4. Fedone: Introduzione al Fedone La seconda navigazione Dottrina delle idee 5. Sitologia Indice Indice Indice Indice Indice Secondo Platone il sistema fisico è stato generato da un padre (il mondo delle idee) e da una madre (la materia , che è la condizione per l'esistenza del mondo fisico stesso ma che mantiene comunque una componente di indeterminazione). Tra loro c’è un’entità che fa da mediatore: il Demiurgo (in greco δημιουργός, composto da "δήμιος“ (demos) cioè "del popolo", ed "ἔργον“ (ergon) cioè "lavoratore", quindi lavoratore pubblico o compositamente artigiano). Egli è colui che contemplando le idee trasforma e forma tutta la materia senza però creare nulla. La divinità platonica non è onnipotente ma ha due limiti: a) la materia che gli impedisce di costruire un mondo perfetto; b) le idee perché sono il modello a che deve per forza seguire Insomma, in virtù dei suoi limiti, il Demiurgo ha un comportamento subordinato a qualcosa di eterno e indipendente. Per comprendere meglio la figura del Demiurgo è importante conoscere cos è il bene per Platone. Egli crede che le cose sia buone intrisecatamente e non perché c’è qualcuno che decide arbitrariamente la loro benignità o malignità; insomma per Platone le la bontà di una cosa è tale perché nel mondo delle idee appartiene alle cose buone. Il Demiurgo può essere considerata una vera e propria divinità introdotta da Platone perché essa non è argomentata razionalmente nel Timeo ma solo entro certi limiti: a) la divinità platonica se fosse veramente un dio a tutti gli effetti sarebbe il principio supremo e quindi incarnerebbe il bene. Il Demiurgo però non incarna il bene perché dipende dalla superidea di bellezza; b) Platone stesso, all’inizio del Timeo, ci informa che egli non credeva assolutamente nella figura del Demiurgo e che per lui il vero dio resta il bene; c) il Demiurgo inoltre non può essere considerata un dio perché se fosse veramente tale sarebbe indipendente da ogni cosa ma il Demiurgo dipende dal mondo della idee; d) infine, come è stato scritto precedentemente, il demiurgo non è illimitato come dovrebbe essere un vero dio ma al contrario presenta due limiti. Il mondo sensibile, che è stato assemblato dal Demiurgo, è da sempre e per sempre un’immagine temporale del mondo delle idee. Platone, nel Timeo, scrive che l’artigiano comincia a plasmare nella materia (chiamata anche spazio dall’autore del testo) e arriva a formare la realtà. In principio sono stati creati cinque solidi geometrici fondamentali con tutte le facce uguali tra di loro che si possono ottenere tutti e cinque partendo da un triangolo rettangolo isoscele e da uno rettangolo scaleno. Essi sono il cubo, l’ottaedro, il tetraedro, l’icosaedro e il dodecaedro. I primi quattro solidi corrispondono ai quattro elementi; il quinto solido, il dodecaedro, funge da elemento decorativo del cosmo e la cui funzione non è ben precisata. Il Demiurgo esprime sia la relazione tra idee e materia sia il finalismo (è come se il mondo fosse stato creato da un artigiano direbbe Kant) Indice Indice Indice Indice Indice Introduzione al Fedone Il protagonista è Socrate che parla con un filosofo pitagorico, Echecrate di Fliuntee, un suo allievo, Fedone di Elide e due allievi di Filolao, Simmia di Tebe e Cebète di Tebe. Nel Fedone Platone tratta diffusamente il tema dell’immortalità dell’anima. Il testo può essere suddiviso in sei parte: a) il tema della morte b) i primi tre argomenti c) la dottrina dell’anima-armonia d) la seconda navigazione e la ricerca delle cause prime e) l’ultimo argomento f) il mito escatologico g) morte di Socrate Nella prima parte Socrate parla con Simmia e Cebete e dice loro di non compiangere la sua condizione perché qualsiasi filosofo in quanto tale deve morire ma la morte non deve essere cercata con il suicidio perché sarebbe un atto empio. Si paragona il corpo ad una carcere di cui non ci si può liberare di propria iniziativa poiché gli uomini sono proprietà degli dei ma Cebete obietta a Socrate che se fosse davvero così non ci sarebbe motivo di Introduzione al Fedone Il protagonista è Socrate che parla con un filosofo pitagorico, Echecrate di Fliuntee, un suo allievo, Fedone di Elide e due allievi di Filolao, Simmia di Tebe e Cebète di Tebe. Nel Fedone Platone tratta diffusamente il tema dell’immortalità dell’anima. Il testo può essere suddiviso in sei parte: a) il tema della morte b) i primi tre argomenti c) la dottrina dell’anima-armonia d) la seconda navigazione e la ricerca delle cause prime e) l’ultimo argomento f) il mito escatologico g) morte di Socrate Nella prima parte Socrate parla con Simmia e Cebete e dice loro di non compiangere la sua condizione perché qualsiasi filosofo in quanto tale deve morire ma la morte non deve essere cercata con il suicidio perché sarebbe un atto empio. Si paragona il corpo ad una carcere di cui non ci si può liberare di propria iniziativa poiché gli uomini sono proprietà degli dei ma Cebete obietta a Socrate che se fosse davvero così non ci sarebbe motivo di desiderare la morte perché gli dei sono molto buoni e savi. Proprio grazie all’obiezione dell’allievo di Filolao, Cebete, Socrate ci dice lo skopós del dialogo: dimostrare che nulla di male può accadere all’uomo buono né in vita né in morte, e che anzi, anche dopo la morte l’anima continuerà ad esistere, protetta ancora da divinità benevole. I primi tre argomenti sono altrettante dimostrazioni alla sua tesi iniziale e possono essere titolate: a) l’argomento dei contrari b) l’argomento della reminescenza c) solo ciò che è composto può decomporsi Per argomentare la prima dimostrazione Socrare sostiene che ogni cosa tragga origine dal proprio contrario: per esempio dal grande si genera il piccolo e perché ciò avvenga, tra i due contrari vi deve essere un processo che permetta di passare dall’uno all’altro (per esempio: il crescere e il decrescere). La stessa cosa accade per il vivere e il morire: dal vivo si genera il morto, e allo stesso modo, con il processo contrario del rivivere, dal morto si genera il vivo. Ora, se è possibile rivivere, è necessario che le anime non scompaiano, ma continuino ad esistere dopo la morte da qualche parte. D’altra parte, se si esclude che dal morto nasca il vivo, succederebbe che una legge di natura («i contrari si generano dai contrari») non avrebbe valore universale, il che è impossibile. Tale argomento viene anche detto della palingenesi o antapòdosi. Cebète ricorda allora a Socrate la sua dottrina della reminiscenza (anamnesis), secondo cui ogni nostro apprendimento è in realtà un ricordo di qualcosa conosciuto in precedenza, prima della nostra nascita. Socrate dice che il ricordo di una cosa può smuoverne un altro e tale associazione può avvenire anche di fronte alle semplici immagini dipinte di tali oggetti. Ora, noi diciamo che queste associazioni sono possibili in base alla somiglianza o alla dissomiglianza tra gli oggetti. Secondo il filosofo, poiché noi infatti conosciamo il concetto di simile, è necessario che da qualche parte lo abbiamo visto e conosciuto, e siccome in questa vita abbiamo esperienza di oggetti uguali, ma non dell’uguale in sé, è necessario che sia successo in una vita precedente. Così Socrate ha dimoastrato l’argomento della reminescenza. Simmia e Cebète non sono ancora del tutto persuasi dalle parole di Socrate, riportando la credenza di molte persone, secondo la quale l'anima, dopo la morte del corpo, si dissolve nell'aria. Socrate però allontana subito tali timori: infatti, solo ciò che composto può decomporsi e, dissolvendosi nelle sue parti, perire. L’anima invece è simile alle idee le quali sono quelle cose che «permangono sempre costanti e invariabili», le uniche che si possano pertanto dire «non composte». Nella terza parte i due Simmia e Cebete hanno due obiezione ciascuno alle dimostrazioni precedenti: il primo sostiene che l’anima potrebbe essere un prodotto del corpo e dissolversi con esso dopo la morte; Cebete invece propone che l’anima dopo varie vite vissute muoia Socrate obietta che l’anima non può essere paragonata ad un accordo, come aveva fatto Simmia, perché quest’ultimo è successivo alla costruzione dell’argomento mentre l’anima non può nascere dopo il corpo. Per rispondere all’obiezione più complesa di Cebete Socrate decide di cercare “la causa (aitìa) della generazione e della corruzione delle cose” e narra che, essendo stato deluso dalla filosofia di Anassagora perché riconduceva tutto a cause materiali e quindi utilizza un nuovo metodo di ricerca: la seconda navigazione. Socrate obietta a Cebete che l’anima fa parte dell’idea della vita e pertanto quando incontra l’idea della morte, non potendo accettarla «se ne va via salva e incorrotta, sfuggendo alla morte». I due allievi concordano con Socrate che bisogna prendersi cura dell’anima attraverso l’esercizio della virtù. Socrate allora conclude con un mito: la Terra, afferma Socrate, è una sfera posta al centro dell’universo, ma quella che noi uomini conosciamo e abitiamo non è che una sua parte. Essa è infatti come una grotta sovrastata dall’aria, di cui noi abitiamo la parte interna. Sulla terra, a sua volta, esistono altre cavità, altre voragini, la principale delle quali è quella che Omero e i poeti chiamano Tartaro, in cui confluiscono tutte le acque dei fiumi e dei mari e da cui poi escono di nuovo. In questo luogo, inoltre, vi sono vari fiumi che non mescolano mai le proprie acque, tra cui i quattro principali sono l’Oceano, l’Acheronte, il Piriflegetonte e lo Stige. Il testo si conclude con la morte di Socrate dopo essersi congedato dagli allievi e dai parenti. Indice Indice Indice http://www.filosofico.net/schema.html http://digilander.libero.it/moses/platoindex.html http://it.wikipedia.org/wiki/Platone http://it.wikipedia.org/wiki/Timeo_(dialogo) http://www.racine.ra.it/planet/testi/greci.htm http://www.estovest.net/testi/didascalikos/cap13.html http://www.estovest.net/testi/didascalikos/cap14.html http://www.estovest.net/testi/didascalikos/cap15.html Indice