SULLE TAVOLE NELLA GRANDE GUERRA AL FRONTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE 28 giugno 1914 a Sarajevo viene ucciso l’erede al trono di Austria-Ungheria : inizia la prima guerra mondiale L’Italia entra in guerra : 24 maggio 1915 La Prima Guerra mondiale fu combattuta nel nord-est Una caratteristica della Prima Guerra mondiale fu la guerra di trincea, una tattica di guerra che vide gli eserciti nemici combattere per lunghi periodi di tempo. All’interno delle trincee i soldati vivevano in condizioni molto difficili Le trincee erano lunghissimi corridoi scavati nel terreno dai soldati per proteggersi dai bombardamenti dell'artiglieria nemica. Erano difese in modo piuttosto rozzo da protezioni costruite con la terra scavata e rinforzate da sacchi di sabbia e filo spinato. Le trincee nemiche si trovavano a una distanza tra i 100 e i 400 metri. Quando l'attacco veniva ordinato dagli ufficiali, i soldati uscivano dalla trincea ed entravano nella «terra di nessuno», che si stendeva fino ai reticolati nemici sotto l'occhio vigile delle loro mitragliatrici. Su questa «terra di nessuno», piena di fango, di crateri creati dalle bombe, di morti abbandonati da entrambe le parti, si tentava di avanzare sotto il fuoco delle mitragliatrici per conquistare qualche metro di terra. Il più delle volte questi soldati andavano del tutto inutilmente al massacro. Un problema importante che si pose durante la grande guerra fu quello di sfamare l’ esercito composto da migliaia di soldati. Si deve pensare a trasportare, immagazzinare, conservare, inscatolare gli alimenti, cuocerli e distribuire il rancio fino in prima linea. E questo vuol dire una impressionante rete logistica costituita da magazzini distribuiti lungo tutta la linea del fronte, da cucine fisse di grandi dimensioni, ma anche da cucine mobili per poter ridurre il tempo dalla cottura al consumo, recipienti adatti a trasportare il cibo cotto e tanto, tanto personale La logistica è un’arte militare che organizza i rifornimenti per l’esercito durante la guerra. Per mangiare bisogna avere la materia prima cioè gli alimenti. Alcuni cibi sono prodotti al momento, altri invece subiscono una lavorazione in loco, altri ancora sono conservati e servono alla produzione delle pietanze, come la pasta e la conserva di pomodoro. In trincea, il rancio arrivava normalmente dalle cucine poste nelle retrovie, trasportato spesso di notte, a dorso di mulo; vi erano anche cucine mobili che permettono di ridurre le distanze. Ciascun reparto era anche dotato di cucine da campo someggiabili (casse di cottura con fornello) e soprattutto delle marmitte da campo - in numero da 3 a 4 per ogni compagnia - del peso di kg 55, normalmente usate in ausilio (in aiuto) alle casse di cottura per il caffè e la bollitura dell'acqua Una cucina da campo con delle casse di cotture che contengono dei recipienti isolanti. La marmitta contenente gli alimenti da bollire viene messa sul fornello acceso, si porta tutto a temperatura, si garantiscono i primi 10 minuti di cottura e poi si spegne il fornello. Si ripongono marmitta e fornello bollenti nella cassa di cottura e si chiudono ermeticamente sia la marmitta che la cassa. In due ore la carne e il brodo sono pronti e si conservano caldi per circa 24 ore. Possono contenere fino a 25 razioni ognuno. SCALDARANCIO Le trincee dei due schieramenti erano molto vicine, a vista ed a tiro d’artiglieria. Qualsiasi bersaglio che potesse fare da riferimento al nemico doveva essere evitato. In trincea era vietato pertanto l’uso del fuoco e non si doveva provocare fumo. Niente cucina da campo e niente fuochi per cuocere o riscaldarsi. Venne comunque studiato un espediente per riscaldate il cibo quasi senza fiamme e senza fumo: lo scaldarancio. Era composto da cilindretti di carta arrotolata a più strati, immersi nella paraffina o nel grasso per diverse ore fino a impregnarsi completamente. Una volta accesi sviluppano calore senza fiamma per circa 15 minuti. Molti soldati dovevano cucinare per le truppe. Soldati impiegati come panificatori UOMINI IMPIEGATI PER IL VETTOVAGLIAMENTO Soldati impiegati come macellai. Molti uomini erano adibiti alla distribuzione del rancio. IL PANE Durante la Grande Guerra il pane è l’alimento principale degli Italiani. La panificazione viene garantita in parte con forni edificati nelle retrovie e in parte con forni mobili. Il forno mobile fornisce 2 000 porzioni di pane in 24 ore; permette di ridurre la distanza tra il luogo di produzione e le trincee. Una parte di pane viene tenuto nel tascapane come riserva … ma anche utilizzato come sostituto delle maschere a gas!!! Il pane era usato anche come merce di scambio: a volte si vedono volare cartocci con pagnotte, formaggio e carne verso le linee nemiche, di rimando arriva tabacco per pipa, sigari e sigarette. L’ACQUA Attenzioni speciali furono rivolte al rifornimento dell'acqua potabile, specialmente nelle zone più aride. La lunga esperienza precedentemente fatta, di trasportare l'acqua anche con autobotti, aveva dato risultati non favorevoli. Furono perciò costruiti appositi impianti per l'estrazione dell'acqua dal sottosuolo delle località più vicine e meglio provviste e per il sollevamento e trasporto di essa mediante condutture sino alle prime linee. Tutti tali impianti sono messi in azione da motori elettrici. Quando l'acqua non può arrivare fino alle trincee fa capo ad alcuni depositi avanzati costituiti generalmente da vasche coperte; le truppe vi si riforniscono direttamente. Per il caso d'interruzione delle condutture, in conseguenza anche dei geli eccezionali, furono costituite dotazioni di mezzi mobili di riserva, colonne di autobotti o di salmerie, depositi di barili e di ghirbe. IL VINO Durante il conflitto vennero consumati 5.700.000 ettolitri di vino. La razione giornaliera ne prevedeva un quarto di litro al giorno, ma il consumo fu assai superiore. Buona parte della paga finiva in altro vino. Le truppe al fronte oltre al vino avevano quindici distribuzioni mensili di 4 cl di anice o cognac o elisir o rhum. In caso di attacchi erano previste altre integrazioni. L’alcol serviva per aumentare il coraggio, la combattività e sottovalutare il pericolo. Bere per dimenticare: la vita grama, gli orrori, la morte. Gli alpini della 50° Compagnia Edolo al disgelo scoprirono di aver bevuto per tutto l’inverno l’acqua di un laghetto pieno di cadaveri austriaci. Per combattere lo schifo e tutto il resto, bevvero bottiglie di vino per tre giorni filati fino allo stordimento. IL TRASPORTO Camminamenti, pareti rocciose, mulattiere: situazioni logistiche in cui il trasporto su ruote è impossibile. Muli, asini, cani e braccia sono le forze su cui fare affidamento. Un mulo può portare da 80 a 100 kg di carico per circa 8 ore di marcia. Il carico corrisponde a 80 razioni di pane o 500 di razioni di viveri complementari. Venivano anche ingaggiati anche uomini e donne che utilizzavano gerle portate a spalla. Nei luoghi più impervi vennero costruite anche teleferiche a carrello volante e mini-tramvie o miniferrovie con piccoli vagoni a trazione diretta con corde e catene o a trazione animale. Nel caso in cui i muli non riuscissero a raggiungere le linee, ci pensavano gli stessi soldati della sussistenza mediante contenitori termicamente isolati, per il trasporto a spalla. COSA SI MANGIA? Un soldato in guerra ha bisogno di tanta energia. La sua razione giornaliera è studiata per apportare mediamente circa 4000 calorie (4700 per le truppe sottoposte a lavoro intenso in alta montagna); nel 1917 scende a poco più di 3000 calorie per mancanza di scorte alimentari. L'esercito italiano dà ogni giorno ai suoi soldati tre razioni al giorno: colazione, pranzo, cena. A colazione: latte in polvere sciolto nell'acqua e biscotti. A pranzo e a cena: 600 g di pane; 100 g di carne; delle paste precotte, in genere condite con legumi (o riso); frutta e verdura (a volte); un quarto di vino e del caffè. L'acqua potabile è un problema e raramente supera il mezzo litro al giorno. In ambito scientifico, una caloria è un'unità che misura l'energia necessaria per alzare di un grado la temperatura di un grammo d'acqua; In ambito nutrizionale, la caloria indica l'apporto energetico medio contenuto in un alimento. Maggiore è l'energia fornita dal determinato cibo, maggiori sono le calorie presenti. È chiamata anche Kilocaloria (Kcal) e corrisponde a 1000 calorie "scientifiche". LA RAZIONE La razione giornaliera per il soldato italiano al fronte era, teoricamente, la seguente: pane 700 g carne 250 g pasta/riso 150 g formaggio 50 g patate/legumi 150 g caffè tostato 20g zucchero in zollette 25 g vino 25 cl condimenti, olio, strutto, lardo 15 g sale 20 g pepe 0,5 g verdure fresche, pomodori o erbaggi 300 g conserva di pomodoro, salsa 15 g Questi prodotti erano inseriti nel rancio liquido (minestra) con la presenza contemporanea di pasta o riso, erbaggi o patate e carne a pezzi; a parte era consegnata la pagnotta di pane da 700 g. La parola rancio ha in sé una storia particolare: sembra derivi dal francese "se ranger " o dallo spagnolo "ran charse ", termini che indicano entrambi il riunirsi insieme di un gruppo di soldati per consumare il pasto. Il giudizio dei soldati sulla quantità del rancio risulta, nelle lettere alle famiglie o nei diari, quasi sempre positivo, non così per la qualità. Questo perché i pasti erano cucinati nelle retrovie e trasportarli durante la notte verso le linee avanzate. Così facendo, la pasta o il riso contenuti nelle grandi casseruole arrivavano in trincea come blocchi collosi. Il brodo si raffreddava e spesso si trasformava in gelatina mentre la carne ed il pane, una volta giunti a destinazione, erano duri come pietre. Scaldarlo una seconda volta non faceva che peggiorare la situazione, rendendo il cibo praticamente impossibile da mangiare. Se non mancavano il vino ed i liquori (soprattutto prima della battaglia) era soprattutto la limitata disponibilità di acqua a rendere ancor più drammatica la vita in trincea per il fante. Il cibo mal conservato e consumato in mezzo alla sporcizia assoluta e la carenza di acqua da bere (spesso i soldati, assetati bevono acqua sporca) sono alcune delle cause che contribuiscono alla diffusione di germi, batteri e virus. RAZIONI D’EMERGENZA Quando il fuoco nemico impediva l’arrivo del rancio, i soldati delle trincee avanzate chiedevano ai superiori di poter consumare le razioni di emergenza: 400 g di gallette e due scatole di carne da 220 g . Durante la guerra infatti si fece largo uso di carne conservata nelle scatole di latta, ne vennero distribuite circa 230 milioni. LE SCATOLE DI LATTA Ancora oggi non è raro trovare nei luoghi dei combattimenti delle scatolette arrugginite aperte dai soldati, alcune hanno conservato i propri colori, mostrando la pregevole grafica dei marchi. C’erano prodotti etichettati con nomi patriottici: “Antipasto finissimo Trento e Trieste” “Alici Garibaldi”, “Filetti Savoia” e la bandiera italiana compare spesso. Queste scatolette erano di grande utilità : Il rivestimento metallico e la chiusura ermetica, oltre a garantire la lunga conservazione, proteggono il cibo dall’estrema sporcizia dell’ambiente e dall’avvelenamento causato dai gas letali nemici. Ogni soldato porta con sè alcune scatolette: in genere può farne uso solo previa autorizzazione di un ufficiale. In situazioni di particolare pericolo, come la permanenza forzata nella terra di nessuno, da esse può dipendere la sua sopravvivenza. Nelle scatolette viene conservata una grandissima varietà di generi alimentari, dalla carne al pesce, ma anche burro, minestrone, prosciutto e molti altri ancora. CHI HA INVENTATO LA LATTINA? Fu Napoleone che per risolvere il problema indisse un concorso per fornire i suoi soldati durante le lunghe campagne militari di cibi a lunga conservazione. Lo vinse tal Nicolas Appert che, nel 1810 presentò la sua invenzione al concorso del governo francese: un moderno metodo per la conservazione dei cibi tramite bottiglie con chiusura ermetica Bastava levare l'aria e chiudere ermeticamente con un tappo. Poi la bottiglia doveva essere avvolta in una tela e successivamente immersa in acqua bollente fino a quando il cibo non fosse cotto. Nel 1810, l’inglese Pierre Durand, brevettò un suo metodo utilizzando, questa volta, dei recipienti di stagno e realizzando l'attuale conservazione dei cibi in scatola. IN ITALIA In Italia la prima ditta a inscatolare il cibo fu la Cirio di Torino nel 1858, mentre per la carne il primato spetta alla Sada di Crescenzago nel 1881. Nel 1915 fu inaugurato il primo stabilimento italiano destinato alla produzione di carne lessata in gelatina “Società Fratelli Sada” che attraverso varie vicende generò anche i marchi SADITAL e SIMMENTHAL. Allo scoppio del conflitto le industrie della conservazione degli alimenti trovano nelle forniture militari la possibilità di incrementare la produzione. Le truppe erano equipaggiate con il necessario per il rancio: • una gavetta ( recipiente d’alluminio per contenere il cibo) •Una tazza di latta •Un cucchiaio Di gavette ne esistevano in alluminio smaltato o naturale. Nello zaino venivano custodite, assieme alle scatolette, anche bottigliette, cucchiai, forchette, coltelli, tabacco e altri piccoli oggetti personali. GAVETTA E GAVETIN La truppa personalizzava a volte la gavetta imprimendovi le proprie generalità, a volte il reparto e la specialità. L’incisione era praticata con un chiodo o con la punta della baionetta. Raramente o mai il soldato abbandonava questo utilissimo oggetto, indispensabile per ricevere il rancio tanto in battaglia quanto nelle retrovie. BORRACCIA Per bere, l’iniziale borraccia in legno dalla caratteristica forma a piccola botte fu mano a mano sostituita o affiancata da quella in lamiera rettangolare e da quella circolare. TASCAPANE GIBERNE Gli effetti personali del fante italiano erano contenuti in un tascapane in tela pesante. Veniva portato a tracolla e conteneva oltre agli oggetti personali, anche le munizioni supplementari, i pacchetti di medicazione e naturalmente i viveri. INCONTRARSI Per tantissimi soldati la vita militare e la trincea volle dire incontrare per la prima volta italiani provenienti da province mai conosciute. Il mescolamento fra italiani di diverse regioni produsse, fra le tante cose, uno scambio di ricette locali, che poi terminata la guerra divennero patrimonio culinario anche di altre terre. Fu così che La Brigata Calabria assaporò le Tagliatelle alla bolognese, che i Veci del Val Brenta gustarono le Zeppole leccesi, che la Sassari si sfamò con il Baccalà alla vicentina, che la Tevere conobbe il Fricandò friulano, ecc. ecc. SI NARRA CHE.. Le arance sull’Adamello Nel diario di un ufficiale degli alpini si racconta della sorpresa dei soldati originari dell’Abruzzo schierati sull’Adamello quando arrivano in prima linea casse piene di strane palle arancioni, mai viste in precedenza. Gli alpini le afferrano e le mangiano così come si trovano e sta all’ufficiale spiegare che bisogna sbucciarle e che si chiamano arance. Caporetto… e dopo fu caffé a colazione All’indomani della sconfitta di Caporetto, l’esercito italiano si rischiera lungo il Piave, c’è bisogno che i fanti stiano ben all’erta per non far passare lo straniero. E quindi che bevano caffè. La circolare del novembre 1917 prevede che al mattino vengano distribuiti otto grammi di caffè e dieci di zucchero. Nel tempo le dosi saranno aumentate fino ad arrivare a venti grammi. I soldati, una volta tornati a casa, continueranno a bere caffè al mattino, determinando in tal modo un cambiamento definitivo della prima colazione di tutti gli italiani. Il riso al fronte è “sciacquapanza” Il riso viene distribuito al fronte nella versione settentrionalizzata e ha tutto per venire disprezzato dai meridionali. Alimento da «sciacquapanza», da gente nutrita a brodaglia, che mangia cose insulse tipo la polenta, quando arriva in trincea quel detestabile intruglio bianco, scaldato e riscaldato nelle casse di cottura portate a dorso di mulo, è ormai una specie di pastone tiepido, stracotto, che si mangia solo per non restare a stomaco vuoto Le miniere di bollito Si racconta che i soldati meridionali, si ritrovassero in trincea per la prima volta ad avere a che fare con un cibo a loro sconosciuto, il bollito, che invece uno stato maggiore ad alto tasso di piemontesi fa distribuire in abbondanza nelle caldaie portate al fronte. La leggenda narra – ma forse è qualcosa di più di una storiella – che i fanti settentrionali prendessero in giro i commilitoni meridionali raccontando loro che esistevano le miniere di bollito, dove la carne si estraeva tagliandola direttamente dalle pareti della gallerie sotterranee, un po’ come si fa con il carbone. E pare che invariabilmente qualche ingenuo ci cascasse, con gran divertimento di tutti gli altri. LE RICETTE La fame come argomento discussione, di scambio, ma anche stimolo per inventare nuove ricette o adattarne di vecchie alla trincea. Ecco allora che cercando fra lettere e diari, si trovano menù di guerra completo di antipasto, zuppa, pietanza, contorno e dolce. ZUPPA DEL SOLDATO “Ingredienti: (da 1 a n+1 persone). Farina 100 gr, tre cucchiai di olio di oliva, tre patate, acqua. Dopo esservi procurati, in qualsiasi modo, gli ingredienti, trovate un anfratto al riparo dai bombardamenti e procedete come segue. Mettete la farina nella pentola, o nell'elmetto, e accendete il fuoco piuttosto basso continuando a mescolare finché non raggiunge un bel colore di autocarro incendiato. Aggiungete l'olio e mescolate fino ad ottenere una crema di un color marroncino molto militaresco, della densità di una trincea sotto il diluvio. Aggiungete quindi l'acqua, o aspettate che piova, fino ad ottenere una cremosità... "media". Qui l'occhio del soldato italiano non può e non deve sbagliare. Pelate le patate, tagliatele a dadini e tuffatele nella zuppa. Il vero soldato si mangia anche le bucce. Quando le patate saranno morbide la zuppa sarà pronta, attenzione solo a non rivelare la vostra posizione al cecchino nemico con i vapori della preparazione”.