ORGANIZZAZIONE E TEORIE ORGANIZZATIVE Affrontare i temi dell’organizzazione aziendale diviene stimolante occasione per approfondire e cogliere gli aspetti essenziali delle componenti e dei meccanismi che “fanno funzionare”, più o meno bene, le aziende. Interessante è vedere come l’organizzazione d’impresa, dagli anni venti ai giorni nostri, è stata influenzata da teorie o scuole di pensiero che hanno rappresentato veri e propri modelli organizzativi di riferimento cui le diverse aziende si sono via via ispirate. I primi studi hanno concentrato la loro attenzione prevalentemente sul processo produttivo sui metodi di lavoro, sui ruoli formali, attribuendo grande fiducia alla struttura organizzativa, alla gerarchia, all’uniformità, alla scomposizione dei compiti e delle responsabilità (Scuola Classica). Sono seguiti poi, quei filoni che attribuivano grande “valore” alle risorse immateriali, all’organizzazione sociale del lavoro, alle transazioni tra i componenti dell’organizzazione, ai comportamenti messi in atto dai singoli e dai gruppi, alle dinamiche affettive e motivazionali delle persone (Scuola delle Relazioni Umane). Altri teorici hanno proposto modelli di organizzazioni perfette, regolate da norme, procedure, regolamenti, processi verticalmente guidati e basati sull'autorità formale, decisioni che orientano risorse e responsabilità e controlli spinti sino alla prima linea operativa (Scuola Burocratica). Alcuni studiosi hanno interpretato, invece, le organizzazioni come sistemi/processi decisionali, nei quali il potere dell’informazione e delle modalità di decisione rappresentano un’occasione di sviluppo e di crescita di tutta l’impresa. L’organizzazione viene perciò concepita come un livello che elabora informazioni ed attiva una serie di interrelazioni fra individui e struttura (Scuola delle Decisoria). Il concetto di organizzazione in seguito, si amplia e diventa un sistema organizzativo complesso (Scuola Sistemica) in cui avviene un’interazione tra l’impresa con il contesto esterno (mercato, politica, tecnologia ecc.) e con l’ambiente interno articolato in vari sottosistemi. E’ una visione più completa dell’organizzazione perché dà una definizione di strategia/mission aziendale resa operativa dagli obiettivi, dai valori aziendali, dai ruoli e responsabilità, dalle professionalità e dai comportamenti delle persone ed infine dai meccanismi operativi. Si è giunti poi, in tempi più recenti, a nuove teorie organizzative per le quali le imprese che, fino a qualche anno fa, apparivano sicure in un mercato stabile, ben definito, sono oggi costrette a migliorare drasticamente e velocemente costi e qualità, in risposta alla competizione globale dei mercati ed alla concorrenza internazionale. Le aziende, pertanto, mettono in opera modifiche radicali dell’assetto proprietario, del modello di organizzazione, di gestione delle risorse umane e di relazioni industriali che le rendono capaci di flessibilità e di miglioramento continuo. La strada più frequentemente percorsa è quella di una radicale revisione dei processi fondamentali che attraversano tutta l’azienda (progettazione, produzione, distribuzione, qualità, controllo di gestione, ecc..). Scopo di questi interventi è di rendere i processi organizzativi senza vincoli di confini funzionali, con l’obiettivo di ridisegnare e di migliorare le fasi della catena del valore, le operazioni, le comunicazioni, la riduzione dei costi, l’aumento della competitività ed il miglioramento della qualità, percepita ed erogata, dei prodotti/servizi. Oggi, l’impresa virtuale è già una realtà. Molte transazioni finanziarie hanno luogo in località remote rispetto alle sedi produttive o a quelle degli intermediari, in spazi del tutto virtuali quali sono i mercati finanziari internazionali. La conseguenza di ciò è il venir meno dell’identità e dell’unitarietà di determinate funzioni che esistono solo nel progetto di architettura organizzativa e nel disegno dei collegamenti telematici. Analizzando ora le diverse scuole organizzative troviamo all’interno anche schemi concettuali ed idee che pur riconducendosi nella singola scuola di appartenenza sviluppano teorie organizzative e filoni di pensiero che, di fatto, hanno influenzato e consentito di far emergere i caratteri distintivi della scuola stessa. Scuole e teorie organizzative Scuola Burocratica Scuola classica Scuola delle Relazioni umane Teoria organizzazione scientifica Teoria interazionista Teoria burocratica Teoria amministrazione D’impresa Teoria delle risorse umane Teoria strutturalfunzionalista Scuola Decisoria Scuola Sistemica Teoria delle decisioni Teoria dinamica dei sistemi Teoria storica Teoria socio-tecnica Teoria della contingenza SCUOLA CLASSICA I Principi della Scuola Classica (Fayol, Mooney, Taylor): • Disciplina • Subordinazione degli interessi individuali all’interesse generale • Giustizia • Rapporto di Lavoro di Lungo Periodo • Spirito di Corpo Secondo questa scuola, il lavoro umano era da considerare come qualunque fattore di produzione e merce da acquistare e vendere al prezzo migliore. La Direzione prestava attenzione principalmente alle macchine, alle materie prime, alle attrezzature, in sintesi, al processo produttivo, trascurando il fattore umano. La progettazione della struttura organizzativa, nel pensiero dei “classici”, è regolata, da un lato, dalla specializzazione del lavoro intesa come sinonimo di parcellizzazione dei compiti e, dall’altro, dal coordinamento del lavoro, basato sui principi dell’ordinamento gerarchico. La parcellizzazione si riferisce alle mansioni esecutive di livello più basso e comporta l’individuazione e l’assegnazione di compiti elementari e ripetitivi in modo da: abbreviare i tempi di apprendimento dei lavoratori accrescere l’abilità nell’esecuzione dei compiti permettere l’impiego di strumenti di misurazione (tempi e metodi) incrementare la produttività del lavoro. Individuati i compiti elementari ed assegnati gli stessi ai singoli posti di lavoro, si procede ad una progressiva aggregazione del tipo: § i singoli posti di lavoro vengono riuniti in squadre; § le squadre vengono riunite in reparti; § i reparti vengono riuniti in officine; § le officine vengono riunite in stabilimenti. Il coordinamento gerarchico, cardine di tutto il sistema di pensiero della scuola classica, consta a sua volta di una pluralità di principi, come: ¨ principio gerarchico: l’autorità e la corrispondente responsabilità devono fluire in una linea chiara e continua dal dirigente al livello più alto sino all’esecutore al livello più basso; ¨ principio dell’ampiezza limitata di controllo: inteso come necessità di limitare il numero dei subordinati soggetti all’autorità di un medesimo capo; ¨ principio dell’eccezione: le decisioni ricorrenti e ripetitive, nell’ambito di un’unità organizzativa, dovrebbero essere delegate ai subordinati, mentre i soli problemi non di routine dovrebbero essere lasciati ai superiori; ¨ principio del bilanciamento tra autorità e responsabilità: chi dispone di certe leve decisionali deve rispondere dell’uso che ne fa. Nell’ambito della scuola classica, di fondamentale importanza è la: Teoria dell’organizzazione scientifica (O.S.L.) Tutti i maggiori esponenti di questa teoria, studiarono il modo di aumentare l’efficienza dei processi produttivi attraverso l’organizzazione razionale dei fattori di produzione: terra, capitale, lavoro. Frederik W. Taylor (1856 – 1917) I concetti di base del management scientifico erano, per questo studioso, di natura tecnologica. Si riteneva, infatti, che il modo più adatto per aumentare la produzione consistesse nel migliorare le tecniche ed i modi utilizzati dai lavoratori, considerando le persone alla stregua di strumenti e macchine. L’ingegnere statunitense si impegnò a fondo nel dimostrare come la parcellizzazione del lavoro (taylorismo), la standardizzazione dei metodi ed i piani di incentivi sarebbero riusciti ad assicurare un aumento della produttività ed il massimo interesse per l’imprenditore ed il lavoratore. Il taylorismo, proprio perché prestò attenzione al processo produttivo e non agli attori dello stesso, gli operai, inequivocabilmente produsse alienazione umana e svalutò l’aspetto umano dell’organizzazione tanto da rendere quest’ultimo una variabile dipendente della struttura e del processo produttivo. Il lavoratore veniva essenzialmente visto in termini oggettivati, cioè come una macchina i cui movimenti potevano e dovevano essere rigidamente predeterminati (metodi) e costretti entro archi temporali (tempi) ed il cui “motore” poteva essere acceso e spento seguendo alcune semplici norme (incentivi). I Principi dell’O.S.L. Separazione netta tra progettazione ed esecuzione del lavoro: far slittare tutta la responsabilità relativa all’organizzazione che deve essere nelle mani dei dirigenti. • Usare metodi scientifici per individuare il metodo più efficiente di eseguire il lavoro. La mansione dell’operaio deve essere progettata di conseguenza, specificando dettagliatamente come il lavoro deve essere eseguito. • Selezionare la persona più adatta per espletare la mansione così progettata. • Addestrare l’operaio a fare il lavoro in maniera efficiente • Tenere sotto controllo il lavoro dell’ operaio per assicurarsi che vengano rispettate le procedure lavorative predeterminate e che vengano ottenuti risultati adeguati Come applicare i Principi dell’O.S.L. • Analizzare l’ operatività del lavoro ed individuare l’one best way per l’ esecuzione delle singole fasi e del processo nel suo complesso. • Studio dei tempi e metodi inteso come mezzo per standardizzare le attività lavorative. • Responsabilizzazione del management che deve conoscere i processi operativi per assicurare il controllo della corretta esecuzione. • Cottimo per incentivare la produttività della manodopera. Henry L. Gantt (1861 – 1919) Ingegenere statunitense, collaboratore di Taylor, fu uno dei pionieri dello “Scientific Management” che, per primo, introdusse il concetto di incentivi/premi per compensare chi era più efficiente e rispettoso dei programmi nel tempo dato a disposizione. Affrontando i problemi della gestione e controllo della produzione, elaborò i famosi “diagrammi di Gantt”, che hanno rappresentato i primi tentativi di programmazione d’impresa ed hanno introdotto l’idea rivoluzionaria, per quei tempi, della programmazione della produzione non solo in funzione della quantità ma anche del tempo. Frank B. Gilbreth (1868 – 1924) Imprenditore statunitense, fu il massimo rappresentante del principio della divisione del lavoro, spinta fino ai limiti “fisiologici” perché basata sulla scomposizione dei movimenti elementari ed indivisibili. Gilbreth sosteneva che la possibilità dei vantaggi derivanti dallo studio dei movimenti nei mestieri, era particolarmente sorprendente, perché tutti i mestieri, anche i migliori, venivano svolti malamente. Henry Ford (1863 – 1947) Capitano d’industria statunitense, si ricorda in quanto ideatore ed attuatore della produzione di massa, quale inventore della catena di montaggio e per la compagnia automobilistica che prese il suo nome. Il sistema della catena di montaggio costringeva i più lenti a sbrigarsi e i più veloci ad adattarsi ai ritmi del processo: la macchina comandava sugli uomini. Ford abolì gli incentivi individuali ed attestò la paga giornaliera a 2,3 dollari. Ford, a differenza di Taylor, rifiutava il lavoro a cottimo, era orientato a pagare a giornata o ad ora. Nel gennaio 1914, Ford avviò la più grande rivoluzione degli stipendi degli operai: il salario veniva raddoppiato e veniva integrato con una quota aggiuntiva di “partecipazione agli utili”. Dalla partecipazione agli utili, venivano esclusi i giovani al di sotto dei 22 anni, le donne, a meno che non dovessero provvedere al sostentamento del nucleo familiare. Secondo Ford, il salario doveva andare agli uomini sposati e doveva servire a mantenere tutta la famiglia, evitando che la donna andasse a lavorare. Intorno al 1925-1928, Ford si ritrovò a doversi confrontare con la General Motors che aveva portato la competizione sul terreno dell’articolazione dei modelli producendo tipi di auto sempre più elaborati e differenziati, destinati a fasce di pubblico diverse, per reddito e per gusti, e costringendo sempre più a frammentare il processo produttivo in sottoprocessi autonomi per la produzione delle componenti comuni a più modelli e dei particolari specifici per ogni tipo di auto. La fabbrica perdeva la sua perfetta linearità ed i processi parziali erano sempre più difficili da coordinare con il ciclo produttivo principale (catena di montaggio). Il “Fordismo” è stato non solo un modo di produzione ma anche un modello di regolazione sociale, perché ha saputo coniugare produzione e consumo di massa, sino a consentire per decenni tassi di crescita persistenti in tutti i paese industrializzati. Il circolo virtuoso, infine, tra produttività, produzione e consumo, ha contribuito a sviluppare una lunga ondata di innovazione tecnologica. Teoria dell’Amministrazione d’Impresa Henry Fayol (1841 – 1925) Ingegnere francese, massimo esponente della corrente cosiddetta della dipartimentalizzazione, secondo la quale l’organizzazione doveva attribuire i compiti alle persone in modo da ottenere il massimo risultato. Mentre Taylor si occupò prevalentemente dell’officina, Fayol elaborò una teoria più generale dell’Amministrazione d’Impresa, riguardante tutte le funzioni che in essa potevano applicarsi. Tutte le operazioni che si svolgevano all’interno dell’impresa, Fayol le suddivise in sei gruppi: 1. funzioni tecniche (produzione) 2. funzioni commerciali (vendita, acquisto, scambi) 3. funzioni finanziarie (ricerca e gestione dei capitali) 4. funzioni di sicurezza (protezione dei beni e delle persone) 5. funzioni contabili (inventari, bilanci, statistiche ecc.) 6. funzioni direttive (programmazione, organizzazione, comando, coordinamento e controllo). La funzione più importante per Fayol era quella direttiva e le capacità direttive (più di quelle tecniche, commerciali ecc.) erano essenziali ai livelli superiori della gerarchia. La funzione direttiva doveva conformarsi ad alcuni principi da applicare in modo elastico (si hanno già i primordi di un’organizzazione flessibile): la ripartizione del lavoro, l’autorità e responsabilità, disciplina, unità di comando, unità di Direzione, subordinazione degli interessi particolari all’interesse generale, equa remunerazione, giusto equilibrio tra centralizzazione e decentralizzazione del processo decisionale, gerarchia, ordine, trattamento imparziale, stabilità del personale, iniziativa, spirito di corpo. Fayol sviluppò e sostenne l’opportunità di dotare le imprese di un modello di struttura organizzativa con organi di Staff e di Lines. Tale modello costituisce ancora oggi un riferimento organizzativo largamente applicato dalle aziende moderne. Il modello organizzativo teorizzato da Fayol era quello funzionale i cui punti di forza derivavano dall’accentuata specializzazione delle funzioni e dal contenimento dei costi. SCUOLA DELLE RELAZIONI UMANE Con la scuola delle relazioni umane, vengono introdotti, negli studi e nella pratica dell’organizzazione, i concetti delle “scienze del comportamento”, modificando così, la scuola classica, arricchendola di variabili prima ignorate. Il tema centrale di studio delle relazioni umane è rappresentato quindi, non già dalla struttura organizzativa, ma dalle variabili psicologiche e sociali che portarono a scoprire l’esistenza, accanto all’organizzazione formale, di un’organizzazione “informale” ed accanto ad obiettivi di redditività e di produttività, obiettivi “umani” di soddisfazione e di sviluppo individuale. Nell’ambito della scuola, troviamo due filoni di pensiero: ¨ la teoria Interazionista (Mayo) ¨ la teoria delle Risorse Umane (Maslow, McGregor, Herzberg). Teoria Interazionista Elton Mayo ( 1880-1949) Psicologo australiano, emigrato negli USA, ebbe per primo l’intuizione di comprendere l’importanza, nel contesto organizzativo, del fattore umano analizzato soprattutto negli aspetti di emotività e di irrazionalità, e dell’organizzazione sociale del lavoro analizzato, in particolare, con riferimento al gruppo di lavoro. Le ricerche di Mayo approdarono alle seguenti conclusioni: la produttività dei singoli non è direttamente dipendente dalle condizioni di lavoro (illuminazione, riposi, turni, ferie, ecc.) ma è fortemente influenzata dai gruppi di lavoro, dai rapporti sociali che si creano in azienda, di cui le persone sentono molto il bisogno; il gruppo è un ottimo veicolo di informazioni e gioca un ruolo determinante per il perseguimento degli obiettivi aziendali; i lavoratori hanno bisogno di comunicare e di essere ascoltati; le situazioni aziendali sono fortemente influenzate da situazioni personali. Teoria delle Risorse Umane Abrahm Maslow ( 1900-1970) Psicologo statunitense, autore importante della corrente motivazionale, si ricorda per aver elaborato la teoria della scala dei bisogni umani, allargando la prospettiva motivazionale dei lavoratori all’analisi dei bisogni sociali e psicologici (cosiddetti superiori). Secondo Maslow, esiste nell’uomo una sorta di gerarchia dei bisogni: alla base ci sono i bisogni primari legati alla sopravvivenza, seguono i bisogni di sicurezza, di appartenenza, di stima, di autorealizzazione. LA SCALA DEI BISOGNI SECONDO MASLOW: 1. Bisogni (Fisiologici): salari e stipendi; condizioni di lavoro sicure e piacevoli. 2. Bisogni di Sicurezza: assistenza sociale e sanitaria; sicurezza del posto; possibilità di carriera nell’ ambito dell’ organizzazione. 3. Bisogni Sociali: organizzazione del lavoro che permetta di interagire con i colleghi; strutture sociali e sportive; riunioni di ufficio o di impianto. 4. Bisogni dell’Ego:creazioni di mansioni dotate di autonomia, responsabilità e controllo personale; mansioni che sviluppano l’ identità personale; riconoscimento dei risultati ottenuti attraverso promozioni, premi ecc. 5. Autorealizzazione: premiare il totale impegno nei confronti dell’ azienda; il lavoro diventa la maggior espressione del dipendente. Douglas M. McGregor ( 1906-1964) Psicologo statunitense, sviluppò due principi generali ed opposti di concepire la natura umana di management delle persone e di organizzazione in azienda: la teoria x e la teoria y. La teoria x (accolta dalla maggioranza delle imprese fino agli anni ’60) parte dall’idea che la maggior parte delle persone preferisce essere guidata, non è interessata ad assumersi responsabilità ed ambisce soprattutto alla sicurezza. La teoria y, viceversa, prevede che le persone possano essere sostanzialmente autodisciplinate e creative nel lavoro, orientate a conseguire gli obiettivi dell’organizzazione, se opportunamente motivate. Pertanto, un compito fondamentale del management dovrebbe essere quello di sviluppare questo potenziale negli individui. In definitiva, compito della Direzione è quello di creare condizioni organizzative e metodi operativi tali da permettere alla gente di raggiungere i propri obiettivi meglio, indirizzando nello stesso tempo i propri sforzi verso gli obiettivi aziendali. Alla teoria x McGregor associava uno stile di direzione autoritario e formale; alla teoria y, invece, associava lo stile democratico, centrato su un potere riconosciuto principalmente dal gruppo di appartenenza e dalle persone. Herzberg Psicologo statunitense che, nei suoi studi, distingue il concetto di motivazione da quello di insoddisfazione: la motivazione è l’effetto prodotto sul comportamento delle persone dagli incentivi intrinseci al lavoro e focalizza l’esigenza della crescita psicologica, umana e professionale, che costituisce il motore interno dell’uomo, i cui effetti si rilevano sul lungo periodo. L’insoddisfazione è l’effetto prodotto sul comportamento delle persone dagli incentivi negativi e/o dalla carenza di incentivi estrinseci al lavoro stesso e focalizza i risultati a breve periodo. Tra i fattori motivanti, tre sembrerebbero produrre un maggior effetto di soddisfazione sul lungo periodo: il contenuto del lavoro, la responsabilità, l’avanzamento di carriera. I fattori definiti ambientali o igienici non hanno capacità di motivare le persone, la loro presenza non produce soddisfazione ma evita l’insoddisfazione. Le teorie di Herzberg sono alla base di alcuni dei principali tentativi di riorganizzazione del lavoro esecutivo oggi attuati nelle aziende (es. il cosiddetto “job enrichment” o arricchimento dei compiti), in situazioni di lavoro dove dominano ripetitività, assenza di responsabilità e monotonia. SCUOLA BUROCRATICA Il pensiero teorico di questa scuola è rappresentato da due teorie: la teoria burocratica (Weber) la teoria struttural – funzionalista (Merton, Parsons,Blau, Selzrick). Teoria Burocratica Max Weber ( 1864 - 1920) Sociologo tedesco, ricordato come uno dei maggiori teorici della burocrazia. Secondo Max Weber, gli aspetti più importanti e più urgenti che andavano risolti nelle organizzazioni riguardavano il riconoscimento e l’uso dell’autorità. Infatti, Weber focalizzò la propria attenzione su due aspetti: che cos’è l’autorità e quali sono gli attributi dell’autorità che spingono i subordinati ad accettare l’esercizio del potere da parte dei superiori. “l’organizzazione burocratica routinizza i processi amministrativi così come la macchina routinizza la produzione” Il termine burocrazia riveste oggi, come noto, una connotazione spesso fortemente negativa, come simbolo di inefficienza, di ossequio agli aspetti formali a scapito di quelli sostanziali, come generale deresponsabilizzazione di coloro che nella burocrazia operano, come fonte di grandi disagi e disservizi per il cittadino che con la burocrazia entra in contatto. Pratiche che giacciono negli archivi, che impiegano anni per passare da una scrivania all’altra di uno stesso ufficio; telefoni cui nessuno risponde, impiegati che alle nostre richieste rispondono che “loro non possono farci niente” che c’è sempre qualcun altro ufficio che deve mettere il “visto” ecc. Questa idea di “burocrazia” e di “burocrate” sono ben lontane dal concetto che ne aveva Weber. La burocrazia di cui parla Weber è una macchina perfetta, in cui ciascuno conosce il proprio compito e lo esegue con diligenza, puntualità, professionalità ed ancora oggi rappresenta una soluzione razionale alla complessità dei problemi. Attraverso strumenti quali: – Elaborazione di uno schema rigido di divisione di compiti – Sistema di supervisione e gerarchia – Sistema di regole e regolamenti dettagliati Per comprendere il pensiero di Weber sulla burocrazia, occorre collocarlo nel quadro più generale del potere. Ogni potere richiede un apparato amministrativo di uomini di fidata obbedienza, che servono da tramite tra superiore e sottoposti. Ogni potere, per essere esercitato in forma continuativa e regolare, richiede di essere legittimato ed il tipo di legittimazione richiesta dall’esercizio continuativo del potere, diventa così il criterio in base al quale Weber distingue tre tipi di potere, in senso ideale: potere tradizionale (es. ereditarietà) potere carismatico (es. profeti, capi religiosi, ecc..) potere razional-legale. Alla legittimazione razional-legale corrisponde l’organizzazione burocratica. Questo tipo di organizzazione consente un più elevato livello di efficienza perché l’amministrazione non è lasciata all’arbitrio del singolo funzionario, ma è basata su principi di equità, di professionalità, di impersonalità. Le attività sono attribuite in modo stabile come doveri ufficiali, ogni ufficio inferiore è controllato da uno superiore, un sistema di regole governa le decisioni e le azioni ufficiali, i funzionari sono scelti in base alle loro qualifiche tecniche e, superato il periodo di prova, trascorreranno tutta la loro vita in azienda e saranno protetti da licenziamenti arbitrari. Per essere efficiente l’organizzazione burocratica deve seguire determinati principi: le attribuzioni dei funzionari si basano su regole, leggi, regolamenti; la condotta dell’ufficio si basa su documenti (atti) e sull’opera di impiegati “subalterni”; il lavoro amministrativo è per i funzionari a tempo pieno. Teoria Struttural-Funzionalista T. Parsons ( 1902 - 1979) Sociologo statunitense, è ricordato come uno dei maggiori teorici della sociologia moderna. Sviluppa ed elabora la teoria della struttura ed evidenzia l’importanza dell’organizzazione formale nell’orientare tutta l’organizzazione verso gli scopi prefissati. Secondo questa teoria, l’organizzazione è un sistema di ruoli collegati in termini formali ed informali e di valori comuni. Ne consegue che l’attività organizzativa elementare è: il ruolo. Le organizzazioni più complesse sono composte da più ruoli. Con il termine funzione sono indicate le attività proprie dei vari ruoli o gruppi di essi. Oggetto tipico di analisi di tale teoria sono quindi i ruoli, i sistemi di ruoli, le loro funzioni e la loro dinamica di relazione. Tale organizzazione raggiunge i propri obiettivi, allorchè realizza un buon grado di integrazione interna e si adatta fisiologicamente all’ambiente. Inoltre, tale metodo tende a conservare lo “status quo” e mal si accorda con il conflitto ed il cambiamento. R.R. Merton Sociologo statunitense, è considerato tra i più importanti esponenti dell’approccio struttural - funzionale ed il maggior rappresentante del filone di critica alla burocrazia, sviluppatasi dal pensiero di Weber. Egli, infatti, analizza le conseguenze inattese che si possono creare nel funzionamento delle organizzazioni burocratiche e che danno origine a disfunzioni organizzative. Merton si oppone al filone weberiano nel quale la gerarchia, le regole formali, la specializzazione, le carriere precostituite, la stabilità del lavoro costituiscono la normativa che regola il funzionamento delle organizzazioni burocratiche. Quest’ultime, infatti, hanno come fine quello di garantire un trattamento qualificato ed imparziale di tutti gli utenti del servizio e di eliminare disfunzioni di qualsiasi genere all’interno dell’organizzazione. Secondo Merton però, tali caratteristiche possono, al contrario, produrre conseguenze indesiderate quali l’incapacità a comprendere situazioni al di fuori della norma, l’osservanza della norma a tutti i costi, tale da rendere la norma stessa il fine ultimo e non il mezzo per fornire un servizio qualificato e di soddisfazione del cliente. P. M. Blau Sociologo austriaco, emigrato negli Stati Uniti, si dedicò allo studio di problemi connessi con le organizzazioni formali, alla sociologia dei piccoli gruppi, alla stratificazione sociale. Fornì importanti contributi all’analisi della burocrazia ed ai suoi rapporti con la società moderna. In particolare individuò alcuni rimedi che avrebbero reso tale organizzazione aperta al cambiamento quali: la separazione tra responsabilità amministrativa e responsabilità tecnica, la valutazione individuale delle prestazioni, la stabilità dell’impiego e giusto equilibrio con le sanzioni punitive; la progettazione del lavoro dei funzionari pubblici arricchita da contenuti professionali e da ampia responsabilità. P. Selznick Sociologo statunitense, ha studiato i risultati inattesi nelle organizzazioni burocratiche, estendendo l’analisi ai fattori interni all’organizzazione ed alle relazioni tra l’organizzazione aziendale e l’ambiente esterno. Egli sviluppò l’idea che la costituzione di unità organizzative articolate per funzioni all’interno dell’organizzazione burocratica, crei i presupposti per il generarsi di obiettivi divergenti e contrastanti tra i fini organizzativi e quelli del settore specifico. SCUOLA DECISORIA La scuola decisoria concepisce l’organizzazione stessa come un cervello che elabora informazioni e studia le interrelazioni tra l’individuo e le sue aspirazioni con l’organizzazione ed i suoi obiettivi. Secondo questa scuola, l’organizzazione deve essere osservata in termini di premesse e processi di decisione. E’ necessario cioè, per comprendere la dinamica organizzativa, osservare i membri dell’organizzazione allorchè prendono decisioni e risolvono problemi, tenendo conto delle premesse di tali decisioni (atteggiamenti, valori, obiettivi, ecc). Oggetto tipico dell’analisi della scuola delle decisioni è quindi l’operatore organizzativo (individuo o gruppo), osservato quando deve compiere delle decisioni. Per aumentare l’efficacia organizzativa, è necessario influire sulle premesse e sulle modalità di decisione. Il metodo usato nella ricerca si riallaccia alle teorie economiche marginalistiche combinato con le tecniche EDP, ponendo in discussione il tradizionale modello dell’”uomo economico”, volto alla massimizzazione della propria utilità, con il modello dell’uomo amministrativo, volto a perseguire l’obiettivo di un’utilità soddisfacente rispetto a certi “standards”. L’individuo ha delle informazioni che elabora, dando luogo a decisioni non programmate, programmate, strategiche, direzionali ed operative. Teoria delle Decisioni C. Barnard (1861 - 1961) Considerato il capostipite della scuola decisoria, diede un contributo agli studi organizzativi con la sua opera principale “Le funzioni del dirigente” (1938), dove individua tre funzioni essenziali che caratterizzano l’opera dirigenziale: - assicurare un efficace sistema di comunicazioni; -garantire il flusso regolare e costante delle risorse necessarie al funzionamento dell’organizzazione; - determinare i fini ultimi dell’organizzazione. H. Simon Premio Nobel per l’economia (1978), Simon concepisce l’organizzazione come un complesso schema di comunicazioni e di altre relazioni che vengono a stabilirsi in un gruppo di esseri umani. Simon costruisce l’organizzazione considerando gli uomini che agiscono all’interno dell’organizzazione stessa e che vanno visti come dei soggetti che decidono continuamente. Per Simon, management significa “decisione”. E’ la decisione l’oggetto fondamentale della conoscenza organizzativa. Vengono identificati da Simon tre livelli di decisione: - strategico progettuale operativo. Collegate al tema dell’automazione, le decisioni diventano decisioni programmate (di routine) e decisioni non programmate (nuove, non strutturate, occasionali). Infine, Simon considera la “cooperazione” come elemento essenziale del processo organizzativo. Bisogna quindi studiare le condizioni che rendono possibile i gradi e le forme di cooperazione, ma anche le cause e le forme dei conflitti individuali ed organizzativi. SCUOLA SISTEMICA A metà degli anni 60, si sviluppa il pensiero sistemico che concepisce le organizzazioni come sistemi sociali, inserite in un contesto più ampio (mercato, politica, tecnologia, ecc.) a cui sono organicamente legate da rapporti e scambi in entrata ed uscita di varia natura. Ciascuna organizzazione, al proprio interno, è costituita da un insieme di sottosistemi aggregati ed interconnessi fra di loro in modo non casuale. Il pensiero teorico della scuola sistemica può essere suddiviso in quattro teorie principali: 1. 2. 3. 4. la teoria della dinamica dei sistemi (Forrester) La teoria storica (Chandler e Mintzberg) la teoria socio-tecnica (Trist e Bamforth) la teoria della contingenza (Woodward). Teoria delle dinamica dei sistemi J. W. Forrester Nel 1971, Forrester, ingegnere ed economista industriale statunitense, professore al Massachussetts Institute of Technology (MIT) di Boston, condusse i primi studi sulla dinamica industriale ed applicò i modelli cibernetici all’analisi del comportamento delle imprese. Forrester ha approfondito il circuito di sistema, inteso come insieme di parti che cooperano per uno scopo comune. Esempi di sistemi vanno dall’automobile, come insieme di componenti assemblati per funzionare come mezzo di trasporto, al management, come sistema di persone che lavorano insieme per la conduzione ed il regolamento delle attività di un’azienda. La comprensione del comportamento di un sistema, per Forrester, si attua attraverso la rappresentazione computerizzata di un modello del sistema e la simulazione del suo comportamento nel tempo. Forrester ha dato un notevole contributo allo sviluppo dell’approccio della complessità nelle organizzazioni, di cui può essere considerato il capostipite. Nello stesso periodo L.von Bertalanffy sosteneva che le organizzazioni vivono a contato e sono influenzate dall’ambiente in cui sono inserite. Esse sono quindi dei sistemi aperti (open system theory). Teoria Storica A.D. Chandler (seconda metà del 1900) Secondo tale teoria Chandler sostiene che i caratteri della struttura organizzativa di base mediante cui l’impresa viene gestita, sono correlati alla strategia di sviluppo adottata per far fronte all’evoluzione ambientale. Un’organizzazione risulta quindi tanto più efficiente quanto più essa è coerente con la strategia, a condizione che quest’ultima costituisca una risposta efficace alle opportunità ed alle misure dell’ambiente. Definita quindi la strategia come “ la determinazione delle mete fondamentali e degli obiettivi di lungo periodo di un’impresa, la scelta dei criteri d’azione e il tipo di allocazione delle risorse necessarie alla realizzazione degli obiettivi suddetti”, si propone di mostrare come nella storia delle imprese americane “la struttura sia stata conseguente alla strategia”. Più specificamente le strategie che si basano sull’ampliamento dei mercati e sull’integrazione verticale generano una struttura organizzativa funzionale, mentre quelle che si fondano sulla diversificazione dei prodotti, una struttura organizzativa divisionale. Henry Mintzberg E’ professore di management all’Insead di Fontaibleau e alla Mc Gill University di Montreal. Egli ha individuato tre presupposti a suo avviso fallaci del management strategico: 1. il formalismo che assume la superiorità dei sistemi sugli esseri umani nella determinazione delle strategie; 2. l’isolamento, l’idea cioè che il pensiero e la strategia debbano essere disgiunte dall’azione e dalle operazioni; i pensatori e gli strateghi separati dagli operatori e dagli oggetti delle strategie; 3. la predeterminazione, l’idea cioè che il processo di definizione delle strategie e le strategie stesse possano essere predeterminate, data la prevedibilità del contesto di elaborazione delle strategie. Teoria socio-tecnica E. I. Trist e Bamforth ( inizio 1940) Secondo questa teoria, l’organizzazione è concepita come un sistema che integra due sottosistemi, quello tecnologico e quello sociale. L’approccio socio-tecnico si contrappone “al presupposto che il lavoro vero e proprio, la sua componente tecnologica, nonché le sue esigenze meccaniche e fisiche siano, relativamente parlando, prive di importanza agli effetti della situazione psico-sociale degli individui addetti allo svolgimento del lavoro…..” al contrario, pone l’accento sul…”ruolo essenziale che la componente tecnologica, convertendo gli input in output, gioca nel determinare le proprietà autoregolatrici dell’impresa…” Come sottolineato, in particolare dai due autori, nei loro studi condotti nelle miniere inglesi alla fine degli anni ’40, l’organizzazione del lavoro è definita tramite la combinazione di due soli elementi: tecnico e sociale: § il sistema tecnico viene inteso come complesso di impianti, macchine ed attrezzature produttive, abbinati a sistemi tecnico/informativi in grado di programmare e controllare il processo produttivo; § il sistema sociale è costituito dall’organizzazione formale ed informale delle persone e delle norme e ruoli sociali presenti nell’unità lavorativa. L’efficacia dell’organizzazione è determinata dalla integrazione dei due sottosistemi. Teoria della contingenza – Scuola situazionale 1 Per T.Burns e G.M. Stalker risultano necessari stili organizzativi e direzioni aperti e flessibili. In ambienti incerti e non stabili l’approccio meccanicistico lascia naturalmente il posto ad uno di carattere organicistico più adattabile ai mutamenti dell’ambiente. Deve esistere una condizione di armonia tra strategia, struttura, tecnologia, bisogni e aspirazioni dei dipendenti e ambiente esterno. Teoria della contingenza – Scuola situazionale 2 J. Woodward ( 1916 - 1971) Joan Woodward, sociologa inglese, attraverso ricerche empiriche condotte nel Sussex (UK) intorno al 1965, ha evidenziato una relazione diretta fra tecnologia e struttura organizzativa, in particolare, a livelli di tecnologia più avanzata, corrispondono un maggior numero di livelli nella scala gerarchica, un più alto rapporto fra personale direttivo e personale esecutivo e, più in generale, un maggior numero di impiegati amministrativi. La Woodward cercò, nei suoi studi, di disaggregare la struttura organizzativa in dimensioni che consentissero una sua misurazione (numero di livelli gerarchici, ampiezza della supervisione, grado di definizione dei compiti, estensione delle In sostanza, dalla ricerca, la Woodward individuò, nella tecnologia applicata, la variabile più significativa nello spiegare le differenze rilevate tra i moduli organizzativi prevalenti nelle diverse imprese, variabile a sua volta influenzata dalla strategia d’impresa in termini di combinazioni prodotti-mercati. Su tali basi, la Woodward, formulò una sua tripartizione dei sistemi organizzativi d’impresa in base alla tecnologia applicata prevalente (produzione per unità e piccoli lotti, produzione di massa e su larga scala, produzione a processo continuo). In tale quadro, formulò l’ipotesi di un “attivo organizzativo” in corrispondenza ad ognuno dei diversi sistemi di produzione: le imprese che appaiono più efficienti sono quelle con caratteristiche organizzative vicine alla media della propria categoria tecnologica. Teoria della contingenza – Scuola situazionale 3 P. Lawrence e J. Lorsch inseriscono la differenziazione dell’organizzazione accanto alla tecnologia quale discriminante per la scelta del “Sistema vincente”. 1. 2. Condizioni tecnologiche e di mercato richiedono organizzazioni di tipo diverso Imprese che operano in ambienti incerti e turbolenti richiedono un livello di differenziazione interna maggiori rispetto ad altre che operano in ambienti più stabili e meno complessi La parte sopra vista, dedicata alle elaborazioni teoriche del pensiero organizzativo che si sono succedute nel tempo ha una sua utilità, non solo culturale ma anche di consapevolezza operativa. Non è, infatti, possibile pensare ad un sistema di pianificazione, senza rapportarlo al tipo di organizzazione in cui viene calato ed al cui funzionamento è legato il successo dell’Azienda stessa.