I brevi regni di Galba, Otone e Vitellio, tra il 68 e il 69 d.C. (l’“anno dei quattro imperatori”), furono seguiti da quello del valente generale Vespasiano e dei suoi figli, Tito e Domiziano, che diedero vita alla dinastia dei Flavi. Il regno dei Flavi fu caratterizzato dal consolidamento dell’economia e dell’amministrazione imperiale, oltre che dal principio dinastico “diretto” (implicante cioè motivi “di sangue”) nella successione al potere, e – soprattutto – dall’affermarsi di una nuova concezione del potere imperiale stesso . Galba era nato da una nobile famiglia ed era un uomo di grande ricchezza, ma non legato né per nascita né per adozione ai primi sei imperatori. Fin dalla fanciullezza fu visto come un giovane di notevoli doti, e si dice che sia Augusto che Tiberio profetizzassero la sua futura ascesa Dopo pochi mesi si inimica la plebe romana e viene assassinato dai pretoriani Fu successore di Galba e governatore della Lusitania (Portogallo);salì al potere grazie alle legioni del Danubio. Governò dal 94 al 99 d.C, quando fu sconfitto da Vitellio. Aulo Vitellio Germanico, chiamato generalmente Vitellio, fu un imperatore romano. Originario della Campania fu imperatore dal 16 aprile al 22 dicembre del 69d.C, terzo a salire sul trono durante l'anno detto dei quattro imperatori. Fu eletto dalle legioni stanziate in Germania e appoggiato dall’Occidente, entrò in Italia con il suo esercito che compie smisurate violenze. Anche egli venne assassinato da una rivolta organizzata dai soldati e dalla plebe. Tito Flavio Vespasiano (in latino: Titus Flavius Vespasianus;, 17 novembre 9 – Roma, 23 giugno 79) meglio conosciuto come Vespasiano, fu un imperatore romano, che governò fra il 69 e il 79 col nome di Cesare Vespasiano Augusto (in latino: Caesar Vespasianus Augustus). Fondatore della dinastia flavia, fu il quarto a salire al trono nel 69 (l'anno dei quattro imperatori) ponendo fine a un periodo d'instabilità seguito alla morte di Nerone. Egli fu governatore in Africa e comandante in Palestina, succede Vitellio perché appoggiato dalle legioni d’ Oriente, da quelle del basso Danubio e delle Pannonia e dell’Illiria « imperatorem stantem mori oportere. » Dopo aver sedato la rivolta degli ebrei in Palestina, da Generale ottenne il comando dell’impero. Al governo di Gerusalemme lasciò il figlio Tito, e si diresse a Roma dove fu accolto da vincitore. Vespasiano fu il primo imperatore non appartenente alla’aristocrazia Romana. Figlio di un contadino di una modesta famiglia sabina divenne pubblicano a Rieti. Dopo una lunga esperienza militare le ribellioni dell’esercito e allontanò dal senato i suoi più ostili oppositori. Proclamato imperatore dalle legioni orientali, da quelle del basso Danubio, della Pannonia e dell’Illiria, nonostante fosse già governatore in Africa e comandante in Palestina, nel 69, pose fine alla guerra civile degli anni 68-69, scoppiata per la successione al trono di Nerone tra Galba, Otone e Vitellio. Vespasiano lasciò allora la conduzione della guerra in Giudea al figlio Tito e ritornò a Roma. Nel 70 sedò la rivolta della tribù germanica dei batavi, guidati da Giulio Civile; contemporaneamente Tito vinse la resistenza di Gerusalemme, espugnandola e distruggendone il centro e il tempio di Salomone. Prima preoccupazione del nuovo principe fu quella di rimpinguare le casse dello stato, dissanguate dalla folle politica di spesa di Nerone e dalle conseguenze economiche della guerra civile. A tale proposito accentuò la pressione fiscale sull’aristocrazia e soprattutto sulle province, creandone anche alcune nuove, soprattutto in quelle zone orientali che Nerone aveva voluto mantenere come regni indipendenti (Tracia, Cappadocia, Galazia, Armenia, Licia, Panfilia, Cilicia, Commagene); alienò inoltre numerose delle proprietà private di Nerone disseminate in varie Zone dell’impero. La sua seconda preoccupazione fu quella di evitare conflitti futuri per la conquista del potere: a questo scopo Vespasiano stabilì che alla sua morte gli sarebbero succeduti i figli Tito, che dal 71 associò al titolo imperiale, proclamandolo imperator designatus, nonché particeps, consors, tutor imperii, concedendogli la tribunicia potestas, la funzione di prefetto del pretorio e assai spesso anche il consolato; e Domiziano che nominò “Cesare”. Per questo cercò di limitare la potenza dell’esercito, facendo modo che questo non potesse più interferire con la politica dello stato e in particolare nelle lotte di successione del potere, favorendo a suo piacere ora uno, ora altri contendenti. Allontanò inoltre gli Italici e aumentò il reclutamento fra i provinciali, determinando numerose conseguenze. Come Augusto, volle risollevare dalla crisi l’Impero Romano e per questo ridusse l’influenza politica dell’esercito smobilitando alcune legioni e allontanando dall’esercito gli Italici. In questo modo l’esercito non poté più interferire nelle vicende dello Stato favorendo ora uno, ora altri contendenti. Per recuperare il numero delle milizie perse dalla cacciata degli Italici, aumentò il reclutamento fra i provinciali. Conseguenze: Tra le positive evidenziamo il riappopolamento dell’Italia in quanto gli Italici allontanati dell’esercito poterono dedicarsi alla produzione agricola nelle zone più fertili della penisola tra quelle negative, con l’arrivo dei provinciali l’Italia perse la sua funzione di Stato guida dell’impero. La diffusione del latino, che fino ad allora era stato un fattore importantissimo per romanicizzare i territori conquistati, non venne più insegnato. L’obbiettivo infatti di Vespasiano era quello di riprendere il programma politico di Cesare e ossia quello di far raggiungere l’equilibrio alle popolazioni presenti nel territorio in modo che non vi fosse distinzione tra la cultura occidentale o quella oriantale. E anche tra le varie classi sociali mirò ad esempio ad estendere il diritto di cittadinanza all’intera Spagna aumentando l’odio provato dal Senato nei suoi confronti ma permettendo l’accesso alle cariche pubbliche agli abitanti della Gallia, rivoluzione importantissima che trasformò per la prima volta la città stato in un governo sopranazionale e universale. L’assoluta mancanza di legami parentali con Giulio Cesare e Augusto, fatto che aveva legittimato il potere dei principi Giulio-Claudi, suggerì a Vespasiano di far votare una legge, la lex de imperio Vespasiani, il cui testo epigrafico ci è rimasto: si trattava di un provvedimento legislativo che sanciva una volta per tutte il ruolo istituzionale dell’imperatore, che diventava così da figura quasi divina che governava in virtù dell’auctoritas, una sorta di magistrato supremo dello stato. Di questo modo il potere assoluto del sovrano,ora legalizzato, sopprimeva ancora di più l’influenza del senato, dell’esercito e dei caratteri teocratici. Si giungeva quindi, quasi ad una sorta di monarchia, dove l’imperatore era libero di compiere qualsiasi atto se ritenuto indispensabile per il progresso o per la difesa dello stato. • Vespasiano non ebbe però troppo consenso né tra le plebe urbana, orfana dei donativi neroniani, né tra l’esercito, cui impose una ferrea disciplina, né tra l’aristocrazia senatoria, impoverita dalle tasse e disturbata dall’immissione in senato di numerosi provinciali ed esponenti del ceto medio italico di estrazione militare. Tutto ciò provocò a Roma, negli anni successivi, alcune forme di opposizione alla sua politica, che l’imperatore sedò con l’espulsione dalla capitale degli intellettuali greci, molti dei quali stoici fautori dell’istituzione repubblicana, e con l’assenso all’uccisione del capo degli oppositori all’interno del senato, Elvidio Prisco. • Oltre alle operazioni politico-militari già menzionate, Vespasiano si preoccupò di rendere più sicuri i domini romani; a questo fine affidò al generale Gneo Giulio Agricola il compito di conquistare la Scozia (77), completando così la sottomissione della Britannia, e di fortificare, con l’inizio dell’istituzione dei cosiddetti Agri Decumates, il limes germanico-retico. Ricordiamo anche la conquista della fortezza di Masada nel deserto di Giuda, dove i numerosi ribelli, dopo un’inutile resistenza preferirono darsi la morte piuttosto che essere fatti prigionieri. Nel 70 d.C suo figlio Tito distrusse completamente Gerusalemme, abbattendo il tempio degli ebrei. Tale azione è ricordata al giorno d’oggi come la “diaspora ebraica”. In politica interna governò saggiamente, migliorando il sistema scolastico e facendo erigere numerose opere pubbliche: ricostruì infatti il tempio di Giove Capitolino e il teatro di Marcello, e diede corso alla costruzione del Colosseo, inaugurato poi sotto il regno del figlio Tito. Tutelò l’arte e la cultura, aprì nuove strade e riformò i costumi, punendo gli scandali, le delazioni e frenando il lusso smodato. Salvaguardò anche la giustizia, infatti sopprimendo i tribunali di lesa maestà riuscì a migliorare l’intera amministrazione dell’impero, ristabilendo la situazione soprattutto dopo la sconvolgente anarchia militare. Vespasiano morì nel 79 lasciando al figlio Tito, che favorì una rapida divinizzazione del padre, un impero bene organizzato, economicamente florido e abbastanza pacifico. Ma soprattutto aveva dato all’istituzione imperiale, dopo le ambiguità dei suoi predecessori, una fisionomia ben precisa . Vespasiano associò assai presto il fratello Domiziano alla gestione diretta del potere, proclamando imperator designatus, nonché particeps, consors, tutor imperii, concedendogli la tribunicia potestas, la funzione di prefetto del pretorio e assai spesso anche il consolato, carica che Tito ricoprì per ben sette volte. Tito mostrò simpatia per i costumi e i valori del mondo orientale, che il padre avversava, così come si oppose e fece troncare il legame che Tito, dopo il fallimento di due matrimoni precedenti, aveva intrecciato con la principessa giudea Berenice. Alla morte del padre nel 79, Tito diventò imperatore, e incominciò subito a favorire il fratello Domiziano nella futura successione, affidandogli la guardia pretoriana e riconoscendogli l’appellativo di consors imperii. • Tito, Flavio Vespasiano fu un imperatore romano appartenente alla dinastia Flavia. Prima di salire al trono ebbe una brillante carriera militare; fu infatti tribuno militare in Germania e in Britannia, e sotto il comando del padre Vespasiano, , partecipò alla guerra giudaica, scatenata da una ribellione degli ebrei. Quando il padre divenne imperatore, nel 69, a Tito fu affidato il comando dell'esercito romano in Palestina, dove portò a termine la guerra con la conquista e la distruzione di Gerusalemme, nel 70 d.C. Nella gestione del potere Tito cercò sempre l'accordo con il senato, e mostrando una notevole indulgenza nell’amministrazione della giustizia, pose un freno all’azione dei delatori e limitò i processi per laesa maiestas, cioè per irriverenza nei confronti del potere; concesse con una certa generosità la cittadinanza romana, favorendo soprattutto la legalizzazione delle famiglie “di fatto” dei veterani. Grazie alla sua prodigalità e ai fastosi spettacoli da lui promossi seppe conquistarsi il favore del popolo: nell'80 portò a termine e inaugurò l'anfiteatro Flavio, chiamato poi Colosseo, iniziato dal padre, e di numerose altre opere pubbliche. Morì nell’81 in Sabina, ove si era recato per cure termali. Lasciò di sé una fama assai positiva, Svetonio lo definì “amore e delizia del genere umano” ma consegnò al fratello Domiziano un impero assai impoverito dalla sua politica di larga spesa. Infatti, lasciò irrisolti i problemi che si erano creati dalle conseguenze delle 3 grandi catastrofi che avevano colpito Roma. Durante il suo governo, l’impero romano fu colpito da 3 grandi calamità. In modo particolare, Roma e l’Italia subirono gravi danni. Appena 2 mesi dopo la morte di Vespasiano tra il 24 e il 25 agosto del 79 d.C un’improvvisa eruzione del Vesuvio causò una vera e propria catastrofe, distruggendo completamente le città di Ercolano, Stabia e Pompei. Dei 20 mila abitanti di Pompei solo un migliaio poté salvarsi. La stragrande maggioranza delle persone infatti restò vittima della violenza crudele della natura, dei gas velenosi esalati dal Vesuvio, delle possenti macerie che resero il territorio come uno sconvelgente paesaggio lunare. Rimaste sotto le ceneri per diversi secoli, ignorate, le città campane furono riportate alla luce con gli scavi del XVIII secolo, grazie soprattutto alle campagne di restauro organizzate da grandi archeologi dopo la formazione del Regno d’Italia nel 1860. Tutt’oggi, grazie agli scavi, le numerose testimonianze recuperate, oltre a rappresentare un patrimonio inestimabile di tesori d’arte di eccezionale valore, hanno permesso di approfondire lo studio e la conoscenza delle usanze e tradizioni romane del tempo. Senza dubbio, il ritrovamento dei resti delle città, scheletri compresi, grazie alle ricerche compiute, ha aiutato enormemente gli storici a consolidare i loro saperi sugli aspetti e sui costumi della società contemporanea. Ricordiamo, tra l’altro, che in questa catastrofe trovò la morte anche lo storico Plinio il Vecchio, recatosi sul luogo del disastro per poterne osservare da vicino gli effetti. Nell’80 d.C. invece la popolazione italiana fu colpita da una terribile pestilenza che decimò ancora di più gli abitanti della penisola, già diminuiti per l’eruzione del Vesuvio. Addirittura successivamente, un’altra sciagura colpì Roma. Dopo il suo incendio del 64 d.C. infatti, se ne propagò un altro, che ridusse in cenere il campidoglio e gran parte della città non ancora ricostruita, seppellendola sotto una coltre quasi di magma. Domiziano è da molti storici considerato una sorta di nuovo Nerone, ma in realtà egli fu il personaggio più illustre appartenente alla dinastia dei Flavi. Egli infatti dimostrò un vivo interesse ai propri doveri, occupandosi in prima persona del funzionamento dei tribunali, delle varie questioni di bilancio e portando a compimento numerose opere pubbliche. Questo suo eccessivo interesse verso la popolazione portò inesorabilmente uno scontro con il senato. Nel 84 d.C. Domiziano infatti si era attribuito la potestà di censore perpetuo, con la conseguente possibilità di allontanare dall’assemblea senatoria quanti si mostravano contrari alla sua volontà. Egli inoltre condannava severamente gli abusi dei magistrati, rendendo così maggior giustizia al popolo, protezione ai piccoli proprietari e vantaggi ai provinciali. Domiziano si circondò di collaboratori fidati, non più scelti tra l’aristocrazia senatoria. Grazie al forte appoggio dell’esrecito, nell’86 d.C. Domiziano divenne sostenitore di un orientamento assolutistico, pretendendo di essere onorato quale “padrone e dio” (dominus ac deus). Per quanto riguarda la politica estera attuata da Domiziano, egli si dimostrò fermamente deciso a rafforzare e consolidare i territori già occupati, ma permise al suo generale Gneo Giulia Agricola di continuare l’assoggettamento della Britannia e di aspirare a nuove conquiste al di là del limite meridionale della Caledonia (Scozia). Nell’83 d.C. Domiziano si recò nella regione renana per condurre personalmente una campagna contro le bellicose popolazioni locali. Così gli eserciti romani occuparono tutto il territorio compreso tra l’alto corso del Reno e quello del Danubio e vi costruirono una cinta fortificata, chiamata limes, costituita sa un insieme di fosse, palizzate, torri di controllo e accampamenti stabili. In Europa orientale le legioni romane subirono una grave sconfitta contro il popolo dei Daci, il cui capo impose ai romani un forte tributo e l’indipendenza della regione. Dopo l’accordo stabilito con i Daci, considerato dagli avversari di Domiziano un vergognoso compromesso, l’attrito tra imperatore e senato aumentò. Si giunse così a una lotta serrata, fatta di congiure e di repressioni. Roma visse in un vero e proprio regime di terrore fino al 96 d.C., anno in cui con una congiura, alla quale aveva aderito la stessa sorella di Domiziano, Flavia Domitilla, Domiziano venne ucciso, appena quarantacinquenne.