Breve storia delle particelle elementari A cura di Quarta Giuseppina Docente di fisica presso ITIS “E. Fermi” di Lecce Niente esiste tranne gli atomi e il vuoto; tutto il resto è opinione. Democrito di Abdera • Una fotografia aerea dell'acceleratore nazionale del Fermilab. Il cerchio più grande (Tevatron) è l'acceleratore principale, con una circonferenza di 6,28 km. INTRODUZIONE Cinque secoli prima di Cristo, un ricco viaggiatore greco fondò la teoria atomica. Democrito, questo genio, vide nella materia un insieme di particelle dotate di massa, eterne e incomprimibili, così piccole da essere indivisibili, capaci di formare combinazioni variabili per numero, forma e dimensioni. L'idea del continuo dominò nei secoli, l'ipotesi del discontinuo tornò infatti ad affacciarsi con i primi studi sui movimenti browniani (R. Brown, 1827), e a fine ottocento con la teoria molecolare che considera i gas e i fluidi apparentemente a riposo come sede di movimenti incessanti dei corpuscoli che li compongono. Solo dopo la scoperta dell'elettricità la storia cominciò a precipitare a ritmo incalzante. L'elettrone, prima particella • • • Joseph John Thomson (1856-1940) Durante gli studi sulle scariche elettriche, che venivano prodotte entro ampolle di vetro nelle quali era stato fatto un vuoto approssimativo (tubi di Crookes), nel 1880 furono per la prima volta messi in evidenza i raggi catodici. Questi raggi, di natura ancora sconosciuta e detti catodici in quanto provenienti dal catodo (elettrodo negativo), generavano una luminescenza sullo schermo posto all'estremità del tubo di Crookes e producevano anche effetti elettrici in quanto erano in grado di scaricare degli elettroscopi. J.J. Thomson in un celebre esperimento(1897) riuscì a dimostrare che le particelle costituenti i raggi catodici venivano deviate da campi elettrici e da campi magnetici e a misurare il rapporto e / m tra la loro carica e la loro massa. Nasceva così l'elettrone , la prima particella elementare, che si suole indicare con il simbolo e- (o semplicemente con e). L'elettrone, prima particella • L'apparecchio con cui J.J. Thomson riuscì a misurare il rapporto e/m dell'elettrone. A lato, uno schema indica come gli elettroni, emessi dal catodo C, sono accelerati tra A e B, deviati in E da un campo elettrico e osservati in P su uno schermo fluorescente. • La celebre esperienza di Millikan del 1910 permise di misurare la carica elettrica dell'elettrone studiando l'equilibrio di goccioline d'olio elettrizzate, sospese tra i piatti di un condensatore. LA SCOPERTA DEL PROTONE • • • Fra i fenomeni osservabili nei tubi catodici, i raggi catodici non sono i soli che si siano rivelati di fondamentale importanza nel chiarire la natura elettrica dell’atomo. Servendosi di un catodo perforato nel 1885 Eugene Goldstein scoprì che prendevano corpo anche raggi di un’altra specie. Tali raggi si muovevano in direzione opposta a quella dei raggi catodici, il che autorizzava ad ammettere che essi erano costituiti da particelle cariche positivamente. Adoperando gas di natura diversa si trovò che, a differenza dei raggi catodici, questi raggi positivi manifestavano rapporti m/c dipendenti dalla natura del gas residuo nel tubo catodico, ma erano indipendenti dalla natura dell’elemento che fungeva da anodo. Oggi sappiamo che i raggi positivi si formano in seguito alla ionizzazione delle molecole di gas ad opera del fascio di elettroni emesso dal catodo. Sfruttando metodi analoghi a quelli impiegati per determinare il rapporto massa/carica dell’elettrone, si dimostrò che il minimo valore di questo rapporto nei raggi positivi si otteneva quando il gas residuo nel tubo catodico era costituito da idrogeno. La particella positiva formata in queste circostanze possedeva un rapporto m/c 1836 volte maggiore di quello dell’elettrone. Inoltre i rapporti massa/carica, misurati quando di volta in volta rimanevano in forma residua nel tubo catodico gli altri elementi gassosi, erano tutti multipli del rapporto m/c misurato per l’idrogeno. Ciò significa che la particella di carica positiva che rimane dopo la ionizzazione dell’atomo di idrogeno deve entrare un numero intero di volte nella costituzione degli atomi dei vari elementi chimici. Pertanto essa è un costituente fondamentale dell’atomo, nonché il portatore elementare della carica positiva. A tale particella fondamentale fu dato il nome di protone. Il numero di protoni, o di elettroni, è ciò che caratterizza in maniera determinante le proprietà chimiche e fisiche di un elemento chimico. Tale numero viene chiamato numero atomico (N.A.) di un elemento. I Raggi X • raggi X furono scoperti, per caso, dal Prof. Roentgen (tedesco), una sera del Novembre 1895. Roentgen studiava i fenomeni associati al passaggio di corrente elettrica attraverso gas a pressione estremamente bassa. Stava lavorando in una stanza oscura ed aveva avvolto accuratamente il tubo di scarica in uno spesso foglio di cartone nero per eliminare completamente la luce, quando un foglio di carta ricoperto da un lato da una sostanza fosforescente, posto casualmente su di un tavolo vicino, divenne fluorescente. Egli spiegò il fenomeno come dovuto all'emissione, dal tubo di scarica, di raggi invisibili che eccitavano la fluorescenza. • Lo scopritore dei raggi X: Roentgen, primo premio Nobel per la Fisica nel Novembre 1901. A sinistra nel riquadro, la radiografia della mano della Signora Roentgen (22 dicembre 1895). Produzione dei raggi X • I raggi X sono radiazioni di natura elettromagnetica con lunghezza d'onda compresa tra 10-8-10-11 m circa. • Quando l'elettrone di un fascio interagisce con il campo elettrico del nucleo di un atomo (figura 3 a sinistra), subisce una brusca decelerazione e perde energia che viene emessa sotto forma di fotoni . Questo processo, chiamato "radiazione di frenamento" o "bremsstrahlung", è responsabile dello spettro continuo dei raggi X. Se, invece, l'interazione dell'elettrone incidente avviene con uno degli elettroni più interni dell'atomo bersaglio (figura 3 a destra), il processo di produzione dei raggi X prende il nome di "radiazione caratteristica". A seguito di questa interazione, entrambi gli elettroni sono diffusi fuori dall'atomo, così che nell'orbitale rimane un posto libero o "lacuna". Successivamente uno degli elettroni più esterni si sposta per colmare la lacuna. È durante quest'ultimo processo che l'atomo emette radiazione X con un'energia che individua in maniera esatta il materiale di cui è composto l'atomo bersaglio, da cui il nome "radiazione caratteristica". • Spettro elettromagnetico La radioattività naturale • Si definisce radioattività la proprietà che hanno gli atomi di alcuni elementi di emettere spontaneamente radiazioni ionizzanti. La radioattività non é stata inventata dall'uomo, anzi, al contrario, l'uomo é esposto alla radioattività fin dal momento della sua apparizione sulla Terra. • Solo recentemente (circa 100 anni fa), con i lavori dello scienziato francese Henry Becquerel, l'uomo ha scoperto l'esistenza della radioattività. Fin dalla formazione della Terra, circa cinque miliardi di anni fa, la materia era formata da atomi stabili non radioattivi e atomi instabili radioattivi. Col trascorrere dei millenni, la maggior parte degli elementi radioattivi, attraverso il processo di decadimento, hanno cessato di essere tali. • Tuttavia, esistono ancora oggi in natura alcuni isotopi radioattivi, e non é cessato l'apporto esterno di radioattività prodotto dal bombardamento di raggi cosmici a cui siamo tuttora sottoposti. Ecco perché tutto quello che ci circonda é "naturalmente" radioattivo. • • La scoperta dei raggi X era avvenuta da parte di Wilhelm Conrad Röntgen nel 1895. Nel 1896 Antoine Henri Becquerel, (francese) durante uno studio sulle relazioni intercorrenti tra fosforescenza e Raggi X, scopre la radioattività naturale dell’uranio. Nel 1898 Maria Skłodowska (più nota come Marie Curie) e Pierre Curie scoprono la radioattività del polonio e del radio. • Una sera del 1896, Henry Becquerel, figlio e nipote di scienziati, lasciò alcune lastre fotografiche in fondo a un cassetto: questa dimenticanza segnò la nascita dell'era atomica. Nonostante l'oscurità e il foglio metallico che le ricopriva, le lastre si annerirono; chiunque le avrebbe buttate via ma Becquerel, meravigliato dallo strano fenomeno, cercò di trovarne le cause e finì per scoprire nel cassetto la presenza di sali di uranio che lui stesso vi aveva riposto alcuni giorni prima. Becquerel riuscì a risolvere il problema supponendo che dall'uranio dovevano essersi sprigionati raggi molto penetranti che erano riusciti a impressionare le lastre fotografiche dopo aver attraversato il foglio metallico di protezione. • Dopo la scoperta di Becquerel parecchi ricercatori si dedicarono allo studio di questi raggi penetranti per cercare di scoprirne la natura e l'origine. Nel 1899 Giesel e Meyer riuscirono a dimostrare che tra questi raggi alcuni erano elettricamente carichi; l'anno successivo lo stesso Becquerel, Marie Curie e Villard scoprirono che erano presenti anche dei raggi neutri. Una terza radiazione di tipo corpuscolare e con carica doppia di quella dei raggi di Giesel e Meyer fu messa in evidenza da Rutherford che la indicò col la lettera a, attribuendo la lettera b alla radiazione scoperta da Giesel e Meyer e la lettera g a quella scoperta da Becquerel-Curie-Villard. Identificando il raggio a come una particella, Rutherford nel 1903 arrivò alla conclusione, con Soddy, che la radioattività è il segno della disintegrazione del nucleo. Nel 1911 propose perciò un modello atomico in cui Z elettroni ruotano attorno a un nucleo che deve possedere una carica elettrica Ze affinché l'insieme sia elettricamente neutro. Ma cosa poteva essere questo nucleo? Da questa domanda nacque l'ipotesi del protone. I differenti tipi di radioattività sono: • Radioattività alfa • Radioattività beta • Radioattività gamma Ciascun tipo di radioattività ha un proprio "potere penetrante" e "modalità di schermatura" Deflessioni dovute al campo magnetico × × forza magnetica sorgente α × × × × × × × × α × × × × × × × × × corrente × sorgente γ sorgente β × nessuna forza magnetica × × × × × × γ× × × × × × × × corrente × Campo magnetico × × × × × β × × × (diretto nel foglio) × × × × forza magnetica × Misura della radioattività Un campione contenente radioisotopi si caratterizza per la sua quantità di radioattività, che viene espressa con il numero di disintegrazioni nell'unità di tempo di nuclei radioattivi. L'unità di misura é il becquerel, con simbolo Bq. 1 becquerel = 1 Bq = 1 disintegrazione al secondo. Poiché questa unità di misura é assai piccola, la radioattività si esprime molto spesso in multipli di becquerel: kilobecquerel (kBq) = mille Bq megabecquerel (MBq) = un milione di Bq gigabecquerel (GBq) = un miliardo di Bq terabecquerel (TBq) = mille miliardi di Bq (Allo stesso modo, per esprimere la distanza da Roma a Milano si parla di 560 kilometri, e non di 560 milioni di millimetri) L'unità di misura usata in precedenza era il curie, (simbolo: Ci) definita come la quantità di radioattività presente in un grammo di radio, elemento naturale che si trova assieme all'uranio. Questa unità é immensamente più grande del Bq, perché in un grammo di radio si producono 37 miliardi di disintegrazioni al secondo. Perciò: 1 curie = 1 Ci = 37 GBq = 37 gigabecquerel = 37 miliardi di becquerel. Tempo di decadimento • • Il momento esatto in cui un atomo instabile decadrà in uno più stabile è assolutamente casuale ed impredicibile. Ciò che si può fare, dato un campione di un particolare isotopo, è notare che il numero di decadimenti rispetta una precisa legge statistica. Il numero di decadimenti che ci si aspetta avvenga in un intervallo dt è proporzionale al numero N di atomi presenti. Questa legge può essere descritta tramite la equazione differenziale del primo ordine (in cui ''λ'' è la costante di decadimento): con questa soluzione (in cui e è il numero di Eulero): • N(t)=N0e-lt • • • • • che rappresenta un decadimento esponenziale. Bisogna notare che questa rappresenta solamente una soluzione approssimata, in primo luogo perché rappresenta una funzione continua, mentre l'evento fisico reale assume valori discreti, poi perché descrive un processo casuale, solo statisticamente vero. Comunque, poiché nella gran parte dei casi N è estremamente grande, la funzione fornisce un'ottima approssimazione. Oltre alla costante di decadimento ''λ'' il decadimento radioattivo è caratterizzato da un'altra costante chiamata vita media. Ogni atomo vive per un tempo preciso prima di decadere e la vita media rappresenta appunto la media aritmetica sui tempi di vita di tutti gli atomi della stessa specie. La vita media viene rappresentata dal simbolo τ , legato a λ dalla: t=1/l Un altro parametro molto usato per descrivere un decadimento radioattivo è dato dal tempo di dimezzamento .Dato un campione di un particolare radionuclide, il tempo di dimezzamento ci dice dopo quanto tempo saranno decaduti un numero di atomi pari alla metà del totale, ed è legato alla vita media dalla relazione:T1/2 =ln2/l Queste relazioni ci permettono di vedere che molte delle sostanze radioattive presenti in natura sono ormai decadute, e quindi non sono più presenti in natura, ma possono essere prodotte solo artificialmente. Per avere un'idea degli ordini di grandezza in gioco, si può dire che la vita media dei vari radionuclidi può variare da 109 anni fino a 10-6 secondi. L'insieme degli elementi ottenuti per decadimenti successivi costituisce una famiglia radioattiva. In natura esistono tre famiglie radioattive principali: la famiglia dell'uranio, quella dell'attinio e quella del torio. La scoperta del fotone • Corpo nero • Effetto fotoelettrico • Effetto Compton In seguito si scoprì che la particella alfa era un nucleo di elio composto da due protoni e da due neutroni, che il raggio beta era un elettrone e che il gamma era un quanto di radiazione elettromagnetica, il fotone, una specie di grano di luce, e questa scoperta fu difficile perchè si scontrava con molti pregiudizi. Da molto tempo si era capaci di ottenere frange di interferenza con la luce, cioè l'alternarsi di zone d'ombra e di luce che si possono osservare anche tra due dita accostate. Il fenomeno luminoso doveva quindi essere costituito da un'onda sinusoidale che si propaga nello spazio come le increspature delle onde sul mare, e nel 1868 Maxwell ne definì il movimento con le più belle equazioni della fisica, considerando le vibrazioni luminose come un caso particolare di onde elettromagnetiche dalle quali si distinguono solo per la frequenza di oscillazione più elevata e quindi per la lunghezza d'onda più breve. Trovò anche teoricamente che la velocità di propagazione doveva essere identica per tutte, e definì così la più importante delle costanti fisiche, c, la velocità della luce nel vuoto (3 * 108 m/s). Fu però necessario attendere il 1890 perchè Herz dimostrasse l'esistenza di onde radioelettriche non luminose. Supponendo allora che i corpi sembrassero caldi in virtù dell'emissione di queste radiazioni in tutta la gamma delle frequenze possibili, visibili o invisibili, si tentò di applicare la teoria maxwelliana ma si giunse allo strano paradosso che tutto avrebbe dovuto essere ghiacciato. le più belle formule, sviluppate da Rayleigh e Jeans, non erano mai confermate dall'esperienza! La scoperta del fotone Nel 1900 Max Planck ebbe infine la grande idea che l'emissione delle onde prodotte dai corpi caldi (corpo nero) non fosse continua, ma che avvenisse a sprazzi, per una piccola quantità che chiamò "quanto". L'energia E portata da un tale quanto di radiazione elettromagnetica emesso dalla vibrazione degli elettroni del corpo caldo era direttamente legata alla frequenza dell'onda portante dalla formula fondamentale E=hn h è una costante molto piccola che è la chiave di volta di tutta la meccanica quantistica ed è nota come costante di Planck h = 6,626 * 10-34 Joule*secondo spesso si usa anche ħ = h / 2 p = 6,6 * 10-22 MeV* s). (si legge h tagliato); Spettro del corpo nero La scoperta del fotone • Einstein nel 1905 riprendendo i lavori di Planck precisò che il flusso della radiazione luminosa non è altro che la somma dei corpuscoli il cui numero determina l'intensità. Einstein studiò l'effetto fotoelettrico. In questo esperimento, un fascio di luce ultravioletta proveniente da una lampada incide su un metallo (o un gas) e ne strappa degli elettroni che possono essere estratti mediante un potenziale elettrico positivo che li attiri. Contando questi elettroni ci si accorse che all'aumentare dell'intensità della lampada non aumentava la loro energia ma soltanto il loro numero: ciò confermava che ogni elettrone era espulso dall'urto di un singolo corpuscolo, da una specie di grano di luce che fu chiamato fotone. La scoperta del fotone La scoperta del fotone • Il fotone, quanto di energia elettromagnetica, fu considerato dapprima come il "grano" di luce, fu poi identificato con il raggio g scoperto da Becquerel-Curie-Villard e quindi con il raggio X, radiazione molto penetrante e fortemente ionizzante che era stata messa in evidenza da W. Roentgen nel 1895 bombardando una placca (anticatodo) con i raggi catodici prodotti da un tubo di Crookes. Ancora oggi, nonostante sia chiaro che la natura del fotone è unica, resta nel linguaggio la distinzione tra i vari "tipi" di fotone, distinzione che dipende dalla loro origine e dalla loro energia; in ordine di energia crescente, fotoni propriamente detti sono i quanti di luce visibili, raggi X sono i quanti di radiazione elettromagnetica invisibili e di elevato potere penetrante, raggi g sono i quanti di radiazione elettromagnetica invisibili molto penetranti emessi dai corpi radioattivi. Fotoni di energia ancora maggiore (raggi g) sono prodotti negli acceleratori e nella radiazione cosmica. Così grazie ai lavori di Maxwell, di Planck e di Einstein, si cominciava a pensare che la luce, per quanto fosse un'onda capace di dare luogo all'interferenza, si comportasse anche come un corpuscolo e, nonostante questo profondo mistero, nessuno poteva negare che il fotone gamma fosse una particella che trasportava un'onda. La prova definitiva si ebbe nel 1925 con l'effetto Compton. Le lunghezze d'onda di queste diverse radiazioni elettromagnetiche sono dell'ordine del centimetro per le onde radioelettriche corte, di 10-5 cm per la luce visibile, di 10-6 per l'ultravioletto e i raggi X molli, di 10-9 per i raggi gamma e può raggiungere i 1022 per i fotoni di grande energia. La scoperta del fotone Nell’effetto Compton,la collisioni tra un fotone e un elettrone e fa variare la frequenza del fotone da n a n', mentre l'elettrone emesso ha energia h(n-n') Caratteristiche delle particelle • La carica elettrica • La massa • L'energia e il momento La carica elettrica • Siamo dunque arrivati al 1913 e a questo punto conosciamo l'elettrone negativo, e-, il fotone g e il protone, che si suppone sia il nucleo dell'atomo di idrogeno. Determinata mediante l'esperienza di Millikan, la carica dell'elettrone è negativa e vale 1,6 * 10-19 coulomb. Nel seguito questa carica elementare e verrà quasi sempre considerata come un'unità, cioè attribuiremo la carica - 1 all'elettrone misureremo tutte le altre cariche in funzione di questa. • Ogni quantità di elettricità è la somma di un numero intero di tali cariche elementari; è questo il primo passo verso la quantizzazione, cioè verso un modo di vedere le cose come somma di elementi ultimi e indivisibili, i quanti. Un quanto è il valore indivisibile più piccolo possibile attraverso il quale possa mostrarsi un parametro qualsiasi. • Poiché è sempre molto piccolo, questo aspetto discontinuo della natura è assolutamente impercettibile alla scala dell'esperienza quotidiana, il che ha fatto a lungo pensare che la materia fosse continua. Ma quando si prosegue l'analisi passando alla scala microscopica e ricercando i componenti più minuti della materia, non si misura una decrescita regolare e si osserva invece una serie discreta di valori separati da salti o discontinuità. La carica elettrica Il fotone, elettricamente neutro, non è deviato dai campi elettrici o magnetici come lo è l'elettrone; tuttavia è in grado di provocare interazioni elettromagnetiche poiché è il veicolo del campo elettrico che circonda ogni carica. Il fotone trasporta quindi un quanto del campo elettromagnetico da un punto all'altro alla velocità della luce (c) tra due particelle elettricamente cariche. La massa e l’energia • Le particelle in generale possiedono inerzia dato che possono essere accelerate o rallentate secondo le leggi della meccanica, il che porta a dire che hanno una massa. • Einstein ha anche postulato che la massa è l'equivalente dell'energia mediante una delle più celebri formule di tutte le scienze E = m c2 , secondo la quale l'energia (E) che un corpo può liberare annichilandosi è uguale al prodotto della sua massa (m) per il quadrato della velocità della luce (c). • E' quindi d'uso comune esprimere masse ed energie con lo stesso sistema di unità. (L'energia di un sistema è la possibilità di produrre lavoro che è immagazzinata in esso, come quella della polvere da sparo, quella di una molla compressa o di un veicolo lanciato a grande velocità. Un fascio di protoni di un grande sincrotrone può immagazzinare 3000 joule di radiazione pura, una quantità notevole nell'ambito della radioattività, ma piccola rispetto a una potenza elettrica equivalente di 3 chilowatt, potenza che corrisponderebbe al caso in cui questo fascio fosse consumato ogni secondo.) La massa e l’energia • L'energia acquistata da un elettrone accelerato da un campo elettrico di 1 volt è l'elettron-volt (eV) che vale 1,6 * 10-19 joule; i suoi multipli sono il MeV (106 eV) e il GeV (109 eV ). • 1 MeV / c2 = 1,78 * 10-27g = 1,78 * 10-30 Kg in questo sistema quella dell'elettrone risulta me = 0,5 MeV / c2. (L'intuizione non può farsene immagine alcuna perché per ottenere un milligrammo di elettroni occorrerebbe ammassarne 1024 , un milione di miliardi di miliardi! Attualmente è abituale esprimere le masse direttamente in energia equivalente, cioè in MeV o in GeV, trascurando così il termine 1 / c2) . • Quanto al protone esso è duemila volte più pesante dell'elettrone, pesa cioè 938,1 MeV / c2 . L'energia e il momento • L’energia cinetica di un corpo in moto con velocità v può essre definita come il lavoro compiuto da una forza esterna per condurre il corpo dalla quiete alla velocità v. • Estesa la validità del teorema dell’energia cinetica alla meccanica relativistica Einstein dimostrò che: E = m c2 =Ec+ m0 c2 . L'energia totale di una particella è data dalla somma dell'energia cinetica dovuta al movimento e dell'energia equivalente alla sua massa a riposo. Nel caso v«c l'energia totale di un corpuscolo diventa E=(1 / 2) m v2 + m0 c2 , e quella di un insieme di particelle sarà la somma dell'energia totale di ciascun componente, dato che le energie si sommano. • Il concetto di energia domina tutta la meccanica quantistica con il principio fondamentale della conservazione, grazie al quale l'energia totale di un sistema prima di una reazione si ritrova interamente nei prodotti finali; l'energia non può infatti essere creata, e quella contenuta nella polvere da sparo passa al proiettile lanciato al momento della combustione. L'energia e il momento • La quantità di moto definita p = m v si conserva anch'essa durante una reazione. • L'altra forma di movimento, la rotazione, si presenta sia come momento cinetico di una particella rispetto a un'altra, sia come rotazione di una particella su se stessa; nel primo caso si ha propriamente il momento orbitale (chiamato spesso momento angolare), nel secondo caso si ha il momento intrinseco indicato normalmente con il termine inglese spin (da to spin = ruotare). • Quando si scoprì che l'elettrone ruotava su se stesso e che perciò possedeva uno spin, si constatò che quest'ultimo, valendo 1/2, poteva assumere solo due valori + 1/2 e - 1/2. La scoperta di variabili a due valori è tipicamente quantistica e non ha equivalenti in meccanica classica dove lo spazio ha tre dimensioni. La luce, le onde, i corpuscoli • Dopo i lavori di Planck e di Einstein, il mondo dei fisici dovette ammettere che la luce si comportava in un modo davvero strano: • come un'onda di cui si poteva misurare la frequenza n e che formava figure di interferenza • come una piccola sfera che provocava collisioni e di cui si poteva conoscere l'energia E. • Ma era sorprendente il fatto che questi due aspetti non potessero essere esaminati assieme, come se uno cancellasse l'altro, come se fossero le due facce complementari, diritto e rovescio, di un medesimo essere. Nell'esperienza di Young, un fascio di fotoni, coerenti e monocromatici, passa attraverso due forellini molto vicini A e B. Sullo schermo E si osservano zone interferenziali di ombra e di luce. Il primo modello del sistema quantico, l'atomo di Bohr • La radiazione luminosa emessa dagli atomi eccitati (gas) mediante alte temperature si osserva soltanto a certe determinate frequenze che costituiscono le righe degli spettroscopisti quando la luce è analizzata attraverso un prisma. • nel 1913 il fisico danese Niels Bohr suppose, che gli elettroni gravitassero attorno all'atomo come i pianeti attorno al sole, ma in modo così strano da non emettere radiazioni quando percorrono alcune orbite stabili a cui corrispondono determinate energie. • L'energia viene emessa solo quando l’elettrone passa da una orbita permessa ad un’altra il che dà l'aspetto quantico a questa emissione. • Poiché queste energie hanno sempre la forma h n e h n' , l'energia della radiazione emessa potrà assumere soltanto una serie discreta di valori aventi la forma h ( n - n' ). La scoperta delle onde di materia • Nel 1924, meditando sulle simmetrie della natura, Louis de Broglie pensò di estendere alle particelle di materia il dualismo onda-corpuscolo che si era rivelato nella luce. A ogni corpuscolo materiale in movimento basta associare un'onda di frequenza n, sempre legata all'energia dalla formula di Planck E = h n ; questo fatto si esprime più semplicemente dicendo che la lunghezza d'onda l del corpuscolo vale l = h / p. Questa bella intuizione fu confermata senza eccezioni dalle prime esperienze famose di Davisson e Germer, e poi nel 1927 di G.P. Thomson, che permisero di ottenere frange di interferenza con gli elettroni come già si faceva con la luce. L'equazione di Schrodinger • Due anni dopo l'ipotesi di Louis de Broglie, il matematico Schrodinger la formulava in un'equazione celebre e mai abbandonata, gettando così stabilmente le basi della meccanica ondulatoria. Con un metodo che non è possibile esporre senza penetrare nel dominio troppo delicato degli operatori e delle matrici, era in grado di calcolare una "funzione d'onda", simbolizzata dalla lettere y , per tutti i sistemi quantistici, atomi e particelle, e di definire il suo valore in tutti i punti dello spazio e del tempo, valore che, ricordiamolo, varia secondo leggi sinusoidali in quanto descrive una vibrazione. Questa funzione d'onda, di cui sono note le variazioni nello spazio e nel tempo, costituisce una descrizione completa del sistema dato che tutti i parametri, anche quelli più intimamente nascosti, devono da essa poter essere dedotti. • La probabilità di presenza di una particella in un punto è semplicemente il quadrato della funzione d'onda in quel punto, y2, unica relazione che sembra dare alla funzione un qualche senso fisico (questa interpretazione è dovuta a Born). Spin e statistiche Nonostante radiazione e materia possiedano entrambe la doppia natura corpuscolare e ondulatoria, rimangono rimangono nettamente differenziate nel loro comportamento collettivo. Mentre un numero illimitato di fotoni identici possono occupare lo stesso stato, non vi possono essere due elettroni identici nello stesso stato (principio di Pauli). Questa proprietà è in relazione allo spin che può assumere solo multipli interi (0,1…) (come i fotoni) o seminteri (1/2, 3/2…) (come l’elettrone, il protone, il neutrone) di una quantità fondamentale. Le particelle a spin intero obbediscono alle leggi della "statistica" di Bose-Einstein e si chiamano bosoni Le particelle a spin semintero obbediscono alle leggi della "statistica" di Fermi-Dirac e si chiamano fermioni Il positrone Nel 1928 Paul Dirac formulò una teoria che prevedeva l’esistenza l’esistenza di di una particella del tutto identica all’elettrone ma di carica opposta oggi chiamato positrone. La vita di questo "positrone" (rappresentato con e+ ) si interrompe quando incontra un elettrone annichilandosi ed emettendo un fiotto di energia pari almeno a 2 m c2 , che si manifesta sotto forma di due fotoni. L'apparizione dell'antimateria è nel nostro mondo un fenomeno breve e passeggero, anche se il positrone, avendo tutte le caratteristiche di un elettrone positivo, è di per sé stabile. Viceversa la materializzazione del fotone g in una coppia e+ , e- si indica g e+ + ee non può realizzarsi se l'energia del fotone è inferiore a 1,02 MeV. Il positrone Questa è una foto di una delle prime tracce di positroni osservati da Anderson nel 1933. E 'stata presa in una camera a nebbia in presenza di un campo magnetico (così i percorsi delle particelle sono curve). Una camera a nebbia contiene un gas sovrasaturo con vapore acqueo. In presenza di una particella carica (come un positrone), il vapore condensa in goccioline d'acqua - queste gocce segnano il percorso della particella. La riga al centro è una lastra di piombo, che rallenta le particelle. Il raggio di curvatura della pista sopra la lastra è più piccola di quella inferiore. Questo significa che la particella viaggia più lentamente sopra la lastra di sotto di esso, e quindi va verso l'alto in viaggio. Dalla direzione in cui il percorso curva si può dedurre che la particella è carica positiva. Che è un positrone e non un protone può essere dedotto dalla lunga distanza della traccia superiore - un protone si sarebbe arrestato dopo una distanza molto più breve. Carl Anderson ha vinto il Premio Nobel 1936 per la Fisica per questa scoperta. Foto scattata da CD Anderson, Physical Review 43, 491 (1933). Creazione di coppie elettrone positrone in una camera a nebbia al centro un fotone decade in una coppia più energetica Il neutrone • La scoperta del neutrone segna la più importante tappa della fisica nucleare dato che sarà l'origine di tutte le sue applicazioni industriali sia pacifiche che belliche. • Nel 1932 Chadwick identifica delle particelle simili al protone emesse dai nuclei ma senza carica elettrica, e le chiama "neutroni" in onore di Rutherford, che ne aveva previsto l'esistenza senza avere la fortuna di scoprirle. • La reazione effettuata Be + He C + n si spiega quindi con l'assorbimento di un nucleo di elio (a) da parte del berillio che si trasforma in carbonio liberando un neutrone (n) Il neutrone • Dopo questa scoperta, che fu il frutto di una cooperazione internazionale, nessuno dubitò che tutti i nuclei atomici fossero costituiti da protoni e neutroni. Leggermente più pesante del suo collega protone (940 MeV / c2 contro 938), il neutrone ha lo stesso spin 1/2. • Agente molto attivo di trasmutazioni nucleari, ad esempio della trasformazione di berillio in litio o della fissione dell'uranio, grazie alla sua neutralità che gli permette di penetrare nei nuclei e di produrvi grandi perturbazioni senza essere respinto dal campo elettrico dei protoni. • La sua grande caratteristica, nuova per l'epoca, è quella di essere instabile con una trasformazione del tipo n p + e + . . . • Si poté allora identificare questa disintegrazione con la disintegrazione b dei nuclei, scoperta nel 1900, e supporre che fosse dovuta a una interazione di cui Fermi aveva gettato le basi teoriche nel 1934 e diversa dall'elettromagnetismo Il neutrino • Nel frattempo Pauli aveva studiato la dinamica della disintegrazione b e aveva constatato che né l'energia né il momento cinetico risultavano conservati, per cui era probabile che una particella ipotetica, neutra e senza massa, avesse sottratto dopo la reazione le quantità mancanti. • E' questa l'ipotesi dell'esistenza del neutrino ( n ) che fu scoperto solo 29 anni più tardi, nel 1956, da Reines e Cowan. • Tutto questo permette di scrivere la disintegrazione del neutrone nella forma: n p + e- + n • per la precisione, si scoprì che nel decadimento del neutrone compare anziché un neutrino n , un antineutrino, Fermi e il neutrino Enrico Fermi studiando il decadimento delle sostanze radioattive inventa negli anni ’30 un formalismo con il quale è possibile descriverne gli aspetti fondamentali e calcolare alcune proprietà, come le vite medie delle particelle Nella sua teoria compare il neutrino, ipotizzato da Pauli nel 1930 per spiegare l’energia mancante nei decadimenti beta A seguito della formalizzazione di Fermi delle “interazioni deboli”, molte reazioni di decadimento trovano una spiegazione economica. Il neutrino, particella priva di massa, non possiede carica elettrica e interagisce solo debolmente con la materia: è a tutti gli effetti invisibile La sua produzione si comprende nei decadimenti in cui compaiono elettroni o muoni: p mn, menn, Kpen n p n e Il campo nucleare • Dopo la scoperta della prima particella instabile, il neutrone, la storia si fa molto complicata. Gli strumenti disponibili non sono infatti in grado di rivelare altre particelle, troppo instabili per essere messe in evidenza dalla limitata strumentazione disponibile; i fisici si dedicarono pertanto a perfezionare gli strumenti nonostante le difficoltà che la ricerca pura incontrava in periodo bellico • si conoscevano soltanto le forze elettromagnetiche il cui quanto è il fotone e non potevano spiegare la stabilità del nucleo atomico nel quale protoni e neutroni erano compressi in uno spazio così stretto che la repulsione elettrica tra i protoni avrebbe dovuto far esplodere tutto. L'ipotesi di Yukawa • Nel 1935 il giapponese H. Yukawa formula l'ipotesi che i nucleoni (protone e neutrone) siano legati nel nucleo atomico da un nuovo campo analogo a quello che lega elettricamente l'elettrone all'atomo. Tale campo deve avere una portata molto debole, più o meno come la colla, dato che i nucleoni devono essere quasi in contatto per interagire; in tal caso è molto potente e ciò ha valso il nome di interazioni forti ai fenomeni che dipendono da questo campo L'ipotesi di Yukawa • Yukawa suppose che il campo nucleare si manifestasse con un quanto analogo al fotone del campo elettrico • doveva avere una massa circa 200 volte maggiore di quella dell'elettrone L'ipotesi di Yukawa • Per svariati anni si cercò con tutti i mezzi questa particella ma, a, parte qualche debole indizio, sembrava non ci fosse nulla da fare. Occorre giungere al 1947 quando i lavori di Conversi, Pancini e Piccioni, quelli di Fermi, Teller e Weisskopf, quelli di Sakata, Bothe ed altri, convinsero i fisici che questa particella, se c'era, doveva avere una vita brevissima, tale da rendere difficile la sua rivelazione. La scoperta del pione • Furono Lattes, Occhialini e Powell che riuscirono ad individuare questa particella ed a scoprirne i meccanismi di decadimento. Si scoprì poi che questi particolari mesoni, detti anche pioni (p), esistono in tre stati di carica: il p+ con massa 273, il p - con la stessa massa ed il p ° con massa 264 (tutte e tre queste particelle hanno spin 0). I modi di decadimento di questi pioni, che hanno una vita media di 10-8 s, sono elencati di seguito: Decadimenti del pione Decadimenti del pione • dal decadimento dei pioni, si originano altre particelle che non abbiamo mai incontrato: m+, m-, nm , e la medesima della precedente con una barra sopra. • La prima particella citata è il muone, la seconda è l'antimuone ; il muone, analogamente all'antimuone, ha massa 207, spin 1/2 ed e' instabile, con una. vita media di circa 10-6 s. La terza particella è il neutrino del muone mentre l'ultima è l'antineutrino del muone (la differenza, principale tra il neutrino dell'elettrone e quello del muone è che mentre con i primi si possono produrre mesoni m , con i secondi ciò non è possibile). Decadimento del muone • Ritornando un attimo al muone, dato che, come abbiamo detto, è una particella instabile, resta da vedere il suo modo di decadimento: m e ne nm (in 2 * 10-6 s). L’antiprotone • Sono state scoperte tutte le antiparticelle delle particelle conosciute • Il p0 , come il g , è l'antiparticella di se stesso, quella del p+ è il p- e viceversa, come dimostrano considerazioni statistiche sui bosoni. Però il primo antiprotone artificiale fu scoperto solo nel 1955 grazie al sincrotrone di Berkeley Le particelle strane • Studiando i raggi cosmici con una camera di Wilson installata in alta montagna, iniziarono a scoprirsi particelle più pesanti del pione con complicate proprietà di decadimento. Ciò portò all’introduzione di una nuova proprietà della materia nucleare chiamata “stranezza”. Le particelle strane • Si sa ora che le particelle strane sono nove, i tre iperoni S , S- , S0 , con una massa di 1190 MeV, l'iperone neutro L0 , con massa 1115 MeV, i due iperoni X- , X0 , con massa 1320 MeV, l'iperone W- , con massa 1680 MeV, i due mesoni K , K0 , con massa 497 MeV, con le loro nove antiparticelle. Tabella particelle La stranezza: il mistero si infittisce Come abbiamo visto, si possono classificare le particelle in base alle loro caratteristiche misurabili Alcune di esse, scoperte a partire dalla fine degli anni ’40, sembrano “strane”: sono prodotte molto copiosamente –il che indica una produzione “forte”, ma decadono molto lentamente –con tempi tipici delle interazioni “deboli”, quelle responsabili dei decadimenti radioattivi. Attenzione, i pioni non sono strani, perché per loro un decadimento “forte” non è possibile: sono i mesoni più leggeri Invece i kaoni sono prodotti con alta frequenza, e decadono in 10-10 secondi anche se esistono stati adronici più leggeri (i pioni!) Nuovamente è la loro classificazione a fornire una potenziale soluzione dell’enigma: si scopre che sono prodotte in coppia. Si ipotizza subito un nuovo numero quantico, la stranezza S. p p p p K+ K- si osserva, mentre p p p p p- K+ no; p p K L pp pp si osserva (vedi fotografia a destra), p p KD non si osserva. I raggi cosmici • Radiazione ionizzante incidente sull’atmosfera: scoperti da Victor Hess nel 1912 con esperimenti ad alta quota • Anderson nel 1933 vi identifica particelle di carica positiva, e tutte le caratteristiche eguali a quelle degli elettroni: antimateria! • Per lungo tempo la loro origine viene ritenuta essere fotoni di alta energia, ma si scopre negli anni ’30 che la radiazione primaria è elettricamente carica • Nei raggi cosmici viene scoperto il muone – particella penetrante, con caratteristiche simili a quelle dell’elettrone L’ipotesi dei quarks La misura è colma negli anni ’60, gli indizi sono sufficienti. Murray Gell-Mann nel 1964 concepisce l’esistenza di una struttura soggiacente alla gran quantità di particelle fino ad allora classificate I mesoni e i barioni non sono altro che l'unione di due e tre quarks, aventi numero barionico 1/3, stranezza 0 o 1, e cariche elettriche +2/3, -1/3 Up (u), Down (d), Strange (s) sono i nomi loro assegnati E’ una spiegazione economica! u d s Carica el. 2/3 -1/3 -1/3 Stranezza 0 0 1 Numero barionico 1/3 1/3 1/3 E i quarks sono sei • La scoperta del charm convince tutti: i quarks sono reali • I corpi elementari sono dunque quarks e leptoni • Ma i quarks non sono 4, bensì 6! E qualcuno lo aveva previsto fin dal 1971! • Solo con almeno sei quarks si può spiegare una caratteristica dei mesoni K scoperta nel 1964: la violazione della simmetria CP • A partire dal 1974, tutti si mettono a caccia dei due rimanenti quarks: il bottom e il top. • E anche del terzo leptone carico, chiamato tau. Il Modello Standard Il modello GSW, unito al meccanismo di rottura della simmetria elettrodebole ipotizzato da Peter Higgs – una spiegazione teorica del motivo per cui W e Z hanno grande massa mentre il fotone rimane a massa nulla – costituisce quello che chiamiamo Modello Standard. Tre famiglie di quarks, e tre famiglie di leptoni, costituiscono la materia Le interazioni forti sono mediate da gluoni Le interazioni elettromagnetiche dal fotone Le interazioni deboli dai bosoni W e Z Le quattro interazioni fondamentali • Le caratteristiche salienti in ordine decrescente di intensità relativa: * Interazione forte: è responsabile della struttura degli adroni e dei nuclei, permettendo a questi di rimanere legati, vincendo la repulsione coulombiana tra i protoni. Si manifesta a livello fondamentale tra quarks e gluoni; questi ultimi sono anche i bosoni intermedi delle interazioni. Ha intensità relativa pari ad uno, essendo la più intensa delle quattro, e range di circa 10-15m. * Interazione elettromagnetica: è responsabile della struttura atomica e molecolare, delle reazioni chimiche e di tutte le forze (escluse quelle gravitazionali) che osserviamo nel nostro mondo (come, ad esempio, le forze magnetiche). Si manifesta tra tutte le particelle elettricamente cariche ed ha come bosone intermedio il fotone. Ha raggio d’azione infinito ed intensità relativa di circa 10-2. * Interazione debole: è responsabile dei decadimenti delle particelle e dei decadimenti b dei nuclei. Si manifesta tra tutte le particelle, leptoni e quarks. Queste interazioni hanno tre bosoni intermedi, detti Z0, W+, W-; tra tutti i bosoni intermedi questi sono gli unici a non avere massa nulla. Le interazioni deboli hanno raggio d’azione di circa 10-18m ed intensità relativa di circa 10-5. Negli anni settanta le interazioni deboli ed elettromagnetiche sono state unificate nelle interazioni elettrodeboli, ad opera di S.Glashow, A.Salam e S.Weimberg (insigniti del premio Nobel per la fisica nel 1979) che realizzarono, dopo l’unificazione delle interazioni elettriche e magnetiche eseguita da Maxwell, un ulteriore passo avanti verso l’unificazione di tutte le interazioni fondamentali. * Interazione gravitazionale: è responsabile delle forze di gravità. Si manifesta tra tutte le particelle ed ha come bosone intermedio il gravitone, l'unico a non essere stato ancora osservato. Ha raggio d’azione infinito ed intensità relativa di circa 10-39.