L’arte della persuasione
di Sara Olivia Miglietti
I Sofisti
L’epoca moderna
L’oratoria a Roma
dalla retorica sofista
alla propaganda moderna
Intenti e piano generale
• Si vuole tracciare una storia sintetica della retorica (come
strumento di persuasione) analizzando nello specifico i rapporti
che essa intrattiene con la dimensione politica.
• Si intende inoltre toccare con taglio critico il problema della
libertà di parola e di stampa (pluralismo) e della questione se un
pluralismo incontrollato possa condurre a uno stato di oggettiva
disinformazione (mescolanza di notizie fondate e di falsità); di
contro, si vuole mettere in luce il rischio che comporta un
controllo serrato dei mezzi di comunicazione (censura).
Il tutto sarà indagato attraverso opportuni esempi storici.
Momenti cardine
• Atene, V secolo a.C. : l’epoca della prima Sofistica, quando per la
prima volta si mise in crisi la concezione di Verità come entità
assoluta, oggettiva e universalmente riconoscibile, si sviluppò una
teoria cosciente del linguaggio e l’oratoria si definì come techne
regolata da una serie di principi fissi trasmissibili attraverso
l’insegnamento
• Roma, I secolo a.C. – I secolo d.C. : l’età repubblicana e i primi
passi dell’impero, quando si ebbe prima uno sviluppo effimero
ma eccezionale dell’oratoria politico-giudiziaria (Cicerone,
analizzato in particolare nei suoi rapporti di debito e di originalità
rispetto ai Sofisti); uno studio approfondito dei meccanismi della
retorica nonché degli obiettivi e della formazione dell’oratore
(Quintiliano); e un approccio critico al problema dei rapporti tra
oratoria e democrazia (Tacito) che ci introduce al problema del
pluralismo
• I primi decenni del secolo XX, con un excursus riguardante
l’evoluzione liberale del principio della libertà di opinione e di
stampa e il suo destino attraverso i decenni dei regimi totalitari
europei, con il loro sfruttamento intensivo di tecniche
propagandistiche attraverso i nuovi mezzi di comunicazione di
massa (giornali, radio, cinema, fotografia)
Mappa del lavoro
Parte prima - I Sofisti
Parte seconda - L’oratoria a
Roma
- Novità dell’approccio sofista
- Linguaggio e verità (cfr. Fornero)
- Vivere in democrazia (cfr. Geymonat)
- I Sofisti e la morale (cfr. Untersteiner)
- Schopenhauer e la dialettica (brani)
- Aristotele e la dialettica (brani)
- Gorgia e il crollo delle verità
- Gorgia e la parola (brano)
- Il giudizio di Platone nel Gorgia (brano)
- I Ragionamenti doppi (brano)
- L’eredità dei Sofisti
- Tra il IV e il I secolo a.C.
- La retorica a Roma al tempo di Cicerone
(cfr. Flocchini)
- L’oratore per Cicerone
- La forza della parola (brano da Cicerone)
- Probitas e prudentia (cfr. Conte)
- Forma e contenuto (brano da Cicerone)
- Cicerone vs. Sofisti
- La fine della retorica a Roma (cfr.
Flocchini)
- Le diverse letture della decadenza
- Quintiliano e l’Institutio oratoria (brani
dall’I.O.)
- Tacito e il Dialogus de oratoribus (brani)
- Tacito e Cicerone
- Il pluralismo: una questione aperta
Parte terza - L’epoca moderna e il problema del pluralismo
Sul modello liberale pluralista
- Il pluralismo come problema
- Liberali e libertà di stampa (Milton, Locke, Mill)
- I rischi del sistema liberale
- I rischi di un pluralismo illimitato
Sulla Rivoluzione Russa
- John Reed, Dieci giorni che sconvolsero il mondo (brani, compreso il
Decreto sulla stampa di Lenin e l’inizio della censura)
- Le masse e il partito
- “Guidare le masse”
Sull’uso della censura e della propaganda nei totalitarismi
- Mussolini e la stampa
- Hitler e la propaganda (cfr. Mein Kampf, da Kershaw e Broszat)
- La propaganda del Nsdap
- L’oratoria di Hitler (cfr. Mosse)
PARTE PRIMA - I Sofisti
La nascita della retorica e
l’abbattimento delle verità
uniche e precostituite
Novità dell’approccio sofista
• viene elaborata una teoria del linguaggio, che fa dell’eloquenza non più un talento
meramente innato, bensì una techne, cioè una forma di sapere che può essere
insegnata e appresa, perché regolata da un insieme di leggi e di artifici ben precisi
> uso scientifico dell’eloquenza, nascita della retorica;
• si associa al problema del linguaggio una consapevolezza filosofica, ovvero la
nozione dialettica del reale, cui spesso segue il relativismo culturale (vedi gli
anonimi Ragionamenti doppi, le Antilogie protagoree);
• si fa riferimento a una dimensione politica entro cui il linguaggio è uno strumento
imprescindibile di comunicazione e di persuasione (Atene, V secolo a.C.: nascita
della democrazia: necessità di una nuova forma di paideia adeguata alle esigenze
della nuova classe dirigente). D’ora in avanti la retorica sarà indissolubilmente
legata all’attività giudiziaria e politica. Tant’è vero che, venendo a mancare il
retroterra politico (come fu ad esempio a Roma nell’età dell’impero), si assiste a
uno svuotamento di significato della retorica (esiti della Seconda Sofistica,
riflessioni di Tacito nel Dialogus de oratoribus).
Linguaggio e verità
Scrive Fornero: “L’importanza della parola è una delle grandi scoperte dei
Sofisti. Ma essi non si limitarono a celebrarne la potenza, poiché la
tematizzarono sul piano filosofico, studiandone i problematici rapporti con
la realtà e la verità. Per gli antichi filosofi il linguaggio non costituiva un
interrogativo, in quanto essi erano spontaneamente indotti a collegare, e quasi
a non distinguere, fra la cosa reale, il pensiero che la conosce e la parola che
l’esprime. Essi ritenevano che ciò che vale sul piano logico del pensiero
debba valere anche sul piano della realtà e viceversa. Per cui essere =
pensiero = verità. I Sofisti, in virtù della loro nuova impostazione, scuotono
queste primitive certezze e la realtà dall’altro.”
Per la prima volta si prospetta dunque la possibilità che invece di una Verità
inossidabile e accessibile ai “sapienti” esista una pluralità di opinioni,
nessuna più “vera” e incontestabile delle altre, e ognuna potenzialmente
vincente se si sanno impugnare le armi della persuasione.
Vivere in democrazia
Scrive Geymonat: “Vivere attivamente in democrazia significa
partecipare ad assemblee, prendervi la parola, far valere con
efficace discorso la propria opinione frammezzo alle altre
opinioni; e perciò saper pesare la varie accezioni e sfumature dei
vocaboli, avere nell’orecchio le più felici espressioni dei poeti,
riuscire a disporre i periodi in un ordine che incateni
l’attenzione, accenda le fantasie e susciti i consensi: significa
insomma possedere quel complesso di cognizioni grammaticali,
lessicali, sintattiche, stilistiche, letterarie che costituisce l’arte
dell’eloquenza.”
I Sofisti e la morale
Scrive Untersteiner: “Per il Sofista non esiste effettivamente
un’assoluta ορθότης : ορθόν è ciò che talora, mediante ragioni,
può essere reso più verosimile di altro, ciò che soprattutto opera in modo
persuasivo, finché si presenti qualche cosa d’altro più verosimile. […] Il
principio di τόν ήττω λόγον κρείττω ποιει̃ν doveva trovare un particolare
sviluppo nel mondo della retorica, che in quei tempi si imponeva come un
problema pratico e politico, giacché sia nei discorsi giudiziari sia in quelli
deliberativi era necessario, per vincere, saper imporre il proprio punto di
vista, la propria verità, la quale poteva anche non coincidere con la
verità in senso universale: non era dunque la retorica necessariamente
immorale, ma perseguiva fini pratici, cosicché doveva rinunciare a un
atteggiamento teoretico, su cui l’eloquenza non poteva fondarsi. Protagora
non ammette che in ogni dominio sia da attuare, con l’abilità oratoria, in
luogo del bene il male ammantato dal luccichio delle apparenze.”
Schopenhauer e la dialettica
• “La dialettica è l’arte di disputare, e precisamente l’arte di disputare in
modo da ottenere ragione, dunque per fas et nefas.”
• “La verità oggettiva di una proposizione e la validità della medesima
nell’approvazione dei contendenti e degli uditori sono due cose diverse. A
quest’ultima è rivolta la dialettica.”
• “Bisogna separare nettamente il reperimento della verità oggettiva dall’arte di
imporre come vere le proprie tesi. Per formulare la dialettica in modo limpido
bisogna considerarla, senza badare alla verità oggettiva, semplicemente
come l’arte di ottenere ragione, la qual cosa sarà certo tanto più facile se si ha
oggettivamente ragione.”
• “Se ci poniamo come fine la pura verità oggettiva ritorniamo alla mera
logica; se invece poniamo come fine l’affermazione di tesi false abbiamo la
mera sofistica. E in entrambi i casi il presupposto sarebbe che noi sapessimo
già che cosa è oggettivamente vero e falso: ma solo di rado questo è certo in
anticipo.”
(Da L’arte di ottenere ragione)
Aristotele e la dialettica
Nelle Confutazioni sofistiche Aristotele
distingue la dialettica sia dalla sofistica (“una sorta di sapienza
apparente senza esserlo”) sia dall’eristica (“un combattimento
ingiusto nell’opposizione verbale”), per recuperarla come
strumento e procedimento ideale per la speculazione
filosofica: durante una discussione, “essendo in grado di
sviluppare le difficoltà in entrambe le direzioni, in ciascuna
vedremo più facilmente il vero e il falso”; “rispetto alla
conoscenza e alla saggezza che è conforme alla filosofia, non è
compito di poco conto l’essere in grado di abbracciare e d’aver
abbracciato con lo sguardo le conseguenze nel caso di ciascuna
ipotesi: resta infatti soltanto da scegliere correttamente l’una o
l’altra di queste”. Per Aristotele dialettica e filosofia hanno lo
stesso scopo, cioè la conoscenza; la dialettica senza filosofia è
vuota, la filosofia senza dialettica cieca.
Gorgia e il crollo delle Verità
Le tesi contenute nel Περί του μή όντος:
1) niente esiste
2) se anche qualcosa esiste, è inconoscibile per
l’uomo
3) se anche è conoscibile non si può comunicare e
spiegare
Conseguenze:
• Gorgia scardina l’idea di una verità ultima, unica, oggettiva e
universale;
• se una verità ultima delle cose non esiste, pensiero e parola non
sono più in rapporto univoco, ed ogni volta che usiamo il
linguaggio possiamo al massimo perseguire l’obiettivo di una
verità contingente, che vale solo per l’istante in cui la
pronunciamo;
• la parola diventa uno strumento di persuasione onnipotente
Gorgia e la parola
“La parola è un gran dominatore che, con un corpo
piccolissimo e invisibilissimo, divinissime cose sa
compiere; riesce infatti a calmare la paura, a eliminare
il dolore e a suscitar la gioia e a ispirare la pietà… E che la
persuasione, congiunta con la parola, riesca a dare all’anima
l’impronta che vuole, ce lo insegnano soprattutto i discorsi degli
astronomi, i quali, sostituendo ipotesi a ipotesi, distruggendone
una, costruendone un’altra, fanno apparire agli occhi della fantasia
l’incredibile e l’incomprensibile; in secondo luogo le gare oratorie,
nelle quali un discorso scritto con arte, ma non ispirato a verità,
suole dilettare e persuadere la folla; in terzo luogo le schermaglie
filosofiche, nelle quali si rivela anche con che rapidità
l’intelligenza facilita il mutare convinzioni della fantasia. C’è tra
la potenza della parola e l’ufficio dell’anima lo stesso rapporto che
tra l’ufficio dei farmaci e la natura del corpo.”
(Dall’Encomio di Elena di Gorgia)
Il giudizio di Platone nel
Gorgia
Socrate – Da un pezzo mi vado domandando quale mai sarà la potenza di codesta retorica.
Dico la verità, quando ci penso, mi appare per la sua potenza quasi divina.
Gorgia – E più stupiresti, se ne conoscessi tutta la potenza. Perché si può proprio dire che la
retorica concentri in sé tutte le altre potenze e tutte le domini. Te ne voglio dare una
prova evidente. Spesso io stesso mi sono trovato, insieme con mio fratello e con altri
medici, presso qualche ammalato, che si rifiutava di prendere una medicina, o che non
voleva lasciarsi dal medico tagliare o bruciare; e mentre il medico non riusciva a
persuaderlo, io ci riuscivo - e con nessun altro mezzo se non con la retorica. Perciò io
dico che in qualunque città si rechino un oratore e un medico, se è innanzi all’assemblea
popolare o a qualunque altro consesso, attraverso una discussione, che si deve scegliere fra
i due uno come medico, il medico non avrebbe in nessun modo il mezzo di affermarsi e
anche come medico sarebbe preferito l’oratore, dato che egli lo volesse. E con chiunque si
trovasse a competere, io dico che il retore riuscirebbe a farsi eleggere nel confronto con
qualsiasi altro tecnico, perché non vi è cosa in cui un uomo esperto della retorica non
possa riuscire più persuasivo di qualsiasi competente, parlando innanzi a
un’assemblea. Tale e così grande è la potenza di quest’arte.
I Ragionamenti doppi
In quest’opera anonima viene parzialmente confutato il
giudizio negativo di Platone sui Sofisti:
“Io credo che spetti alla medesima persona e alla medesima arte
avere la capacità di discutere con rapide risposte, conoscere la
verità delle esperienze, saper rettamente giudicare, possedere
l’attitudine a fare discorsi politici, sapere l’arte della parola e
insegnare intorno alla natura di tutto in relazione alle sue
proprietà e alla sua origine. Anzitutto, colui che possiede una
conoscenza intorno alla natura di tutto, come non sarà in grado
anche di operare rettamente di fronte a ogni situazione? Inoltre
anche chi conosce l’arte della parola saprà parlare rettamente
intorno a tutto. Infatti è necessario che chi si propone di parlare
rettamente parli intorno a ciò che sa. Di conseguenza egli
s’intenderà di tutto. Egli infatti conosce l’arte di ogni discorso e
tutti i discorsi riguardano la realtà.”
L’eredità dei Sofisti
– Crollo di ogni certezza precostituita > dalla Verità
universale a un mondo di verità personali e
circoscritte > idea pluralistica
– nascita della retorica e dell’oratoria: uno strumento di
persuasione volto esclusivamente a riscuotere il
consenso di un uditorio e a far prevalere la propria
opinione
– “democraticizzazione” dell’eloquenza che diventa un
sapere acquisibile da chiunque
– almeno in nuce, la possibilità di manipolare a proprio
piacimento il consenso dell’uditorio grazie alle
tecniche della retorica
PARTE SECONDA L’oratoria a Roma
• La breve stagione
dell’ oratoria di
Cicerone
• La lenta decadenza
dell’eloquenza nelle
opere di Quintiliano e
di Tacito
Tra il IV e il I secolo a.C.
• si assiste in Grecia al crollo della polis e all’assoggettamento ai
Macedoni: pur restando in vita le istituzioni tradizionali, la
libertà politica delle città stato viene di fatto svuotata di
consistenza, perché le decisioni sostanziali non dipendono più
dalle direttive concordate al loro interno. Di conseguenza,
l’oratoria sviluppatasi ad Atene nel V secolo a.C. va incontro a
un processo di impoverimento che la induce a farsi raffinato
gioco intellettuale senza alcun significato politico;
• si assiste in ambito mediterraneo all’ascesa di Roma, che va
conquistandosi un ruolo egemone sia come potenza politica sia
come centro culturale. Lentamente va sviluppandosi una
“consapevolezza teorica” nel campo della retorica, che si
concretizza nei primi manuali (La Rhetorica ad Herennium e il
De Inventione di Cicerone) che trova appunto in Cicerone la sua
massima espressione.
La retorica a Roma al
tempo di Cicerone
Scrive Flocchini: “Da una parte i Retori, come
ad esempio Menedemo citato nel De oratore, proponevano un metodo
educativo basato esclusivamente sull’apprendimento delle tecniche
dell’eloquenza, senza preoccuparsi dei contenuti, dall’altra i Filosofi
ne contestavano la validità, sostenendo che esso non garantiva la
conoscenza della verità e non insegnava a reggere e amministrare lo
Stato. Cicerone cercò di ricomporre l’antica unità, elaborando un
sistema retorico in relazione alla filosofia e sottolineando che, se
spetta al filosofo indagare e analizzare la verità, è poi compito del
retore divulgarla, ma tutti e due non possono non incontrarsi in zone
determinate del sapere dove una vivisezione netta di principi e
un’assoluta discriminazione di competenze sono nocive e alla retorica
e alla filosofia. Le ipotesi (quaestiones finitae) che rappresentano
l’ambito particolare dell’oratoria, non possono infatti non rimandare a
tesi (quaestiones infinitae) cioè a quei temi generali la cui indagine
spetta alla filosofia: così, ad esempio, in una causa del genus iudiciale,
rientrano le tesi de aequo et iniquo e de iusto et iniusto.”
L’oratore per Cicerone
Cicerone parte da una concezione etica dello Stato: esso deve essere
governato da uomini politici caratterizzati da
1) onestà;
2) acume politico;
3) sapientia;
4) capacità di farsi portavoce degli interessi della comunità
e di essere validi leader dei concittadini.
L’uomo politico viene a coincidere con l’oratore
(vir bonus dicendi peritus) perché non potendo imporre
le proprie scelte sulla città con la forza (stato di natura),
è essenziale che sia in grado di padroneggiare la parola
per persuadere i cittadini a prendere decisioni conformi
ai suoi assunti (stato di diritto).
La forza della parola (I)
“In verità, non c’è niente per me di più bello del potere con la parola dominare gli
animi degli uomini, guadagnarsi le loro volontà, spingerli dove uno voglia, e da
dove voglia distoglierli. Presso tutti i popoli liberi, e soprattutto negli Stati
tranquilli e ordinati, quest’arte è sempre stata tenuta nel massimo onore e ha
sempre dominato. Infatti, che cosa c’è di più meraviglioso del veder sorgere
dall’infinita moltitudine degli uomini uno che da solo o con pochi possa fare quello
che la natura ha concesso a tutti? O di più piacevole a conoscere e sentire di un
discorso abbellito e adorno di saggi pensieri ed elevate espressioni? Che cosa è
così imponente e sublime quanto il fatto che le passioni del popolo, i sentimenti dei
giudici, l’austerità del Senato siano modificati dal discorso di un solo uomo? Che
cosa inoltre è così splendido, così nobile, così liberale quanto il portare aiuto ai
supplici, sollevare gli afflitti, dare salvezza agli uomini, liberarli dai pericoli,
salvarli dall’esilio? Che cosa è così necessario quanto l’avere sempre pronta
un’arma con cui tu possa e difendere te stesso e attaccare gli altri senza tuo danno e
vendicarti se provocato? Orbene per non parlare sempre di foro, tribunali, rostri e
Senato, che cosa ci può essere, per chi è libero da impegni, di più piacevole e di
più degno di una persona colta, di un discorso arguto e bene informato su qualsiasi
argomento?”
La forza della parola (II)
“Noi ci distinguiamo dalle fiere soprattutto per questo, perché sappiamo
conversare ed esprimere con la parola i nostri pensieri. Perciò chi non
ammirerebbe e, a ragione, quest’arte, e non riterrebbe suo dovere studiarla
con tutte le sue forze, onde superare gli stessi uomini in ciò in cui gli uomini
si distinguono massimamente dalle bestie? Ed ora passiamo al punto più
importante della questione: quale altra forza poté raccogliere in un unico
luogo gli uomini dispersi, o portarli da una vita rozza e selvatica a questo
grado di civiltà, o, dopo che furono fondati gli Stati, stabilire le leggi, i
tribunali, il diritto? Non voglio passare in rassegna tutti gli altri vantaggi che
sono quasi infiniti. Per questo condenserò in poche parole il mio pensiero: io
affermo che dalla saggia direzione di un perfetto oratore dipendono non
solo il buon nome dell’oratore stesso, ma anche la salvezza di moltissimi
cittadini e dell’intera Nazione. Perciò continuate, o giovani, la strada
intrapresa e attendete con impegno ai vostri studi, affinché possiate essere di
onore a voi stessi, di utilità agli amici e di giovamento allo Stato.”
(Cicerone, De oratore, I, 30-34)
Probitas e prudentia
Scrive Conte: “Il talento, la tecnica della
parola e del gesto e la conoscenza delle regole
retoriche non possono ritenersi bastevoli per la
formazione dell’oratore: si richiede invece una vasta formazione
culturale. E’ la tesi di Crasso il quale lega strettamente la
formazione culturale (soprattutto filosofica, con privilegiamento
della filosofia morale) dell’oratore alla sua affidabilità
etico/politica. La versatilità dell’oratore, la sua capacità di
sostenere il pro e il contra su qualsiasi argomento, riuscendo
sempre a convincere e a trascinare il proprio uditorio, possono
costituire un pericolo grave, qualora non vengano controbilanciate
dal correttivo di virtù che le mantengano ancorate al sistema di
valori tradizionali, in cui la “gente perbene” si riconosce. Crasso
insiste perché probitas e prudentia siano saldamente radicate
nell’animo di chi dovrà apprendere l’arte della parola: consegnarla
a chi mancasse di tale virtù equivarrebbe a mettere delle armi nelle
mani di forsennati (III, 55).”
Forma e contenuto
“L’arte del dire non ha modo di rifulgere se l’oratore non ha studiato
profondamente i problemi che dovrà trattare.
Una caratteristica di coloro che parlano bene è certamente questa: uno stile
armonioso e forbito, che si distingue per la sua elegante fattura. Ma un tale
stile, se non poggia sopra un argomento perfettamente conosciuto dall’oratore,
inevitabilmente o non ha alcuna consistenza o è deriso da tutti. Quale stoltezza
può eguagliare un vuoto fragore di parole, perfino le più scelte ed eleganti, che
non siano sostenute da un pensiero e dalla perfetta conoscenza dell’argomento?
Pertanto qualunque sia l’argomento, a qualunque arte o disciplina appartenga,
purché l’abbia bene studiato, come fa per la causa del cliente, l’oratore lo
esporrà con maggiore competenza ed eleganza dello stesso inventore e provetto
intenditore. E se qualcuno sostiene che vi sono determinati argomenti e
problemi propri degli oratori e una speciale scienza limitata ai tribunali, io
ammetterò che il nostro genere di eloquenza si interessa con maggior frequenza
di questi problemi; tuttavia in questo ristretto spazio ci sono moltissime
nozioni, che non vengono insegnate e che non sono neanche conosciute dai
cosiddetti retori.”
(Cicerone, De oratore, I, 48; 50-54)
Cicerone vs. Sofisti
• Cicerone riconcilia retorica
(quaestiones finitae) e filosofia
(quaestiones infinitae) nella
figura dell’oratore
• Cicerone fonda l’intero suo
sistema su un concetto etico di
Stato
• la retorica per Cicerone è
anch’essa un sapere unificatore
e universale
• la parola non ha in sé la propria
ragion d’essere ma è legata al
messaggio etico che deve
trasmettere. La persuasione è il
fine ultimo ma può essere
legittimamente operata solo
dall’uomo onesto che conosce e
opera il bene
• i Sofisti separano pensiero e
parola abolendo il concetto di
una Verità universale ed
elaborando il concetto di una
verità finita e arbitraria
• i Sofisti rifiutano l’idea di una
politica basata sull’etica
riconoscendo che i principi
morali sono essi stessi relativi e
non possono pertanto fungere
da criterio di giudizio
• la dialettica per i Sofisti è una
“sovrascienza”, un sapere
unificatore e universale
• la parola è completamente
svincolata da un significato
particolare: è lo strumento con
cui chiunque, conoscendone la
tecnica, può operare la
persuasione
La fine della retorica a Roma
Scrive Flocchini: “La vera grande retorica a Roma ebbe, si può dire,
la vita di una generazione e Cicerone ne fu il punto di partenza e di
arrivo insieme. Dopo di lui infatti la grande oratoria morì soffocata
dalle nuove strutture politiche in cui non c’era più spazio per
l’eloquenza, che solo dal foro e dalla vivacità della vita politica
aveva tratto alimento. L’eclissi del Senato e del foro come centri
decisionali tolse ogni credibilità alla tradizionale funzione
dell’oratore e l’eloquenza quindi, isterilita e devitalizzata, ripiegò
nelle sale di recitazione secondo la moda introdotta da Asinio
Pollione. L’unità di retorica e moralità, teorizzata e
appassionatamente difesa da Cicerone, inevitabilmente si ruppe e si
ebbe il trionfo della retorica pura, delle regole, di una normativa
sempre più sofisticata e fine a se stessa.”
Le diverse letture della
decadenza
Il cambiamento fu evidente agli occhi di tutti coloro che
vissero in quest’epoca, da Seneca il Vecchio a Petronio
(che nei libri I e II del Satyricon inserisce un dibattito sulla
decadenza dell’eloquenza), da Quintiliano a Tacito.
Del fenomeno furono date diverse letture:
a) stilistico - formale e mirante a evidenziare il
decadimento dei costumi (> Quintiliano)
b) storico - politica e mirante a fornire una spiegazione
più pragmatica (> Tacito)
Quintiliano e l’Institutio
oratoria
• Obiettivo: restaurazione dell’eloquenza
• Strumento: rigenerazione del sistema
didattico - educativo attraverso un
programma complessivo di formazione
culturale e morale che il futuro oratore deve
seguire scrupolosamente dall’infanzia fino
all’ingresso nella vita pubblica.
• Presupposto: la decadenza dell’eloquenza è
dovuta alla rilassatezza dei costumi.
Educando i futuri oratori a un regime di
onestà e di virtù si rinnoverà l’intera
retorica.
Il problema della retorica
Nel secondo libro, Quintiliano si sofferma ad analizzare la
natura, il fine e l’utilità della retorica:
“Prima di tutto vediamo che cosa sia la retorica che viene definita
invero variamente, ma che presenta due questioni: si discute infatti
sulla qualità della cosa stessa o sul collegamento delle parole. La
prima e principale differenza delle opinioni è su questo punto: alcuni
ritengono che anche gli uomini disonesti si possano chiamare oratori,
altri (dei quali seguiamo il parere) vogliono che questo nome e l’arte
della quale parliamo sia da attribuirsi solo agli uomini onesti. […]
E’ frequentissima la definizione che la retorica sia la forza della
persuasione.”
Quintiliano dissente; egli non è d’accordo neppure sull’assunto che il
fine dell’oratore sia quello di “condurre gli uomini col dire” a quello
che egli vuole. Infatti ci sono altri che persuadono con le parole o
inducono gli uomini a ciò che vogliono, “come le meretrici, gli
adulatori, i seduttori. Invece l’oratore non persuade sempre, cosicché
talvolta non è il suo fine e talvolta gli è comune con quelli che sono
molto lontani dall’oratore”.
La scienza del ben parlare
“Sembra che pensasse allo stesso modo di coloro che ho detto anche Cornelio Celso, le cui
parole sono: “L’oratore cerca soltanto il verosimile”. Quindi, poco dopo: “Perché non la
buona coscienza, ma la vittoria della causa è il premio di colui che indice una causa”. Se
queste cose fossero vere, sarebbe da uomini assai disonesti fornire così dannosi strumenti
alla malvagità della natura degli uomini e giovare con precetti ad essa. Ma essi vedano il
motivo della loro opinione.
Quanto a noi che ci siamo accinti a formare un perfetto oratore che soprattutto
vogliamo che sia uomo onesto, ritorniamo a coloro che su questa arte hanno una opinione
migliore. Ora alcuni hanno creduto che la retorica fosse la medesima cosa che la politica:
Cicerone la chiama una parte della scienza civile. Ora la scienza civile equivale alla
sapienza. Altri la chiamano anche una parte della filosofia, tra costoro c’è Isocrate. Infatti,
non solo abbraccia tutte le virtù dell’oratore, ma comprende anche i costumi dell’oratore,
non essendoci altro che l’uomo onesto che possa parlare bene. […] La retorica è la scienza
del ben parlare, dal momento che, quando si è trovata la cosa migliore, chi cerca altro
vuole trovare cosa peggiore. Approvata questa definizione, è chiaro anche quale sia il suo
fine o quale sia il suo sommo ed ultimo obiettivo, che è detto τέλος, al quale tutta l’arte
tende. Infatti se essa è la scienza del parlare bene, il suo fine e il suo supremo obiettivo è il
parlar bene.”
L’uso disonesto della retorica (I)
“Segue la questione se la retorica sia utile. Infatti
alcuni sogliono scagliarsi con furia contro di essa e, quel che
è più indegno, per accusare l’eloquenza adoperano le forze
dell’eloquenza. L’eloquenza sarebbe quella che sottrae alle pene
gli scellerati e coi suoi artifici fa condannare talvolta gli onesti,
porta al peggio ogni deliberazione e suscita non solo torbidi e
sedizioni popolari, ma anche guerre implacabili quando riesce a
sostenere le menzogne contro la verità. In questo modo, per la
verità, né saranno utili i comandanti di eserciti, né i magistrati, né
la medicina, né infine la stessa sapienza. Infatti non furono utili il
capitano Flaminio e i magistrati Gracchi, Saturnino, Glaucia; nelle
medicine sono stati trovati veleni e in quelli che usano male del
nome di filosofi sono state scoperte talvolta gravissime infamie.
Non tocchiamo i cibi, spesso causarono infermità; non entriamo
mai nelle case, talvolta crollano sopra a coloro che vi abitano. Non
si fabbrichi spada per il soldato, l’assassino può valersi della
medesima arma.”
L’uso disonesto della retorica
(II)
“Per parte mia, ritengo che né i fondatori di città sarebbero
giunti diversamente a far sì che quella moltitudine di genti
vagabonde si unissero a formare dei popoli se non
l’avessero convinta con una sapiente arte oratoria; né i
legislatori avrebbero ottenuto, senza una eloquenza
straordinaria, che gli uomini da soli si sottomettessero al
giogo delle leggi. Anzi, gli stessi precetti della morale,
anche se per natura sono onesti, hanno più forza a formare
le menti quando un discorso splendido illumina la bellezza
degli argomenti. Perciò, anche se le armi dell’eloquenza
valgono in un senso e nell’altro opposto, tuttavia non è
giusto ritenere cosa cattiva ciò di cui si può fare buon uso.”
Dire il falso in buona fede?
“Accusano la retorica anche di far uso di difetti, cose che nessuna
arte fa; perché essa dice il falso e muove le passioni. Di queste due
cose nessuna è turpe, quando muove da buone ragioni e perciò non è
un difetto. Infatti dire il falso talvolta è concesso anche al sapiente
e, se non si potrà indurre il giudice all’equità non diversamente che
col muovere le passioni, l’oratore dovrà necessariamente muoverle.
Infatti, ignoranti sono quelli che giudicano e spesso bisogna
ingannarli proprio per impedire loro di sbagliare. Perché se mi
dessero giudici saggi, assemblee e concili di saggi, se nessun potere
avesse l’invidia, né il favore, né i preconcetti ed i falsi testimoni,
poco posto vi avrebbe l’eloquenza e servirebbe solo a dilettare. Se
invece gli animi degli ascoltatori sono volubili e la verità è impedita
da tanti ostacoli, si deve combattere con l’artificio ed i mezzi che
possono giovare. Infatti chi ha smarrito il cammino diritto non
può esservi ricondotto se non con un altro giro.”
Tacito e il Dialogus
de oratoribus
Nell’opera si confrontano differenti punti di vista sull’oratoria
ai tempi del principato:
1) chi la ritiene superiore a quella degli antichi (> Apro)
2) chi ne lamenta la degenerazione (> Messalla e Materno).
Ma tra Messalla e Materno emerge un contrasto sulle cause di tale degenerazione
(contrasto che rispecchia presumibilmente i dibattiti in corso al tempo di Tacito,
allievo a sua volta di Quintiliano insieme a Plinio il Giovane).
> Messalla attribuisce le cause della decadenza dell’oratoria alla corruzione dei
costumi e all’impreparazione culturale dei nuovi oratori
> Materno attribuisce le cause della decadenza dell’oratoria alla perdita della libertà
da parte dello stato, o meglio, alla raggiunta pacificazione di quest’ultimo
Tacito non vuole proporre soluzioni come fa invece Quintiliano: accetta l’esistenza
del principato come minore dei mali, e si limita ad analizzare storicamente la
situazione
L’impreparazione dei nuovi
oratori
Parla Messalla:
“Non mi si venga a dire che basta avere di volta in volta delle semplici e generali
informazioni sull’argomento. Grande è la differenza tra l’usare ciò che è nostro e
ciò che invece ci viene dato in prestito, tra il possedere i concetti che si
espongono e il prenderli invece da altri; ed inoltre una cultura vasta è di
ornamento in altre circostanze. E di questo non solo la persona colta ed esperta,
ma anche il popolo si accorge, e con le sue lodi riconosce che colui che parla ha
seriamente studiato, conosce tutte le forme dell’eloquenza ed è insomma un vero
oratore; quale anch’io affermo che non possa esistere né mai essere esistito, se
non scende nel foro armato di tutte le scienze, come un combattente in campo,
fornito di tutte le armi. Gli avvocati dei nostri tempi tengono invece in così poco
conto tutto questo che nelle loro arringhe si scoprono i vergognosi difetti del
linguaggio volgare; ignorano le leggi, non conoscono le deliberazioni del senato,
e perciò si prendono gioco del diritto civile, hanno un profondo terrore per lo
studio della filosofia e i precetti dei filosofi.”
Oratoria e democrazia
Parla Materno:
“In verità le continue adunanze, il diritto di assalire i cittadini più
potenti e il vanto che derivava dalle grandi inimicizie – perché moltissimi oratori
non risparmiavano neppure Scipione, Silla o Pompeo, ed eccitati dall’astio
nell’attaccare uomini tanto importanti non rifuggivano dai modi più istrionici e
volgari – quanto ardore suscitavano negli ingegni, quale fiamma infondevano
all’eloquenza! Non stiamo parlando di un’arte oziosa e quieta, che ami l’onestà e
la moderazione: la grande, sublime eloquenza è alunna della licenza, che gli stolti
chiamavano libertà, compagna dei tumulti, incitatrice del popolo sfrenato,
incapace di rispetto ed obbedienza, fiera, tracotante e temeraria, quale non può
allignare negli Stati ben ordinati. Quali oratori ebbe mai Sparta, quali Creta? Ma
quelle città avevano disciplina e leggi quanto mai severe. Neppure tra i Macedoni,
i Persiani o altri popoli retti da governi stabili troviamo traccia di eloquenza.
Qualche oratore ebbe Rodi, moltissimi Atene, dove tutto poteva il popolo, tutto gli
ignoranti, tutto, per così dire, tutti. Anche la nostra città, finché vagò sperduta e si
lacerò nelle discordie e nelle lotte di parte, finché non ci furono pace nel foro,
concordia nel senato, moderazione nei tribunali, rispetto verso i magistrati e limiti
al loro potere, ebbe indubbiamente una eloquenza più vigorosa, allo stesso modo
che un campo non coltivato produce talvolta erbe più rigogliose.
Tacito e Cicerone
Tacito utilizza esattamente la medesima espressione di
Cicerone in De oratore 1, 30 ma traendone conclusioni
opposte: per Cicerone l’oratoria non può che svilupparsi
nella repubblica, perché essa è l’unico ordinamento in cui
la libertà d’espressione, il pluralismo, la possibilità di
incidere concretamente sul corso degli eventi siano
oggettivamente garantiti; Tacito sostiene invece che
l’oratoria sia strettamente connessa all’ordinamento
repubblicano perché quest’ultimo si configura come una
situazione di disordine e licenza, in cui è lecito dire tutto e
il contrario di tutto, perseguendo il proprio interesse
particolare, senza incorrere in alcuna sanzione.
Il pluralismo: una questione aperta
Fino a quale punto può essere garantita piena libertà di
espressione all’individuo (soprattutto a figure di riferimento
come, ai nostri giorni, gli intellettuali e i giornalisti), senza che
questo significhi legittimare ogni sorta di giudizio su qualunque
materia, cosa che rischierebbe di generare soltanto confusione e
disinformazione? Garantire il pluralismo significa permettere
anche che circolino notizie manipolate scientemente, o si può
concepire un qualche organo di controllo che sottoponga a vaglio
critico le diverse posizioni presentate, per evitare che, soprattutto
in una società massificata come la nostra in cui ogni notizia ha
immediata e vastissima risonanza, si faccia disinformazione più
che informazione? Ma entro quali limiti, in tal caso, sarebbe
autorizzabile la sua azione, considerando il rischio che
un’operazione come la censura può comportare? Chi può
realmente discernere le opinioni “giuste” da quelle “sbagliate”?
E’ insomma da garantire più strenuamente la libertà di informare
o il diritto di essere informati? E le due cose sono davvero
inconciliabili?
PARTE TERZA: l’epoca moderna
e il problema del pluralismo
Una scena da “Citizen Kane” di Orson
Welles
• Il sistema liberale:
vantaggi e pericoli
• Un esempio di
anarchia
dell’informazione: la
Russia rivoluzionaria
di John Reed
• La politica nell’epoca
della società di massa
• Propaganda e
totalitarismi (fascismo
e nazismo)
Il pluralismo come problema
Alcune scuole di pensiero sostengono, spesso in maniera
discutibile, l’equazione pluralismo = disinformazione, sostenendo
ad esempio, come fa Gabutti su “Il Nuovo”, che:
“Non è in questione, con il “pluralismo”, la qualità della
informazione, se cioè l’informazione sia attendibile e non
manipolata, ma la sua spartizione politica e ideologica, affinché a
tutte le chiese elettorali sia riconosciuto il diritto di manipolare le
notizie liberamente e a proprio vantaggio: un principio passato
alla storia della neolingua italiana come par condicio.”
Al di là dell’eccessività di alcune affermazioni, il problema
proposto nell’articolo è effettivamente di ampia portata, perché
investe i fondamenti stessi della democrazia.
Liberali e libertà di stampa
• 1644: Milton pubblica Areopagitica, in
difesa della libertà di stampa
• 1694: l’Inghilterra, prima tra tutti i paesi
europei, abolisce la censura sulla stampa
nazionale. La libertà di stampa diventa un
cavallo di battaglia dei liberali, che vedono
in essa uno strumento chiave per rendere
efficaci i diritti civili, diffondere
informazione e garantire una pluralità di
punti di vista.
a - per John Milton la libertà di stampa
garantisce un forum che permette all’uomo
di discernere tra bene e male
b - per John Locke essa garantisce la libertà
dell’individuo dall’elite politica dominante
c - per John Stuart Mill essa è il solo mezzo
per impedire che le nozioni si trasformino in
dogma
John Milton
John Locke
John Stuart Mill
I rischi del sistema liberale
a - con l’espandersi del bacino di utenza, i costi di manutenzione per
un giornale sono cresciuti > concentrazione dei media nelle mani dei
grandi capitali > monopoli editoriali che hanno reso i giornali voce
di ristretti gruppi di potere (lo stesso ragionamento può essere esteso
ai nuovi mezzi di comunicazione e in particolare alle televisioni,
dove il problema della concentrazione è reso ancora più urgente
dall’esistenza di un ventaglio limitato di frequenze disponibili);
b - il mercato della stampa si è via via regolato secondo i medesimi
criteri di domanda e offerta di qualunque altro settore dell’economia
> la stampa, ma in maniera ancora più evidente la televisione,
diventa un prodotto che deve prima di tutto rispondere al requisito
della vendibilità: il rischio che si profila è che cada così in secondo
piano la funzione primaria dei mass media, ovvero quella di
informare la gente piuttosto che di andare incontro ai gusti dei
“consumatori”.
I rischi di un pluralismo
illimitato
Se la censura è un pericolo e una violazione
inammissibile delle libertà individuali, esistono
tuttavia anche dei rischi comportati dal pluralismo.
Presentando una affianco all’altra una quantità
indiscriminata di posizioni che si contraddicono
reciprocamente, il pubblico – specialmente se si
tratta di un pubblico profano, solo mediamente
informato e dunque in cerca di riferimenti – si
ritrova spesso disorientato, e c’è il rischio che il
pluralismo da confronto costruttivo si tramuti in
un’anarchia sterile di opinioni divergenti.
John Reed, Dieci giorni che
sconvolsero il mondo
• La situazione culturale delle masse russe
alla vigilia della Rivoluzione d’Ottobre (I
e II)
• La mancanza di una censura rigida e la
contraddittorietà delle notizie diffuse tra
le masse (III, IV, V, VI)
• Il Decreto sulla stampa emanato dai
bolscevichi una volta al potere (VII, VIII)
• Il difficile sforzo compiuto dalle masse
per comprendere la situazione politica a
partire dalle notizie apprese (IX e X)
• La tattica propagandistica di Lenin (XI e
XII)
La situazione culturale (I)
“Al fronte i soldati lottavano contro gli ufficiali e, nei loro comitati, imparavano
l’autogoverno. Nelle fabbriche, i comitati di fabbrica, queste organizzazioni
uniche, acquistavano forza ed esperienza e prendevano coscienza della loro
missione storica di lotta contro il vecchio ordine. Tutta la Russia stava imparando
a leggere e leggeva – di politica, di economia, di storia – perché la gente voleva
sapere… in ogni città, in quasi tutte le cittadine, al fronte, ogni gruppo politico
aveva il suo giornale e a volte ne aveva più d’uno. Centinaia di migliaia di
opuscoli venivano distribuiti da migliaia di organizzazioni e si riversavano tra i
soldati, nei villaggi, nelle fabbriche, nelle strade. La sete di istruzione, non
soddisfatta per tanto tempo, con la rivoluzione esplodeva in una frenesia di
espressioni. Solo dall’istituto Smol’nyi nei primi sei mesi, ogni giorno uscirono
tonnellate, carrette, vagoni di libri, che saturarono tutto il paese. La Russia
assorbiva insaziabile la parola scritta come sabbia ardente assorbe l’acqua. E non
si trattava di favole, di storia falsificata, di religione annacquata, di romanzi
corruttori da quattro soldi, ma di teorie sociali ed economiche, di filosofia, delle
opere di Tolstoj, di Gogol’, di Gor’kij.”
La situazione culturale (II)
“E quale funzione aveva la parola!
I “torrenti dell’eloquenza francese” di
cui parla Carlyle erano una pura bazzecola.
Conferenze, dibattiti, discorsi, nei teatri,
nei circhi, nelle scuole, nei circoli, nelle
sale di riunione dei soviet, nelle sedi dei
sindacati, nelle caserme… riunioni nelle
trincee al fronte, nelle piazze dei villaggi,
nelle fabbriche… che spettacolo meraviglioso vedere dalle Officine Putilov
riversarsi fuori quarantamila operai per ascoltare i socialdemocratici, i
socialisti rivoluzionari, gli anarchici, chiunque, qualunque cosa avevano da
dire, fino a quando volevano parlare! Per mesi a Pietrogrado, in tutta la
Russia, ogni angolo di strada fu una tribuna pubblica. Nei treni, nei tram,
dovunque, nascevano discussioni e dibattiti… […] Ad ogni riunione
venivano respinti i tentativi di limitare la durata dei discorsi e ciascuno era
libero di esprimere quello che sentiva dentro…”
Verità e menzogna (III)
“Al Consiglio della Repubblica Kerenskij dichiarò che
il governo era pienamente consapevole dei preparativi
bolscevichi e che disponeva di forze sufficienti per far
fronte a qualunque dimostrazione. Accusò tanto la
“Novaja Rus’” quanto il “Rabočij put’” di svolgere
opera di sovversione e aggiunse che grazie all’assoluta
libertà di stampa, il governo non aveva la possibilità di
combattere le menzogne stampate… Dichiarando che
questi erano due aspetti del medesimo tipo di
propaganda, che si proponeva come scopo una
controrivoluzione ardentemente desiderata dalle forze
occulte, proseguì: “Io sono un uomo condannato, e non
ha nessuna importanza che cosa mi accadrà. Ho però il
coraggio di dire che l’altro elemento enigmatico è
l’incredibile provocazione creata nella città dai
bolscevichi!”
Kerenskij rappresentato in
una scena di “Ottobre” di
Ejzenštejn
Verità e menzogna (IV)
“Voglio citarvi i passaggi più caratteristici di un’intera serie di articoli pubblicati su
“Rabočij put’” da Ul’janov Lenin, criminale di Stato attualmente nascosto e che noi
cerchiamo di trovare… Questo criminale di Stato ha invitato il proletariato e la
guarnigione di Pietrogrado a ripetere l’esperienza del 16 e 18 luglio e perora
l’immediata necessità di una sollevazione armata… […] Devo segnalare che le
espressioni e lo stile di un’intera serie di articoli del “Rabočij put’” e del “Soldat”
assomigliano moltissimo a quelli della “Novaja Rus’”… Abbiamo a che fare non tanto
con il movimento di questo o quell’altro movimento politico, quanto con lo
sfruttamento dell’ignoranza politica e degli istinti criminali di una parte della
popolazione, da parte di una specie di organizzazione il cui scopo è quello di
provocare in Russia, costi quel che costi, una folle ondata di distruzioni e saccheggi.”
Qui Kerenskij lesse una citazione da un articolo di Lenin: “Pensateci!… i compagni
tedeschi hanno il solo Liebknecht, non hanno né giornali né libertà di riunione né
soviet… hanno di fronte l’incredibile ostilità di tutte le classi della società… e tuttavia
i compagni tedeschi cercano di agire. Mentre noi, che abbiamo dozzine di giornali,
libertà di riunione, la maggioranza nei soviet, noi, i proletari internazionalisti che
godiamo della miglior situazione di tutto il mondo, possiamo rifiutarci di appoggiare i
rivoluzionari tedeschi e le loro organizzazioni insurrezionali?” Kerenskij quindi
proseguì: “Gli organizzatori della ribellione riconoscono così implicitamente che ora in
Russia vigono le condizioni ideali perché un partito politico sia libero di agire.”
Verità e menzogna (V)
“Fratelli cosacchi! Vi si conduce contro
Pietrogrado. Vogliono costringervi a combattere
contro gli operai rivoluzionari e i soldati della
capitale. Non credete a una parola di ciò che
dicono i grandi proprietari terrieri e i capitalisti,
nostri comuni nemici.”
“Non credete alle promesse dei bolscevichi! La
promessa di pace immediata è una menzogna! La
promessa del pane una truffa! La promessa della
terra una favola…”
“Compagni! Siete stati crudelmente ingannati! La
presa del potere è stata effettuata dai soli
bolscevichi… Essi hanno nascosto il complotto a
tutti gli altri partiti socialisti che compongono il
soviet… Vi è stata promessa la terra e la libertà
ma la controrivoluzione approfitterà dell’anarchia
scatenata dai bolscevichi e vi priverà della terra e
della libertà…”
“Il nostro dovere è quello di smascherare questi
traditori della
classe operaia…”
Verità e menzogna (VI)
L’aneddoto del principe Tumanov:
“Secondo molti giornali il suo corpo era stato trovato
galleggiante sul canale della Mojka. Alcune ore dopo la
famiglia del principe smentì la notizia precisando che il
principe era stato arrestato; la stampa quindi identificò il
cadavere come quello del generale Denisov. Essendo
ritornato in vita anche il generale, noi svolgemmo delle
indagini, e non riuscimmo a trovare una qualsiasi traccia di
un cadavere ritrovato da qualche parte…”
Decreto sulla stampa (VII)
“Nell’ora seria e decisiva della rivoluzione e nei giorni che immediatamente la
seguono, il Comitato provvisorio rivoluzionario è costretto ad adottare una serie di
misure contro la stampa controrivoluzionaria di tutte le tendenze.
Immediatamente, da ogni parte, si è preso a gridare che il nuovo potere socialista
così agendo violava i principi essenziali del suo stesso programma, attentando alla
libertà di stampa.
Il governo degli operai e dei contadini richiama l’attenzione della popolazione sul
fatto che, nel nostro paese, dietro questo paravento liberale, si nasconde la libertà
delle classi abbienti di prendersi la parte del leone dell’intera stampa e, così, di
intossicare l’opinione pubblica e confondere la coscienza delle masse. Tutti sanno
che la stampa borghese è una delle armi più potenti della borghesia. Specialmente
in questi momenti critici in cui il potere degli operai e dei contadini si sta ancora
consolidando, è impossibile lasciare la stampa nelle mani del nemico, in quanto
essa non è meno pericolosa delle bombe e delle mitragliatrici. Ecco perché sono
state adottate misure temporanee e straordinarie allo scopo di arrestare l’ondata di
infamie e di calunnie nella quale la stampa gialla e verde sarebbe felice di far
annegare la giovane vittoria del popolo.”
Decreto sulla stampa (VIII)
“Non appena il nuovo ordine sarà consolidato tutte le misure amministrative
contro la stampa verranno annullate; e verrà restituita la piena libertà, entro i limiti
della responsabilità della legge, in armonia con leggi più aperte e più progredite…
Tuttavia, tenendo presente il fatto che qualunque restrizione della libertà di
stampa, persino in momenti critici, è ammissibile solo in quanto dovuta alla
necessità, il Consiglio dei commissari del popolo decreta quanto segue:
1 – Verranno sottoposte a sequestro le seguenti categorie di giornali: a) quelli che
incitano alla resistenza aperta o alla disobbedienza verso il governo degli operai e
dei contadini; b) quelli che creano confusione travisando chiaramente e
deliberatamente le notizie; c) quelli che incitano a commettere reati puniti dalla
legge
2 – La chiusura temporanea o definitiva di qualunque organo di stampa verrà
effettuata solo in virtù di una decisione del Consiglio dei commissari del popolo
3 – Il presente decreto ha carattere temporaneo e sarà revocato da uno speciale
ukaz quando la normalità sarà ristabilita
Il presidente del Consiglio dei commissari del popolo: Vladimir Ul’janov (Lenin)”
Voglia di capire (IX)
“Mai mi è capitato di vedere degli uomini che cercavano con
tanta intensità di capire, di decidere. Non si muovevano,
fissavano con una sorta di terribile concentrazione l’oratore, le
sopracciglia aggrottate nello sforzo di pensare, le fronti coperte
di gocce di sudore; uomini giganteschi dagli occhi chiari e
innocenti di bambini e il volto di guerrieri da epopea. Poi parlò
un bolscevico, uno dei loro, con violenza, con odio. Non gli
piacque più di quanto gli fosse piaciuto l’altro.
Non era quello il loro stato d’animo.
Per il momento erano vennero sollevati
dal corso dei soliti pensieri, e portati a
pensare alla Russia, al socialismo, al mondo
intero, come se dipendesse da loro la vittoria
o la sconfitta della rivoluzione…”
Ragionare “per bianco o nero” (X)
I soldati avevano l’aria di essere umiliati e a disagio, come dei bambini
rimproverati ingiustamente. Un giovanotto alto dall’aria arrogante, vestito con uniforme
da studente, guidava l’attacco.
“Vi rendete conto, suppongo,” disse con insolenza, “che prendendo le armi contro i vostri
fratelli accettate di essere gli strumenti di un gruppo di assassini e di traditori?”
“Ecco, fratello,” rispose uno dei due soldati, con convinzione. “Tu non capisci. Ci sono
due classi, vedi, il proletariato e la borghesia. Noi…”
“Oh, le conosco queste scemenze!” lo interruppe bruscamente lo studente. “Voialtri
contadini ignoranti, basta che sentiate ragliare qualche slogan. Non capite neanche che
cosa significano. Vi limitate a ripeterli come un mucchio di pappagalli.”
La folla scoppiò a ridere. “Io sono uno studente marxista e ti dico che non è il socialismo
quello per cui voi state lottando. E’ solo anarchia filotedesca!”
“Oh, sì, lo so,” rispose il soldato, con la fronte bagnata di sudore. “Tu sei una persona
istruita, lo si vede subito, e io sono un ignorante. Ma a me sembra…”
“Immagino,” lo interruppe l’altro in tono sprezzante, “che tu credi che Lenin sia un vero
amico del proletariato.”
“Certo che lo credo,” rispose il soldato, a disagio.
“Bene, amico mio, lo sai che Lenin ha attraversato la Germania su un vagone piombato?
Lo sai che Lenin ha preso soldi dai tedeschi?”
“Beh, non sono molto al corrente,” rispose il soldato, cocciuto. “Ma a me pare che quello
che lui dice è quello che voglio sentire io e tutta la gente ignorante come me. Ora, ci
sono due classi, la borghesia e il proletariato…”
L’oratoria di Lenin (XI)
“Nient’affatto adatto per essere l’idolo della folla, fu amato e venerato
quanto pochi capi nella storia lo sono stati. Uno strano capo popolare,
capo per le sue sole doti intellettuali. Incolore, privo di umorismo,
intransigente e distaccato, senza idiosincrasie pittoresche – ma dotato
della capacità di spiegare idee profonde in termini semplici, di
analizzare le situazioni concrete. Il tutto combinato con l’acutezza e con
una grandissima audacia intellettuale. “
“Infine fu il turno di Lenin, che si afferrava
al parapetto della tribuna, muovendo sugli
astanti i piccoli occhi socchiusi, fermo, in attesa,
apparentemente insensibile alla lunga ovazione
che si prolungò per diversi minuti. Quando fu finita
disse semplicemente: “Ora procederemo all’edificazione
dello stato socialista!” Di nuovo questo schiacciante
boato umano.”
L’oratoria di Lenin (XII)
“In proclami eloquenti diffusi in tutta la Russia
Lenin spiegava al popolo la rivoluzione con
parole semplici, lo esortava a prendere il potere
nelle proprie mani, a spezzare con la forza la
resistenza delle classi possidenti e a impadronirsi
con la forza delle istituzioni governative. Ordine
rivoluzionario. Disciplina rivoluzionaria. Conti e
controlli rigorosi. Niente scioperi! Niente
pigrizia!”
“Seguendo la tattica di appellarsi direttamente
alle masse, Lenin comunicò per radio a tutti i
comitati di reggimento, di divisione e di corpo
d’armata […] il rifiuto di Duchonin.”
Le masse e il Partito
Discorso di Lenin: “L’errore dei socialisti rivoluzionari di sinistra sta nel fatto
che, a quel tempo, non si opposero alla politica di compromesso, in quanto erano
convinti che la coscienza delle masse non fosse abbastanza sviluppata… Se il
socialismo si dovesse realizzare solo quando tutto il popolo avrà raggiunto un
sufficiente sviluppo intellettuale, allora non vedremo il socialismo per almeno
cinquecento anni… Il partito politico socialista è l’avanguardia della
classe operaia. Non deve lasciarsi
arrestare dalla mancanza di
educazione delle masse nel loro
insieme, ma deve guidare
le masse, usando i soviet
come organi di iniziativa
rivoluzionaria… Ma per guidare
chi tentenna, i compagni socialisti
rivoluzionari di sinistra devono
essi stessi smetterla di
tentennare…”
“Guidare le masse”
Il problema evidentemente è che un’espressione come “guidare le masse” implica
la convinzione di sapere già che cosa le masse desiderino – solo
inconsapevolmente, senza essere in grado di esprimerlo in prima persona e di
ottenerlo – e di essere anche gli unici detentori dei metodi con cui conseguirlo. E
dunque presuppone l’esistenza di un partito o gruppo di potere che incarna la
Verità e pertanto è inattaccabile a qualunque critica od opposizione; perciò si
arriva al paradosso di sostenere che “tutti i giornali sono liberi, eccetto la stampa
borghese”, cioè tutti i giornali coerenti con le direttive del regime sono ammessi,
gli altri no. Affermare l’esistenza di una sola Verità – una sola fede religiosa, una
sola ideologia politica… - è letale per la tolleranza; così se un pluralismo
indiscriminato fa credere che qualunque verità sia accettabile o comunque lascia
aperta la strada anche a palesi menzogne, ed è pertanto controproducente, l’idea
che nessun pluralismo sia accettabile è altrettanto pericolosa, se non forse di più.
Perché se agli effetti collaterali del primo si può rimediare educando le masse a
una maggiore coscienza critica, dando loro maggiori elementi per distinguere
almeno tra il palesemente falso e il verosimile, lasciando comunque all’individuo
la libertà e la responsabilità di determinare le proprie decisioni, al vuoto di idee
portato dalla censura non c’è rimedio.
Mussolini e la stampa
- Da un discorso ai direttori dei quotidiani italiani del 10/10/1928:
“Io considero il giornalismo italiano fascista come un'orchestra. Il la è comune; è
un la che il giornalismo dà a se stesso. Egli sa come deve servire il regime. Ma
dopo i la, c'è la diversità degli strumenti, ed è appunto dalla loro diversità che si
evita la cacofonia e si fa prorompere la piena e divina armonia, oltre agli strumenti,
c'è poi la diversità dei temperamenti e degli artisti.
Ciò precisato, la stampa nazionale, regionale e provinciale serve il Regime
illustrandone l'opera quotidiana, creando e mantenendo un ambiente di consenso
intorno a quest'opera.”
- Da un discorso del 1933 ai dirigenti del Sindacato fascista della stampa:
“Discorso da soldati a soldati. I giornalisti italiani devono considerarsi militi
comandati a guidare il settore più avanzato e delicato del fronte fascista e a
manovrare l'arma più pericolosa e potente di ogni battaglia. Il duce si è servito di
quest'arma per le prime conquiste, se ne serve ancora per colpire alto, lontano e
vicino. Oggi tutta la nazione è blocco e scudo: e tutti i giornali formano una sola
bandiera. Pensiero ed azione sono nel commento e nella notizia più fusi che mai.”
Hitler e la propaganda (I)
Le prime riflessioni sul tema sono contenute già nel
Mein Kampf, dove egli scrive di aver considerato la
gestione della propaganda come il compito di gran
lunga più importante nel Partito nazionalsocialista dei
primi anni: essa deve dimostrare la progressiva
diffusione dell’Idea e tentare di piegare l’intera nazione
alla forza di una dottrina. A suo modo di vedere, il vero
leader doveva essere più un agitatore che un
enunciatore di programmi teorici: raramente, scrive, un
grande teorico è anche un grande capo, perché
comandare significa essere capaci di muovere le masse.
I suoi stessi inizi del resto sono di propagandista
militare alla fine della Grande Guerra, al servizio del
primo reggimento fucilieri bavarese. “Di punto in
bianco mi fu offerta l’opportunità di parlare di fronte a
un pubblico più grande. E allora ebbi la certezza di ciò
che avevo sempre presentito dentro di me, senza
ancora capirlo: sapevo parlare.”
Hitler e la propaganda (II)
Scrive Kershaw: “Fu questa sintesi di spirito
messianico e capacità propagandistiche che sancì,
fin dai primi anni Venti, la superiorità di Hitler rispetto
a tutti i potenziali aspiranti alla guida del movimento
nazionalsocialista: nessuno degli altri esponenti
di punta del Partito, infatti, poteva mettere in campo
contemporaneamente come faceva lui il fascino
demagogico dell’oratoria, le doti di trascinatore
e l’unità e la forza esplicativa di una
visione ideologica onnicomprensiva.”
Scrive Broszat: “Secondo Hitler, tutta la propaganda deve adeguare il suo livello
intellettuale alla capacità di comprensione del più stupido dei suoi destinatari.
Meglio allora il banale argomento del bianco contro il nero, che i pensieri
sofisticati. […] Il tema deve avere effetto esplosivo. […] Non c’è spazio per
discorsi saggi da concilio. L’unico scopo è aizzare le ansie e le passioni e
infiammare la folla fino al parossismo.”
La propaganda del Nsdap
La propaganda del Nsdap è caratterizzata da due
aspetti vincenti:
- è onnicomprensiva, ossia mira a includere tutti
gli aspetti della vita, come recita un manifesto del
partito del ’36: “Il partito ha una risposta per tutto
o un’opinione su ogni argomento: l’arte, la pace,
l’uguaglianza, la religione, le passeggiate
domenicali, l’agricoltura e, naturalmente, gli
ebrei”;
- è semplice e diretta, indirizzata all’emozionalità
e non all’intelligenza, martellante su pochi
semplici temi presentati in bianco e in nero.
Del ministero della propaganda si occupava un
fedele collaboratore di Hitler, Goebbels, che si
assicurò fin dall’incendio del Reichstag la facoltà
di esercitare un controllo serrato sulla stampa (la
radiofonia era statale e pertanto fu
immediatamente nazificata)
L’oratoria di Hitler
Scrive George Mosse in La nazionalizzazione delle masse: “L’integrazione della funzione
del capo con l’intero cerimoniale può essere rilevata anche nel ritmo stesso e nella struttura
dei discorsi di Hitler. Questi insistevano sempre sulla “chiarezza”. Ma chiarezza voleva
anche dire una concisione di forma che non lasciasse luogo ad ambiguità. Il suo assioma
politico che “il popolo non comprende le strette di mano” fu applicato ai suoi discorsi. I
discorsi di Hitler erano in realtà fatti, per le parole da lui usate, per le domande retoriche,
per le affermazioni categoriche. In più avevano un ritmo costante nel quale il popolo poteva
inserirsi con esclamazioni. Questi ritmi erano bellicosi, aggressivi e in particolare
comportavano un timbro di voce di grande effetto. Lo stesso Hitler aveva scritto che i
discorsi aprono il cuore del Volk come colpi di maglio. Spesso questi discorsi avevano una
costruzione logica, ma la logica interna era mascherata dal ritmo e dal crescendo della voce.
Il pubblico recepiva in tal modo la logica del discorso emotivamente, avvertiva solo la
combattività e la fede, senza afferrare il contenuto concreto, o senza soffermarsi a riflettere
sul suo significato. La folla era attratta dalla forma del discorso, “viveva” il discorso più che
analizzarne il contenuto. Hitler sentì molto l’influenza di Gustave Le Bon e ne seguì la
massima contenuta nel volume La psychologie des foules, e cioè che il capo deve essere
parte integrante di una fede posseduta in comune, che non poteva da lui essere sperimentata
o rinnovata. La sperimentazione e l’innovazione da lui introdotte consistettero solo
nell’intensificare il significato di ciò che era largamente accettato, e nell’introdurre una
visione manichea che trasformava le sue parole in fatti.”
Bibliografia
Classici e opere originali
Aristotele, Confutazioni sofistiche
Tacito, Dialogus de oratoribus
Platone, Gorgia
Cicerone, De oratore
Quintiliano, Institutio oratoria
Arthur Schopenhauer, L’arte di ottenere ragione
John Stuart Mill, Sulla libertà
John Reed, Dieci giorni che sconvolsero il mondo
Adolf Hitler, Mein Kampf
Opere critiche
Mauro Sacchetto, Dialettica, La Nuova Italia, 1998
Nicola Flocchini, Argomenti e problemi di letteratura latina, Mursia, 1977
Mario Untersteiner, I sofisti
Guido De Ruggiero, Storia della filosofia, vol. 1, La filosofia greca, Laterza, 1967
Ludovico Geymonat, Storia della filosofia, vol. 1, Garzanti, 1966
Ian Kershaw, Hitler e l’enigma del consenso, Laterza, 1997
George L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Il Mulino, 1975
Manuali scolastici
Fornero – Abbagnano, Protagonisti e testi della filosofia, vol.. 1 tomo A, Paravia, 2000
Conte, Letteratura latina,
Fossati – Luppi – Zanette, La città dell’uomo, vol.. 3, Mondadori, 2000
Materiale reperito in rete
Anthony Rhodes, L’arte della persuasione (raccolta di materiale propagandistico risalente al
periodo della Seconda Guerra Mondiale)
Propaganda, Media control and Democracy (sul controllo dei mass media da parte di gruppi
di pressione negli Stati Uniti)
Il quarto potere (sulla stampa come prodotto di mercato)
La militarizzazione di stampa e tv (sull’atteggiamento dei media durante la guerra civile
nella ex-Jugoslavia e nel primo conflitto nel Golfo)
Guido Gonella, Libertà di stampa (in occasione del cinquantenario dell’Ordine dei
Giornalisti)
Protocolli dei Savi di Sion
Diego Gabutti, Il pluralismo uccide l’informazione
William Randolph Hearst (sul magnate della stampa americana dei primi decenni del
Novecento, la cui figura fu d’ispirazione a Orson Welles per il suo Citizen Kane)
Sartori, Giovanni, Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla società
multietnica.
Jurgen Habermas, Teoria dell’agire comunicativo
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