Scienze semiotiche del testo e dei linguaggi La semiotica come teoria della società e scienza della cultura 2012-13 Testi Modulo A (Tani) (27 febbraio - 10 aprile) 1. 2. 3. E. Benveniste, Essere di parola, a cura di P. Fabbri, Mondadori, 2009 C. Caffi, Pragmatica. Sei lezioni, Carocci, 2009 Manetti, L’enunciazione, Mondadori, 2008 (pp. 1-45) > Solo per i non-frequentanti Cosa sono le scienze semiotiche? Una disciplina giovane con una lunga storia: le sue radici affondano nell ’ antichità greca e in particolare nel sapere medico Prima definizione: scienza dei segni Seconda definizione: Studio dei processi di significazione e comunicazione (verbali e non verbali) Margaret Mead, Convegno su paralinguistica e cinesica, Bloomington, 1962: “ Io credo che a quanto si può immaginare stiamo lavorando in un campo che col tempo includerà lo studio di tutte le forme di comunicazione dotate di struttura, delle quali la linguistica è quella tecnicamente più avanzata. Sarebbe utile disporre di una parola per le forme di comunicazione in ogni modalità sensoriale, dotate di struttura […] molte persone qui, che avevano l’aria di essere da parti opposte della barricata, hanno usato la parola ‘semiotica’. Mi sembra l’unica parola che, in una forma o in un’altra, sia stata usata da persone che ragionano da posizioni completamente differenti.” Sviluppi negli anni sessanta Diverse scuole di orientamento semiotico: Francese Russa Jurij Lotman (1922-1993) Boris Uspenskij (1937-) In Italia: Umberto Eco Tullio De Mauro Ricerca di un territorio comune dove potessero incontrarsi e integrarsi istanze nate da discipline diverse: sguardo trasversale e problematico ai dispositivi molteplici della significazione e della comunicazione (Gensini, Elementi di semiotica, Carocci 2002) Roland Barthes (1915-1980) Algirdas J. Greimas (1917-1992) Grande varietà di indirizzi e ambiti applicativi (dagli stimoli percettivi ai più elaborati costrutti culturali). Rischio di smarrimento e di imperialismo Come evitare il rischio di imperialismo, come delimitare il campo? Eco: la soglia inferiore e superiore della semiotica L’identità è data non dall’oggetto, ma dallo sguardo, dal metodo Costitutiva interdisciplinarità della semiotica, dipendente dal fatto di non avere un oggetto proprio Che tipo di scienze sono quelle semiotiche? Distinzione tra scienze hard e scienze soft (Simone 1990) Questione centrale: definire esplicitamente e preliminarmente i termini che si adoperano e attenersi a questa definizione, elaborare metodi intersoggettivamente controllabili, formulare leggi sono pratiche diffuse nelle scienze hard, ma problematiche nella semiotica e nella linguistica. Orientamento nomotetico oppure idiografico? Distinzione, problematica, che risale a Windelband (1894) De Mauro: “ campi in apparenza idiografici non potrebbero nemmeno cominciare le loro indagini se non muovessero dall’accertamento di costanti: fonemi, morfi, regole di formazione delle parole per studiarne le variazioni o invarianze nel tempo” Prima definizione: scienza dei segni Che cos’è un segno? Siamo circondati da svariate esperienze di natura semiotica, in cui diversi veicoli materiali rinviano a qualcos’altro: Indicatori luminosi (spie) Orme, tracce, espressioni del volto, ecc. Comportamenti e segnali di altri animali Manufatti come la struttura di un edificio, l’arredamento di una casa Parole di una lingua In tutti questi casi attribuiamo sostanza e valore di segno a esperienze diverse. Aristotele distingue: semeîon, tekmerion, symbolon Semeióo = marco, faccio segnali, intendo, significo Fondazione filosofica della disciplina Aristotele (384a.C.-322a.C.) (De interpretatione; Retorica, Poetica) Agostino di Ippona (354-430) (De doctrina christiana; De magistro) Locke (1632-1704) Essay on Human Understanding (1690) La semiotica, in quanto dottrina dei segni è una delle tre branche della conoscenza umana (accanto a fisica ed etica). Charles Sanders Peirce (1839-1914) Semiotica come teoria della conoscenza umana, incentrata sulla capacità di interpretare l’esperienza e ogni sua manifestazione empirica. Due modelli di segno Nella tradizione filosofica e semiotica antica prende forma una distinzione tra due concezioni del segno: Segno come equivalenza o abbinamento tra un significato e un significante: A sta per B Modello impiegato per spiegare il funzionamento dei segni di ordine soprattutto verbale Segno come inferenza: Se p, allora q modello impiegato per spiegare la struttura logica soggiacente ai segni di ordine soprattutto non verbale (se c’è fumo, c’è fuoco; se c’è un’orma, c’è un animale; le nuvole annunciano - o significano - pioggia) Il segno per Aristotele pensieri -------------------------------Suoni verbali Cfr. Ogden e Richards, Il significato del significato, 1923 oggetti Agostino di Ippona (354-439) De doctrina christiana (395-426) Ogni insegnamento ha come oggetto cose (res) o segni (signa): ma le cose si apprendono per mezzo di segni. Definisco ora cose in senso proprio quelle che non servono per significare qualcosa, per esempio legno pietra pecora e altro di tal fatta; non però il legno che, come leggiamo, Mosè gettò nelle acque per toglierne l’amarezza, né la pietra che Giacobbe si era posto sotto il capo né la pecora che Abramo immolò in luogo del figlio. Queste cose infatti sono tali da essere anche il segno di altre cose. Ci sono invece segni di cui facciamo uso solo per significare (in significando), per esempio le parole: nessuno ne fa uso se non per significare qualcosa. Di qui si capisce che cosa io intendo per segno: una cosa che serve per significare qualcosa. Perciò ogni segno è anche una cosa, perché ciò che non è una cosa, non esiste affatto: invece non ogni cosa è anche segno. (De doct.chr. I, II 2) Significazione naturale Dei segni, alcuni sono naturali (naturalia), altri intenzionali (data). Sono naturali quelli che, senza alcuna intenzionalità e volontà di significare, fanno conoscere, a partire da sé, qualcos’altro oltre sé, come il fumo significa il fuoco: lo fa senza intenzione di significare, ma perché grazie alla osservazione e all’esperienza sappiamo che là sotto c’è il fuoco, anche se si vede solo il fumo. Appartiene a questo genere di segni la traccia dell’animale che passa; e il volto di una persona adirata o triste ne rivela lo stato d’animo anche indipendentemente dalla volontà di chi è adirato o triste, e così dicasi di altro sentimento che viene indicato dall’atteggiamento del volto, anche se noi nulla facciamo per indicarlo […] Significazione intenzionale Segni intenzionali sono quelli che gli esseri viventi si scambiano gli uni con gli altri per far conoscere, per quanto è possible, le emozioni del loro animo, i sentimenti, i pensieri; e non c’è altro motivo per noi di significare, cioè di dare un segno, se non per effondere e trasferire nell’animo di un altro ciò che ha nel proprio animo colui che dà il segno […]. Anche gli animali si scambiano tra loro segni con i quali esternano gli appetiti del loro animo: il gallo quando ha trovato da mangiare con voce segnala (dat signum vocis) alle galline di accorrere, e il colombo chiama con un verso lamentoso la colomba e così viene da lei chiamato […]. Posto della parola tra gli altri segni Dei segni con i quali comunichiamo tra noi i nostri sentimenti (sua sensa), alcuni riguardano la vista, i più l’udito, ben pochi gli altri sensi. Così, quando facciamo un cenno, diamo il segno solo agli occhi di colui che in questo modo vogliamo rendere partecipe della nostra volontà. Certi movimenti delle mani significano molte cose e gli attori col movimento di tutte le membra comunicano alcuni segni agli spettatori esperti e quasi conversano con i loro occhi; le bandiere e le insegne militari trasmettono ai soldati attraverso gli occhi la volontà dei comandanti […]. Ma tutti i segni di tal genere, a confronto con le parole, sono molto pochi, perché gli uomini hanno assegnato in primo luogo alle parole il compito di significare tutto ciò che meditano in cuor loro, se hanno intenzione di comunicarlo […]. Infatti, tutti quei segni, i cui vari generi ho brevemente accennato, li ho potuti esprimere con le parole, mentre assolutamente non potrei esprimere le parole con quei segni”. (De doct. Chr. II, I, II 3, III 4) John Locke (1632-1704) Essay on Human Understanding (1690) La semiotica, in quanto dottrina dei segni è una delle tre branche della conoscenza umana (accanto a fisica ed etica): “Fu necessario che l’uomo scoprisse qualche segno sensibile esterno, mediante il quale quelle idee invisibili, di cui sono costruiti i suoi pensieri, potessero venir rese note ad altri. Nulla era più adatto a tale scopo, sia per abbondanza che per rapidità, di quei suoni articolati che in modo così facile e vario l’uomo si trovò ad essere capace di produrre. In tal modo possiamo concepire come le parole, che di natura loro erano così adatte a quello scopo, venissero ad essere impiegate come segni delle loro idee: non per alcuna connessione naturale che vi sia tra i particolari suoni articolati e certe idee, poiché in tal caso non ci sarebbe tra gli uomini che un solo linguaggio, ma per una imposizione volontaria, mediante la quale una data parola viene assunta arbitrariamente a contrassegno di una tale idea. Perciò lo scopo delle parole è di essere segni sensibili delle idee; e le idee per le quali esse stanno sono il loro significato proprio ed immediato” (1690; trad. it. p. 457) Peirce (1839-1914) “Io sono, per quel che ne so, un pioniere, o piuttosto un esploratore, nell’attività di chiarire e iniziare ciò che io chiamo semiotica, vale a dire la dottrina della natura essenziale e delle varietà fondamentali di ogni possibile semiosi” (CP: 5.488) Per semiosi intendo un ’ azione, una influenza che sia, o coinvolga, una cooperazione di tre soggetti, come per esempio un segno, il suo oggetto e il suo interpretante, tale influenza trirelativa non essendo in nessun caso risolubile in un’azione tra coppie (CP: 5.484) Un segno, in quanto tale, ha tre riferimenti: primo, è un segno per un pensiero che lo interpreta; secondo è un segno in luogo di un oggetto a cui quel pensiero è equivalente; terzo, è un segno sotto qualche rispetto o qualità che porta il segno stesso in connessione con il suo oggetto”. “Un segno (o Representamen) è qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche rispetto o capacità. Si rivolge a qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un segno equivalente, o forse un segno più sviluppato. Questo segno che esso crea lo chiamo interpretante del primo segno” (CP: 2.228; trad. it. Peirce, Semiotica, a cura di Bonfantini, Einaudi 1980:132) Modello triadico del segno interpretante segno Representamen espressione Oggetto Immediato contenuto Oggetto dinamico Modello inferenziale di segno Il Representamen (puro aspetto espressivo) sta al posto di qualcos’altro. Tuttavia questo stare per non è da intendersi come un rapporto di pura sostituzione, in quanto il Representamen non sostituisce l‘oggetto sotto ogni punto di vista, ma soltanto “sotto qualche rispetto o capacità”, cioè in base a qualche proprietà scelta come pertinente. Se ad esempio prendiamo il disegno di un cavallo, che ne delinei soltanto il contorno, noi potremmo dire che tale disegno sta per il cavallo, ovvero ne costituisce un segno, il cui significato sia identificabile con il “concetto di cavallo”. Tuttavia il disegno non esaurisce tutto quello che noi possiamo sapere circa le proprietà del cavallo, ma ne costituisce un sostituto parziale che individua l’oggetto solo da un certo punto di vista: la silhouette visiva che può presentare un cavallo, lasciando da parte tutte le informazioni che riguardano ad esempio il suo essere distinto in varietà diverse ed avere differenti pezzature del manto, le sue caratteristiche fisiche di dimensione e di potenza, le sue abitudini in relazione all’uomo, e via dicendo. In altre parole, il segno come Representamen costituisce una mediazione tra le nostre rappresentazioni mentali e le caratteristiche reali di un determinato oggetto, mettendone in risalto volta per volta delle proprietà particolari, scelte secondo qualche criterio di pertinenza” (Manetti, Comunicazione, 2011, p. 64) Oggetto dinamico e oggetto immediato Oggetto dinamico è l ’ oggetto “ realmente efficiente ma non immediatamente presente ” (CP:8.343): oggetto in sé, che esiste nella realtà esterna, indipendentemente dal fatto che qualcuno lo pensi; in quanto tale non entra direttamente nel processo di semiosi. Può essere messo in relazione alla nozione di referente proposta da Ogden e Richards. Tale oggetto non è conoscibile se non attraverso la mediazione dei segni, che ne illustrano volta per volta le diverse proprietà (cioè come oggetto immediato). Oggetto immediato è l’oggetto “così come il segno lo rappresenta” (CP:8.343); è una entità concettuale, una rappresentazione mentale, è il modo in cui l’oggetto dinamico viene dato e conosciuto attraverso la mediazione dei segni, che ne mettono in risalto volta per volta certe proprietà. È il significato del segno che viene socialmente codificato e, in quanto tale, è la contropartita mentale del Representamen. L’oggetto immediato si distingue dall’interpretante perché è un’entità interna al segno, è cioè il modo in cui l’oggetto dinamico viene dato nel segno. L’interpretante è invece esterno al segno, è un secondo segno, una rappresentazione che scatta nell’interprete a partire dal primo segno e che lo arricchisce. Oggetto immediato come parte del segno Interpretante Representamen Oggetto immediato Oggetto dinamico Interpretante e semiosi illimitata L’interpretante è un altro segno che illumina l’oggetto da un altro punto di vista. In relazione all’esempio considerato, potremmo dire che un Interpretante del disegno di cavallo può essere costituito da un’ espressione linguistica quale “ animale che nitrisce”, o da una fotografia di un cavallo o da una rappresentazione mimica dei movimenti della corsa del cavallo. Gli Interpretanti possono essere molti e ciascuno di essi fornisce una conoscenza parziale dell ’ oggetto. Per produrre la semiosi, ovvero innescare il processo di significazione, gli Interpretanti si collocano in una serie tendenzialmente senza confini, che Peirce chiama appunto semiosi illimitata, i quali rendono conto delle molteplici proprietà dell’oggetto. La fuga degli Interpretanti, anche se tendenzialmente illimitata, dato che non è mai possibile cogliere tutte le caratteristiche di un Oggetto, può però arrivare a una sua normalizzazione nel momento in cui viene a istaurarsi un ’ abitudine o regola interpretativa stabile, che Peirce chiama abito, che potremmo considerare come registrata nella nostra memoria e che da un certo momento in poi orienterà le nostre scelte successive nella interpretazione di un determinato segno. Tre tipi di interpretante Interpretante immediato interpretazione del segno secondo regole socialmente determinate e tradizionalmente acquisite (ad es. riconoscimento di un sintomo, effetti prodotti da una malattia non ancora diagnosticata) Interpretante dinamico Interpretazione che deriva dal confronto del significato acquisito con proprie esigenze di comprensione e con l’oggettività (attivazione di tensioni interpretative, valutazione delle diverse ipotesi di diagnosi) Interpretante logico-finale Produzione di un abito interpretativo che soddisfa esigenze conoscitive coordinate all’azione (selezione di un’ipotesi e intervento di cura) Interpretanti Interpretante logico finale Interpretante dinamico Interpretante immediato Representamen Oggetto immediato Oggetto dinamico La classificazione dei segni in Peirce Dal punto di vista della relazione tra il segno e il suo oggetto Icona: correlata al suo oggetto in virtù di un carattere di similarità. I segni iconici sono motivati per somiglianza tra il segno e l ’ oggetto. Es.: illustrazioni, ritratti, silhouette, caricature, schemi illustrativi di un apparecchio, suoni onomatopeici, metafore. Indice: “è un segno che si riferisce all’oggetto che esso denota in virtù del fatto che è realmente determinato da quell’oggetto” (CP:2.248). I segni indicali sono motivati per contiguità fisica: l’indice è un segno fisicamente o causalmente connesso con il proprio oggetto. Es.: la firma (traccia della presenza dell’autore), la bandierina che indica la direzione del vento; il dito puntato, l’impronta, la fotografia. Simbolo: “ segno che si riferisce a un oggetto in virtù di una legge”(CP”2.249). Il simbolo è un segno non motivato, quindi arbitrario. Peirce definisce il simbolo anche legisegno (basato su una legalità propria di una comunità). Es.: segni del linguaggio naturale, della matematica, del codice della strada, dei gradi militari. Iconicità Il problema dell’iconismo (o iconicità) è stato molto dibattuto nella semiotica degli anni Sessanta e Settanta (cfr. Eco, Kant e il problema dell’ornitorinco, 1997). Il punto di partenza è nella definizione di icona data da Peirce: da un lato si ponevano coloro che mettevano in dubbio il concetto di somiglianza e preferivano parlare di regole per la produzione di similarità (effetto di similarità: Eco, Volli); dall’altro si ponevano quanti difendevano il principio della somiglianza (Maldonado). Eco sottolinea tre ordini di problemi in quel dibattito: 1. La natura iconica della percezione, 2. La natura iconica della conoscenza in generale, 3. La natura dei segni iconici. I primi due punti sono oggi al centro di un ampio dibattito che vede nella iconicità una sorta di funzione fondamentale della conoscenza che prepara la strada alla categorizzazione: il primo passo per conoscere qualcosa è ri-conoscerlo come appartenente a una categoria. Secondo Gensini (Elementi di semiotica, Carocci, 2002), l’iconicità, indicando un rapporto non arbitrario tra significante e significato, non può essere ricondotta solo alla similarità: occorre distinguere tra iconicità come “ motivatezza naturale ” e “iconicità come motivatezza logica”. I codici lasciano oscillare i segni da un massimo grado di iconicità a un massimo grado di arbitrarietà. Osservazioni critiche su Peirce Per Peirce tutto è segno. Inoltre, come osserverà Benveniste, Peirce non distingue adeguatamente tra tipi di segni e tipi diversi di sistemi semiotici e ciò è dovuto al fatto che manca qui una precisa distinzione tra segno e significato e manca il principio di sistema segnico, condizione saussuriana della significazione (cfr. Fabbri in Essere di parola, p. XVI). Fondazione linguistica della disciplina Ferdinand de Saussure (1857-1913) Corso di linguistica generale (1916) “Si può dunque concepire una scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale; essa potrebbe formare una parte della psicologia sociale e, di conseguenza, della psicologia generale; noi la chiameremo semiologia (dal greco semeion, segno). Essa potrebbe dirci in che consistono i segni, quali leggi li regolano. Poiché essa non esiste ancora, non possiamo dire che cosa sarà; essa ha tuttavia diritto a esistere e il suo posto è determinato in partenza. La linguistica è solo una parte di questa scienza generale, le leggi scoperte dalla semiologia saranno applicabili alla linguistica e questa si troverà collegata a un dominio ben definito nell’insieme dei fatti umani” (CLG: 26) Prima questione: rapporto tra semiologia e linguistica Barthes, Elementi di semiologia, 1966:14: “non è affatto certo che nella vita sociale del nostro tempo esistano, al di fuori del linguaggio umano (cioè del linguaggio verbale) sistemi di segni di una certa ampiezza” La previsione di Saussure andrebbe dunque rovesciata: lungi dal risolversi in una branca della semiotica/semiologia la linguistica dovrebbe fungere da riferimento per capire tutti gli altri sistemi di segni (“la semiologia è forse destinata a farsi assorbire da una translinguistica”), e le categorie che si ritrovano tipiche della verbalità dovrebbero pertanto formare l’ossatura anche di questi ultimi. Il segno per Saussure Entità psichica bifacciale. Le cui facce, significato e significante, sono connesse da una relazione di equivalenza (A sta per B). La relazione di corrispondenza tra A e B richiede l’intervento di un sistema linguistico (langue): di qui la successiva interpretazione strutturalistica della lingua come codice che abbina biunivocamente unità appartenenti a due sistemi (Manetti, Comunicazione, 2011: 49) Segno come entità psichica bifacciale “Il segno linguistico unisce non una cosa e un nome, ma un concetto e un’immagine acustica. Quest’ultima non è il suono materiale, cosa puramente fisica, ma la traccia psichica di questo suono, la rappresentazione che ci viene data dalla testimonianza dei nostri sensi: essa è sensoriale, e se ci capita di chiamarla ‘materiale’, ciò avviene solo in tal senso e in opposizione all’altro termine dell’associazione, il concetto, generalmente più astratto […]. Il segno linguistico è dunque una entità psichica a due facce, che può essere rappresentata dalla figura: concetto ---------------------immagine acustica Modello diadico di segno (Saussure, 1916) Significato ---------------------Significante Questi due elementi sono intimamente uniti e si richiamano l’un l’altro. Sia che cerchiamo il senso della parola latina arbor sia che cerchiamo la parola con cui il latino designa il concetto di “albero”, è chiaro che solo gli accostamenti consacrati dalla lingua ci appaiono conformi alla realtà, e scartiamo tutti gli altri che potrebbero immaginarsi” (CLG:83-85). Caratteri fondamentali del segno Arbitrarietà verticale: la relazione tra significato e significante è immotivata Linearità del significante Natura temporale del significante (una catena). Questo carattere contrappone i testi verbali a quelli visivi, in cui si può osservare la compresenza nello spazio di elementi segnici diversi. Tuttavia, anche nel caso dei segni visivi, un carattere lineare viene recuperato a livello della lettura, che può prevedere un percorso di ricezione sequenziale (già a livello di programmazione) (Manetti 2011:62) Immutabilità e mutabilità del segno Arbitrarietà, complessità, inerzia collettiva sono fattori di resistenza Tempo e massa parlante fattori di mutamento Seconda definizione: studio dei processi di significazione e comunicazione Significazione e comunicazione Eco, Trattato di semiotica generale, 1975 “Il processo di significazione si verifica solo quando esiste un codice. Ogni qualvolta, sulla base di regole soggiacenti, qualcosa materialmente presente alla percezione del destinatario sta per qualcosa d’altro, si dà significazione” (pp. 19-20) “Un sistema di significazione è pertanto un costrutto semiotico autonomo che possiede modalità di esistenza del tutto astratte, indipendenti da ogni possible atto di comunicazione che le attualizzi. Al contrario […] ogni processo di comunicazione tra esseri umani – o tra ogni altro tipo di apparato ‘intelligente’, sia meccanico che biologico – presuppone un sistema di significazione come propria condizione necessaria” (p. 20) Che cos’è un sistema di significazione? Un sistema di significazione è un dispositivo che collega entità presenti a entità assenti (Traini) Diversamente da altre specie animali, gli umani hanno la capacità di dominare una pluralità di semiotiche diverse, tra le quali emergono per importanza le semiotiche di natura gestuale e visiva e il linguaggio verbale. De Mauro (Lezioni di linguistica teorica, Laterza 2008): “l’Homo sapiens non è solo Homo loquens ma pluriloquens; ed è signans, anzi plurisignans, polysemicus: la parola non sarebbe stata acquisita in assenza di questa natura. Le lingue verbali sono i sistemi di significazione e di comunicazione con maggiori potenzialità. Il posto della linguistica Compito del linguista è definire ciò che fa della lingua un sistema speciale nell’insieme dei fatti semiologici […]; da una parte, niente è più adatto della lingua a far capire la natura del problema semiologico; ma per porlo in modo conveniente, bisognerebbe studiare la lingua in se stessa; senonché, fino ad ora, la si è esaminata quasi sempre in funzione di qualche altra cosa, sotto altri punti di vista. Per cominciare, c’è la concezione superficiale del gran pubblico, che nella lingua non vede se non una nomenclatura, il che soffoca ogni indagine sulla sua effettiva natura. Poi vi è il punto di vista dello psicologo che studia il meccanismo del segno nell’individuo; è il metodo più facile, ma non conduce più in là della esecuzione individuale e non sfiora il segno, che è sociale per natura. O, ancora, quando ci si accorge che il segno deve essere studiato socialmente, si bada soltanto ai tratti della lingua che la ricollegano alle altre istituzioni, a quelli che dipendono più o meno dalla nostra volontà. E in questo modo si fallisce l’obiettivo perché si perdono di vista i caratteri che appartengono soltanto ai sistemi semiologici in generale e alla lingua in particolare. Il fatto che il segno sfugge sempre in qualche misura alla volontà individuale o sociale, questo è il suo carattere essenziale; ma è proprio questo carattere che a prima vista si scorge meno. (CLG:26-27) I tre livelli della linguisticità 1. Langage Capacità naturale di usare parole e frasi di almeno una lingua. Realtà multiforme (eteroclita), endofasica ed esofasica (produttiva e ricettiva), situata a cavallo di diversi campi: quello fisico, quello psichico, quello individuale e quello sociale (periodo critico dell’apprendimento del liguaggio: 2-12 anni) 2. Langue Carattere acquisito e convenzionale: insieme di parole e regole grammaticali, strumento di natura storica e artificiale (sistema storico-naturale); dimensione sociale, collettiva, condivisa (piano conoscitivo): “La lingua è un tesoro depositato dalla pratica della parole nei soggetti appartenenti ad una stessa comunità, un sistema grammaticale esistente virtualmente in ciascun cervello o, più esattamente, nel cervello di un insieme di individui, dato che la lingua non è completa in nessun individuo, ma esiste perfettamente soltanto nella massa” (CdL, trad. it. p. 23) 3. Parole realizzazione individuale della facoltà di linguaggio, resa possibile dalla conoscenza di una lingua storico-naturale (piano operativo). Parola < parabolé (confronto e, per traslato, favola, apologo). La parabola è un discorso ma è soprattutto una parola che ha un fine, evoca un cambiamento, è un appello. Compiti della linguistica (Saussure) Fare la descrizione e la storia di tutte le lingue possibili dal punto di vista sia interno che esterno Cercare le forze che sono in gioco in maniera permanente in tutte le lingue ed estrarre le leggi generali cui sono riconducibili tutti i fenomeni della storia (punto di vista pancronico: studio di ciò che è invariante nel variare delle forme spazio-temporali) Definire e delimitare se stessa, cioè i termini e i punti di vista con cui opera. Caratteri della lingua La lingua è La parte sociale del linguaggio, esterna all’individuo, che da solo non può né crearla né modificarla; È un oggetto che si può studiare separatamente dalla parole (e infatti noi possiamo benissimo studiare le lingue morte nonostante nessuno le parli più) È di natura omogenea, a complessivamente è eterogeneo; È un oggetto di natura concreta, mentre i segni linguistici non sono che astrazioni. differenza del linguaggio, che Lingua e pensiero Prima delle suddivisioni prodotte da una lingua storico-naturale l ’ universo del pensiero e quello dei suoni sono delle nebulose senza distinzioni interne: “ Preso in se stesso il pensiero è come una nebulosa in cui niente è necessariamente delimitato. Non vi sono idee prestabilite, e niente è distinto prima dell’apparizione della lingua. Di fronte a questo reame fluttuante, i suoni offrono forse di per se stessi delle entità circoscritte in anticipo? Niente affatto. La sostanza fonica non è più fissa né più rigida; non è un calco di cui il pensiero ha bisogno. Noi possiamo dunque rappresentarci il fatto linguistico nel suo insieme, e cioè possiamo rappresentarci la lingua, come una serie di suddivisioni contigue proiettate, nel medesimo tempo, sia sul piano indefinito delle idee confuse (A) sia su quello non meno indeterminato dei suoni (B)” (CLG: 136) A B Semiotico/non semiotico Realtà non semiotiche: Materia del contenuto, referente di codici semiotici e linguistici Sensibilità Respiro Sono tutte formalmente realtà non semiotiche, che pongono però vincoli specifici alla realizzazione e alla forma di certe semiotiche e in particolare del linguaggio verbale. Semiotica è la forma Delimitare il campo di ciò che è semiotico non comporta rinchiudervisi Operazione di pertinentizzazione (Prieto) Rendere discreto il continuo: tra gli infiniti caratteri di una totalità concreta viene selezionato un numero limitato di caratteri considerati pertinenti al fine di individuare una totalità come quella e non altra (un volto, un paesaggio, un suono linguistico distintivo, /t/, /p/, /d/ ecc.). Capacità di stabilire identità e differenze in base a tratti pertinenti. Le classi fungono da schemi regolativi: regolano l ’ attività comunicativa, cioè la produzione e la ricezione di segnali. Il problema delle classi La scelta di un tratto pertinente comporta l’individuazione di almeno due classi: quella in cui il tratto è presente e quella in cui è assente (classe complemento). Il tipo di tratto pertinente può essere detto principio costitutivo del sistema Le variazioni entro cui il principio si realizza sono detti parametri di variazione I tratti pertinenti scelti per costruire o riconoscere le classi generano il sistema e le sue classi Generare = produrre, riconoscere e analizzare in base alla scelta di uno schema astratto (De Mauro, Lezioni di linguistica generale, Laterza) Entità concrete e schemi Saussure: davanti al fluire ininterrotto di concreti atti di parole, ciascuno infinitamente diverso dagli altri, sia la produzione che la ricezione di qualunque atto espressivo come quello, con quel senso sono possibili solo in quanto sia il produttore che il ricevente mediano il rapporto con quell’atto concreto attraverso classi o schemi astratti. Sono classi Il segno, composto da Il significante: classe di espressioni che possono avere uno stesso senso per produttori e ricettori di segnali Il significato: classi di sensi veicolabili da una stessa espressione Semainein Relazione indicativa o rappresentativa che collega una qualunque variazione dello stato fisico di un mezzo (aria, luminosità, ecc.) a qualcos’altro. La variazione dello stato fisico è l’espressione Ciò che è indicato da quella variazione è il senso L’insieme della relazione è il segnale Sono entità concrete, cioè esistenti in un certo tempo e in un certo spazio, poste in essere da un produttore e da un ricevente Il segnale, che è composto da espressione + senso Segno e segnale Significato ---------------------Significante Senso -----------------------Espressione (fonia, fonazione) Il rapporto tra fonie e sensi nello scambio comunicativo è sempre mediato da una forma (langue): insieme di classi di suoni (significanti) e sensi (significati) Il problema dell’astrazione: la lingua è un oggetto di natura concreta o un insieme di schemi astratti? Problema storico-interpretativo Circuito della comunicazione “Il punto di partenza del circuito è nel cervello di uno dei due individui, per esempio A, in cui i fatti di coscienza, che noi chiamiamo concetti, si trovano associati alle rappresentazioni dei segni linguistici o immagini acustiche che servono alla loro espressione. Supponiamo che un dato concetto faccia scattare nel cervello una corrispondente immagine acustica: esso è un fenomeno interamente psichico, seguito a sua volta da un processo fisiologico: il cervello trasmette agli organi della fonazione un impulso correlativo alla immagine; poi le onde sonore si propagano dalla bocca di A all ’ orecchio di B: un processo puramente fisico. Successivamente, il circuito si prolunga in B in un ordine inverso: dall’orecchio al cervello: trasmissione fisiologica dell’immagine acustica; nel cervello, associazione psichica di questa immagine con il concetto corrispondente. Se B parla a sua volta, questo nuovo atto seguirà – dal suo cervello a quello di A – esattamente lo stesso cammino del primo e passerà attraverso le stesse fasi successive” (CLG, p. 21). Primo modello esplicito del processo comunicativo, con caratteri di forte semplificazione (per certi aspetti affine al modello ingegneristico di Shannon e Weaver). Significatività delle unità di base Cifrazione araba, romana, greca; alfabeto: le unità di base sono semantiche, cioè sono direttamente significative e ciascuna conserva la sua diretta significatività entrando in combinazione con altre unità nella formazione di significanti. Braille, morse e sistemi fonematici delle lingue sono basati su unità asemantiche, la cui funzione è cioè solo diacritica, in quanto servono a distinguere un significante dall’altro Doppia articolazione Martinet, 1960: Monemi (o morfemi, o morfi): unità minime dotate di significato (es. student-e) (Questione terminologica: morfemi? monemi? morfi? iposemi? Adottano l’espressione morfi: Lyons, Crystal, Simone, Beccaria, De Mauro Fonemi: unità minime distintive, non dotate di significato; classi di suoni, entità astratte: il parlante non emette fonemi, ma realizzazioni concrete. Fonemi e tratti distintivi: Le regole di commutazione ci permettono di distinguere fonemi differenti: se in una parola sostituiamo un suono con un altro e otteniamo un cambiamento di significato, allora i due suoni sono riconducibili a due fonemi differenti (cara/chara/gara); k e g sono distinti solo per un tratto: k è un suono sordo, occlusivo e velare; g è sonoro, occlusivo e velare) (i caratteri sordo, sonoro, occlusivo, velare sono esempi di tratti distintivi) (varianti o allofoni dei fonemi; ad es. in italiano la r uvulare è una variante del fonema r). Non tutto negli enunciati è articolato Bifaccialità del segno e biplanarità del codice L’atto semiotico è possibile solo attraverso la mediazione di un segno: alla dualità di espressione e senso, entità indicata e entità indicante, corrisponde la bifaccialità di significante e significato. Ma nessun segno esiste da solo, perciò occorre rinviare alla interrelazione tra un piano dell’espressione e un piano dei contenuti dicibili. Dunque il codice è biplanare. La lingua è un sistema di valori, un sistema di elementi che intrattengono relazioni Significato ---------------------Significante Significato ---------------------Significante Significato ---------------------Significante Nella lingua non vi sono che differenze Valore L’identità di un segno non è data dalla materialità degli elementi stessi, ma dalle relazioni che essi intrattengono con gli altri elementi del sistema, dalle posizioni che ricoprono, dalle differenze che li caratterizzano: l’identità è data dal valore. Esempi: un pezzo nel gioco degli scacchi oppure il treno Roma-Milano delle 8,30; una strada che collega due citta, il valore del rosso (sempre dato dal sistema di riferimento: arresto, schieramento politico, allarme, cardinale, ecc.); Irrilevanza degli aspetti materiali e importanza degli aspetti relazionali, differenziali (relativi ai significanti e ai significati considerati separatamente), oppositivi (relativi all’unità di segno, in relazione agli altri segni) degli elementi. Differenza e opposizione definiscono l’identità e il valore di un segno. L’identità di un segno è una questione di forma. Esempi Fr. Mouton = ingl. Sheep (montone vivo)+mutton (carne di montone cotta) Il valore della nozione di plurale in italiano corrisponde alla somma di due valori in greco antico e in lituano: il duale e il plurale. Altre lingue hanno anche il triale, oppure il quadrale. Esempio: piano dell’espressione Sistema vocalico italiano u i é ó è ò a Esempio: piano del contenuto Danese Tedesco Francese Italiano Baum arbre albero Holz Bois legno trae bosco skov Wald forêt foresta Rapporti sintagmatici e associativi Rapporti sintagmatici (in praesentia): basati sul principio della linearità del significante (prendere il largo, forzare la mano, spezzare una lancia) Rapporti associativi (in absentia): uniscono due o più termini in una serie mnemonica di associazioni, guidate da aspetti morfologici (giornale, giornalista, giornalismo) oppure semantici (carta, notizia, scrittura ecc.)