Cenacolo regionale della Campania. Mons. Clemente Petrillo, delegato regionale 5. Area Nord-Centro: Incontro Animatori del presbiterio Il 1 e 2 giugno 2014 si è realizzato il quarto degli appuntamenti del “per-corso” dell’incontro per Animatori del presbiterio nel Convitto della Calza di Firenze , con un duplice scopo: da una parte, delineare e formare (o, meglio, delinear-facendo) questa figura e, dall’altra, creare un legame tra coloro che ne sentono l’urgenza, a cominciare dagli Associati (ma non solo). L’ incontro ha avuto come caratteristica quella di confrontarsi con un “testimone” significativo. Si è svolto all’ interno della proposta di un “Cenacolo ri-creativo”, che comprenda la preghiera comunitaria, la revisione di vita, il dialogo fraterno. Di particolare significato è stato l’Incontro con il card. Silvano Piovanelli sul tema “Avere cura della fede dei presbiteri”. 6. UAC Piemonte: 8° giornata di amicizia e spiritualità a Vicoforte Un’esperienza di fraternità e di amicizia sacerdotale; è quella che si rinnova anno dopo anno con la proposta dell’UAC (Unione Apostolica del Clero) regionale che martedì 27 maggio ha realizzato con l’8° Giornata di amicizia e spiritualità – convegno regionale che si è tenuta al Santuario della Natività di Maria a Vicoforte. Amabilmente accolti dal Vescovo mons. Luciano Pacomio e del Vicario generale mons. Meo Bessone, ha visto una rappresentanza qualificata di ministri ordinati provenienti da sette diocesi della Regione (è la prima volta!) Erano rappresentate le diocesi di Aosta (don Renato Roux, don Angelo Pellissier), Casale Monferrato (don Gian Paolo Cassano, don Angelo Francia, Mons. Carlo Grattarola), Fossano (don Celestino Tallone, don Giuseppe Mandrile), Torino (don Piero Guade), Vercelli (mons. Roberto Baruffaldi), Asti (don Luigi Binello, don Roberto Zappino) e naturalmente Mondovì (mons. Meo Bessone, don Beppe Cnavese, don Corrado Restagno, don Candido Borsarelli, Leonardo Modica). La scelta è caduta sul celebre santuario piemontese caratterizzato dalla grandiosa cupola ellittica che sorge attorno ad un pilone della Vergine, a partire dal XVI secolo. Presso la casa di spiritualità “Regina Montis Regalis” Mons. Pacomio ha tenuto una meditazione assai profonda, richiamando l’indicazione del Papa che coglieva nel ministero presbiterale la necessità di uscire incontro al gregge, facendo sentire l’odore delle pecore, cioè il profumo di Cristo. Si è chiesto chi sia il sacerdote e cosa debba fare, in relazione alle 17 2/2014 quattro forme fondamentali di evangelizzazione (parola, preghiera, amore, azione ministeriale). Occorre imparare da Gesù facendo un’offerta di sé gradita a Dio, adorando il Signore nei nostri cuori. È seguita poi in Basilica la celebrazione dell’Eucaristia presieduta dal Vescovo che ha colto il ruolo di Maria nel Cenacolo, con l’invito ad aprirsi ad un rapporto vitale con il Signore. Dopo il pranzo, c’è stata ancora la possibilità della visita guidata ad alcune delle bellezze dei Mondovì, dalla Cattedrale (attualmente in restauro), alla Chiesa della Missione dove trionfa l’arte barocca, dalle sale del Vescovado con il ciclo di affreschi dei diversi personaggi e vescovi monregalesi al Belvedere che domina sulla valle…... Amicizia, fraternità, apostolicità, nella dimensione del presbiterio diocesano. È questo il senso dell’Unione Apostolica del Clero; un gruppo di ministri ordinati (Vescovo, Sacerdoti e diaconi) che vivono la spiritualità del presbiterio diocesano ponendosi al servizio degli altri confratelli. Gian Paolo Cassano 6. UAC Sardegna/1 Buddusò 10.05.2014 Carissimi tutti, con nel cuore le bellissime sensazioni della visita fatta al seminario di Cuglieri (per la quale ringrazio di cuore le autorità comunali del 18 2/2014 paese, iniziando dal Sindaco Andrea Loche e dalla vice-sindaco Ivana.Pala, che sono stati gentilissimi facendoci visitare i locali per quasi due ore) vi scrivo carissimi fratelli presbiteri responsabili diocesani della nostra UAC, per potervi annunciare adesso quasi ufficialmente che il nostro prossimo incontro regionale del giovedì 23 ottobre prossimo, lo possiamo proprio organizzare negli spazi del vecchio seminario regionale, nella parte ristrutturata (molto bene direi!), che ricrea (sopratutto per noi di una certa età ) le esperienze di formazione con le immancabili gioie e dolori, ma anche con la voglia di ri-iniziare con lo stesso entusiasmo che personalmente mi animava a soli 23 anni lasciando il seminario per l’ordinazione sacerdotale e così mettermi a servizio come presbitero della chiesa di Ozieri, della Sardegna e...del mondo... Si, l’esperienza fatta insieme a Mons. Giov. Antonio Niola (del quale ringrazio anche l’agape fraterna del pranzo a Sindia!), direttore diocesano di Alghero-Bosa, è stata fortissima. L’accoglienza dei cuglieritani veramente sontuosa, gentile e aperta alla collaborazione, per cui ci è sembrato, che possiamo proprio ritornare dopo quasi 45 anni a respirare alle fonti ispiratrici delle pendici del Montiferru, dove ognuno di noi potrà trovare, ne sono certo, nuovi stimoli per camminare insieme ai fratelli sacerdoti e al sevizio della nostra chiesa. Quando ho telefonato a don Giuseppe Sanna di Oristano di questa possibilità ormai concreta, lui ha subito esclamato: “Ma allora, anche il cenacolo dei direttori diocesani del prossimo 3 giugno, potremmo già realizzarlo a Cuglieri, così tutti insieme potremo organizzare la giornata già avvolti dalla misticità del seminario!”. Con Mons. Niola ne siamo rimasti entusiasti. Allora, ci ritroveremo tutti insieme proprio martedì 3 giugno prossimo alle 9.30 in seminario a Cuglieri per il nostro cenacolo di preghiera e organizzazione. Chiedo con insistenza di fare di tutto perché nessuno manchi; anzi chi vuole porti qualche confratello per gustare come è bello stare insieme da fratelli in Cenacolo. Termineremo con il pranzo che, consumeremo in qualche piccolo ristorante o agriturismo del paese. Ci credo profondamente. Ci vediamo presto con affetto UACamente Don Nino Carta Nulla è piccolo se fatto per amore *** 8. UAC Sicilia: Nuovo direttore per Patti L’assemblea elettiva dell’UnIone apostolica di Patti, svoltasi il 5 dicembre 2013, ha eletto come nuovo direttore d. Antonio Sambataro. Rallegrandoci con d. Antonio e augurandogli un buon lavoro di animazione associativa, esprimiamo il grande grazie al predecessore, d. Guido Passalacqua, per aver servito l’UAC di Patti fin dal 2002 con generosità, competenza e fedeltà. 7. UAC Sardegna/2 Alghero-Bosa: Un servizio a sacerdoti e diaconi D. Giovanni Niola, direttore UAC della Diocesi di Alghero-Bosa, una diocesi della Sardegna, ha recentemente scritto la seguente nota al clero per esortarli ad aderire all’UAC che riteniamo utile fa conoscere a tutti gli associati. “Il servizio offerto dall’UAC, rispetto ad altre associazioni, non consiste tanto in un “erogare” prestazioni quanto, piuttosto, nel richiamare l’essenza della missione presbiterale e diaconale che trova il suo cuore nella comunione presbiterale. L’ecclesiologia di comunione espressa nel documento del Concilio Vaticano II ha ancora molta strada da fare per affermarsi compiutamente. Credo che la stessa espressione “comunione presbiterale” sia talora più nominale che effettiva, e che la parola “presbiterio” sia associata più facilmente alla zona attorno all’altare, nelle chiese, piuttosto che all’unione dei sacerdoti e dei diaconi con il loro vescovo. Pertanto il ruolo dell’UAC è quanto mai prezioso perché aiuta a crescere in questa consapevolezza indispensabile per rendere efficace l’annuncio del vangelo. Non si può infatti essere autentici ministri del popolo di Dio senza coltivare una spiritualità diocesana, cioè una spiritualità che affondi le proprie radici nella fede e nelle tradizioni della Chiesa locale”. 9. UAC Sicilia: Palermo: cenacolo quaresimale col Presidente In occasione del ritiro quaresimale del 26 marzo 2014 per la prima volta , da neoeletto Presidente Nazionale dell’Unione Apostolica del Clero, Mons. Luigi Mansi ha fatto visita alla comunità del Seminario Arcivescovile Maggiore “San Mamiliano” di Palermo, presiedendo la Celebrazione dei Vespri con i seminaristi e i componenti del Circolo U.A.C. 712 della Diocesi di Palermo. Il Direttore del Seminario Don Silvio Sgrò e il Direttore Diocesano U.A.C. Don Giuseppe Di Giovanni hanno accolto Mons. Mansi rivolgendogli, a nome dell’intera comunità, il saluto di benvenuto, gli auguri per il nuovo incarico di Presidente Nazionale e l’auspicio di un rapporto di familiarità ed amicizia con tutta la nostra Diocesi di Palermo. Dopo la celebrazione dei Vespri, Mons. Mansi ha voluto salutare ciascun membro della comunità soffermandosi per un momento di convivialità in seminario, rinnovando personalmente l’invito ad aderire all’U.A.C., chiamando tutti a vivere la Quaresima e riscoprire la dimensione della Misericordia di Dio, per costruire relazioni interpersonali fondate sull’amore, libere da giudizi rigoristi che non danno spazio alla conversione e al perdono fra- 19 2/2014 terno. Mons. Mansi ha voluto anche presentare e testimoniare la spiritualità e le peculiarità dell’Unione Apostolica del Clero che invita i suoi membri a vivere il Sacramento dell’Ordine attraverso i doni e carismi nella Chiesa particolare in cui sono incardinati, con la convinzione che nell’appartenenza e dedicazione alla propria Comunità diocesana, essi trovino una fonte di comprensione della loro vita e del loro ministero., citando lo statuto UAC (Statuto, 5). A cura di Don Settimo Albanese(*) (*) Webmaster U.A.C. Diocesi di Palermo - Circolo 712 - www.uac-palermo.it 10. UAC Veneto: Il 17 aprile 2014, giovedì santo, è deceduto Mons. Giovanni Leonardi, “presbitero” della chiesa di Dio che è in Padova Il giorno 17 aprile, giovedì santo, giorno in cui i presbiteri si radunano attorno al vescovo per celebrare la messa crismale, don Giovanni Leonardi ci ha lasciati, in silenzio, al mattino. Era nato il 28 ottobre 1927 da una famiglia alla quale fu sempre molto legato. Ma anche tante generazioni di preti e laici hanno avuto modo di apprezzare il profondo amore per la Parola di Dio a cui era fedele, studiandola non per sfoggio di cultura ma per trarvi indicazioni di vita cristiana. La sua è stata sempre una “teologia impegnata”. Non a caso uno dei suoi temi preferiti riguardava i “ministeri” e i “carismi”, in una chiesa tutta ministeriale. Partendo dal Concilio, egli ripeteva continuamente di guardare a una chiesa popolo di Dio, pellegrina e in cammino, dove convergono i tanti ministeri. A questo proposito, egli preferiva decisamente, secondo il linguaggio biblico, il termine “presbitero” a quello di “sacerdote”, che è di ogni battezzato. In un articolo su “Cristo il servo”, scritto nell’occasione dei suoi 70 anni, delinea 20 2/2014 3/2013 una chiesa per, con, in, una chiesa ecumenica con una struttura ministeriale duttile e aperta ai ruoli della donne, ponendosi in forma di domanda: In ogni diocesi un “seminario per i ministeri?”. Il Servo di Isaia per lui deve essere identificato anche con ogni uomo di buona volontà che si impegna in maniera forte per gli stessi ideali a vantaggio del suo popolo e dell’intera umanità. Con questo spirito fu impegnato anche come segretario del Consiglio Presbiterale diocesano. È a partire da queste premesse che sono derivati i sui impegni. Tutti conosciamo il suo handicap, la sordità che insorse mentre a Roma studiava all’Istituto Biblico, tanto da suggerire, per timore di non essere all’altezza del suo compito, di mandare a studiare anche un altro, Giuseppe Segalla. Tuttavia, questo fatto non gli impedì di fare una scelta di interessi che coltivò con impegno e tenacia straordinari, con “parresia” e forza evangelica. Il Vangelo sia la fonte di ogni discernimento! In primo piano furono le Scuole di Formazione Teologica in vista dell’esercizio dei vari ministeri e per una formazione dei laici più elevata. Per questo fu co-fondatore e primo Direttore della Scuola di Bassano, situata presso la Casa S. Giuseppe dei Padri Gesuiti, scelta come luogo di confluenza di tre Diocesi, Padova, Vicenza, Treviso. Coinvolse diversi docenti e consumò più auto per questo impegno. L’auto, la mitica “piuma”, aveva ormai imparato da sola la strada, tanto che una sera, uscito con dei colleghi per una conferenza, automaticamente si era diretto verso Bassano, accorgendosi solo in un secondo momento, che lo scopo era un altro. Fu anche il primo segretario e presidente della Federazione Triveneta delle Scuole di Formazione Teologica promovendo sei convegni. Il medesimo servizio di insegnamento prestò poi anche nelle Scuole di Padova ed Este, che nel frattempo erano nate e che tuttora continuano nel servizio, anche se altri centri teologici di carattere accademico, come l’Istituto Superiore di Scienze Religiose, erano stati fondati per rispondere alla pastorale e all’insegnamento della religione cattolica. Molto del suo tempo don Giovanni lo dedicò alla divulgazione. Sin dal 1958 curò sul “Il Santo dei miracoli” una rubrica con circa 400 articoli, illustrati con fotografie ambientali e archeologiche originali. Raccolse così migliaia di slides, che illustrava ai vari uditori con proiezioni adeguate. La sua voglia di documentare lo portò in Iraq, dove rischiò, per alcune riprese di ambienti strategici, di finire in prigione. Per la stessa passione, già avanti con gli anni, volle partire per la Grecia, invitandomi ad accompagnarlo. Io purtroppo non potevo avendo preso precedenti impegni. Partì da solo con la sua Panda e girò in pieno luglio per buona parte di quella terra, per documentare i luoghi degli Atti degli Apostoli che stava trattando. Con lo stesso intento si impegnò, instancabile, in una quantità innumerevole di viaggi nelle Terre Bibliche, a partire dalla Terra Santa, narrando la Parola con una vitalità ed energia invidiabili. Ma non mancò lo studio impegnato e deciso. Curò anzitutto gli incontri di studio con i biblisti del Triveneto, prima che fossero sostituiti da altre forme di Convegni nazionali. Fu cofondatore della rivista Credereoggi, che tuttora continua le sue pubblicazioni. Soprattutto resta a suo merito la pazienza e la accuratezza con cui si dedicò, dal 1967 al 1988, alla Rivista Studia Patavina, in collaborazione tra la Facoltà Teologica e l’Università di Padova, che divenne “Rivista di Scienze Religiose” e si caratterizzò per i suoi “simposi” ed è oggi apprezzata e diffusa in tante università e biblioteche del mondo. Uno dei segni tuttora molto importanti è infine la Settimana Biblica diocesana che quest’anno arriva alla XXI edizione. Un evento da lui molto voluto, in accordo con il vescovo. Con l’aiuto di P. Gianni Cappelletto ofmc, e del sottoscritto, si iniziò l’avventura, cercando un piano di lavoro efficace, che trovò un poco alla volta il suo equilibrio. Don Giovanni resta una figura particolarmente simpatica, per la sua sincerità e bonarietà, anche per la sua tenacia. Ci auguriamo che i semi da lui gettati possano continuare a dare frutti, soprattutto a mettere in moto quell’amore per la Parola che ha segnato profonda- mente ogni gesto e ogni iniziativa di lui “presbitero” della chiesa di Dio che è in Padova, fedele servitore di Cristo Buon Pastore e Servo. Che egli possa invocare la nascita di tanti ministeri, sia presbiterali che laicali. Oltre i suoi scritti, infatti, restano come segno per molti credenti, laici e presbiteri, di Padova la sua passione e la sua testimonianza di amore fedele al Vangelo. Marcello Milani 11. Esercizi spirituali promossi dall’UAC 1. Dal 28 luglio al 1 agosto 2014, per ministri ordinati ma aperto a tutti, sarà guidato da d. VITTORIO PERI. 2. Dal 10 al 14 novembre 2014, per ministri ordinati ma aperto a tutti, sarà guidato dal cardinale SEVERINO POLETTO. Per informazioni: Domus Laetiziae, viale Giovanni XXIII, 06081 ASSISI (PG) Tel. +39 075 812792 Fax + 39 075 815184 www.domuslaetitiaeassisi.it; mail: ti.isissaeaititealsumod@ofni Responsabile organizzativo Corsi di Esercizi Spirituali: Luca Lucchini Cell. +39 389 6799095 mail: [email protected]. Tutti i corsi si terranno nella Domus Laetitiae di Assisi. 3. Dal primo pomeriggio del 10 al pranzo del 14 novembre 2014. “Amati da Dio, chiamati da Cristo Signore, inviati dallo Spirito Santo” Guidato da P. FRANCESCO NERI, ofm, Docente di Antropologia presso la Facoltà Teologica Pugliese. Sede: Oasi Santa Maria, Cassano Murge (BA) Per informazioni e prenotazioni: - don Alberto Durso, Parrocchia Santa Croce Bari tel: 335209131 oppure 334 26205816 - Oasi Santa Maria, tel. 080. 764045 oppure 080 764046 - mail: [email protected] 21 3/2013 2/2014 “Buon Cammino” Reportage da Santiago È l’espressione con cui ci si saluta lungo i sentieri del “Cammino di Santiago”. Ci saluta tutti, indistintamente, camminatori appartenenti ad ogni età, ad ogni lingua, ad ogni comitiva. Non è necessario conoscersi, anzi dal modo con cui ci si saluta, sembra proprio che ci si conosca tutti… Ho avuto la fortuna, in linguaggio di fede si dice: la grazia - di poter compiere il “Cammino” con due amici. Sono appena rientrato e subito ho maturato l’idea di scrivere per UAC Notizie alcune riflessioni “a caldo”, riflessioni che peraltro mi sono state compagne nei lunghi tratti di cammino silenzioso. Mi chiedevo: Ma perché tante persone fanno questo cammino, raggiungono questo luogo giungendo da ogni parte del mondo, sottoponendosi a fatica, sforzo non indifferenti, accettando di buon grado disagi che nemmeno lontanamente sono pronti a sopportare nella vita di tutti giorni? La risposta non è così scontata come sembra. Ho costatato che le motivazioni che spingono tanti pellegrini non sono sempre quelle strettamente spirituali e nemmeno genericamente religiose. C’è un qualcosa di misterioso in questo pezzo di mondo. Io stesso me lo son chiesto più volte: Perché sto facendo questa cosa? La risposta che mi son dato lungo il cammino non è stata sempre la stessa. 22 2/2014 Provo allora a riassumere: Era un mio desiderio, diciamo pure un “sogno” che coltivavo da anni, soprattutto da quando, circa 12 anni fa’, insieme con un gruppo della comunità di S. Rocco in Stornara (fg)di cui ero parroco, andammo a Santiago nel corso di un pellegrinaggio parrocchiale. Raggiungemmo nello stesso viaggio anche Fatima e Lourdes. Giungemmo dunque alla meta in autobus, come si fa nei pellegrinaggi parrocchiali, con tante preghiere e assistenza spirituale, tutto come Dio comanda. Ma ricordo che arrivando comodamente in autobus notavamo lungo i sentieri che costeggiavano la strada, delle file di pellegrini che camminavano a piedi verso la meta, con gli zaini sulle spalle. Così mi sopravvenne una sorta di vergogna, quando sulla piazza della Cattedrale vidi arrivare gruppi, spesso di giovani, che giungevano dopo aver fatto a piedi il cammino, e manifestavano in mille modi la gioia di essere arrivati, come una gioia di aver superato una prova e di avercela fatta. Così mi dicevo: Ma qui bisogna venire a piedi, Chissà se un giorno riuscirò a farlo! A distanza di un po’ di anni, (…nel frattempo però la mia età è andata avanti e so di non essere più giovanissimo!) il Signore mi ha fatto questo dono, ho trovato la compagnia giu- sta, due amici che condividevano anch’essi lo stesso sogno e che sono stati per me come due angeli custodi. Ho subito compreso che c’è alla base, prima ancora che un discorso di carattere spirituale e religioso, un dato antropologico fondamentale: Il “Cammino” è una cifra, una chiave per interpretare la vita. Per noi credenti poi e, ancor di più, per noi Ministri Ordinati, è segno, un modo per significare il cammino di fede, il cammino della conversione continua della vita al vangelo. E ancor di più per noi aggiungo: il cammino di fedeltà al ministero ricevuto. Nel mio ministero di Padre spirituale dei giovani che vanno verso il presbiterato, durante gli anni che ho trascorso nel Seminario di Molfetta, ho detto spesso ai giovani che nella vita di fede e nel discernimento spirituale e vocazionale si ha sempre a che fare col travaglio, con lo sforzo, con la fatica. La vita, insomma non regala mai niente a nessuno! C’è dunque il travaglio di arrivare alle scelte definitive, e questo riempie gli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza. Poi c’è il travaglio della fedeltà alle scelte fatte. E qui il Cammino di Santiago ha davvero tanto da ricordare e insegnare a tutti, anche a noi preti. Conservare sempre l’entusiasmo della partenza non è facile, conservare la freschezza del camminare quando passano gli anni, i decenni, non è cosa da poco. I fattori che appesantiscono il cammino sono tanti: l’età che avanza, la salute che non è più florida, la stanchezza, le difficoltà, le delusioni, i dispiaceri e …di tutto di più! Come affrontare questo cammino, questo travaglio? …Come ho fatto ad arrivare a Santiago? Ricordo la prima sera, pensavo tra me: Non penso di farcela, sono troppo stanco, mi sembra di essere …l’uomo dei dolori! Non c’era posto nel mio corpo che non mi dolesse. Ma non dissi niente ai miei compagni di cammino, non volevo che si scoraggiassero anch’essi. Domani, chissà? Il tempo di celebrare l’Eucaristia e di cenare e poi subito a letto ad un’ora, tra l’altro, nella quale di solito sono sempre ancora in piena attività. Ma poi, quasi magicamente, al risveglio mattutino mi ritrovo, con una energia nuova che mi sorprende, a dare io la sveglia ai miei compagni. Preghiera mattutina, colazione, e subito par- tenza, di buona lena e con spirito gioioso ed entusiastico. Insomma, la stanchezza del giorno prima è più che ben recuperata. E così è stato ogni giorno, il miracolo invariabilmente si è ripetuto, compreso il terzo che è stato il più lungo e faticoso, oltre 30 chilometri, mentre negli altri la media era comunque tra i 20 e i 24. Non è facile per chi non è abituato a camminare tanto. Noi, malati di scrivania… La voglia di arrivare, la consapevolezza che stavo vivendo un’ora di grazia che non poteva in alcun modo essere sprecata, la certezza granitica che il Signore mi aspettasse a Santiago, l’impegno preso con gli altri camminatori che si erano avventurati confidando sulla mia disponibilità ad accompagnarli…questi, in sintesi, i motivi che mi hanno fatto arrivare a Santiago. Ma, dicevo sopra, tutto questo è segno per me di come il Signore sia sempre presente lungo il cammino della vita ministeriale, anche e soprattutto nei momenti di stanchezza, di scoraggiamento, di prova. L’ora della prova è ora di grazia è una vera risorsa, un’opportunità, diciamolo pure: una grazia! Perché ci costringe a metter fuori le migliori energie del nostro spirito, ci spinge a ritornare sempre da capo alle motivazioni più belle e autentiche che in gioventù ci hanno fatto partire, la gioia, insomma, di essere quelli che siamo: preti, uomini tra gli altri uomini, con una vocazione altissima, quella di accompagnare i fratelli sulle strade della vita e della fede, strade che portano verso l’unica meta: l’incontro con l’Amore che ci attende per la festa senza fine. Superfluo aggiungere che lungo il cammino ho sempre portato l’UAC nel cuore, nei pensieri e nelle preghiere. Ho sempre raccomandato al Signore i miei confratelli preti, soprattutto quelli che in qualunque modo vivono momenti di difficoltà e stanchezza, in particolar modo gli ammalati. Quando ho abbracciato l’immagine dell’apostolo Giacomo, - come si fa secondo tradizione – e quando sono sceso a pregare sulla sua tomba, l’ho fatto pensando a tutti i miei confratelli e a tutta la grande famiglia dell’UAC. Don Luigi Mansi 23 2/2014