Lezione III: Teoria dell’impresa
• Tre questioni di Teoria dell’Impresa:
• L’ipotesi di massimizzazione dei profitti
• Cosa determina la dimensione (orizzontale e
verticale) dell’impresa?
• Perché le imprese sono (restano) differenti?
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
1
L’ipotesi di massimizzazione dei profitti
Le imprese sono strutture complesse che
svolgono molti compiti e hanno una
molteplicità di stakeholder (portatori di
interessi legittimi).
E’ valida l’assunzione semplificatrice
che “massimizzino i profitti”, ovvero il
valore delle quote societarie (insomma,
che siano gestite nell’interesse dei proprietari)?
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
2
3 aspetti problematici:
a) c’è tipicamente separazione tra proprietà e controllo (per indebolire i vincoli dovuti alla liquidità
e all’avversione al rischio dei singoli);
b) la proprietà diffusa rende il controllo dei manager un tipico “bene pubblico” e genera problemi di
free riding tra azionisti (comunque, non è chiaro
che una proprietà più concentrata sia empiricamente rilevante);
c) c’è asimmetria informativa tra la proprietà e chi
controlla l’impresa, il che genera problemi di agenzia.
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
3
Tuttavia:
• Una certa disciplina potrebbe essere dovuta a meccanismi interni:
• A) il ruolo del Consiglio d’Amministrazione (ma spesso
questi sono dominati dal management);
• B) contratti incentivanti sui profitti (bonus + opzioni
sulle azioni).
• Naturalmente, le esperienze più recenti (ENRON,
PARMALAT, crisi finanziaria) suggeriscono come
minimo una certa cautela …
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
4
Disciplina esterna: 1) il mercato del
lavoro (manageriale)
Anche se una disciplina interna fosse concretamente irrealizzabile, i manager dovrebbero comunque assegnare valore alla loro
reputazione.
Questo meccanismo opera però solo se: a)
esiste un vero e proprio mercato
manageriale (dubbio in Italia); b) questo
mercato è sufficientemente ben informato.
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
5
Disciplina esterna: 2) il mercato del
prodotto (il ruolo della competizione)
Se l’impresa fallisce il manager potrebbe rimetterci lucrosi “fringe benefits” (ovvero una
forma di rendita): perciò avrà un incentivo a
impegnarsi tanto più elevato tanto maggiore è
la pressione competitiva.
La presenza di competitiori permette inoltre di
mettere all’opera meccanismi di “yardstick
competition” (valutazione comparativa).
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
6
Disciplina esterna: 3) il mercato dei
capitali
Se anche il mercato del prodotto non fosse molto
competitivo, il pericolo di una scalata ostile nel
mercato dei capitali (uno scalatore potrebbe lucrare
sul differenziale di profitto pre e post scalata)
dovrebbe inoltre essere una molla potente (e c’è
qualche evidenza empirica a favore di questa ipotesi).
Tuttavia:
a) perché lo scalatore dovrebbe in futuro saper fare
meglio dell’attuale proprietà?
b) perché in vista della scalata gli attuali azionisti
dovrebbero vendere?
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
7
Conclusione (provvisoria):
Se aggiungiamo alle precedenti considerazioni il fatto che l’evidenza empirica disponibile (sul ruolo per esempio della
concentrazione della proprietà e sugli effetti
delle scalate) è molto ambigua, si può
realisticamente concludere che le decisioni
d’impresa sono l’esito di un “compromesso” (mediato dal management) tra gli
interessi dei vari stakeholder.
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
8
Conclusione (provvisoria):
Non è tuttavia irragionevole (e semplifica
molto la nostra vita) adottare l’ipotesi di
massimizzazione dei profitti .
In altre parole, nel discutere le scelte di
prezzo, quantità e investimento delle
imprese, in prima approssimazione sembra
possibile mantenere l’ipotesi che le imprese
si comportino “come se” massimizzassero i
profitti.
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
9
Due problemi della Teoria dell’Impresa:
• I Cosa determina le dimensioni delle
imprese?
• Dimensione orizzontale: quanti prodotti e
quanto output?
• Dimensione verticale: quanti stadi della
filiera produttiva?
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
10
La dimensione orizzontale:
• In generale dovrebbe essere la tecnologia produttiva (l’andamento dei costi
unitari, ovvero le economie di scala e
di scopo) a determinare la dimensione
orizzontale del settore.
• Per esempio, in un mercato con libertà di entrata e
costi medi ad U ci si aspetta che le imprese nel
lungo periodo producano l’unica quantità che corrisponde alla scala efficiente.
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
11
Tuttavia, ci sono diversi “gradi di
indeterminatezza”:
1) Ci potrebbero essere molti livelli di output
per i quali i costi unitari sono minimi (ex:
forma a “catino” dei CU);
2) La tecnologia dovrebbe determinare l’andamento dei costi a livello del singolo impianto, ma un’impresa potrebbe possedere
una molteplicità di impianti …
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
12
La dimensione verticale:
• La questione essenziale qui è quella
della cosiddetta integrazione verticale:
• produrre internamente (“usare
l’impresa”),
• o
• comprare all’esterno (“usare il
mercato”)?
• [make it or buy it?]
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
13
In questo contesto le considerazioni
“strategiche” sono quelle cruciali:
• In particolare, gli aspetti chiave sono la
specificità degli investimenti richiesti,
e gli incentivi e i “rischi di esproprio”
[hold-up problem] ad essi connessi
Ex: GM vs Fisher Body
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
14
Specificità degli investimenti conseguenze:
La specificità degli investimenti fornisce
incentivi a comportamenti opportunistici
delle controparti contrattuali se questi non
possono essere opportunamente eliminati
(contratti cosiddetti incompleti)

La conseguenza inefficiente sono
minori investimenti (hold-up problem)
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
15
Rimedi:
• Integrazione verticale!
• Integrazione parziale (“tapered”)
• Franchising
• “Relazioni Contrattuali” di lungo periodo (keiretsu
giapponesi)
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
16
Problemi
• Anche l’integrazione verticale non è la panacea di tutti i mali. Per esempio, sovente
organizzazioni più grandi sono più difficili
da controllare (i dipendendi più difficili da
motivare): problemi di agenzia
• Ex: il problema della qualità alla GM
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
17
In sintesi:
•
La dimensione verticale dipende da un difficile bilanciamento tra la fornitura di incentivi all’investimento e la capacità di
controllare/motivare i dipendenti (qualità
della performance).
•
Persino nella stessa industria le soluzioni
adottate non sono necessariamente le stesse (Benetton vs Zara).
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
18
II Perché le imprese sono (e restano)
differenti?
• Naturalmente le imprese sono molto
differenti.
• Il problema è che lo sono anche all’interno
dello stesso settore industriale, e in particolare che i differenziali di profitto tendono a restare stabili (a distanza di decenni)
e non spiegati (all’80%) dalle analisi empiriche.
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
19
• Non c’è al momento una risposta definitiva alla
questione, ma sembra chiaro che debbano esistere
delle barriere all’adozione di comportamenti
imitativi (analogia con lo sport?):
• 1) scarsità di risorse (manageriali?)
• 2) restrizioni legali (sistema dei brevetti)
• 3) conoscenze “tacite”
• 4) “cultura societaria” (che informa prassi interna
e aspettative dei terzi)
• 5) storia (irreversibilità: curve di apprendimento e
path dependency) e strategie
IO: III Lezione (P. Bertoletti)
20
Scarica

Lezione3