MENTE E CORPO
UNIVERSITA’ GREGORIANA
PROGETTO STOQ, 2009-10
FISICALISMO MINIMALE





Il fisicalismo minimale è la teoria secondo cui:
I. Gli stati mentali dipendono ontologicamente da
quelli fisici.
II. Stabiliti quali siano gli stati fisici, anche quelli
mentali risultano determinati.
Il fisicalismo è una tesi ontologica, non
linguistica.
In un certo senso il fisicalismo minimale è
banalmente vero, cioè se con “fisico” intendiamo
una completa conoscenza della natura. In un
altro senso è falso, se intendiamo l’attuale fisica.
ESTERNALISMO



In filosofia della mente si distingue fra internalismo ed
esternalismo. In accordo con il primo, l’individuazione dei
nostri stati mentali dipende solo da ciò che capita nella
nostra testa, mentre, in accordo con il secondo, anche da
ciò che sta fuori. Pensiamo, ad esempio, all’uso
referenziale del linguaggio: “Quell’aggeggio è rotto”.
Quello che sto affermando dipende da che cosa
“quell’aggeggio” è nel mondo.
Per evitare questo problema, alcuni hanno introdotto il
concetto di “contenuto stretto” di uno stato mentale, cioè
solo la parte che sta nella nostra testa.
Se si è esternalisti, per formulare il fisicalismo minimale, i
casi sono due: o ci si riferisce solo al contenuto stretto,
oppure si prende in considerazione lo stato fisico di ciò che
è esterno.
KANT 1

L’Analitica trascendentale pertanto ha
questo importante risultato, che l’intelletto
a priori non può mai far altro che
anticipare la forma di un’esperienza
possibile in generale: e poiché ciò che non
è fenomeno non può essere oggetto
dell’esperienza, l’intelletto non può mai
sorpassare i limiti della sensibilità, dentro i
quali soltanto ci sono dati oggetti.
KANT 2

I suoi sono semplicemente principi
dell’esposizione dei fenomeni, e
l’orgoglioso nome di Ontologia, che
presume di dare a una dottrina
sistematica conoscenze sintetiche a priori
delle cose in generale (per esempio il
principio di causalità), deve cedere il posto
a quello modesto di Analitica dell’intelletto
puro. (Critica della ragion pura, B 303)
KANT NATURALIZZATO 1

L’epistemologia pertanto ha questo
importante risultato, che l’analisi a
posteriori non può mai far altro che
anticipare la forma di un’esperienza
possibile in generale: e poiché ciò che non
è fenomeno non può essere oggetto
dell’esperienza, l’intelletto non può mai
sorpassare i limiti della sensibilità, dentro i
quali soltanto ci sono dati oggetti.
KANT NATURALIZZATO 2

I suoi sono semplicemente principi
dell’esposizione dei fenomeni, e
l’orgoglioso nome di Ontologia, che
presume di dare a una dottrina
sistematica conoscenze sintetiche a priori
delle cose in generale (per esempio il
principio di causalità), deve cedere il posto
a quello modesto di Analitica a posteriori
dell’esperienza possibile.
IL PRIMATO
DELL’EPISTEMOLOGIA



Nella nostra impostazione prendiamo le mosse dal primato
dell’epistemologia sull’ontologia sancito da Kant, cioè noi
possiamo stabilire che cosa ci sia nel mondo solo mediante i
nostri processi conoscitivi.
L’ontologia provvisoria che stabiliamo di volta in volta a
partire dalle nostre conoscenze scientifiche ha tuttavia
grande importanza metafisica.
Molti studiosi di filosofia della mente discutono
animatamente di ontologia prima di porsi i problemi
effettivi. Ecco questa non sembra essere la strada corretta.
LO SPAZIO DELLA SPERANZA


Risulterà dalle nostre considerazioni che se prendiamo
seriamente il compito della naturalizzazione e soprattutto
se naturalizziamo fino in fondo la nostra ontologia, allora il
fisicalismo minimale, pur essendo un’opzione metafisica
sostenibile non è l’unica ontologia che emerge da un’analisi
naturalistica del problema mente-corpo. O meglio è
un’ampia estrapolazione da pochi risultati disponibili.
Per questa ragione, la naturalizzazione presa sul serio non
dimostra certo che il fisicalismo minimale sia falso, però
lascia aperto lo spazio delle nostre speranze.
CHE COSA E’ UNO STATO
MENTALE




Uno stato mentale, che indicheremo con le lettere
M1……Mn, è un termine teorico di una teoria i cui
termini osservativi sono i comportamenti verbali
e non verbali.
Si tratta di tipi di stati mentali, non di
occorrenze.
Anche i comportamenti sono tipi.
Non esistono condizioni necessarie e sufficienti
che determinano un tipo di stato mentale a
partire da tipi di comportamenti.
CREDENZE
In filosofia della mente si tende a
caratterizzare gli stati mentali mediante
credenze e desideri.
 “Credenze” è un concetto genere per
assunzioni, ipotesi, certezze, credenze
cieche, fedi, ipotesi confermate ecc.
 Tutte le credenze hanno la caratteristica
che sono esprimibili mediante un
enunciato che viene preso per vero.

DESIDERI
Analogamente “desiderio” è un concetto
genere per pulsioni, aspirazioni, wishful
thinkings ecc.
 Essi sono caratterizzati da un enunciato
che si riferisce a uno stato di cose che se
esistesse darebbe piacere.
 Credenze e desideri sono stati intenzionali.

CHE COSA E’ LA SPERANZA 1




La speranza è un particolare tipo di desiderio.
Cioè il desiderio di desiderare che p. Il semplice
desiderio che p è un’aspirazione, non ancora una
speranza.
Esso è caratterizzato anche dalla credenza che
quello che desideriamo sia possibile, benché
magari, poco probabile, però non deve essere
impossibile.
Sbagliata quindi la definizione di Gabriel Marcel
secondo cui la speranza è il desiderio di ciò che è
impossibile.
Nel momento in cui noi riusciamo a desiderare la
speranza è appagata (extensio animiI).
CHE COSA E’ LA SPERANZA 2
La speranza viene delusa quando non
riusciamo più a desiderare: disperazione.
 Una speranza realizzata, cioè il riuscire a
desiderare, dà gioia. La gioia è un piacere
non localizzato in una zona precisa del
corpo.
 Affinché ci sia speranza non è necessaria
la fede che ciò che speriamo sia possibile,
anche se certo è sufficiente, basta l’ipotesi
non confutata.

LEGGI COMPORTAMENTALI




Una legge scientifica è qualcosa di più rispetto a
una mera generalizzazione accidentale.
Questo “di più” è un nesso ontologico.
Senz’altro esistono leggi che regolano i nostri
comportamenti, il cui nesso ontologico è di
natura fisica, chimica, biologica o fisiologica.
Uno degli esempi più semplici sono i riflessi
incondizionati e condizionati.
INESATTEZZA DEI TERMINI
MENTALI



Gli stati mentali sono enti inosservabili, come i campi
magnetici in fisica. Non possiamo però trovare leggi
psicologiche teoriche pure, come, ad esempio, l’equazione
di Schrödinger in fisica, perché essi non sono definiti con
esattezza mediante il linguaggio della matematica.
C’è un tentativo importante di definire con esattezza gli
stati mentali, cioè il computazionalismo, di cui
parleremo, che però non esaurisce certo tutto l’ambito delle
ricerche psicologiche.
Non si può però affermare che i termini mentali saranno
sempre inesatti.
LEGGI COMPORTAMENTALIMENTALI



Esistono, però, per così dire, leggi
comportamentali-mentali. Ad esempio i modelli
mentali di Johnson-Laird. La maggior parte delle
persone da “se bevo whisky mi ubriaco” e “non
ho bevuto whisky” deduce “non sono ubriaco”,
perché scambia l’implicazione “se…allora…” con la
doppia implicazione “…se e solo se….”.
Contrariamente all’opinione comune degli
studiosi, ritengo che il “di più” ontologico di
queste leggi consista nell’esperienza soggettiva.
Questa intuizione andrebbe sviluppata.
NUOVA DEFINIZIONE



Esistono anche poche leggi neuropsicologiche –
molte meno di quanto si crede – nelle quali il “di
più” ontologico ha natura neuro-psicologica. Ma
ne parleremo più avanti.
Dunque gli stati mentali sono tipi di entità
teoriche definiti in modo inesatto a partire
dai nostri comportamenti mediante leggi che
li connettono con stati fisici.
Che cosa sono gli stati fisici, che indichiamo con
le lettere F1,F2….?
AMBIGUITA’ DEL MATERIALISMO



Dunque che cosa sia il mentale varia col crescere
delle nostre conoscenze. Lo stesso vale per la
risposta alla domanda che cosa sia il fisico.
Per questa ragione i termini “materialismo” o
“fisicalismo”, che oggi sono molto usati, sia con
approvazione che con disapprovazione, sono
essenzialmente indeterminati.
Se con essi intendiamo una qualche forma di
primato di ciò che è fisico o della materia non
possiamo che fare riferimento a ciò che oggi le
nostre migliori teorie considerano tale.
CARATTERISTICHE DELLE
ENTITA’ FISICHE



Un’entità fisica è un oggetto delle attuali scienze
naturali, dalla fisica teorica alla fisiologia. In
generale possiede le seguenti peculiarità:
I. E’ un tipo definito con una certa esattezza.
II. Anche se non si può dire che il suo
comportamento sia interamente spiegabile nei
termini delle nostre migliori teorie fisiche – cioè
meccanica quantistica e relatività – un’entità
fisica si presuppone che obbedisca alle leggi
fondamentali di tali teorie.
OSSERVABILI E TEORICHE




III. Ci sono entità fisiche osservabili, come i tavoli
e le sedie, ed entità fisiche inosservabili, come gli
elettroni e i campi magnetici. Ci sono anche
entità fisiche a metà strada fra osservabile e
inosservabile, come i virus.
Le entità fisiche, nella misura in cui sono
osservabili, sono accessibili a tutti i soggetti.
Le entità fisiche teoriche sono reali solo se esiste
una spiegazione naturalistica del perché non
siamo in grado di osservarle.
Non sappiamo invece perché le entità mentali
non siano osservabili.
SPAZIO, TEMPO E OGGETTIVITA’



IV. Le entità fisiche sono collocate nello spazio e
nel tempo.
Spazio e tempo vanno qui intesi come entità
definite dalle nostre migliori teorie fisiche.
V. Le entità fisiche sono oggettive, cioè almeno
in parte indipendenti dal soggetto. In linea di
principio potrebbero essere del tutto indipendenti
dal soggetto; il che non vale per le entità mentali.
QUANTIFICAZIONE E
RAPPRESENTAZIONE SPAZIALE



VI. Le entità fisiche spesso possono essere
quantificate con una valutazione numerica delle
loro proprietà.
Quelle che non possono essere quantificate,
possono essere rappresentate mediante modelli
spaziali, come le formule chimiche di struttura o i
diagrammi morfologici in anatomia e fisiologia.
E’ invece molto difficile quantificare le entità
mentali, anche se non impossibile, e comunque di
esse non esistono modelli spaziali.
BREVIARIO ONTOLOGICO



E’ reale ciò che è rappresentabile nello spazio e
nel tempo.
E’ oggettivo ciò che è indipendente dal soggetto.
L’oggettività ha dei gradi. Una delle vie per
stabilire l’oggettività di un’entità è quella
dell’intersoggettività.
Esiste ciò che è reale e oggettivo. Esiste è un
predicato del secondo ordine, cioè non possiamo
chiederci se esiste x, ma solo se esiste un x tale
che Fx.
EMERGENZA



Dunque le entità fisiche non sono solo i quark o
le particelle, ma anche le molecole, le cellule i
cromosomi ecc.
Spesso le proprietà degli oggetti fisici più
complessi, a partire dalle grandi molecole, sono
emergenti nel senso di Broad, cioè, pur essendo
presenti solo se ci sono anche le particelle, non
possediamo tuttavia leggi che determinano le loro
proprietà a partire da quelle delle particelle.
Questo non è un ignorabimus, ma solo un
ignoramus.
CONSEGUENZE DEL
FISICALISMO MINIMALE






Diciamo che un comportamento è libero quando:
1. prima di compierlo è stato un nostro scopo.
2. il fatto che quel comportamento sia un nostro
scopo non è determinato dalla nostra struttura
fisica.
Un comportamento è un nostro scopo quando
desideriamo realizzarlo e crediamo che sia
possibile realizzarlo. Cioè è una nostra
aspirazione.
Dunque se il fisicalismo minimale fosse vero non
ci sarebbero comportamenti liberi.
Teologicamente c’è anche il problema del
cosiddetto “periodo intermedio”.
DAVIDSON
Davidson ha provato a salvare la capacità
causale del mentale con il seguente
ragionamento:
 Ci sono tre premesse fra loro
incompatibili:
 1. Il mentale agisce sul fisico.
 2. Affinché ci sia causalità occorre una
legge.
 3. Non ci sono leggi psico-fisiche.

IDENTITA’ DELLE OCCORRENZE




L’unica maniera per spiegare l’evidente capacità
del mentale di agire sul fisico sembra essere
l’identità fra mentale e fisico. Tale identità non
può però essere dei tipi, perché non ci sono leggi
psico-fisiche; dunque Davidson sostiene l’identità
delle occorrenze.
1. La tesi di Davidson non salva la libertà, ma
solo il potere causale del mentale, che potrebbe
essere determinato completamente.
2. Inoltre è una tesi puramente ontologica e
sostanzialmente a priori.
La soluzione di Gozzano, che riabilita la teoria
dell’identità dei tipi evita la seconda critica, ma
resta sotto la prima.
LE LEGGI PSICO-FISICHE 1



Molto importante, però è la sua argomentazione contro la
possibilità delle leggi psico-fisiche, che si può così
riassumere.
1. L’individuazione degli stati mentali è estremamente
complessa, a causa del loro carattere fortemente olistico.
Per cui essa si basa su premesse normative. Ad esempio,
per attribuire una credenza o un desiderio a Tizio,
dobbiamo presupporre che Tizio sia un essere razionale.
Chiamiamo N queste assunzioni.
2. Anche le teorie della scienza naturale hanno le loro
premesse per individuare gli stati fisici, come ad esempio
“un corpo non può avere due velocità diverse nello stesso
istante”. Chiamiamo D queste assunzioni
LE LEGGI PSICO-FISICHE 2




3. Una legge psico-fisica ha la forma “Necessariamente (M
se e solo se F)”, ma noi sappiamo che “Necessariamente (F
se e solo se D)” e “Necessariamente (M se e solo se N)”.
(Necessità nomologica)
4. Quindi da N si potrebbe dedurre D e viceversa. Il che è
impossibile, perché N ha carattere normativo, mentre D
carattere descrittivo.
L’argomento è forte, ma un po’ troppo a priori. In realtà in
alcuni casi si trovano individuazioni degli stati mentali non
normativi. Per cui non si può dire che non esistano leggi
psico-fisiche, anche se sono relativamente poche.
Nel passo 3. bisognerebbe anche considerare i casi in cui si
ha implicazione e non equivalenza.
LE FORME DEL FISICALISMO
Con questi strumenti possiamo ora
esaminare le varie forme di fisicalismo che
circolano, cioè:
 A. Teoria dell’identità dei tipi.
 B. Funzionalismo.
 C. Eliminazionismo.
 D. Computazionalismo.
 E. Sopravvenienza.

IDENTITA’ DEI TIPI


La teoria dell’identità dei tipi è stata formulata
nell’ambito della filosofia realistica australiana da
Smart e Place. Essa si basa sulla distinzione
fregeana fra senso e riferimento. Ci si può
riferire a uno stesso oggetto, come ad esempio
Papa Benedetto XVI, mediante termini diversi,
che hanno un senso differente, come “l’attuale
vescovo di Roma” e “il successore di Giovanni
Paolo II”.
Analogamente si può descrivere una stessa entità
in due modi diversi “la sensazione di paura” e
“l’attivazione dell’amigdala”.
MONISMO NEUTRALE
Questa impostazione non va confusa con il
monismo neutrale di Russell e Feigl, che
per certi versi è presente anche in Spinoza
e Fechner, perché, per i teorici
dell’identità, tra le due descrizioni della
stessa entità è quella fisiologica quella più
vicina alla realtà.
 Tale prospettiva va incontro a tre critiche
devastanti, che poi, in un certo senso, si
riducono a una sola.

CRITICHE
A. Risulta inesplicato l’aspetto qualitativo
della soggettività.
 B. Uno stesso stato mentale si può
materializzare in diversi stati fisici.
 C. Un’identità del genere non può che
essere logicamente necessaria, mentre
di fatto è empiricamente contingente.

LA SOGGETTIVITA’ INESPLICATA





L’esempio a cui fa riferimento Place per rendere
plausibile la teoria dell’identità è il seguente:
Il lampo è una scarica elettrica
Il problema è che l’affermazione “il lampo è una
scarica elettrica” non sembra scientificamente
discutibile.
Facciamo un semplice esempio: Gigi dice a
Marina “ecco un lampo” e ha un certo contenuto
percettivo che possiamo indicare con A. Marina
dice “è vero” e nel guardare il lampo ha un
contenuto percettivo diverso da quello di Gigi,
che possiamo chiamare B.
Allora se con il termine “lampo” ci riferiamo
all’oggetto l’affermazione è una tautologia, se
invece ci riferiamo al percetto l’affermazione è
confusa.
RIFORMULAZIONE



Si capisce quindi che l’analogia con enunciati
presuntivamente chiari dal punto di vista scientifico come “il
lampo è una scarica elettrica” non aiuta molto.
Un esempio più adeguato sarebbe “la temperatura è il
movimento delle molecole” che connette due termini della
fisica, uno della termodinamica e l’altro della meccanica
statistica.
Ammettiamo quindi che possediamo una accettabile
definizione scientifica di un certo stato mentale e che
affermiamo la sua identità con uno stato fisico.
DIVERSITA’ DEI DISCERNIBILI



Si potrebbe dire che due oggetti che hanno
proprietà diverse non possono essere lo stesso
oggetto: diversità dei discernibili.
Si può dire, ad esempio, del colore rosso di
Tiziano che è “suggestivo”, mentre non si può
dire dell’attivazione della mia corteccia visiva
quando guardo il rosso Tiziano che è suggestiva.
Quindi quei due oggetti non possono essere
identici.
ARGOMENTO DI FODOR E
PUTNAM





Partiamo dall’ipotesi che M1sia F1.
Abbiamo una buona definizione scientifica di M1
oltre che, ovviamente di F1.
Ma è possibile che un individuo possieda M1
senza essere nello stato F1.
Ad esempio sia M1 il piacere e F1 l’attivazione
delle fibre B. Un polpo potrebbe provare piacere
senza avere le fibre B attivate, anche perché non
le possiede. Gli stati mentali sono perciò
multirealizzabili.
Quindi non è vero che M1 sia identico a F1.
L’ARGOMENTO DI KRIPKE


Che cosa significa l’espressione modale
“possibile” nel precedente argomento?
Molti hanno sostenuto che non può che essere
“metafisicamente possibile” nel senso di
Kripke. Cioè M1 e F1 in quanto generi naturali
della scienza sono designatori rigidi, cioè si
riferiscono alla stessa entità in tutti i mondi
possibili, per cui se affermiamo che M1 è F1
questa è un’identità logicamente necessaria,
mentre noi abbiamo dei mondi logicamente
possibili in cui M1 è diverso da F1.
MODALITA’ NATURALIZZATE




Credo ci siano ragioni importanti per considerare irrilevante
per la scienza l’analisi di Kripke delle nozioni modali.
“Necessario” e “possibile” vanno intesi come nozioni
delimitate dalle nostre migliori teorie scientifiche, cioè dalle
leggi che riteniamo valide.
L’identità fra M1 e F1, se vale, è fondata sulle leggi della
scienza, esattamente come quella fra temperatura e moto
molecolare. E’ chiaro che una volta assodata essa diventa
un’identità logicamente necessaria, ma questa necessità
logica è giustificata da quella naturalistica.
Se scopriamo un controesempio all’identità, cade
quest’ultima, come ogni altra affermazione fondata sulle
leggi della scienza.
IDENTITA’ NATURALIZZATA




Se troviamo dei controesempi all’identità fra M1 e F1 i casi
sono due: o l’identità in quel caso non vale oppure i termini
M1 e F1 non sono scelti bene.
Un teorico dell’identità sceglierebbe la seconda alternativa.
Il problema è quello di trovare degli M scientificamente
definiti e degli F che siano completamente correlati a quegli
M.
La teoria dell’identità dei tipi non è contraddittoria o
insensata, come molti sostengono, è semplicemente
scientificamente poco sostenuta.
L’IDENTITA’ FRA TEMPERATURA
E VELOCITA’ DELLE MOLECOLE






Esaminiamo più da vicino l’identità fra calore e moto
molecolare che si è realizzato nella fisica dell’800.
Essa è stata innanzitutto un’ipotesi ontologica di Daniel
Bernoulli, Joule e Krönig per risolvere dei paradossi nella
teoria del calorico.
Dopo di che nelle mani di Clausius e Maxwell diventa una
guida per ottenere anche risultati sperimentalmente
controllabili.
Fino ad arrivare alla famosa equazione:
1/2mw2=3/2kT
Dove sulla sinistra abbiamo l’energia cinetica media delle
molecole e sulla destra la costante di Boltzmann k e la
temperatura assoluta T.
CONFRONTO




La teoria dell’identità dei tipi ha senz’altro il vantaggio che
spiega bene il potere causale del mentale sul fisico tenendo
fermo il principio di chiusura causale di quest’ultimo. E fin
qui siamo al livello di Joule e Krönig.
Chiediamoci, allora, se da essa è possibile dedurre
conseguenze sperimentali controllabili.
In molti casi, come abbiamo visto prima, tali conseguenze
sono piene di eccezioni, ma effettivamente usando le
moderne tecniche di brain imaging si trovano molte
regolarità che confermano la teoria.
Tipo “quando si prova paura si attiva l’amigdala”.
FIN QUI 1 A 1




Fin qui la discussione è aperta. Il confronto con il caso
dell’identità fra temperatura ed energia cinetica non
promuove quello fra stati fisici e stati mentali, ma neanche
lo boccia.
Ma quello che è decisivo è l’equazione dedotta da un
confronto fra le equazioni della termodinamica da un lato e
il modello cinetico dall’altro.
Ad esempio, nello Zemansky, partendo dal modello cinetico
di un gas ideale e ipotizzando che la pressione sia l’urto
delle molecole contro la parete si arriva a stabilire che
PV=2/3N(1/2mw2)
5 A 0 PER L’IDENTITA’ FISICA




Confrontando questa equazione con quella termodinamica dei
gas ideali, cioè:
PV=nRT
Si ottiene l’eguaglianza fra temperatura ed energia cinetica
media delle molecole. Questo nel caso del gas ideale, ma poi
tale identità viene utilizzata in innumerevoli altri casi fisici
portando a risultati sperimentalmente confermati.
Direi che siamo anni luce dalla teoria dell’identità dei tipi.
PATRICHA CHURCHLAND


Teniamo presente che una teoria dell’identità
molto speculativa, ma più praticabile, è quella di
Patricha Churchland, secondo la quale l’identità
non è fra gli attuali tipi psicologici e gli attuali tipi
fisici, ma il frutto di una collaborazione fra le due
discipline che porterà a un radicale cambiamento
dei concetti di entrambe.
Inoltre è possibile che un singolo tipo mentale si
realizzi non in diverse occorrenze fisiche, ma in
diversi tipi fisici.
L’IDENTITA’ DELLE
OCCORRENZE
Alcuni hanno notato che lo stesso stato
mentale nella stessa persona in tempi
diversi potrebbe essere realizzato in stati
fisici diversi.
 Essi sostengono allora la teoria
dell’identità delle occorrenze, cioè che ogni
stato mentale è identico a un singolo stato
fisico.
 Questa teoria però è una preferenza
ontologica che non ha una possibile
giustificazione scientifica.

L’IDENTITA’ DEI TIPI COME
IPOTESI SCIENTIFICA
William Bechtel e Robert McCauley, 1999,
hanno formulato quella che chiamano “la
teoria euristica dell’identità dei tipi”, cioè
la tesi secondo cui l’identità dei tipi
mente-cervello è un’ipotesi di lavoro per la
neuropsicologia, non una presa di
posizione ontologica a priori.
 E’ chiaro che questo punto di vista è
filosoficamente sostenibile e
scientificamente proficuo.

FUNZIONALISMO

Il funzionalismo ha dominato il dibattito sul
problema mente-corpo dagli anni ’70 in poi.
Formulato da Putnam – che poi lo ha in parte
abiurato – è stato portato avanti soprattutto da
Fodor. Ha una sua forma particolare che è
l’eliminazionismo di Dennett. L’impostazione più
interessante è quella che risale a Turing. Nel
dibattito contemporaneo è stato sostituito dal
dualismo delle proprietà e la sopravvenienza.
IL FUNZIONALISMO MINIMALE



Ci sono molte forme di funzionalismo.
Un minimo comune denominatore del
funzionalismo è che gli stati mentali non vengono
identificati sulla base degli stati fisici, come nella
teoria dell’identità dei tipi, ma sulla base del
ruolo causale che giocano fra gli stimoli (input)
e i comportamenti (output)
Ad esempio si può dire che Tizio spera che p se
mostra segni di piacere nel desiderare che p e
mostra segni di tristezza se non desidera più p.
RUOLI E REALIZZATORI



Un’importante distinzione è quella fra
funzionalismo dei ruoli e funzionalismo dei
realizzatori. Il funzionalismo dei realizzatori
identifica gli stati mentali con l’entità fisica che
effettivamente gioca quel ruolo, mentre quello dei
ruoli si limita al ruolo causale.
Il funzionalismo dei ruoli è compatibile con il
dualismo delle proprietà e con l’identità delle
occorrenze (tokens), ma non con quella dei tipi
(types).
Il funzionalismo dei realizzatori è invece una
forma di identità dei tipi (Lewis, Gozzano).
VANTAGGI E SVANTAGGI



Il funzionalismo dei ruoli ha il vantaggio di
ammettere la multirealizzabilità degli stati
mentali, evitando quindi quello che Kripke ha
chiamato “sciovinismo” umano. Anche i marziani,
infatti, potrebbero avere stati mentali.
Per contro, il funzionalismo dei realizzatori ha il
vantaggio di preservare la capacità causale del
mentale.
Il funzionalismo dei realizzatori incappa nelle
critiche che abbiamo già visto dell’identità. Resta
quindi quello dei ruoli.
CRITICHE



Ci sono molte critiche metodologiche al
funzionalismo, che possono essere affrontate
soprattutto in sede di pratica della psicologia
scientifica.
Qui vogliamo invece affrontare due critiche che
mettono in discussione la tesi secondo cui
sarebbe possibile una descrizione completa del
mentale in termini funzionalistici.
Se questo fosse possibile, allora, anche il
funzionalismo dei ruoli implicherebbe comunque il
fisicalsimo minimale.
ACCESSO PRIVILEGIATO

Noi tendiamo a pensare che esiste
qualcosa, cioè gli “stati mentali”, che sono
percepibili solo da una persona, per cui io
ho accesso ai miei stati mentali, ma non
conosco quelli degli altri, per cui ci
poniamo il problema dell’attribuzione degli
stati mentali, visto che la nostra scienza è
basata sulla pubblicità e ripetitività dei
dati.
PER ARISTOTELE NON ERA UN
PROBLEMA
E’ interessante notare che nell’intera opera
di Aristotele, così sofisticata dal punto di
vista epistemologico, non ci si pone mai
questo problema nei termini illustrati
precedentemente.
 Al fine di comprendere meglio il problema,
dobbiamo capire perché per Aristotele non
era un problema.

UN INVENTARIO DELLA
SOGGETTIVITA’
Proviamo a fare un inventario di ciò che
consideriamo soggettivo.
 0. Le post-immagini, le allucinazioni, i
fosfeni.
 1. Le sensazioni dei corpi.
 2. Le emozioni sensibili.
 3. I giudizi, i desideri, le speranze ecc.
 4. La sensazione dell’io, la coscienza.

LE SENSAZIONI DEI CORPI
I corpi ci si presentano come se ci fossero
anche se noi non li percepissimo, quindi
essi in prima istanza non sono soggettivi.
 Tuttavia noi siamo convinti che li
percepiremmo diversamente se fossimo
diversamente costituiti.
 Allora sosteniamo che un conto è il corpo
di per sé e un conto il corpo che
percepiamo noi.

I CORPI COME SENSIBILI
In questo modo si spiegano bene anche le
illusioni.
 Aristotele, invece, era convinto che noi
percepissimo i corpi e non le sensazioni
nostre dei corpi.
 Per lui infatti i corpi sono dei “sensibili”,
cioè sono solo in potenza. Dunque lo
stesso vino può essere dolce per il sano e
amaro per il malato.

UN’ONTOLOGIA SENZA
POTENZA



Nella scienza moderna non utilizziamo il concetto di potenza
a causa della sua imprecisione.
Ad esempio, non consideriamo una spiegazione del fatto
che il vetro si rompe, affermare che è “fragile”, perché non
è chiaro a che cosa si riferisca questo termine. Mentre
consideriamo accettabile la spiegazione in termini della
configurazione cristallina e molecolare dei silicati.
Analogamente, è chiaro quale sia l’insieme degli oggetti che
sono in questa stanza in questo momento, mentre è del
tutto indeterminato l’insieme dei corpi che “possono” essere
in questa stanza in questo momento.
COSA PERCEPITA E COSA IN SE’


Per questa ragione noi tendiamo a spiegare le
illusioni, le allucinazioni, le post-immagini, le
percezioni diverse dello stesso oggetto e il
conflitto fra ciò che afferma la scienza naturale e
ciò che percepiamo (rivoluzione copernicana) nei
termini di una distinzione fra cosa in sé e cosa
percepita. E la seconda sarebbe soggettiva.
In questo modo non dobbiamo usare l’ambiguo
concetto aristotelico di “sensibile”, ma risulta del
tutto misterioso il presunto rapporto causale fra
la cosa percepita e la cosa in sé.
I CORPI NON SONO SENSAZIONI



Resta comunque il fatto che per Aristotele le
sensazioni dei corpi non sono soggettive, ma
oggettive.
Da un punto di vista empirico, noi percepiamo i
corpi come qualcosa di indipendente da noi. Solo
un argomento può convincerci che in realtà essi
sono sensazioni.
Tuttavia le post-immagini, le allucinazioni e i
fosfeni sono senz’altro soggettivi. A differenza
delle illusioni con essi abbiamo la possibilità
nell’ambito percettivo stesso di cogliere la loro
non oggettività.
LE EMOZIONI SENSIBILI



Il termine “Gefühlsempfindungen” è stato
introdotto da Carl Stumpf, per distinguere le
emozioni localizzate sensibilmente da quelle più
astratte, che tratteremo dopo.
A noi sembra che solo noi possiamo accedere alle
nostre sensazioni emotive.
Dal punto di vista aristotelico, le cose non stanno
così, perché le sensazioni emotive sono legate a
una zona del nostro corpo e le possiamo sentire
solo noi solo nel senso in cui io e te non possiamo
tenere il piede nello stesso luogo
simultaneamente.
SONO SENSAZIONI
In De anima, III, 431a 9ss., Aristotele
nota che il piacere e il dolore sono come le
sensazioni. Cioè noi percepiamo il nostro
corpo, ma il nostro corpo potrebbe essere
di qualcun altro.
 Dunque anche le sensazioni emotive, che
per noi sono soggettive, non lo sono dal
punto di vista aristotelico.

STATI INTENZIONALI


Dal punto di vista psicologico, gli stati come
giudizi, speranze e desideri, vengono spesso
chiamati “intenzionali”, nel senso medioevale
dell’intentio, cioè del tendere verso. In effetti
desiderare significa desiderare qualcosa,
giudicare significa giudicare qualcosa ecc.
La prima cosa da stabilire è la natura di questo
“qualcosa” verso cui gli stati intenzionali sono
diretti.
ATTEGGIAMENTI
PROPOSIZIONALI




A partire da Russell, molti autori hanno
identificato il contenuto degli stati intenzionali
con una proposizione: ad esempio, desidero che
“domani non piova”; giudico che “tu sia pigro”
ecc.
Non l’enunciato, ma la proposizione.
Le immagini sono atteggiamenti.
Qui ci sono importanti problemi tuttora dibattuti,
che però possiamo aggirare. A noi interessa
determinare se l’atteggiamento e la proposizione
che fanno parte di un atteggiamento
proposizionale siano o meno soggettivi.
IL CONTENUTO E’ (PER LO PIU’)
PUBBLICO



Il contenuto di un atto intenzionale è
linguisticamente determinato. Stando a
Wittgenstein questo fatto accentua fortemente il
suo carattere intersoggettivo e pubblico.
Proprio per questa ragione la descrizione degli
stati intenzionali in termini di atteggiamenti
proposizionali ha avuto così successo. Certo,
rimane la possibilità della menzogna.
Stabilito che il contenuto è pubblico, resta da
chiedersi se l’atteggiamento sia soggettivo o
meno.
CRITERI PER ATTRIBUIRE GLI
ATTEGGIAMENTI


Noi non abbiamo una percezione diretta dei nostri
atteggiamenti proposizionali. Attribuiamo a noi
stessi una credenza e un desiderio mediante
procedure molto simili a quelle che utilizziamo
per attribuirli a qualcun altro.
Certo le sensazioni emotive giocano un ruolo
importante nello stabilire quali siano i nostri
desideri, ma esse, lo sappiamo già, sono
sensazioni. Un discorso analogo vale per le
cosiddette immagini verbali rispetto alle
credenze.
DEFINIZIONE FUNZIONALE


Il tentativo delle scienze cognitive è stato quello
di precisare l’atteggiamento con il quale ci
rivolgiamo a un certo contenuto proposiizonale,
mediante il suo ruolo in una rete.
Ad esempio, si può supporre che “Gino desidera
che domani non piova” se, dopo che Gino ha letto
nelle previsioni che domani pioverà (input), Gino
tira fuori la canna da pesca (output).
LA FINALITA’ E’ SOGGETTIVA



Nella descrizione funzionale degli stati mentali manca
qualcosa che invece è chiaramente presente nel nostro
vissuto soggettivo della nostra vita mentale. Una rete
causale, per quanto complessa, non ha uno scopo.
Ad esempio, un orologio, in assenza di una soggettività che
lo percepisca come strumento utile per misurare il tempo,
non si può dire che serva a misurare il tempo.
Così la ricostruzione computazionale della nostra vita
mentale non riesce a cogliere l’aspetto progettuale e
finalistico, che invece noi percepiamo soggettivamente con
chiarezza.
IL FISICO E IL DIALETTICO

Il fisico e il dialettico definirebbero però
ciascuna di queste affezioni [dell’anima] in
modo diverso. Ad esempio, che cosa è la
collera? Mentre il dialettico la definirebbe
“desiderio di molestare a propria volta” (o
qualcosa di simile), il fisico la definirà
“ebollizione del sangue e del calore intorno
al cuore”. De anima, I, 402b 30.
ESEMPIO DELLA CASA

Di costoro il fisico indica la materia, il
dialettico la forma e l’essenza. L’essenza
della cosa in questione è infatti
determinata, ma, se deve esistere, è
necessario che si realizzi in una
determinata materia. Analogamente la
definizione di casa può essere la seguente
“riparo che difende contro la distruzione
causata da venti, piogge e caldo.”
FISICA E PSICOLOGIA

Ma uno dirà che è pietra, mattoni e legno,
e un altro la forma presente in questi
materiali per un determinato scopo. Chi di
costoro è allora il fisico? Forse chi parla
della materia trascurando la forma? O chi
parla soltanto della forma? O non lo è
piuttosto chi tiene conto di entrambe? De
anima, I, 403b 1-10.
IL VERO FUNZIONALISMO DI
ARISTOTELE




Per Aristotele è possibile una scienza unitaria
della natura, che comprenda anche il vissuto
soggettivo della finalità e della progettualità,
perché tutta la natura è intrisa di teleologia.
Già il sasso cade verso il suo luogo naturale. I
denti sono fatti apposta per masticare.
Per cui coloro che hanno assimilato la tesi
aristotelica dell’anima forma del corpo al
funzionalismo sbagliano, perché la forma
aristotelica è diretta a uno scopo.
Poi nella filosofia della natura aristotelica c’è
anche la potenza.
LA PERCEZIONE



Dunque, per Aristotele, neanche gli stati
intenzionali sono soggettivi. Resta il problema
della coscienza.
Da Cartesio in poi si tende a considerare come
soggettive tutte le attività psichiche, desiderio,
giudizio e percezione. Ma abbiamo visto che gli
atteggiamenti proposizionali in una prospettiva
moderna integrata dalla teleologia aristotelica
non sono soggettivi.
Restano però le percezioni intese come atto del
percepire.
LA COSCIENZA IN ARISTOTELE






Accanto alla sensazione, dunque l’unica forma di coscienza
in senso moderno, dal punto di vista di Aristotele, è la
sensazione di sentire.
In pratica noi non solo abbiamo sensazioni, ma siamo
anche consapevoli di queste sensazioni.
Il sensibile e la capacità di sentire diventano il sentito.
Questo passaggio non è da contrario a contrario, ma è una
realizzazione, per cui è un particolare tipo di movimento.
Questo significa che nel sentito resta il sentire in potenza.
Questa è per Aristotele quella che noi chiamiamo
consapevolezza di sentire.
Come si vede non è nulla di soggettivo.
GLI STATI MENTALI INNATURALI
Nella scienza moderna non abbiamo i
concetti di telos e di potenza. Il primo
perché siamo convinti che non sia in grado
di produrre movimento, il secondo perché
è ontologicamente ambiguo.
 Per questa ragione ci troviamo con alcuni
aspetti che sono irrimediabilmente (?)
fuori della natura, cioè la finalità, i
contenuti sensibili e la coscienza.

GLI STATI MENTALI
INOSSERVABILI
Da qui il problema dell’attribuzione
all’altro dei qualia, cioè i contenuti
sensibili, della soggettività intesa nel
senso di progettualità e consapevolezza
della percezione.
 Questi diventano per noi come degli enti
teorici, cioè come degli inosservabili, come
gli elettroni e il campo magnetico.

I LIMITI DEL
FUNZIONALISMO



Dunque alcuni fenomeni mentali sembrano essere
strettamente soggettivi, cioè la loro
individuazione non può avvenire solo mediante il
loro ruolo causale.
Dunque il funzionalismo dei ruoli come teoria
completa della mente sembra avere dei limiti.
Il funzionalismo ha ottenuto comunque molti
risultati scientificamente importanti, dai modelli
mentali di Johnson-Laird alla teoria della visione
di Marr, dalla grammatica generativa di Chomsky
all’analisi delle immagini mentali di Kosslyn.
ELIMINAZIONISMO
Una particolare forma di funzionalismo ha
provato ad aggirare il problema del
carattere qualitativo della soggettività,
dove con carattere qualitativo intendiamo
la finalità e la possibilità. L’eliminazionismo
di Dennett nega l’esistenza di tali
componenti soggettive.
 Anche i coniugi Churchland sono
eliminazionisti, ma più su basi
neurologiche che funzionali, soprattutto
Patricha.

LA CRITICA DI BROAD



In questa prospettiva tutta la soggettività
sarebbe un’illusione.
Broad ha provato a confutare questo punto di
vista sostenendo che è auto-contraddittorio, in
quanto negare la soggettività degli stati mentali è
uno stato mentale.
Tuttavia, come sempre, questo tipo di argomenti
non funziona. Perché gli eliminazionisti
definiscono gli stati mentali senza riferimento alla
soggettività, quindi non c’è contraddizione.
ELIMINAZIONISMO E
RIDUZIONISMO


Bisogna porre attenzione e non confondere il
riduzionismo di coloro che sostengono la teoria
dell’identità dei tipi o delle occorrenze e
l’eliminazionismo. Se affermiamo che la
temperatura è il movimento medio delle
molecole, questa è una riduzione, perché la
temperatura è comunque qualcosa. Per gli
eliminazionisti gli stati soggettivi non sono nulla,
sono come l’etere luminifero.
Ad esempio i Churchland sostengono che tutti gli
stati individuati dalla psicologia del senso comune
sono formulazioni fittizie e inutili, come quelli di
qualsiasi altra scienza prima che sia diventata
scientifica.
DIFFERENZA FRA L’ETERE E LA
SOGGETTIVITA’



Sussiste però una differenza fondamentale fra
l’eliminazione dell’etere luminifero e di altre
ipotesi dalla scienza e il tentativo di eliminare la
soggettività: nessuno aveva mai visto l’etere,
esso era solo un’ipotesi, mentre tutti noi vediamo
le post-immagini, cogliamo il carattere teleologico
e potenziale del nostro vissuto ecc.
Sembra dunque che la soggettività potrebbe
essere ridotta ma non certo eliminata.
Le teorie dell’identità non sono eliminazioniste,
ma riduzioniste.
COMPUTAZIONALISMO



C’è una particolare forma di funzionalismo, che
possiamo chiamare “computazionalismo”, anche
se molti lo chiamano impropriamente
“meccanicismo”, che sostiene che l’intelligenza
dell’uomo sia del tutto simulabile da una
macchina.
Se questo fosse vero, allora sarebbe un
argomento forte a favore del fisicalismo almeno
per quanto riguarda l’intelligenza.
Ma se l’intelligenza è determinata fisicamente, lo
saranno a fortiori le altre parti del mentale che
sono di certo più vicine al corpo.
UN ALGORITMO
.
prendi in input il numero
naturale n
controlla se n è
uguale a 100
Se sì stampa ‘sì’ e fermati
Se no somma 1 a n
CHE COSA E’ UN ALGORITMO
ESISTE UN MODO SEMPLICE DI DEFINIRE
CHE COSA SIA UN ALGORITMO?
MACCHINA DI TURING
PROBLEMA DELLA FERMATA

ESISTE UNA MACCHINA DI TURING CHE,
DATA UNA QUALSIASI MACCHINA DI
TURING E DATO UN QUALSIASI INPUT MI
DICA SE QUELLA MACCHINA CON
QUELL’INPUT SI FERMI O MENO?
EQUINUMEROSITA’

Si dice che due insiemi sono equinumerosi
se è possibile costruire una
corrispondenza biunivoca fra loro. Ad
esempio {Gigi, Marina, Filippo} e {1,2,3}
sono equinumerosi.
UN PARADOSSO
Si possono mettere in corrispondenza biunivoca insiemi infiniti e loro
sottoinsiemi propri infiniti.
N
1
2
3
4
5
6
7
.
N:n>1000 1.001 1.002 1.003 1.004 1.005 1.006 1.007 .
N: n pari 2
4
6
8
10
12
14
.
Questo non è contraddittorio, ma solo paradossale.
.
.
.
GEORG CANTOR

Georg Cantor fa diventare una risorsa
quello che sembrava un paradosso. Egli
infatti definirà un insieme infinito proprio
come quello che ha la proprietà di poter
essere messo in corrispondenza biunivoca
con un suo sottoinsieme proprio.
L’INFINITO
DEFINIAMO L’INSIEME INFINITO G DI
TUTTE LE SERIE INFINITE DI 0 E 1.
 G E’ PIU’ GRANDE DEI NUMERI NATURALI
O E’ UGUALE?
 FACCIAMO L’IPOTESI CHE SIA UGUALE.

LA DIAGONALE
Ipotizziamo per assurdo che esista una corrispondenza biunivoca fra i
numeri naturali e le serie infinite di zeri e uni.
s0
s1
s2
s3
...
s00
s10
s20
s30
...
s01
s11
s21
s31
...
s02
s12
s22
s32
...
s03
s13
s23
s33
...
...
...
...
...
...
Costruiamo la serie:
Sii+1=S00+1, S11+1, S22+1, …….
Questa serie non fa parte della tabella. Quindi la corrispondenza supposta
non esiste.
IL BARBIERE

Definiamo il “barbiere” come “colui che fa la
barba a tutti quelli che non se la fanno da soli” e
poi chiediamoci se il barbiere si faccia la barba o
meno. Se rispondiamo affermativamente, allora il
barbiere se la fa da solo e quindi, poiché egli la fa
a tutti quelli che non se la fanno da soli, non
deve farsela.
UNA CONTRADDIZIONE

Perciò giungiamo a una contraddizione.
Dunque dobbiamo ipotizzare che non se la
faccia; però egli è proprio quello che la fa
a quelli che non se la fanno da soli, per cui
dovrà farsela. Di nuovo una
contraddizione.
TEOREMA DI TURING

NON ESISTE UNA MACCHINA DI TURING
CHE RISOLVA IL PROBLEMA DELLA
FERMATA.
NON POSSONO ESSERE VERE
ENTRAMBE
1. LE NOSTRE CAPACITA’ INTELLETTUALI
SONO SIMULABILI DA UNA MACCHINA DI
TURING.
 2. NOI SAPPIAMO CON ASSOLUTA
CERTEZZA QUALE SIA QUESTA MACCHINA
DI TURING.

IGNORABIMUS
DUNQUE, O LA NOSTRA INTELLIGENZA
NON E’ SIMULABILE DA UNA MACCHINA
DI TURING, OPPURE NON SAPREMO MAI
CON CERTEZZA QUALE SIA QUELLA
MACCHINA E QUINDI NON SAPREMO MAI
SE LA NOSTRA INTELLIGENZA E’
SIMULABILE DA UNA MACCHINA DI
TURING O MENO.
 PERCIO’ IL COMPUTAZIONALISMO IN UN
CERTO SENSO E’ UNA TESI
SCIENTIFICAMENTE NON DISCUTIBILE.

ESPERIMENTI MENTALI







Ci sono in filosofia della mente molti esperimenti
mentali proposti per criticare il funzionalismo e il
fisicalismo forte, cioè l’identità fra fisico e
mentale. Ne elenchiamo alcuni.
Contro il funzionalismo:
Qualia invertiti.
Qualia assenti.
Zombie.
Stanza cinese.
Popolo cinese.
LA CRITICA DI DENNETT




Contro il fisicalismo:
Mary nella stanza in bianco e nero.
Tutti questi esempi, pur avendo una certa
capacità suggestiva, sono filosoficamente poco
rilevanti, perché troppo lontani dalla concretezza
della ricerca scientifica.
Lo ha mostrato molto bene Dennett nella sua
critica alla stanza cinese di Searle: noi non siamo
neanche in grado di immaginare che cosa
significhi costruire un computer capace di
simulare un dialogo in cinese, come proposto da
Searle, per cui non ha molto senso ragionarci
sopra. Un discorso analogo vale per un miliardo
di cinesi che simulano un cervello ecc.
ANCORA CRITICHE
Analogamente non è chiaro che cosa
significhi che Mary conosca tutta la fisica
dei colori.
 D’altra parte i ragionamenti sugli zombie,
sui qualia assenti e invertiti riguardano la
possibilità metafisica e non la possibilità
nomologica. Quest’ultima è assai poco
plausibile, mentre la prima, per una
metafisica empirista, è irrilevante.

L’ARGOMENTO DELLA
CONOSCENZA


Questa è una storiella teologica che potrebbe
sostituire lo squallido destino di Mary.
Finita la Creazione Dio si chiede che cosa si provi
a essere uomini. Prende in mano la Torah e
studia un po’ preoccupato dal fatto che Egli
dovrebbe essere onnisciente. Passano i millenni e
Dio non trova la soluzione. La Sua agitazione
cresce: “so tutto sull’uomo, lo ho fatto Io, e non
riesco a capire che cosa si provi a essere uomini.
E’ il colmo! Verso l’anno zero dell’era cristiana si
illumina: “Ma è ovvio, Mi faccio Uomo!”
SOPRAVVENIENZA
Il fisicalismo forte implica la riduzione
degli stati mentali a quelli fisici. Ma noi
stiamo prendendo in considerazione il
fisicalismo minimale, cioè la teoria
secondo cui gli stati mentali possono non
essere riducibili a quelli fisici, ma sono
dipendenti e determinati da essi.
 La sopravvenienza, che oggi è molto in
voga, accetta il dualismo delle proprietà,
ma sostiene il fisicalismo minimale.

DEFINIZIONE



La sopravvenienza si usa definire con un semplice
slogan: dato un insieme di proprietà A e un altro
insieme di proprietà B, si dice che B sopravviene
su A se e solo se non ci può essere una Bdifferenza senza che ci sia una A-differenza.
E’ importante sottolineare che il “può” è una
possibilità nomologica, quindi devono esistere
delle leggi scientifiche che stabiliscono la
sopravvenienza.
Qui, ovviamente, non ci occupiamo della
sopravvenienza nel senso metafisico o
concettuale.
PROPRIETA’ DELLA
SOPRAVVENIENZA




Dalla sopravvenienza di B su A non possiamo
dedurre che A implichi B, dato che la necessità è
solo nomologica.
La sopravvenienza (nomologica) è una relazione
transitiva, né riflessiva, né necessariamente
simmetrica o antisimmetrica.
Notiamo che se gli stati mentali sono
multirealizzabili negli stati fisici allora gli stati
fisici (intesi come insiemi di proprietà) non
possono sopravvenire agli stati mentali.
Se, invece, le leggi psico-fisiche fossero del tipo
“se e solo se”, allora quelle leggi stabilirebbero la
sopravvenienza del mentale sul fisico e viceversa.
EMERGENZA E
SOPRAVVENIENZA





Da un punto di vista strettamente logico la sopravvenienza
non implica l’emergenza (la mera dipendenza ontologica),
né l’emergenza la sopravvenienza.
D’altra parte non si riesce a capire come potremmo stabilire
l’emergenza di un insieme di proprietà senza conoscere
delle leggi che determinino la loro sopravvenienza.
E’ possibile formulare delle leggi che stabiliscano la mera
dipendenza ontologica di B su A senza anche stabilire la
determinazione di B da parte di A?
Dunque da un punto di vista epistemologico l’emergenza
sembra implicare la sopravvenienza.
Viceversa, la sopravvenienza implica l’emergenza? Se si
intende la sopravvenienza come una relazione nomologica,
allora essa implica l’emergenza.
PROPRIETA’ E LORO PORTATORI


Notiamo che la sopravvenienza di B su A non
implica ancora la sopravvenienza del portatore
delle proprietà B sul portatore delle proprietà A,
perché con ogni probabilità noi non conosciamo
ancora tutte le proprietà dei due portatori, anzi è
quasi sicuro che noi conosciamo solo una minima
parte delle loro proprietà. E quindi non possiamo
ancora conoscere il destino ontologico delle
proprietà che non abbiamo ancora scoperto.
Ne segue che, se anche tutte le proprietà mentali
sopravvenissero su quelle fisiche, per quanto ne
sappiamo, questo non vorrebbe ancora dire che il
mentale tout court sopravvenga sul fisico.
SOPRAVVENIENZA E RIDUZIONE




E’ abbastanza ovvio che se l’insieme di proprietà B è
identico all’insieme di proprietà A, allora A sopravviene su B
e viceversa.
Notiamo una cosa importante sull’identità nomologica.
Spesso nella scienza è molto importante dimostrare che B è
identico ad A, perché A lo conosciamo molto meglio di B,
così vale, ad esempio, per la riduzione della temperatura
alla velocità media delle molecole. Queste ultime, infatti, in
meccanica statistica seguono le ben note leggi di Newton.
Questo significa, però, che il portatore di A possiede molte
proprietà conosciute che non hanno nulla a che fare con B.
Quindi, per quanto ne sappiamo, il portatore di B è identico
al portatore di A, ma non viceversa. (l’identità nomologica
dei portatori non è simmetrica)
E’ chiaro invece che, se B sopravviene ad A, allora non è
detto che sia riducibile ad A.
SOPRAVVENIENZA E
SPIEGAZIONE
La sopravvenienza nomologica delle
proprietà B sulle proprietà A, che abbiamo
definito, implica anche che le proprietà B
possono essere spiegate dalle proprietà A,
perché esistono delle leggi scientifiche che
determinano le proprietà B sulla base delle
proprietà A.
 Dunque la sopravvenienza nomologica è
una superdupervenience, come a volte
viene chiamata oggi.

SOPRAVVENIENZA INDIVIDUALE
Molta letteratura sulla sopravvenienza
introduce l’uso dei mondi possibili, che
però non credo sia una nozione che si
addica a una valutazione strettamente
scientifica. Il mondo è uno, cioè questo
che stiamo indagando.
 B sopravviene individualmente ad A se e
solo se per ogni coppia di individui x e y
se essi sono A-indiscernibili, allora sono
necessariamente anche B-indiscernibili.
(Necessità nomologica)

SOPRAVVENIENZA INDIVIDUALE
DEBOLE



B sopravviene individualmente e debolmente ad
A se e solo se per ogni coppia di individui x e y se
essi sono A-indiscernibili e tutto il resto rimane
uguale, allora necessariamente sono anche Bindiscernibili.
La sopravvenienza individuale debole diventa
sopravvenienza individuale tout court se A e B
contengono solo proprietà intrinseche, cioè non
relazionali.
Non è chiaro quale sia l’utilità scientifica di tale
nozione.
SOPRAVVENIENZA GLOBALE



B sopravviene globalmente ad A, se e solo se,
per qualsiasi individuo x, esiste un insieme di
individui X tale che xX e se X è A-indiscernibile,
allora X è necessariamente B-indiscernibile.
E’ chiaro che se B sopravviene individualmente
ad A allora B sopravviene anche globalmente ad
A, ma non è vero il vice versa. Quindi la
sopravvenienza globale è più debole di quella
individuale.
Si possono poi introdurre diversi gradi di
sopravvenienza globale a seconda di quanto sia
esteso l’insieme X. Se X contiene sempre un solo
individuo, allora sopravvenienza globale e
individuale coincidono.
SOPRAVVENIENZA UNIVERSALE



Se X coincide con il mondo intero, allora la sopravvenienza
globale è massimamente debole.
Si dice che B sopravviene universalmente ad A se e solo
se, se l’universo è A-indiscernibile allora è necessariamente
anche B-indiscernibile.
Alcuni potrebbero sostenere che la sopravvenienza del
mentale sul fisico è di tipo universale, proprio a causa della
difficoltà di individuare con precisione le proprietà e gli stati
mentali. Ma questa forma estremamente debole di
sopravvenienza, che comunque salverebbe il fisicalismo
minimale, è poco praticabile epistemologicamente, perché
comunque noi abbiamo bisogno di leggi psico-fisiche per
stabilirla.
NUOVA DEFINIZIONE DEL
FISICALISMO MINIMALE



Si può riformulare il fisicalismo minimale, dicendo
che gli stati mentali sopravvengono
individualmente su quelli fisici.
La sopravvenienza individuale è necessaria,
perché altrimenti sarebbe una mera tesi
ontologica non controllabile scientificamente.
Poi sappiamo che la sopravvenienza intesa in
senso nomologico implica l’emergenza, cioè la
dipendenza ontologica del mentale sul fisico.
LEGGI E CORRELAZIONI

Oggi si pubblicano una miriade di lavori in neuropsicologia nei quali, sulla
base delle moderne tecniche di “brain imaging”, cioè la PET, la fMRI ecc, si
scopre che la tal zona del cervello si attiva quando i soggetti realizzano il
tal compito. A questo si affiancano i dati sulle lesioni cerebrali: quando i
soggetti vengono danneggiati nella zona X non riescono a compiere
l’operazione Y ecc.. La mia sensazione è che tutti questi dati non ci aiutano
a comprendere meglio il rapporto fra mente e cervello, perché sono come
delle correlazioni misteriose fra dati assolutamente disomogenei. O
meglio, quando le correlazioni sono fra configurazioni neuronali e
operazioni motorie anche complesse, esse, pur essendo comprensibili, non
ci dicono nulla sulla mente. Quando, invece, chiamano in causa il
linguaggio della mente, vedere, capire ecc. allora è interessante sapere
che se la corteccia visiva è danneggiata noi non riusciamo più a vedere,
ma due fenomeni come il vedere e la corteccia visiva sono talmente
disomogenei fra loro che questa correlazione è un po’ come quella che già
conoscevano gli antichi fra attenuazione del dolore e ingestione della
corteccia di salice. Noi sappiamo che l’acido acetilsalicico (l’aspirina),
presente in quella corteccia, agisce sui centri del dolore ecc., ma ancora il
dolore è un fatto soggettivo, che non si comprende che cosa abbia a che
fare con l’acido acetilsalicilico. Mi sembra che siamo ancora al livello di
quegli antichi sciamani, anche se siamo di certo molto più potenti di loro.
RAMACHANDRAN

Nel 2004, Mondadori ha tradotto The
emerging mind, con l’orrido titolo Che
cosa sappiamo della mente, del grande
neuropsicologo di origine indiana Vilayanur
S. Ramachandran. Esso raccoglie le sue
splendide Reith Lectures del 2003. Nel
primo capitolo egli riporta due casi clinici
molto interessanti, che mostrano la strana
forbice in cui si trova, a mio parere, la
neuropsicologia da un punto di vista
epistemologico.
DAVID

David soffre della sindrome di Capgras, cioè
riconosce il volto di sua madre, ma afferma
recisamente che non è lei, bensì un’impostora.
Ramachandran ipotizza che la parte del cervello
deputata a identificare i volti di David sia intatta,
mentre la connessione fra questa e il sistema
limbico, cioè la parte del cervello che media la
nostra vita emotiva, sia interrotta. Procede allora
con il seguente esperimento. Tutti noi siamo
emotivamente sensibili alla vista del viso di
nostra madre, come si può verificare mediante il
riflesso psicogalvanico, cioè l’aumento di
conduttività della pelle causato dalla sudorazione,
che consegue a uno stimolo che ci emoziona (la
famosa macchina della verità).
SPIEGAZIONE

David non ha tale riflesso, quindi, ragiona
l’autore, riconosce il viso di sua madre,
ma non sente l’emozione, per cui si
convince che è un’impostora. Fra l’altro
David, quando sente sua madre al
telefono, non solo riconosce la voce, ma
neanche si sente ingannato.
Probabilmente la connessione fra corteccia
uditiva e sistema limbico non è interrotta.
ROBERT

Robert, a cui hanno amputato il braccio sinistro al
livello del gomito, quando viene toccato sulla
guancia sinistra ha la sensazione di essere
stimolato nelle dita della mano amputata. La
spiegazione del caso di Robert, secondo
Ramachandran, è la seguente. Nella corteccia
somatosensoriale (cioè quella che registra le
sensazioni del corpo), che si trova dietro la
scissura di Rolando, la parte attivata dalla
stimolazione sulla mano è adiacente alla parte
attivata dalla stimolazione sul volto, per cui la
prima, nel caso di Robert, non viene più stimolata
– a causa dell’amputazione – e quando viene
sollecitato il volto questi stimoli vanno a invadere
la parte non attiva.
COMPARAZIONE FRA I DUE CASI

Analizziamo ora i due casi: si tratta veramente di
spiegazioni adeguate? Certamente in entrambi i casi la
nostra conoscenza ha fatto un passo avanti, tuttavia
sussiste un’importante differenza. Premessa implicita delle
due spiegazioni è che parti diverse del nostro cervello siano
i luoghi di funzioni mentali diverse, il che è un fatto
empirico, ma non una legge, perché stati mentali e stati
neurofisiologici così definiti sono troppo disomogenei perché
si possa parlare di una legge che li colleghi, quindi si tratta
di qualcosa che necessita ancora una buona spiegazione. Si
tratta comunque di un fatto empiricamente confermato. In
entrambi i casi la spiegazione si basa sull’esistenza o meno
di una connessione fra parti del cervello deputate a ruoli
mentali diversi: disconnessione fra corteccia visiva e
sistema limbico nel primo e connessione eccessiva fra
corteccia somatosensoriale della mano e del volto nel
secondo.
DIFFERENZE

Però se affermiamo che nella corteccia somatosensoriale si
trova una specie di rappresentazione, topologicamente e
metricamente diversa, del nostro corpo, che tuttavia è
sostanzialmente in corrispondenza biunivoca con le possibili
stimolazioni di quest’ultimo e che in questo caso tale
corrispondenza è violata, il tutto ha una forte capacità
esplicativa dovuta proprio alla corrispondenza biunivoca in
questione. Per contro, nel primo caso, l’assoluta rozzezza
della tesi di una connessone fra sistema limbico e corteccia
visiva come spiegazione di un fenomeno emotivamente così
complesso come quello di David e sua madre lascia non del
tutto, ma certo parecchio insoddisfatti.
SEMPRE CARTESIO

La morale della faccenda è sempre quella
di Cartesio della differenza fra res extensa
e res cogitans: quando si tratta di
spiegazioni neuropsicologiche delle nostre
sensazioni, la presenza di una comune
struttura spaziale, anche se di geometria
diversa, rende le nostre teorie ragionevoli,
quando passiamo, invece, al pensiero la
questione diventa molto più confusa.
CAUSALITA’ MENTECORPO







Ci sono diversi modi di spiegare l’evidente
capacità degli stati mentali di influenzare quelli
fisici.
O si tratta di un’illusione: eliminazionismo.
O gli stati mentali sono identici a quelli fisici.
O gli stati mentali sovradeterminano quelli fisici
(Mills). Cioè ciò che capita fisicamente ha una
causa fisica sufficiente e in più quella mentale.
Oppure il dualismo interazionista.
L’eliminazionismo e l’identità sono programmi di
ricerca per adesso lungi dall’essere tesi assodate.
La sovradeterminazione è una tesi poco
significativa.
LA CONSERVAZIONE
DELL’ENERGIA





Il dualismo interazionista si scontra con il principio di
conservazione dell’energia e del momento.
Ai tempi di Cartesio Malebranche, Leibniz e Spinoza si sono
trovati di fronte questo problema. E per salvare il dualismo
hanno inventato l’occasionalismo, l’armonia prestabilita e
l’ordo ideaurum idem est ordo rerum.
Di nuovo a metà dell’Ottocento, con l’affermazione della
conservazione dell’energia da parte di Helmholtz si è posto
il problema. A cui hanno fatto seguito il parallelismo di
Fechner e Wundt.
Negli anni Cinquanta dello scorso secolo si è affermato il
materialismo australiano che ancora oggi è al centro del
dibattito.
Domanda: la conservazione dell’enegia è un argomento
definitivo contro il dualismo interazionista?
LA CHIUSURA CAUSALE DEL
MONDO FISICO



Notiamo che il fisicalismo minimale può essere falso anche
se non vale il dualismo interazionista. E’ sufficiente infatti
che sia falso il dualismo epifenomenista.
In secondo luogo, osserviamo che di per sé questi principi
di conservazione non sono sufficienti a dimostrare la falsità
del dualismo interazionista, perché potrebbe sempre essere
che gli stati mentali siano dotati di energia e momento.
Ciò che rende impossibile il dualismo interazionista è la
cosiddetta “chiusura causale del mondo fisico”, secondo cui
solo uno stato fisico può agire causalmente su un altro
stato fisico.
ANCORA METAFISICA




Ci sono buone ragioni per pensare che non esista un
concetto genere ontologico che sia comune a tutti i nessi
causali presenti in natura.
Piuttosto quando abbiamo a che fare con una legge
scientifica vera e propria, risulta che essa è sottesa da un
qualche nesso ontologico determinato dalla forma stessa
della legge e della teoria in cui è inserita.
Dunque affermare la chiusura causale del mondo fisico
significa dire che non esisteranno mai leggi che stabiliscono
un qualche nesso ontologico fra entità non riconducibili al
quadro scientifico contemporaneo e quelle riconducibili al
quadro scientifico contemporaneo.
E’ chiaro che si tratta di un’estrapolazione metafisica con un
fondamento abbastanza debole.
L’ARGOMENTO MODALE DI
CARTESIO

Dal fatto stesso che conosco con certezza la mia esistenza,
e, tuttavia, noto che alla mia natura od essenza non
appartiene necessariamente null’altro se non che sono
una cosa pensante, concludo che la mia essenza consiste
nel solo fatto di essere una cosa pensante, ovvero una
sostanza la cui intera essenza o natura è il pensiero. E
sebbene, forse, (o meglio certamente come dirò fra poco)
io abbia un corpo cui sono strettamente legato, nondimeno,
dato che sono soltanto una cosa pensante e non estesa e
dato, d’altra parte, che ho un’idea distinta del corpo, in
quanto è una cosa estesa non pensante, è certo che questo
io, ossia la mia anima per la quale sono ciò che sono, è
interamente e realmente distinta dal corpo e può perciò
essere o esistere senza di esso. (Cartesio, Meditazioni
metafisiche, VI, p. 248)
L’AUTONOMIA DEL MENTALE





1. Gli stati mentali sono chiaramente distinti da quelli
fisici.
2. Quindi non esiste un legame necessario fra gli stati
fisici e quelli mentali.
3. Ne segue che gli stati mentali possono esistere senza
quelli fisici.
In altre parole, se lo stato mentale M non è
nomologicamente determinato dagli stati fisici, allora esso
non può essere identificato con questi ultimi, né deve
necessariamente dipendere da essi.
Questo significa che la contraddittoria del fisicalismo
minimale, che possiamo chiamare “l’autonomia del mentale
rispetto al fisico”, anche se non è una tesi dimostrata, non è
una tesi nomologicamente falsa, per quanto ne sappiamo
finora.
Scarica

ROMA 1 - VIVERESTPHILOSOPHARI di Vincenzo Fano, Professore