Istituto Comprensivo Sasso Marconi
scuola secondaria di primo grado “G. Galilei”
GITA SCOLASTICA DELLE CLASSI TERZE a. s. 2007/2008
L'insieme di edifici dello
stabilimento per la pilatura
del riso, divenuto tristemente
famoso per essere l'unico
campo di sterminio sul
territorio italiano, venne
costruito nel 1913 nel quartiere
periferico di San Sabba a Trieste.
Gli edificio non più adibiti
ad uso industriale, vennero
requisiti ed utilizzati dall‘
occupante nazista come campo
di prigionia provvisorio per i
militari italiani catturati
dopo l’8 settembre 1943.
Verso la fine di ottobre,
sempre del 1943,
esso venne strutturato come
PROGETTO DELLO
STABILIMENTO
PER LA PILATURA
DEL RISO.
Polizeihaftlager
(letteralmente campo di detenzione
di polizia), destinato sia allo
smistamento dei deportati in
Germania ed in Polonia, sia
come deposito e smistamento
dei beni razziati, nonché
successivamente per la detenzione
ed eliminazione di partigiani,
detenuti politici ed ebrei.
Subito dopo l'ingresso della Risiera,
in una specie di sottopassaggio,
si affaccia la prima stanza posta
alla sinistra di chi entra che era chiamata
"cella della morte", in quei locali
angusti venivano ammucchiati i
prigionieri, che giungevano
dai carceri o che venivano
catturati in rastrellamenti non
solo a Trieste, ma anche in
Veneto ed in Slovenia e destinati
ad essere eliminati nel giro di
poche ore. Secondo testimonianze
dei pochi sopravvissuti, spesso i
prigionieri venivano a trovarsi
in quelle celle assieme a cadaveri
destinati alla cremazione. Al
pianterreno dell'edificio si
trovavano, i laboratori di sartoria
INGRESSO
ATTUALE
UNA CELLA
e calzoleria, dove
venivano impiegati
i prigionieri. Sempre
nello stesso plesso erano
ospitate le camerate per
gli ufficiali e i militari
delle SS ma anche le
diciassette minuscole
celle, in ognuna delle
quali venivano stipati
fino a sei prigionieri,
in tali angusti locali,
partigiani, politici, ebrei,
aspettavano per
giorni, talvolta per
settimane, il compiersi
del loro drammatico
destino.
Nelle prime due celle venivano torturati i prigionieri e spogliati di ogni loro
avere, qui sono stati rinvenuti migliaia di documenti d'identità che venivano
sequestrati non solo ai detenuti ed ai deportati, ma anche ai lavoratori inviati
al lavoro coatto (tutti questi documenti, prelevati dalle truppe jugoslave che
per prime entrarono nella Risiera furono trasferiti a Lubiana, dove sono
attualmente conservati presso l'Archivio della Repubblica di Slovenia).
Le porte e le pareti delle celle erano ricoperte di graffiti e scritte andate
purtroppo perdute.
Risiera di San Sabba. Graffito tracciato
sulle pareti:"od Istre (dell'Istria) Rodela
Celestin R (nata) 2.10.1914 a Podpec
26.4.1945" (arch. IRSML Trieste)
Ne restano a testimonianza i diari dello
studioso e collezionista Diego de Henriquez,
(attualmente appartenenti alle collezioni de
Henriquez), che ne fece un’accurata
trascrizione. In un altro edificio a quattro
piani, gli ebrei rinchiusi in camerate e i
prigionieri civili e militari, anche donne e
bambini, erano destinati alla deportazione in
Germania nei campi di Dachau, Auschwitz,
Mauthausen, verso un tragico destino che
solo pochi hanno potuto evitare.
Nel cortile interno della Risiera in prossimità
delle celle, sull'area oggi contrassegnata da una
piastra metallica, sorgeva l'edificio destinato alle
eliminazioni, la cui sagoma è ancora visibile sul
fabbricato centrale. All'interno di questo edificio
vi era il forno crematorio. L'impianto era
interrato, vi si accedeva attraverso una scala
metallica ed un canale sotterraneo, il cui percorso
è oggi pure segnato dalla piastra d'acciaio e univa
il forno vero e proprio alla ciminiera. Sull’
impronta metallica della ciminiera sorge oggi
una scultura costituita da tre profilati metallici
che simboleggiano la spirale di fumo che usciva
dal camino. I nazisti, dopo essersi serviti, fino al
marzo 1944, dell'impianto del preesistente
essiccatoio, lo trasformarono in forno
crematorio secondo il progetto di Erwin
Lambert, un vero "esperto" nella costruzione
di forni crematori. La risiera
così fu in grado di incenerire
un numero maggiore di
cadaveri. Questa nuova
struttura venne collaudata
il 4 aprile 1944,
con la cremazione di settanta cadaveri di ostaggi fucilati il giorno prima nel
poligono di tiro di Opicina. Nella notte fra il 29-30 aprile dopo oltre un anno
di utilizzo intensivo l'edificio del forno crematorio e la ciminiera vennero fatti
saltare con la dinamite dai nazisti in fuga per eliminare le prove dei loro crimini.
Tra le macerie del forno furono rinvenute ossa e ceneri umane
Parti di edificio fatte saltare dai
tedeschi in fuga. Si riconoscono
i resti del forno crematorio.
raccolte in sacchi di quelli usati per il cemento.
Tra le macerie fu inoltre rinvenuta una mazza
di ferro,la cui fotografia è ora esposta nel Museo,
utilizzata per uccidere i prigionieri. Venivano
usati diversi tipi di esecuzione, le ipotesi
sono varie e tutte fondate: strangolamento,
gassazione in automezzi appositamente
attrezzati, colpo di mazza alla nuca
o fucilazione. Non sempre però il prigioniero moriva
subito, per cui il forno ingoiò anche persone ancora vive,le cui grida venivano
coperte dal fragore di motori, da latrati di cani appositamente aizzati, o da
musiche. Il fabbricato di sei piani, ora occupato dal Museo, fungeva da caserma
con gli alloggi per i militari germanici, per quelli ucraini e per le milizie italiane.
L'edificio oggi adibito al culto, senza
differenziazione di credo religioso, al tempo dell’
occupazione serviva da autorimessa per i mezzi
delle SS. In quel locale stazionavano anche i neri
furgoni delle SS con lo scarico collegato all'interno
mediante un tubo rimovibile, usati per la gassazione
delle vittime. All'esterno, a sinistra nel piccolo
edificio, ora adibito ad abitazione del custode, vi era
il corpo di guardia e l'abitazione del comandante.
A destra, nella zona attualmente sistemata a verde, esisteva un altro edificio
a tre piani, con uffici, alloggi per sottufficiali e per le donne ucraine. Secondo
calcoli effettuati sulla scorta delle testimonianze, il numero delle vittime
cremate in Risiera è oscillante tra le tre e le cinquemila persone.
.
Ma un numero ben maggiore di prigionieri sono passati dalla Risiera e smistati
nei lager o al lavoro obbligatorio. Gente di nazionalità , credo religioso e
politico diverso furono accomunati da un destino crudele, bruciarono
nella Risiera o vennero deportati per un viaggio quasi sempre senza ritorno.
Solo pensare al dolore, all’infelicità, al martirio sofferto dalle
migliaia di persone che hanno passato gli ultimi anni della loro
vita in quel luogo, il cui nome fa ancora soffrire molte famiglie,
mi fa stare male. Quando sono stata all’interno della risiera
passando per quel corridoio e sapendo che nello stesso posto, circa
70 anni fa, camminavano delle giovani vite senza speranze, ho
pensato che noi ragazzi queste cose dovremmo sentirle più vicine
e dovrebbe importarcene. Dobbiamo aprire gli occhi, smettere di
pensare che sia tutta finzione come nei film, dobbiamo aprire gli
occhi.
Le foibe sono cavità carsiche, solitamente di origine naturale
(grotte), con ingresso a strapiombo. Le foibe sono diffuse soprattutto
nella provincia di Trieste nelle zone della Slovenia già parte della
scomparsa regione Venezia Giulia nonché in molte zone dell’Istria e
della Dalmazia. Le foibe sono state usate per occultare cadaveri in
diversi periodi storici, in particolare nel corso della seconda guerra
mondiale. La storia funesta delle foibe nel 1943-1945, che vide
protagonista il movimento partigiano di Tito, ha molte ascendenze,
ma certamente la più rilevante è quella che ci riporta alle origini del
fascismo nella Venezia Giulia.
In seguito al Trattato di Rapallo, firmato nel 1920 tra il regno d’Italia e quello
dei Serbi, Croati e Sloveni, furono annesse all'Italia: Gorizia, Trieste, l'Istria e
Zara (mentre Fiume fu dichiarata città libera; successivamente, con il Trattato
di Roma, il 24 gennaio 1924 fu annessa all'Italia). Negli anni successivi, il
regime fascista impose in tutto il Venezia Giulia una violenta politica di
snazionalizzazione. Come recita il testo definitivo dell’analisi bilaterale ItaliaSlovenia dell'aprile 2001: «Nella Venezia Giulia vennero progressivamente
eliminate tutte le istituzioni nazionali slovene e croate, le scuole furono
italianizzate, gli insegnanti licenziati o costretti ad emigrare, vennero posti limiti
all’accesso degli sloveni nei pubblici impieghi». All’eliminazione politica delle
minoranze, si accompagnò da parte del regime mussoliniano un’azione che
«aveva l’intento di arrivare alla bonifica etnica della Venezia Giulia, con la
repressione attuata nei confronti del clero, che rappresentava un importante
momento di sintesi della coscienza nazionale delle minoranze, e l’abolizione
dell’uso della lingua slovena nella liturgia e nella catechesi».
Nel clima di vendetta che seguì
l'armistizio dell'8 settembre del '43, si
registrò il primo fenomeno di foibe, in
Istria e in Dalmazia, con l'uccisione
da parte dei titini di alcune centinaia
di italiani. Seguì una nuova ondata di violenze di matrice nazifascista.
Per l'occupazione dell'Istria (completata intorno al 4-5 ottobre 1943) i nazisti,
guidati dai fascisti, la misero a ferro e fuoco - e se ne vantarono nei loro stessi
documenti, con l'incendio di decine di villaggi, l'uccisione di 3000 partigiani e la
deportazione nei campi in Germania di 10.000 persone.
Tra marzo e aprile del '45, alleati e
jugoslavi si impegnarono nella corsa
per arrivare primi a Trieste. Vinse la IV
armata di Tito che entrò in città il 1º
maggio alle 9.30. Suppergiù nelle
stesse ore i titini entravano anche a
Gorizia. Come scrive Gianni Oliva, gli ordini di Tito e del suo ministro degli esteri
Kardelj non si prestavano a equivoci: «Epurare subito», «Punire con severità
tutti i fomentatori dello sciovinismo e dell’odio nazionale». Come recita il testo
definitivo dell’analisi bilaterale Italia-Slovenia dell'aprile 2001: il movimento
partigiano di Tito scatenò «un’ondata di violenza nella zona di Trieste, nel
Goriziano e nel Capodistriano», che
portò «all’arresto di molte migliaia di
persone, in larga maggioranza italiane,
ma anche slovene contrarie al progetto
politico comunista jugoslavo»;a centinaia
di esecuzioni sommarie immediate nelle
foibe; a deportazioni nelle carceri e nei
campi di prigionia (tra i quali va ricordato
quello di Borovnica)». La commissione, su
questo punto, cerca di analizzare il contesto
storico che portò a queste efferatezze:
«Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e
appaiono essere il frutto di un progetto politico preordinato in cui confluivano diverse
spinte: l’eliminazione di soggetti legati al fascismo e l’epurazione preventiva di oppositori
reali». Il tutto nasceva «da un movimento rivoluzionario (quello titino, n.d.r. ) che si stava
trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale ed
ideologica diffusa nei quadri partigiani». L'ondata di violenze finì il 9 giugno 1945, quando
Tito e il generale Alexander tracciarono la linea di demarcazione Morgan, che prevedeva
due zone di occupazione – la A e la B – dei territori goriziano e triestino, confermate dal
Memorandum di Londra del 1954. È la linea che ancora oggi definisce il confine orientale
dell’Italia. La persecuzione degli italiani, però, durò almeno fino al '47, soprattutto nella
parte dell'Istria più vicina al confine e sottoposta all'amministrazione provvisoria jugoslava.
IO
HO SOLO UNA DOMANDA:
<TUTTO QUESTO VI SEMBRA GIUSTO?>
LA RISPOSTA E’ OVVIA!
PURTROPPO NON SI POSSONO
CORREGGERE GLI ERRORI DEL PASSATO.
PERO’ POSSIAMO E DOBBIAMO FARE IN
MODO CHE CIO’ NON SI RIPETA MAI PIU’!
MAI PIU’ DEVE SUCCEDERE , LA VITA E’ IL
BENE PIU’ IMPORTANTE CHE ABBIAMO E
DEVE ESSERE CONSIDERATO TALE.
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Risiera di san sabba