Adolescenza
L’età di mezzo
fra progetto e dispersione
• Fasi dell’Adolescenza
– 10/12 ↔ 14 anni: prima adolescenza o pubertà*
– 15 ↔ 17 anni: media adolescenza
– 18 ↔ 20: tarda adolescenza
– 21 ↔ 24: post-adolescenza
– 20…: adolescenza lunga (o «gioventù»): a stabilire la
«fine» dell’adolescenza sono anche le circostanze
sociali e gli «impegni di realtà» che l’adolescente si
assume.
*Pubertà e adolescenza si riferiscono a fasi evolutive diverse. La pubertà è il
periodo dei cambiamenti fisici che permettono di iniziare a procreare;
l’adolescenza è il periodo di transizione psicologica e sociale tra l'infanzia e
l'età adulta.
Il compito dell’adolescenza
è la scoperta di sé, della
propria identità in quanto
autonoma e
indipendente.
↓
autonomia vs
dipendenza
Gli adolescenti hanno bisogno di tutto il loro «voler vivere»
per morire all’infanzia e nascere alla vita adulta (Dolto)
→ Solo in quanto indipendenti possiamo
sperimentare l’intimità e la capacità di amare.
→ passaggio dalla «dipendenza
immatura» (basata sull’identificazione
«simbiotica») all’indipendenza o,
meglio, alla «dipendenza matura»
(Fairbairn), basata sulla reciprocità,
sull’ «oblatività»;
→ passaggio dal logica del bisogno alla
logica del desiderio
→ passaggio dall’altro in quanto fascio di
proiezioni all’altro in quanto qualcosa di
reale e diverso da me.
In adolescenza vi è un
grande uso della
«proiezione» di parti di sé
accettate o nascosterifiutate
(aspetti ammirati/deprecati
nell’amico/a, simpatie/antipatie,
odio/pietà, idolatria del
cantante di successo/disprezzo
del diverso…)
http://simonebitti.blogspot.it/2012/03/meccanismi-di-difesa
Nel «gioco» di proiezione di aspetti di Sé nella loro
riappropriazione vi è una crescita del Sé, un prendere
contatto con possibilità emotive che ancora non si erano
riconosciute come proprie.
– Il grande cambiamento nei gusti e nell’abbigliamento dei giovani
fra i 13 e i 15 anni può indicare il bisogno di esplorare per capire
cosa sia “meglio” essere (Waddell).
• Naturalmente, non tutto è
proiezione! Vi è anche
un’autentica ricerca di un
«altro», diverso dalle figure
genitoriali, con cui relazionarsi in
modo maturo.
• L’investimento affettivo
dell’amico/a del cuore è un
misto di fusionalità e oblatività.
Ecco perché l’amicizia tradita è la
prova più importante della pubertà. Se
gli amici tradiscono, dopo aver
investito tanto su di essi come
dimensione altra dal nucleo familiare,
ci si sente come spossessati (Dolto).
• Quindi: la sperimentazione e la ricerca di sé
nel contesto sociale, anche se provvisorie e
confuse, non è solamente un mero «fare
esperienza», ma rappresenta un vero e
proprio terreno in cui si provano parti di
sé, in cui si testano i propri affetti, si
capisce chi si è nello sperimentare
emozioni e vissuti congruenti o non
congruenti con il proprio Sé.
• Ciò rappresenta l’occasione per un
autentico apprendimento e scoperta di sé.
• Ecco perché il gruppo e i
rapporti sociali sono
importantissimi per
l’adolescente, che ha modo di
mettersi in gioco,
sperimentarsi, conoscersi.
• Se il bambino è interessato a
conoscere il «perché» dei
comportamenti dei personaggi
quando gli si racconta una
storia, l’adolescente è
interessato a conoscere sé in
relazione agli altri.
• E. Erikson aveva evidenziato che l’adolescente si
muove fra ricerca dell’identità e dispersione
→ con l’adolescente ci si muove spesso al limite fra
esperienza come qualcosa di costruttivo e
esperienza come qualcosa di confusivo e caotico.
– L’alcool e la droga rappresentano modi per non accedere a un
Sé pensante ma anche, entro certi limiti, modi di esplorare. Il
problema principale sta nella differenza fra “troppo” e “troppo
poco”: fino a che punto l’esplorazione di sé diventa ossessione?
Fino a che punto il masochismo diventa automutilazione? Fino a
che punto il gruppo di appoggio diventa una banda sovversiva?
Fino a che punto la mischia adolescenziale diventa noia e
indifferenza fino a che punto la preoccupazione per la sessualità
diventa timore e ostilità per l’omosessualità? (Waddell)
Ai margini di ogni gruppo c’è un ragazzo depresso o una fanciulla
depressa che tenta il suicidio; allora l’intero gruppo manifesta un
umore depresso e sta “con” quello che fa il tentativo di suicidio.
Ma in un altro momento un altro membro del gruppo rompe una
finestra senza nessun motivo e tutto il gruppo sta con lui. Se poi un
altro fa irruzione con dei compagni in un negozio e ruba sigarette,
o fa qualcosa che attira l’attenzione della legge, tutto il gruppo sta
con questo che viola la legge. Eppure si può dire che, nell’insieme, i
ragazzi e le ragazze appartenenti a questo gruppo supereranno la
situazione senza suicidio, senza delitto, senza violenza e senza
furto. In altre parole, mi pare che gli adolescenti […] usino gli
individui malati ai argini del gruppo per dare realtà alla propria
sintomatologia potenziale (Winnicott, 1965).
• L’adolescenza è un periodo di ristrutturazione della personalità
→ L’adolescenza rappresenta l’ultima fase dell’età
evolutiva: si può dire che un individuo diventa adulto in
uscita dalla fase adolescenziale. Pertanto, l’adolescenza
consente un vero e proprio «rimaneggiamento» di
quegli affetti che si erano consolidati nelle prime fasi
dello sviluppo.
→ l’adolescenza è essa stessa una… psicoterapia!
→ psicoanaliticamente, poi,
a) l’adolescenza non è solo una fase dello sviluppo, ma
una «funzione» che tutti abbiamo, una possibilità di
«funzionare» in un certo modo;
b) il modo che ciascuno ha di rapportarci agli
adolescenti dipende da si è vissuta la propria
adolescenza.
La grande minaccia che ci viene dall’adolescente è la
minaccia verso quella parte di noi stessi che non ha
veramente avuto la propria adolescenza. Questa parte
di noi stessi ci rende risentiti verso queste persone che
possono permettersi di avere una loro fase di bonaccia
e ci spinge a trovare una soluzione per loro. (Winnicott,
1964)
• Fino a 10-11 il bambino è parte della famiglia.
L’adolescente è un abitante del Mondo, si confronta con
la Realtà intera, non solo esternamente ma anche
internamente: è in grado di porsi i grandi dilemmi
esistenziali.
– Per permettere il passaggio verso l’adolescenza, le
società tradizionali utilizzavano dei «riti di passaggio»
che facevano uscire il soggetto da un mondo e lo
immettevano in un altro, quello adulto.
• Osserva la Dolto che oggi che non ci sono più
modelli, i riti di passaggio non hanno senso, ma
forse possono essere sostituiti dai progetti.
L’adolescente cessa di
credere che esistano dei
confini circoscritti che
gli dicano qual è la sua
collocazione nel mondo;
deve decidere lui chi o
cosa egli è.
L’adolescente si assume,
cioè, il peso e la
responsabilità della
propria identità, deve ritrovarsi ma a partire
non dal suo ruolo di
figlio, ma dal suo essere
un abitante del mondo,
confrontandosi con
l’intera Realtà che ormai
pulsa in lui.
L’adolescente è impegnato nel tentativo di trovare il proprio Sé, cui essere
fedele […] la lotta per l’identità, la lotta per sentirsi reali, la lotta per non
adeguarsi a un ruolo assegnato da un adulto. (Winnicott, 1964)
• Per tale ragione c’è un profondo desiderio
adolescenziale di «non essere capiti» (Winnicott).
– Infatti, l’essere capiti comporterebbe un «essere
nelle mani» di chi ci capisce, un non avere un
proprio essere separato, un proprio spazio, un
proprio silenzio. Il mantenimento geloso
dell’intimità fa parte della ricerca di identità.
Ogni profondo pensatore teme più l’essere compreso che
l’essere frainteso (F. Nietzsche, Al di là del bene e del male,
§ 290).
– Per l’adolescenza vale il seguente motto: chi fa
domande può aspettarsi bugie (Winnicott).
…dobbiamo chiederci anzitutto se i ragazzi e le ragazze adolescenti
desiderano essere capiti. Credo che la risposta sia: no. In effetti gli
adulti dovrebbe tenere per sé ciò che arrivano a capire
dell’adolescenza. Sarebbe assurdo scrivere un libro per gli adolescenti
sull’argomento dell’adolescenza, perché questo è un periodo della
vita che deve essere vissuto. È essenzialmente un momento di
scoperta personale. Ogni individuo è impegnato in una esperienza di
vita, in un problema di esistenza e nella formazione di una identità.
Esiste in realtà solo una vera cura per l’adolescenza. La maturazione.
Questa è il trascorrere del tempo avranno come esito finale
l’emergere della persona adulta. Il processo non può essere
accelerato, ma può essere interrotto e distrutto da un intervento
maldestro. (Winnicott, 1964)
• Il ragazzo non è però ancora pronto per entrare nel
mondo degli adulti; allora si trincera dietro le difese
perché vuole difendere il proprio sentirsi reale. La realtà,
con la quale è in grado di confrontarsi solo parzialmente,
rischia infatti di invaderlo, di sovrastarlo…
– Anche gli “aggregati” adolescenziali, che non sono veri e propri
gruppi, in cui l’apparire tutti uguali dà forma alla crisi di identità,
sembrano sottolineare la solitudine essenziale di ciascuno.
– Il processo di socializzazione scorre tra solitudine e ripetuti
tentativi di adattamento evitando il conformismo, piuttosto
introducendo la capacità adulta di identificarsi con gli aspetti
positivi della realtà senza sacrificare troppo di sé. Si tratta della
capacità di essere se stessi senza diventare antisociali.
• Si tenga presente anche che verso i 10 anni compare
il pensiero formale, la capacità di pensare per
concetti astratti (Piaget).
– L’adolescente, dotato di questi strumenti cognitivi,
conferisce agli affetti un’ampiezza di significato che non
avevano nell’infanzia. L’odio, l’indifferenza, la pietà,
l’amicizia ecc. diventano categorie universali con le quali
l’adolescente deve confrontarsi in tutta la loro potenza.
• Nell’adolescenza c’è l’accesso a un nuovo
mondo immaginario (Dolto)
– la prima vita immaginaria ha inizio verso i tre-quattro
anni, è rivolta a persone del gruppo familiare. A meno che
non ci siano gravi episodi, come la guerra, i bambini si
rapportano al mondo esterno per quanto loro ne deriva
da ciò che dicono i genitori. I bambini condividono le
opinioni del padre. Quando si genera dissenso fra i
genitori, per i bambini è difficile farsi un’opinione
autonoma e i problemi si appaleseranno dopo gli 11 anni.
– Tutte le trame affettive (il papà a cui non si vuole bene
perché ha divorziato dalla mamma, la nonna a cui si vuole
bene…) che turbano la vita del bambino fra i 9 e gli 11
anni esplodono dopo gli 11 anni, quando il bambino entra
nel suo secondo immaginario. Egli continua a percepire la
famiglia come valore-rifugio, ma si impegna a realizzarsi
nella società. Il risveglio dell’immaginario si compie nel
mondo esterno, al di là della famiglia.
• Le «fiamme» emotive che erano per il bambino più
piccolo abbastanza ben contenute all’interno di
meccanismi consolidati e riferite a persone e situazioni
tutto sommato circoscritte (genitori, scuola, coetanei,
giochi) (a meno che non verifichino lutti o perdite)
esplodono nell’adolescenza dove tutto viene rimesso in
discussione.
• Vi è un’esplosione degli impulsi (sia da un punto di vista
fisiologico che emotivo): l’adolescente è un leone fra
leoni: ogni tanto aggredisce, ogni tanto è aggredito. C’è
un circolare di affetti tendenzialmente «scissi», non in
senso negativo, ma perché non integrati e non maturi.
→ Tale scissione è necessaria affinché quegli affetti
facciano la loro comparsa sul palcoscenico della vita
mentale in tutta la loro forza. Ma d’altra parte la
maturazione e l’integrazione degli affetti che si basa su
un proprio senso di identità profondo è lo scopo
dell’adolescenza!
• Il contenimento dell’esplosione degli impulsi dipende da
una serie di circostanze, in particolare dai contenimenti
iniziali (infantili), dalla stabilità che si è sperimentata
durante il periodo dell’infanzia, dalle pressioni interne e
esterne con cui il giovane si deve misurare (Waddell).
– Ernst Jones (1922) scriveva che durante la pubertà
si ha una regressione verso l’infanzia e un
ripercorrere, su un piano diverso, quanto
avvenuto nei primi cinque anni.
Ciò significa che nel secondo decennio della sua
esistenza l’individuo riepiloga ed espande lo sviluppo
dei primi cinque anni. Riemergono, quindi, i desideri
sessuali e aggressivi e il modo in cui sono stati
controllati.
– Solo che ora c’è la possibilità concreta di mettere
in atto questi desideri!
In altre parole, vecchi conflitti, soprattutto quelli della
prima infanzia […] vengono rielaborati (nel contesto delle
nuove pulsioni sessuali), e si tratta di conflitti che mettono
alla prova la qualità del contenimento e
dell’interiorizzazione originari. (Waddell)
• L’adolescente deve letteralmente cambiare
pelle, trasmutare, diventar altro (pur restando
se stesso).
• L’adolescenza spezza l’appartenenza del bambino al
contesto familiare. Tutte le acquisizioni e le conquiste
passate devono essere «rigiocate» su un nuovo
terreno, devono vagliate per capire se e in che modo
possono essere utilizzate per la costruzione della
propria identità.
• In alcuni casi si deve procedere a un vero e proprio
distacco da identificazioni nelle quali ci si era
riconosciuti nell’infanzia e che ora si scoprono non
corrispondere più al proprio Sé. Si tratta di «tagliare»
dei pezzi di identità!
• Tale è la motivazione della
cosiddetta «protesta
adolescenziale»:
l’adolescente deve liberarsi
di quelle «identificazioni»,
profonde e parte del suo Io,
che hanno fino a quel
momento costituito la sua
personalità.
• Ciò comporta anche una
grande incertezza, di
debolezza.
• Il rifiuto rabbioso
dell’adolescente verso un
aiuto da parte delle figure
che gli stanno più vicine
indica lo sforzo che egli fa
per autonomizzarsi da esse.
• Proprio perché gli affetti sono poco «mediati»,
l’adolescente manca di «pensiero politico»: gli affetti
tendono a essere sia «agiti» sia «assolutizzati», invece
che contenuti e «ragionati».
“Agire” significa esattamente questo, in termini tecnici: la
sostituzione del pensiero con l’azione per ridurre il conflitto
interno (Waddell)
– I desideri sono scarsamente procrastinabili (difficile
impedire a un adolescente l’uscita con gli amici), le
delusioni sono abissali («non valgo niente; mi
suicido»), il pensiero è «per principio» («gli uomini
sono tutti egoisti»; «Dio non esiste»).
• Il comportamento delinquenziale è un modo per “buttar
fuori vapore”; secondo le statistiche è tipico dei 14 anni.
Esso allevia la tensione degli impulsi sessuali e
aggressivi.
– Inoltre, essendo un comportamento che probabilmente
comporterà una punizione, allevia il senso di colpa
inconscio. La delinquenza serve a prendere contatto e a
sfidare non solo le figure di autorità reali, ma anche la
proiezione su di queste di fantasmi di distruttività
inconsci. Quindi è un modo per lenire questa distruttività
inconscia (Waddell).
• Lo stesso vale per la sessualità, che non è mera
impulsività scissa, ma rapporto con la persona intera.
– Già per Freud l’adolescenza comportava l’unificazione delle due
correnti principali dell’amore sessuale: la tenerezza e la sessualità
Nei rapporti sessuali definiti liberi gli esseri non si incontrano. I corpi
non sono nulla se non c’è amore e progetto […] L’amore con i
contraccettivi è un amore in cui vale solo lo sguardo e non l’azione
aperta al futuro. Oggi c’è solo la responsabilità di amare, senza che
quest’amore possa avere conseguenze. Narciso non cerca una donna,
ma si rivolge a se stesso. Quando una ragazza non piace, il ragazzo
parla con i ragazzi delle ragazze che non gli piacciono e le ragazze
fanno altrettanto. Scambi fugaci, onanismo a due… Credo che sia la
stessa cosa per ragazzi e ragazze: una prima delusione sentimentale
provoca una specie di ricaduta in un’omosessualità occasionale
prepubere indotta da una società che non aiuta i giovani a diventare
adulti. Ed è diventando responsabili che diventerebbero adulti invece
che regredire in una preadolescenza narcisistica. (Dolto, 1988)
– La non integrazione degli affetti contrastanti e la loro
assolutizzazione fa sì che ci sia un’alternanza di
vissuti di segno positivo (senso di onnipotenza e
speranza per il proprio poter essere se stesso – a cui
l’educatore si può collegare per costruire una
progettualità) e di segno negativo (caratterizzati da
stati depressivi profondi per il proprio «non-essere»,
senso di perdita per l’uscita dall’infanzia → L’uscita
dall’infanzia causa sogni in cui si uccide o si è uccisi.
• Quello della prima adolescenza in particolare, un
periodo contraddistinto da una mancanza di empatia e
da un comportamento sfrontato, con venature sadiche
e dispregiative, anche in tema di sessualità.
• In tutte le letterature pedagogiche è presente la figura
del «monello», quella che oggi chiameremmo il «bullo»
…ho spesso la crudeltà del fanciullo, che con un sasso tappa la
buca del formicaio (Pirandello, Dialoghi fra il Gran Me e il
piccolo me)
• Tale mancanza di empatia può essere interpretata
come un meccanismo volto a negare il «bambino
bisognoso e infantile» che ancora abita
nell’adolescente. Chi si separa non può provare
nostalgia e benevolenza verso ciò da cui si separa.
• La sfrontatezza, la mancanza di empatia e la tendenza
all’agito del comportamento adolescenziale aveva fatto
scrivere a Shakespeare questi versi:
Vorrei che non ci fosse età di mezzo
Fra i dieci e i ventitré anni
O che la gioventù dormisse tutto questo intervallo; poiché
non c’è nulla in cotesto tempo
Se non ingravidare ragazze, vilipendere gli anziani, rubare e
darsi legnate
(W. Shakespeare, Il racconto d’inverno, cit. in Winnicott, 1964)
→ L’adolescente oscilla fra narcisismo e perdita di sé,
fra esaltazione e depressione, fra «totalità» (ideologia,
totalitarismo, «fuga dalla liberta») e «assenza»
(impossibilità di essere alcunché)
Il pensiero del suicidio è normale in
adolescenza. Il fatto che sia connesso a un
senso di onnipotenza (Dolto) testimonia
che esaltazione e depressione sono due
facce della stessa medaglia. Il desiderio di
suicidio è normale, quello di arrivare
veramente a compierlo è morboso. Il
confine fra i due è molto delicato. Nessun
giovane può superare l’adolescenza senza
avere pensieri di morte. Occorre dar modo
all’adolescente di tematizzare la morte del
corpo perché acceda al desiderio del corpo
e ai valori dello spirito. Dare una medicina
che impedisca al giovane di pensare al
suicidio significa drammatizzare, come se
colui che la prescrive avesse paura di essere
il complice di un eventuale suicidio del
giovane. Parlare di morte è importante. La
morte fa vivere
Lancaster, in un’opera del 1898, ha analizzato 200
biografie di personaggi famosi, le turbolenze ecc.
Pare che nessuno sia sfuggito al pensiero del suicidio,
anche se poi ha teso a negarlo in età adulta.
Lettera A Boddah
Vi parlo dal punto di vista di un sempliciotto un po' vissuto che preferirebbe essere uno
snervante bimbo lamentoso. Questa lettera dovrebbe essere abbastanza semplice da capire.
Tutti gli avvertimenti della scuola base del punk-rock che mi sono stati dati nel corso degli
anni, dai miei esordi, intendo dire, l'etica dell'indipendenza e di abbracciare la vostra
comunità si sono rivelati esatti. Io non provo più emozioni nell'ascoltare musica e nemmeno
nel crearla nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai. Questo mi fa sentire terribilmente
colpevole. Per esempio quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale
urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me, non è come era per Freddie
Mercury, a lui la folla lo inebriava, ne ritraeva energia e io l'ho sempre invidiato per questo,
ma per me non è così. Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente
non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei miei. Il peggior crimine che mi possa venire in
mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%. A volte mi sento
come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco. Ho provato tutto quello
che è in mio potere per apprezzare questo.
Ho apprezzato il fatto che io e gli altri abbiamo colpito e intrattenuto tutta questa gente. Ma
devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più. Io sono
troppo sensibile. Ho bisogno di essere un po' stordito per ritrovare l'entusiasmo che avevo da
bambino. Durante gli ultimi tre nostri tour sono riuscito ad apprezzare molto di più le persone
che conoscevo personalmente e i fans della nostra musica, ma ancora non riesco a superare la
frustrazione, il senso di colpa e l'empatia che ho per tutti. C'è del buono in ognuno di noi e
penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il
piccolo triste, sensibile...! Perché non ti diverti e basta? Non lo so! Ho una moglie divina che
trasuda ambizione e empatia e una figlia che mi ricorda troppo di quando ero come lei, pieno
di amore e gioia.
Bacia tutte le persone che incontra perché tutti sono buoni e nessuno può far loro del male. E
questo mi terrorizza a tal punto che perdo le mie funzioni vitali. Non posso sopportare l'idea
che Frances diventi una miserabile, autodistruttiva rocker come me. Mi è andata bene, molto
bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall'età di sette anni che sono avverso al
genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso
sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo
del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato
negli anni passati. Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna
emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.
Pace, Amore, Empatia.
Kurt Cobain
Frances e Courtney, io sarò al vostro altare. Ti prego Courtney continua così, per Frances. Per
la sua vita, che sarà molto più felice senza di me. Vi amo. Vi amo! Kurt
• Erich Fromm e la necrofilia della società contemporanea
• Umberto Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i
giovani
• L’aggressività può essere intesa:
A. come un’energia che ci consente di separarci, di
«esternalizzare» l’altro (è questo il caso quando
osserviamo che un «bambino è troppo buono»
intendendo che non ha sufficiente
aggressività/assertività per essere non compiacente,
per compiere un percorso centrato sulle proprie
esigenze,)
B. come una caratteristica originaria dell’individuo
(affermazione di sé a discapito dell’altro; invidia,
distruttività…)
→ educativamente, l’aggressività non deve spaventare e
va praticamente sempre interpretata come un desiderio di
crescita che non si è realizzato e che si riversa
violentemente verso il mondo esterno perché non ha
avuto ascolto.
 L’aggressività non deve essere moralisticamente
interpretata, ma intesa quale richiesta di crescita
inascoltata. Solo allora può essere integrata e orientata
verso direzioni più costruttive. Gli adolescenti non
desiderano distruggere, ma crescere, e distruggono
quando non riescono a crescere.
 In tal senso Winnicott parlava della delinquenza come
deprivazione emotiva.
 Vi sono poi le situazioni il cui la possibilità di essere
se stessi è stata, nella storia dell’individuo, talmente
traumatizzata che la rabbia e l’aggressività sono
diventate modalità irrinunciabili. È il caso di quegli
adolescenti che sono stati «deprivati» durante
momenti critici della loro infanzia e che faranno
prima illudere l’educatore di essere in grado di
stabilire un’alleanza ma che, quando si è stabilito un
clima di fiducia, tenteranno di attaccarlo e
distruggerlo in tutti i modi, mettendo a dura prova la
perseveranza dell’educatore.
Vulnerabilità dell’adolescente: né carne né pesce
– L’adolescente deve confrontarsi con profondo senso di
inconsistenza: deve attraversare una fase in cui si sente
inutile, fase che Winnicott chiama «zona di bonaccia».
– Tendenzialmente i ragazzi esprimono la loro angoscia con
l’esteriorizzazione dell’aggressività, le ragazze con
l’annullamento del loro funzionamento fisiologico
• Infatti, se l’adolescente accettasse che il senso di inutilità
venisse colmato con l’adozione di qualche soluzione che gli
viene dagli altri o dalla cultura probabilmente ne proverebbe
sollievo, ma rinuncerebbe al compito propriamente
adolescenziale di costruire da sé un’identità senza accettare
soluzioni preconfezionate.
• Più l’adolescente rifiuta il compromesso è più
si trova a fare un gran lavoro di ricerca del Sé
da solo. Il rischio dell’adolescenza sta proprio il
questo non accettare nulla come definitivo
perché inadeguato a «contenere» la propria
identità
→il premio per l’adolescenza «riuscita» è la
conquista dell’identità; il rischio è la
dispersione (E. Erikson)
Bisogna avere ancora un caos dentro di sé per
partorire una stella danzante (Nietzsche, Così
parlò Zarathustra)
→ questo avvicendarsi di affetti poco integrati e «assoluti»
crea quella particolare immaturità dell’adolescente,
sempre indeciso sulla parte da prendere. Il suo è un «caos
creativo», è un aspetto prezioso dell’adolescenza. Ogni
autentica ricerca comporta un confronto con il caos, perché
comporta un inoltrarsi in territori sconosciuti. La precoce
saturazione della ricerca potrebbe indicare superficialità (in
alcuni casi anche mancanza di progettualità) o paura per
l’indagine e l’esplorazione.
→ per Winnicott noi invidiamo l’immaturità
dell’adolescente, la possibilità che egli ha di costruire il
senso del mondo giorno per giorno.
• L’immaturità, se evolve verso il caos, diventa
dispersione ed eccesso; se evolve verso un
«ordine spontaneo», allora si ha una sorta di
«guarigione miracolosa» che si porta con sé il
premio di un caos sperimentato e superato con lo
stabilirsi di un «ordine interno»
• Lo sperimentare il caos (senza fuggirne
affrettatamente) è positivo perché è connesso con il
portare sentimenti e concezioni di vita fino al loro
punto estremo per carpirne il valore di verità, senza
compromessi.
→ Tale immaturità dell’adolescente è quindi
un’occasione irripetibile per «capire le cose come
sono e come hanno significato per me».
• L’adolescenza ci può insegnare proprio questa
intransigenza verso la verità.
• La verità è indispensabile per la salute psichica
(Bion, 1970). Se la verità viene occultata (senza
accettare in pieno il valore emotivo del nostro
rapporto con le cose) o sfuggita ci rimane solo
un rapporto ipocrita col mondo e siamo
condannati a restare imprigionati nel nostro
«castello di menzogne e compromessi».
→ Vi è negli adolescenti una tendenza
all’idealizzazione che può fungere da punto focale
per una costruzione della vita adulta basata su
un’autentica eticità.
• L’adolescenza ci ricorda che la verità della nostra
identità è un compito perenne, un costante
ricominciare, che non deve arrestarsi in delle
certezze. L’identità non è «qualcosa» se non la
ricerca creativa stessa…
• Ogni ricerca creativa comporta un delicato
muoversi «al bordo fra ordine e caos», fra
creatività e distruttività, fra misura e dismisura
– Nel concetto di «sublime» sono contenute sia la
bellezza estrema sia il terribile, il delirio, la vertigine
• L’adolescente cerca tutto e distrugge tutto, fin
quando non arriva a scoprire che si può
continuare a senza distruggere, ricollegandosi alle
tradizioni e alla storia.
• La distruzione contiene un potenziale di verità,
perché intende negare quella dose di falsità
che è presente in ogni «umana costruzione»
per giungere a una verità senza compressi.
Cosa fare con l’adolescenza (non patologica)?
• Per certi versi, come Winnicott suggerisce l’unica
cosa da fare con gli adolescenti è «lasciare che il
tempo passi»
– Egli parla bonaccia adolescenziale” per descrivere quegli
anni in cui ogni individuo non ha altra scelta che
aspettare, senza essere consapevole di ciò che accade,
un periodo in cui gli adolescenti non riescono a
dominare gli impulsi…
– Capacita di aspettare che la confusione si chiarisca
(Meltzer), senza compiere una «fuga nella salute
mentale» (scelte precoci) o non scegliendo affatto,
facendo così della confusione la regola.
Quando finisce l’adolescenza?
• L’adolescenza si può considerare finita quando siamo
passati dalla fusione con la famiglia a una vita autonoma.
L’adolescenza è stata allora un percorso di «riscrittura»
degli affetti per «slegarsi» da una «dipendenza immatura»
verso gli altri in direzione di una «dipendenza matura».
Scrive la Dolto
Un ragazzo/a esce dall’adolescenza quando l’angoscia dei genitori
non gli provoca più nessun effetto inibitore. I giovani raggiungono
lo stadio adulto quando pensano: “I genitori sono quello che sono,
non posso cambiarli e non ci provo neanche. Non mi accettano per
quello che sono, peggio per loro, li pianto in asso”. Senza sensi di
colpa per l’abbandono (1988, tr. it 1990, p. 16)
• N.B. quando i genitori cessano di essere qualcosa di
assoluto per i figli, i genitori si sentono autorizzati a vivere
una seconda adolescenza!
• L’adolescenza è conclusa quando si è sviluppata la
capacità di amare l’altro in quanto altro, quando
l’altro non è più espressione di un «bisogno» o di un
fascio di proiezioni, ma quando lo si ama in quanto
staccato da noi
– Prendiamo ad esempio un bambino di 9 anni che passa tanto tempo
a giocare con gli amici lontano da casa. Sembra «autonomo», e in
parte lo è, ma se i genitori si separano e divorziano il bambino
smette di giocare. Ciò evidenzia che non ha ancora acquisito un
essere indipendente. L’altro, per il bambino, esiste in funzione del
suo bisogno di essere accudito e cresciuto. (Ciò non significa che il
bambino non sia già capace di amore autentico e di provare
responsabilità e colpa per i suoi atti contro le persone a cui vuole
bene). I bambini talvolta sembrano indifferenti rispetto all’impegno
che i genitori profondono per il loro benessere. In realtà stanno
trattando i genitori come base di sicurezza che consente loro di
occuparsi dei loro impulsi e di quanto loro interessa.
L’adolescente e il gruppo
• L’adolescente perde il contenimento della dimensione
familiare e trova nel gruppo una nuova appartenenza
• All’interno del gruppo, le diverse personalità dei ragazzi
incarnano i diversi sentimenti, così che questi possono
essere sperimentati senza troppo turbamento.
• I gruppi possono così diventare luoghi sicuri dove mettere
in scena parti diverse della personalità, soprattutto di quelle
che è difficile accettare.
• Quando è positiva, la vita di gruppo può offrire la possibilità
di capire chi si è. L’appetito apparentemente insaziabile di
comunicarsi, di parlare di ciò che si prova offre la possibilità
di “collaudare” diverse versioni di sé. Per questo gli
adolescenti esercitano un fascino infinito su chi li circonda e
spesso utilizzano l’arma impareggiabile dell’umorismo per
non prendersi troppo sul serio (Waddell).
• Nel gruppo si possono sperimentare i propri affetti, anche
quelli eccitanti e «proibiti». Contemporaneamente
assicurano una certa coesione e appartenenza
(dipendenza) e ciò compensa quel tipico vissuto
adolescenziale che è l’ «alienazione». Questo dipende da
fatto che l’adolescente non sa ancora chi è, non sa dare una
consistenza «oggettiva» al suo interno modo di sentirsi.
– Normalmente, il gruppo perde progressivamente la sua
importanza vitale nel passaggio dalla prima adolescenza alla
tarda adolescenza, quando si iniziano a formare coppie e
amicizie legate alla condivisione di ideali e quando, comunque,
investimenti in ideologie mature compensano il senso di
alienazione derivante dallo staccarsi dal gruppo.
• A meno che il gruppo non sia patologico, la sua vitalità
rimane confinata entro certi limiti in quanto, se il
percorso evolutivo del giovane fino a quel momento è
stato abbastanza buono, questi continua a percepire se
stesso a livello profondo. Egli si «fida di sé» (ed è per
questa ragione che chiede con forza ai genitori
altrettanta fiducia).
• L’adolescente normale e anche quello relativamente
nevrotico mantengono infatti la capacità di descrivere in
modo preciso le persone più importanti della loro vita. Il
ragazzo ha a cuore i rapporti sociali, mantiene curiosità
intellettuale, è in grado di provare sensi di colpa per sé e
per gli altri. Tutto ciò è indice di una stabilità degli
investimenti relazionali profondi (Kernberg 1998).
– Diverso è il caso di gruppi con presenza di adolescenti
borderline, che non provano alienazione perché non
hanno un senso profondo dell’io basato su affetti
integrati e proiettano gli proiettano i loro sentimenti sul
mondo esterno (che può allora diventare ostile e
cattivo).
– Il gruppo funziona da «contenitore» per la fragilità della
loro personalità, ma il loro senso di alienazione esplode
nella tarda adolescenza, quando gli adolescenti
«normali» riescono a sviluppare identificazioni con ideali
più maturi
• I membri estremisti possono agire per l’intero gruppo,
soprattutto quando nel gruppo sia composto da adolescenti
che hanno subito una qualche «deprivazione» affettiva e
che quindi sono in lotta con l’ambiente affinché questo
riconosca il proprio «debito». Winnicott (1964) fa il
seguente esempio:
Tutte le cose che fanno parte della lotta dell’adolescente, il rubare,
l’uso di coltelli, l’andarsene e il tornare, tutto deve essere
contenuto nella dinamica di questo gruppo che si trova per
ascoltare musica jazz triste o per qualche altro scopo.
Se non accade nulla, i singoli componenti del gruppo cominciano a
sentirsi insicuri circa la realtà della loro protesta e tuttavia non
sono così disturbati da compiere un atto antisociale. Ma se nel
gruppo c’è un ragazzo o una ragazza antisociale che provochi la
reazione della società, ciò suscita la coesione degli altri, li fa sentire
reali e conferisce temporaneamente una struttura al gruppo. Tutti
saranno leali e solidali verso l’individuo che agirà come
espressione del gruppo, sebbene neppure uno di loro approvi
l’azione che il compagno più antisociale ha commesso.
• Anche nell’adolescenza normale, tuttavia, i sentimenti
possono diventare particolarmente intensi e potenti. I
gruppi possono assumere un significato quasi tribale, da un
lato, e di ostilità e indifferenza verso gli adulti, dall’altro lato.
• Ai genitori risulta difficile capire questa fluidità e intensità di
sentimenti, eppure il gruppo rappresenta l’unica alternativa
dall’intimità familiare. È ancora troppo presto per l’intimità
della coppia degli anni successivi. Il gruppo rappresenta per
il giovane confuso una sorta di paradiso, dal momento che
prolunga il momento in cui dovrà integrare i vari sentimenti
nel suo sé, un grande contenitore dove egli può riversare i
propri molteplici affetti senza prendersi ancora in carico
seriamente la loro integrazione. Se prevale l’evacuazione
dell’azione rispetto al pensiero, il gruppo si può trasformare
in banda.
Difese
• Uso eccessivo della proiezione. L’adolescente usa
molto la proiezione, di parti cattive o buone.
Quando si proiettano le parti buone, che ora si
percepiscono nell’altro e non in sé, ci si può
trovare privati della propria immaginazione e
della propria vitalità.
• Tale uso eccessivo della proiezione può arrivare
ad avere connotati tipicamente schizioidi. Vi
allora un’espulsione e un’evacuazione di affetti,
una tendenza incontenibile all’agito e alla
violenza a scapito del contenimento e
dell’integrazione, tipiche del pensare più evoluto
• Un altro modo per evadere, meno facile da
rilevare, è diventare pseudo-adulti, acquisire
idee e informazioni per proteggersi dagli affetti
più che per capirli. L’uso dell’intelligenza diventa
allora una sorta di difesa dal pensare vero e
proprio o per sottrarsi all’intimità.
• Analoga è la difesa «ascetismo e
intellettualizzazione» descritta da A. Freud:
tipica dell’adolescenza, consiste nel rifugiarsi in
attività intellettuali per esercitare un controllo su
contenuti affettivo-istintuali e ridurre
conseguentemente ansia e tensione
• identificazione con l’aggressore (A. Freud): il
soggetto, di fronte ad un pericolo esterno
(rappresentato tipicamente dall’autorità) si
identifica con il suo aggressore, assumendo sia la
stessa funzione aggressiva, sia imitando
fisicamente e moralmente la persona
dell’aggressore, sia adottando i simboli di potenza
che lo contraddistinguono.
• Può essere fatta rientrare nell’identificazione con
l’aggressore anche una forma di altruismo, che
implica la resa dei propri impulsi a favore di quelli
degli altri;
• Rinchiudersi in un guscio per evitare la
sofferenza. Le forze che inducono a precipitare
possono essere generate da circostanze esterne
(perdite, rotture di amicizie, malattia, stress da
esame, uscire da casa, successi non meritati),
oppure interne (impulsi nascosti, pensieri
tormentosi e insistenti, ossessioni inesplicabili,
desideri perversi, aggressività, alienazione,
disperazione). Durante l’adolescenza accade
spesso che interno ed esterno si confondano
(Waddell).
• Ma la depressione, la solitudine, la sensazione di
rimanere bloccati può derivare da una mancanza
di progettualità, l’assenza di quella
sperimentazione e ricerca che, per quanto
dolorose e possibile fonte di confusione, sono
necessarie alla crescita.
• Il giovane isolato e introverso rischia di trovarsi in
un vicolo cieco: infatti egli non partecipa a quel
gioco di proiezioni e reintroiezioni che è
necessario per stabilire un senso del Sé a
qualsiasi età, ma soprattutto durante i continui
cambiamenti dell’adolescenza.
Educazione e adolescenza
Stabilire innanzitutto la fiducia
La fiducia è la priorità delle priorità (Dolto)
• La fiducia va accordata all’ essere del ragazzo, alla sua anima.
Senza tale fiducia non ci può essere educazione.
• Le punizioni sono legittime, anzi, in alcuni casi salutari, perché
alleviano il senso di colpa per cose che il ragazzo sa di aver
sbagliato; ma sono del tutto da evitare le ritorsioni, spesso
basate su ricatti emotivi («tu non hai fatto questo, non sei
così… allora io…») che impediscono lo «sganciamento» dai
genitori e alimentano sensi di colpa e una «mentalizzazione
eccessiva» che inaridisce la maturazione. Occorre voler bene
all’adolescente e fidarsi di lui in silenzio e da lontano.
– Ciò naturalmente non significa che il genitore non possa
controllare l’adolescente che rischia di compiere azioni di cui poi
potrebbe pentirsi. Ma, se lo fa, deve stare attento in massimo
grado a non farsi mai scoprire! (Sennò fa l’adolescente anche lui)
Valorizzare il ragazzo
• L’insegnante dovrebbe stimolare tutti, non solo quelli
che prendono la supremazia, a parlare. Anche se il
ragazzo non parla, sente di avere un peso nel giudizio
dell’insegnante.
• È un’età meravigliosa, perché il ragazzo reagisce a tutto
ciò che viene fatto di positivo per lui. Ma gli adolescenti
non lo manifestano immediatamente. È un po’
deludente per l’educatore non vedere risultati
immediati. Ma non si insisterà mai troppo a incoraggiare
gli adulti a perseverare. Occorre continuare a valorizzarli
anche se i ragazzi sembrano prendervi in giro. Quando
sono in gruppo spesso prendono in giro gli adulti, ma
quando sono soli le cose cambiano.
La responsabilità della società
• Durante il periodo c’è una responsabilità di coloro
che non hanno uno specifico compito educativo
hanno una funzione fondamentale nell’indirizzare i
giovani, in quanto tutto ciò che essi fanno può
favorire il coraggio e lo slancio o al contrario indurre
scoraggiamento e depressione. Oggi, molti giovani,
dagli undici anni in poi, cadono in stati depressivi e
stati paranoici che si manifestano con un’aggressività
irragionevole. Durante quelle “crisi”, il giovane va
contro ogni legge perché è convinto che chi
rappresenta la legge non gli permetta né di essere,
né di vivere. (Dolto)
Non delegittimare il giovane nella scoperta
della sessualità/affettività
La sessualità degli adolescenti è nell’immaginario. La masturbazione
è un falso slancio sessuale. Nei periodi difficili, gli adolescenti la vita
immaginaria li sostiene. Essi sono spinti a eccitare la zona che dà loro
forza e coraggio, cioè la zona genitale che si sta risvegliando. È una
trappola, perché scaricandosi nervosamente in questo modo non
hanno più un supporto per affrontare le difficoltà della realtà, per
superare le carenze, spesso più immaginarie che reali, alimentati da
madri che dicono: “non troverai mai la morosa brufoloso come sei!”.
È terribile per un giovane sentirsi spiato in quel al sorgere del
sentimento. Ciò può indurlo alla masturbazione come antidoto alla
depressione. Purtroppo la masturbazione soddisfa l’immaginario e
toglie la forza di cercare nella realtà, in un altro, ragazzo o ragazza,
con amicizia e amore, comunicando e sostenendolo a uscire dalla
trappola in cui l’hanno rinchiuso adulti indifferenti o aggressivi. O
gelosi, perché ci sono adulti che avendo subito in quell’età fanno ad
altri lo stesso: “non hai l’età per pensare, sei solo un moccioso!”. La
delegittimazione del pensiero del figlio da parte del padre, che non
vuole perdere la supremazia. (Dolto)
Essere «adulti»
L’adolescenza provoca effetti secondari sugli adulti. Gli adulti
che rivivono la loro adolescenza sono fragili e disorientati,
proprio nel momento in cui il figlio vive la propria. Il figlio si
aspetterebbe che i genitori fossero realizzati nella loro vita
sessuale, nel lavoro, nella vita sociale, dando senso alla loro
vita. Si augura che i genitori non si occupino troppo di lui, pur
rimanendo disponibili quando ha voglia di parlare. L’importante
è che il padre e la madre facciano bene il loro compito, anche a
rischio che l’adolescente affermi un po’ sarcasticamente: “mio
padre è fatto così, si ammazza di lavoro”, oppure “non fanno
niente, ma sembrano star bene nella loro pelle”. Ciò che fa
soffrire i figli è constatare che i genitori vivono come i figli e si
mettono in concorrenza con loro. È il mondo alla rovescia: gli
uomini hanno amichette dell’età dei figli e le donne si
compiacciono di piacere agli amici del figlio, proprio perché non
hanno vissuto la loro adolescenza.
Non essere invadenti…
• L’adulto non deve indagare troppo nel cuore
dell’adolescente, né cercare nei suoi progetti ciò
che è razionale e ciò che non lo è. Rischia di
rovinare tutto, i suoi progetti di crescita non ben
chiari neppure a lui.
• Occorre fidarsi dell’ «essere» del ragazzo, del suo
impulso e utilizzare quel minimo di conoscenza
utile per «tirare avanti la baracca» senza che
succedano troppi danni a causa degli «scarti
d’umore».
• La troppa conoscenza è un modo per soffocare la
vita. Occorre permettere all’adolescente di restare
solo con la sua anima, pur non lasciandolo solo!
…anzi: non interferire!
• D.H. Lawrence. I genitori non dovrebbero mai stabilire
relazioni «adulte» con i figli (adulte nel senso di
«mentalizzate»), essere loro amici ecc. perché in tal modo
interrompono il circuito primario, quello che fa perno
sull’originalità della nostra anima. Occorre «mantenersi vivi
nella propria vitale e spontanea essenza». Gli ideali e le
norme agiscono spesso come qualcosa di estrinseco, per cui
il giovane cessa di sentire e inizia a «idealizzare»
→ Educare significa «non interferire»
Genitori badate che i vostri figli abbiamo il loro pranzo e le
lenzuola pulite, ma non amateli. Non amateli neppure un po’ e non
permettere ad altri di amarli. Nutriteli e lasciateli soli.
• Cfr. Rogers: non si può indurre qualcuno a crescere
offrendogli guida e valori (direttività), ma gli si può
offrire un rapporto empatico e accettante che gli
permetta di crescere secondo propri criteri interni
• Qualcuno ha definito tale prospettiva di crescita come
«botanica»: basta non privare la pianta degli elementi
essenziali che questa cresce da sé.
• In realtà, anche la pianta può aver bisogno di un
supporto e un sostegno; fuor di metafora, non si può
fare a meno di «fornire» qualcosa all’altro, l’ex-ducere
comporta sempre un in-ducere, non c’è formazione
senza con-formazione, non c’è educazione senza norma:
l’importante è che la norma non sia qualcosa di rigido,
ma un modo di vedere la vita, un «clima», una «qualità
della relazione» a partire dal quale l’adolescente può
formarsi la propria «norma interna»
• Non occorre essere trattare il ragazzo con troppa
delicatezza perché ciò può stimolare troppo la
«comprensione» generando una sensibilità esagerata e
«adulta» che lo allontanerebbe dalla dinamica primaria
della sua spontaneità innata
Il possedere la tua anima in silenzio e il sentir calare tutto il
clamore. Questo è quanto di meglio io conosca.
L’amore è spontaneo. L’amore come principio è una disgrazia.
L’amore che proviene dalla volontà è veleno.
La nostra cultura postautoritaria, che ha stabilito la regola del
parlarsi per capire, per dirsi tutto, del dialogo che ravvicina, nella
maggioranza dei casi coglie il tacere dell’adolescente come blocco,
problema, inquietudine. Viceversa la scarsa propensione a parlare
da parte dell’adolescente e le poche parole che usa per
comunicare non sempre dicono da parte sua l’intenzione di non
comunicare, di non voler condividere con gli adulti pensieri ed
esperienze; nella maggioranza dei casi non si tratta di reticenza,
ma di impossibilità a dire la cosa, a dire qualcosa su questa
difficoltà.
Certamente una parte di questo mondo dovrà farsi parola, ma per
una parte altrettanto importante la chiusura va accettata come
silenzio che basta a se stesso. Chiede presenze rispettose, non
parole. Può diventare contatto solo riconoscimento del diritto a
tacere, del diritto a non essere capiti, che rispecchia il diritto a non
capire. […] Anche la solitudine è necessaria. Anche il silenzio è
comunicazione. (Serena Rossi, 2001, p. 77-78)
→ Winnicott: esiste un diritto a non comunicare
Non mortificare la progettualità
• …«non mortificare la progettualità», piuttosto che
«promuovere la progettualità» perché la progettualità fa
parte dell’impulso costruttivo della natura umana. Non va
sollecitata, se non in casi estremi, così come non va chiesto
a una pianta di crescere: va rintracciata, non offesa, non
creata o «estratta».
• Il ragazzo ha bisogno di progetti e ideali, anche se non si
realizzeranno mai. Gli adulti schiacciano la progettualità
degli adolescenti tacciandola di irrealismo
– La Dolto racconta di un’insegnante che per mesi progettò con i
ragazzi un viaggio alla tour Eiffel sapendo che non si sarebbe
mai realizzato perché non c’erano i soldi.
• L’uomo stesso ha bisogno di progetti. L’utopia è una
categoria irrinunciabile dell’educazione, in ambito cristiano
e laico → E. Bloch, Il principio speranza.
È la capacità dell’uomo di anticipare i progetti più alti a mettere in modo
lo sviluppo storico. Tale «coscienza anticipante» si manifesta nei sogni e
nelle aspirazioni che caratterizzano la vita quotidiana, nel mondo
fantastico delle favole, nei racconti dei film e degli spettacoli teatrali,
nelle utopie sociali sia nelle grandi concezioni religiose, filosofiche.
L'importante è imparare a sperare. Il lavoro
della speranza non è rinunciatario perché di
per sé desidera aver successo invece che
fallire. Lo sperare, superiore all'aver paura,
non è né passivo come questo sentimento
né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla.
L'affetto dello sperare si espande, allarga gli
uomini invece di restringerli, non si sazia
mai di sapere che cosa internamente li fa
tendere a uno scopo e che cosa all'esterno
può essere loro alleato. Il lavoro di questo
affetto vuole uomini che si gettino
attivamente nel nuovo che si va formando e
cui essi stessi appartengono (Boch, Il
principio speranza)
Permettere impegni di realtà
• La nostra società relega gli adolescenti al ruolo di accaniti e
avidi consumatori immaturi. Inoltre, i genitori non si fidano di
ciò che potrebbero fare gli adolescenti, li delegittimano,
impedendo il confronto con la Realtà. Così li tengono
«dentro» casa; però li accusano di stare troppo dentro casa e
di usarla come un «albergo».
• Inoltre, la nostra società attuale mortifica qualsiasi prospettiva
di inserimento lavorativo, per cui gli adolescenti devono
dipendere economicamente in modo totale dai genitori e
questa non facilita lo sganciamento ma, anzi, li irretisce in
un’autoreferenzialità narcisistica (cr. G. Pietropolli Charmet)
• Occorrerebbe permettere ai giovani di assumersi delle
responsabilità, permettere loro, già a 15-16 anni, di fare viaggi
anche lontano, come suggerisce la Dolto, a patto di rispettare
certe regole (avvertire sempre dove si fa, telefonare
regolarmente ecc.)
Educazione come testimonianza
• I ragazzi spesso non sono educati, perché
l’educazione è fondamentalmente coerenza
dell’educatore.
Non ripiegamento su di sé della famiglia
• L’attuale epoca di incertezza e di «fluidità» delle rete
sociale e delle relazioni minaccia anche la sussistenza
della famiglia. Vi è tuttavia il rischio di iper-investire nei
rapporti all’interno della famiglia, percepita come
baluardo di affetti a fronte della precarietà del mondo. Si
genera allora una ipersensibilità per i bisogni dell’infanzia
(che rappresenta più un bisogno di protezione dei
genitori) a cui corrisponde poi una incapacità di
comunicare a livello profondo.
• I genitori dovrebbero essere soddisfatti delle loro vite,
anche al di fuori della pur centrale dimensione
familiare
Gli adolescenti patologici si trovano soprattutto in
famiglie ripiegate su loro stesse, che hanno pochissime
relazioni sociali. Quando gli adulti hanno una fitta rete di
compagni e amici, gli adolescenti non presentano un
atteggiamento passivo o aggressivo. Il rischio di famiglie
con uno spirito familiare esasperato è l’impossibilità di
partorire il figlio. (Dolto, 1988)
…quindi
• Il transito adolescenziale è a metà strada fra il depressivo
e il creativo, fra la tempesta e l’attesa, esaltazione e noia
• L’adolescenza è il momento in cui successi e fallimenti
vengono a galla.
• Ai genitori spetta la funzione di sopravvivere senza
abbandonare la propria posizione (= tenere!).
• Se abdicano, costringono l’adolescente a un viraggio
troppo repentino verso la maturità (autocontenimento
dell’adolescente); se si mantengono vigili e “contenitivi”
possono osservare dal vivo i cambiamenti personali del
giovane e essere un autentico sostegno educativo.
• Ai progetti ideali, non ancora delusi, i genitori possono
rispondere in modo costruttivo, senza rappresaglie e
vendette, o intrusioni, mantenendo il diritto a una propria
posizione da adulti.
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Psicologia della personalità AA 2012-13