Scienze semiotiche
del testo e dei linguaggi
La semiotica come teoria della società
e scienza della cultura
2012-13
Testi
Modulo A (Tani)
(27 febbraio - 10 aprile)
1.
2.
3.
E. Benveniste, Essere di parola, a cura di P.
Fabbri, Mondadori, 2009
C. Caffi, Pragmatica. Sei lezioni, Carocci, 2009
Manetti, L’enunciazione, Mondadori, 2008 (pp.
1-45) > Solo per i non-frequentanti
Cosa sono le scienze
semiotiche?
Una disciplina giovane con una lunga storia: le sue
radici affondano nell ’ antichità greca e in
particolare nel sapere medico

Prima definizione: scienza dei segni

Seconda definizione: Studio dei processi di
significazione e comunicazione (verbali e non
verbali)
Margaret Mead, Convegno su paralinguistica e
cinesica, Bloomington, 1962:
“ Io
credo che a quanto si può immaginare stiamo
lavorando in un campo che col tempo includerà lo studio
di tutte le forme di comunicazione dotate di struttura,
delle quali la linguistica è quella tecnicamente più
avanzata. Sarebbe utile disporre di una parola per le
forme di comunicazione in ogni modalità sensoriale,
dotate di struttura […] molte persone qui, che avevano
l’aria di essere da parti opposte della barricata, hanno
usato la parola ‘semiotica’. Mi sembra l’unica parola
che, in una forma o in un’altra, sia stata usata da
persone che ragionano da posizioni completamente
differenti.”
Sviluppi negli anni sessanta

Diverse scuole di orientamento semiotico:

Francese



Russa



Jurij Lotman (1922-1993)
Boris Uspenskij (1937-)
In Italia:
Umberto Eco
 Tullio De Mauro
Ricerca di un territorio comune dove potessero incontrarsi e
integrarsi istanze nate da discipline diverse: sguardo trasversale e
problematico ai dispositivi molteplici della significazione e della
comunicazione (Gensini, Elementi di semiotica, Carocci 2002)


Roland Barthes (1915-1980)
Algirdas J. Greimas (1917-1992)


Grande varietà di indirizzi e ambiti applicativi (dagli
stimoli percettivi ai più elaborati costrutti culturali).
Rischio di smarrimento e di imperialismo
Come evitare il rischio di imperialismo, come delimitare il
campo?



Eco: la soglia inferiore e superiore della semiotica
L’identità è data non dall’oggetto, ma dallo sguardo, dal
metodo
Costitutiva interdisciplinarità della semiotica, dipendente
dal fatto di non avere un oggetto proprio
Che tipo di scienze sono quelle
semiotiche?

Distinzione tra scienze hard e scienze soft (Simone
1990)

Questione
centrale:
definire
esplicitamente
e
preliminarmente i termini che si adoperano e attenersi a
questa
definizione,
elaborare
metodi
intersoggettivamente controllabili, formulare leggi sono
pratiche diffuse nelle scienze hard, ma problematiche
nella semiotica e nella linguistica.
Orientamento nomotetico
oppure idiografico?

Distinzione, problematica, che risale a Windelband
(1894)

De Mauro: “ campi in apparenza idiografici non
potrebbero nemmeno cominciare le loro indagini se non
muovessero dall’accertamento di costanti: fonemi, morfi,
regole di formazione delle parole per studiarne le
variazioni o invarianze nel tempo”
Prima definizione:
scienza dei segni
Che cos’è un segno?

Siamo circondati da svariate esperienze di
natura semiotica, in cui diversi veicoli materiali
rinviano a qualcos’altro:






Indicatori luminosi (spie)
Orme, tracce, espressioni del volto, ecc.
Comportamenti e segnali di altri animali
Manufatti come la struttura di un edificio, l’arredamento di una
casa
Parole di una lingua
In tutti questi casi attribuiamo sostanza e valore di
segno a esperienze diverse.
Aristotele distingue: semeîon, tekmerion, symbolon
Semeióo = marco, faccio segnali, intendo, significo

Fondazione filosofica della
disciplina

Aristotele (384a.C.-322a.C.)
(De interpretatione; Retorica, Poetica)

Agostino di Ippona (354-430)
(De doctrina christiana; De magistro)

Locke (1632-1704)
Essay on Human Understanding (1690)
La semiotica, in quanto dottrina dei segni è una delle tre branche della
conoscenza umana (accanto a fisica ed etica).

Charles Sanders Peirce (1839-1914)
Semiotica come teoria della conoscenza umana, incentrata sulla capacità di
interpretare l’esperienza e ogni sua manifestazione empirica.
Due modelli di segno

Nella tradizione filosofica e semiotica antica prende
forma una distinzione tra due concezioni del segno:

Segno come equivalenza o abbinamento tra un significato e un
significante: A sta per B
Modello impiegato per spiegare il funzionamento dei segni di
ordine soprattutto verbale

Segno come inferenza: Se p, allora q
modello impiegato per spiegare la struttura logica soggiacente ai
segni di ordine soprattutto non verbale (se c’è fumo, c’è fuoco;
se c’è un’orma, c’è un animale; le nuvole annunciano - o
significano - pioggia)
Il segno per Aristotele
pensieri
-------------------------------Suoni verbali
Cfr. Ogden e Richards, Il significato del significato, 1923
oggetti
Agostino di Ippona (354-439)
De doctrina christiana (395-426)
Ogni insegnamento ha come oggetto cose (res) o segni (signa): ma le cose si
apprendono per mezzo di segni. Definisco ora cose in senso proprio quelle
che non servono per significare qualcosa, per esempio legno pietra pecora e
altro di tal fatta; non però il legno che, come leggiamo, Mosè gettò nelle
acque per toglierne l’amarezza, né la pietra che Giacobbe si era posto sotto
il capo né la pecora che Abramo immolò in luogo del figlio. Queste cose
infatti sono tali da essere anche il segno di altre cose. Ci sono invece segni
di cui facciamo uso solo per significare (in significando), per esempio le
parole: nessuno ne fa uso se non per significare qualcosa. Di qui si capisce
che cosa io intendo per segno: una cosa che serve per significare qualcosa.
Perciò ogni segno è anche una cosa, perché ciò che non è una cosa, non
esiste affatto: invece non ogni cosa è anche segno. (De doct.chr. I, II 2)
Significazione naturale

Dei segni, alcuni sono naturali (naturalia), altri intenzionali (data). Sono
naturali quelli che, senza alcuna intenzionalità e volontà di significare,
fanno conoscere, a partire da sé, qualcos’altro oltre sé, come il fumo
significa il fuoco: lo fa senza intenzione di significare, ma perché grazie
alla osservazione e all’esperienza sappiamo che là sotto c’è il fuoco, anche
se si vede solo il fumo. Appartiene a questo genere di segni la traccia
dell’animale che passa; e il volto di una persona adirata o triste ne rivela lo
stato d’animo anche indipendentemente dalla volontà di chi è adirato o
triste, e così dicasi di altro sentimento che viene indicato
dall’atteggiamento del volto, anche se noi nulla facciamo per indicarlo […]
Significazione intenzionale

Segni intenzionali sono quelli che gli esseri viventi si scambiano gli uni con
gli altri per far conoscere, per quanto è possible, le emozioni del loro
animo, i sentimenti, i pensieri; e non c’è altro motivo per noi di significare,
cioè di dare un segno, se non per effondere e trasferire nell’animo di un
altro ciò che ha nel proprio animo colui che dà il segno […]. Anche gli
animali si scambiano tra loro segni con i quali esternano gli appetiti del
loro animo: il gallo quando ha trovato da mangiare con voce segnala (dat
signum vocis) alle galline di accorrere, e il colombo chiama con un verso
lamentoso la colomba e così viene da lei chiamato […].
Posto della parola tra gli altri segni

Dei segni con i quali comunichiamo tra noi i nostri sentimenti (sua sensa),
alcuni riguardano la vista, i più l’udito, ben pochi gli altri sensi. Così,
quando facciamo un cenno, diamo il segno solo agli occhi di colui che in
questo modo vogliamo rendere partecipe della nostra volontà. Certi
movimenti delle mani significano molte cose e gli attori col movimento di
tutte le membra comunicano alcuni segni agli spettatori esperti e quasi
conversano con i loro occhi; le bandiere e le insegne militari trasmettono ai
soldati attraverso gli occhi la volontà dei comandanti […]. Ma tutti i segni
di tal genere, a confronto con le parole, sono molto pochi, perché gli
uomini hanno assegnato in primo luogo alle parole il compito di significare
tutto ciò che meditano in cuor loro, se hanno intenzione di comunicarlo
[…]. Infatti, tutti quei segni, i cui vari generi ho brevemente accennato, li
ho potuti esprimere con le parole, mentre assolutamente non potrei
esprimere le parole con quei segni”. (De doct. Chr. II, I, II 3, III 4)
John Locke (1632-1704)
Essay on Human Understanding (1690)
La semiotica, in quanto dottrina dei segni è una delle tre branche della
conoscenza umana (accanto a fisica ed etica):
“Fu necessario che l’uomo scoprisse qualche segno sensibile esterno,
mediante il quale quelle idee invisibili, di cui sono costruiti i suoi
pensieri, potessero venir rese note ad altri. Nulla era più adatto a tale
scopo, sia per abbondanza che per rapidità, di quei suoni articolati che
in modo così facile e vario l’uomo si trovò ad essere capace di
produrre. In tal modo possiamo concepire come le parole, che di
natura loro erano così adatte a quello scopo, venissero ad essere
impiegate come segni delle loro idee: non per alcuna connessione
naturale che vi sia tra i particolari suoni articolati e certe idee, poiché
in tal caso non ci sarebbe tra gli uomini che un solo linguaggio, ma per
una imposizione volontaria, mediante la quale una data parola viene
assunta arbitrariamente a contrassegno di una tale idea. Perciò lo
scopo delle parole è di essere segni sensibili delle idee; e le idee per
le quali esse stanno sono il loro significato proprio ed immediato”
(1690; trad. it. p. 457)

Peirce (1839-1914)
“Io sono, per quel che ne so, un pioniere, o piuttosto un esploratore, nell’attività
di chiarire e iniziare ciò che io chiamo semiotica, vale a dire la dottrina della
natura essenziale e delle varietà fondamentali di ogni possibile semiosi” (CP:
5.488)
Per semiosi intendo un ’ azione, una influenza che sia, o coinvolga, una
cooperazione di tre soggetti, come per esempio un segno, il suo oggetto e il
suo interpretante, tale influenza trirelativa non essendo in nessun caso
risolubile in un’azione tra coppie (CP: 5.484)
Un segno, in quanto tale, ha tre riferimenti: primo, è un segno per un pensiero
che lo interpreta; secondo è un segno in luogo di un oggetto a cui quel
pensiero è equivalente; terzo, è un segno sotto qualche rispetto o qualità che
porta il segno stesso in connessione con il suo oggetto”.
“Un segno (o Representamen) è qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto
qualche rispetto o capacità. Si rivolge a qualcuno, cioè crea nella mente di
quella persona un segno equivalente, o forse un segno più sviluppato. Questo
segno che esso crea lo chiamo interpretante del primo segno” (CP: 2.228;
trad. it. Peirce, Semiotica, a cura di Bonfantini, Einaudi 1980:132)
Modello triadico del segno
interpretante
segno
Representamen
espressione
Oggetto
Immediato
contenuto
Oggetto
dinamico
Modello inferenziale di segno
Il Representamen (puro aspetto espressivo) sta al posto di qualcos’altro.
Tuttavia questo stare per non è da intendersi come un rapporto di pura
sostituzione, in quanto il Representamen non sostituisce l‘oggetto sotto
ogni punto di vista, ma soltanto “sotto qualche rispetto o capacità”, cioè in
base a qualche proprietà scelta come pertinente.
Se ad esempio prendiamo il disegno di un cavallo, che ne delinei soltanto il
contorno, noi potremmo dire che tale disegno sta per il cavallo, ovvero ne
costituisce un segno, il cui significato sia identificabile con il “concetto di
cavallo”. Tuttavia il disegno non esaurisce tutto quello che noi possiamo
sapere circa le proprietà del cavallo, ma ne costituisce un sostituto parziale
che individua l’oggetto solo da un certo punto di vista: la silhouette visiva
che può presentare un cavallo, lasciando da parte tutte le informazioni che
riguardano ad esempio il suo essere distinto in varietà diverse ed avere
differenti pezzature del manto, le sue caratteristiche fisiche di dimensione e
di potenza, le sue abitudini in relazione all’uomo, e via dicendo. In altre
parole, il segno come Representamen costituisce una mediazione tra le
nostre rappresentazioni mentali e le caratteristiche reali di un determinato
oggetto, mettendone in risalto volta per volta delle proprietà particolari,
scelte secondo qualche criterio di pertinenza” (Manetti, Comunicazione,
2011, p. 64)
Oggetto dinamico e
oggetto immediato

Oggetto dinamico è l ’ oggetto “ realmente efficiente ma non immediatamente
presente ”
(CP:8.343): oggetto in sé, che esiste nella realtà esterna,
indipendentemente dal fatto che qualcuno lo pensi; in quanto tale non entra
direttamente nel processo di semiosi. Può essere messo in relazione alla nozione di
referente proposta da Ogden e Richards. Tale oggetto non è conoscibile se non
attraverso la mediazione dei segni, che ne illustrano volta per volta le diverse
proprietà (cioè come oggetto immediato).
Oggetto immediato è l’oggetto “così come il segno lo rappresenta” (CP:8.343); è
una entità concettuale, una rappresentazione mentale, è il modo in cui l’oggetto
dinamico viene dato e conosciuto attraverso la mediazione dei segni, che ne mettono
in risalto volta per volta certe proprietà. È il significato del segno che viene
socialmente codificato e, in quanto tale, è la contropartita mentale del
Representamen.
L’oggetto immediato si distingue dall’interpretante perché è un’entità interna al segno, è
cioè il modo in cui l’oggetto dinamico viene dato nel segno.
L’interpretante è invece esterno al segno, è un secondo segno, una rappresentazione
che scatta nell’interprete a partire dal primo segno e che lo arricchisce.

Oggetto immediato come
parte del segno
Interpretante
Representamen
Oggetto
immediato
Oggetto
dinamico
Interpretante e semiosi
illimitata
L’interpretante è un altro segno che illumina l’oggetto da un altro punto di vista.
In relazione all’esempio considerato, potremmo dire che un Interpretante del disegno di
cavallo può essere costituito da un’ espressione linguistica quale “ animale che
nitrisce”, o da una fotografia di un cavallo o da una rappresentazione mimica dei
movimenti della corsa del cavallo.
Gli Interpretanti possono essere molti e ciascuno di essi fornisce una conoscenza
parziale dell ’ oggetto. Per produrre la semiosi, ovvero innescare il processo di
significazione, gli Interpretanti si collocano in una serie tendenzialmente senza confini,
che Peirce chiama appunto semiosi illimitata, i quali rendono conto delle molteplici
proprietà dell’oggetto.
La fuga degli Interpretanti, anche se tendenzialmente illimitata, dato che non è mai
possibile cogliere tutte le caratteristiche di un Oggetto, può però arrivare a una sua
normalizzazione nel momento in cui viene a istaurarsi un ’ abitudine o regola
interpretativa stabile, che Peirce chiama abito, che potremmo considerare come
registrata nella nostra memoria e che da un certo momento in poi orienterà le nostre
scelte successive nella interpretazione di un determinato segno.
Tre tipi di interpretante

Interpretante immediato
interpretazione del segno secondo regole socialmente determinate
e tradizionalmente acquisite (ad es. riconoscimento di un sintomo,
effetti prodotti da una malattia non ancora diagnosticata)

Interpretante dinamico
Interpretazione che deriva dal confronto del significato acquisito
con
proprie esigenze di comprensione e con l’oggettività
(attivazione di tensioni interpretative, valutazione delle diverse
ipotesi di diagnosi)

Interpretante logico-finale
Produzione di un abito interpretativo che soddisfa esigenze
conoscitive coordinate all’azione (selezione di un’ipotesi e
intervento di cura)
Interpretanti
Interpretante logico finale
Interpretante dinamico
Interpretante immediato
Representamen
Oggetto
immediato
Oggetto
dinamico
La classificazione dei segni in Peirce
Dal punto di vista della relazione tra il segno e il suo oggetto

Icona: correlata al suo oggetto in virtù di un carattere di similarità. I segni
iconici sono motivati per somiglianza tra il segno e l ’ oggetto. Es.:
illustrazioni, ritratti, silhouette, caricature, schemi illustrativi di un
apparecchio, suoni onomatopeici, metafore.

Indice: “è un segno che si riferisce all’oggetto che esso denota in virtù
del fatto che è realmente determinato da quell’oggetto” (CP:2.248). I
segni indicali sono motivati per contiguità fisica: l’indice è un segno
fisicamente o causalmente connesso con il proprio oggetto. Es.: la firma
(traccia della presenza dell’autore), la bandierina che indica la direzione
del vento; il dito puntato, l’impronta, la fotografia.

Simbolo: “ segno che si riferisce a un oggetto in virtù di una
legge”(CP”2.249). Il simbolo è un segno non motivato, quindi arbitrario.
Peirce definisce il simbolo anche legisegno (basato su una legalità propria
di una comunità). Es.: segni del linguaggio naturale, della matematica, del
codice della strada, dei gradi militari.
Iconicità

Il problema dell’iconismo (o iconicità) è stato molto dibattuto nella semiotica degli
anni Sessanta e Settanta (cfr. Eco, Kant e il problema dell’ornitorinco, 1997). Il punto
di partenza è nella definizione di icona data da Peirce: da un lato si ponevano coloro
che mettevano in dubbio il concetto di somiglianza e preferivano parlare di regole per
la produzione di similarità (effetto di similarità: Eco, Volli); dall’altro si ponevano
quanti difendevano il principio della somiglianza (Maldonado).

Eco sottolinea tre ordini di problemi in quel dibattito: 1. La natura iconica della
percezione, 2. La natura iconica della conoscenza in generale, 3. La natura dei segni
iconici. I primi due punti sono oggi al centro di un ampio dibattito che vede nella
iconicità una sorta di funzione fondamentale della conoscenza che prepara la strada
alla categorizzazione: il primo passo per conoscere qualcosa è ri-conoscerlo come
appartenente a una categoria.

Secondo Gensini (Elementi di semiotica, Carocci, 2002), l’iconicità, indicando un
rapporto non arbitrario tra significante e significato, non può essere ricondotta solo
alla similarità: occorre distinguere tra iconicità come “ motivatezza naturale ” e
“iconicità come motivatezza logica”. I codici lasciano oscillare i segni da un massimo
grado di iconicità a un massimo grado di arbitrarietà.
Osservazioni critiche su Peirce
Per Peirce tutto è segno. Inoltre, come osserverà Benveniste, Peirce non
distingue adeguatamente tra tipi di segni e tipi diversi di sistemi semiotici e
ciò è dovuto al fatto che manca qui una precisa distinzione tra segno e
significato e manca il principio di sistema segnico, condizione saussuriana
della significazione (cfr. Fabbri in Essere di parola, p. XVI).
Fondazione linguistica della
disciplina

Ferdinand de Saussure (1857-1913)
Corso di linguistica generale (1916)
“Si può dunque concepire una scienza che studia la vita dei segni nel
quadro della vita sociale; essa potrebbe formare una parte della
psicologia sociale e, di conseguenza, della psicologia generale; noi la
chiameremo semiologia (dal greco semeion, segno). Essa potrebbe
dirci in che consistono i segni, quali leggi li regolano. Poiché essa non
esiste ancora, non possiamo dire che cosa sarà; essa ha tuttavia
diritto a esistere e il suo posto è determinato in partenza. La linguistica
è solo una parte di questa scienza generale, le leggi scoperte dalla
semiologia saranno applicabili alla linguistica e questa si troverà
collegata a un dominio ben definito nell’insieme dei fatti umani” (CLG:
26)
Prima questione: rapporto tra
semiologia e linguistica
Barthes, Elementi di semiologia, 1966:14: “non è affatto certo che
nella vita sociale del nostro tempo esistano, al di fuori del linguaggio
umano (cioè del linguaggio verbale) sistemi di segni di una certa
ampiezza”
La previsione di Saussure andrebbe dunque rovesciata: lungi dal risolversi in
una branca della semiotica/semiologia la linguistica dovrebbe fungere da
riferimento per capire tutti gli altri sistemi di segni (“la semiologia è forse
destinata a farsi assorbire da una translinguistica”), e le categorie che si
ritrovano tipiche della verbalità dovrebbero pertanto formare l’ossatura
anche di questi ultimi.
Il segno per Saussure
Entità psichica bifacciale. Le cui facce, significato e
significante, sono connesse da una relazione di
equivalenza (A sta per B). La relazione di corrispondenza
tra A e B richiede l’intervento di un sistema linguistico
(langue): di qui la successiva interpretazione
strutturalistica della lingua come codice che abbina
biunivocamente unità appartenenti a due sistemi (Manetti,
Comunicazione, 2011: 49)
Segno come entità psichica
bifacciale
“Il segno linguistico unisce non una cosa e un nome, ma un concetto e un’immagine
acustica. Quest’ultima non è il suono materiale, cosa puramente fisica, ma la traccia
psichica di questo suono, la rappresentazione che ci viene data dalla testimonianza
dei nostri sensi: essa è sensoriale, e se ci capita di chiamarla ‘materiale’, ciò
avviene solo in tal senso e in opposizione all’altro termine dell’associazione, il
concetto, generalmente più astratto […].
Il segno linguistico è dunque una entità psichica a due facce, che può essere
rappresentata dalla figura:
concetto
---------------------immagine acustica
Modello diadico di segno
(Saussure, 1916)
Significato
---------------------Significante
Questi due elementi sono intimamente uniti e si richiamano l’un l’altro. Sia che cerchiamo il
senso della parola latina arbor sia che cerchiamo la parola con cui il latino designa il concetto di
“albero”, è chiaro che solo gli accostamenti consacrati dalla lingua ci appaiono conformi alla
realtà, e scartiamo tutti gli altri che potrebbero immaginarsi” (CLG:83-85).
Caratteri fondamentali del segno

Arbitrarietà verticale: la relazione tra significato e significante è
immotivata

Linearità del significante
Natura temporale del significante (una catena).
Questo carattere
contrappone i testi verbali a quelli visivi, in cui si può osservare la
compresenza nello spazio di elementi segnici diversi. Tuttavia, anche
nel caso dei segni visivi, un carattere lineare viene recuperato a livello
della lettura, che può prevedere un percorso di ricezione sequenziale
(già a livello di programmazione) (Manetti 2011:62)

Immutabilità e mutabilità del segno


Arbitrarietà, complessità, inerzia collettiva sono fattori di resistenza
Tempo e massa parlante fattori di mutamento
Seconda definizione:
studio dei processi di significazione
e comunicazione
Significazione e comunicazione
Eco, Trattato di semiotica generale, 1975

“Il processo di significazione si verifica solo quando esiste un codice. Ogni
qualvolta, sulla base di regole soggiacenti, qualcosa materialmente presente
alla percezione del destinatario sta per qualcosa d’altro, si dà significazione”
(pp. 19-20)

“Un sistema di significazione è pertanto un costrutto semiotico autonomo che
possiede modalità di esistenza del tutto astratte, indipendenti da ogni possible
atto di comunicazione che le attualizzi. Al contrario […] ogni processo di
comunicazione tra esseri umani – o tra ogni altro tipo di apparato
‘intelligente’, sia meccanico che biologico – presuppone un sistema di
significazione come propria condizione necessaria” (p. 20)
Che cos’è un sistema di
significazione?

Un sistema di significazione è un dispositivo che collega entità presenti a
entità assenti (Traini)

Diversamente da altre specie animali, gli umani hanno la capacità di dominare
una pluralità di semiotiche diverse, tra le quali emergono per importanza le
semiotiche di natura gestuale e visiva e il linguaggio verbale.
De Mauro (Lezioni di linguistica teorica, Laterza 2008): “l’Homo sapiens non
è solo Homo loquens ma pluriloquens; ed è signans, anzi plurisignans,
polysemicus: la parola non sarebbe stata acquisita in assenza di questa
natura.

Le lingue verbali sono i sistemi di significazione e di comunicazione con
maggiori potenzialità.
Il posto della linguistica




Compito del linguista è definire ciò che fa della lingua un sistema speciale
nell’insieme dei fatti semiologici […]; da una parte, niente è più adatto della
lingua a far capire la natura del problema semiologico; ma per porlo in
modo conveniente, bisognerebbe studiare la lingua in se stessa; senonché,
fino ad ora, la si è esaminata quasi sempre in funzione di qualche altra cosa,
sotto altri punti di vista.
Per cominciare, c’è la concezione superficiale del gran pubblico, che nella
lingua non vede se non una nomenclatura, il che soffoca ogni indagine sulla
sua effettiva natura.
Poi vi è il punto di vista dello psicologo che studia il meccanismo del segno
nell’individuo; è il metodo più facile, ma non conduce più in là della
esecuzione individuale e non sfiora il segno, che è sociale per natura.
O, ancora, quando ci si accorge che il segno deve essere studiato
socialmente, si bada soltanto ai tratti della lingua che la ricollegano alle altre
istituzioni, a quelli che dipendono più o meno dalla nostra volontà. E in
questo modo si fallisce l’obiettivo perché si perdono di vista i caratteri che
appartengono soltanto ai sistemi semiologici in generale e alla lingua in
particolare. Il fatto che il segno sfugge sempre in qualche misura alla
volontà individuale o sociale, questo è il suo carattere essenziale; ma è
proprio questo carattere che a prima vista si scorge meno. (CLG:26-27)
I tre livelli della linguisticità
1. Langage
 Capacità naturale di usare parole e frasi di almeno una lingua. Realtà multiforme
(eteroclita), endofasica ed esofasica (produttiva e ricettiva), situata a cavallo di diversi
campi: quello fisico, quello psichico, quello individuale e quello sociale (periodo critico
dell’apprendimento del liguaggio: 2-12 anni)
2. Langue
 Carattere acquisito e convenzionale: insieme di parole e regole grammaticali,
strumento di natura storica e artificiale (sistema storico-naturale); dimensione sociale,
collettiva, condivisa (piano conoscitivo): “La lingua è un tesoro depositato dalla pratica
della parole nei soggetti appartenenti ad una stessa comunità, un sistema grammaticale
esistente virtualmente in ciascun cervello o, più esattamente, nel cervello di un insieme
di individui, dato che la lingua non è completa in nessun individuo, ma esiste
perfettamente soltanto nella massa” (CdL, trad. it. p. 23)
3. Parole
 realizzazione individuale della facoltà di linguaggio, resa possibile dalla conoscenza
di una lingua storico-naturale (piano operativo).
Parola < parabolé (confronto e, per traslato, favola, apologo). La parabola è un discorso
ma è soprattutto una parola che ha un fine, evoca un cambiamento, è un appello.
Compiti della linguistica
(Saussure)

Fare la descrizione e la storia di tutte le lingue possibili
dal punto di vista sia interno che esterno

Cercare le forze che sono in gioco in maniera
permanente in tutte le lingue ed estrarre le leggi generali
cui sono riconducibili tutti i fenomeni della storia (punto
di vista pancronico: studio di ciò che è invariante nel
variare delle forme spazio-temporali)

Definire e delimitare se stessa, cioè i termini e i punti di
vista con cui opera.
Caratteri della lingua
La lingua è

La parte sociale del linguaggio, esterna all’individuo, che da solo non
può né crearla né modificarla;

È un oggetto che si può studiare separatamente dalla parole (e infatti
noi possiamo benissimo studiare le lingue morte nonostante nessuno le
parli più)

È di natura omogenea, a
complessivamente è eterogeneo;

È un oggetto di natura concreta, mentre i segni linguistici non sono che
astrazioni.
differenza
del
linguaggio,
che
Lingua e pensiero
Prima delle suddivisioni prodotte da una lingua storico-naturale l ’ universo del
pensiero e quello dei suoni sono delle nebulose senza distinzioni interne:
“ Preso in se stesso il pensiero è come una nebulosa in cui niente è
necessariamente delimitato. Non vi sono idee prestabilite, e niente è distinto
prima dell’apparizione della lingua. Di fronte a questo reame fluttuante, i suoni
offrono forse di per se stessi delle entità circoscritte in anticipo? Niente affatto.
La sostanza fonica non è più fissa né più rigida; non è un calco di cui il pensiero
ha bisogno. Noi possiamo dunque rappresentarci il fatto linguistico nel suo
insieme, e cioè possiamo rappresentarci la lingua, come una serie di suddivisioni
contigue proiettate, nel medesimo tempo, sia sul piano indefinito delle idee
confuse (A) sia su quello non meno indeterminato dei suoni (B)” (CLG: 136)
A
B
Semiotico/non semiotico
Realtà non semiotiche:
 Materia del contenuto, referente di codici semiotici e
linguistici
 Sensibilità
 Respiro
Sono tutte formalmente realtà non semiotiche, che
pongono però vincoli specifici alla realizzazione e alla
forma di certe semiotiche e in particolare del linguaggio
verbale.
Semiotica è la forma
Delimitare il campo di ciò che è semiotico non comporta
rinchiudervisi
Operazione di pertinentizzazione
(Prieto)
Rendere discreto il continuo: tra gli infiniti caratteri di una
totalità concreta viene selezionato un numero limitato di
caratteri considerati pertinenti al fine di individuare una
totalità come quella e non altra (un volto, un paesaggio, un
suono linguistico distintivo, /t/, /p/, /d/ ecc.).
Capacità di stabilire identità e differenze in base a tratti
pertinenti.
Le classi fungono da schemi regolativi: regolano l ’ attività
comunicativa, cioè la produzione e la ricezione di segnali.
Il problema delle classi

La scelta di un tratto pertinente comporta l’individuazione di almeno due
classi: quella in cui il tratto è presente e quella in cui è assente (classe
complemento).

Il tipo di tratto pertinente può essere detto principio costitutivo del sistema

Le variazioni entro cui il principio si realizza sono detti parametri di
variazione

I tratti pertinenti scelti per costruire o riconoscere le classi generano il
sistema e le sue classi

Generare = produrre, riconoscere e analizzare in base alla scelta di uno
schema astratto
(De Mauro, Lezioni di linguistica generale, Laterza)
Entità concrete e schemi
Saussure: davanti al fluire ininterrotto di concreti atti di
parole, ciascuno infinitamente diverso dagli altri, sia la
produzione che la ricezione di qualunque atto espressivo
come quello, con quel senso sono possibili solo in quanto
sia il produttore che il ricevente mediano il rapporto con
quell’atto concreto attraverso classi o schemi astratti.
Sono classi
Il segno, composto da
Il significante: classe di espressioni che possono avere uno stesso
senso per produttori e ricettori di segnali
Il significato: classi di sensi veicolabili da una stessa espressione
Semainein





Relazione indicativa o rappresentativa che collega una qualunque
variazione dello stato fisico di un mezzo (aria, luminosità, ecc.) a
qualcos’altro.
La variazione dello stato fisico è l’espressione
Ciò che è indicato da quella variazione è il senso
L’insieme della relazione è il segnale
Sono entità concrete, cioè esistenti in un certo tempo e in un certo
spazio, poste in essere da un produttore e da un ricevente

Il segnale, che è composto da


espressione +
senso
Segno e segnale
Significato
---------------------Significante
Senso
-----------------------Espressione
(fonia, fonazione)

Il rapporto tra fonie e sensi nello scambio comunicativo è
sempre mediato da una forma (langue): insieme di classi
di suoni (significanti) e sensi (significati)

Il problema dell’astrazione: la lingua è un oggetto di
natura concreta o un insieme di schemi astratti?
Problema storico-interpretativo
Circuito della comunicazione
“Il punto di partenza del circuito è nel cervello di uno dei due individui, per
esempio A, in cui i fatti di coscienza, che noi chiamiamo concetti, si trovano
associati alle rappresentazioni dei segni linguistici o immagini acustiche che
servono alla loro espressione. Supponiamo che un dato concetto faccia
scattare nel cervello una corrispondente immagine acustica: esso è un
fenomeno interamente psichico, seguito a sua volta da un processo
fisiologico: il cervello trasmette agli organi della fonazione un impulso
correlativo alla immagine; poi le onde sonore si propagano dalla bocca di A
all ’ orecchio di B: un processo puramente fisico. Successivamente, il
circuito si prolunga in B in un ordine inverso: dall’orecchio al cervello:
trasmissione fisiologica dell’immagine acustica; nel cervello, associazione
psichica di questa immagine con il concetto corrispondente. Se B parla a
sua volta, questo nuovo atto seguirà – dal suo cervello a quello di A –
esattamente lo stesso cammino del primo e passerà attraverso le stesse
fasi successive” (CLG, p. 21).
Primo modello esplicito del processo comunicativo, con caratteri di forte
semplificazione (per certi aspetti affine al modello ingegneristico di Shannon
e Weaver).
Significatività
delle unità di base

Cifrazione araba, romana, greca; alfabeto:
le unità di base sono semantiche, cioè sono direttamente
significative e ciascuna conserva la sua
diretta
significatività entrando in combinazione con altre unità
nella formazione di significanti.

Braille, morse e sistemi fonematici delle lingue sono
basati su unità asemantiche, la cui funzione è cioè solo
diacritica, in quanto servono a distinguere un significante
dall’altro
Doppia articolazione
Martinet, 1960:

Monemi (o morfemi, o morfi): unità minime dotate di significato (es. student-e) (Questione terminologica: morfemi? monemi? morfi? iposemi?
Adottano l’espressione morfi: Lyons, Crystal, Simone, Beccaria, De Mauro

Fonemi: unità minime distintive, non dotate di significato; classi di suoni,
entità astratte: il parlante non emette fonemi, ma realizzazioni concrete.
Fonemi e tratti distintivi: Le regole di commutazione ci permettono di
distinguere fonemi differenti: se in una parola sostituiamo un suono con un
altro e otteniamo un cambiamento di significato, allora i due suoni sono
riconducibili a due fonemi differenti (cara/chara/gara); k e g sono distinti
solo per un tratto: k è un suono sordo, occlusivo e velare; g è sonoro,
occlusivo e velare) (i caratteri sordo, sonoro, occlusivo, velare sono esempi
di tratti distintivi) (varianti o allofoni dei fonemi; ad es. in italiano la r uvulare
è una variante del fonema r).


Non tutto negli enunciati è articolato
Bifaccialità del segno e
biplanarità del codice
L’atto semiotico è possibile solo attraverso la mediazione di un segno:
alla dualità di espressione e senso, entità indicata e entità indicante,
corrisponde la bifaccialità di significante e significato. Ma nessun
segno esiste da solo, perciò occorre rinviare alla interrelazione tra
un piano dell’espressione e un piano dei contenuti dicibili. Dunque il
codice è biplanare.
La lingua è un sistema di valori, un sistema di
elementi che intrattengono relazioni
Significato
---------------------Significante
Significato
---------------------Significante
Significato
---------------------Significante
Nella lingua non vi sono che differenze
Valore
L’identità di un segno non è data dalla materialità degli elementi stessi,
ma dalle relazioni che essi intrattengono con gli altri elementi del
sistema, dalle posizioni che ricoprono, dalle differenze che li
caratterizzano: l’identità è data dal valore.
Esempi: un pezzo nel gioco degli scacchi oppure il treno Roma-Milano
delle 8,30; una strada che collega due citta, il valore del rosso
(sempre dato dal sistema di riferimento: arresto, schieramento
politico, allarme, cardinale, ecc.);
Irrilevanza degli aspetti materiali e importanza degli aspetti relazionali,
differenziali (relativi ai significanti e ai significati considerati
separatamente), oppositivi (relativi all’unità di segno, in relazione
agli altri segni) degli elementi.
Differenza e opposizione definiscono l’identità e il valore di un segno.
L’identità di un segno è una questione di forma.
Esempi


Fr. Mouton = ingl. Sheep (montone vivo)+mutton
(carne di montone cotta)
Il valore della nozione di plurale in italiano
corrisponde alla somma di due valori in greco
antico e in lituano: il duale e il plurale. Altre
lingue hanno anche il triale, oppure il quadrale.
Esempio: piano dell’espressione

Sistema vocalico italiano
u
i
é
ó
è
ò
a
Esempio: piano del contenuto
Danese
Tedesco
Francese
Italiano
Baum
arbre
albero
Holz
Bois
legno
trae
bosco
skov
Wald
forêt
foresta
Rapporti sintagmatici e
associativi

Rapporti sintagmatici (in praesentia): basati sul principio
della linearità del significante (prendere il largo, forzare
la mano, spezzare una lancia)

Rapporti associativi (in absentia): uniscono due o più
termini in una serie mnemonica di associazioni, guidate
da aspetti morfologici (giornale, giornalista, giornalismo)
oppure semantici (carta, notizia, scrittura ecc.)
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Tani-Slide 27-28 febbraio 2013 - Dipartimento di Comunicazione e