Per saperne di più La Terra dopo Kyoto ENERGIA ATTUALITÀ AMBIENTE APPROFONDIMENTO di Lara Rossi, 21 gennaio 2013 Concluso il 2012, il mondo è entrato ufficialmente nell’era post-Kyoto. Nonostante molti dei Paesi firmatari abbiano raggiunto l’obiettivo prefissato, il Protocollo sembra aver fallito il suo obiettivo principale: quello di riuscire a ridurre in modo significativo le emissioni globali di gas serra. Cosa ci aspetta nel futuro? Con domande di comprensione. Con il finire del 2012, il mondo è entrato ufficialmente nell’era post-Kyoto: si è infatti conclusa la prima finestra temporale (fissata per gli anni 2008 – 2012), entro la quale gli Stati firmatari del Protocollo di Kyoto si impegnavano a ridurre le emissioni di gas serra. Nello specifico, l’obiettivo era quello di diminuire le emissioni dei Paesi sviluppati di almeno il 5% rispetto ai livelli del 1990 (preso come anno di riferimento). Nonostante molti dei Paesi firmatari abbiano raggiunto l’obiettivo prefissato, il Protocollo sembra aver fallito il suo obiettivo principale: quello di riuscire a ridurre in modo significativo le emissioni globali di gas serra (anidride carbonica, metano, protossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi e esafluoruro di zolfo). Dal 1997 ad oggi, questi gas serra hanno infatti visto le proprie concentrazioni atmosferiche aumentare, anziché diminuire. Che cosa è andato storto? Il Protocollo è tutto da buttare? Cerchiamo di scoprirlo attraverso questo breve viaggio nei limiti e nei pregi del Protocollo di Kyoto. Rappresentazione schematica delle percentuali dei principali gas-serra (escluso il vapor acqueo) presenti nell'atmosfera e di come essi partecipino ai cambiamenti climatici. Le dimensioni dei riquadri indicanti le percentuali relative sono solo indicative. (Immagine: Lara Rossi) Kyoto, 11 dicembre 1997 Era il dicembre del 1997, quando, in occasione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), prese vita nella città giapponese di Kyoto il primo trattato internazionale volto a contrastare il riscaldamento globale. Il Protocollo è però entrato ufficialmente in vigore solo il 16 febbraio 2005, quando anche la Russia ha acconsentito a ratificare il Protocollo. Perché il trattato entrasse ufficialmente in vigore era infatti necessario che almeno 55 nazioni vi aderissero e che queste nazioni fossero responsabili di almeno il 55% di emissioni di gas serra a livello globale: requisito che è stato raggiunto proprio grazie all’adesione della Russia.I limiti del Protocollo di Kyoto Prima ancora della sua entrata in vigore, si capiva però che il Protocollo avrebbe avuto vita difficile. Con il senno di poi si può dire che già nella sua architettura il trattato presentava notevoli limiti, gli stessi che hanno portato al suo fallimento. Vediamone alcuni: 1. Un protocollo con il paraocchi: il ruolo dei Paesi in via di sviluppo Una delle critiche maggiori mosse al Protocollo di Kyoto è il fatto di essere stato troppo incentrato sull’economia dei Paesi industrializzati, soprattutto europei, e di non aver tenuto in conto quello che sarebbe stato il contributo (in termini di emissioni) di Paesi ancora in via di sviluppo. Tant’è vero che, prima ancora che il Protocollo di Kyoto entrasse in vigore nel 2005, gli Stati Uniti decisero di tirarsene fuori, rifiutandosi di ratificare un trattato in cui non fossero stati inclusi anche i Paesi come la Cina e l’India. I rimanenti firmatari promisero di ridurre, nel periodo che andava dal 2008 al 2012, le emissioni di gas serra dai livelli del 1990 di circa il 4,2%. Siamo giunti al termine di quella finestra temporale e i Paesi che hanno aderito al Protocollo possono in effetti reclamare qualche successo. Nel complesso, si è registrato un decremento delle emissioni del 16% (un valore che va addirittura oltre quello prefissato). Ma non appena si distoglie lo sguardo dal bagliore di questo successo, ci si rende conto che non è tutto oro quel che luccica. Dietro questo calo, infatti, non c’è una vera politica di mitigazione delle emissioni (cioè di riduzione delle emissioni di gas serra), quanto piuttosto una serie di eventi che hanno portato – quasi per caso – al calo della produzione di anidride carbonica: basti pensare al collasso di molte industrie nell’Europa dell’Est (che era tra le maggiori responsabili di produzione di gas serra) e, in tempi più recenti, alla crisi economica globale, che ha finito per rallentare l’attività di molte imprese. A partire dal 2000, le emissioni di carbonio in India sono duplicate, mentre quelle in Cina sono addirittura triplicate. Parte di questo incremento è dovuto anche al fatto che molte delle industrie dei Paesi sviluppati sono migrate verso nazioni in via di sviluppo per produrre beni che vengono poi reimportati nei Paesi di “origine”: un circolo vizioso che non può che remare contro una politica di risparmio energetico. Tra il 1990 e il 2010, le emissioni di carbonio necessarie per produrre beni è aumentato di circa il 10% ogni anno. La città di Pechino sotto una coltre di smog. (Foto: Wikimedia Commons ) I tagli fatti dai Paesi industrializzati hanno quindi contribuito in modo marginale al problema globale delle emissioni. Numeri alla mano, ci si rende conto che – nonostante il calo registrato in Europa – le emissioni globali sono aumentate di ben il 50% dal 1990, a causa dell’impennata economica di Paesi come la Cina, l’India, il Brasile e il Sud Africa. Nel 1990 – anno di riferimento per il Protocollo di Kyoto – le nazioni più sviluppate (come gli Stati Uniti) erano responsabili di circa i due terzi delle emissioni globali: oggi, il loro peso sfiora il 50% appena. 2. Emissioni di carbonio o carbon footprint: che cosa importa davvero? Un altro limite del Protocollo di Kyoto è il fatto di essere incentrato sulla produzione di CO 2 e non sul suo consumo: una differenza tutt’altro che banale. Il consumo di carbonio – spesso indicato anche con il termine inglese carbon footprint – si riferisce alla quantità di carbonio che è stato necessario emettere per produrre un certo bene (come ad esempio un automobile), oppure un servizio (come andare in aereo da Roma a New York). La prospettiva del carbon footprint è molto diversa e pone l’accento sulla diretta responsabilità – di un Paese, ma anche del singolo individuo – nel contribuire al cambiamento climatico. Il cambiamento climatico, infatti, non conosce frontiere. «Se un consumatore compra una macchina, ha poca importanza se l’acciaio che è stato utilizzato per costruirla è stato prodotto negli Stati Uniti o in Cina», commenta Dieter Helm, professore di politiche energetiche dell’Università di Oxford. «Prendiamo, ad esempio, il Regno Unito: dal 1990 al 2005, le sue emissioni di carbonio sono calate di circa il 15%. Se però si tiene in considerazione tutti i beni importati nel Regno Unito da altri Paesi, allora ci si rende conto che il consumo di carbonio è salito di ben il 19%», continua Helm. Nell’ottica del Protocollo di Kyoto – che si limitava a prendere in considerazione le emissioni di carbonio – un simile andamento verrebbe visto come un trionfo. Ma dal punto di vista del cambiamento climatico, si tratta di un vero e proprio disastro. Questo spiega anche perché, nonostante le emissioni in Europa siano andate diminuendo, quelle globali siano aumentate: il contributo viene da Paesi in via di sviluppo (come India e Cina) dai quali l’Europa e gli Stati Uniti importano una gran quantità di beni. Carbon footprint, l'"impronta" che le emissioni di carbonio lasciano sul nostro Pianeta. In termini tecnici, il carbon footprint rappresenta la quantità di anidride carbonica e altri gasserra associati alla produzione di un certo bene o servizio. (immagine: Wikimedia Commons ) 3. Combustibili fossili e produzione di energia: difficile dirsi addio Un altro errore del Protocollo di Kyoto è stato senza dubbio quello di basarsi sull’assunzione che i combustibili fossili sarebbero presto divenuti più scarsi e il loro prezzo sarebbe salito alle stelle. Tanto da spingere le nazioni industrializzare ad investire su forme di energia alternative e, possibilmente, pulite. Assunzione che si rivelò purtroppo sbagliata: la ricerca frenetica di nuove sorgenti di combustibili fossili ha negli anni portato alla luce giacimenti di idrocarburi di cui non si sapeva nulla ai tempi del Protocollo di Kyoto. Nel mondo, le riserve di gas e petrolio sono oggi il 60% in più di quelle di cui si era a conoscenza nel 1990. Di fatto, il loro prezzo è quindi diminuito e sui combustibili fossili poggia ancora l’87% della produzione energetica mondiale. Basti pensare che, nel solo 2011, sul nostro Pianeta sono state consumate più di dodicimila tonnellate di petrolio. Un simile andamento ha reso praticamente impossibile raggiungere l’obiettivo fissato, vale a dire ridurre l’incremento delle temperature del Pianeta a meno di 2°C in più rispetto all’era pre-industriale (questo il limite scelto dall’Unione Europea per limitare i danni legati al cambiamento climatico). Secondo i calcoli, per avere qualche possibilità di rimanere sotto questo limite, le emissioni di carbonio dovrebbero tenersi (nel periodo tra il 2000 e il 2050) al di sotto dei mille miliardi di tonnellate di CO2. Ma le emissioni da combustibili fossili e la deforestazione indiscriminata hanno già portato questi livelli a più di 450 milioni di tonnellate di CO2 nell’atmosfera. Se questo trend continua, la soglia fissata verrà ampiamente raggiunta molto prima del 2050. I pregi di Kyoto Nonostante i molti difetti, il Protocollo di Kyoto però qualche pregio l’ha avuto. Yvo de Boer, exsegretario esecutivo dell’UNFCCC, ritiene che i sistemi sviluppati in questi anni per misurare e confrontare le emissioni di gas serra e lo sfruttamento intensivo di terra rappresentino un punto chiave per lo sviluppo di nuovi trattati tra le nazioni. Robert Savins, un economista ambientale della Harvard University, pensa che Kyoto «abbia aiutato a mettere il mondo sul giusto cammino». Quello di cui abbiamo davvero bisogno ora è un nuovo trattato che leghi i Paesi ad obiettivi che siano specifici per ogni nazione e, soprattutto, che costituiscano un obiettivo realistico. Dopo Kyoto, quale futuro per il Pianeta? Non fosse altro per tutti i limiti emersi nel corso degli anni, Kyoto ha avuto il grande pregio di insegnarci qualcosa su tipo di strategia da adottare per ottenere risultati concreti nella lotta ai cambiamenti climatici. Bando ai principi etici ed ambientalisti che, seppure solidi e assolutamente validi, si sono dimostrati inefficaci nell’intaccare le scelte dei grandi politici. Quello che ci vuole davvero è una efficace strategia economica o, in termini un po’ meno eleganti, è necessario prendere le grandi nazioni per il portafoglio. Come? «La produzione di energia deve essere resa più costosa ovunque», commenta Roger Pielke della University of Colorado Boulder , «Se la riduzione delle emissioni va contro gli interessi economici, saranno senza dubbio gli interessi economici ad averla vinta». Ma se produrre di energia costasse di più? Se il carbon footprint fosse tassato? Allora forse alle nazioni non converrebbe più produrre energia in modo indiscriminato. Cercherebbero di limitare i costi dovuti all’emissione di carbonio e investirebbero in forme di energia alternative e nella ricerca di nuove tecnologie in grado di sganciare l’economia del Paese dai combustibili fossili. Purtroppo, nessuna delle tecnologie esistenti, è realisticamente in grado di garantire un abbandono indolore dei sistemi energetici basati sui combustibili fossili: pannelli solari, turbine eoliche e anche l’energia ottenuta da biomassa – anche se spinti al massimo della produttività – sarebbero incapaci di rispondere al fabbisogno di una popolazione in continua crescita. Ma per sviluppare nuove tecnologie servono investimenti e, soprattutto, tempo. Un approccio più pragmatico sarebbe quello proposto dal Pielke e altri collaboratori: dimenticarsi, per un attimo, del carbonio (che ha un tempo di permanenza molto lungo nell’atmosfera) e focalizzarsi su altri gas serra, come il metano, con una permanenza molto più breve. Secondo gli autori dell’articolo, un simile approccio farebbe rallentare il riscaldamento globale più rapidamente e darebbe il tempo alle nazioni di tutto il mondo di sviluppare nuove tecnologie e nuove forme di produzione di energia. Quale accordo per il futuro? Quello che in molti temono è che, giunta la fine del trattato di Kyoto, il mondo andrà avanti come se non fosse mai esistito. C’è quindi un bisogno urgente di un nuovo accordo che leghi, questa volta in un modo più pragmatico, tutte le nazioni ad impegnarsi nella lotta al riscaldamento globale. Nel 2009, l’incontro tenutosi a Copenhagen si rivelò un fallimento. Per fortuna, l’incontro del 2010 a Durban, in Sud Africa, ha visto Paesi come la Cina e gli Stati Uniti concordi nello stipulare, entro il 2015, un nuovo trattato sul clima. Si troverà una soluzione sottoscritta da tutti? «Sono sicuro di sì», commenta Yvo de Boer, «ma non sono convinto che ciò avverrà in tempo». (Immagine: Wikimedia Commons ) Domande di comprensione 1. Che cosa stabilisce il Protocollo di Kyoto? 3. Quali sono stati i pregi e quali i principali limiti del Protocollo di Kyoto? 4. Che cosa rappresenta il carbon footprint? 4. Nell'era “post-Kyoto”, quali alternative rimangono per una efficace gestione dei cambiamenti climatici? Prosegui la lettura 1. L’energia che viene dal vento Anche l’eolico in Italia cresce. E nel 2011 la potenza installata è il 17% del totale di quella prodotta da tutte le tipologie di impianti rinnovabili. 2. Come ti riciclo l’anidride carbonica Possibile trasformare la CO2 in un qualcosa di redditizio, o quanto meno abbattere le sue emissioni riciclandola? Nanoparticelle di una nuova lega di rame e oro sembrano promettere proprio questo 3. Recensione libro: Energia per l’astronave Terra Torna una nuova edizione, aggiornata ed ampliata, del vincitore nel 2009 del premio Galileo per la divulgazione scientifica: viaggio nel mondo dell’energia di oggi e domani. Riferimenti 1. Lo speciale della rivista Nature dedicata al "dopo Kyoto" | Link 2. Il sito del United Nations Framework Convention on Climate Change | Link 3. Il sito web dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) | Link 4. Il testo integrale del Protocollo di Kyoto (formato PDF) | Link Tag: anidride carbonica, clima, energie alternative, inquinamento atmosferico, Kyoto, riscaldamento globale © 2008 - 2014 Zanichelli Editore SpA