Dott. Francesco Gulli
Pedagogista Clinico – Pedagogista per le difficoltà di
apprendimento- Pedagogista dello Sport
BES: Bisogno Educativo Speciale
L’idea di Bisogno Educativo Speciale è fondata sul
funzionamento globale della persona, come definito
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel modello
ICF, porta ad un superamento delle categorie
diagnostiche tradizionali nella fase del riconoscimento
di una situazione in cui l’alunno ha diritto a un
intervento individualizzato inclusivo.
 Non significa rifiutare o ignorare le diagnosi cliniche
che hanno un profondo significato per gli aspetti legati
alla terapia, alla prevenzione, al trattamento educativo.
 Nel modello di Bisogno Educativo Speciale entrano
anche alunni che non potrebbero essere diagnosticati
con alcuna delle condizioni patologiche tradizionali,
ma che hanno talvolta enormi Bisogni Educativi
Speciali che vanno riconosciuti in tempo ed
esattamente, anche se sfuggono ai sistemi tradizionali
di classificazione
La struttura della personalità
Bio-psico-operante
Dimensioni
Aree
Funzioni
Operativa
Operativa
Psicologica
Sociale, Linguistica,
Intellettiva, Affettiva,
Emotiva,
Percettiva
Corporea
Motoria
Motorie:
Schemi motori a)semplici
b)combinati
c)globali
Psicomotorie:
schema corporeo
orientamento spaziale temporale
Equilibrio
Coordinazione dinamica generale
Coordinazione dinamica segmentale
Stabilizzazione lateralità
Coordinazione senso-motoria e ideomotoria
Controllo respiratorio e rilassamento
Biologica
Organica
App.neurologico,cardiocircolatorio,respiratorio,muscola
re,Osteo-articolare,endocrino,
digestivo,
neurovegetativo
La soglia tra funzionamento normale e problematico
L’insegnante e i genitori colgono in tempo, si accorgono
che qualcosa non va, che il funzionamento del
bambino e dell’alunno in qualche modo sono
negativamente condizionati.
E allora?.... Come passare da una sensazione soggettiva
di disagio a una valutazione il più possibile oggettiva
che quello stato di funzionamento in quel particolare
momento è effettivamente problematico per il
bambino?
Per fare questo passaggio dovremmo avere alcuni criteri
il più possibili oggettivi per decidere.
TRE criteri
il più possibile oggettivi per decidere e capire quando c’è
difficoltà..
Tre criteri:
1. Danno
2. Ostacolo
3. Stigmate sociale
 Il primo criterio è quello del danno, effettivamente
vissuto dall’alunno e prodotto su altri, alunni o
adulti, rispetto alla sua integrità fisica, psicologica
o relazionale.
Si pensi a disturbi del comportamento gravi.
All’autolesionismo, ai disturbi emozionali gravi,
gravi deficit di attività personali, a situazioni di
grandi rifiuti o allontanamento dal gruppo
 Il secondo criterio è l’ostacolo. Un funzionamento
problematico è realmente tale per quel bambino se lo
ostacola nel suo sviluppo futuro, se cioè lo
condizionerà nei futuri apprendimenti cognitivi,
sociali, relazionali ed emotivi. Rischia di porre il
bambino in una situazione di svantaggio per ulteriori
successivi sviluppi.
 Pensiamo al disturbi apprendimento o disturbo
specifico apprendimento.
 Terzo criterio può essere la Stigmate sociale.
Con questo terzo criterio ci si chiede se oggettivamente il
bambino, attraverso il suo scarso funzionamento
educativo-apprenditivo, stia peggiorando la sua
immagine sociale, stia costruendosi ulteriori stigmi,
soprattutto se appartiene a qualche categoria
socialmente debole.
Un’immagine sociale negativa diventerà ostacolo e
successivamente danno allo sviluppo
Interventi psicoeducativi positivi
sui comportamenti problema
 Alleanza psicoeducativa;
 Osservazione dei comportamenti realmente problematici;
 Rilevazione delle reali difficoltà;
 Comprendere la funzionalità della persona;
 Mettere insieme le competenze degli adulti e interventi
sostitutivi positivi;
 Le strategie adottate e da adottare;
 Risultanze positive e possibili strategie da adottare.
Alleanza psicoeducativa
 Gli interventi psicoeducativi si inseriscono nella cornice di
una forte alleanza tra chi condivide la responsabilità di
cura, sviluppo, e benessere della persona: genitori,
insegnanti, pedagogisti, psicologi, educatori personale
medico e del volontariato;
 L’alleanza prevede l’abilità da parte degli adulti di
perseguire obbiettivi comuni;
 Riuscire a guidare i genitori e fornirgli strumenti utili in
modo da attivare risultanze e risorse positive.
 L’alleanza educativa richiede prima di tutto capire
insieme l’origine dei comportamenti problema e la loro
comprensione.
 I comportamenti problema sono funzionali al soggetto
che li manifesta, anche se sono realmente dannosi e
controproducenti. Le funzioni che essi svolgono sono
prevalentemente comunicative
Posizione ormai prevalentemente condivisa dalla
comunità Internazionale attraverso gli studi
EdwardCarr (1998), secondo il quale i comportamenti
problema sono dei precisi atti di comunicazione,
“messaggi” non sempre facili da interpretare. In
mancanza di strategie di comunicazione migliori e
socialmente più accettabili, la persona con difficoltà
userà i comportamenti problema.
Quindi, il comportamento problema è la comunicazione
lo dovrà essere anche il suo trattamento educativo.
Il trattamento non dovrà essere solo mirato a ridurre o
eliminare il comportamento (anche se talvolta è
necessario, urgente e umano pensarlo e agirlo), ma
deve puntare a identificare la funzione e insegnare
forme alternative e più efficaci di comunicazione
L’alleanza tra genitori e operatori può essere fondata su
alcuni principi che possono essere condivisi:
 Migliorare l’adattamento dell’individuo al mondo in
cui vive, potenziando le abilità esistenti attraverso l’uso
delle migliori tecniche educative disponibili;
 Dare priorità all’incremento delle abilità esistenti e
riconoscere accettandoli, i punti deboli da migliorare.
 Utilizzare strategie che favoriscano l’inclusione
scolastica e sociale.
L’osservazione dei comportamenti
realmente problematici
Osservare e allearsi con il vissuto affettivo
Milton Erickson riteneva che la competenza più
importante clinica fosse proprio l’osservazione..
Il problema per l’insegnante è che deve osservare più
velocemente possibile senza farsi condizionare dai
pregiudizi…
Riconoscere alcuni segni della vita affettiva….. sono
nascosti..è importante riconoscere alcuni segni nello
sguardo, nella postura, nelle parole dette e in quelle
taciute
Osservazione dei comportamenti
realmente problematici
 Osservare;
 Osservare e capire se i comportamenti osservati sono
davvero problematici “per l’alunno oltre che per noi”;
 Va assunta una prospettiva più neutrale, che ha a
“cuore” il benessere, lo sviluppo e la liberazione del
soggetto dalle “gabbie” dei suoi comportamenti
problema
DIMENSIONE RELAZIONALE
DIMENSIONE AFFETTIVA
DIMENSIONE DIDATTICA
PROCESSI DI MEDIAZIONE DELLA MICRODINAMICA
DI INSEGNAMENTO/APPRENDIMENTO
Questi quattro piani si interconnettono e si influenzano
a vicenda.
Le azioni e le strategie per l’insegnamento e lo sviluppo
in un alunno con difficoltà non saranno mai semplici,
uniche e totalizzanti
Abbiamo bisogno di una mappa che orienti e costruisca
una visione d’insieme, anche per cercare
consapevolmente nella carriera professionale sempre
nuovi approcci, azioni, materiali, che sapremo però
assimilare bene nel nostro background.
L’insegnante e l’educatore, leggendo, studiando e
sperimentando incontreranno nuove proposte e le
potranno
collocare
dell’affettività,
della
al
livello
della
relazione,
metodologia/organizzazione,
della mediazione, oppure con varie sovrapposizioni e
scavalchi, ma sempre con consapevolezza critica
Lo sviluppo di competenze e l’apprendimento hanno
bisogno di:
1.
Relazione positiva;
2. Sostegno affettivo;
3. Organizzazione e struttura della didattica;
4. Di gestione dei processi
insegnamento/apprendimento.
LA CORNICE RELAZIONALE:
LA QUALITA’ DELLA RELAZIONE
INSEGNANTE-ALUNNO
“Una buona relazione è tale ……….soltanto se lo è per
entrambi ……”
(D.Ianes, V.Macchia)
La Pedagogia ci insegna che una buona relazione di aiuto
è uno sviluppo, una crescita, un processo che ha
bisogno di tempo, di occasioni e di incontri ripetuti,
non bisogna avere fretta.
Nella relazione è essenziale sfuggire a
due rischi:
1.
La manipolazione e il controllo dell’altro per i propri
bisogni (di approvazione, di sentirsi, indispensabili,
amati e efficaci nel curarlo)
2. La fuga dalle responsabilità di rimanere a contatto
con i propri vissuti affettivi
Lettura di Crittenden pag.86
Ricercare nella relazione educativa
la difficile “terza via” dell’autorevolezza
stretta
tra autoritarismo e assenza di regole*
Accettazione incondizionata
Una relazione si avvia a diventare buona quando ci si
accetta per quello che si è, quando l’altro “mi va bene”
al di là delle sue capacità, competenze, stato di salute,
età, comportamento.
Pianta (2001) ci si suggerisce di dedicare del tempo allo
“stare insieme” non vincolato a un’attività finalizzata e
scelta dal docente.
L’ascolto attivo, conoscenza,
comprensione empatia
 L’ascolto attivo è trattenersi fortemente dalle
interpretazioni frettolose, dalle schematizzazioni
rigide.
 L’ascolto attivo è sempre provvisorio, alla ricerca di una
conoscenza transitoria.
Va aperta la nostra percezione a molti vari linguaggi
espressivi, sia verbali che del corpo, della prossemica e
anche ai comportamenti apparentemente non
comunicativi
Il terzo ambito di riflessione riguarda l’empatia “sentire
l’altro”.
Un insegnante empatico riesce a comprendere
l’emozione dell’alunno (comprendere non significa
giustificare, né spiegare soltanto razionalmente), gli
sta vicino mentre la esprime, gli consente di
esprimerla, lo aiuta a nominarla-classificarla, e forse a
“controllarla” un po’ di più, in modo produttivo e non
repressivo
Stimolo, aiuto, azione orientata,
proposta, guida, attese
Per educare bisogna partecipare con energia al processo
formativo.
Ognuno deve essere guidato ma anche aiutato a
diventare autonomo.
Maria Montessori suggeriva “Aiutami a fare da solo”
Elaboriamo un alfabeto della comunicazione positiva
come base per formare una relazione positiva su cui far
leva nella didattica:
A. ACCOGLIENZA
B. BISOGNI DELL’ALTRO
C. CUORE
D. DECISIONE
E. EMPOWERMENT, strategie per rendere l’altro
competente
Autostima, identità e sicurezza
 Nella nostra azione di aiuto all’apprendimento
cerchiamo di tener conto dell’autostima dell’alunno e
della nostra……
 Se l’azione sta andando bene, l’autostima aumenta, e
con essa l’autoefficacia, la motivazione intrinseca, la
curiosità e gli interessi, la ricerca di obiettivi sempre
più avanzati.
Alcuni aspetti della relazione insegnante-alunno sono
molto connessi con l’identità. Si aiuta l’identità
conservando e rielaborando insieme la memoria di una
storia personale e familiare e insieme progettando il
futuro, con i suoi desideri, valori e obiettivi (Ianes e
Demo)
L’insegnante è un modello di eccezionale valore per
aiutare l’alunno nella scoperta di sé:
“… l’animale umano scopre se stesso, come quel certo
corpo che è, quella certa soggettività che è soltanto
attraverso la relazione con l’altro.”
Cimatti 2005
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Slide corso del 9 gennaio 2013 BES - Istituto Comprensivo "Aristide